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ISTITUTO TECNICO INDUSTRIALE “E. MATTEI”
Via Ferramosca, 82 – 73024 MAGLIE (LE)
Appunti per il corso di
Sistemi Organizzativi
A cura del Prof. A.Del Sole
L’Azienda
In questo paragrafo, prima di passare ad analizzare l’organizzazione la struttura
organizzativa di un’azienda, cosa che faremo nei paragrafi successivi, vedremo di
richiamare alcuni concetti fondamentali riguardanti il termine azienda. Ma prima
ancora di darne una definizione, intesa in termini moderni, è opportuno fare una
breve sintesi di quella che è stata l’evoluzione storica delle imprese industriali.
Dall'antichità sino al 1700 le innovazioni furono orientate sostanzialmente
all'aumento della produttività mentre le tecniche di produzione non variarono. Le
attività industriali (tessili, siderurgiche e meccaniche) avevano luogo nelle botteghe
artigiane che erano basate sul lavoro manuale (poco produttivo) e dotate di
strumenti molto semplici di antica concezione.
Nel Settecento la rivoluzione industriale mutò notevolmente il panorama. La
moltiplicazione delle invenzioni (telaio meccanico, macchina a vapore) accrebbe la
produzione per operaio facendo diminuire i costi. L'Ottocento allargò i settori
produttivi andando al di là di quelli tradizionali (tessili e siderurgici) e operò il
collegamento tra i rami più avanzati dell’industria e la scienza pura.
Grande impulso venne pure dalla scoperta dell'elettricità che fu applicata con un
elevato rigore scientifico. Il Novecento è stato caratterizzato dall'industria
chimica negli anni successivi al dopoguerra, che cominciò a svilupparsi in diversi
settori: materie plastiche, concimi, medicinali, coloranti, fibre sintetiche, ecc. e
dall’enorme sviluppo tecnologico portato dell’elettronica, dall’informatica e dalla
meccatronica (integrazione sinergica di meccanica ed elettronica).
L'industria moderna ha continuato e continua a mantenere questo legame con la
scienza pura svolgendo, a volte, un ruolo propulsivo e innovativo nei confronti della
ricerca. Il legame con la ricerca è maggiormente evidente nelle aziende che
utilizzano tecniche sempre più sofisticate, schemi organizzativi complessi e processi
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di controllo sempre più raffinati; ne è un esempio l'applicazione di tecniche e
tecnologie elettroniche ed informatiche.
Possiamo quindi definire Azienda un insieme organizzato di uomini e mezzi il cui fine
è quello di ottenere un obiettivo: il conseguimento di un utile mediante la
trasformazione di risorse in beni o servizi .
In altri termini gli obiettivi che un'azienda si prefigge (ossia l’utile da conseguire)
possono essere finalizzati a far rendere il capitale investito (utili finanziari) o alla
crescita dell'occupazione (utili di tipo sociale, si pensi ad esempio alle aziende di
stato) od altro (ad esempio l’ampliamento o l’espansione dell’azienda stessa), in
dipendenza delle strategie che l'imprenditore intende perseguire.
E’ opportuno a questo punto precisare che l’attività produttiva di un’azienda non è da
intendersi solo quella finalizzata alla realizzazione di beni materiali, ma anche quella
finalizzata alla fornitura di servizi di qualsiasi natura. Si pensi, ad esempio, alle
banche, alle società di trasporto, alle aziende telefoniche, ai cosiddetti “provider”
(ossia fornitori) di servizi Internet, ecc.; anche queste sono aziende che devono
realizzare degli utili in cambio dei servizi forniti.
Il risultato finale poi, molto spesso non è altro che la risultante del conseguimento
di tutta una serie di obiettivi intermedi; per l'individuazione dell'obiettivo finale e
degli obiettivi intermedi l'azienda deve necessariamente relazionarsi con il
territorio in cui si trova inserita e con cui costituisce un macrosistema. A tal fine è
importante conoscere ciò di cui il territorio ha bisogno o che rifiuta, i prodotti o i
servizi che possono avere sbocchi commerciali, l'entità di questi sbocchi e la loro
evoluzione nel tempo.
Spieghiamo meglio in cosa consiste l’interazione fra azienda e territorio: se si
considera un' azienda qualsiasi, questa interagisce con il territorio su cui opera
modificandolo (con il reddito fornito ai propri dipendenti, con la diffusione dei suoi
prodotti o servizi) ed allo stesso tempo modificandosi (in funzione delle leggi di
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mercato, delle risorse umane disponibili e delle tecnologie).
Stando alla definizione iniziale, le attività innescate da un' azienda sono diverse:
infatti esse devono far produrre utile ad un capitale investito e interagendo con il
territorio (con manodopera e prodotti) modificare la qualità della vita. Si ha quindi
che due elementi, azienda e territorio, interagiscono per il conseguimento di un
bene comune, si crea cioè un macrosistema.
Ognuno degli elementi del sistema considerato è costituito, a sua volta, da un
insieme di entità che avranno sicuramente delle interazioni con elementi diversi di
altri sistemi (magari con aziende di tipo diverso).
Come si può osservare si determinano una serie di collegamenti tra elementi di
sistemi, diversi tra loro, che costituiscono a loro volta un macrosistema politico,
economico, sociale, produttivo). Per condurre un'impresa in modo razionale non si
possono trascurare le relazioni logico-funzionali con le quali è collegata al
macrosistema di cui ne è parte; né si può fare a meno di considerare che l'impresa
stessa è a sua volta un sistema (essendo costituita da uomini e mezzi). Ogni azione
su un singolo elemento deve tenere conto, quindi, di tutti gli elementi con cui è
correlato, considerando opportunamente le modifiche che l'azione stessa puòPag. 4
comportare nell'intorno dell'elemento in questione.
Facciamo adesso alcune considerazioni per spiegare meglio l’impatto che un’azienda
provoca sul territorio, ovviamente parliamo di aziende di una certa dimensione,
analizzando alcuni dei fattori che maggiormente hanno influenza.
L’occupazione è sicuramente fra i fattori a maggior impatto, soprattutto nelle aree
a maggiore disoccupazione, portando reddito a tante famiglie altrimenti in
difficoltà. Queste famiglie poi, avendo maggiore disponibilità economica, possono
spendere acquistando i prodotti della stessa azienda o di altre presenti sul
territorio, che a loro volta ne beneficiano.
Ma l’azienda per lavorare ha bisogno di materie prime, di servizi e di prodotti di
altre aziende, creando così il cosiddetto indotto. Questo poi, se già presente sul
territorio, avvantaggia l’azienda rendendo facilmente disponibili materie prime,
servizi e prodotti che altrimenti debbono essere ricercati in altre aree con
conseguente aggravio di costi.
Possiamo poi notare ancora come in un contesto territoriale ricco di attività
imprenditoriali un’azienda funziona in modo diverso rispetto ad una simile costretta
invece ad operare in un territorio meno fertile da questo punto di vista. E’ quello che
succede alle aziende dell’Italia meridionale che si trovano sempre in difficoltà
rispetto alle concorrenti localizzate in regioni maggiormente industrializzate.
Un altro aspetto riguarda le aziende che utilizzano processi produttivi ad alta
tecnologia che per lavorare hanno bisogno di manodopera altamente specializzata,
oppure, per motivi opposti, le aziende con processi produttivi ad alta manualità che
hanno quindi bisogno di manodopera a basso costo. Le prime infatti difficilmente si
potranno collocare o estendere in paesi in via di sviluppo, dove invece trovano
terreno fertile le seconde.
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Che cosa è l’organizzazione
Si definisce “organizzazione” l’attività che corrisponde in modo sistematico alle
esigenze di funzionalità e di efficienza di una qualsiasi impresa, per lo più collettiva.
Questo in termini generali per qualsiasi tipo di impresa; in particolare
l’ organizzazione aziendale è da intendere come tutta l’attività finalizzata alla
massima efficienza e produttività dell’azienda stessa.
Organizzare, quindi, significa massimizzare l'utilizzo delle risorse disponibili
per raggiungere un determinato obiettivo. L’organizzazione, di conseguenza, è una
attività connaturata da sempre alle attività umane ed è presente anche nei fatti
minimali della vita di ogni individuo.
Quando la massaia organizza il proprio giro di compere, inconsciamente tende a
massimizzare l'utilizzo del proprio tempo, le proprie disponibilità economiche, il
bilancio della propria famiglia. Allo stesso modo un giovane tende a sfruttare al
massimo il proprio tempo distribuendolo tra studi e svaghi, così gli animali imparano
a organizzare il proprio ciclo biologico in sintonia con le abitudini dei loro padroni.
Tutto ciò induce per converso a definire disorganizzato colui che non riesce
palesemente a rispettare impegni e doveri, a non dimensionare le proprie forze
rispetto agli impegni assunti. Da questo punto di vista, quindi, l'organizzazione
sembrerebbe una valenza istintivamente esprimibile da ogni uomo e a questo livello è
spesso sinonimo di buon senso.
L’Organizzazione Industriale ovvero l’Organizzazione Scientifica
del Lavoro
Il termine organizzazione industriale, in base alla definizione che abbiamo dato
prima, viene associato alla razionalizzazione del sistema produttivo con lo scopo di
renderlo più efficiente. Un concetto così esteso finisce per comprendere tutti gli
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elementi che costituiscono l'impresa cioè la sua struttura generale.
La sua nascita risale alla fine del secolo XIX quando la diversificazione delle
fonti energetiche diffuse nelle aziende la presenza delle macchine. Le varie attività
produttive si incrementavano senza diminuzione dei costi di produzione (cioè,
nonostante la produzione fosse elevata il costo per unità di prodotto restava
costante); questo tipo di organizzazione del lavoro lo potremmo definire oggi di tipo
artigianale e dopo spiegheremo il perché.
Il problema si manifestò nella sua ampiezza quando, raggiunto l'equilibrio tra la
produzione e la domanda, si presentò la necessità del confronto con la concorrenza e
con l'esportazione. A questo punto per sopravvivere bisognava divenire competitivi e
questo era possibile solo riducendo i costi di produzione, in altri termini si rendeva
necessario riorganizzarsi.
È questa l'esigenza che fa innalzare l'organizzazione industriale al ruolo di
"Scienza dell'organizzazione del lavoro" con gli studi di Federich W. Taylor (1856-
1915) ed Henry Ford.
