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XII Conferenza Nazionale di Bioetica per le Scuole ITALIA DEI VELENI QUALE CURA? I.S.I.S.S.“Amaldi-Nevio” S. Maria C. V. (CE) LICEO SCIENTIFICO Scienze applicate Classe V Sez. F - a.s. 2015/16 DIRIGENTE SCOLASTICA: Prof.ssa Rosaria Bernabei REFERENTE: Prof.ssa Anna Maria Esposito

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I.S.I.S.S. “Amaldi-Nevio” S.Maria C.V.(CE)- Liceo Scientifico- Scienze Applicate - Classe V Sez. F- a.s. 2015/16

XII Conferenza Nazionale di Bioetica per le Scuole

ITALIA DEI VELENI

QUALE CURA?

I.S.I.S.S.“Amaldi-Nevio”

S. Maria C. V. (CE)

LICEO SCIENTIFICO – Scienze applicate Classe V Sez. F - a.s. 2015/16

DIRIGENTE SCOLASTICA: Prof.ssa Rosaria Bernabei

REFERENTE: Prof.ssa Anna Maria Esposito

I.S.I.S.S. “Amaldi-Nevio” S.Maria C.V.(CE)- Liceo Scientifico- Scienze Applicate - Classe V Sez. F- a.s. 2015/16

La partecipazione alla XII Conferenza Nazionale di Bioetica per la scuola “Prendersi cura -

Paradigmi bioetici” è stata un’esperienza formativa culturale ed umana, che ha permesso ai

partecipanti di riflettere su problematiche scientifiche, situazioni umane delicate, orizzonti valoriali

significativi e profondi. Nelle due giornate di lavoro gli alunni, provenienti da diverse regioni

d’Italia, hanno avuto la possibilità di dialogare e di confrontarsi con ricercatori ed esperti “cogliendo”

le diverse posizioni nel dibattito bioetico. L’ “I.S.I.S.S. Amaldi-Nevio”, unico Istituto della

Campania a partecipare all’evento, è stato ben rappresentato dai due allievi della V F (Liceo

Scientifico-Scienze applicate) Ferraro Sofia Maria e D’Addio Matteo. I discenti, davanti ad una vasta

platea eterogenea e culturalmente diversificata, hanno presentato il lavoro “Italia dei veleni- Quale

cura?”, frutto di un approfondimento svolto in classe, dimostrando padronanza dell’argomento. La

relazione è stata apprezzata in modo particolare dalla dott.ssa Miroslava Vasinova (Presidente del

Centro Europeo di Bioetica e Qualità della Vita e Direttore della Unità Italiana della Cattedra di

Bioetica dell’UNESCO), che personalmente si è complimentata con i ragazzi. Questa occasione di

confronto è stata possibile grazie all’attenzione ed alla lungimiranza della dirigente scolastica

prof.ssa Rosaria Bernabei, che è sempre disponibile a supportare e ad attuare tutto ciò che può

rendere gli alunni responsabilmente partecipi della realtà in cui vivono.

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INDICE

Prefazione……………………………………………………………………………………. pag.1

Introduzione…………………………………………………………………………………..pag.2

Taranto, terra di acciaio e carbone………………….............................................................pag.3

La Terra dei Fuochi…………………………………………………………………………..pag.5

Bomba ecologica a Casale Monferrato……………………………………………………...pag.7

Stoppani, un incubo al cromo………………………………………………………………..pag.9

Siti di interesse nazionale…………………………………………………………………..pag.11

Riflessioni finali……………………………………….............................................................pag.14

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PREFAZIONE

La relazione è il risultato di un approfondimento e di una riflessione in classe, nelle ore di chimica,

biologia e biotecnologie, su temi reali e “caldi, che sono al centro del dibattito etico contemporaneo:

valutazione delle cause dell’inquinamento in Italia, che influiscono sugli ecosistemi e sulla salute

della popolazione attuale e delle generazioni future, e sulle possibili “cure”. Dopo una disamina di

alcuni progetti e rapporti sull’inquinamento nel nostro Paese, ed una analisi dei siti di interesse

nazionale, gli allievi hanno preferito focalizzare l’attenzione solo su alcuni luoghi emblematici

(Taranto, Terra dei fuochi, Casale Monferrato, Cogoleto). Tenuto presente che la scuola rappresenta

un ambiente particolarmente significativo, in cui i giovani costruiscono la propria identità culturale e

personale, l’approccio metodologico è stato interdisciplinare ed ha favorito liberi confronti, che

sono essenziali per la crescita degli studenti come persone e futuri cittadini consapevoli e

partecipativi.

