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Introduzione Oltre l’aula Raoul C.D. Nacamulli, Daniele Boldizzoni Premessa Negli anni recenti si è assistito, nel campo della formazione “post experience”, a una grande proliferazione di nuovi metodi “fuori dall’aula” quali: l’outdoor e l’indoor, i giochi aziendali, il teatro d’impresa, l’executive coaching, il counsel- ling e il mentoring, l’e-learning, l’impiego dei social media come Facebook e Twitter, lo storytelling tradizionale e digitale, il cinema, YouTube e via di- cendo. Parallelamente, la formazione manageriale, centrata sul trasferimento, prevalentemente “in aula”, di conoscenze e schemi concettuali di base entro le business school e le scuole aziendali, ha iniziato a declinare. Infatti, molte delle conoscenze manageriali di base risultano spesso già patrimonio comune di tutti i potenziali destinatari, o perlomeno della maggior parte di essi, essen- do questi temi ormai insegnati ampiamente sia nei corsi universitari di primo livello sia nei numerosi master (più o meno certificati) disponibili nel mercato della formazione. I tratti di questo scenario sono emersi già all’inizio degli anni Novanta, quan- do nelle aziende la sfida nel campo del management delle risorse umane sem- brava riguardare più l’area comportamentale che quella dei contenuti, vale a dire più il saper essere che il saper fare; il riferimento è a fattori quali il senso d’identità e di appartenenza organizzativa, la fiducia relazionale, la capacità di operare efficacemente in team, lo sviluppo dell’autoefficacia e dell’empo- werment ecc. Il bisogno di polarizzare gli investimenti di formazione più sui comportamenti che sui contenuti trova ragione nell’instabilità dei mercati e nella diffusione di forme organizzative più aperte, a network, che richiedono ai manager, ai quadri e agli operatori più commitment e imprenditorialità. Infatti, specie a partire dalla seconda metà degli anni Ottanta, le parole chiave del ma- nagement sono divenute “flessibilità” e “innovazione”. (c) 2011 Apogeo

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Introduzione

Oltre l’aulaRaoul C.D. Nacamulli, Daniele Boldizzoni

PremessaNegli anni recenti si è assistito, nel campo della formazione “post experience”, a una grande proliferazione di nuovi metodi “fuori dall’aula” quali: l’outdoor e l’indoor, i giochi aziendali, il teatro d’impresa, l’executive coaching, il counsel- ling e il mentoring, l’e-learning, l’impiego dei social media come Facebook e Twitter, lo storytelling tradizionale e digitale, il cinema, YouTube e via di-cendo. Parallelamente, la formazione manageriale, centrata sul trasferimento, prevalentemente “in aula”, di conoscenze e schemi concettuali di base entro le business school e le scuole aziendali, ha iniziato a declinare. Infatti, molte delle conoscenze manageriali di base risultano spesso già patrimonio comune di tutti i potenziali destinatari, o perlomeno della maggior parte di essi, essen-do questi temi ormai insegnati ampiamente sia nei corsi universitari di primo livello sia nei numerosi master (più o meno certificati) disponibili nel mercato della formazione.

I tratti di questo scenario sono emersi già all’inizio degli anni Novanta, quan-do nelle aziende la sfida nel campo del management delle risorse umane sem-brava riguardare più l’area comportamentale che quella dei contenuti, vale a dire più il saper essere che il saper fare; il riferimento è a fattori quali il senso d’identità e di appartenenza organizzativa, la fiducia relazionale, la capacità di operare efficacemente in team, lo sviluppo dell’autoefficacia e dell’empo-werment ecc. Il bisogno di polarizzare gli investimenti di formazione più sui comportamenti che sui contenuti trova ragione nell’instabilità dei mercati e nella diffusione di forme organizzative più aperte, a network, che richiedono ai manager, ai quadri e agli operatori più commitment e imprenditorialità. Infatti, specie a partire dalla seconda metà degli anni Ottanta, le parole chiave del ma-nagement sono divenute “flessibilità” e “innovazione”.

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In questo contesto si fa strada il concetto di “organizzazione che apprende” (learning organization) che implica condizioni quali: la disponibilità da parte degli operatori di essere polivalenti entro una data area di lavoro e, in casi più limitati, in diverse aree; la capacità di lavorare profittevolmente in team e più in generale la volontà e l’attitudine (oltre che la capacità) di operare non solo e non tanto, come avveniva un tempo, in un contesto meramente esecutivo ma come attori di una situazione nella quale l’“intraprenditorialità” risulta una variabile critica del successo.

