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Islamismo in Algeria. Dal Gruppo Islamico Armato (GIA) al Gruppo Salafita per la Predicazione ed il Combattimento (GSPC). Scenario attuale e prospettive. di Anna La Rosa 2008

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  • Islamismo in Algeria. Dal Gruppo Islamico Armato (GIA) al Gruppo Salafita per la Predicazione ed il Combattimento (GSPC). Scenario attuale e prospettive.

    di Anna La Rosa

    2008

  • - 2 -

    INDICE

    - PREFAZIONE……………………………………………………3

    1. L’ISLAMISMO – DA RELIGIONE AD IDEOLOGIA POLITICA......8 1.1 DIN E DAWLA: RELIGIONE E STATO, UN UNICO POTERE.......................8 1.2 "HOMO ISLAMICUS" : RAPPRESENTAZIONE, IDENTITÀ E PERCORSI CULTURALI. ......................................................................................9 1.3 ISLAM E ISLAMISMO: MUSLIMUN E ISLAMIYYUN. DEFINIZIONI POSSIBILI.....................................................................................................15 1.4 RITRATTO DI UN ISLAMISTA..........................................................23

    2. IL NAZIONALISMO ALGERINO .............................................27 2.1 INTRODUZIONE: LE MATRICI DELL’IDENTITÀ CULTURALE ALGERINA. ....27 2.2 CENNI SULL’ ISLAMIZZAZIONE DELL’AFRICA DEL NORD. ...................31 2.3 IL RUOLO DELL’ISLAM NELLA GUERRA DI LIBERAZIONE NAZIONALE .....33 2.4 IL COLONIALISMO E LA GUERRA DI LIBERAZIONE NAZIONALE: IL RUOLO DELL’ISLAM E LA GENESI DEL NAZIONALISMO. ......................................35

    2.4.1 La dominazione coloniale.................................................. 35 2.4.2 L’Islam dei primi patrioti. .................................................. 37 2.4.3 La resistenza delle campagne. Una società traumatizzata. 40 2.4.4 Un nazionalismo poliedrico. .............................................. 44 2.4.5 Gli Ulama d’Algeria e il loro contributo al processo di identità nazionale. ......................................................................... 49

    3. IL FENOMENO DELL’ISLAMISMO NELL’ALGERIA CONTEMPORANEA. .................................................................55

    INTRODUZIONE. ..............................................................................55 3.1 L’Islam nelle Costituzioni algerine....................................... 58 3.2 Le responsabilità dello Stato. .................................................. 62 3.3 L’islamismo algerino prima del 1988. L’Associazione Al-Qyam Al-Islamyya. .................................................................................. 66 3.4 Cronologia della crisi ........................................................... 71 2.4.6 Introduzione. Una data cruciale: 4 ottobre 1988, l’esplosione della crisi.................................................................... 71 2.4.7 Contro la hogra. ................................................................ 72 3.5 Verso un’apertura democratica. L’Algeria e le prime elezioni pluraliste........................................................................................ 76 3.5.1 Le elezioni amministrative. Giugno 1990.......................... 76

  • - 3 -

    2.4.8 “I comuni islamici”. ........................................................... 79 2.4.9 Le travagliate elezioni legislative del 1991....................... 81 2.4.10 Il primo appuntamento mancato con le urne. ................. 82 2.4.11 Il primo turno elettorale e il colpo di Stato: errore storico o dovere patriottico? ......................................................................... 84 3.6 Le correnti islamiste dopo il 1988. Gli islamisti della seconda generazione. .................................................................................. 91 3.7 Il FIS: Fronte islamico di salvezza. ...................................... 92 2.4.12 Il leader storico del FIS: Abassi Madani......................... 92 2.4.13 Nascita e struttura del partito. ....................................... 94 2.4.14 Poliedricità ed eterogeneità nel contesto sociale algerino. 99 2.4.15 Dove fiorisce la contestazione: la moschea. ................. 107 2.4.16 Il programma del FIS. La “soluzione islamica”............. 111 2.4.17 Hamas (Haraka al-mujtama ‘al-islami) e la “Chourackratiya”. ........................................................................ 115 2.4.18 Al-Nahda (Movimento della rinascita islamica). ........... 117

    4. RICONCILIAZIONE NAZIONALE E MASSACRI COLLETTIVI. 120 4.2 IL PROCESSO DI RICONCILIAZIONE NAZIONALE DI BOUTEFLIKA. .......127

    4.3 La terreur sacrée. Alcuni numeri degli anni di sangue. Dal progetto di stato islamico ai massacri collettivi. La strategia del terrore del Groupe Islamique Armé (GIA). .................................... 132

    4.4.1 EVENTI TERRORISTICI DAL GENNAIO 2006................................141 5. APPENDICE.......................................................................173

    TACCUINO ETNOGRAFICO. ...................................................174

    6. BIBLIOGRAFIA ..................................................................203

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    Alle fronde dei salici

    Come potevamo noi cantare

    Con il piede straniero sopra il cuore

    Tra i morti abbandonati nelle piazze

    Sull’erba dura di ghiaccio, al lamento

    D’agnello dei fanciulli, all’urlo nero

    Della madre che andava incontro al figlio

    Crocifisso sul palo del telegrafo ?

    Alle fronde dei salici per voto

    Anche le nostre cetre erano appese,

    oscillavano lievi al triste vento.

    Salvatore Quasimodo

  • - 5 -

    PREFAZIONE.

    L’interesse per l’Algeria nasce dall’esperienza condotta sul campo presso la capitale,

    Algeri, nel corso di diversi lunghi soggiorni tra il 1998 e il 2002.

    Ad Algeri si è avuto modo di frequentare un gruppo di intellettuali – rappresentanti del

    mondo della cultura, dei media e della politica – la cui influenza ha indubbiamente

    condizionato questa analisi nella rilevanza data a certi avvenimenti piuttosto che ad altri e

    nella mia personale lettura della tragedia algerina. Una volta appreso il motivo della mia

    presenza, molte persone conosciute ad Algeri hanno dato, in maniera del tutto spontanea

    e disinteressata, il loro contributo alla mia ricerca. Ho così ricevuto libri introvabili, preziosi

    consigli da parte di alcuni professori dell’Università di Algeri e la possibilità di frequentare le

    numerose librerie della capitale, dove ho potuto trovare del materiale bibliografico

    genuinamente algerino e assolutamente sconosciuto al di fuori dell’Algeria.

    Nel primo capitolo “L’islamismo da religione a ideologia politica” mi soffermo su alcuni

    concetti-chiave dell’ideologia islamica, come l’assoluta coincidenza del potere religioso con

    quello temporale. Inoltre, svolgo una riflessione sui percorsi culturali, sull’identità, e sulle

    rappresentazioni del mondo musulmano e dell’ “homo islamicus”.

    Nel secondo capitolo, intitolato “Il nazionalismo algerino”, mi soffermo sulle condizioni

    storiche che hanno caratterizzato il colonialismo francese in Algeria e che hanno conferito

    un’impronta indelebile alla vita politica del regime algerino fino alla seconda metà degli

    anni ottanta. Come vedremo, la politica coloniale francese che colpiva con incredibile

    spietatezza tutti gli aspetti della vita, della cultura e dell’identità algerina, favorirà la

    creazione di una barriera sociale tra mondo musulmano e mondo europeo. L’Islam

    diventerà allora l’ideale per il quale combattere degli invasori più forti e meglio organizzati

    e, allo stesso tempo, conferirà ad un popolo oppresso un’identificazione e un orgoglio

    etnico da opporre all’ideologia etnocentrica del colonizzatore.

    In questo capitolo si cercherà di evidenziare come la coscienza nazionale algerina si

    svilupperà parallelamente all’elaborazione di un’identità musulmana che gli ulama (i

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    giureconsulti) contribuiranno ampiamente ad elaborare. In questo contesto, come

    vedremo, il programma di Ben Badis, presidente dell’AOMA (Association Oulemas

    Musulmans Algeriens) si dimostrerà semplice e di successo. Il famoso motto: “L’Algeria è

    la mia patria, l’arabo la mia lingua, l’Islam la mia fede”, diventerà il credo di ogni algerino,

    credo per il quale si era pronti anche a morire.

    Nel terzo capitolo “Il fenomeno dell’islamismo nell’Algeria contemporanea”, si prenderà in

    esame come, all’indomani dell’indipendenza, l’Islam sarà considerato l’elemento

    fondamentale per la ricostruzione identitaria del popolo algerino, ma anche come

    necessaria barriera alla modernità occidentale: atea, materialista e assolutamente

    inaccettabile sul piano della morale. Per l’unità dell’eterogeneo popolo algerino si

    sacrificheranno le tensioni conflittuali e contraddittorie della società civile, mentre si

    assumerà come ideologia di Stato l’ideologia del nazionalismo e del populismo a

    detrimento della democrazia. In questo modo, l’assenza di separazione dei poteri,

    l’autoritarismo, la coercizione verranno a strutturare i rapporti tra Stato e società civile. Il

    Fronte di liberazione nazionale, partito unico fino al 1989, si imporrà, infatti, come

    depositario legittimo dell’autorità politica, sviluppando per quasi trent’anni un regime

    centralizzato, autoritario e corrotto. Le responsabilità del potere politico, che ha contribuito

    all’instaurazione dell’integralismo, sono innegabili. Già sotto il regime instaurato da Ben

    Bella, infatti, sono in gestazione le prime correnti politico religiose, come El Qyam El-

    Islamyya (i valori islamici). Sarà di estremo interesse notare come nel corso degli anni

    sessanta e settanta in Algeria convivano sia l’Islam strumentalizzato dalle élites dirigenti

    come mezzo di legittimazione del potere, sia l’Islam radicale, che, a poco a poco, diventerà

    un’identità-rifugio e, insieme, la cassa di risonanza dell’insofferenza di gran parte della

    società civile.

    Per le masse popolari marginalizzate gli islamisti si presentano come gli unici detentori di

    un progetto di società, che trova i suoi referenti nella religione. Questo progetto di società

    islamica diventerà quello dei tanti giovani emarginati che, nell’ottobre 1988, si uniranno, in

    maniera del tutto spontanea, in quello che è ancora ricordato come un potente movimento

    urbano di protesta sociale di anelito alla democrazia. Il regime algerino si troverà costretto

    ad impegnarsi in una serie di cambiamenti istituzionali che condurranno alla democrazia e

    al multipartitismo, ma anche all’affermazione del FIS (Fronte islamico di Salvezza) come

    prima forza politica del paese. Mi soffermo a questo punto dell’analisi sulla struttura e sul

  • - 7 -

    programma del partito islamico principale (il FIS) e su altri due movimenti islamici che

    caratterizzano la vita politica e sociale del paese, Hamas e Al-Nahda.

    Infine, gli anni del terrore, degli attentati, dei massacri collettivi perpetrati con incredibile

    crudeltà dal Gruppo Islamico Armato (GIA).

