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1 LA CONTRATTAZIONE COLLETTIVA NEL SETTORE PUBBLICO TRA CONTROLLI E OTTIMIZZAZIONE DELLA PRODUTTIVITA’ DEL LAVORO di Carmelo Romeo SOMMARIO: 1. La riforma 2009 del d.lgs. n. 165/2001 e l’equivoco sulla c.d. “privatizzazione” del pubblico impiego. - 2. Le innovazioni legislative tra modernizzazione delle pp.aa. e controllo. - 3. Il mutamento sul raccordo legge-contratto collettivo. - 4. Ruolo e funzione della contrattazione collettiva nell’attualità. - 5. Segue: le innovazioni della riforma 2009. - 6. La deriva pubblicistica e l’affievolimento della c.d.“privatizzazione”: conferma della mancata armonizzazione tra procedure negoziali pubbliche e la riforma del modello contrattuale delineato con l’Accordo del 22 gennaio 2009. - 7. Considerazioni conclusive. 1. La riforma 2009 del d.lgs. n. 165/2001 e l’equivoco sulla c.d. “privatizzazione” del pubblico impiego Rispetto al generale quadro di intervento, sia della legge delega del 4 marzo 2009, n. 15 e sia del successivo decreto legislativo di attuazione di essa del 27 ottobre 2009, n. 150, non si può in alcun modo dubitare di un argomento di centrale rilievo e importanza, emergente sin dalla prima lettura delle novità recentemente introdotte. Si tratta, a ben vedere, del tema riguardante la rivisitazione del ruolo e delle funzioni della contrattazione collettiva nel pubblico impiego e, nello specifico, del nuovo modello contrattuale delineato dalla riforma dell’anno 2009, profili indubbiamente oggi di notevole risonanza e peso, anche in ragione del nuovo assetto che si sta disegnando riguardo i rapporti di lavoro con le pubbliche amministrazioni in Italia. E’ di tutta evidenza, infatti, che con i recenti e articolati interventi il legislatore ha voluto riscrivere talune regole portanti in materia di contrattazione collettiva, nazionale e integrativa, incidenti nell’area del c.d. “pubblico impiego privatizzato”. Tenuto conto che si tratta di regole, come è noto, originariamente pensate con l’emanazione del d.lgs. n. 29/93 di attuazione della legge delega n. 421/’92, poi, realizzate in concreto con il d.lgs. n. 80/98 e, infine, successivamente confermate con il d.lgs. n. 165/01, oggi a sua volta profondamente rimaneggiato. Tuttavia, prima di affrontare funditus la questione qui selezionata, è solo il caso di accennare alla pregnanza e alla complessità che anima, nella sua interezza, la recente azione di riforma legislativa, nel tentativo di indicarne le linee guida e valutarne l’impatto con l’intero sistema pre-vigente. In altri termini, ancor prima di entrare nel merito delle vicende sulla contrattazione collettiva, che in questa sede ci occuperanno maggiormente, si impone una preliminare riflessione, sia pure di carattere generale, che abbia, però, la pretesa di enunciare i passaggi salienti del mutamento in atto. Tutto ciò nell’obiettivo di poter sintetizzare e cogliere le finalità essenziali e le peculiarità emergenti dai nuovi interventi del legislatore, e ciò rispetto

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LA CONTRATTAZIONE COLLETTIVA NEL SETTORE PUBBLICO TRA CONTROLLI E OTTIMIZZAZIONE DELLA PRODUTTIVITA’ DEL LAVORO

di Carmelo Romeo

SOMMARIO: 1. La riforma 2009 del d.lgs. n. 165/2001 e l’equivoco sulla c.d. “privatizzazione” del pubblico impiego. - 2. Le innovazioni legislative tra modernizzazione delle pp.aa. e controllo. - 3. Il mutamento sul raccordo legge-contratto collettivo. - 4. Ruolo e funzione della contrattazione collettiva nell’attualità. - 5. Segue: le innovazioni della riforma 2009. - 6. La deriva pubblicistica e l’affievolimento della c.d.“privatizzazione”: conferma della mancata armonizzazione tra procedure negoziali pubbliche e la riforma del modello contrattuale delineato con l’Accordo del 22 gennaio 2009. - 7. Considerazioni conclusive.