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INTRODUZIONE

In Europa il nostro Paese vanta il triste primato

delle morti premature dovute ad

inquinamento atmosferico. Questo è quanto

emerso dal rapporto VIIAS (Valutazione

Integrata dell’Impatto dell’Inquinamento

atmosferico sull’Ambiente e sulla Salute),

presentato il 4 giugno 2015 al Ministero della

Salute. Alcuni risultati rilevanti del progetto

hanno evidenziato che il 29% della popolazione

italiana vive attualmente in luoghi dove la

concentrazione degli inquinanti è costantemente

sopra la soglia di legge e che, ogni anno, sono

circa 30mila i decessi solo per il particolato fine

(PM2.5). A questi si devono aggiungere le morti

per tutte le altre forme di avvelenamento dell’ambiente. Indubbiamente, nel corso dei decenni,

l’evoluzione industriale e consumistica nel nostro Paese ha determinato lo sfruttamento

generalizzato delle risorse naturali, l’utilizzo indiscriminato di agenti chimici e inquinanti e l’uso di

sistemi di produzione insostenibili. Tumori alla pleura nei siti di estrazione e di lavorazione

dell’amianto, (Casale Monferrato, Massa Carrara, litorale vesuviano), tumori al polmone e malattie

respiratorie gravi nelle vicinanze delle raffinerie (Porto Torres e Gela), delle acciaierie

(Taranto), delle miniere (Sulcis-Iglesiente) e dei poli chimici (Porto Marghera), decessi per

insufficienza renale e altre malattie del sistema urinario, causati dalle emissioni di metalli pesanti,

composti alogenati e idrocarburi da vari stabilimenti (Piombino, Orbetello), incrementi di malattie

neurologiche dovute alle emissioni di piombo, mercurio e solventi organoalogenati (Laguna di

Grado-Marano e zona Nord di Trento), sono solo alcuni esempi delle conseguenze della crisi

ecologica in Italia.

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TARANTO, TERRA DI ACCIAIO E CARBONE

Il polo siderurgico di Taranto, stabilimento più

importante d’Europa del comparto, che fu

costruito nel 1961 a ridosso di due popolosi

quartieri, quando l’allora Italsider era

un’azienda pubblica, è figlio di una concezione

industriale radicata in quell’epoca, che ha

sempre messo al centro la produzione e le

ricadute economiche della stessa, senza

considerare, se non marginalmente, la tutela

dei lavoratori, la salubrità dell’ambiente, le

ricadute sulla salute dei cittadini. La

progettazione, la realizzazione e la successiva

gestione dell’impianto furono operate in

assenza di particolari accorgimenti per la mitigazione degli impatti ambientali e sanitari e per molto

tempo non fu eseguita alcuna attività di monitoraggio e controllo delle emissioni in atmosfera. Nel

1995 al momento della privatizzazione, nonostante la dichiarazione di stato di crisi ambientale per

del 1990, le questioni erano tutte ampiamente aperte e rimasero inalterate fino ai primi anni del

nuovo millennio. Nel 2010, secondo le perizie del tribunale e le dichiarazioni dell’Ilva, furono

immesse nell’ambiente circostante 4.159 tonnellate di polveri, 11 mila di diossido d’azoto e anidride

solforosa, tantissima anidride carbonica e quantità di arsenico, cromo, cadmio, nichel, diossine,

piombo e molti altri materiali. E’ evidente che le criticità di oggi in termini ambientali, sanitari e di

occupazione sono l’effetto di una cronicizzazione di mali del passato. L’Ilva sono anni che inquina e

certamente l’azione, scattata il 26 luglio 2012 con il sequestro dell’«area a caldo» dello stabilimento,

e proseguita il 26 novembre con quello delle «aree a freddo», è arrivata con grande ritardo.