    Nell’appendice, “Taccuino etnografico”, descrivo la mia esperienza sul campo che

    suddivido in tre momenti (definizione, confusione ed empatia), i quali seguono il processo

    che ha condotto alla costruzione dell’oggetto di ricerca. Mi soffermo, inoltre, su alcune

    figure femminili della letteratura algerina e sull’incontro con alcuni intellettuali che ho

    ricordato all’inizio. Concludo con alcune considerazioni sul processo di riconciliazione

    nazionale inaugurato dell’allora neo-Presidente Bouteflika e sul discorso che quest’ultimo

    rivolge alla nazione all’indomani del referendum sulla “Concordia civile” che vuole sancire

    la fine della barbarie e l’inizio del processo di pace.

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    1. L’ISLAMISMO – DA RELIGIONE AD IDEOLOGIA POLITICA

    1.1 Din e Dawla: religione e stato, un unico potere.

    "L'Islam è infatti fede e culto, patria e nazionalità, religione e stato, spiritualità e azione, Libro e spada." (Hasan al-Banna).

    Nell’Islam classico, prima del contatto con l’Occidente, non esisteva alcuna distinzione tra

    Stato e Chiesa, ma un solo unico e inseparabile potere1. Il Din, religione, è posto a

    fondamento del Dawla, stato, come di tutte le espressioni riguardanti il politico e il sociale.

    Questa coincidenza di Din e Dawla, sulla quale ci si vuole soffermare, o meglio

    l'assorbimento del politico nella religione, è molto importante per la comprensione delle

    odierne categorie politiche islamiche e, inoltre, fornisce una chiave di lettura del moderno

    integralismo.

    Infatti, come scrive Renzo Guolo, "i gruppi islamisti hanno come obiettivo principale quello

    di ristabilire la gerarchia ordinativa del mondo costituita dall'asse din - wa - dawla, religione

    - stato; una gerarchia che la storia ha capovolto conferendo al politico una autonomia

    presto tramutata in supremazia sulla religione."2

    Anche altri autori concordano su questo punto, individuando nell'endiadi din wa dawla

    un'espressione che identifica una visione del mondo. Essa racchiude l'idea di Islam come

    sistema totalizzante in cui si ricompongono le dualità, corpo e anima, Dio e uomo, in una

    perfetta unità.

    Non bisogna dimenticare, infatti, che la stessa parola araba “Islam” indica un insieme di

    rituali e credenze i quali possiedono il carattere di globalità, cioè di cultura totale e

    integrata. Nel Corano, testo sacro con il valore anche di costituzione, si trovano norme

    1 B. LEWIS, 1991. 2 R. GUOLO, 1994, pag. 30.

  • - 9 -

    riguardanti sia la sfera del credo e del culto che quella temporale e giuridica. Nel Libro,

    infatti, ci sono prescrizioni che abbracciano gli argomenti più disparati: dal diritto penale al

    matrimonio, dalle norme igieniche alle regole da seguire in battaglia, ed in quanto parola di

    Dio non possono essere contestate3. Come sostiene Enzo Pace, “una norma nel Corano è

    allo stesso tempo una prescrizione giuridica e un obbligo etico - morale, riflesso di un

    ordine teologico immutabile e infallibile.”4

    Così gli islamisti sostengono che il riscatto dei musulmani possa avvenire con il recupero di

    una concezione universale e totalizzante dell'Islam. I precetti dell'Islam, infatti, secondo

    Hasan al-Banna, "contemplano tutto quanto concerne l'uomo in questo mondo e nell'altro,

    e che quanti ritengono che tali insegnamenti riguardino solamente l'aspetto del culto o

    quello spirituale, escludendo gli altri, sono in errore. L'islam è infatti fede e culto, patria e

    nazionalità, religione e stato, spiritualità e azione, Libro e spada."5

    Alcuni tra i discendenti di Maometto, quelli che abbracciano i movimenti islamisti, aspirano

    ad un ritorno a una comunità originaria, governata dai precetti e dalle prescrizioni del

    Corano e nella quale i principi di Dio troverebbero la loro realizzazione.

    Per questi eredi spirituali, islamisti dell’epoca contemporanea, come si può dire per i

    musulmani in generale, l'identità collettiva si esprime attraverso codici simbolici religiosi: la

    religione esprime l'appartenenza, più che l'origine etnica, la lingua o la nazione di

    provenienza.

    Nelle pagine che seguono si cercherà di delineare il profilo di coloro che aderiscono ai

    movimenti islamisti e, in particolare, in Algeria.

    1.2 "Homo islamicus" : rappresentazione, identità e percorsi culturali.

    Si può essere musulmani senza essere islamisti? Quale differenza intercorre tra Islam e

    islamismo?

    Le rappresentazioni dell'Islam che hanno elaborato gli occidentali sono il risultato storico di

    conflitti e confronti tra la civiltà occidentale e quella musulmana.

    Attraverso i secoli abbiamo costruito e nutrito lo stereotipo dell'Islam come sinonimo di

    intolleranza, violenza, barbara inferiorità, arretratezza sociale, economica e tecnologica,

    condizione umiliante della donna.

    3 E. PACE, 1997: R. GUOLO 1994; B. LEWIS, 1995. 4 E. PACE, 1997, pag. 38.

  • - 10 -

    La storia dell’Islam e la storia europea sono state molte volte protagoniste su uno stesso

    palcoscenico e, di conseguenza, si sono reciprocamente attratte, respinte, combattute.

    Seguendo l’analisi di Khaled Fouad Allam, docente di islamistica presso l’Università di

    Trieste, “le mutazioni socioculturali e le tensioni spesso contraddittorie che oggi

    attraversano gran parte delle società musulmane, s’inscrivono in un quadro storico che,

    dalla fine del Settecento fino ai giorni nostri, ha avuto l’Occidente, e più particolarmente

    l’Europa, come punto di riferimento per la formulazione delle proprie strategie politiche.”6

    Ma già prima del Settecento, e delle imprese coloniali, fa notare lo storico algerino

    Abderrahmane Khelifa, la storia europea e quella dell’Islam erano venute in contatto7 e la

    religione islamica si presentava all’occidente minacciosa, militante e ben lontana dal

    principio cristiano del “porgi l’altra guancia”.

    Come riporta Enzo Pace, infatti, man mano che l'espansione islamica si estendeva nel sud

    del Mediterraneo, l'Islam diventava "il nemico alla frontiera"8. Alle tensioni economiche e

    politiche si è poi aggiunto l'antagonismo religioso. Quest'ultimo ha ulteriormente nutrito

    l'immagine negativa del mondo musulmano avviando così un “pellegrinaggio armato” e, di

    conseguenza, la pratica dei massacri: era nato lo spirito della crociata.

    "Con la formula 'spirito di crociata' in realtà si può intendere in termini sociologici un

    processo di costruzione sociale del nemico simbolico."9

    Non stupisce, dunque, se ancora oggi persista uno stereotipo negativo dell'Islam,

    approfonditosi, ulteriormente, con l'esperienza coloniale europea di molti paesi musulmani.

    Le categorie geografiche "Oriente" e "Occidente" si caricano di significati culturali: Oriente

    come sinonimo di esotico, ma anche di arretrato e inferiore, contrapposto ad Occidente,

    cioè razionale, moderno, superiore.

    Nell’immaginario occidentale l’Islam appare come una cultura in decadenza e la modernità

    l’unica possibilità di riscatto. Così, spiega Fouad Allam, la colonizzazione sarà giustificata

    con l’idea di una “missione civilizzatrice che pone le altre società in posizione subalterna;

    perciò il ricorso alla modernità costituirà un tentativo di riscatto storico delle società messe

    in crisi da questo processo. In quelle società i pensatori riformisti dovranno confrontarsi

    con ordini culturali diversi: islam e Occidente, tradizione e modernità.”10

    5 H. AL-BANNA, in P. BRANCA, Voci dell'Islam moderno, pag. 194. 6 K. F. ALLAM, in AA.VV., 1999, pag. 219. 7 La prima cattedra di lingua araba al Collège de France di Parigi risale, infatti, al 1539. 8 E. PACE, 1997. 9 E. PACE, 1997, pag. 14. 10 K. FOUAD ALLAM, 1999, pag. 232.

  • - 11 -

    In Europa, sostenitori della colonizzazione e suoi oppositori, concordavano sulla stessa

    immagine di cultura mussulmana. Da Tocqueville11, inviato in Algeria nel 1841 per

    esaminare le diverse politiche di sfruttamento da applicare per una migliore utilizzazione di

    uomini e materiali, a Marx, il quale, invece, si recò in Algeria per curare una

    broncopolmonite nel 1882, si trovavano concordi sulla necessità del colonialismo come

    fatto “propizio al progresso della civiltà.”12

    Inoltre, è da tenere presente che, l'immagine negativa che il colonizzatore rifletteva del

    colonizzato, e l’idea della missione civilizzatrice rappresentata dalla colonizzazione,

    provocava un’autorappresentazione negativa nel colonizzato stesso, la cui identità veniva

    così messa in crisi.

    Secondo l’arabista Reinhard Schulze, docente presso l’Università di Bamberg in Germania,

    la percezione europea del mondo islamico rimane tuttora ancorata a concezioni coloniali.

    “Uno dei tratti salienti della situazione coloniale – continua Schulze – è costituito dal fatto

    che nel mondo mussulmano l’interpretazione europea della storia islamica è stata

    istituzionalizzata e recepita come parte del discorso europeo.”13

    Secondo Schulze in questo aspetto si può far risalire la nascita del fondamentalismo

    islamico. L’esperienza coloniale non è stata solo colonizzazione economica o politica, ma

    ha rappresentato una vera e propria colonizzazione dell’immaginario, nell’imporre la

    11 Riporta Tocqueville: “L’anarchia degli Arabi, che è cosa così funesta a questi popoli, è molto nociva anche per noi, poiché non avendo noi né l’intenzione né il potere di sottometterli subito con le nostre armi, non possiamo che sperare di agire su di essi a lungo termine, attraverso il contatto con le nostre idee e le nostre arti; e ciò può avere luogo solamente se la pace e un certo ordine regneranno tra loro. Del resto, l’anarchia che spinge le tribù le une contro le altre, le fa precipitare continuamente verso noi e toglie alle nostre frontiere qualsiasi sicurezza. A. de TOCQUEVILLE, 1837; ed. 1988, pag. 48. 12 K. MARX, 1977, pagg. 25-26. Scrive Marx: “(…) la conquista dell’Algeria è un fatto importante e propizio al progresso della civiltà. (…) E la conquista dell’Algeria ha già forzato i Bey di Tunisi e di Tripoli, come l’imperatore del Marocco, a impegnarsi sul cammino della civiltà. Sono stati obbligati a trovare per i loro popoli altre occupazioni che non fossero la pirateria, e altri mezzi per riempire le casse che non fossero i contributi pagati dai più piccoli stati d’Europa. E se ci si può rimproverare che la libertà sia stata distrutta, non si deve dimenticare che questi stessi beduini sono un popolo di ladri, il cui principale mezzo di sussistenza consisteva nel fare delle incursioni presso gli uni o gli altri, o nei villaggi sedentari, appropriandosi di tutto ciò che trovavano, massacrando tutti coloro resistevano e vendendo il resto dei prigionieri come schiavi. Tutti questi popoli di barbari in libertà sembrano molto fieri, nobili, gloriosi visti da lontano, ma basta avvicinarli per scoprire che, come le nazioni più civilizzate, sono mosse dalla sete di guadagno; semplicemente essi usano mezzi più volgari e più crudeli. Dopotutto, il borghese moderno con la civiltà, l’industria, l’ordine e i “lumi” che porta comunque con sé, è da preferire al signore feudale o al predone e alla condizione barbara della società alla quale appartiene.” 13 R. SCHULZE, 1998, pag. 12.