All’inizio degli anni Duemila si è iniziato a parlare diffusamente, nel campo della formazione manageriale, di e-learning, inteso come una sorta di “killer ap-plication”, capace di ridurre drasticamente il ruolo dell’aula non solamente nel-la formazione tecnica. Successivamente, i toni di queste previsioni ottimistiche si sono smorzati, mentre si è annunciata e poi rafforzata una nuova tendenza: il blending formativo”. Inizialmente il termine “blending” (miscelazione) risulta riferito in maniera esclusiva alle modalità “e-learning” e “aula”, riferendosi a una combinazione capace di ottimizzare sia i punti di forza della formazione “e-”, sia quelli dell’aula.

In anni più recenti si è registrato un ulteriore salto di qualità, grazie all’u-tilizzo delle tecnologie emergenti del Web 2.0 e dei social network non solo per le attività di marketing e di comunicazione ma anche nei contesti formativi manageriali e professionali. Nello scenario di un e-learning di seconda e ormai di terza generazione teso all’integrazione tra le metodologie di formazione for-male e informale e che valorizza la dimensione sociale della rete, vista come un prodotto della collaborazione di tutti i suoi fruitori/costruttori, si aprono ulte-riori interessanti opportunità di sperimentare nuovi approcci alla formazione; essi evidenziano la possibilità di legare i processi formativi al knowledge mana-gement per arrivare a una situazione di e-learning trans-mediale, nella quale i contenuti prodotti direttamente dalle comunità di pratiche si combinano con quelli erogati.

Inoltre, si assiste a una sempre maggiore consapevolezza del fatto che l’inno-vazione nella formazione passa non solo attraverso la sperimentazione di nuove metodologie didattiche e strumenti info-tech, ma soprattutto attraverso l’acco-stamento e l’integrazione fra l’ampio ventaglio dei metodi d’aula disponibili e quello altrettanto esteso e ancora più variegato delle metodologie fuori dall’aula.

In altre parole, da un lato si tratta di andare oltre l’aula, combinando i pun-ti di forza e di debolezza delle diverse metodologie per operare una sorta di superblending; dall’altro si tratta di rendere l’architettura e il funzionamento del sistema formativo coerenti alle esigenze del nostro tempo, nel quale assu-mono rilievo fattori quali l’innovazione, la velocità di decisione, l’adattabilità, il rischio. Ciò in un epoca nella quale il capitale umano e il management delle conoscenze non possono più essere considerati un fattore residuale, bensì risul-tano un fattore di sopravvivenza e di crescita, un anello della catena del valore delle aziende e delle istituzioni e una fonte primaria del vantaggio competitivo e del benessere collettivo delle nazioni.

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In aulaAll’inizio degli anni Settanta la formazione manageriale ha fatto il suo ingresso in Italia: sono nate le prime business school e scuole aziendali e si è passati, specie sull’onda delle esperienze e del know how sviluppato oltreoceano, dalla logica dell’istruzione focalizzata sul docente, sulla “lezione frontale” in aula e sul trasferimento di nozioni, a un modo di operare centrato sull’allievo, tipico dei processi di apprendimento dell’età adulta.

Ciò ha portato da sistemi di comunicazione e di delivery a una via, nelle quali il docente è inteso come l’attore principale del processo, allo sviluppo e alla sperimentazione di metodi attivi di comunicazione e di apprendimento orizzontali a più vie. Questi ultimi fanno perno sullo studente inteso come par-tecipante, ovvero come “co-produttore” di conoscenza, al pari del docente o comunque in posizione non troppo asimmetrica rispetto a questi.

Il passaggio dall’istruzione alla formazione è rivolto in modo primario agli studenti post-esperienza, i quali possono realizzare, in maniera tendenzialmen-te paritaria, degli scambi produttivi sia con gli altri studenti aventi una storia professionale differente, sia con il docente, che dispone invece della teoria e del quadro d’insieme. I metodi di formazione attiva possono essere tuttavia impie-gati, con eccellenti risultati, anche per la generalità dei contenuti manageriali di base; questo perché consentono di sperimentare in modo coinvolgente situazio-ni rilevanti in campo manageriale quali, per esempio: attività di diagnosi, scelta fra alternative in termini di costi e benefici, assunzione (simulata) di ruoli entro “ambienti situati” generati dai casi e dalle simulazioni di ruolo, e via dicendo.