L’ organizzazione quindi diventa scienza quando i fattori del problema da esaminare
si moltiplicano, cosicché non è più sufficiente il semplice ricorso a capacità e valenze
individuali. E in termini di scienza l'organizzazione ha una data di nascita, un luogo e
un padrino molto certi: il 1911, a Detroit presso gli stabilimenti della Ford, quando
l'ingegnere Frederick Taylor codificò per primo i principi dell'organizzazione
scientifica del lavoro che da lui prese il nome di taylorismo.
A questo indirizzo di studi si deve probabilmente lo sviluppo industriale del nostro
secolo e, al di là dei contrasti e delle diverse valutazioni, anche etiche, che si
possono dare, esso rimane tuttora la base dell'organizzazione del lavoro. Partire da
Taylor è necessario, infatti, per capire lo sviluppo organizzativo
dell'industrializzazione che attorno alle intuizioni di Taylor ha sviluppato, dagli anni
Dieci a oggi, la sua didattica e la sua dialettica.
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L'idea di Taylor consisteva nel superare la scarsa competenza, competenza circa gli
aspetti, diciamo così, tecnici della produzione, degli industriali suoi contemporanei:
infatti le conoscenze necessarie a realizzare il prodotto, all’epoca erano possedute
principalmente dalla manodopera (e da chi la coordinava), ossia da chi doveva
effettivamente svolgere il lavoro. C’era in altri termini un modo di lavorare di tipo
artigianale, in cui ogni lavoratore-artigiano sa come realizzare il prodotto dalla A
alla Z. Le produzioni in grande quantità si realizzavano aumentando semplicemente il
numero di persone addette. Per Taylor invece, attraverso lo studio scientifico del
lavoro e la cooperazione tra dirigenza qualificata e operai specializzati sarebbe
stato possibile un proficuo rapporto in cui ambo le parti avrebbero ottenuto
vantaggi. Il suo metodo prevedeva lo studio accurato dei singoli movimenti del
lavoratore per poter ottimizzare il tempo di lavoro. La teoria di Taylor si occupò
inizialmente di un ambito prevalentemente produttivo; sono qui riassunti i principali
passi per la determinazione dell'ottima sequenza di movimenti:
Considerare un gruppo di 10/15 operai, versati nel lavoro da analizzare;
Studiare l'esatta serie dei movimenti componenti l'operazione che ogni operaio applica allo stato attuale;
Determinare il tempo necessario per ogni movimento e determinare se esiste una via più veloce per compierlo;
Eliminare ogni movimento lento o inutile;
Stendere la serie ottima dei movimenti così determinata.
Anche oggi viene utilizzata una tecnica simile per determinare il tempo di ciclo di
una stazione produttiva presidiata da un uomo.
Ma Taylor non si occupò soltanto del lavoro degli operai ma anche di quello delle
macchine utensili andando ad analizzare, per ottimizzarli, i parametri di taglio, la
durata degli utensili e la razionalizzazione nell’uso delle macchine.
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Propose, inoltre, di applicare una riorganizzazione anche nella direzione dello
stabilimento, con la creazione di un "dipartimento programmazione" e la creazione di
una serie di capi funzionali che presidiassero le diverse funzioni aziendali. I capi
funzionali erano 8:
1. addetto agli ordini di lavoro e ai cicli
2. addetto alle schede di istruzione
3. addetto ai tempi e ai costi
4. caposquadra
5. addetto alla velocità di esecuzione
6. addetto alla manutenzione
7. ispettore
8. addetto ai rapporti disciplinari
La sua ipotesi, che consisteva essenzialmente nel supporre l'esistenza di una "via
migliore" per compiere una qualsiasi operazione (la "one best way") è la base per la
maggior parte delle critiche mosse al suo modello; altre consistono nell'osservare
che il suo metodo è altamente analitico, ma scarsamente sintetico, in quanto guarda
pochissimo al coordinamento dell'attività degli operai.
L'applicazione pratica di questi principi aprì la strada alla prima catena di
montaggio, introdotta negli stabilimenti della Ford Motor Company nel 1913, che di
fatto modificò tutta l'organizzazione del lavoro nelle industrie.
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Questa consiste in una linea di lavorazione semovente che sposta il materiale in
fabbricazione, posizionato sui pallet, da una stazione di lavoro alla successiva per
mezzo della linea di trasferimento (detta anche transfert), dove operai poco o per
niente qualificati montano le parti componenti. Per la sua realizzazione Ford si ispirò
al sistema di convogliatori da tempo in uso nella lavorazione della carne nel
gigantesco macello della città; essa portava alla massima realizzazione i principi di
organizzazione del lavoro di Taylor: la scomposizione delle mansioni operaie in
operazioni semplici doveva consentire la sostituzione di manodopera qualificata con
manodopera generica, la predeterminazione dei tempi di lavorazione, la forte
crescita della produttività. Impiegata prevalentemente nelle industrie di beni di
consumo durevoli, la nuova tecnica, che si diffuse in Europa dopo la seconda guerra
mondiale, richiedeva la standardizzazione dei prodotti e riduceva notevolmente
costi e prezzi, consentendo l'avvio dei consumi di massa. Portava però alle estreme
conseguenze l'alienazione del lavoro, ridotto a gesti ripetitivi, in rapida successione,
privi di contenuto professionale, contro la quale si scagliò la rivolta operaia della
fine degli anni sessanta in Francia e in Italia.
Infatti, particolarmente trasformata, nel nuovo sistema produttivo, fu la figura
dell'operaio, cui il taylorismo tolse ogni tipo di discrezionalità: mentre in precedenza
egli poteva scegliere i tempi e i modi del suo lavoro, con l'introduzione delle nuove
procedure fu costretto a adattarsi ai ritmi e ai metodi scelti dai dirigenti edPag. 10
imposti dalla cadenza della catena di montaggio. Proprio per questo il taylorismo è
stato fin dall'inizio duramente contestato dal movimento dei lavoratori e dai
sindacati.
Ciò che dovrebbe, secondo Taylor, spingere gli operai ad adattarsi alle nuove
condizioni di lavoro è l'incentivo economico reso possibile dalla maggiore
produttività: Ogni qual volta l'operaio riesce a completare il proprio compito in modo
esatto ed entro il tempo prestabilito, egli percepisce una maggiorazione variante dal
30 al 100 per cento rispetto alla propria paga base. Anche questa versione
strettamente economicista del lavoro è stata contestata dai sindacati, che d'altra
parte Taylor, tutto proteso verso la massima efficienza e il massimo profitto,
considerava inutili, nocivi e destinati alla dissoluzione. In tempi più recenti le
dottrine delle human relations (relazioni umane) e della system analysis (analisi del
sistema), basate sull'analisi di tutta la complessa realtà aziendale, hanno
determinato il superamento del taylorismo e della sua rigorosa ma limitata analisi
del binomio uomo-macchina.
Il processo organizzativo dopo Taylor
Studi e ricerche condotti negli anni a seguire misero in evidenza la necessità di:
aumentare le possibili interazioni sociali fra i lavoratori per interrompere la
monotonia del lavoro ripetitivo;
allargare le operazioni richieste ad ogni operaio, in modo da dare maggiore
varietà ai compiti;
rendere possibili gli spostamenti del lavoro nella linea in modo da poter
cambiare il ritmo, al fine di rendere possibile “accumulare” un po’ di lavoro
(cioè costruirsi un deposito) per poi avere la possibilità di ridurre il ritmo;
alternare un gruppo di operazioni con un altro di carattere sostanzialmente
diverso, oppure alternare la mansione di un operaio con quella di un altro nellaPag. 11
medesima sezione;
allungare il tempo ciclo unitario, ossia quello di ogni singola fase, per
comprendere un maggior numero di operazioni con caratteristiche globali di
maggiore interesse.
Altri studi condotti presso l’Università di Harvard a cavallo degli anni Trenta
portarono alla conclusione che le relazioni umane all’interno di un’azienda sono in
grado di condizionare la produzione quanto l’illuminazione dell’ambiente di lavoro, la
fatica e la retribuzione. Si capì infatti che l’uomo ha bisogno non solo di
retribuzione ma anche di rispetto, affetto, e considerazione delle sue capacità.
Un altro importante contributo è dovuto a Maslow secondo il quale la motivazione
umana (la spinta cioè che muove gli interessi e le azioni degli individui) è organizzata
in una gerarchia di bisogni posti in forma scalare fra di loro e con la peculiarità che i
bisogni di livello via via superiori si manifestano soltanto quando sono totalmente o
parzialmente soddisfatti quelli di livello inferiore.
Utilizzando lo strumento esclusivamente ai fini del tema organizzativo, va detto che
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la grande intuizione di Maslow è che non esiste una risposta univoca da parte di un
individuo, bensì differenti risposte a seconda del livello di bisogni che l’individuo ha
soddisfatto e sta soddisfacendo.
Rileggendo Taylor e le polemiche legate alla sua organizzazione scientifica del lavoro
alla luce di questi nuovi concetti, è chiaro che Taylor ha giocato in un momento in cui
molta forza lavoro stava ancora lottando al primo gradino della scala, quello dei
bisogni fisiologici primari (mangiare, coprirsi, proteggersi) e stava invadendo il
secondo (sicurezza del lavoro, continuità dei benefici legati ad esso).
I detrattori di Taylor, viceversa, avevano incentrato la natura delle loro obiezioni
sulle diversità oggettive degli uomini, un elemento senza dubbio vero ma che emerge
molto dopo nella scala della motivazione umana: quando, dopo la sicurezza, emergono
i bisogni di stima, di appartenenza a un gruppo, di autostima e di autorealizzazione.
Maslow aveva quindi, anche se indirettamente, permesso di codificare che
l’organizzazione del lavoro è strettamente correlata al contesto socio-culturale nel
quale si sviluppa.
Concludendo possiamo sintetizzare vantaggi e svantaggi della teoria di Taylor
mediante il seguente sinottico:
VANTAGGI SVANTAGGI
Standardizzazione dei tempi e deimetodi.
Intercambiabilità delle parti.
Progressione ordinata della realizza-zione del prodotto (attraverso unaserie di operazioni programmate ogniparte da assemblare arriva nel postogiusto al momento giusto).
Trasporto meccanico delle parti e delprodotto fra i vari operatori (catenadi montaggio).
Il ritmo meccanizzato (stressanteper l’uomo).