  • - 12 -

    propria lingua, la propria visione del mondo, le proprie categorie sociali e culturali, i propri

    significati di sviluppo e civiltà.

    Agli intellettuali islamici dunque, per esprimere loro stessi, non restava che l’Islam, in una

    forma originaria idealizzata, da contrapporre all’identità europea. Il ricorso all’Islam, inoltre,

    permetteva di confrontarsi con quella modernità importata con le imprese coloniali e che

    aveva turbato l’ordine culturale esistente. L’assenza di strumenti concettuali in grado di

    attuarla, e la sua tardiva introduzione, ha impedito la costruzione di un proprio significato di

    modernità da attribuire alla propria cultura, alle proprie origini e tradizioni. “Lo scontro tra

    modernisti e tradizionalisti vede l’impossibile confronto epistemologico tradursi infine in un

    ambivalente rifiuto dell’occidentalizzazione.”14

    Seguendo ancora l’analisi svolta da Schulze si possono individuare tre segni distintivi che

    hanno caratterizzato la storia del Novecento delle società islamiche e che, oggi, delineano

    ciò che viene definito mondo islamico.

    Il primo segno distintivo del mondo islamico è individuato nel dibattito che ha attraversato il

    Novecento, sull’importanza della territorialità di uno stato e sul concetto di nazione che, nei

    paesi musulmani, rappresentava l’emancipazione e la fine della dominazione culturale15.

    Il nazionalismo, infatti – concetto elaborato in Europa – e la formulazione dell’idea di stato-

    nazione assunsero il significato di riscatto dei musulmani.

    “Diversamente da quanto era avvenuto con l’emergere degli stati nazione in Occidente, la

    nazione nel pensiero islamico non consacra la nascita di uno spazio autonomo del politico,

    e dunque di un concetto di cittadinanza: al contrario, essa si compone su una visione

    dell’Islam in quanto fattore aggregante non solo di diverse comunità, ma della nazione

    stessa.”16

    Questo concetto esprime Ben Badis, come si approfondirà più avanti, quando negli anni

    trenta afferma “l’Islam è la nostra religione, l’arabo la nostra lingua, l’Algeria la nostra

    patria.”

    Oggi, invece, si assiste all’emergere di piccoli gruppi i quali si sostituiscono alla cultura

    nazionale unitaria nel ruolo di guida e punto di riferimento. Questi gruppi sono sempre più

    determinati in termini mitologici, piuttosto che ideologici e politici: l’appartenenza al gruppo

    non deriva dal comune obiettivo politico, ma dal riferimento ad una comune, e mitica,

    origine etnica.

    14 K. FOUAD ALLAM, 1999, pag. 234. 15 R. SCHULZE, 1998; K. FOUAD ALLAM, 1999.

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    Strettamente legato al primo, Schulze si riferisce, nel secondo segno distintivo, alla cultura

    islamica come “potente veicolo di espressione” in quei paesi che un tempo erano colonie

    europee.

    Con cultura islamica si intende così la rappresentazione del proprio passato e della propria

    identità, ed entra a far parte del palcoscenico mondiale come alternativa ed antagonista di

    ciò che invece rappresenta “l’europeicità”. Con discorso islamico, contrapposto a quello

    europeo, si intendono dunque “tutti i mass media, tutte le istituzioni, tutti gli enunciati e i

    simboli linguistici per i quali si ricorre volutamente a un lessico e a un sistema di segni che

    veicolano i concetti della tradizione islamica.”17

    Il ricorso ad un lessico comune, infatti, ha sviluppato e consolidato, nei paesi islamici, il

    senso di appartenenza ad una comunità culturale.

    L’Islam, scrive Bernard Lewis, autore del famoso libro Il linguaggio politico dell’islam,

    diventa così il supremo criterio di lealtà e di identità di gruppo e “assicura il più efficace

    sistema di simboli per una mobilitazione politica.”18

    Infine Schulze si riferisce al conflitto tra mondo urbano e rurale sviluppatosi in quei paesi

    che hanno conosciuto un notevole sviluppo durante il colonialismo. Questo conflitto è

    prodotto dall’ideologia dello stato-nazione che ha visto nel misticismo delle confraternite

    una forma di religiosità arcaica e, quindi, un ostacolo alla modernizzazione.

    Il nazionalismo novecentesco avrebbe infatti favorito, col suo anelito alla riconquista della

    grandezza perduta, l’affermarsi delle città come entità autonome rispetto alle campagne. E,

    quindi, ciò implicava ripoliticizzare l’Islam per riappropriarsi dello spazio politico, favorendo

    in questo modo la cultura islamica rispetto alla tradizione, rappresentata da diversi ordini

    mistici e dalle pratiche di una religiosità popolare.

    Infatti, dalla metà dell’ottocento si assiste al riaffiorare delle due anime che convivono nella

    cultura islamica: quella di matrice urbana tesa al recupero di un’identità politica, e l’altra

    tipica di un islam “segmentario, di tipo clientelare, quello che si rifà alla fratellanza di

    sangue (asabiyya).”19

    Al momento attuale, il mondo mussulmano sembra essere attraversato da un nuovo

    risveglio politico ideologico, che alcuni identificano come una nuova "rinascita dell'Islam"20,

    intesa come ritorno al periodo delle mitiche origini. La costante oscillazione tra tendenze

    16 K. FOUAD ALLAM, 1999, pag. 252. 17 R. SCHULZE, 1998, pag. 18. 18 B. LEWIS, 1988, pag. 8. 19 K. FOUAD ALLAM, 1999, pag. 230.

  • - 14 -

    conservatrici e superamento delle stesse – desiderio di modernità e sua demonizzazione –

    dimostrano quanto sia stata traumatica l’irruzione della modernità su masse ancora

    impreparate ad essa e su élite di formazione europea, o comunque già in via di

    occidentalizzazione, che “si trovano a doversi confrontare con un dilemma ormai classico,

    quello fra tradizione modernità.”21 La mancata possibilità di sviluppare una modernità

    endogena acuirà, oggi, la violenza delle reazioni di rigetto.

    Si tratta ancora di ricostruire una propria identità, si tratta ancora di un ritorno al periodo

    delle mitiche origini, il quale per alcuni è solo uno strumento per far leva sulle masse ed

    arrivare al potere, per altri è una vera e propria nostalgia.

    L'Occidente guarda oggi, spettatore forse un po' spaventato, il ritorno dell'Islam e il

    fenomeno - spesso cruento - del fondamentalismo. Così si possono spiegare le immagini

    distorte e frettolose, che riducono, come scrive Agostino Spataro, una complessa ideologia

    politico religiosa a semplice fenomeno di cronaca nera22. Lo stereotipo riprende vigore:

    l'Islam è identificato con l'islamismo, gli arabi con gli islamisti, l'intolleranza è pensata come

    tratto tipico dell'essere musulmani23. Si dimentica così, l’esistenza di numerose correnti

    musulmane moderate, perfettamente integrate nel mondo moderno e rispettose della

    legalità democratica24.

    Tornando alla domanda iniziale, se è possibile essere musulmani senza essere islamisti, la

    risposta è affidata al politologo e studioso di Islam Francois Burgat, il quale raccomanda di

    "non operare confusioni tra un fenomeno politico religioso a carattere congiunturale e una

    cultura più che millenaria.25"

    20 B. SCARCIA AMORETTI, 1998, pag. 205. 21 K. FOUAD ALLAM, 1999, pag. 224. 22 A. SPATARO, 1995. 23 E. PACE, 1997; A. SPATARO, 1995; F. BURGAT, 1995,M. RUTHVEN, 1999. 24 A. LAMCHICHI, 1992. 25 F. BURGAT, 1995, pag. 11.

  • - 15 -

    1.3 Islam e islamismo: muslimun e islamiyyun. Definizioni possibili.

    L'islamismo oggi si presenta sulla scena internazionale rivendicando la sua alterità

    ideologica e culturale, mentre, al suo interno, scuote con forza il mondo mussulmano, alle

    prese con il fallimento delle esperienze nazionali e, come si è già detto, alla ricerca di una

    propria "identità pre-coloniale".

    Alla fine degli anni settanta, ed in particolare dopo l’avvento del khomeinismo in Iran, il

    risveglio islamico, caratterizzato dalla formazione di movimenti politici, cominciò a colpire

    l’attenzione occidentale.

    Alcuni regimi arabi, infatti, si trovarono a doversi confrontare con una opposizione

    particolare: quella che si richiama all’Islam politico e ha la pretesa di attivare la tradizione

    profetica islamizzando la modernità26.

    Questi movimenti furono etichettati con la parola inglese “fundamentalist” e con quella

    francese “integriste”27, dimenticando che, prima di indicare gruppi musulmani, si trattava di

    termini coniati a fine ottocento per definire movimenti cristiani, protestanti e cattolici, sorti

    in reazione alle tendenze laiche diffuse con la rivoluzione francese28.

    Come esaminato poco più sopra, sebbene si possa affermare “l’islamismo non è Islam”,

    non stupisce che ancora non sia stata formulata una definizione condivisa che spieghi la

    natura, gli scopi, le linee generali, di ciò che viene indicato come estremismo islamico29.

    Malgrado ormai si possano considerare lontani i tempi in cui si poteva leggere come

    risposta alla domanda su che cosa fosse l’Islam “è un gioco d’azzardo che somiglia al

    Bridge”30, la confusione resta, e, soprattutto, a proposito dell’islamismo.

    Le difficoltà di definizione possono nascere – secondo alcuni studiosi – quando si vogliono

    giudicare, quei movimenti ricondotti al fondamentalismo islamico, con sguardo

    eurocentrico, attraverso il quale si applicano all’Oriente categorie culturali dell’Occidente.