La conversione ai metodi attivi nella formazione manageriale ha importanti conseguenze sull’organizzazione e la conduzione del processo formativo. Più in particolare, mentre il modello del “docente frontale” era centrato prevalente-mente prima sulla preparazione di un piano di classe che garantisse una chia-rezza dell’esposizione dei contenuti e poi su una sorta di “recita a soggetto” di quanto preparato, nel modello centrato sull’allievo la situazione cambia. Entro la didattica attiva risulta molto impegnativa e critica anzitutto l’attività in “back office”, cioè la fase di preparazione/scelta del materiale didattico (casi, esercizi di simulazione ecc.) e di costruzione/analisi delle relative note didattiche e del materiale di supporto (“lucidi”, note teoriche, tavole riassuntive ecc.). Anche le competenze di “front line”, di gestione dell’aula, risultano tuttavia fonda-mentali per il successo del processo di formazione. Infatti l’aula mostra spesso dinamiche differenti da quelle prevedibili e previste a tavolino, che debbono essere gestite dal docente con flessibilità e attivando la partecipazione degli al-lievi. Dunque, il porre al centro del processo educativo gli studenti, intesi come soggetti attivi, ridefinisce fortemente le competenze del docente; da un lato quest’ultimo si trova a dover svolgere un’attività più strutturata preparando materiale d’aula e pianificando la propria attività attraverso le teaching notes, dall’altro il processo di erogazione risulta più incerto e meno prevedibile, quin-di più affidato alle capacità relazionali. Infatti, in un contesto di didattica attiva

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le dinamiche di apprendimento non riguardano solo il “passaggio” di contenu-ti, ma anche i processi emotivi e relazionali dentro l’aula, i quali debbono essere seguiti momento dopo momento, nutrendoli, rinforzandoli e, qualora risulti necessario, contenendoli per evitare di perdere il controllo del processo. In questa fase lo stakeholder dei processi formativi è, nelle aziende, principalmen-te la Direzione Risorse Umane, che attraverso il Servizio Formazione interpreta il bisogno di formazione centrandolo soprattutto sulla gestione del consenso degli individui sul sistema dei valori e degli obiettivi aziendali (con iniziative di comportamento organizzativo dedicate ai capi gerarchici) e di copertura delle competenze manageriali di base in coerenza con i percorsi di sviluppo indivi-duali. In questa fase la formazione svolge soprattutto una funzione integrativa e di accompagnamento del percorso di carriera dei quadri e dei dirigenti. Questo vale sia rispetto alle differenti aree funzionali (produzione, marketing, persona-le e organizzazione, finanza, amministrazione e controllo, sistemi informativi), sia in termini di competenze interfunzionali di general management.

Fuori dall’aula Negli anni Novanta si sono diffuse, anche nel nostro Paese, le metodologie di outdoor training, che si svolgono mediante esercitazioni pratiche all’aria aperta e che implicano da un lato la dimensione dell’avventura, o almeno della sfida, e dall’altro quella del lavoro in team. Infatti, nelle esperienze di outdoor training assume un ruolo decisivo la dimensione residenziale “offsite” e la composizione e dimensione del gruppo, che deve essere proporzionata alla tipologia dei risul-tati attesi e alla natura dell’avventura.

Si assume quindi che affrontare delle difficoltà intellettuali ed esperienziali entro un ambiente poco noto (ma protetto) possa innestare processi di appren-dimento in aree quali: le regole della collaborazione interpersonale, la coope-razione e la fiducia, i processi di risoluzione dei conflitti ecc. Più in generale, si ritiene che queste attività consentano di ridurre la “formalità burocratica” delle relazioni di lavoro e, per converso, di rafforzare i rapporti informali fra le persone. Attraverso l’outdoor si sviluppano le human relations e in particolare il senso di autoefficacia personale, i rapporti di mentoring e quelli di coaching interpersonale. Questo nell’auspicio che, una volta ritornati in azienda, si ab-biano benefici effetti sui normali rapporti nell’ambiente di lavoro.

Certo è che il successo dell’outdoor è fortemente condizionato dallo stile del docente che, da un lato, deve presidiare le regole e i tempi dell’esercitazione sul campo come fa un allenatore sportivo e, dall’altro, deve avere un orientamento di sostegno verso le persone e i team che consenta il loro sviluppo. In altre paro-le, l’outdoor trainer, più che un docente inteso nel senso tradizionale, deve esse-re un animatore attento alla dimensione tecnica e a quella psicologica dei parte-cipanti e un facilitatore riguardo l’analisi e la razionalizzazione dell’esperienza vissuta. Più specificatamente, egli deve risultare capace di presidiare in modo

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efficace le diverse fasi del ciclo “sperimentazione-riflessione-apprendimento”, disponendo di competenze adeguate nell’area della raccolta delle esperienze e di analisi complessiva di quest’ultime. Infatti, la disponibilità di tecniche attive e creative di revisione retrospettiva da parte del trainer consente di rendere più fluidi e chiari i processi di comunicazione riguardo alle esperienze sia personali sia condivise entro i gruppi e di giungere a sintesi utili ai fini della condivisione del “know why e how”. In altri termini, perché si realizzi un vero e proprio processo di apprendimento non basta che i partecipanti all’outdoor training facciano quanto previsto: è necessario pure che riflettano in modo sistematico sull’esperienza vissuta attraverso un opportuno processo di feedback guidato.