La ripetitività (alienante)
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Suddivisione delle operazioni inmovimenti elementari (facilmenteanalizzabili ed ottimizzabili).
Gli svantaggi sono poi risultati talmente negativi da provocare, negli anni 1950-70
negli Stati Uniti e 1965-75 in Europa, un vero e proprio rifiuto del lavoro; questa
situazione poi, come sappiamo, è sfociata nelle forti tensioni sociali, negli scioperi e
nelle lotte operaie (poi anche studentesche) che hanno fortemente caratterizzato
gli anni meglio noti, almeno in Italia come “il sessantotto”.
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Le Funzioni Aziendali
In una moderna azienda ben strutturata si possono individuare le seguenti funzioni:
funzioni di base:• Approvvigionamento (Sourcing)• Produzione• Vendita• Logistica
funzioni di supporto:• Marketing• Personale o Gestione delle Risorse Umane• Controllo di Gestione e Finanza• Progettazione - Ricerca e Sviluppo (R&S)
E’ bene osservare che le funzioni di base sono quelle che effettivamente producono,
ossia permettono di ottenere il prodotto, mentre le funzioni di supporto sono quelle
che permettono alle funzioni base di svolgere il loro compito. Ciò non significa che
queste siano meno importanti, in quanto senza il contributo di queste comunque il
buon funzionamento di un’azienda risulta compromesso. Possiamo anzi notare come
per alcune aziende, che operano in mercati particolarmente competitivi, funzioni
come il marketing o la ricerca e sviluppo svolgono un ruolo fondamentale per la
sopravvivenza dell’azienda. Infatti al giorno d’oggi non è più sufficiente produrre
bene a costi competitivi, ma bisogna sapere “cosa” produrre, ossia quello che il
mercato richiede e soprattutto anticipare il più possibile la concorrenza con le
innovazioni tecnologiche.
L’approvvigionamento (sourcing) si occupa di rifornire l’azienda di tutto quanto
necessario al suo funzionamento: materiali, utensili, materiali di consumo vari,
energia, ecc. andando cercarli sul territorio in cui l’azienda opera alle migliori
condizioni (economiche e di fornitura) possibili.
La produzione si occupa di realizzare il prodotto: essa si attiva solo quando il
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prodotto o il servizio è stato completamente definito in ogni suo aspetto, con la
precisazione delle sue caratteristiche tecniche (progettazione), delle esigenze
commerciali (previsioni di mercato e competitività) e dei regolamenti (rispondenza
alle esigenze ambientali).
Per l’attuazione di questa funzione il servizio Produzione potrà far ricorso alle
risorse interne o esterne all'azienda. Le risorse esterne sono costituite dai
contributi offerti dalle altre aziende presenti sul territorio (indotto). Tali
contributi possono essere utilizzati dall’azienda sotto forma di particolari
semilavorati o da sottogruppi che poi vengono utilizzati per la realizzazione del
prodotto finale.
La vendita si incarica della commercializzazione dei prodotti o dei servizi.
Essa è collegata direttamente alla Produzione e deve avere un rapporto privilegiato
con il territorio: per risolvere i problemi del "saper presentare", del "riconoscere",
del "giustificare il costo", per "garantire la distribuzione" e per ogni altro risvolto
che favorisca la massima commercializzazione del prodotto o del servizio. In molte
aziende il compito della vendita viene affidato alle stesse persone del marketing,
funzione della quale si parlerà più avanti.
La logistica è, secondo la definizione data dall'Associazione Italiana di Logistica,
l'insieme delle attività organizzative, gestionali e strategiche che governano
nell'azienda i flussi di materiali e delle relative informazioni dalle origini presso i
fornitori fino alla consegna dei prodotti finiti ai clienti e al servizio post-vendita.
Una definizione più estesa è la seguente: la logistica è l'efficiente trasferimento
dei prodotti finiti, a partire dall'uscita delle linee di produzione fino al consumatore
finale e, in certi casi, comprende il trasferimento delle materie prime dalle fonti di
approvvigionamento all'ingresso delle linee di produzione. Queste attività
comprendono il trasporto, il magazzinaggio, la movimentazione dei materiali,
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l'imballaggio di protezione, la gestione delle scorte, l'ubicazione dei prodotti finiti e
dei depositi, la gestione degli ordini e l'assistenza alla clientela.
Il termine logistica è generalmente accompagnato dalla specificazione dell'ambito
applicativo (ad esempio logistica industriale), anche se secondo la teoria economica
moderna non è più accettabile un'osservazione della filiera organizzativa per
compartimenti stagni, ma anzi bisogna provvedere ad una integrazione delle parti
della stessa.
La filiera organizzativa (supply chain) a sua volta è definibile come l'insieme delle
diverse attività, e dei legami fra di esse, di approvvigionamento delle materie prime,
di trasformazione in prodotti finiti e di distribuzione ai clienti, oltre che delle
infrastrutture necessarie all'esecuzione di tali attività.
L'organizzazione logistica delle imprese è in continua evoluzione, in relazione a quelli
che sono gli impulsi del mercato e ed all’espansione di questi a livello mondiale
(globalizzazione). Negli anni '60 l'accezione di logistica era limitata alla
distribuzione del prodotto finito, e quindi il focus delle aziende era posto sulle
attività di relazione con i venditori al dettaglio. Successivamente si è passati ad
un'attenzione particolare alla filiera interna, per ridurre le inefficienze presenti
nelle relazioni intraziendali. Infine, e questa è la configurazione attuale,
l'attenzione si è posta a tutto il ciclo di vita del prodotto, cioè come già detto,
dall'estrazione delle materie prime al servizio post-vendita. Questo è quello che in
economia viene chiamato Supply chain management
Nelle moderne aziende la logistica ha assunto un ruolo sempre più determinante sia
dal punto di vista della riduzione dei costi che dal punto di vista della soddisfazione
del cliente. Infatti il servizio al cliente è composto da:
1. Rapidità (ovvero velocità delle attività logistiche: tempi di consegna, tempi di
evasione dell'ordine)
2. Disponibilità (intesa come qualità e quantità dei prodotti in stock)
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3. Regolarità (affidabilità delle consegne, evasioni complete degli ordini)
4. Flessibilità
Ovviamente più servizi logistici offre un'azienda più si accresceranno i costi da
sostenere (la relazione servizi-costi non è lineare, per alti livelli di servizio i costi si
impennano) e quindi ogni impresa dovrà trovare un punto di equilibrio soddisfacente.
L’importanza della logistica per l’efficienza economica di un’azienda è legata in modo
particolare alla gestione delle scorte. Qui parliamo di scorte a qualsiasi livello:
materie prime, prodotti finiti, semilavorati, piccoli depositi interoperazionali
distribuiti lungo tutto il processo produttivo; queste infatti rappresentano per
un’azienda un valore monetario, ossia un capitale costantemente fermo,
immobilizzato all’interno dello stabilimento produttivo; un capitale immobilizzato non
può essere investito (in nuove attività aziendali o investito finanziariamente) e
quindi da luogo a mancati guadagni e quindi a delle perdite. In sostanza è necessario
ridurre al minimo tutte le scorte di materiali all’interno dell’azienda per ridurre il
capitale immobilizzato. Questa minimizzazione delle scorte è un compito molto
delicato per la logistica che contemporaneamente deve assolutamente evitare di
far inceppare il processo produttivo o di far mancare o ritardare nessuna fornitura
ai clienti. Mettere a rischio questi fattori comporterebbe infatti delle perdite
(anche in termini di immagine) ben maggiori delle efficienze dovute alla
minimizzazione delle scorte.
Si definiscono Imprese Logistic Oriented quelle imprese che riescono ad offrire un
alto livello di servizio, mantenendo costi contenuti. Attualmente esistono aziende
che svolgono servizi logistici per conto di altre aziende: ciò comporta una riduzione
dei costi da parte dell'azienda che si svincola da tali attività ma parallelamente un
minor controllo e una minor possibilità di gestione di queste funzioni.
Il Marketing, un termine anglosassone praticamente privo di traduzioni in italiano, è
un ramo della scienza economica. Il termine "marketing" prende origine dall'inglese
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market cui viene aggiunto la desinenza del gerundio per indicare la partecipazione
attiva, l'azione sul mercato stesso. Il marketing è quindi sia lo studio descrittivo del
mercato sia l'analisi dell'interazione tra quest'ultimo e l'impresa.
Diverse sono le definizioni possibili del marketing, a seconda del ruolo che
nell'azienda questo viene chiamato a ricoprire in rapporto all'alta direzione, al ruolo
strategico, al posizionamento dell'impresa. Vediamone alcune date da diversi
studiosi che si sono occupati di questa disciplina:
attività umana diretta a soddisfare bisogni ed esigenze attraverso processi di
scambio.
Marketing è anticipazione, gestione e soddisfacimento della domanda attraverso
il processo di scambio.
Il marketing management: consiste nell'analizzare, programmare, realizzare e
controllare progetti volti all'attuazione di scambi con mercati-obiettivo per
realizzare obiettivi aziendali. Esso mira soprattutto ad adeguare l'offerta di
prodotti o servizi ai bisogni e alle esigenze dei mercati obiettivo ed all'uso
efficace delle tecniche di determinazione del prezzo, della comunicazione e
della distribuzione per informare, motivare e servire il mercato.
Marketing racchiude una filosofia e un corpo di conoscenze che orienta e
supporta un'entità organizzata (impresa, ente,...) nel pensiero e nell'azione, al
fine di prevedere, individuare e affrontare i mercati con prodotti, servizi, idee
e metodiche ne soddisfino le esigenze attuali o potenziali, in un continuo
confronto sia con la concorrenza, creando un vantaggio competitivo sostenibile,
sia con l'ambiente esterno"
Il marketing è quella scienza manageriale che tende alla massificazione del fine
del produttore (profit o no profit) insieme alla massificazione della
soddisfazione del cliente, consumatore finale, utente cittadino, individuo.
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Dopo aver riportato alcune delle possibili definizioni che si possono dare del
termine, vediamo di chiarire il ruolo del marketing ossia i compiti della funzione
aziendale con questo nome.
Il marketing può rivolgersi al mercato dei consumatori, oppure al mercato delle
imprese, e in questo caso prende il nome di "marketing industriale.