Secondo l’inchiesta, l’azienda ha disperso «sostanze nocive nell’ambiente» provocando «malattia e

morte». Pur conoscendo gli effetti delle emissioni, si è continuato a inquinare «con coscienza e

volontà per la logica del profitto». Per questo sono state ipotizzate le accuse di disastro colposo,

disastro doloso, avvelenamento di sostanze alimentari,

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omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro, danneggiamento aggravato di beni

pubblici, getto e sversamento di sostanze pericolose e inquinamento atmosferico. I periti nominati

dalla Procura di Taranto hanno riscontrato che le concentrazioni degli agenti inquinanti e la

proporzione di decessi e malattie è altissima nei quartieri Tamburi e Borgo, quelli più vicini alla zona

industriale. Inoltre, hanno calcolato in sette anni un totale di 11.550 morti causati dalle emissioni,

soprattutto per cause cardiovascolari e respiratorie, e circa 27.000 ricoveri per cause cardiache,

respiratorie e cerebrovascolari. Oggigiorno a Taranto si muore più che nel resto d'Italia per

cancro. La diossina, sprigionata dalla fabbrica, ha avvelenato l'aria, i terreni e le acque circostanti

facendo aumentare la mortalità infantile (+21% rispetto alla media regionale) e le malattie tumorali

nella fascia da 0 a 14 anni (secondo quanto riportato da uno studio dell'Istituto Superiore di Sanità) ed

è arrivata a contaminare anche il latte e i mitili. Anche l’amianto inalato, con le sue fibre a forma di

“aghi” di centesimi di micron, si concentra nei bronchi, negli alveoli polmonari e nella pleura

“trafiggendo” le mucose e provocando danni irreversibili ai tessuti. Nelle perizie, infine, viene

documentato un aumentato rischio di morte per cause cardiovascolari e respiratorie e per cancro

polmonare, in seguito all’esposizione nel corso della vita della componente particolata

dell’inquinamento atmosferico.

E’possibile produrre acciaio in modo meno «sporco»?

Sì: alcune acciaierie in Germania generano emissioni inferiori del 70-90% rispetto all’Ilva.

Ovviamente, servono investimenti ingentissimi per adottare tecnologie «pulite». In questi ultimi anni

il Governo regionale della Puglia ha sempre investito sulla scommessa di riuscire a coniugare

diritto al lavoro e diritto alla salute, ma ancora oggi la bonifica dell’ambiente tarantino non ha alcuna

certezza nei tempi di realizzazione.

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LA TERRA DEI FUOCHI

Il termine “Terra dei fuochi” compare per la

prima volta 12 anni fa in un capitolo del

Rapporto Ecomafia 2003 di Legambiente.

Oggi è comunemente utilizzato per indicare

un'area campana che si estende a nord di

Napoli e a sud di Caserta, interessato dal

fenomeno delle discariche abusive e/o

dell'abbandono incontrollato di rifiuti urbani

e speciali, associato, spesso, alla

combustione degli stessi. Il problema della

Terra dei fuochi si inserisce in un contesto

più ampio, che ha avuto inizio negli anni ’60

del boom economico, quando nel nostro

Paese “fiorirono” numerose industrie per lo più concentrate nel centro-nord. Negli anni ’80 una parte

consistente dei rifiuti tossici e talvolta radioattivi venne smaltita irregolarmente ed occultata in paesi

del terzo mondo. Nel 1988 la scoperta a Port Koko, in Nigeria, di un cimitero di scorie tossiche

provenienti dalle industrie italiane portò i due paesi sull’orlo di una crisi diplomatica. La

sopravvenuta impossibilità di continuare ad occultare nei paesi più poveri ingenti quantità di rifiuti,

finì per spingere nelle braccia della camorra alcuni imprenditori e amministratori pubblici che, pur di

liberarsi della ingombrante presenza di migliaia di tonnellate di rifiuti, finsero di ignorare la loro

destinazione finale. In circa 30 anni oltre 410mila camion carichi di veleni attraversarono mezza

