la buona societa di zygmunt bauman

1
* 49 LUNEDÌ 14 NOVEMBRE 2011 l a R e p u b b l i c a CULTURA I n quale mondo vorrei vivere? In verità, non posso dire molto. Ciò perché, prima di tutto, in 60 anni di impegno nella sociologia, non sono mai stato bravo a profetiz- zare. In secondo luogo, alla fine di una vita imperdonabilmente lunga, l’uni- ca definizione di buona società che ho trovato dice che una buona società è tale se crede di non essere abbastanza buona. Pertanto, preferisco concen- trarmi non tanto sul mondo nel quale vogliamo vivere, quanto sul mondo in cui dobbiamo vivere, semplicemente perché non abbiamo altri mondi nei quali scappare. Mi riferisco a una cita- zione di Karl Marx, il quale affermava che le persone fanno la loro storia, ma non nelle condizioni da loro scelte. Ogni volta che la sento, mi ricordo an- che una storiella irlandese che ci rac- conta di un guidatore il quale ferma la sua auto e chiede a un passante: «Mi scusi, signore, potrebbe cortesemente dirmi come posso arrivare a Dublino da qui?». Il passante si ferma, si gratta la testa e dopo un po’ risponde: «Bene, caro signore, se dovessi andare a Du- blino non partirei da qui». Questo è il problema: sfortunatamente, noi stia- mo iniziando da qui e non abbiamo nessun altro punto dal quale partire. Intendo pertanto sottolineare come il mondo dal quale partiamo “diretti a Dublino”, qualsiasi cosa Dublino qui voglia dire, è pieno di sfide e di compi- ti urgenti, in sostanza improcrastina- bili. Penso che se il XX secolo è stata l’e- poca in cui le persone si chiedevano “cosa” bisogna fare, il XXI secolo sarà sempre di più l’era nella quale le perso- ne si faranno la domanda su “chi” farà ciò che va fatto. Esiste una discrepanza tra gli obiettivi e i mezzi a nostra dispo- sizione. Mezzi che sono stati creati dai nostri antenati, che hanno dato vita al- lo Stato-nazione e lo hanno dotato e ar- mato di molte istituzioni estremamen- te importanti, fatte su misura dello Sta- to-nazione. Per quanto concerne lo Stato-nazione, esso era veramente l’a- pice dell’idea di autogoverno e sovra- nità, l’idea di essere a casa e così via. So- prattutto, lo Stato-nazione era un affi- dabile e impeccabile mezzo di azione collettiva, strumento per raggiungere gli obiettivi sociali collettivi. Questo veniva creduto al di là della differenza tra “destra” e “sinistra”. Lo Stato-na- zione era in grado di implementare le idee vincenti. Perché era così? Perché lo Stato-nazione veniva considerato, e in larga misura lo fu per abbastanza tempo nella storia, la fattoria del pote- re e della politica. Quello tra potere e politica è un matrimonio celebrato in cielo, nessun uomo può distruggerlo. Potere significa abilità nel fare le cose. Politica significa abilità nel dirigere quest’attività di fare le cose, indicando quali cose devono essere fatte. Ora, ciò che sta accadendo oggi è l’indubbia se- parazione, una prospettiva di divorzio, tra potere e politica. Potere che evapo- ra nello cyberspazio e che si manifesta migliante all’efficacia dello strumento del controllo politico sul potere, dell’e- spressione della volontà popolare, cioè la rappresentanza e la giurisdizio- ne, realtà sviluppatesi e bloccatesi al li- vello dello Stato-nazione. Alla luce di questa discrepanza, ogni volta che sento il concetto di “comu- nità internazionale”, piango e rido allo stesso tempo. Non abbiamo nemme- no iniziato a costruirla. I nostri proble- mi sono davvero globali, ma possedia- mo solo i mezzi locali per affrontarli; ed essi sono spudoratamente inadeguati in ciò che chiamo “globalizzazione ne- gativa”. Negativa nel senso che si ap- plica a tutti gli aspetti della vita