Elemento fondamentale del marketing è l'essere l'unica funzione aziendale
dichiaratamente rivolta all'esterno; questa attività pertanto può fungere da
"interfaccia" tra l'impresa e il contesto esterno, osservandone il comportamento e
presidiando, almeno in parte, i flussi informativi uscenti dall'impresa (voluti o non
voluti) e incamerando le conoscenze provenienti dall'esterno: tra questi sono
compresi i deboli segnali che consentono di comprendere, sperabilmente in tempo
utile, le modifiche al mercato che si realizzeranno in un prossimo futuro.
Anche l'analisi della posizione competitiva che dovrebbe essere diffusa nella
direzione delle varie funzioni aziendali, spesso è demandata esclusivamente al
marketing.
La funzione Personale o Gestione del Personale, ha assunto negli ultimi tempi la più
moderna denominazione di Gestione delle Risorse Umane, che vuole rimarcare il
nuovo orientamento di considerare i dipendenti di un’azienda come delle risorse di
cui l’azienda stessa dispone e da valorizzare e gestire nel migliore dei modi. Infatti
la gestione delle Risorse umane è una branca delle attività aziendali sempre più
valorizzata ai nostri giorni per cui si tende ad investire in essa per un miglior
rendimento sia umano sia professionale. Vediamo ora quali sono i compiti che questa
svolge. Innanzitutto ha il compito di accertare che ogni addetto sia utilizzato al
meglio delle sue capacità e che ogni ruolo sia occupato dalla persona giusta.
Si attiverà poi per promuovere meccanismi di reclutamento, selezione, formazione,
valutazione, promozione e gestione delle carriere (mobilità interna e riconoscimento
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della professionalità).
Fra i compiti c’è inoltre quello di curare inoltre i rapporti con i sindacati ed in
genere con la società di cui l’azienda fa parte a tutti gli effetti.
L'insieme delle funzioni che permettono all'azienda di ideare, concepire, produrre e
vendere un prodotto o un servizio, nel suo territorio operativo, consistono in attività
eseguite da persone. Queste ultime, che assieme ai mezzi costituiscono l'azienda,
devono essere gestite e collegate tra loro in modo da ottimizzare il patrimonio di
risorse che in essa risiede.
Le funzioni Finanziaria e Controllo di Gestione vengono spesso svolte dallo stesso
ente in quanto riguardano la gestione economica e patrimoniale dell’azienda.
Questa funzione ha lo scopo di tener sempre sotto controllo la resa del capitale
investito, segnalando con tempestività a tutte le funzioni ogni inversione di
tendenza. Questo si ottiene attraverso un capillare controllo del processo
industriale in tutte le sue fasi con una esatta e continua contabilizzazione di tutti i
costi aziendali, delle perdite di manodopera e degli scarti di produzione, facendo il
confronto con gli utili conseguiti dalla vendita dei prodotti. In tal modo, in caso di
profitti con allineati con le previsioni o con gli obiettivi prefissati dalla Direzione
Generale saranno resi possibili tempestivamente interventi correttivi interni
(ideazione di nuovi prodotti, progettazione di prodotti tecnologicamente più validi,
aumento della produzione, incremento delle vendite, diminuzione del personale) o
esterni sul territorio. E’ questo il compito svolto dal Controllo di Gestione.
Come si è già detto all'inizio di questa trattazione l'obiettivo principale di ogni
azienda è quello di trarre utili dal capitale investito. Questo obiettivo può essere
anche temporaneamente sostituito da obiettivi intermedi quali la crescita
qualitativa del personale, l’aumento o il rinnovamento delle attrezzature o la
penetrazione sul mercato (espansione dell’azienda). A lungo termine però il ritorno
economico deve comunque sempre essere garantito.
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Progettazione. II risultato conseguito dalla funzione Marketing sarà
l'individuazione di un prodotto, o di un servizio, che soddisfa le esigenze del
territorio in cui è inserita l'azienda. Ad esempio per un' azienda industriale che
produce elettrodomestici il nuovo prodotto individuato potrebbe essere una
lavastoviglie. Per procedere alla fabbricazione di questo nuovo prodotto sarà
necessario l'intervento della funzione di progettazione. Questa funzione lavorerà in
collaborazione col Marketing, considerando sempre in modo adeguato le esigenze del
mercato per quanto concerne le caratteristiche tecniche ed ecologiche del prodotto
(ad esempio, nel caso della lavastoviglie, la regolamentazione sulla sua rumorosità, la
composizione delle acque di scarico, l'impiego dei detersivi esistenti, la potenza
elettrica disponibile negli impianti casalinghi, ecc.).
La progettazione quindi è in generale un processo che produce un piano (progetto)
per la realizzazione di un oggetto funzionale o estetico. Per progetto generalmente
si intende un insieme di documenti tecnici quali disegni, specifiche tecniche,
specifiche di collaudo, tramite i quali vengono definiti tutti gli aspetti costruttivi e
funzionali necessari a realizzare (produrre) il prodotto. Questa attività è anche
indicata con il termine anglosassone Design, a sua volta utilizzato come
abbreviazione del termine industrial design che in italiano significa letteralmente
"progettazione industriale". Definisce l'insieme delle attività di ricerca e
progettazione finalizzato alla realizzazione di un qualsiasi prodotto di consumo sia
materiale (come una sedia o un’automobile) che immateriale (come un software),
attraverso la scelta e la combinazione di materiali, dispositivi di funzionamento,
conformazioni formali ed adeguati processi industriali per la produzione e la messa
sul mercato. Queste attività investono sia gli aspetti funzionali, tecnici e ergonomici
di un qualsiasi oggetto d'uso, che gli aspetti formali, simbolici e culturali che lo
distinguono e lo caratterizzano.
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Comunemente si tende a pensare che il design riguardi soltanto il disegno della
forma e dell'apparenza di un prodotto, mentre invece si tratta di un processo
completo e articolato che dalle primissime fasi di esplorazione e generazione di
un'idea, si svolge fino alla definizione finale di un prodotto e la sua collocazione sul
mercato.
Alla funzione di Progettazione è spesso affiancata quella denominata Ricerca e
Sviluppo, R&S (in inglese Research and Development, R&D); questa viene usata
generalmente per indicare quella parte di un'impresa industriale, che viene dedicata
allo studio di innovazioni tecnologiche da utilizzare per migliorare i propri prodotti,
crearne di nuovi, o migliorare i processi di produzione.
Concludiamo questo capitolo dicendo che tutte le funzioni che operano all’interno di
un’azienda devono essere coordinate. L’azione di coordinamento è svolta in primo
luogo dalla Direzione Generale che ha il compito di operare le scelte ed intervenire
con le decisioni necessarie nel momento opportuno.
Concludiamo la trattazione relativa alle funzioni aziendali con una riflessione: il
mercato attuale è caratterizzato da una serie di parametri:
Elevata concorrenza
Ciclo di vita dei prodotti sempre più breve
Complessità dei prodotti
Lead-Time concesso dal cliente al fornitore sempre più stretto
Erosione dei margini di profitto
Crescita delle aspettative della clientela nei riguardi del "Livello di Servizio"
L'obiettivo aziendale è principalmente quello di conquistare, soddisfare, mantenere
e quindi fidelizzare il cliente. Il raggiungimento di tale obiettivo passa in particolar
modo per le funzioni aziendali Marketing e Ricerca e Sviluppo. Per i motivi prima
citati, a queste si aggiunge la Logistica.
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Le Strutture Organizzative
Riprendendo quanto detto nel primo capitolo, affinché le varie funzioni all'interno
dell'azienda possano esplicare la propria attività risulta necessaria la loro
organizzazione. L'organizzazione ha il compito di individuare le attività da svolgere,
di ricercare le correlazioni necessarie tra di esse, di riunirle in gruppi e di
assegnarle alle persone. Questo processo di correlazione e di coordinamento
costituisce la struttura organizzativa dell'azienda.
La struttura organizzativa dell'azienda si può presentare in forme diverse, in
funzione delle attività svolte e dei diversi criteri utilizzati nello stabilire le
correlazioni.
La rappresentazione grafica degli enti e delle correlazioni esistenti fra di essi
costituisce l'organigramma. Esso rappresenta, quindi, una sintesi della struttura
dell'azienda ed è tanto più comprensibile quanto più piccola è l'azienda. Col crescere
delle dimensioni nell’organigramma complessivo si riportano soltanto i principali
servizi e le loro correlazioni.
L'organigramma deve essere modificato ogni qual volta viene modificato l'assetto
dell'azienda. Se ad esempio la direzione decide una nuova produzione, questa dovrà
essere introdotta nella struttura e dovrà essere messa in relazione funzionale con
tutte le altre attività. Nell’organigramma si riportano solitamente le funzioni ed
anche i nomi delle persone responsabili che le rappresentano e le coordinano al loro
interno.
Di seguito verranno esposte in modo sintetico, le principali tipologie organizzative
che un’azienda può assumere:
1) La struttura semplice o elementare;
2) La struttura funzionale gerarchica.
Le strutture funzionali modificate:
3) La struttura per progetti;Pag. 24
4) La struttura a matrice;
5) La struttura divisionale.
La struttura semplice
Sono soprattutto le imprese nate da poco, di piccole dimensioni e di tipo
imprenditoriale ad assumere, questo tipo di assetto, che ha nella flessibilità e nella
capacità di adattamento al mutare delle situazioni, i suoi punti di forza.
Si caratterizza nei seguenti aspetti:
è presente un vertice strategico (direzione) avente a capo una persona o un
ristretto numero di persone adatto ad interagire con un ambiente semplice;
vi è una dipendenza diretta di tutti gli organi operativi dalla direzione e quindi
siamo in presenza di un solo livello gerarchico; di conseguenza vi sono delle
responsabilità ben definite.
Presenta come svantaggi che è impossibile lavorare in gruppo o prendere decisioni
condivise e che ogni componente della struttura ha competenze specialistiche e
quindi non è possibile spostare persone da un settore ad un altro.
Rappresenta l'espressione tipica dell'imprenditorialità tradizionale.
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La struttura funzionale gerarchica
In strutture di questo tipo si hanno dei dirigenti specializzati per funzione, o meglio
per gruppi di funzioni aziendali della medesima specie, che fanno capo alla Direzione
Generale. In altri termini ogni funzione aziendale, che nelle grandi aziende è
composta da diverse persone ha una figura responsabile che coordina tutto il gruppo
e lo rappresenta nei confronti della Direzione Generale. In aziende più piccole, dove
ogni funzione aziendale può essere svolta da una sola o poche persone, avere un
dirigente responsabile non ha senso per cui si affida ad un unico dirigente il
coordinamento di più funzioni, ovviamente aggregando funzioni aziendali della stessa
specie. Ad es. specie economica, quali l’approvvigionamento, la logistica, il controllo
di gestione; specie tecnica, quali la produzione, il marketing, la progettazione, ecc.