1. La riforma 2009 del d.lgs. n. 165/2001 e l’equivoco sulla c.d. “privatizzazione” del pubblico impiego

Rispetto al generale quadro di intervento, sia della legge delega del 4 marzo 2009, n. 15 e sia

del successivo decreto legislativo di attuazione di essa del 27 ottobre 2009, n. 150, non si può in

alcun modo dubitare di un argomento di centrale rilievo e importanza, emergente sin dalla prima

lettura delle novità recentemente introdotte. Si tratta, a ben vedere, del tema riguardante la

rivisitazione del ruolo e delle funzioni della contrattazione collettiva nel pubblico impiego e, nello

specifico, del nuovo modello contrattuale delineato dalla riforma dell’anno 2009, profili

indubbiamente oggi di notevole risonanza e peso, anche in ragione del nuovo assetto che si sta

disegnando riguardo i rapporti di lavoro con le pubbliche amministrazioni in Italia. E’ di tutta

evidenza, infatti, che con i recenti e articolati interventi il legislatore ha voluto riscrivere talune

regole portanti in materia di contrattazione collettiva, nazionale e integrativa, incidenti nell’area del

c.d. “pubblico impiego privatizzato”. Tenuto conto che si tratta di regole, come è noto,

originariamente pensate con l’emanazione del d.lgs. n. 29/93 di attuazione della legge delega n.

421/’92, poi, realizzate in concreto con il d.lgs. n. 80/98 e, infine, successivamente confermate con

il d.lgs. n. 165/01, oggi a sua volta profondamente rimaneggiato.

Tuttavia, prima di affrontare funditus la questione qui selezionata, è solo il caso di

accennare alla pregnanza e alla complessità che anima, nella sua interezza, la recente azione di

riforma legislativa, nel tentativo di indicarne le linee guida e valutarne l’impatto con l’intero

sistema pre-vigente. In altri termini, ancor prima di entrare nel merito delle vicende sulla

contrattazione collettiva, che in questa sede ci occuperanno maggiormente, si impone una

preliminare riflessione, sia pure di carattere generale, che abbia, però, la pretesa di enunciare i

passaggi salienti del mutamento in atto. Tutto ciò nell’obiettivo di poter sintetizzare e cogliere le

finalità essenziali e le peculiarità emergenti dai nuovi interventi del legislatore, e ciò rispetto

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all’assetto consolidato dal d.lgs. 165/01 che sembrava, in verità, aver delineato l’ultima stagione

della riforma.

In tale direzione, primo e fondamentale nodo da sciogliere riguarda proprio un

profilo di carattere valutativo e di metodo. Considerare, cioè, se gli interventi del 2009 siano in

linea di continuità con l’intera struttura e con la stessa filosofia che ha animato il fulcro del d.lgs. n.

165/01. Oppure - come peraltro è già emerso dai primi interpreti1 - considerare che tali interventi

siano da leggere, invece, come in aperta controtendenza rispetto al complessivo disegno della

riforma, già ampiamente delineata da oltre quindici anni all’interno del nostro ordinamento

giuridico. Riforma, mette conto sottolineare tra le altre possibili indicazioni, che si è

tradizionalmente sforzata di riqualificare in termini privatistici l’interesse pubblico e si è, sin

dall’inizio, sempre adoperata per realizzare il famoso “traghettamento” dei pubblici dipendenti dalla

spiaggia del diritto pubblico a quella del diritto del lavoro2.