sociale che hanno una cosa in comune: si trat- ta dell’indebolimento, l’erosione, la non considerazione delle abitudini lo- cali, delle necessità locali. La “globaliz- zazione negativa” abbraccia poteri co- me la finanza, il capitale, il commercio, l’informazione, la criminalità, il traffi- co di droga e d’armi, il terrorismo, ec- cetera. Non è seguita dalla “globalizza- zione positiva”. A livello globale, non abbiamo niente di lontanamente so- al compito. Perciò la domanda che suggerisco sarà probabilmente que- stione di vita o di morte per il XXI se- colo. Chi se ne occuperà? Quella sarà la questione. Non ho la risposta a questa doman- da, posso solo proporre alcune parole di incoraggiamento. È abbastanza no- to Edward Lorenz, con la sua tremenda scoperta che persino gli eventi più piccoli, minuscoli e irrile- vanti potrebbero – dato il tempo, data la distanza – svilupparsi in catastrofi enormi e scioccanti. La scoperta di Lo- renz è conosciuta nell’allegoria di una farfalla, a Pechino, che scuoteva le ali e cambiava il percorso degli uragani nel Golfo del Messico sei mesi più tardi. Questa idea è stata accolta con orrore perché andava contro la natura della nostra convinzione che possiamo ave- re piena conoscenza di quello che verrà dopo. Andava contro la teoria del tutto. Che possiamo conoscere, predi- re, addirittura creare, se necessario con la nostra tecnologia, il mondo. Ri- cordo che in questa scoperta di Lorenz c’è anche un barlume di speranza ed è molto importante. Consideriamo cosa sa fare una farfalla: una gran quantità di cose. Non trascuriamo i piccoli mo- vimenti, gli sviluppi minoritari, locali e marginali. La nostra immaginazione va lontano, oltre la nostra abilità di fa- re e rovinare cose. Nella nostra storia umana abbiamo un numero rilevante di donne e uomini coraggiosi che, co- me farfalle, hanno cambiato la storia in maniera radicale e positiva. Davvero. L’unico consiglio che posso dare allo- ra: guardiamo le farfalle, sono di vari colori, sono fortunatamente molto nu- merose. Aiutiamole a sbattere le loro ali. (Traduzione di Lorenzo Fazzini ed Elisa Tomba) La globalizzazione negativa non considera abitudini e necessità locali abbraccia poteri come la finanza e il capitale C’è un numero di donne e uomini coraggiosi che possono cambiare la storia. Aiutiamoli a sbattere le ali LA BUONA SOCIETÀ L’anticipazione/ Un inedito del sociologo su “Vita e Pensiero”: “Per costruire una vera comunità non tralasciamo i piccoli gesti” ZYGMUNT BAUMAN © RIPRODUZIONE RISERVATA A Venezia IL FESTIVAL DEI MATTI NEL SEGNO DI BASAGLIA VENEZIA– A mezzogiorno di oggi, al Teatro Goldoni di Venezia, si terrà la conferenza stampa di presentazio- ne della terza edizione del “Festival dei Matti. Incontri e invenzioni dentro la follia”, organizzato dalla cooperativa Con-Tatto. Il Festival, che quest'anno avrà come tema "Stare fuori", nel segno di Basaglia, si svolgerà da mercoledì a sabato prossimi alla Basilica dei Frari e al Teatro Goldoni. Tra i protagonisti: Umberto Galimberti, Peppe Del- l’Acqua, Franco Rotelli. Alessandro Bergonzoni sarà in scena al Goldo- ni, alle 21 di giovedì, con lo spetta- colo “Urge”, e Giuliano Scabia pro- porrà “La luce di dentro. Viva Fran- co Basaglia”, sempre al Goldoni, nella serata conclusiva. BAUMAN:“POSSIAMO CAMBIARE ILMONDO IMITANDOLEFARFALLE” La rivista Il testo di Bauman che anticipiamo è pubblicato sul nuovo numero di “Vita e Pensiero”, bimestrale di cultura e dibattito dell’Università Cattolica che propone altre riflessioni sul “mondo in cui vogliamo vivere” di Roger Scruton e Richard Sennett. Tra i saggi della rivista anche quello di Marc Fumaroli su “Il ritirarsi del sacro”