Italia terminando il loro tragitto nelle campagne del napoletano e nelle discariche abusive del

casertano. Ad oggi, sono 64 le discariche tombate di rifiuti pericolosi e tossici individuate nella Terra

dei Fuochi. In undici di queste si è già scavato e sono stati cinque milioni e mezzo i metri cubi di

spazzatura scovati. In alcuni casi si è scavato fino a 24 metri di profondità. Si può ipotizzare che

quando il lavoro sarà portato a termine si arriverà a quota trenta milioni di metri cubi di rifiuti. A ciò

si aggiunge, poi, anche il fenomeno dei roghi. Nel 2014, secondo il monitoraggio degli incendi,

curato dai Vigili del fuoco, sono stati censiti

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complessivamente 2.531 roghi di rifiuti, materiali plastici, scarti di lavorazione del pellame e di

stracci: un dato elevato e preoccupante, anche se in diminuzione rispetto al 2012. Nel corso degli

anni, nella popolazione residente nei comuni della Terra dei Fuochi, si è riscontrato un aumento di

mortalità e di ospedalizzazione per diverse patologie tumorali e aumenti di bambini ricoverati nel

primo anno di vita per tutti i tumori e di neoplasie al sistema nervoso centrale nella fascia di età 0-14

anni. Gli esperti dell’Istituto Nazionale Tumori "Fondazione Pascale" di Napoli hanno effettuato uno

studio per valutare questi aumenti di mortalità oncologica. Dalle indagini, senza ombra di dubbio, si

è riscontrato un incremento dei decessi per cancro, ma ancora non è stato provato se questo

sia dovuto effettivamente all’inquinamento ambientale, ai roghi di rifiuti e agli sversamenti

abusivi . Occorre procedere con altri lavori scientifici per dimostrare o smentire questa ipotesi. Lo

studio eseguito dall'Istituto zooprofilattico sperimentale del Mezzogiorno su acqua, aria e suoli della

Terra dei fuochi e della Campania, presentato a Expo, ha evidenziato che non è stato trovato nulla di

realmente preoccupante e che il 97 per cento della Campania è sano e incontaminato. Le analisi

hanno interessato 4400 campioni di suoli, 659 campioni di acqua utilizzata per l'agricoltura, 1654

campioni di animali e 2942 campioni tra prodotti ortofrutticoli ed erba spontanea. L'ultima parte del

piano di monitoraggio è relativa all'aria ed è ancora in corso.

Si spera che gli studi e le analisi vengano completati al più presto per essere certi delle cause

dell’aumento anomalo delle malattie tumorali. Per il bene della salute dei cittadini e per il bene del

territorio è auspicabile, inoltre, la condivisione di informazioni tra istituzioni, enti locali e

associazioni che tutelano l’ambiente, affinché la Terra dei fuochi possa tornare ad essere di nuovo

"Terra felix": terra felice.

“Questa regione è così felice, così deliziosa, così fortunata, che vi si riconosce evidente

l’opera prediletta della natura. Quest’aria vitale, la perpetua mitezza del cielo, la campagna così

fertile, i colli solatii, le foreste sicure, le montagne perdute fra le nubi, l’abbondanza di viti e di

ulivi… e tanti laghi, e dovizia di acque irrigue e di fonti, tanti mari e tanti porti! Una terra da ogni

parte aperta ai commerci e che, quasi per incoraggiare gli umani, stende le sue braccia nel mare.”

Descrizione della Campania di Plinio il Vecchio ( I secolo d.c.)

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BOMBA ECOLOGICA A CASALE MONFERRATO

L'Eternit di Casale Monferrato rappresentò il più grande

stabilimento di manufatti in cemento-amianto d'Europa.