Ora, nel diffuso convincimento - peraltro delineato dallo stesso ispiratore dei nuovi

interventi3 - che la più recente modifica legislativa si pone l’obiettivo di rivisitare l’assetto

strutturale delle fonti, creando un diverso equilibrio tra la contrattazione collettiva e la legge e,

soprattutto, ripristinando il primato di quest’ultima sul contratto collettivo di lavoro, sembrerebbe

ampiamente giustificato il ricorso al termine “controriforma”, in verità già utilizzato in mio

precedente scritto4, locuzione emblematica di un ripensamento rispetto al precedente assetto.

Occorre, però, evitando di ricorrere ad astratte generalizzazioni e, soprattutto, di

cadere in facili equivoci, anche di ordine lessicale, precisare un’ulteriore e più dettagliala

specificazione della questione.

E’ certamente vero, infatti, che la funzione di massima flessibilità del cambiamento, avviato

negli anni ’90, sia stata, almeno sino ad ora, assegnata al sistema della contrattazione collettiva.

Quest’ultima, indubbiamente, è stata l’artefice, in piena autonomia, di un’operazione di vera e

propria bonifica delle regole preesistenti, anche a mezzo di un processo, sia pure previamente

assentito dallo stesso legislatore, di progressiva delegificazione e, ciò, attraverso la nota operazione

1 In anteprima, le novità sono state illustrate da A. BIANCO, In arrivo le istruzioni per attuare la “legge 15”,

GPI, 2009, 6, 14-15, secondo cui produrranno effetti pari a quelli determinati dal d.lgs. n. 29/’93 e dalla legge Bassanini.

2 Tra i principali interpreti della riforma del pubblico impiego, segnatamente sul fronte della contrattazione collettiva e delle sue prime applicazioni, cfr. F. CARINCI, Una riforma aperta tra contrattazione e legge. Dalla tornata contrattuale 1994 – 1997 alla nuova legge delega, in F. CARINCI (a cura di), Il lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche. I contratti collettivi di comparto, Milano, 1997.

3 Sullo specifico argomento si riporta un’intervista al Ministro Brunetta fatta da M. BARILLÀ, Il Ministro Brunetta racconta la sua rivoluzione, GPI, 2009, 5, 4-5.

4 Sul punto rinvio ad un mio breve commento sulla legge n. 15/’09, La controriforma del pubblico impiego, LG, 2009, 8, 761 ss.

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legata ad un potere disapplicativo di norme di legge in contrasto con le regole della contrattazione

collettiva. Parimenti la contrattazione collettiva è stata il mezzo per un’opportuna differenziazione

strutturale dei vari modelli negoziali, in ragione dei singoli comparti5, con una coerente

modulazione delle regole e dei principi applicabili ai rapporti individuali di lavoro.

Tuttavia, il deciso rafforzamento della contrattazione collettiva, specie con il d.lgs. n.

80/’98, non ha avuto il significato di implementare le tutele dei pubblici dipendenti. D’altro canto, è

altrettanto vero che i tratti distintivi della c.d. “privatizzazione” non andavano e non vanno letti nel

segno di un’accresciuta tutela ad appannaggio del personale. Vale a dire, l’accesso alle logiche

privatistiche e di progressiva contrattualizzazione dei rapporti di lavoro con le pp.aa. non equivale

ad assicurare, in automatico, maggiori tutele ai lavoratori pubblici: al contrario ha significato

affrancarli, ma solo per citare un esempio, dalla stabilità del posto pubblico, per attribuire loro una

disciplina del recesso simile a quella dei lavoratori subordinati dell’area privata. Tra l’altro, il

termine “privatizzazione” in sé non può certo essere inteso come un sinonimo di garantismo e di

tutele additive alla posizione giuridico-soggettiva dei pubblici dipendenti.

Traspare, infatti, con tutta evidenza, la possibile insidia metodologica di una vera e

propria strumentalizzazione delle varie istanze della privatizzazione: non già pensata ai fini di un

accrescimento di tutele del contraente più debole dei rapporti di lavoro, bensì in chiave meramente

strumentale, cioè rivolta ad assicurare la progressiva aziendalizzazione delle pp. aa. e ottimizzare

sempre più il rendimento del lavoro prestato.