Successivamente ai primi anni Novanta la filosofia di formazione sottesa all’outdoor training si è affermata in maniera più estesa nel nostro Paese se-guendo due direzioni fondamentali: l’aumento della gamma dell’offerta, ag-giungendo all’outdoor anche l’indoor nelle forme più svariate e la messa a di-sposizione di experiential learning più finalizzato e completo, in grado di com-petere a buon diritto (almeno potenzialmente) con le attività “dentro l’aula”. Gli esercizi indoor intendono replicare, in un ambiente differente, alcune delle caratteristiche dell’outdoor training quali: l’atmosfera ludica, l’immersività e il coinvolgimento, l’eccezionalità, un po’ di rischio (calcolato), pur evitando il disagio e i costi di un’avventura outdoor vera e propria. Esempi di questa forma di experiential training indoor sono i giochi volti a “trasformare un gruppo in un team”. In questo caso si tratta di esercizi fisici di riscaldamento, di comuni-cazione, di fiducia realizzati, di solito, anche con l’ausilio di qualche attrezzo o materiale tangibile di supporto.

Naturalmente, anche nel caso dell’indoor, come avviene nell’outdoor, un tempo adeguato deve essere destinato alle attività di riflessione che conducano a delle lesson learned. In senso più lato, l’ampia categoria dell’indoor training comprende anche i giochi da tavolo, il teatro d’impresa e altri esercizi similari, costruiti in maniera tale da mantenere alcuni dei caratteri dell’avventura outdo-or come: l’alto grado di coinvolgimento, il lavoro in gruppo e lo stimolo allo sviluppo del pensiero trasversale. Una maggiore finalizzazione dell’outdoor e dell’indoor training viene poi ottenuta sia lavorando maggiormente sulla salda-tura fra problemi di management ed esercizi outdoor/indoor, sia mediante una finalizzazione delle attività di riflessione (feedback) a valle delle esperienze ad attività di “follow up” che possono essere fatte rientrare, almeno in senso gene-rale, in processi di sviluppo organizzativo. Sul primo versante, ai temi originari di team building si aggiungono progressivamente altre problematiche mana-geriali, come quella dell’integrazione tra funzioni organizzative (il marketing, la produzione, la ricerca & sviluppo ecc.), degli effetti positivi e perversi dei sistemi d’incentivazione, del management delle diversità ecc. Questo avviene sia attraverso una maggiore finalizzazione degli esercizi, sia per il tramite di un lavoro di “reviewing” più orientato.

Per quanto riguarda l’aggancio fra esercizi di outdoor e di indoor e i processi di cambiamento aziendale, lo strumento maggiormente utilizzato consiste nei

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cosiddetti “metaplans”, che prevedono che ciascun team individui dei proble-mi attuali e delle possibili soluzioni, che queste siano analizzate e discusse in modo da giungere a un quadro comune, che si sviluppi, infine, un piano d’azio-ne capace di raccogliere efficacemente le sfide considerate.

Sempre nella seconda metà degli anni Novanta, nell’area della formazione si è assistito a un ulteriore fenomeno: l’ibridazione fra attività di formazione e attività di comunicazione. Anche questa tendenza prima di manifestarsi in Italia è apparsa oltreoceano. Qui il caso emblematico di questo trend è quello rappre-sentato dalla General Electric dell’era di Jack Welch, nella quale convention, computer e telefono, multimedialità e road show svolgono funzioni sinergiche non solo di comunicazione strategica e operativa ma pure di formazione, specie riguardo allo sviluppo di un modello di leadership e di una cultura aziendale specifica e coerente con la missione e le strategie dell’impresa. Questa tendenza si è rafforzata ulteriormente nel primo decennio del secolo attuale con l’affer-marsi dell’idea di brand leadership, secondo la quale il brand diviene uno sche-ma interpretativo condiviso, costitutivo della connessione tra il dentro e il fuori dell’organizzazione originata dall’ identità organizzativa.