    26 A. LAMCHICHI, 1992. 27 E, precisamente, il termine “fundamentalist” indicava i movimenti protestanti evangelici, che si opponevano alla teologia liberale e modernista che veniva insegnata nei seminari protestanti americani. Mentre il termine “integriste” identificava i movimenti cattolici dell’Europa meridionale. L. GUAZZONE, 1995; M. RUTHVEN, 1999. 28 F. BURGAT, 1995; L. GUAZZONE, 1995; A. SPATARO, 1995; M. RUTHVEN, 1999. 29 B. ETIENNE, 1988; A. SPATARO, 1995. 30 Giuseppina Igonetti, riporta questo episodio, il quale è avvenuto durante un seminario dell’Aramco, negli Stati Uniti. In M. RUTHVEN, 1999.

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    In secondo luogo, è difficile parlare al singolare di una forma di islamismo - o estremismo,

    o fondamentalismo, come altri preferiscono definirlo - dal momento che la varietà dei

    gruppi, le differenti strategie politiche e modalità d’azione costringono ad esprimersi, e a

    pensare, al plurale31.

    Ed infatti, sebbene si possano rintracciare le radici dell’islamismo in tutti quei paesi che

    hanno subito la dominazione coloniale e che ad essa si sono opposti, ciò nondimeno le

    situazioni divergono sensibilmente da paese a paese32.

    Secondo l’analisi di Burgat, le varie differenze sarebbero da rintracciare nelle modalità di

    incontro con l’occidente, nella durata e nelle forma del colonialismo e nelle caratteristiche

    delle varie società. Infatti, “pur senza strutturarle nella forma estrema dello Stato nazionale,

    la storia precoloniale aveva prodotto in effetti, nello spazio maghrebino, differenze quasi

    nazionali.”33

    Occorre, dunque, cercare di trovare una definizione che, come auspica Bruno Etienne, nel

    suo stimato libro L’islamismo radicale, “chiarisca i termini del problema, e specialmente il

    vocabolario”34.

    Spesso, inoltre, i termini che qualificano gli islamici - come fondamentalisti, integralisti,

    estremisti, fino a “killers di Allah” o terroristi - creano ulteriori fraintendimenti e confusioni,

    rivelando uno scarso approfondimento del fenomeno, e alimentando le immagini

    stereotipate di cui si è parlato.

    Con fondamentalismo, come già era stato per i movimenti protestanti agli inizi del

    ventesimo secolo, si intende il ritorno alla Scrittura, in quanto ritorno alla purezza originaria,

    e come unico fondamento di ogni critica e rinnovamento35. Quindi si possono definire

    fondamentalisti, tutti quei musulmani che intendono ritornare al solo Corano. Questa

    definizione non è del tutto esatta, dal momento che, come fa notare Bruno Etienne, oltre al

    Corano essi “ammettono la sunna, gli hadit, e la quasi totalità delle innovazioni non

    riprovevoli in materia di culto”.36

    Malgrado questa osservazione, per Abderrahim Lamchichi37, professore alla facoltà di

    Diritto e Scienze Politiche di Amiens, autore di numerose opere sull’islamismo nei paesi del

    31 F. BURGAT, 1995; B. ETIENNE, 1988; L. GUAZZONE, 1995; A. SPATARO, 1995. 32 F. BURGAT, 1995. 33 F. BURGAT, 1995, pag. 125. 34 B. ETIENNE, 1988. 35 B. ETIENNE, 1988; A. SPATARO, 1995; F. BURGAT, 1995. 36 B. ETIENNE, 1988, pag. 144; A. SPATARO, 1995. 37 A. LAMCHICHI, 1992.

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    Maghreb, invece, la frontiera tra fondamentalismo e islamismo è meno netta, dal momento

    che le due correnti operano per un ritorno assoluto ai testi sacri avendo come obiettivo il

    rinnovamento del mondo musulmano. La maggior parte degli islamisti, dunque – continua

    Lamchichi – può essere ricollegata al fondamentalismo, dal momento che si richiamano

    all’eredità dottrinale dei padri fondatori del riformismo musulmano, fautori di un ritorno al

    testo coranico e alla Sunna del profeta per rintracciare così i riferimenti morali, sociali e

    politici, in previsione di un rivoluzionamento della società.

    Con “riformismo musulmano”- aprendo una breve parentesi - ci si riferisce al movimento

    della Salafiyya, che si formò intorno alla figura di Rasid Rida (1865-1935). La scuola

    Salafiyya aveva un orientamento rivolto “essenzialmente verso la difesa apologetica

    dell’Islam contro i suoi detrattori, la purificazione della religione da quelle pratiche e

    credenze di origine spuria che ne avevano alterato l’originalità e svilito la vitalità e volta alla

    ricerca di soluzioni islamiche ai grandi problemi che emergevano sul piano politico e

    sociale. Al termine di questa parabola il movimento riformista si trovò così reinserito nella

    concezione islamica dell’islah, la quale prevede, per bocca stessa del profeta, un ciclo di

    rinnovamento, inteso essenzialmente come restaurazione della primitiva purezza della

    fede.”38. Il riformismo avrà degli echi soprattutto nei paesi del Maghreb, ed in particolare in

    Algeria durante il periodo coloniale, con la figura di Ben Badis, fondatore dell’associazione

    degli ulama d’Algeria e della rivista Al-Sihab (la meteora), che diventerà il mezzo di

    diffusione dell’ideale riformista, ovvero l’Islah.

    Nei primi anni tra le due guerre, come si esaminerà meglio più avanti, Benbadis riesce a

    riunire qualche studente di ritorno dalle università islamiche magrebine intorno ad un

    progetto: l’Islah. L’Islah, impiegato con il significato di stabilire la concordia e la

    riconciliazione, rappresenta un movimento di riforma della religione, e ha per scopo il

    recupero dell’ordine, dello stato, in opposizione ai regimi corrotti. “ In effetti per i riformisti

    l’Algeria rappresenta il topos della degenerazione dell’Islam al quale bisogna porre rimedio.

    … L’ordine culturale imposto dalla colonizzazione francese in Algeria non poteva dunque

    non identificarsi con un processo di decadimento subito dall’islam e dai musulmani”39.

    Tornando al discorso sulle diversità che separano gli islamisti dai fondamentalisti, è sulla

    questione dello stato e della politica che si può rintracciare la differenza più netta: punto

    centrale del progetto islamista – che vuole la conquista del potere, anche tramite la forza –

    38 P. BRANCA, 1997, pag. 48. 39 K.FOUAD ALLAM, in AA.VV., 1999, pag. 243.

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    ha invece un’importanza secondaria per i fondamentalisti, i quali limitano le loro azioni alla

    sfera morale40. I fondamentalisti, seguendo ancora l’analisi di Lamchichi, si trovano

    generalmente affianco al potere, quindi agli Ulama, e giocano il ruolo di pressione morale;

    al contrario, gli islamisti si pongono contro il clero ufficiale, contestano il monopolio della

    sfera politico-religiosa e si propongono come “contro modello radicale e alternativo a quello

    dell’Islam ufficiale e dominante”41.

    Fautori di una rilettura dei testi fondatori (Corano, Sunna), come fonti morali e politiche

    costitutive dell’identità, nell’attesa di una rinascita (Nahda) del mondo musulmano, gli

    islamisti possono essere definiti come dei neo-fondamentalisti. Ciò che li differenzia dai

    loro predecessori, risiede nella lettura ideologica dell’Islam, concepito come strumento di

    protesta sociale e conquista del potere politico42.

    Per quanto riguarda invece la qualifica di “integralisti”, questa risulta essere più spesso

    usata e con valenza assolutamente negativa43. Come già osservato, anche questo termine

    è stato originariamente creato per identificare un fenomeno riguardante la religione

    cristiana. Fornendo ancora prova di eurocentrismo44, questo termine è stato esteso alla

    religione mussulmana per “designare quei fondamentalisti la cui lettura delle fonti sacre è

    la più intransigente, la più letterale, la più rigida e come tale la più riluttante all’esegesi

    innovativa costituita dall’ijtihad sforzo di interpretazione islamico”45. In questo caso il

    termine “integralismo” è rifiutato, sia dagli studiosi del fenomeno sia dagli stessi islamici, o

    da chi ha usato una maggiore scrupolosità. Esso, infatti, è di origine cattolica, ha una

    connotazione negativa e riflette una sfumatura peraltro minoritaria46.

    Dunque, i termini “islamici” e “islamismo” sembrano riscuotere il maggiore accordo47 per

    definire un progetto politico, che si proponga come alternativa all’Occidente tramite la

    riappropriazione dei suoi referenti.

    Il termine "islamismo", utilizzato dagli stessi militanti che si definiscono tali, islamiyyun, per

    distinguersi dai muslimun, i semplici credenti musulmani,48 indica "un'ideologia politica e

    l'insieme dei movimenti denotati da questa ideologia, il cui comune denominatore risiede

    40 A. LAMCHICHI, 1992. 41 A. LAMCHICHI, 1992, pag. 37. 42 A. LAMCHICHI, 1992. 43 F. BURGAT, 1995. 44 B. ETIENNE, 1995. 45 F. BURGAT, 1995, pag. 43. 46 B. ETIENNE, 1988; F. BURGAT, 1995; A. SPATARO, 1995. 47 B. ETIENNE, 1988; F. BURGAT, 1995; A. SPATARO, 1995; L. GUAZZONE, 1995. 48 F. BURGAT, 1995; L. GUAZZONE, 1995.

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    nel ritenere che l'instaurazione dello stato islamico, regolato secondo la legge islamica

    (Shari'a) sia la condizione essenziale per il benessere della comunità mussulmana."49

    La visione del mondo islamista è incentrata sulla convinzione della sovranità di Dio

    esercitata tramite la Legge50.

    La Legge Santa, la Shari’a, costituisce uno dei pilastri su cui si fonda l’ideologia islamista51.

    La “via verso un punto d’acqua”, questo il suo significato, rappresenta, per gli islamisti, un

    “sistema organico e onnicomprensivo per la regolazione, secondo la volontà di Dio, di tutti

    gli aspetti individuali, sociali, religiosi, della vita umana”52.

    Come già osservato in apertura di questo paragrafo, sebbene i vari movimenti islamici

    abbiano in comune come supremo obiettivo politico l’instaurazione dello stato islamico,

    tuttavia, bisogna tener conto delle differenze che li contraddistinguono.

    Queste ultime sono strettamente legate al paese d’origine e alla sua storia, alle modalità di

    azione politica e organizzativa, alle influenze esterne e alle fonti di ispirazione, allo statuto

    legale di cui i vari movimenti godono nel proprio contesto nazionale53.

    Sulla base di queste differenze dottrinali e a livello pratico si possono individuare due tipi di

    fondamentalismo: quello pietista, che considera il messaggio del Profeta coma una via

    spirituale, un inno alla trascendenza, e che è disposto, nella sua ricerca dell’autenticità, ad

    accettare la separazione della fede e della pratica religiosa dalla politica, e l’islamismo

    radicale. Tramite l’ideologizzazione della religione, quest’ultimo si serve dei testi sacri

    come strumenti all’interno di una prospettiva di liberazione sociale e politica. In questo

    caso, dunque, il messaggio islamico sostiene la missione di riforma (Islah) o di rivoluzione

    (Thawra)54.