L'insediamento produttivo si estendeva su di un'area di

circa 94.000 mq di cui circa 50.000 erano coperti con

lastre di fibrocemento. L'attività produttiva ebbe inizio

nel 1907 e cessò nel giugno 1986. La produzione

iniziale si concentrò soprattutto sugli elementi di

copertura, ma già nel 1912 furono prodotti i primi tubi

a pressione in cemento-amianto, largamente utilizzati

negli anni seguenti per la costruzione della rete idrica.

Verso la fine degli anni '70 incominciò a diffondersi la convinzione che l'attività lavorativa alla Ditta

Eternit fosse responsabile di patologie professionali. In quel periodo, inoltre, si cominciò a registrare

nel reparto di Medicina dell'Ospedale di Casale Monferrato un significativo incremento di morti

per mesotelioma anche in soggetti non esposti professionalmente all’amianto. Cominciarono, così, le

prime indagini epidemiologiche e si capì che l'amianto era presente nell'ambiente casalese in quantità

considerevole. Negli anni successivi il numero di addetti diminuì progressivamente fino alla chiusura

dello stabilimento. Da allora la città perse definitivamente il ruolo di capitale del cemento-amianto

per assumere quello di città a rischio. Si scoprì, poi, che una fonte di inquinamento era determinata

anche dagli scarichi liquidi della lavorazione e della pulitura delle macchine, che attraverso un canale

raggiungevano le acque del fiume Po: per 80 anni il defluire delle acque inquinate da amianto e

cemento creò un "delta", una vera e propria spiaggia contaminata che si estendeva per 60/70 m lungo

il fiume, vicino allo Stabilimento Eternit. Nel 1986 un altro grave evento segnò Casale: l'uso

alimentare dell' acqua erogata dall' acquedotto civico fu vietato per l’inquinamento da parte di una

discarica di prodotti chimici tossici,sorta abusivamente in un campo vicino ai sette pozzi che

alimentavano l' acquedotto. Nel 1998 gli impianti Eternit furono inseriti nel programma nazionale di

bonifica le cui attività iniziarono nel 2000 e si conclusero nel 2006. Sino al 2008 furono

rilevati oltre 1200 casi di

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mesotelioma pleurico: tanti se si considera che la città di Casale Monferrato conta 37.000 abitanti e

che tra i 47 Comuni del territorio, la maggioranza non raggiunge i 3.000. Nel 2015 sono stati

destinati diversi milioni di euro contro l'emergenza amianto, previsto nella Legge di Stabilità, per

accelerare l'attività di bonifica. Queste risorse sono il segnale della solidarietà concreta a comunità

che hanno vissuto e stanno vivendo le conseguenze di un inquinamento grave e pericoloso. La

strada verso una definitiva scomparsa dell’amianto nel comune di Casale Monferrato e comuni

limitrofi è, però, ancora lunga. Il percorso intrapreso ha portato, fino ad oggi, risultati molto

importanti per il risanamento e il rilancio della città, ma restano in cantiere ancora molti interventi.

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STOPPANI, UN INCUBO AL CROMO

La Luigi Stoppani SpA, era una

azienda chimica fondata nei primi anni del

Novecento da un importante industriale

milanese. L’area a terra comprendeva lo

stabilimento, ricadente nel comune di

Cogoleto (cittadina ad ovest di Genova), che

fin dagli anni ’40 produsse bicromato e

derivati del cloro. Le aree di stoccaggio

materiale e le infrastrutture di servizio

all’impianto principale ricadevano, invece, nel

comune di Arenzano. Per necessità logistiche

venne deviato l’alveo del torrente Lerone (su cui poggiava lo stabilimento) e, per collegare le due

aree, venne realizzato un ponte sopra il nuovo tratto del torrente stesso. Il disastro ambientale

cominciò negli anni quaranta, quando lo stabilimento chimico iniziò a sversare nell’ambiente

circostante i residui delle lavorazioni. I materiali contenenti quantitativi di cromo esavalente,

sostanza altamente tossica e cancerogena, vennero accumulati in grandi quantità nell’area di Pian

Masino e nell’area ex cava Molinetto. Nel Giugno 1983 il Ministro della Marina Mercantile firmò il