La scelta adottata, ancor più in particolare, è stata, quindi, sempre quella di voler

accrescere la produttività dei pubblici dipendenti, utilizzando lo strumentario del diritto privato6. Di

guisa che la nuova svolta dell’anno 2009, ora funzionale ad accentuare la sfera dei controlli

istituzionali a discapito dell’autonomia privata, non rappresenta affatto una rivoluzione copernicana,

bensì una diversa e più efficace soluzione al fine di realizzare gli obiettivi del controllo di gestione e

di spesa, che erano ben presenti anche nell’originario testo del d.lgs. n. 165/’01, ma erano perseguiti

con strumenti privatistici.

E’ lecito, dunque, in buona sostanza, definire la nuova manovra come in

controtendenza rispetto a talune soluzioni già in precedenza utilizzate, ma con esiti non del tutto

5 A. VISCOMI, Prime riflessioni sulla struttura della contrattazione collettiva nelle pubbliche amministrazioni

nella prospettiva della riforma costituzionale, LPA, 2002, suppl. al fasc. 1, 167. 6 Un interrogativo su “quale e quanto di privato vi sia nei rapporti di lavoro privatizzati alle dipendenze di

regioni ed enti locali” è in M. DE LUCA, Privato e pubblico nei rapporti di lavoro privatizzati alle dipendenze di regioni ed enti locali, FI, 2007, 5, c. 149 ss. che ne sottolinea la sostanziale disomogeneità. Tuttavia, l’A. segnala, alla c. 152, lo strumento della contrattazione collettiva come “il connotato privatistico più significativo del sistema delle fonti, deputato a governare tale rapporto di lavoro”, ovviamente in riferimento all’originario assetto del d.lgs. 165/01, non ancora emendato dal d.lgs. 150/’09.

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positivi, e cioè quelle legate alla c.d. “privatizzazione” che, però, ha da sempre avuto come

obiettivo finale la razionalizzazione dei rapporti di pubblico impiego, all’insegna dell’efficienza e

della produttività.

Orbene, dopo avere letto in tal senso il progetto complessivo della riforma, avviata

con il d.lgs. n. 29/93 e consolidata con il d.lgs. n.165/01, è ora consentito rimeditare l’espressione

“controriforma”, attribuita con l’entrata in vigore della legge delega n. 15/09 e con le sue successive

attuazioni a mezzo del d.lgs. n. 150/’09, specificandone meglio il significato e la portata. In altri

termini, le modifiche, da recente intervenute sulla struttura e sul ruolo della contrattazione collettiva

e nella direzione di una vera e propria riappropriazione della legge di spazi sino a ieri attribuiti alla

prima, non vanno interpretate in chiave di minori o maggiori tutele per i dipendenti. Più

semplicemente trattasi, in estrema sintesi, di una diversa via per accedere all’ottimizzazione della

produttività del lavoro pubblico, sempre nel segno dell’efficienza e della trasparenza delle pp. aa..

2. Le innovazioni legislative tra modernizzazione delle pp. aa. e controllo

Chiarito, sia pure nelle poche battute di cui sopra, il reale senso delle recenti modifiche, che

possono ben configurarsi come un’ulteriore stagione della riforma ciclica sulle vicende della c.d.

“privatizzazione” del pubblico impiego, è ora il caso di tracciarne - ancor prima di riferire sul nuovo

assetto delle fonti e, soprattutto, sulla funzione e sul ruolo assegnati alla contrattazione collettiva - i

tratti distintivi di maggiore rilievo. Tutto ciò si rende necessario, a ben vedere, al fine di cogliere il

contesto normativo ove sono collocate le nuove regole che, ancora una volta, mettono mano al

difficile raccordo esistente tra organizzazione burocratico-amministrativa degli uffici e rapporti di

lavoro.