Upload: carlo47-tuzzi

Post on 25-May-2015

162 views

Category:

Education


4 download

TRANSCRIPT

Page 1: La buona societa di zygmunt bauman

*� 49

LUNEDÌ 14 NOVEMBRE 2011

la Repubblica

CULTURA

In quale mondo vorrei vivere? Inverità, non posso dire molto. Ciòperché, prima di tutto, in 60 annidi impegno nella sociologia, nonsono mai stato bravo a profetiz-

zare. In secondo luogo, alla fine di unavita imperdonabilmente lunga, l’uni-ca definizione di buona società che hotrovato dice che una buona società ètale se crede di non essere abbastanzabuona. Pertanto, preferisco concen-trarmi non tanto sul mondo nel qualevogliamo vivere, quanto sul mondo incui dobbiamo vivere, semplicementeperché non abbiamo altri mondi neiquali scappare. Mi riferisco a una cita-zione di Karl Marx, il quale affermavache le persone fanno la loro storia, manon nelle condizioni da loro scelte.Ogni volta che la sento, mi ricordo an-che una storiella irlandese che ci rac-conta di un guidatore il quale ferma lasua auto e chiede a un passante: «Miscusi, signore, potrebbe cortesementedirmi come posso arrivare a Dublinoda qui?». Il passante si ferma, si gratta latesta e dopo un po’ risponde: «Bene,caro signore, se dovessi andare a Du-blino non partirei da qui». Questo è ilproblema: sfortunatamente, noi stia-mo iniziando da qui e non abbiamonessun altro punto dal quale partire.

Intendo pertanto sottolineare comeil mondo dal quale partiamo “diretti aDublino”, qualsiasi cosa Dublino quivoglia dire, è pieno di sfide e di compi-ti urgenti, in sostanza improcrastina-bili. Penso che se il XX secolo è stata l’e-poca in cui le persone si chiedevano“cosa” bisogna fare, il XXI secolo saràsempre di più l’era nella quale le perso-ne si faranno la domanda su “chi” faràciò che va fatto. Esiste una discrepanzatra gli obiettivi e i mezzi a nostra dispo-sizione. Mezzi che sono stati creati dainostri antenati, che hanno dato vita al-lo Stato-nazione e lo hanno dotato e ar-mato di molte istituzioni estremamen-te importanti, fatte su misura dello Sta-

to-nazione. Per quanto concerne loStato-nazione, esso era veramente l’a-pice dell’idea di autogoverno e sovra-nità, l’idea di essere a casa e così via. So-prattutto, lo Stato-nazione era un affi-dabile e impeccabile mezzo di azionecollettiva, strumento per raggiungeregli obiettivi sociali collettivi. Questoveniva creduto al di là della differenzatra “destra” e “sinistra”. Lo Stato-na-zione era in grado di implementare leidee vincenti. Perché era così? Perché

lo Stato-nazione veniva considerato, ein larga misura lo fu per abbastanzatempo nella storia, la fattoria del pote-re e della politica. Quello tra potere epolitica è un matrimonio celebrato incielo, nessun uomo può distruggerlo.Potere significa abilità nel fare le cose.Politica significa abilità nel dirigerequest’attività di fare le cose, indicandoquali cose devono essere fatte. Ora, ciòche sta accadendo oggi è l’indubbia se-parazione, una prospettiva di divorzio,tra potere e politica. Potere che evapo-ra nello cyberspazio e che si manifesta

migliante all’efficacia dello strumentodel controllo politico sul potere, dell’e-spressione della volontà popolare,cioè la rappresentanza e la giurisdizio-ne, realtà sviluppatesi e bloccatesi al li-vello dello Stato-nazione.

Alla luce di questa discrepanza, ognivolta che sento il concetto di “comu-nità internazionale”, piango e rido allostesso tempo. Non abbiamo nemme-no iniziato a costruirla. I nostri proble-mi sono davvero globali, ma possedia-mo solo i mezzi locali per affrontarli; edessi sono spudoratamente inadeguati

in ciò che chiamo “globalizzazione ne-gativa”. Negativa nel senso che si ap-plica a tutti gli aspetti della vita socialeche hanno una cosa in comune: si trat-ta dell’indebolimento, l’erosione, lanon considerazione delle abitudini lo-cali, delle necessità locali. La “globaliz-zazione negativa” abbraccia poteri co-me la finanza, il capitale, il commercio,l’informazione, la criminalità, il traffi-co di droga e d’armi, il terrorismo, ec-cetera. Non è seguita dalla “globalizza-zione positiva”. A livello globale, nonabbiamo niente di lontanamente so-

al compito. Perciòla domanda chesuggerisco sarà

probabilmente que-stione di vita o di morte per il XXI se-

colo. Chi se ne occuperà? Quella sarà laquestione.