Questo modo di operare risulta coerente con la tipologia delle sfide che ven-gono affrontate dalle aziende in questo periodo, per lo più collegate alla dina-mica dei processi di globalizzazione e all’influsso delle tecnologie dell’informa-zione e della comunicazione. Processi di riposizionamento, alleanze, fusioni, acquisizioni e trasformazioni organizzative radicali implicano non solo che si investa in una formazione volta alla costruzione di nuove competenze tecniche e relazionali, ma pure che siano diffusi nuovi valori capaci di rafforzare l’identi-tà e l’immagine aziendale e il senso di appartenenza delle persone.

Dunque gli stakeholder delle attività di formazione (intese in senso lato) risultano congiuntamente le Direzioni Human Resource e quelle di Comuni-cazione e di Marketing. I principali risultati attesi dall’integrazione fra attività di formazione e di comunicazione sono da un lato la flessibilità organizzativa (formazione al cambiamento) e dall’altro l’allineamento strategico e culturale (comunicazione sulle strategie/formazione sui valori).

Oltre l’aula A partire dai primi anni del nuovo secolo si è manifestata nel campo della formazione una nuova tendenza. Da un lato si tratta di andare “oltre l’aula”, mettendo a frutto l’esperienza accumulata nelle fasi “in aula” (centrata sullo sviluppo di metodi di didattica attiva student driven) e in quella “fuori dall’au-la” (basata sull’experiential learning e sui processi di comunicazione interna), combinando i punti di forza di ciascuno di tali approcci. Dall’altro si tratta di raccogliere la sfida dell’ITC e di Internet che abilitano sia a processi di e-learn-ing sempre più evoluti sia alla costruzione e all’impiego di sistemi sofisticati e

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amichevoli di management della conoscenza, tanto di quella codificata quanto di quella personale (knowledge management).

Si sa: Internet è una tecnologia abilitante la cui legittimazione e diffusione entro la società segna conseguenze dirompenti; può essere considerata l’equi-valente dell’energia elettrica nell’era dell’informazione e del motore elettrico nell’era industriale.

Inizialmente, nell’affrontare il tema dell’e-learning viene data eccessiva en-fasi alla “e”, ossia alla componente tecnologica, mettendo in secondo piano il fatto che si tratta di affrontare un processo di innovazione complesso: tec-nico, cognitivo, emotivo, culturale e sociale e consentito dalla tecnologia ma non determinato da essa. Tuttavia, in un periodo successivo ci si rende conto della rilevanza di sfruttare le nuove opportunità tecnologiche coniugando op-portune filosofie pedagogiche a quanto viene abilitato dall’ICT, ma soprattutto si prende coscienza del fatto che le strategie possibili di formazione non sono quelle basate sull’e-learning puro ma quelle blended. Dunque l’insegna del nuo-vo contesto non è più quella della competizione fra metodi d’aula e quelli fuori dall’aula, ciascuno dei quali ambisce a operare in regime di monopolio. Sarebbe ugualmente scorretto pensare che l’e-learning e il knowledge management e la comunicazione digitale possano rivelarsi alla lunga come una “killer applica-tion” delle altre modalità di formazione.

Dunque il problema dell’era attuale non è quello della semplice sostituzione di un metodo con un altro; piuttosto, è quello dell’integrazione e della partner-ship fra una più ampia gamma di metodologie disponibili. Più specificatamen-te, la sfida attuale riguarda (parafrasando Bolter e Grusin) la “ri-mediazione”, ovvero lo sviluppo di un rapporto di collaborazione e di competizione fra i media tradizionali dentro e fuori dall’aula e quelli nuovi connessi alla Rete, in-fluenzati dagli usi sociali, dalle interpretazioni culturali e dalle sfide emergenti. Più in particolare si assiste a una perdita di rilevanza entro le aziende sia della formazione istituzionale standardizzata sia degli interventi di comunicazione/formazione “a pioggia”, e una parallela crescita delle azioni mirate on demand. Queste ultime risultano trainate anzitutto dai problemi e dalle sfide specifiche avvertite dalla linea come, per esempio, un processo di integrazione a valle di un’acquisizione o fusione, un processo di riorganizzazione di uno stabilimento, il riorientamento di una rete di vendita ecc. A fronte di progetti complessi on demand che coinvolgono più persone disperse sul territorio la risposta più con-veniente può consistere nel combinare (ri-mediare) in maniera sinergica metodi con differenti punti di forza e di debolezza come: attività d’aula “tradizionale” e con metodi attivi, comunicazione interna, outdoor e indoor, teleconferenze, moduli di e-learning, social media, il knowledge management ecc. La gestione di progetti di questo tipo comporta un team di specialisti facente capo a un project leader e composto da pluralità di ruoli e competenze di back office (content provider, pedagogisti, tecnici ecc.) e di front office (docenti, coacher, tutor, operatori desk, tecnici ecc.).