La struttura funzionale è quindi caratterizzata dai seguenti aspetti:
i capi delle direzioni funzionali detengono un potere organizzativo non
indifferente per l'ampiezza dei ruoli tecnico-direttivi occupati; è quindi
richiesta a questi un’alta specializzazione. Pag. 26
vi è un allungamento della struttura gerarchica per far fronte alla complessità
di articolazione, con conseguente allungamento dei processi decisionali;
c’è la possibilità di lavorare in gruppo nell’ambito della stessa linea funzionale;
Non vi sono collegamenti diretti, quindi flussi di informazione, fra persone
appartenenti a funzioni diverse. Il collegamento può esserci solo attraverso i
capi funzionali.
Per ovviare ai limiti della struttura funzionale sono nate le strutture modificate.
La struttura per progetti
La struttura per progetti è derivata da quella per funzioni e deve il suo nome alla
presenza accanto alle funzioni canoniche di organi specializzati per progetti,
coordinati dai project managers; si intendende per progetto un insieme di attività
di progettazione e/o produzione di unità o lotti specifici di un dato prodotto, che
per la loro complessità e rilevanza, richiedono l'impiego di operatori con diversa
qualificazione, i quali però sono inseriti abitualmente nell'ambito di vari organi
permanenti in una logica funzionale. Si caratterizza quindi dal fatto che gli organi di
progetto sono composti da operatori tratti dalle unità funzionali, che continuano ad
operare regolarmente su tutti i processi produttivi correnti dell'impresa. Si ha
quindi una duplice dipendenza dei membri degli organi di progetto, dalla struttura di
progetto per quanto riguarda lo svolgimento di esso, e dall'organo tecnico
permanente. In altri termini gli organi di progetto pur svolgendo la loro attività
nell’ambito dell’ente di dipendenza (gerarchica) dedicano una parte delle loro
attività lavorativa al particolare progetto in cui sono stati inseriti; per tale attività
dipendono funzionalmente dal project manager, anch’esso un dirigente dell’azienda.
Fra i vantaggi di questo modello di organizzazione troviamo la snellezza
organizzativa, dovuta al fatto che ogni progetto si occupa di un solo prodotto o di un
gruppo limitato di prodotti. In altri termini ogni progetto è una mini azienda
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all’interno dell’azienda, ma ogni mini azienda può però contare nel suo operato sulle
potenzialità di organismi più grandi, ossia gli enti di appartenenza dei vari organi di
progetto. Per contro la doppia dipendenza degli organi di progetto dal project
manager e dal suo capo gerarchico può creare disagi, per cui il modello funziona
soltanto se vi è intesa fra i vari livelli dirigenziali.
Se ogni progetto dell’azienda riguarda un determinato prodotto la struttura diventa
per prodotto, ma la sua logica funzionale non cambia: in questo caso avremo i
product manager, solitamente uomini del marketing che coordinano i dedicati di ogni
altra funzione aziendale al fine di garantire la migliore gestione del prodotto stesso.
Si noti a questo punto che un’azienda normalmente non strutturata per progetto o
per prodotto, possa organizzarsi in tal senso solo per seguire determinate attività
ritenute strategicamente importanti, per le quali la direzione voglia dedicare la
massima attenzione.
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La struttura a matrice
La struttura a matrice è così definita dalla rappresentazione grafica che se ne può
fornire ponendo da un lato le linee funzionali e dall'altro quelle di
prodotto/progetto.
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La struttura a matrice ha gli stessi criteri ispiratori di quella a progetto, ma se ne
discosta per una caratteristica importante: gli organi specializzati non gestiscono
processi produttivi correnti (come nella struttura per progetti) bensì rappresentano
soltanto delle aggregazioni professionali di specialisti, i quali sono permanentemente
assegnati ai diversi progetti in corso. La flessibilità della struttura a matrice è
notevole, e rappresenta la risposta organizzativa a condizioni di estremo dinamismo
nei mercati.
La struttura divisionale
Queste strutture sono caratterizzate da organi di primo livello specializzati per
"divisioni" e cioè per combinazioni produttive particolari identificate da un gruppo di
prodotti o da un mercato, accanto ai quali si hanno unità centrali di staff, per
processi produttivi comuni alle divisioni o per funzioni di coordinamento.
Le divisioni sono quindi delle unità operative autonome nell’ambito dei propri
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prodotti e delle funzioni di cui dispongono, ma che si appoggiano alle funzioni di
staff per tutti gli altri servizi. E’ necessaria una struttura di questo tipo quando
sono presenti all’interno di stessa azienda prodotti molto diversi fra loro o l’azienda
opera su mercati diversi per cui ogni divisione si specializza in differenti direzioni.
A conclusione di questa breve trattazione delle strutture organizzative è bene
sottolineare come l’organigramma di un’azienda evidenzi oltre alla sua struttura
anche i collegamenti, ossia le vie della comunicazione. In passato si è spesso
sottovalutato l’aspetto della comunicazione fra i vari organi aziendali sia in verticale
lungo la linea gerarchica che in orizzontale fra i vari livelli e quindi fra posizioni di
pari responsabilità. Oggigiorno invece c’è la chiara consapevolezza che la
comunicazione debba essere sempre chiara, veloce e più diretta possibile all’interno
di un’azienda in modo da velocizzare il più possibile la percezione dei problemi e la
loro rapida risoluzione creando una coscienza aziendale ed un volere comune e
condiviso.
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La Lean Production
Il termine Lean Production significa letteralmente produzione snella. Essa
rappresenta un modo, per certi versi rivoluzionario, comunque innovativo, di
concepire la produzione industriale nel suo complesso. E’ la forma più evoluta di
organizzazione della produzione industriale conosciuta ai giorni nostri, che ha avuto
origine in Giappone, ma che si sta rapidamente imponendo come uno degli strumenti
più moderni ed efficaci per garantire alle aziende la flessibilità e la competitività
che il moderno mercato richiede.
La Lean Production è stata concepita, sviluppata ed adottata per la prima negli
stabilimenti della Toyota Motor Company a partire dagli anni sessanta. Per questo
motivo viene spesso indicata anche con il termine Toyota Production System (TPS).
Padre indiscusso della Lean Production è l’ingegnere Taiichi Ohno, stretto
collaboratore di Eiji Toyota figlio di uno dei fondatori della omonima casa
automobilistica.
L’ingegner Ohno quindi già all’inizio degli anni sessanta e con la stretta
collaborazione di E. Toyota, rivoluziona l’intero sistema produttivo aziendale con una
serie di scelte e di provvedimenti che rimarranno nella storia dell’industria e
dell’economia giapponese e mondiale e che costituiranno la base del nuovo sistema
produttivo e gestionale, denominato poi Lean Production. I principali interventi
apportati da Ohno sul sistema sono:
- riduzione dei tempi di attrezzamento delle macchine;
- produzione per lotti;
- riduzione della forza lavoro, ma posto di lavoro garantito a vita per i dipendenti
rimasti
- dipendenti concepiti come membri di una comunità, coinvolti ed integrati nel lavoro
dell’azienda, con la possibilità di ricevere promozioni sulla base dei meriti nel
lavoro svolto;Pag. 32
- flessibilità dei lavoratori, addestrati ed in grado di eseguire molteplici mansioni;
- introduzione di gerarchie aziendali anche presso i livelli operativi, con la creazione
di squadre di operai con caposquadra;
- creazione di circoli di qualità ed introduzione del concetto di kaizen, cioè del
miglioramento continuo in tutte le attività aziendali;
- responsabilizzazione degli operatori che hanno la facoltà di interrompere il flusso
produttivo in presenza di difettosità che possano compromettere il corretto
funzionamento del sistema;
- introduzione di controlli qualità a livello di processo, per limitare il più possibile le
difettosità nei semilavorati e quindi nel prodotto finale;
- manutenzione dei macchinari e correzione degli errori di processo attraverso
controlli sistematici e periodici secondo schemi procedurali ben precisi.
Come si può vedere tutte queste innovazioni, e per l’epoca erano delle innovazioni
veramente rivoluzionarie, hanno un denominatore comune che cambia radicalmente il
modo di concepire la forza lavoro, riconoscendole un ruolo fondamentale nella vita
dell’azienda, responsabilizzando gli operatori sulle mansioni svolte, affidando loro la
qualità del prodotto, ma affidando loro anche la cura e la manutenzione delle
attrezzature produttive, intraprendendo inoltre tutta una serie di iniziative volte
ad elevare il senso di appartenenza dei dipendenti all’azienda. Nell’evoluzione della
“filosofia” produttiva basata sulla produzione snella, ai giorni nostri si parla anche di
rovesciamento della piramide aziendale, ossia di un modo radicalmente diverso di
concepire l’azienda, in cui il processo produttivo a costituire il vertice aziendale;
tutte le restanti funzioni, compresi i manager e la direzione, devono lavorare di
supporto ad esso. Il processo produttivo è poi a sua volta governato dalle esigenze e
dalle richieste del cliente, in modo da ottenere la sua massima soddisfazione (Total
Customer Satisfaction).
In conseguenza agli interventi apportati da Ohno, l’azienda Toyota vede
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incrementare la propria produzione e vede diminuire considerevolmente i propri
sprechi. Molte altre aziende giapponesi seguono l’esempio fornito da Toyota con
interessanti sviluppi per tutta l’economia nipponica.
Negli anni ’60 le aziende giapponesi grazie alla Lean Production guadagnano un
enorme vantaggio competitivo sui produttori di massa del mondo (soprattutto su
europei e statunitensi) e per circa venti anni sono in grado di espandere
costantemente la propria quota di mercato nel settore automobilistico.
A partire dagli anni ’80 molte aziende europee e statunitensi hanno cominciato ad
adottare i criteri della produzione snella capitalizzando le esperienze dei
precedenti venti anni delle concorrenti giapponesi, anche se è solo negli anni novanta
che in Europa si raggiunge la consapevolezza della superiorità di questo modello
produttivo e si cerca di adottarlo diffusamente. Nel 1989 infatti Womack e Jones,
statunitensi e principali studiosi e sostenitori della produzione snella, hanno
pubblicato il loro famoso libro “La macchina che ha cambiato il mondo”; da allora
si è iniziato a parlare di Lean Production, ma anche di Lean Manufacturing e di Lean
Enterprise, per indicare le differenze tra il sistema manifatturiero giapponese e le
classiche logiche gestionali dell’industria occidentale.