Non ho la risposta a questa doman-da, posso solo proporre alcune paroledi incoraggiamento. È abbastanza no-

to Edward Lorenz, con la suatremenda scoperta che persino glieventi più piccoli, minuscoli e irrile-vanti potrebbero – dato il tempo, datala distanza – svilupparsi in catastrofienormi e scioccanti. La scoperta di Lo-renz è conosciuta nell’allegoria di unafarfalla, a Pechino, che scuoteva le ali ecambiava il percorso degli uragani nelGolfo del Messico sei mesi più tardi.Questa idea è stata accolta con orroreperché andava contro la natura dellanostra convinzione che possiamo ave-re piena conoscenza di quello cheverrà dopo. Andava contro la teoria deltutto. Che possiamo conoscere, predi-re, addirittura creare, se necessariocon la nostra tecnologia, il mondo. Ri-cordo che in questa scoperta di Lorenzc’è anche un barlume di speranza ed èmolto importante. Consideriamo cosasa fare una farfalla: una gran quantitàdi cose. Non trascuriamo i piccoli mo-vimenti, gli sviluppi minoritari, locali emarginali. La nostra immaginazioneva lontano, oltre la nostra abilità di fa-re e rovinare cose. Nella nostra storia

umana abbiamo un numero rilevantedi donne e uomini coraggiosi che, co-me farfalle, hanno cambiato la storia inmaniera radicale e positiva. Davvero.L’unico consiglio che posso dare allo-ra: guardiamo le farfalle, sono di varicolori, sono fortunatamente molto nu-merose. Aiutiamole a sbattere le loroali.

(Traduzione di Lorenzo Fazzini ed Elisa Tomba)

La globalizzazionenegativa non consideraabitudini e necessità localiabbraccia poteri comela finanza e il capitale

C’è un numero di donnee uomini coraggiosiche possono cambiarela storia. Aiutiamolia sbattere le ali

LA BUONASOCIETÀ

L’anticipazione/ Un inedito del sociologosu “Vita e Pensiero”: “Per costruire una veracomunità non tralasciamo i piccoli gesti”

ZYGMUNT BAUMAN

© RIPRODUZIONE RISERVATA

A Venezia

IL FESTIVAL DEI MATTINEL SEGNO DI BASAGLIAVENEZIA– A mezzogiorno di oggi, alTeatro Goldoni di Venezia, si terrà laconferenza stampa di presentazio-ne della terza edizione del “Festivaldei Matti. Incontri e invenzionidentro la follia”, organizzato dallacooperativa Con-Tatto. Il Festival,che quest'anno avrà come tema"Stare fuori", nel segno di Basaglia,si svolgerà da mercoledì a sabatoprossimi alla Basilica dei Frari e alTeatro Goldoni. Tra i protagonisti:Umberto Galimberti, Peppe Del-l’Acqua, Franco Rotelli. AlessandroBergonzoni sarà in scena al Goldo-ni, alle 21 di giovedì, con lo spetta-colo “Urge”, e Giuliano Scabia pro-porrà “La luce di dentro. Viva Fran-co Basaglia”, sempre al Goldoni,nella serata conclusiva.

BAUMAN: “POSSIAMOCAMBIARE IL MONDOIMITANDO LE FARFALLE”

La rivista

Il testo di Bauman cheanticipiamo è pubblicatosul nuovo numero di “Vitae Pensiero”, bimestrale di culturae dibattito dell’UniversitàCattolica che propone altreriflessioni sul “mondo in cuivogliamo vivere” di RogerScruton e Richard Sennett.Tra i saggi della rivista anchequello di Marc Fumarolisu “Il ritirarsi del sacro”