    Come si accennava all’inizio di questo capitolo, l’Islam è allo stesso tempo religione (Din);

    mondo temporale (Dunya) e Stato politico (Dawla).

    “Una islamicità astratta, globalizzante e astorica non esiste”55. Islam non significa solo

    religione e fede, ma esprime anche un’identità culturale, che è tipica del quotidiano in cui si

    esprime e che, quindi, è figlia delle differenti condizioni socio-politiche.

    49 L. GUAZZONE, 1995, pagg. 13-14. 50 R. GUOLO, 1994. 51 L. GUAZZONE, 1995. 52 L. GUAZZONE, 1995, pag. 22. 53 L. GUAZZONE, 1995; A. LAMCHCHI, 1992. 54 A. LAMCHICHI, 1992. 55 G. CALCHI NOVATI, 1998, pag. 267.

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    L’Islam, poi, non si presenta eterogeneo solo dal punto di vista geografico, da luogo a

    luogo, ma cambia attraverso la storia, adattandosi ai vari contesti socio-politici.

    Infatti, per quanto riguarda l’islamismo, in quanto aspirazione all’instaurazione, qui ed ora,

    della teocrazia islamica, esistono numerose tendenze che hanno attraversato i secoli e tra

    le quali se ne possono citare quattro. L’Associazione dei Fratelli Musulmani, creata in

    Egitto nel 1929 da Hasan Al-Banna, il cui massimo ideologo fu Sayyd Qotb56. Questo

    movimento, il quale raccolse un ampio successo negli anni cinquanta, propone una lettura

    rivoluzionaria del Corano tramite la fusione della Rivelazione - costituzione ideale della

    comunità (Umma) – con l’ideale di giustizia sociale57. Il gruppo viene legittimato come sola

    forza di opposizione ai regimi nazionalisti e diventerà il “riferimento imprenscindibile di tutto

    il movimento islamista”58.

    Senza alcun dubbio Qotb è l’ideologo che più ha influenzato i gruppi radicali attraverso le

    sue opere Fi Zilal al Qu’ran (All’ombra del Corano), un commentario del testo sacro, e

    Ma’alim fi al tariq, “piccolo libro da combattimento in cui vengono enunciate le concezioni

    fondamentali delle categorie politiche islamiste”59. La tesi principale sostenuta in questi

    testi riguarda la rinascita dell’Islam, che, secondo Qotb, può avvenire solo a partire dalla

    piena adesione e comprensione del messaggio coranico. L’ideologia espressa dai Fratelli

    Musulmani ruota intorno ad alcuni concetti chiave: jahiliyya (ignoranza), hakimiyya li-llah

    (sovranità divina), ‘ubudiyya (adorazione), hijra (rottura), umma (comunità), jihad (guerra

    santa), haraka (movimento), thawra (rivoluzione)60. Ma ciò che verrà ripreso più tardi dal

    partito islamico algerino è il modello di Stato islamico che Qotb delinea nello Zilal come

    soluzione alla crisi sociale dell’Egitto61. Il messaggio che gli islamisti coglieranno dell’opera

    di Qotb riguarda il ruolo centrale della Da’wa (predicazione) come forma di denuncia della

    56 Secondo Qotb, Dio avrebbe posto “le fondamenta contemporaneamente di una comunità, di un movimento e di una fede. Voleva che la comunità e il movimento fossero fondati sulla fede e che la fede crescesse insieme ad essi. Voleva che la fede fosse la realtà effettiva di quella comunità in movimento e che la vita di quest’ultima fosse l’incarnazione della fede. … Il modo di instaurare il regno di Dio sulla terra non è quello di conferire a uomini eminenti – religiosi – l’autorità di governo, come nel caso del potere ecclesiastico, né di dare autorità a persone che parlano a nome di Dio, come nel regime definito “teocratico”. Instaurare il regno di Dio significa applicare le Sue leggi e conformare ogni decisione a quanto Egli ha chiaramente espresso.” S. QUTB, Ma’alim fi al-tariq (Pietre miliari), 1979, in P. BRANCA, 1997. 57 A. LAMCHICHI, 1992. 58 R. GUOLO, 1994, pag. 29. 59 R. GUOLO, 1999, pag. 21; B. ETIENNE, 1988, pagg. 179 – 183. 60 R. GUOLO, 1999, pag. 23. 61 Y. M. CHOUEIRI, 1990, pagg. 125 – 138.

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    dissoluzione dei costumi e delle forme di corruzione prodotte dal mondo contemporaneo.

    La denuncia si trasformerà progressivamente in teologia politica contro coloro che

    detengono il potere e che hanno tradito i principi e i valori islamici.

    La seconda corrente è rappresentata dall’ideologia Wahhabita, nata in Arabia Saudita

    dall’ideologo Mohamed Ibn Abd al-Wahhab (1703-1792)62, il quale raccomanda il ritorno

    alla purezza dell’Islam. La tendenza di questo movimento è rigorista e puritana e la sua

    vocazione panislamica la vede finanziatrice di numerose associazioni del mondo arabo63.

    La terza tendenza arriva dall’India e si riferisce al teologo indo-pakistano Abu al-Ala al-

    Mawdudi, fautore dell’edificazione di uno Stato la cui gestione del potere sia guidata dalla

    religione e abbia come ultimo fine l’applicazione fedele della legge islamica64. La fama di

    Mawdudi si diffonderà nell’intero mondo musulmano e i suoi scritti e le sue azioni

    influenzeranno l’islamismo radicale65.

    Infine, una quarta tendenza è rappresentata dal Khomeynismo, che si distingue per la

    visione Shiita dello stato musulmano66. Al contrario di Qotb e al-Mawdudi, che elaborano

    un’ideologia centrata sul principio della sovranità divina, l’obiettivo principale di Sayyid

    Ruhollah Khomeini “è stato trasformare il clero sciita in un’élite politica in nome di un ideale

    62 Secondo Abd al-Wahhab il mondo sunnita doveva tornare decisamente alle proprie origini per affrontare la crisi incombente, rappresentata dal decadimento dell’Impero Ottomano, dal crescente sviluppo della dottrina sciita in Iran e dalle sempre più frequenti devianze morali e dottrinali nei territori sunniti. Quindi “iniziò la sua opera pubblica proprio a partire da queste esigenze di riforma, promuovendo presso gli emiri locali una politica di rigore verso tutte quelle forme di innovazione che ai suoi occhi avevano il sapore di superstizioni idolatriche. … I wahhabiti, anche con gesti simbolici hanno gradualmente mirato ad eliminare la logica delle differenziazioni fra i sunniti. Le posizioni delle scuole sono rimaste oggetto di studio negli istituti di insegnamento religioso superiore, ma nella pratica si è dato impulso ad un Islam il più possibile standardizzato, che unisca negli stessi rituali e comportamenti tutti i popoli musulmani.” A. VENTURA, 1999, pagg. 209-210. 63 B. ETIENNE, 1988; A. LAMCHICHI, 1992. 64 P. BRANCA, 1997; A. LAMCHICHI, 1992. 65 “ I musulmani che vogliono vivere veramente come tali debbono obbedire a Dio in ogni aspetto della propria vita, piccolo o grande che sia, e rispettare la Sua legge sia a livello individuale sia a livello sociale, poiché l’Islam non può ammettere che si proclami a parole che Dio è il Signore dell’Universo per poi regolarsi in base a una legge che non è quella divina … La richiesta di un governo islamico e di una costituzione islamica nasce dalla convinzione che se un musulmano non segue la legge divina, la sua adesione alla fede è vana e senza senso. … I musulmani non vivranno pienamente la propria fede senza la base di un governo e di una società islamici. …” A. MAWDUDI, 1987, in AA.VV., 1997. 66 A. LAMCHICHI, 1992.

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    teocratico, di un ordine sacerdotale, organizzato gerarchicamente, che esercitasse tutto il

    potere”67.

    Per quanto riguarda l’Algeria, ad esempio, secondo l’analisi di El Hachemi Cherif, il ritorno

    ad un patrimonio islamico e alla religiosità, si è accentuato ed approfondito dopo

    l’indipendenza, quando “tradizioni e religione sono state strumentalizzate, gli integralisti si

    sono appropriati del nazionalismo, della religione, delle costanti nazionali e/o delle

    specificità culturali”68. Strumentalizzazione avvenuta in modo direttamente proporzionale ai

    ritardi storici, alla pressante crisi socio-economica e politica e al peso sempre crescente

    dell’influenza di un tipo di religione integralista, sulla scuola, sulle istituzioni culturali, sulle

    moschee.

    Sebbene le correnti islamiste algerine possano essere considerate appartenenti al filone

    comune nato dalla problematica posta dai Fratelli Musulmani, tuttavia esse si dissociano

    sia sul piano dottrinale che su quello pratico. Malgrado, inoltre, le influenze mediorientali,

    provenienti dall’Arabia Saudita, dal Pakistan o dall’Iran, i movimenti algerini rappresentano

    una specificità determinata dal contesto istituzionale, culturale, politico e religioso. In

    generale, esse rappresentano un mosaico di correnti molto differenziate: come scrive

    Lamchichi, l’islamismo algerino si può definire policentrista69.

    Ma, prima di passare ad occuparci più approfonditamente del fenomeno islamico in

    Algeria, si tenterà, brevemente, di descrivere alcune delle caratteristiche socio culturali che

    definiscono un militante islamico.

    Chi è un islamista?

    67 Y. M. CHOUEIRI, 1990, pag. 196. 68 EL HACHEMI CHERIF, 1995, pag. 92. 69 A. LAMCHICHI, 1992.

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    1.4 Ritratto di un islamista.

    …Egli ha paura che il muezzin scompaia (…): come la cultura, la religione è ciò che resta all’ uomo quando ha dimenticato tutto.”70 Amine Touati.

    Un militante islamico è, innanzitutto, figlio della modernità. Una modernità che ha portato

    ad una massiccia urbanizzazione, a vivere, intere famiglie, in una stanza di una casa,

    spesso, non finita, sradicate dai loro paesi d’origine e da quel sistema di relazioni tipiche

    del clan che forniscono protezione e sostegno.

    Una modernità che l’ha portato a scuola, e poi all’università, per farlo diventare un

    disoccupato. Una modernità che non gli ha dato niente, nemmeno l’orgoglio di una guerra

    di liberazione dal colonizzatore, ormai troppo lontana. Niente, se non un’antenna

    parabolica, in Algeria se ne vedono ovunque, grazie alla quale gli arrivano le immagini

    della modernità occidentale. Cosa rimane a parte l’Islam e il recupero di una identità

    tramite la religione?