La manovra in argomento prefigura, peraltro, un vero e proprio intervento di politica

del diritto, funzionale all’avvio di futuri decreti legislativi, anche se, in concreto, la strada seguita

dal Governo è stata quella di concentrare tutto in un unico decreto attuativo, contenente nuove e più

incisive disposizioni sull’ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico. Per la verità, tutti gli

obiettivi delineati hanno come traguardo finale l’efficienza delle pp. aa. e la valutazione delle

performance individuali e collettive, nonché quello di procedere ad una riscrittura del d.lgs. n.

165/01.

Ora, a parte l’uso sempre più frequente di un lessico in lingua inglese, traspare dalla

manovra una nuova disciplina sulla premialità dei dipendenti più operosi ed innovative regole in

tema di responsabilità della dirigenza, di controllo sui costi della contrattazione collettiva e di

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inasprimento delle sanzioni disciplinari. Più in particolare, il recente d.lgs. n. 150/09 si pone in

continuità - come sarà detto meglio in prosieguo - con le misure delle leggi finanziarie che da

ultimo sono intervenute sulla materia7, già protese verso un risparmio di spesa ed un riassetto

economico della finanza pubblica.

Altro profilo emergente è quello di una progettualità legata alla modernizzazione del

pubblico impiego, attraverso lo snellimento delle strutture ridondanti ed il potenziamento dei servizi

per i cittadini, anche se sul piano delle concrete attuazioni non è dato rinvenire ancora alcuna

certezza. Ciò che è sicuro, vista la notevole risonanza della stampa specializzata e no e dalla lettura

dei commenti dei primi interpreti, è che le aspettative sono notevoli, atteso il profondo restyling alla

struttura del d.lgs. n. 165/01, ora corretto dal d.lgs. 150/09. E, infatti, l’operazione non si limita ad

una semplice modifica di talune disposizioni, previdenti da rendere organiche con gli assetti volta

per volta varati dalle leggi finanziarie. Diversamente, il nuovo intervento apre uno scenario molto

più articolato e decisamente complesso, anche a voler considerare solo, e a mero titolo

esemplificativo, le disposizioni riguardanti le più ampie funzioni attribuite al C.N.E.L., ora

arricchito da numerose attribuzioni di carattere istituzionale, nonché quelle riguardanti la Corte dei

conti, oggi innovata sia per la composizione del Consiglio di Presidenza, sia per le attribuzioni di

ulteriori funzioni di controllo, con la specifica previsione di una procedura in contraddittorio con le

amministrazioni interessate.

Traspare un evidente disegno che non è solo rivolto a correggere il tiro rispetto a

taluni clamorosi fallimenti del recente passato, specialmente per quanto riguarda gli eccessi della

contrattazione integrativa, ma è il caso di sottolineare che si riaffermano adesso, con rinnovato

vigore, i tradizionali principi di trasparenza, di pubblicità e di diritto di accesso agli atti. Le

innovazioni, in verità, sembrano plasmare una pubblica amministrazione più produttiva e più

controllata, allo stesso tempo più efficiente e meno assenteista e, allo stesso tempo, più vicina agli

utenti dei servizi pubblici.

Non prive di contraddizioni sono, però, talune misure che evidentemente risentono di

una strutturale ambiguità e, soprattutto, della incapacità di fare definitiva chiarezza, in assenza di

7 Un cenno alla finanziaria del 2007 è in M. MISCIONE, R. GAROFALO, A. MORATORIO, Lavoro e previdenza

nella finanziaria 2007, LG, 2007, 2, 119 ove, però, gli AA. confermano - in linea con la mia opinione sul complessivo significato di privatizzazione - che non si tratta di un provvedimento di soccorso ai lavoratori precari, “come si è voluto far credere facendo insorgere negli stessi inutili aspettative di assunzione, bensì di un aiuto alle amministrazioni pubbliche, soffocate ormai da vincoli che limita(va)no le assunzioni a carattere definitivo”. La manovra dell’anno 2009, per la verità, nasce come naturale prosecuzione dell’intervento inaugurato con il d.l. n. 112/08 e successivamente convertito con la legge n. 133 dello stesso anno. Per analoghe valutazione, si v. P. BRIGUORI, La “cura Brunetta” è legge, GIP, 2009, 3, 16 ss.