Successivamente gli stessi autori coniano il termine Lean Thinking, per fare
comprendere al mondo occidentale che i successi delle imprese giapponesi non sono
nati per caso o solamente grazie alla rigorosa applicazione di alcune tecniche di
management in fabbrica, ma grazie ad un modo completamente diverso di “pensare”
l’azienda ed il suo rapporto con il mercato. Non si tratta solo di un nuovo modo di
gestire le aziende, ma di un approccio sistematico per rendere le aziende occidentali
più “snelle” ed orientate al cliente. Il punto di partenza della “filosofia lean” è
costituito infatti dalla comprensione del concetto di “valore” visto nell’ottica del
cliente.
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Ma vediamo ora di spiegare cosa significa in pratica produzione snella. Il primo
aspetto da considerare è, come già detto, il valore per il cliente, cioè le
caratteristiche possedute dal prodotto che consentono di soddisfare le esigenze
del cliente ad un dato prezzo ed in un certo momento. Le combinazioni dei fattori
quali la percezione della qualità del prodotto acquistato in rapporto alla concorrenza
ed, in rapporto al prezzo complessivamente pagato, contribuiscono a determinare il
“valore”. Da questo punto di vista esistono tre tipi di attività:
Attività che creano valore, come ad esempio: o Montare una ruota su un telaio di una bicicletta, o trasporto aereo di un passeggero da Roma a Milano,
Attività che non creano valore, ma sono inevitabili, come ad esempio:o ispezionare le saldature del telaio per garantire la qualità, o far transitare il passeggero da un altro aeroporto,
Attività che non creano valore e possono essere eliminate.
Il secondo aspetto fondamentale è quindi il concetto di spreco, cioè qualsiasi
attività, svolta da un’azienda, che assorbe risorse e non crea “valore” per il cliente
finale. In sintesi i principali tipi di sprechi che possono presentarsi sono:
1. sprechi per prodotti difettosi2. sprechi di sovrapproduzione3. sprechi per scorte4. sprechi di processo5. sprechi di trasporto6. sprechi di movimento7. sprechi per attese
Si tratta di aspetti che in pratica non apportano nessun valore al prodotto finale e
pertanto dovrebbero essere eliminati, anche se tuttavia, alcuni di essi sono
essenziali per gestire in modo ottimale il flusso dei materiali, come attese,
trasporti, movimenti e scorte. Vediamo di descrivere brevemente in cosa consistono
gli sprechi su elencati.
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Sprechi per prodotti difettosi
Ogni volta che si produce un pezzo difettoso oppure è necessario correggere un
difetto per rendere un pezzo funzionale, il materiale, l'energia, le attrezzature ed il
lavoro necessario per fare questi lavori sono sprechi rilevanti. L'obiettivo è di
eliminare le cause della non-qualità evitando di inviare i pezzi difettosi alle
lavorazioni successive.
Sprechi di sovrapproduzione
Lo spreco per eccesso di produzione si verifica se si produce quando non è
necessario produrre, oppure si produce in modo non bilanciato. E' uno degli sprechi
più rilevanti. E' necessario produrre solo i prodotti richiesti, quando sono richiesti e
nella quantità richiesta. Compito della Produzione sarà quello di bilanciare i vari
impianti e la mano d'opera in modo da non creare sprechi per scorte intermedie e
attese della mano d'opera.
Sprechi per accumulo di materiale e di beni (Scorte)
L’accumulo di materiale in eccesso rispetto ai valori programmati, sia esso materia
prima in attesa di lavorazione, o semilavorati sulle linee produttive, oppure prodotto
finito in magazzino o in arrivo dai fornitori é da considerare come uno spreco di
spazio e di risorse finanziarie. I Livelli di stock "fuori controllo" nascondono anche
altre inefficienze logistico produttive.
Una buona organizzazione della produzione stabilisce oltre ai tempi, anche i
quantitativi di materiali da impiegare alle linee di fabbricazione e la loro modalità di
trasporto e di impiego (esempio: un bilanciamento errato delle linee di montaggio
causa oltre alle perdite di produttività per bassa saturazione degli operatori anche
accumuli di pezzi fra le varie stazioni di montaggio).
Sprechi di Processo
Questo tipo di spreco si verifica quando il processo produttivo non dispone delle
attrezzature o delle procedure ottimali, quando il personale non è sufficientementePag. 36
addestrato, quando si producono pezzi con macchine che dispongono di capacità
maggiore di quella richiesta per quel tipo di prodotto e che possono portare
all'allungarsi del ciclo produttivo o ad operazioni inutili o ad un eccesso di
produzione con spreco di risorse e di movimentazione.
Sprechi di trasporto
Spreco per la movimentazione dei materiali, delle persone e delle informazioni. La
movimentazione dei materiali, delle persone e delle informazioni sono sprechi
perché non aggiungono alcun valore ai prodotti, sprechi che non è possibile eliminare.
L'obiettivo è quindi quello di ottimizzarli riducendo, per i trasporti e le persone, le
distanze che i materiali e le persone percorrono all'interno della fabbrica; per le
informazioni, eliminando i documenti e le richieste di informazioni inutili e senza
motivo. Per esempio, nelle linee di montaggio si vedono numerose volte gli operai
percorrere una decina di metri per recarsi presso un contenitore colmo di pezzi,
spesso di diverso tipo, e rovistare alla ricerca di quello che gli serve, a volte senza
riuscire a trovarlo. Il tempo impiegato in questa ricerca non da alcun valore aggiunto
alla produzione. Ottimizzando il metodo di lavoro, lo stesso operatore dovrebbe
trovare il pezzo necessario in un contenitore ben ordinato, posizionato presso la sua
postazione di lavoro con i pezzi già orienti per essere caricati sulle macchine.
Sprechi di movimento
Lo studio dei movimenti e l'eliminazione dei movimenti inutili è un argomento ben
conosciuto dagli specialisti dei tempi e metodi, quello che ancora non è ben compreso
é lo studio ergonomico dei posti di lavoro (altezza del tavolo di lavoro, posture, pesi
trasportati, ecc.) che è fondamentale per il benessere, per la qualità e per la
produttività del lavoratore. Tutti i movimenti inutili e tutte le posizioni
ergonomicamente non corrette sono causa di spreco e vanno eliminati.
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Spreco per Attese
Lo spreco per attese si verifica ogni volta che il tempo non è utilizzato in maniera
efficace. Questo tipo di spreco è immediatamente visibile e comprensibile se si fa
riferimento ad operatori fermi in attesa di materiali, mezzi di produzione, guasti
alle linee e set-up degli impianti, il controllo di questi sprechi sarà uno dei compiti
principali del controllo della produzione. Esempio: gruppi di lavoratori inattivi ed in
attesa perché ci sono ritardi, errori, guasti o mancano materiali in una attività a
monte.
Si potrebbe a questo punto sintetizzare il concetto di Lean Production come quella
strategia aziendale o quel modo di concepire la produzione industriale che consente
di massimizzare il valore aggiunto attraverso la rimozione degli sprechi. Volendo
esprimere in un altro modo il concetto si potrebbe dire che l’azienda che produce in
modo snello è quella che riesce ad impiegare la metà delle risorse finora impiegate
migliorando la qualità dei propri prodotti.
Ma come fare per perseguire questi ambiziosi obiettivi? Innanzitutto è necessario
che si crei una coscienza aziendale ed una partecipazione di tutti i dipendenti ai
problemi dell’azienda. Perché e solo con il piccolo contributo quotidiano di ogni
lavoratore, ogni impiegato ed ogni dirigente che si riesce ad avviare a portare
costantemente avanti il kaizen, ossia il processo di miglioramento continuo che porta
al successo l’azienda e la mantiene competitiva nel tempo. Ma ci sono anche degli
strumenti gestionali, che rendono snella e flessibile l’organizzazione di un’azienda.
Verranno di seguito analizzati i principali.
Il Just in Time (JIT)
Il JIT può essere considerato come un insieme di tecniche che hanno come
obiettivo quello di far pulsare il sistema produttivo in sintonia con il mercato e nello
stesso tempo cercare di ridurre il più possibile gli sprechi. Si tratta di un
meccanismo molto complesso che realizza la continuità all’interno delle varie fasi di
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produzione e consente di legare il sistema produttivo al mercato. Just in Time
significa ottenere la quantità e la tipologia di prodotto giusto al momento giusto e al
posto giusto. Questo è composto da tre sottoelementi:
- Sistema Pull;
- Sistema One-Piece-Flow;
- Takt Time.
Il JIT consente a tutto il personale di affrontare i problemi della produzione e
infonde la consapevolezza degli sprechi, rivela i problemi di produzione e genera il
meccanismo del miglioramento continuo (Kaizen).
A causa della sovrapproduzione, lo spreco più diffuso quando è applicata la
produzione per lotti, è quello di un eccesso di scorte. Questo comporta quindi
sprechi per materiale in giacenza, con tutte le conseguenze del caso già analizzate
in precedenza. Inoltre spesso nonostante gli alti livelli di scorte il rischio di non
disponibilità di un certo tipo di materiale risulta spesso maggiore. Per risolvere
questo problema è necessario prevedere un prelievo più frequente di materiale da
parte dei processi a valle rispetto ai processi a monte, ma solo limitatamente alla
quantità ad al numero di componenti strettamente necessario per portare avanti la
produzione.
Il sistema Pull invece consente l’avanzamento del flusso produttivo secondo quanto
richiesto dal cliente (tirato appunto dal cliente) e non secondo quanto programmato
dall’ufficio programmazione produzione. I metodi finora utilizzati in occidente sono
stati improntati su un potenziamento dei metodi previsionali e di gestione e
controllo della complessità. Toyota ha implementato per prima un approccio
completamente diverso: tutto è incentrato sull’insieme di rapporti cliente–fornitore.