    Più delle statistiche, che indicano come incremento demografico, tasso di urbanizzazione,

    scolarizzazione, divario scandaloso tra la fascia affaristico-tecnocratica e masse popolari71

    costituiscano alcune delle matrici sociali su cui fiorisce l’islamismo, le parole di uno

    scrittore e giornalista algerino danno un’immagine viva del fenomeno.

    “Essi sono migliaia nelle strade della città e sulle piazze pubbliche. Essi scandiscono: ‘Dio

    è grande’ e riproducono su immensi striscioni dei versetti coranici o degli slogans del tipo:

    ‘Noi moriamo e viviamo per lo Stato islamico’. Essi esprimono la loro febbre alla città,

    l’abitano della loro fede, scuotono le sue fondamenta secolari di certezze proclamate, la

    paralizzano nella sua precarietà, l’abbagliano per la grandezza e la maestosità del nuovo

    Padrone che a lei destinano. ‘Allah è grande’”72.

    70 A. TOUATI, 1996, pagg. 17-18. 71 A. SPATARO, 1995. 72 A. TOUATI, 1996. Pag.10. il quale nello stesso brano continua: “Essi sono polverosi come guerrieri venuti da lontano, da un altro continente, per assediare la fortezza, guidati dai racconti mitici delle loro vittorie che la Storia ripete da quattordici secoli. Severi e disciplinati, sfilano come stranieri soldati romani, in un ordine impeccabile, uno sguardo duro, nero, feroce (…) questa ‘moltitudine vile’. Delle decine, o delle centinaia. Hanno

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    Prima di passare ad esaminare quali indicatori sociali descrivano un militante islamico,

    bisogna ricordare che, in generale, la religione costituisce ancora nella maggior parte dei

    paesi arabo-musulmani una dimensione importante: essa è riferimento identitario e

    culturale; determina i comportamenti e le relazioni sociali. La religione contribuisce a

    strutturare lo spazio e il tempo degli individui e, ancora oggi, riveste interi settori dell’attività

    normativa73.

    Si possono individuare diversi fattori che possono condurre ad abbracciare l’islamismo,

    vissuto sia come adesione ad una ideologia politica, sia come militanza e, in quanto tale,

    per la quale si è pronti a morire e ad uccidere. Pesa certamente il fattore identitario, pesa

    una determinata situazione socio-polica ed economica. E così, in quei paesi che hanno

    conosciuto una grave crisi economica e sociale, l’islamismo nasce come risposta al

    fallimento dei vari regimi.

    Lamchichi74 fa notare inoltre come questo risveglio della coscienza religiosa sia stato

    determinato dal mondo moderno con la sua erosione dei contenuti tradizionali della

    religione e la progressiva dissoluzione dei riferimenti ereditati dal passato. La

    modernizzazione, la quale ha portato alla diffusione delle tecniche e alla planetarizzazione

    dell’economia, non si è accompagnata ad una sua interiorizzazione. Ed è per questo,

    continua Lamchichi, che le tematiche dell’islamismo si sono diffuse in una certa parte della

    società: tramite la rivalutazione e l’esaltazione di un comune sostrato culturale e religioso

    permettono l’elaborazione di un “discorso di autodifesa”, contro il sentimento di impotenza

    di fronte alla modernità75.

    portato con loro, nei camion di fortuna, le loro spose, le loro sorelle e le loro madri. Uomini e donne, sono venuti per condurre la loro guerra santa, portati dall’eroismo nelle loro teste in ebollizione o nei campi afghani, per un’entrata vittoriosa nella cittadella dove si è trincerato il nemico laico, vigliacco, ateo, corrotto, perverso.” 73 A. LAMCHICHI, 1992. 74 A. LAMCHICHI, 1992. 75 A. LAMCHICHI, 1992. A proposito della modernità, lo studioso algerino Boutefnouchet l’immagina come una nuova forma di dominazione economica e culturale dell’Occidente. Il suo valore è stabilito dall’Occidente ed è imposta come necessaria per lo sviluppo e il progresso della società, in opposizione alla tradizione. La sua rappresentazione come valore positivo universale le conferisce un carattere immutabile e permanente. Quindi le società si spogliano del proprio sviluppo culturale tradizionale che impedisce il cammino verso la modernità. Un cammino che porta dai valori-rifugio verso dei valori-sviluppo, da valori statici a valori dinamici, confermando così il suo statuto superiore e trascendentale. L’imposizione della modernità e l’assenza di spirito critico nella sua assunzione ed elaborazione porterebbero, secondo questo autore, all’alienazione collettiva di una società, la quale in breve tempo si trova spogliata del suo patrimonio culturale per assumere quello di un’altra società. M. BOUTEFNOUCHET, in AA.VV., 1983.

  • - 25 -

    In questo modo, l’islamismo diventa, allo stesso tempo, la denuncia del disoccupato

    angosciato e dell’emarginato frustrato, così come la voce del giovane acculturato, “prodotto

    della scolarizzazione di massa, rampollo maschio di una famiglia numerosa piuttosto

    tradizionalista, modesta e virtuosa” 76.

    L’analisi per fasce sociali degli aderenti all’ideologia islamica, rivela, infatti, una

    composizione eterogenea dei suoi militanti.

    Gli “acquirenti” di questa offerta politica sono rintracciabili in quelli che vengono

    generalmente indicati come la base sociale tipica dei movimenti islamisti. E cioè il

    proletariato, sia quello urbano che rurale, e gli intellettuali, ma, attualmente, si è osservata

    la progressiva partecipazione delle classi medie della borghesia77.

    Un altro indicatore sociale rilevato riguarda l’età di questi “guerrieri polverosi”. L’analisi per

    classi d’età riflette l’incremento demografico che ha investito le società arabe, nelle quali i

    cittadini con un’età inferiore ai trenta anni sono più di un terzo della popolazione78.

    Il livello di istruzione di questi giovani si può definire medio alto, dal momento che

    possiedono, quando non una laurea, quantomeno un diploma di scuola superiore79. È

    interessante notare, inoltre, il dato riguardante la formazione intellettuale dei militanti

    laureati. La punta di diamante dei movimenti cosiddetti fondamentalisti non è infatti

    costituita da studenti provenienti da facoltà teologiche, ma da studenti di facoltà scientifiche

    e tecniche80.

    Questo dato richiama inevitabilmente il ruolo fondamentale che hanno avuto, per la

    crescita del movimento islamista, come si vedrà più avanti, le scuole e le università, e,

    soprattutto, le moschee. Inoltre, evidenzia quali possano essere state le influenze delle

    varie politiche di arabizzazione, il più delle volte affidate a collaboratori egiziani e medio-

    orientali.

    76 B. ETIENNE, 1988, pag. 173. 77 L. GUAZZONE, 1995. 78 L. GUAZZONE, 1995; B. ETIENNE, 1988; A. SPATARO, 1995. 79 L. GUAZZONE, 1995; A. SPATARO, 1995. 80 B. ETIENNE, 1988; A. SPATARO, 1995; R. MIMOUNI, 1996. Per quanto riguarda la predilezione dimostrata per le facoltà scientifiche dai militanti islamici, Mimouni, spiega che le scienze esatte sono considerate neutre. La scienza, dunque rimane sotto il primato della religione. “In certe facoltà, gli integralisti islamici hanno assicurata la riuscita degli esami, quali che siano i risultati ottenuti. I docenti che avessero pensato di respingerli si vedrebbero tacciati di essere miscredenti, poiché avrebbero fatto prevalere i calcoli di resistenza dei materiali sull’onnipotenza divina che può sorreggere una costruzione le cui colonne sono state sottodimensionate, o provocare il crollo di un ponte costruito secondo le norme richieste.” MIMOUNI, 1996, pag. 37.

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    L’islamismo raduna attorno a sé questi giovani, provenienti dalla media e piccola borghesia

    urbana, così come dalle campagne, laureati e non, ma comunque con in comune la stessa

    domanda di identità che non sia espressa attraverso i codici dell’Occidente81. Li inquadra in

    un ambiente, sano e senza promiscuità, allontanandoli dall’alcolismo e dalle strade82.

    L’islamismo restaura un’immagine di sé maltrattata, anche per quanti sono contestati nella

    loro stessa famiglia e nel lavoro dalle rivendicazioni delle figlie, delle sorelle e delle madri,

    o che si sentono umiliati dalla ricchezza e dai comportamenti di una borghesia

    occidentalizzata83.

    I simboli dell’Islam, dunque, restituiscono una identità e una missione, che si esprime

    esteriormente tramite la barba o il velo e tramite un vocabolario, quello dell’Islam, e una

    lingua, l’arabo, che sembrano riconsegnare un’autonomia ideologica e politica rispetto

    all’Occidente84.

    Nel nome della grandezza e della nobiltà della tradizione musulmana, nel nome della

    “specificità” e dell’ “autenticità”, la tematica islamica bandisce i valori universali di libertà,

    democrazia, di emancipazione della donna,… considerati come estranei all’identità arabo-

    musulmana85.

    Dopo questa breve esposizione di dati qualitativi, si è in grado di tracciare un profilo di un

    militante islamico? Il rischio è quello di cadere in facili generalizzazioni.

    Dopo aver soggiornato in un paese come l’Algeria, ci si rende conto che non è facile

    stabilire chi entri nella categoria “islamico” e sulla base di quali differenze.

    Chi abbraccia un progetto politico e una ideologia islamica è da considerarsi islamista

    come chi sgozza, violenta, uccide? Chi reclama l’arabo come la propria lingua affermando

    “non dovevamo scegliere di essere arabi, poiché lo eravamo di già”86, è da considerarsi un

    islamista rispetto a chi fa sua la lingua francese considerandola un “bottino di guerra”?87

    Nelle pagine che seguono si prenderà in esame il fenomeno dell’islamismo in Algeria e, se

    non proprio una risposta a queste domande, intento troppo ambizioso, almeno si cercherà

    di fare un po’ di chiarezza.

    81 F. BURGAT, 1995. 82 A. SPATARO, 1995; B. ETIENNE, 1988. 83 F. BURGAT, 1995. 84 F. BURGAT, 1995. 85 A. LAMCHICHI, 1992, pag. 25. 86 A KHELLADI, 1992. 87 La lingua francese considerata un “bottino di guerra” è una affermazione di Kateb Yacine, adottata da quegli intellettuali algerini che considerano, appunto, come propria lingua il francese rispetto all’arabo classico.

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    2. IL NAZIONALISMO ALGERINO

    2.1 Introduzione: le matrici dell’identità culturale algerina.

    Nell’autunno del 1999, precisamente il 22 Novembre, viene ucciso Abdelkader Hachani, in

    pieno giorno e in uno dei quartieri più popolosi della capitale.