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logiche di mercato8 e di comparazioni con il privato, riguardo l’effettività della nuova metodologia

dell’intervento. Ci riferiamo in particolare all’incipit della manovra che riguarda l’obiettivo di una

convergenza degli assetti regolativi del lavoro pubblico con quelli del lavoro privato, con

particolare riferimento al sistema delle relazioni sindacali. Orbene, tale traguardo, che ha costituito

il leit motive della tradizionale riforma, sin dall’originario testo del d.lgs. n. 29/93, è in aperta

contraddizione con il nuovo e più incisivo sistema dei controlli e, soprattutto, con l’esplicita presa

d’atto di un’incoerenza in capo all’ARAN, circa la funzione di un effettivo ruolo di

rappresentatività delle ragioni e dei veri interessi in capo alle pp. aa. V’è, infatti, nella legge delega

e nella successiva attuazione governativa, la palese denuncia all’ARAN di presunte connivenze,

assolutamente intollerabili, con le organizzazioni sindacali dei pubblici dipendenti, circostanza

grave non solo sul piano istituzionale, ma, soprattutto, sul piano di una coerente politica sindacale

che dovrebbe essere allineata con le logiche delle relazioni industriali del settore privato.

Infine, tra le innovazioni in controtendenza rispetto ad un’ottica di grande respiro e

di ammodernamento dei rapporti di pubblico impiego, vi è la decisa riaffermazione del principio di

concorsualità per l’accesso al lavoro, scelta che, in verità, milita a favore di un’opzione in chiave

pubblicistica e non certo di convergenza con gli assetti regolativi del lavoro privato. Quest’ultimo

esempio ci dà ulteriore contezza delle oscillazioni evidenti tra istanze dirette ad una

aziendalizzazione delle pp.aa. ed opposte esigenze di un ritorno al passato, con un deciso

revirement tendente al buon andamento e all’imparzialità, anche attraverso una più efficace

organizzazione delle procedure concorsuali su basi territoriali.

S’impone, in altri termini, in riferimento all’argomento qui selezionato sulla

contrattazione collettiva, un’attenta lettura delle linee guida del nuovo corso, ovviamente incidenti

sul piano della negoziazione e dell’autonomia contrattuale delle parti, e ciò al fine di poter testare il

quadro complessivo emergente che sembra voler scardinare gli assetti in precedenza consolidati.

3. Il mutamento sul raccordo legge-contratto collettivo

Passaggio necessario ed indispensabile, al fine di approdare al quadro del nuovo

assetto della contrattazione collettiva del lavoro alle dipendenze delle pp. aa., è sicuramente il dato

delle modifiche sostanziali al sistema delle fonti. In verità, sullo specifico punto - come peraltro si

è avuto modo di illustrare in un mio precedente intervento9 - appare di notevole portata dirompente

8 Il rilievo è fatto da M. BARILÀ, “Mettiamoci la faccia”: la valutazione si fa emozionale, GPI, 2009, 4, 3, che

avverte come nel sistema delle amministrazioni pubbliche “manca il confronto con i l mercato”. 9 Cfr. La controriforma del pubblico impiego, cit., 762.

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la modifica al precedente assetto sulle fonti di disciplina, argomento sul quale vi era già una

specifica indicazione con l’originaria stesura della norma di cui all’art. 2, comma 2, del d.lgs. n.

165/0110.