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Per altro verso l’esigenza di contemperare le aspirazioni di sviluppo indivi-duale con quelle dell’organizzazione in una prospettiva di valorizzazione del capitale umano porta la formazione a confrontarsi con lo strumento del “Deve-lopment Center”, basato sull’integrazione della valutazione tecnica e comporta-mentale (spesso assistita dall’ICT) con le politiche e gli strumenti dello svilup-po. Sia nell’ambito della formazione integrata on demand, sia nelle politiche di sviluppo fondate sui “Development Center” tendono poi ad acquisire sempre maggiore spazio le attività di coaching individuale e di gruppo nonché quelle di tutoring e di mentoring. Si giunge in questo modo a una sorta di “superblen-ding” fra comunicazione, attività d’aula, experiential learning, e-learning, social media, integrazione con i sistemi HR e assistenza e supporto personalizzato.

Entro questo scenario non c’è più un unico soggetto interessato alle attività di formazione. Sono presenti invece molti stakeholder che sviluppano una dia-lettica “push and pull”: la Direzione Human Resource, il Marketing, la R&S, la Linea (le divisioni, le aree geografiche, le unità produttive e di progettazione ecc.) e last but not least le aspirazioni e le possibilità di crescita di competenze espresse dagli individui. In questo contesto assume particolare peso il ruolo della “corporate university” intesa come configurazione caratterizzata non solo da un legame forte con le strategie di cambiamento, la cultura, il know how distintivo e i processi dell’organizzazione madre, ma anche capace di operare secondo una filosofia client driven e di promuovere l’innovazione in partner-ship con il mondo accademico. Certo è che in questa fase la formazione non ha più un ruolo accessorio e si configura come una componente determinante della creazione del valore aziendale.

La formazione dall’aula a oltre l’aula e la struttura della nuova edizione del libroLe caratteristiche salienti delle fasi di formazione “in aula”, “fuori dall’aula” e “oltre l’aula” sviluppate nel corso dei precedenti paragrafi sono schematizzate in Tabella 1.

I saggi contenuti nel volume costituiscono una testimonianza della ricchezza e della vivacità del dibattito in corso fra addetti ai lavori e stakeholder della formazione e forniscono una fotografia impressionistica e suggestiva della fase attuale in cui la formazione cerca, sia pure in presenza di tensioni e ambi-guità, di trovare una nuova identità andando definitivamente “oltre l’aula”; troviamo infatti temi di frontiera, come per esempio la formazione design-driven, accanto a temi ormai “classici” come insegnare la leadership, problemi da sempre controversi e complessi, come il ROI della formazione, accanto a esperienze ormai consolidate e istituzionalizzate come il coaching e il men-toring, temi di scottante attualità come formare per l’internazionalizzazione, accanto a temi “evergreen” come l’outdoor e il teatro. Ovviamente un grande

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spazio è dedicato all’impatto delle nuove tecnologie, in particolare di quelle Web 2.0 centrate su social media riguardo alle possibilità che dischiudono in campo formativo.

La nuova edizione del volume risulta organizzata in sei parti: le prime quattro percorrono le più significative categorie di metodi emergenti in campo forma-tivo, la quinta analizza le principali tendenze rispetto ai metodi di valutazione degli interventi formativi mentre l’ultima tratta dell’evoluzione delle strutture della formazione.

Più in dettaglio, le parti che trattano i metodi della formazione fanno riferi-mento ad alcune grandi categorie, considerate particolarmente significative dai curatori: la formazione one to one, la formazione per l’innovazione, le contami-nazioni formative e la comunicazione-formazione.

La formazione “one to one” rappresenta un filone ormai stabilmente inserito nelle pratiche della formazione destinata soprattutto ai manager; si riferisce alle modalità di costruzione, in ambito formativo, di una relazione di aiuto perso-nalizzata centrata su una persona o un gruppo, promuovendo nel contempo lo sviluppo dell’organizzazione avendo come particolare riferimento le sfide affrontate entro contesti operativi instabili nei quali contano molto le capacità d’intelligenza creativa, di autoregolazione, di mutuo aggiustamento e di coo-perazione attiva delle persone. Nell’ambito della formazione one to one Gian

Tabella 1 La formazione dall’aula a oltre l’aula

Dentro l’aula(l’altro ieri: anni Settan-ta e Ottanta)

Fuori dall'aula(ieri: anni Novantae primi anni Duemila)

Oltre l'aula(oggi/domani: dai primi anni Duemila e oltre)

Sfida Verso la formazione manageriale “pull”

Verso l’empowerment e la comu-nicazione

Verso la produzione di capitale intellettuale operativo e strategico

Metodologia Monopolio dell’aula: casi, esercizi, discus-sioni, business game ecc.