    L’Algeria trema un’atra volta, il terrore è ancora nelle case e nelle strade di Algeri. Nel

    cuore della politica di riconciliazione nazionale intrapresa dal nuovo Presidente della

    Repubblica, Abdelaziz Bouteflika88, impegnato inoltre sul piano internazionale in una

    operazione di “marketing politico”89 per rilanciare l’immagine di un’Algeria democratica,

    l’attentato del numero tre dell’ex-FIS sembra riaprire ferite e ricordi che con grossi sforzi si

    cerca di lasciarsi alle spalle.

    L’assassinio di Hachani approfondisce l’incertezza, aumenta le inquietudini e raffredda

    l’ottimismo di quanti già pensavano di essere usciti da ciò che gli osservatori esterni hanno

    chiamato spesso “guerra civile”.

    La crisi che attraversa l’Algeria affonda le sue radici nel passato, solo la sua scoperta può

    considerarsi recente90. Così molti di coloro che hanno scritto su questo argomento,

    considerano che tutto è iniziato nell’ottobre 1988 – tesi sostenuta anche in quest’analisi –

    quando i giovani sono usciti sulle strade, per gridare il loro desiderio di giustizia sociale e

    moralizzazione della vita pubblica91.

    Luis Martinez92, conosciuto come uno dei migliori specialisti del conflitto algerino, fa,

    invece, una diversa osservazione, mettendo in evidenza che i tempi dell’osservatore non

    88 Nato nel 1937 a Oudja (Marocco), da genitori di Tlemcen. Durante lo sciopero degli studenti deciso dal FLN nel 1956, raggiunge le file dell’ ALN (esercito di liberazione algerino) alla frontiera algero-marocchina nella wilaya V, prima di far parte della Segreteria generale dello Stato Maggiore, sotto la direzione del colonnello Boumediène. Fu collaboratore di quest’ultimo e fu autore dell’intesa intercorsa fra Ben Bella e Boumediène. Bouteflika ha rivestito diversi incarichi durante la sua carriera, tra i quali: deputato all’Assemblea Costituente di Tlemcen; Ministro della Gioventù, dello Sport e del Turismo nel 1962; Ministro degli Affari Esteri dal settembre 1963 al febbraio 1979. 89 La Tribune 90 N. BOUKROUH, 1997. 91 S. LABAT, 1995; N. BOUKROUH, 1997. 92 L. MARTINEZ, 1998.

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    sono necessariamente quelli dei protagonisti. Secondo questo autore, la guerra, oltre che a

    produrre un’identità, un’economia, dei tipi di legami sociali, favorisce anche la riscrittura

    della storia.

    Così i maquisard islamisti diranno di combattere non dal 1992, in seguito all’interruzione

    del processo elettorale, ma dal 1954, vale a dire dall’inizio della guerra di liberazione93.

    Ad ogni modo, l’islamismo non è un fenomeno nuovo che ha fatto bruscamente irruzione

    sulla scena politica e internazionale nel 1988. Esso è, in realtà, la conseguenza di una

    lenta maturazione sia attraverso il tempo, dal momento che l’Islam esiste in Algeria da

    quattordici secoli, che attraverso le scelte politiche ed economiche intraprese dopo

    l’indipendenza94.

    Si tratta, dunque, di un fenomeno complesso, un fenomeno al tempo stesso politico,

    sociale e religioso che, dopo le rivolte del 1988, si pone come interprete della

    contestazione facendo appello all’identità culturale e nazionale95.

    Ma quale identità è genuinamente algerina? E che tipo di musulmani sono gli algerini, che

    non rinunciano al mese di Ramadan, ma che poi bevono normalmente alcolici e mangiano

    carne di maiale?96

    Figli di Allah, ma forse bisognerebbe tenere presente che prima di essere suoi figli, sono

    stati figli, sudditi e combattenti di Syfax, Massinissa97 e Jughurtha98, sovrani del regno

    numida99.

    93 L. MARTINEZ, 1998. 94 A. KHELLADI, 1992. 95 S. LABAT, 1995. 96 A proposito dei doveri religiosi, (preghiera, digiuno, carità, pellegrinaggio) Bourdieu fa notare come questi assumano spesso la forma di manifestazioni sociali, la cui osservanza è imputabile spesso alla pressione del gruppo. Questa forma di religiosità, dunque, che non si può definire tipicamente musulmana, deve essere compresa in riferimento al tipo di sociabilità che favorisce la società algerina. Il rapporto con gli altri, la pressione sociale, fanno in modo che il sentimento della colpa come vergogna davanti ad altri abbia la meglio sul sentimento del peccato come vergogna di fronte a sé o a Dio. Si è osservato spesso, sempre secondo Bourdieu, che ciò che agli occhi dei teologi appare come più superficiale del messaggio coranico, riveste invece la più grande importanza nella vita sociale, mentre non sono le condotte più formalmente prescritte quelle più rigorosamente praticate. Così, come si è potuto osservare personalmente e si accennava poco più sopra, anche Bourdieu riflette sul fatto che siano pochi i musulmani algerini che fanno cinque volte al giorno la preghiera, mentre invece le prescrizioni di secondaria importanza, come i tabou alimentari, la circoncisione o l’obbligo del velo per le donne, sono scrupolosamente osservate e giocano un ruolo importante nella vita della comunità religiosa. P. BOURDIEU, 1961, pag. 95 e segg.. 97 Massinissa, sovrano numida, grande figura di principe prode e coraggioso, guidò la Numidia ad un alto grado di civiltà. Cirta, l’odierna Costantina fu la capitale del suo regno. EL HACHEMI CHERIF, 1995.

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    Figli di tanti padri, quanti hanno attraversato il suolo algerino, lasciando in eredità un po’ di

    loro stessi.

    Usando una immagine presa in prestito dalla geologia, Burgat descrive la cultura e la civiltà

    nord africana come “il prodotto della sovrapposizione di tre strati”.100

    Così, per l’Algeria, il primo è costituito dal fondo berbero, il quale nel tempo, come si

    accennava, ha subito molte influenze. Durante questa prima stratificazione ai cartaginesi,

    ai fenici, ai romani è seguita una parziale cristianizzazione.

    La successiva islamizzazione e l’arabizzazione ci portano al secondo strato, il quale si è

    sovrapposto tra l’inizio del VII secolo e la fine del XI secolo. “Se sul piano etnico e

    linguistico il fondo berbero è parzialmente sopravvissuto, il cristianesimo non ha retto

    all’irrompere del suo concorrente orientale”101.

    Lo strato più recente, il terzo, è quello occidentale che si è sedimentato con la

    colonizzazione.

    La lunga colonizzazione francese – dal 1830 al 1962 – ha rappresentato un’esperienza

    dolorosa e traumatica, durante la quale la violenza scandiva la destrutturazione delle

    esistenti strutture sociali e demoliva i sistemi di riferimento dell’economia e

    d’appartenenza. Fino al momento in cui non saranno rivendicati, ovvero quando il

    colonizzato decide di essere storia102.

    98 Jughurtha, sovrano numida, tentò di unire tutti i berberi in una guerra di resistenza contro la penetrazione romana, fino a quando fu sconfitto e portato a Roma e ucciso per strangolamento. Numerosi autori moderni del Maghreb celebrano in Jughurtha il prototipo del valoroso combattente. Di lui parlò Sallustio in Bellum Jugurthinum (I secolo a.C.). 99 Antichi re della Numidia che possiamo immaginare come figure mitologiche in un “Olimpo algerino”. Il dr. Ahmed Slimani, infatti, li definisce “eroi d’Algeria, che si sono imposti sulla scena della storia per la resistenza tenace che hanno condotto contro il colonialismo e l’egemonia straniera in Algeria. Peraltro questa forma di opposizione di cui danno prova attraverso gli episodi della Storia, ci mostra –in maniera categorica- che il popolo algerino possedeva una unità storica e godeva di un destino comune che noi ritroviamo chiaramente in questo rifiuto dell’intruso dominatore che non ha alcun legame con la realtà politica, culturale ed etnica dell’Algeria.” A. SLIMANI, 1994, pag. 8. Questo breve excursus storico serve, inoltre, per rintracciare le origini etniche d’Algeria. L’etnia a cui appartenevano i numidi era quella berbera. I Berberi costituiscono dall’inizio della storia “il fondo della popolazione nord-africana, nella quale sono venuti a fondersi differenti apporti, punici, romani, giudei, arabi, vandali, neri, quantitativamente assai limitati.” I Berberi comunque non designano un gruppo con una vera unità etnica, ma costituiscono “un complesso etnico di razza bianca apparentato ai bianchi dell’Europa mediterranea. Malgrado le loro diversità etniche i Berberi presentano della caratteristiche comuni molto marcate. La loro lingua, ad esempio, malgrado i differenti dialetti, e le strutture sociali la cui origine è molto antica. Y. LACOSTE, A. NOUSCHI, A. PRENANT, pagg. 67-68. 100 F. BURGAT 101 F. BURGAT, 1995, pag. 48. 102 F. FANON, 1961.

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    Dunque, sebbene - come affermava il 31 Agosto 1858 il generale Ageron103 - lo stato

    colonizzatore avesse come principale scopo la colonizzazione e “per arma l’assimilazione”,

    tramite l’imposizione della legislazione francese e, quindi, la distruzione delle comunità

    agropastorali basate su propri costumi, tradizioni religiose e leggi.104 Sebbene, inoltre, la

    colonizzazione rappresenti lo strato più recente, non è riuscita a “francesizzare” l’eredità

    delle precedenti stratificazioni, nelle quali, come si è detto, si possono rintracciare le radici

    etniche e culturali dell’eterogeneo popolo algerino di oggi.

    La rimonta del fondo arabo–musulmano contesta gli apporti del colonizzatore, mentre “la

    componente berbera contesta nello stesso tempo (e in nome della sua anzianità) la

    preminenza relativa dello strato arabo”105.

    Quando nel 1988 è diventata evidente la frattura che ormai separava la società civile dal

    mondo politico, quando il potere era accusato di essere corrotto, la corrente islamista e

    quella berberista si sono fatte forze di opposizione e contestazione.

    Entrambe hanno fatto appello all’identità algerina, le cui origini storiche erano rintracciate

    nel periodo dell’islamizzazione o all’epoca del regno Numida. Le due correnti antagoniste

    hanno usato le origini culturali e le appartenenze etniche e religiose per arrivare al potere

    ed imporre uno Stato islamico o uno Stato laico, senza tener conto delle problematiche

    sociali poste dalla gioventù algerina nell’Ottobre 1988106.