Decreto con cui autorizzava la fabbrica di Cogoleto a scaricare i fanghi al cromo (70.000 tonnellate

all'anno) in mare, nell’area che serviva per la costruzione del porto di Voltri. Il Decreto si basava sui

risultati di una relazione tecnica dell'Irrsa-Cnr. Nel Settembre 1983 la Stoppani iniziò lo scarico dei

rifiuti in mare. Queste pratiche proseguirono (tra querele, proteste, divieti di balneazione sugli 800

metri di spiaggia antistanti la fabbrica, analisi sulla presenza di cromo, cadmio e mercurio nel mare di

Arenzano e Cogoleto, ripetuti vertici a Genova e a Roma ) fino al 1986, quando venne emanato il

provvedimento con cui si vietava definitivamente lo scarico in mare dei rifiuti tossici e nocivi. Lo

sversamento dei materiali contaminati avvenne anche attraverso il corso del fiume Lerone. Nel 1987

analisi ripetute sul contenuto di metalli pesanti e cromo negli organismi marini vegetali e animali

rilevarono una presenza allarmante di sostanze tossiche. Per diversi periodi, successivamente,

furono vietati la raccolta d i mitili, la pesca e la

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balneazione e si indagò sulle morti in fabbrica. Tra processi per inquinamento, referendum

consultivo, riapertura del forno 70 con l’ impegno da parte della Stoppani di dismettere entro dieci

anni la produzione di bicromati e a effettuare bonifiche ambientali, si arrivò al febbraio 2000, quando

la relazione n°14651/1483 della Provincia rivelò che le acque freatiche della zona dello stabilimento

erano inquinate a livelli fino a 64.000 volte il valore massimo consentito dalla legge. Dalle analisi

condotte dall'Arpal nell'estate 2000 si evidenziò, anche, che il cromo aveva raggiunto le spiagge

di Varazze ed era presente in quantità superiori di tre volte ai limiti di legge consentite per l'uso

industriale e quasi venti volte maggiori del limite consentito per l'uso civile nella sabbia, su cui si

sdraiavano migliaia di bagnanti ogni estate. Alcuni politici, invece, arrivarono a sostenere la tesi che

erano le rocce della Liguria ad avere un elevato contenuto di cromo…. Nell’ottobre del 2001

emersero altri importanti dati Arpal: circa 50 Km di costa ligure risultarono inquinate dal cromo.

Intanto la Stoppani continuò la sua attività, anche se in maniera discontinua. Nel 2006, dopo tre anni

dal cessato funzionamento, il Governo nominò un commissario straordinario per gestire l’emergenza

e la messa in sicurezza del Sito di Interesse Nazionale (SIN) e avviare la lunga bonifica del territorio.

Il 14 gennaio 2013 fu approvato un decreto legge di proroga dell’emergenza, allo scadere del quale

(31 dicembre 2014) il Prefetto, in qualità di Commissario delegato, continuò ad operare in regime di

prorogatio, onde garantire, senza soluzione di continuità, gli interventi di messa in sicurezza di

emergenza del sito a tutela della salute e della incolumità pubblica.

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SITI DI INTERESSE NAZIONALE

Siti di Interesse Nazionale della legge 426/1998

Venezia (Porto Marghera)

Gela

Priolo

Manfredonia

Brindisi

Taranto

Piombino

Casale Monferrato

Pieve Vergonte

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Siti di Interesse Nazionale della legge 388/2000 5.10.

Pioltello – Rodano

Napoli Bagnoli – Coroglio

Siti di Interesse Nazionale del D.M. 468/2001

Tito

Crotone – Cassano – Cerchiara

Laguna di Grado e Marano

Cogoleto

Biancavilla

Terni

Siti di Interesse Nazionale della legge 179/2002

Brescia

Broni

Falconara Marittima

Porto Torres

Val Basento

Siti di Interesse Nazionale della legge 266/2005

Milazzo

Siti di Interesse Nazionale del D.M. Ambiente 28/05/2008

Bussi sul Tirino

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Siti di Interesse Nazionale della legge 426/1998 divenuti di competenza regionale

Litorale Domitio Flegreo

“Terra dei Fuochi”