Concorrenza “fuori dall’aula” vs “aula”: outdoor, indoor, cinema, metafore, computer based training, comunicazione interna ecc.

Partnership/ri-mediazione “aula” e “fuori dal l’aula”: combinazione di diversi metodi: aula tradizionale, metodi attivi, outdoor ed indoor, e-learning, knowledge management, comunicazione interna, brand leadership ecc.

Ruoli operativi • Back office: pro-gettisti di eserci-zi, casi, incident, “lucidi”, teaching notes ecc.

• Front office: do-centi “attivi”

• Back office: progettisti di giochi, simulazioni, reperimento e mon-taggio di materiale “trasversale” (spezzoni cinematografici ecc.), costruzione software ecc.

• Front office: animatori/facilita-tori:

• Back office: account del team di pro-getto; ruoli specialistici; content provider, pedagogisti, tecnici ecc.

• Front office: docenti, coacher, tutor, ope-ratori desk, tecnici ecc.

Stakeholder Direzione Risorse Umane

Direzione Risorse UmaneDirezione Comunicazione

Direzione Risorse Umane, Marketing, R&S ecc.Linea Individui

Risultati attesi La formazione è uno strumento di inte-grazione e di sup-porto al sistema di carriere

La formazione è un “veicolo” per la flessibilità e una leva per l’alline-amento strategico delle risorse umane

La formazione è una componente fondamen-tale della creazione del valore

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Franco Goeta tratta dei più recenti sviluppi del coaching manageriale (execu-tive coaching) per lo sviluppo delle competenze che è divenuta ormai una pra-tica di formazione istituzionalizzata in moltissime aziende. Claudia Piccardo e Monica Reynaudo affrontano il tema di come insegnare la leadership attraverso il counselling individuale e di gruppo, mentre Alessia Rossi parla del coaching e del mentoring. A questo proposito risulta opportuno rilevare come il mento-ring rivesta attualmente e in prospettiva un particolare interesse nelle aziende che vivono la sfida di compresenza di personale appartenente a generazioni differenti in termini di anzianità aziendale e di età anagrafica, che debbono affrontare la sfida del trasferimento di conoscenze fra attori pertinenti a fasce eterogenee del generation mix.

La formazione per l’innovazione comprende sia le iniziative collegate ai processi di sviluppo di nuovi mercati, tecnologie e modelli organizzativi come pure i “gruppi creativi” orientati a costruire competenze trasversali e a conse-guire risultati sul piano dello sviluppo dei prodotti, dei servizi e dei processi organizzativi. Tutte queste attività, orientate congiuntamente sia allo sviluppo delle persone sia al miglioramento delle pratiche organizzative, si riferiscono in generale al concetto di formazione-azione, vale a dire a un processo educativo volto a dare risalto alla costruzione di significati condivisi e alla partecipazione attiva delle persone.

In questa prospettiva Francesco Paoletti e Luca Solari considerano i rap-porti intercorrenti fra knowledge management, formazione e innovazione. In-vece Francesco Zurlo e Cabirio Cautela considerano un particolare approccio di formazione per l’innovazione, quello design driven orientato a costruire la design mindfulness, vale a dire una consapevolezza specifica utile per leggere in profondità i contesti socio-tecnici traendone spunti e indicazioni adatti ai processi di miglioramento e di innovazione.

La formazione design driven ha particolari radici nel nostro Paese e ha come centro le comunità di progetto entro cui la creatività non è il prodotto delle caratteristiche degli individui singoli ma costituisce il frutto di un articolato processo di riflessione collettiva, capace di utilizzare le competenze e le espe-rienze accumulate nel tempo dai diversi partecipanti.

Sempre nella sezione dedicata alla formazione per l’innovazione troviamo il contributo di Cristina Bombelli relativo alla formazione collegata a un par-ticolare processo di innovazione, quello inerente lo sviluppo delle imprese sui mercati internazionali, tema particolarmente attuale nell’era della globalizza-zione. La finalità fondamentale della formazione per l’internazionalizzazione non è apprendere uno schema, ma contribuire a formare una “mente multi-culturale”, capace di auto-osservare il proprio punto di vista e di coglierne i limiti e le valenze per riuscire a interpretare i significati del complesso territorio organizzativo entro il quale ci si trova a giocare il proprio ruolo.