    Dunque, assieme al berberismo è l’Islam uno degli elementi costitutivi dell’identità del

    popolo e della nazione algerina. La difficoltà è comprendere di quale Islam si tratti107: il suo

    messaggio, gli ideali che incarna, le parole d’ordine, cambiano a seconda del momento

    storico cui ci si riferisce. Cambia volto come cambiano le facce dei nostri interlocutori: a

    103 Archives nationales de France, in M. BENNOUNE, 1998. 104 M. BENNOUNE, 1998. 105 F. BURGAT, 1995, pag. 49. 106 N. BOUKROUH, 1997. 107 Del resto si sa che l’Islam storicamente è tutto il contrario di una realtà monolitica e la religione vissuta di una civiltà sembra essere il risultato di una selezione che è, a sua volta, il risultato della scelta che questa civiltà compie per la sua esistenza. Tutto si svolge come se ogni civiltà, in ogni fase storica, scegliesse, con riferimento al sistema di scelte fondamentali, gli aspetti del messaggio che sono adottati, mentre altri cadranno nell’oblio. È dunque perché esiste un’affinità strutturale tra lo stile di vita proprio alla società algerina che il messaggio coranico è potuto penetrare così profondamente nella società. Così il legame tra la società algerina e la religione musulmana non è quello della causa ed effetto, ma piuttosto dell’implicito e dell’esplicito, del vissuto e del formulato. La religione musulmana fornisce la lingua per eccellenza attraverso la quale si enunciano le tacite regole della convivenza. P. BOURDIEU, 1961.

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    seconda del livello d’istruzione, della formazione intellettuale e religiosa, del sesso, dell’età.

    Cambia se il nostro interlocutore ha il volto di un Tuareg o di un cittadino.

    Attraverso l’evoluzione del movimento religioso si cercherà di comprendere questa nuova

    forma di religiosità che è l’islamismo, strumento per il potere politico come valore rifugio, e

    che affonda le sue radici nella guerra di liberazione nazionale. Quando il popolo ferito,

    sottomesso al codice dell’indigenato108 e ai tributi, devastato dalle epidemie, cacciato dalle

    proprie terre, privato delle sue tradizioni, del sostegno tribale, un popolo impoverito,

    indebolito e analfabeta, per risollevarsi dovrà rispondere a due vitali interrogativi: “Chi

    siamo?” “Che cosa dobbiamo fare?”109

    2.2 Cenni sull’ islamizzazione dell’Africa del Nord.

    L’Algeria non è sempre stata terra dell’Islam. Prima del suo arrivo è stata la patria dei regni

    berberi, dei cartaginesi, dei fenici, dei romani.

    Durante la colonizzazione romana, la cui dominazione escludeva il deserto e gli altipiani

    dell’ovest, la pratica dell’irrigazione e lo sviluppo delle piantagioni di olivi e viti, aumenta il

    numero dei sedentari. Si assiste, inoltre, ad una parziale diffusione della lingua latina e

    della religione cristiana.

    Nella seconda metà del III secolo, la decadenza della forza dell’esercito romano permette

    ai berberi di insorgere. Ma nel 429, dei nuovi invasori occupano le coste dell’Algeria, i

    Vandali. A quest’ultima debole dominazione segue quella bizantina, la quale si estendeva

    solo nella parte orientale del paese110.

    108 Sull’inserto “Cent ans d’Algérie” pubblicato dal quotidiano Le Matin del 30 dicembre 1999, si può leggere riguardo al “Codice dell’indigenato”: “Il buon ordine coloniale regnava fondato sull’ingiustizia e l’ineguaglianza. E questa ineguaglianza è stata istituzionalizzata dalla potenza coloniale, con una serie di leggi, tra le quali il famoso Codice dell’indigenato che regnerà dagli inizi del secolo, fino al 1962, e che fu “migliorato” di continuo per adattare gli interessi dei coloni alle realtà del paese. Il Codice dell’indigenato era una raccolta di misure d’eccezione applicabili agli autoctoni i quali si vedevano così limitate le loro libertà di azione, costretti ad evolversi all’interno di un ghetto giuridicamente limitato. Esso prevedeva delle “misure discrezionali” che permettevano all’esercito francese di reprimere le eventuali rivolte e soprattutto di prevenirle. Esso imprigionava l’algerino in una rete serrata di interdizioni: interdizione di attività politica o sindacale, interdizione di associazione o predicazione religiosa o politica. Questi “delitti” erano tutti passibili di prigione e di deportazione”. 109 A. KHELLADI, 1992. 110 A. LAMCHICHI, 1991.

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    Dunque, all’arrivo degli arabi, nel VII secolo, l’Africa del Nord si presenta con un aspetto

    particolarmente complesso e con forme di organizzazione sociale eterogenee111. Le

    continue invasioni, infatti, avevano provocato la dispersione delle tribù e il loro

    confinamento verso gli altipiani o verso il deserto, lontano cioè dai luoghi di grande

    colonizzazione. Anche dal punto di vista religioso non esiste una uniformità di culto: berberi

    rimasti pagani o ritornati al paganesimo, ebrei, cristiani appartenenti a molteplici sette e

    perseguitati dal cattolicesimo ufficiale112.

    L’Africa del nord appare quindi molto differente sia dall’ovest, il quale non è mai stato

    perturbato e che ha potuto sviluppare una forma di organizzazione tribale. Sia dall’est,

    dove da tempo è scomparsa l’organizzazione tribale e che non ha mai vissuto i grossi

    sconvolgimenti dell’instabilità politica e delle insurrezioni.

    Dal 647 ha inizio la lenta e discontinua penetrazione dell’Islam nel Maghreb che fu portata

    a termine solo nel 683113.

    Infatti, fu proprio quest’Africa centrale, profondamente segnata e destabilizzata ad

    insorgere e ad organizzarsi anche contro questo ennesimo invasore, gli arabi.

    Al contrario di quanto era avvenuto in Asia e in Egitto, dove gli arabi avanzarono

    velocemente per l’adesione delle popolazioni conquistate alla dottrina islamica, nell’antico

    regno numida i berberi organizzano una feroce e tenace resistenza114.

    Come chiariscono gli autori Lacoste, Nouschi e Prenant115, la spiegazione di questa

    resistenza è da rintracciarsi nella recente conquista dell’indipendenza, ottenuta col prezzo

    di una dura lotta. Pertanto, non esistevano le ragioni che avevano spinto numerose

    popolazioni asservite ad abbracciare la religione musulmana, la quale assicurava ai nuovi

    convertiti l’uguaglianza con i conquistatori. L’Islam era, infatti, accolto come una vera

    liberazione dai numerosi schiavi che si affrancavano con la conversione e da coloro che

    riconoscevano nell’Islam una religione più semplice e più tollerante rispetto al cristianesimo

    bizantino116.

    111 Y. LACOSTE, A. NOUSCHI, A. PRENANT, 1960. 112 Y. LACOSTE, A. NOUSCHI, A. PRENANT, 1960. 113 A. LAMCHICHI 1991; C. e Y. LACOSTE, 1991. 114 A. LAMCHICHI, 1991; Y. LACOSTE, A. NOUSCHI, A. PRENANT, 1960. 115 Y. LACOSTE, A. NOUSCHI, A. PRENANT, 1960. 116 Y. e C. LACOSTE, 1991.

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    Gli arabi vennero combattuti dai berberi, in Algeria, come i nuovi colonizzatori e una

    tradizione storica ha tramandato i nomi dei due principali condottieri della resistenza: quello

    di Koseila e quello di Khaina117.

    Sfortunatamente la ricostruzione storica di quel periodo risulta essere molto difficile. È

    certo, comunque, che la lotta fu dura, che i berberi spesso si convertivano per costrizione,

    sebbene non si può omettere di ricordare che non si trattò di una ostilità contro una nuova

    religione. Sembra più fondato pensare che quella berbera fu una resistenza per la propria

    libertà ed indipendenza, piuttosto che una lotta scaturita dall’odio razziale o religioso118.

    Tuttavia, l’azione instancabile dei propagandisti dell’Islam e il fascino di una religione

    semplice e teoricamente egalitaria riuscirono dove aveva fallito la forza militare.

    Nel XV secolo l’islamizzazione è ormai compiuta ed è in quest’epoca che il Maghreb

    centrale assume le proprie caratteristiche linguistiche: l’arabizzazione si era estesa e

    sviluppata lungo le pianure, soprattutto grazie alle relazioni commerciali e politiche. Al

    contrario, i massicci montuosi custodirono la lingua berbera119. L’esistenza di popolazioni

    arabofone e berberofone si traduce in un continuo scambio di specifici tratti culturali, dando

    all’Algeria “le apparenze contraddittorie della diversità e dell’uniformità, dell’unità e della

    molteplicità”120.

    2.3 Il ruolo dell’Islam nella guerra di liberazione nazionale

    “I popoli musulmani sono stati per lo più colonizzati, sono stati recisi dalle loro radici culturali ed è molto naturale che, una volta conquistata l’indipendenza, a quelle ritornino, che ripetano quella ricerca di identità che l’indipendenza nazionale non ha potuto garantir loro.” Rashid Benaisa.

    L’Islam ha avuto un ruolo importante nella costruzione dello stato d’Algeria. Ha

    rappresentato l’ideale per il quale combattere degli invasori più forti e meglio organizzati.

    Ha dato ad un popolo un’identificazione e un orgoglio etnico e nazionale, da opporre a chi

    li guardava come inferiori da civilizzare e intanto distruggeva la sua cultura, le sue

    tradizioni, la sua stessa identità.

    117 A. LAMCHICHI, 1991; Y. LACOSTE, A. NOUSCHI, A. PRENANT, 1960. 118 Y. LACOSTE, A. NOUSCHI, A. PRENANT, 1960. 119 Ibid.

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    Inoltre, la riflessione sull’Islam degli intellettuali musulmani tra la fine dell’ottocento e l’inizio

    del novecento è andata di pari passo con l’elaborazione del concetto di stato-nazione121.

    Ma l’Islam della guerra di liberazione nazionale è anche uno strumento politico del quale si

    servirà il neo-Stato come fondamento della propria legittimità. L’Islam diventa così

    l’elemento costitutivo della strategia politica del regime, quindi la religione viene esaltata

    non per dei specifici valori, ma perché permette di sostenere l’ideologia ufficiale122.

    La religione, dunque, legittima il potere ed è per questo che l’ideologia del FLN sembra

    essere stata tesa nello sforzo di nazionalizzare l’Islam123.

    Per il giornalista e scrittore Aissa Khelladi124, lo stato algerino ha islamizzato il paese

    clandestinamente. Secondo quest’autore, i differenti regimi che hanno combattuto

    l’islamismo come forza destabilizzatrice, allo stesso tempo hanno favorito lo sviluppo

    dell’islamismo stesso, in quanto valore della resistenza al colonialismo. “Un po’ come se il

    potere si ispirasse direttamente a coloro che pretende di combattere, recuperasse per il

    suo profitto le loro esigenze e le realizzasse, senza loro, ma per loro”125.

    Sebbene il nazionalismo algerino sia stato attraversato dalle idee più diverse, di cui la

    componente religiosa non rappresentava che una componente, si impone invece una

    visione monolitica126.

    Si fa valere il mito dell’unità e s’insiste sui pericoli della divisione: alla diversità, alla

    dimensione arabo-berbera dell’Algeria, il “mito dell’algerinità” sostituisce un arabo-

    islamismo opposto a tutte le forme di particolarismo1