La “logica cliente–fornitore” considera i processi collegati tra loro e ciascuno di essi
è interpretato come “cliente” del processo a monte e come “fornitore” del processo
a valle. In questa ottica il cliente deve richiedere il materiale di cui ha bisogno per
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soddisfare le richieste del processo che si trova a valle, senza il bisogno di
ricorrere alle previsioni; il fornitore deve disporre di una scorta di materiale, che
consenta di soddisfare le richieste del cliente. Tale scorta, giunta ad un livello
limite, deve essere ripristinata, per garantire ulteriore disponibilità di materiale
per il cliente, ma senza comportare livelli eccessivi di scorte.
Un processo di tipo pull è caratterizzato da:
- produzione generata dal consumo del cliente;
- il cliente preleva dal magazzino solo ciò che è strettamente necessario
quando è necessario;
- il fornitore ripristina il magazzino solo quando riceve il segnale di
svuotamento;
Il sistema One-Piece-Flow si propone di instaurare nel sistema produttivo
l’avanzamento dei componenti lavorati un pezzo alla volta seguendo un flusso
continuo. Il materiale attraversa i reparti nel modo più rapido e le scorte sono
ridotte al minimo. Chiaramente spesso questo metodo si rivela un caso limite.
L’obiettivo diviene allora quello di implementare la soluzione più prossima che
consiste in una produzione caratterizzata da: lotti minimi, set-up (messa a punto
delle attrezzature per cambio tipo) frequenti, spedizioni frequenti, macchine
disposte secondo schemi flessibili e sincronizzate nei tempi ciclo. A questo
proposito proprio per semplificare il flusso produttivo, l’approccio lean prevede
l’adozione di macchinari di piccole dimensioni, semplici e flessibili, disposti spesso
secondo schemi che facilitano la gestione contemporanea di più dispositivi da parte
dell’operatore (disposizione delle macchine a “U”, come in figura).
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Con una cellula di lavoro disposta come in figura, un solo operatore può gestire
contemporaneamente più macchine, quando è richiesta una bassa cadenza
produttiva, oppure può essere portata la linea alla massima cadenza posizionando un
operatore per ogni postazione. Bilanciando poi le diverse operazioni, ossia
assegnando lo stesso tempo ciclo ad ognuna di esse, è possibile tarare la cadenza
produttiva in base alle richieste del cliente.
Per ridurre le scorte interoperazionali occorre che:
- la qualità sia ad un livello tale da garantire la continuità del flusso;
- le macchine siano affidabili e la manutenzione sia rapida e semplice da eseguire;
- i tempi di set-up siano ridotti;
- i macchinari siano ben bilanciati tra loro;
- le procedure di lavoro, i cicli e l’addestramento siano standardizzati.
I vantaggi conseguiti da una gestione One-Piece-Flow sono:
- produttività;
- flessibilità nel mix;
- flessibilità nella capacità produttiva;
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Il Takt time, è un altro sottoelemento base del sistema JIT. In tedesco il termine
takt significa “metronomo”, ovvero lo strumento utilizzato in musica per battere il
tempo. Questo termine è stato esportato in Giappone negli anni ’30, quando i
tedeschi istruivano i giapponesi nella costruzione degli aeroplani.
Il Takt time è quindi il ritmo con il quale il bene viene richiesto dal mercato. Come si
è già detto, infatti, in un sistema snello la produzione deve avvenire al ritmo del
mercato, per evitare da un lato la sovrapproduzione, con conseguente creazione di
scorte e dall’altro lato la sottoproduzione, che ha come conseguenza l’impossibilità
di soddisfare le richieste del cliente.
Per definire il Takt time (Tt) occorre tener presenti le seguenti procedure:
a) definire l’orizzonte temporale per la valutazione del Tt;
b) determinare il volume di vendita previsto nel periodo precedentemente stabilito;
c) determinare il tempo lavorativo a disposizione;
d) calcolare il Tt come rapporto tra il valore determinato al punto c) e quello
determinato al punto b);
Una volta ottenuto il ritmo con cui il sistema deve produrre per soddisfare il
mercato, è opportuno fare in modo che tutti i tempi ciclo del sistema siano il più
possibile prossimi al Takt time in modo tale che i processi risultino correttamente
bilanciati con il minimo spreco di risorse e con livelli ridotti di scorte
interoperazionali.
Fin qui si sono presi in considerazione i vantaggi apportati dal JIT al sistema
produttivo. Esistono tuttavia anche una serie di problematiche da non sottovalutare.
Il sistema JIT non tollera errori ed inefficienze: anche un breve ritardo di un
fornitore o di una lavorazione può comportare la paralisi dei reparti a valle. Per
ridurre al minimo questi rischi occorre che l’azienda abbia un sistema altamente
efficiente sotto diversi punti di vista.
Per quanto riguarda la gestione interna:
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• in fase di progettazione occorrono principi di razionalità e standardizzazione che
riducano al minimo le scorte di semilavorati attraverso l’uso di componenti
modulari;
• negli impianti occorre avere la massima affidabilità, in modo da ridurre al minimo i
tempi di fermo macchina per guasti;
• nei sistemi informativi occorre rilevare e comunicare in tempo reale l’avanzamento
della lavorazione e le dimensioni dei magazzini.
Per quanto riguarda la gestione esterna:
• nel rapporto con i fornitori occorre garantire le consegne nelle scadenze e nelle
quantità previste, rispettando gli standard qualitativi richiesti;
• nei trasporti: occorre garantire la massima affidabilità e assicurarsi che il
materiale trasportato non si danneggi;
• nell’ambiente sociale occorre limitare il più possibile scioperi ed assenteismo.
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La Qualità in Azienda
Nel corso del tempo il significato attribuito al termine qualità si è evoluto
diventando sempre più ampio, ossia andando ad interessare sempre maggiori settori
dell’attività aziendale. Negli anni settanta, la qualità era intesa semplicemente come
conformità alle specifiche di progetto e veniva garantita secondo severi controlli
sulla produzione. Questi ultimi erano eseguiti alla fine del processo produttivo da
personale tecnico specifico ed erano del tutto separati dalle altre funzioni aziendali.
Un primo ampliamento del concetto di qualità si ottiene se si pensa che questa non
deve essere necessariamente riferita a proprietà intrinseche del prodotto, ma può
riguardare anche qualsiasi caratteristica ad esso associata che lo renda esclusivo o
più appetibile di altri sul mercato: qualità del servizio di vendita, rapidità ed
affidabilità del tempo di consegna, assistenza post-vendita, ecc.
Le nuove forme organizzative (soprattutto in ottica Lean Production) ed una
moderna concezione dell’azienda hanno portato anche in questo campo un diverso
approccio, in genere noto con il nome di Total Quality Management, che abbraccia
tutti i vecchi concetti, integrandoli con l’idea di customer satisfaction. La qualità
viene quindi ad essere messa al pieno servizio delle esigenze del cliente, sia esso
esterno o interno all’impresa, con conseguente rilettura dell’intera organizzazione
produttiva alla luce della nuova visione. Inoltre, andando contro al criterio
tradizionale, il concetto di qualità viene associato direttamente alle attività di
trasformazione e viene pertanto incorporato nei processi, rendendo superfluo il
controllo a fine linea della qualità dei prodotti. Questo nuovo assetto della
produzione è particolarmente innovativo e rivoluzionario perché comporta una
partecipazione solidale di tutti gli operatori, sensibilizzati alla soddisfazione del
cliente e ad obiettivi di miglioramento continuo (kaizen).
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Il Total Quality Management
Il miglioramento del livello qualitativo può essere realizzato solo a condizione che
venga innanzitutto svolta un'efficace azione direzionale. Considerando che la qualità
del prodotto deve essere garantita in ogni fase del processo, il controllo non può
avere luogo esclusivamente nella fase terminale; assume quindi significato il termine
Total Quality Control, che afferma che per rispettare gli standard qualitativi
prefissati, il controllo deve iniziare sin dall'attività di progettazione e
programmazione del prodotto e continuare sino alla consegna dello stesso.
Il rispetto di tali propositi impone all'impresa di apportare notevoli cambiamenti
orientati:
alla diffusione, presso tutte le aree aziendali, di un orientamento alla qualità;
alla creazione di un sistema gestionale-organizzativo focalizzato verso il
decentramento delle responsabilità e lo snellimento delle procedure;
allo sviluppo di gruppi di lavoro concentrati sui miglioramenti qualitativi da
apportare a livello di procedure, processi e prodotti;
all'affinamento di strumenti statistici per il controllo della qualità.
Questa concezione è naturalmente frutto della rivoluzione portata dall’industria
giapponese con la Lean Production: il modello fordista-taylorista della catena di
montaggio era permeato dall’idea di fondo che interrompere la continuità della
produzione fosse antieconomico. "Move the metal!" era l’ordine perentorio. Il nuovo
concetto di qualità nato in Giappone, ha invece insinuato l’idea che fosse più
remunerativo arrestare la linea per correggere i difetti ed evitare che questi si
amplificassero nel tempo e nelle fasi a valle, con i conseguenti costi di rilavorazione
del prodotto finito. Tale sistema comporta anche un maggiore coinvolgimento
dell’operatore, che, anziché essere un mero esecutore, come nel modello “fordista”,
viene ad essere responsabilizzato alla correzione dei difetti per soddisfare le
aspettative del suo cliente a valle. Si ottengono in tal modo benefici in termini di
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tempo (i difetti vengono trovati e corretti prima) e diventano minori i costi per il
maggior numero di attività diverse assegnate all’operatore: controllo qualità,
manutenzione, ridefinizione delle procedure, etc. Inoltre la nuova ottica del
miglioramento continuo, pur comportando interruzioni del flusso produttivo, causa in
genere limitate fermate della linea ed una quantità di difetti inferiore a quello
proprio del vecchio modello.
Come negli altri approcci visti precedentemente anche nel Total Quality
Management, l’applicazione delle tecniche non si limita all’ambito aziendale, ma si
estende anche ai fornitori: in molti settori l’incidenza degli acquisti sul costo del
prodotto è ingente; la qualità del prodotto finito dipende quindi in larga misura dalla
qualità dei suoi componenti acquistati. Non ci si può pertanto limitare ad un mero
controllo di qualità all’ingresso, ma bisogna concordare e pianificare i rapporti con i
fornitori alla luce dei nuovi criteri per organizzare anche i loro processi produttivi
secondo le regole del Total Quality Management.
