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Jazz Blues Black − Jazz − Modern art jazz Gianni Bardaro Pierluigi Villani Unfolding Routes 2013 - EmArcy 28/08/2013 - di Vittorio Formenti Gianni Bardaro è un musicista di origine laziali (Formia) ma che da tempo risiede in Danimarca; Gianni suona il sax alto, ha radici bandistiche – bop – classiche ed è soprattutto un compositore ed un attento studioso del suono; la sua arte è testimoniata nei suoi precedenti cinque lavori dei quali ricordiamo Soul Blueprint (EmArcy 2012) per la spinta moderna. Pierluigi Villani è un percussionista campano da tempo noto ed apprezzato anche sulle nostre colonne per la capacità di vivere la musica oltre che di suonarla, come documentato già nell’eccellente The 4 One (EmArcy – 2011). Due anime mediterranee che in perfetta simbiosi pubblicano un lavoro a conferma, qualora ce ne fosse bisogno, del livello di eccellenza raggiunto dalla nuova generazione dei jazzisti di casa nostra che, come da triste tradizione, sovente emigrano per potersi esprimere. Unfolding Routes é un lavoro estremamente ricco di stimoli e di espressioni, vitale nella sua organicità e nella sua compattezza così come accessibile per la

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JazzBluesBlack−Jazz−Modernartjazz

Gianni Bardaro Pierluigi Villani UnfoldingRoutes2013-EmArcy

28/08/2013-diVittorioFormenti

Gianni Bardaro è un musicista di origine laziali (Formia) ma che da tempo risiede in Danimarca; Gianni suona il sax alto, ha radici bandistiche – bop – classiche ed è soprattutto un compositore ed un attento studioso del suono; la sua arte è testimoniata nei suoi precedenti cinque lavori dei quali ricordiamo Soul Blueprint (EmArcy – 2012) per la spinta moderna. Pierluigi Villani è un percussionista campano da tempo noto ed apprezzato anche sulle nostre colonne per la capacità di vivere la musica oltre che di suonarla, come documentato già nell’eccellente The 4 One (EmArcy – 2011). Due anime mediterranee che in perfetta simbiosi pubblicano un lavoro a conferma, qualora ce ne fosse bisogno, del livello di eccellenza raggiunto dalla nuova generazione dei jazzisti di casa nostra che, come da triste tradizione, sovente emigrano per potersi esprimere.

Unfolding Routes é un lavoro estremamente ricco di stimoli e di espressioni, vitale nella sua organicità e nella sua compattezza così come accessibile per la

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sua logica e per la sua chiarezza di idee; l’ideale per cogliere cosa può voler dire fare del jazz al giorno d’oggi.

Il lavoro attacca con qualche battuta alla Coltrane per poi svilupparsi in una trama alla “New Thing” più comunicativa: Marion Brown e Sanders tanto per capirci. Linee melodiche chiare, semplici, brevi, analizzate e sviluppate con senso di comunanza e di empatia tra i musicisti. Il primo e l’ultimo brano sono esemplificativi di questo approccio che vede energia e compostezza, slancio ed equilibrio in perfetta compenetrazione tra ottone e pelli. Un duo completo che riesce a dimostrare come uno più uno possa fare molto più di due.

Al lavoro degli artisti citati va aggiunto quello del bassista danese Andreas Hatholt, assolutamente al vertice quando si dedica agli ostinati usati come base per dare vita al complesso e parimenti a suo agio nei chorus solisti. La successione di Signs of Lights e di Four Ways Before the Exit (forse il vertice del disco) è estremamente illuminante; nel primo è la batteria a proporre un sincopato attorno a cui ruotano gli altri, nel successivo è il basso elettrico ad assumere il ruolo con una batteria che diventa strumento quasi melodico ed un sax che si permette qualche slancio in più rispetto allo standard, inserendo umori latini e orientali che ricordano (alla lontana) la logica di Steve Coleman. Episodi compatti e liberi al contempo.

Il gruppo è a suo agio anche nelle ballate (Unfolding Hearts e Shifting Route) che propongono a cavallo tra lirismo e algidità astratta, sottraendo retorica ed aggiungendo stimoli, soprattutto per il fraseggio del sax che non stiracchia note zuccherine ma usa soprattutto l’enfasi armonica. Da questo punto di vista (l’armonia) il trio non pare particolarmente provocatorio; non si ascoltano schemi arditi o ricerche inusuali, pare che vengano preferite scale semplici, quasi modali, su cui sviluppare un discorso chiaro e in qualche modo più libero; beninteso, è una sensazione nostra, potremmo aver preso lucciole per lanterne (e gli artisti ci vorranno scusare) ma ciò facilita l’accostarsi da parte dell’ascoltatore.

Resta la nostra impressione circa la ricerca del suono, delle traettorie, degli schemi circolari e minimalisti che favoriscono la percezione delle idee musicali e che permettono una lettura chiara del tutto; anche laddove il bop interviene (Boppel) il sax non esagera, prende le note in modo chiaro e crea un perfetto elastico con la batteria che non si stressa mai fino al punto di deformarsi. A conclusione un cenno alle percussioni cubane, suonate da Yohan Ramon con il classico e splendido effetto di conferire calore con i propri interventi. In sostanza, un gran bel lavoro da assaporare lentamente, ripetutamente e con attenzione, con la certezza del retrogusto che permane; tra il meglio dell’anno ascoltato fino ad ora.