Pitelli

Siti di Interesse Nazionale della legge 248/2005 divenuti di competenza regionale

Bacino del Fiume Sacco

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RIFLESSIONI FINALI

Nel lontano 1970 Papa Paolo VI affermò che «il peggioramento progressivo di ciò che si è convenuto

chiamare l’”ecosistema” rischia, sotto l’effetto di contraccolpi della civiltà industriale, di condurre

a una vera catastrofe ecologica. Noi vediamo già viziarsi l’aria che respiriamo, inquinarsi l’acqua

che beviamo, contaminarsi le spiagge, i laghi, anche gli oceani, sino a far temere una vera “morte

biologica” in un avvenire non lontano, se non saranno coraggiosamente decise e severamente

applicate, senza ritardi, energiche misure». Nel 1987 la presidente della Commissione mondiale

sull'ambiente e lo sviluppo Brundtland, affermò che « l’umanità ha la possibilità di rendere

sostenibile lo sviluppo, cioè di far sì che esso soddisfi i bisogni delle generazioni presenti senza

compromettere la possibilità di soddisfacimento dei bisogni di quelle future».

Un dato di fatto è che la “catastrofe” preannunciata è in atto. In Italia centomila ettari di territorio

sono avvelenati da rifiuti di ogni tipo, numerosi sono i siti di interesse nazionali e regionali da

bonificare e molto gravi sono i danni alla salute di coloro che vivono vicino alle aree contaminate.

La crisi ecologica è la conseguenza di un sistema economico di produzione e di consumi

insostenibile, che per decenni ha danneggiato in modo pesante il nostro Paese per la logica del

profitto, grazie anche ad amministratori pubblici poco attenti e responsabili. La crisi è arrivata ad un

punto tale da far rischiare gravemente la salute alle nuove generazioni. La maggiore influenza

dell'ambiente sui bambini è dovuta al fatto che, a parità di peso, essi introducono maggiori quantità di

aria, acqua e cibo rispetto ad un adulto, i meccanismi di detossificazione non sono ancora completi e

la sensibilità di organi ed apparati, non ancora completamente formati, è maggiore rispetto al

momento della loro completa maturità. Nel 2004 il commissario europeo responsabile per

l’Ambiente, Margot Wallström, affermò che “I bambini hanno il diritto di vivere e di crescere in un

ambiente salubre. Sono invece spesso i primi a pagare il prezzo del degrado ambientale. È’ dovere di

tutti noi – a livello locale, nazionale ed internazionale – salvaguardare meglio il benessere dei nostri

figli”. In questa ottica la crisi ambientale deve essere intesa una sfida morale. Ma quale cura può

garantire un ripristino di quelle condizioni, che sono alla base del nostro benessere e delle nuove

generazioni?

Sarebbero opportuni

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- una comunicazione ambientale, o meglio, un’informazione su questioni ambientali, che come

presa di coscienza collettiva diventi un elemento costitutivo dei diritti di cittadinanza;

- un dibattito costante tra istituzioni, cittadini e associazioni che tutelano l’ambiente;

- uno studio epidemiologico veritiero, specialmente dei bambini che vivono nelle aree

compromesse;

- un controllo più accurato dei prodotti e delle aree inquinate;

- una mitigazione dei danni e dei rischi delle aree contaminate, mediante bonifiche e messa in

sicurezza in tempi brevi.

È giunto il momento della responsabilità. E’ necessario pianificare a livello nazionale e regionale la

salvaguardia dell'ambiente, ponendo la salute al centro di tutte le politiche ed attuare interventi e

strategie per limitare i danni alle generazioni future. E’ questa una sfida morale che impegna tutti.

“Agisci in modo che le conseguenze della tua azione siano compatibili con la sopravvivenza delle

generazioni future” (Hans Jonas)

Bibliografia

I.S.I.S.S. “Amaldi-Nevio” S.Maria C.V.(CE)- Liceo Scientifico- Scienze Applicate - Classe V Sez. F- a.s. 2015/16

1-D. AMIRANTE, Diritto ambientale italiano e comparato.Principi, ed. Jovene,2003.

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