Co-makership e co-design sono i termini con cui si indicano i nuovi contratti di
fornitura in un’ottica di qualità: bisogna innanzi tutto selezionare un certo numero di
fornitori con cui instaurare un rapporto duraturo; dopo ad aver analizzato la loro
process capability, ossia la capacità del loro processo produttivo di essere stabile e
di garantire la qualità richiesta, si introduce un sistema di auditing (verifiche) per
controllare costantemente il livello degli standard di qualità. Naturalmente il
substrato necessario è un rapporto di collaborazione e mutua fiducia che coinvolga
entrambe le parti.
Gli strumenti del Total Quality Management.
L’obiettivo principale di questo concetto di qualità in azienda, consiste nel condurre
ogni processo in uno stato di controllo statistico, eliminare cioè le cause
sistematiche di variazioni delle caratteristiche fisiche, chimiche, dimensionali,
funzionali ed estetiche del prodotto finito, in modo che le variazioni residuePag. 46
presenti siano attribuibili al caso. Quando il processo si trova in tale stato, la
process capability ne misura la capacità di limitare il numero e l’ampiezza di
variazioni casuali.
Strumenti essenziali per il controllo statistico del processo (Statistical Quality
Control) sono: i fogli di raccolta dati, gli istogrammi, i diagrammi causa-effetto, i
diagrammi di Pareto, le carte di controllo (carte x-R).
Foglio di raccolta dati
Gli scopi per cui le aziende raccolgono dati sono molteplici. Si distingue, quindi, tra:
dati per la comprensione della situazione attuale: ad es., i dati raccolti per
valutare la dispersione delle quote dei pezzi in uscita dal processo produttivo, o
per verificare la percentuale di pezzi difettosi contenuti in un lotto in arrivo.
Attraverso il confronto tra dati rilevati e dati di riferimento prefissati è
possibile ricavare delle stime sullo stato dei lotti ricevuti e del processo
produttivo.
dati per analisi: sono usati per determinare la relazione tra un difetto e la sua
causa.
dati per il controllo dei processi di produzione: sono usati per controllare la
qualità dei prodotti e per valutarne il rispetto degli standard prestabiliti.
dati di regolazione: sono dei dati di riferimento che dettano quali siano le azioni
da intraprendere in funzione del livello registrato.
dati per l'accettazione o il rigetto: sono usati per accettare o respingere pezzi
e prodotti dopo un controllo. Essendo assai dispendioso un controllo su tutti i
pezzi e componenti, si ricorre al controllo per campionamento, tenendo ben
presente lo scopo per il quale si raccolgono i dati. Il campione deve rispecchiare
al meglio la realtà globale.
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Istogramma
Dopo la fase di raccolta dei dati occorre elaborare uno strumento in grado di
organizzarli in modo significativo.
I dati servono per calcolare il valore medio (detto anche valore atteso) ed il grado
di dispersione attorno a tale valore, in modo che si possa decidere se un lotto
ricevuto può essere accettato (o un lotto prodotto, spedito) oppure no.
Per dispersione si intende la distribuzione delle osservazioni attorno al valore
atteso (che generalmente viene a coincidere con la specifica desiderata); per
frequenza si intende il numero delle osservazioni che ogni valore ha riportato.
Vediamo di chiarire con un esempio: ipotizziamo che un'impresa produca dei
blocchetti metallici, il cui spessore rappresenta la caratteristica da controllare. Le
specifiche richiedono uno spessore di 5 mm, con uno scarto di tolleranza di 0.15 mm.
Vengono prelevati casualmente dalla linea di produzione con una determinata
frequenza (ossia a distanza di un determinato tempo) 50 esemplari ai quali viene
misurato lo spessore: tali valori vengono riportati in un foglio raccolta dati e poi
organizzati come indicato dalla tabella sotto riportata:
Classe Frequenza
4.75 – 4.80 1
4.81 – 4.85 4
4.86 – 4.90 4
4.91 – 5.00 14
5.01 – 5.10 15
5.11 – 5.15 9
5.16 – 5.20 3
In tale tabella la frequenza indica quanti campioni hanno dato una misura contenuta
nella relativa classe di tolleranza (il totale fa quindi 50).
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Per costruire l'istogramma occorre riportare su un grafico a barre verticali la
suddetta tabella:
0
2
4
6
8
10
12
14
16
4,75-4,80 4,81-4,85 4,86-4,90 4,91-5,00 5,01-5,10 5,11-5,15 5,16-5,20
Frequenza
L’istogramma consente di individuare immediatamente, a prima vista, quale sia
l’entità dei prodotti non rispondenti alle specifiche e chiarisce di conseguenza
l’esigenza di eventuali azioni correttive.
Diagramma causa-effetto
Attraverso gli strumenti precedentemente analizzati si realizza che i pezzi prodotti
non sono tutti uguali, ma presentano un certo grado di dispersione attorno al valore
medio. Tale dispersione può essere dovuta:
- alle materie prime;
- alle macchine ed alle attrezzature;
- ai metodi di lavorazione.
Le materie prime differiscono leggermente nella loro composizione a seconda della
fonte di approvvigionamento (fornitore); le macchine possono avere prestazioni
lievemente differenti in base al grado di utilizzo; anche i metodi di lavorazione
raramente si mantengono perfettamente identici con il trascorrere del tempo.
Tale situazione può essere analizzata attraverso il cosiddetto diagramma causa-
effetto, rappresentato nella figura seguente:
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Il procedimento utilizzato è il seguente: ogni persona o gruppo di lavoro che vuole
studiare un particolare risultato (effetto) deve enumerare quante più possibili
cause ritenga collegate all'effetto che sta studiando e deve cercare di strutturarle
secondo i quattro rami disegnati nello schema in modo da dividerle in grandi
categorie.
Tra tutte quelle indicate, si selezionano poi le cause ritenute più importanti per
l'effetto che si sta studiando e si formulano delle ipotesi o contromisure che le
riducano, se non eliminino completamente.
Diagramma di Pareto
Il diagramma di Pareto permette di individuare quale problema debba essere risolto
per primo, al fine di ridurre la difettosità e migliorare il processo produttivo.
Per costruire un diagramma di Pareto, sull'asse delle ordinate vengono elencate
tutte le voci di difettosità, in senso decrescente di importanza o di frequenza con
cui si presenta, mentre sull'asse delle ascisse vengono riportate le frequenze
relative. É bene osservare che l’importanza di un difetto dipende da diversi fattori:
può essere legata semplicemente alla ricorrenza, ossia alla frequenza con cui il
difetto si presente; oppure può dipendere dal disturbo che tale difetto può causare
nel processo a valle; molto importante per un’azienda customer oriented è un difetto
che ha delle probabilità di non essere intercettato e di arrivare al cliente finale,
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EFFETTO
MaterialiMateriali Metodi di lavorazione
Attrezzatura Manodopera
oppure priorità assoluta hanno i difetti che possono avere implicazioni sulla
sicurezza dei prodotti. Si riporta di seguito l’esempio di un diagramma di Pareto:
F
E
D
C
B
A
Cau
se d
i dif
etto
sità
Frequenze re lative
Carta di controllo
Senza nulla togliere all’utilità degli strumenti finora analizzati, possiamo dire che le
carte di controllo sono la sostanza del Controllo Statistico del Processo. Infatti,
mentre gli istogrammi o i diagrammi di Pareto “si limitano” a registrare le
caratteristiche dei pezzi prodotti, l’SPC (Statistical Process Control) idealizza il
comportamento della macchina utensile o del processo in generale, guardandolo dal
punto di vista matematico, o meglio statistico; ne fissa le caratteristiche principali
(accuratezza e precisione) e misura l'evolversi di queste grandezze nel tempo,
tramite appunto le carte di controllo. Queste ci permettono di sapere proprio se le
condizioni in cui opera il processo hanno subito modificazioni o variazioni. Ciò
permette di prendere provvedimenti ben prima che si arrivi a superare le specifiche
o tolleranze assegnate dal progettista, cioè ben prima di arrivare alla produzione di
pezzi difettosi.
Le aziende manifatturiere effettuano normalmente un controllo di questo tipo: ogni
tot pezzi (tot dipende da diversi fattori quali: cadenza produttiva, regolarità del
processo, entità dei controlli da eseguire) ne viene misurato uno, per verificare se le
impostazioni della macchina utensile sono corrette.
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A volte, soprattutto nelle macchine a controllo numerico, vengono controllati
accuratamente soltanto il primo o i primi due pezzi, dopodichè la macchina viene
fatta lavorare a regime. In questo tipo di controllo si fa riferimento ai limiti di
tolleranza, cioè alle specifiche tecniche indicate sul disegno.
Parametri come la precisione e l'accuratezza della macchina (spesso quelle di
"targa", e non quelle verificate con un studio apposito, chiamato "analisi della
capacità del processo") vengono in tal modo assunti noti e costanti. Purtroppo questa
assunzione non è sempre vera, ed il controllo statistico permette appunto di tenere
sotto controllo tali parametri in modo preventivo.
La caratteristica più importante delle carte di controllo è che sono sempre appaiate:
una per il valore medio (x) ed una per il range (differenza fra il valore massimo e
quello minimo - R) del campione prelevato dalla produzione. Per questo motivo tali
strumenti vengono anche detti carte x-R. Questi due parametri misurano
rispettivamente l'accuratezza e la precisione della nostra macchina utensile.
Sulle carte di controllo sono presenti due linee, dette linee di controllo. Queste
linee, calcolate con metodi statistici in base alle misure rilevate fino a quel
momento, servono da "campanello di allarme". Se un punto oltrepassa queste linee si
può ragionevolmente ritenere che il processo sia fuori controllo, cioè che una
perturbazione stia agendo sul processo/macchina e ne stia modificando
l'accuratezza e /o precisione.
Potrebbe essere qualsiasi cosa: un cambio nel materiale, un abbassamento di
tensione, un problema nel sistema di lubrificazione, un cuscinetto danneggiato, etc.
Tale strumento infatti non dà indicazioni sulla causa che ha generato la
perturbazione, si limita solamente a segnalare che il sistema ha perso la sua
stabilità. In SPC il controllo viene effettuato prendendo come riferimento i limiti di
controllo, e non quelli di tolleranza. Ovviamente i limiti di controllo sono più stretti
di quelli di tolleranza, in modo che un pezzo fuori controllo è tuttavia un pezzo nei
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limiti di tolleranza e quindi non di scarto. Non dimentichiamoci che l’obiettivo del
controllo statistico del processo è quello della produzione a zero difetti, per cui un
processo tenuto sotto controllo raramente genera pezzi non conformi.
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