Praticare la “contaminazione formativa” significa sottolineare come la for-mazione sia soprattutto un luogo d’incontro e di scontro fra esperienze e saperi differenti. Questo secondo una metodologia di experiential learning“ che porta

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a riflettere i partecipanti sulle esperienze vissute confrontando il “mondo altro” con quello delle proprie pratiche quotidiane. In questo quadro Andrea Fontana approfondisce il tema dello “storytelling”, Sergio Capranico quelli dell’outdoor e del teatro con riguardo anche al fenomeno delle convention che si trova all’in-crocio fra comunicazione e formazione, e Claudio Cortese e Chiara Ghislieri il tema dell’impiego del cinema nella formazione che risulta oggi abilitato anche dalle risorse rese disponibili da YouTube.

La comunicazione-formazione comprende il complesso dei processi di ap-prendimento resi possibili dai mezzi d’informazione e di comunicazione digitali e interattivi, caratteristici della società della Rete. Quest’argomento viene svi-luppato da Cristiano Ghiringhelli e Adriano Solidoro, che sottolineano come nella fase attuale di sviluppo di Internet convivano nelle organizzazioni almeno tre modelli differenti di e-learning: il blended e-learning, il blended social e-le-arning e il social media e-learning. Il blended e-learning prefigura un apprendi-mento in prevalenza formale che ha luogo in un setting formativo chiaramente distinto da quello lavorativo. Questo modello risulta particolarmente efficace quando si intendono sviluppare competenze in aree sufficientemente consoli-date. Nel blended social e-learning i social media sono impiegati allo scopo di estendere la portata di eventi formativi in modalità d’aula, in e-learning e in altre modalità formative. Qui la funzione assegnata ai social media nel modello è produrre un’ulteriore dimensione collaborativa e di condivisione alle moda-lità di formazione in e-learning, facilitando anche la comunicazione e l’appren-dimento una volta che il momento formativo formale sia terminato. Il social media e-learning è invece di tipo informale ed esplorativo, per cui progettare il sistema formativo significa costituire un ambiente per la partecipazione e la collaborazione intorno a contenuti e fabbisogni formativi che emergono dalle sfide contingenti che i partecipanti rilevano durante l’attività professionale.

Riguardo ai rapporti fra formazione e comunicazione, Barbara Quacquarelli e Alessandra Lazazzara sottolineano l’idea di porosità dei confini organizzativi per rilevare la crescente diffusione e il maggiore fabbisogno di processi formati-vi che prendono spunto dal brand inteso come veicolo della cultura, dei valori e dei significati facenti capo all’ identità organizzativa aziendale. In altri termini, un brand, per potere rappresentare una promessa credibile verso i clienti, deve essere anche interiorizzato dai dipendenti e non solo comunicato all’esterno. Quest’approccio integrato fa sì che la formazione aziendale finisca per intrec-ciarsi con modalità una volta impiegate solo nella comunicazione di marketing e nelle pubbliche relazioni.

Si passa poi a trattare il tema della valutazione degli interventi formativi. È questo un argomento che assume via via maggiore importanza in un’economia come quella attuale nella quale contano sempre di più le attività intangibili e gli investimenti in capitale intellettuale che hanno ormai acquisito la dignità di componente della catena del valore delle aziende e delle istituzioni. In questa parte Fulvio Carmagnola affronta il tema del valore della formazione, Luca

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Quaratino quello della valutazione “qualitativa” dei progetti formativi, Anto-nio Martelli quello del ROI della formazione.

L’ultima parte del libro intende fornire un contributo per rispondere alla domanda: verso quale modello di struttura evolvono i sistemi della formazione nell’era postindustriale nella quale la formazione è considerata sempre meno un costo e sempre più un investimento in capitale intellettuale e una compo-nente fondamentale della creazione del valore aziendale? A questa questione è dedicato il contributo di Giorgio Ghezzi e Daniele Boldizzoni sull’evoluzione della corporate university, una forma organizzativa adottata soprattutto dalle aziende eccellenti, che sembra in grado di rispondere efficacemente sia al tema del presidio formativo dell’employement sia a quello dell’employability, andan-do incontro contemporaneamente alle necessità di garantire la flessibilità delle strutture, le capacità di innovazione e lo sviluppo di nuove competenze. Sem-pre in questa sezione del libro Luigi Serio e Luca Quaratino trattano invece il tema dell’integrazione fra sistemi formativi aziendali e sistemi istituzionali, avendo particolare attenzione allo sviluppo dei fondi interprofessionali. È que-sta un’area di riflessione sempre più decisiva per garantire un flusso continuo e consistente di risorse necessarie per lo sviluppo del capitale umano in un’eco-nomia sempre più basata sulla conoscenza e con riferimento al “sistema Italia” che si fonda estesamente su un tessuto di piccole e medie imprese.

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