Ante 2009, la norma citata prevedeva, come è noto, un’espressa potenzialità a favore

della contrattazione collettiva nel pubblico impiego, e cioè di poter derogare quest’ultima ad

eventuali disposizioni di legge, di regolamenti e/o di statuti, che non fossero in sintonia con i

principi e le regole contenuti nella stessa contrattazione. In altri termini, la norma in questione, a

ben vedere fulcro essenziale della fase legata alla c.d. “delegificazione”, legittimava ampiamente lo

strumento della negoziazione collettiva a favore di un’operazione di vera e propria bonifica

riguardanti normative non compatibili con la stessa. Sicuro effetto positivo - in verità raggiunto solo

all’epoca della sua concreta applicazione, legata alla seconda tornata contrattuale per gli anni 1998-

2001 - è stato quello di espungere dall’ordinamento giuridico vigente tutte le disposizioni incoerenti

ed obsolete, non più in sintonia con l’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni

pubbliche regolato dal d.lgs. n. 165/01 e in armonia con i contratti collettivi a quest’ultimo ispirati.

A ben vedere, è di tutta evidenza che il sistema delle fonti di cui sopra era

caratterizzato da una forte connotazione in chiave contrattuale, in buona sostanza di tipo

autoreferenziale11, in grado cioè di dettare autonomamente tutte le regole in materia di rapporto di

lavoro pubblico, dall’assunzione alla cessazione, e in tal modo escludendo interventi settoriali, ad

hoc, della fonte legislativa. Quest’ultima, ovviamente, avrebbe ben potuto riacquistare il suo

primato solo ed esclusivamente con uno specifico e mirato intervento ex post, in senso contrario,

affermativo del carattere imperativo e inderogabile.

Orbene, la modifica attuale, già direttamente operativa con la norma di cui all’art. 1

della stessa legge delega n. 15/09, pur disponendo sempre sulla possibilità di deroga da parte della

contrattazione collettiva, però, stabilisce perentoriamente che ciò sia possibile solo quando

espressamente previsto dalla legge, invertendo radicalmente i termini di cui sopra. E’ di tutta

evidenza che la novità introdotta abbia finito, così, con lo scardinare uno degli assi portanti

dell’originario assetto del d.lgs. n. 165/01, intervenendo sul punto nevralgico e di maggior peso

assegnato alla contrattazione collettiva, riguardo le vicende dei rapporti di lavoro con le pp.aa.:

10 Per un commento all’originaria stesura della norma, cfr. M. RUSCIANO, L. ZOPPOLI, Commento sub art. 2,

commi 2 e 3, del d.lgs. n. 29 del 1993, in La riforma dell’organizzazione dei rapporti di lavoro e del processo nelle amministrazioni pubbliche, NLCC, 1999, 1071 e ss.

11 Tra i primi commentatori del sistema, si v. L. ZOPPOLI, Il sistema delle fonti di disciplina del rapporto di lavoro pubblico dopo la riforma: una prima ricognizione dei problemi, in M. RUSCIANO, L. ZOPPOLI (a cura di), L’impiego pubblico nel diritto del lavoro, Torino, 1993, 83 ss.

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quello, per l’appunto, riguardante l’assetto regolativo delle fonti che, nel bene e nel male, ha

rappresentato un interessante banco di prova delle varie stagioni della privatizzazione.

In altri termini, si è trattato adesso di ripristinare il tradizionale rapporto tra legge e

contratto, subordinando quest’ultimo ai desiderata del legislatore (rectius: della politica), ed inoltre,

circoscrivendone la portata ed il grado di autonomia. A ben vedere, si tratta di una manovra

espropriativa rivolta anche - è il caso delle regole in materia di sanzioni disciplinari - a delegittimare

la contrattazione collettiva su aree originariamente di sua totale competenza. D’altro canto, gli

eccessi del recente passato - il riferimento va fatto, ancora una volta, alla contrattazione integrativa

decentrata dell’ultima tornata contrattuale, troppo spesso intervenuta in dispregio ai limiti di spesa,

con logiche di negoziazione prive di progettualità e di concretezza rispetto alle risorse finanziarie

disponibili - hanno finito per determinare l’evidente fallimento di una fonte contrattuale del tutto

svincolata dalla legge, con la comprensibile esigenza di ripristinare il primato di quest’ultima, nel

segno di una ridefinizione degli ambiti e dei ruoli.

Come già si è accennato sin dalle prime battute, la ragione profonda della

restaurazione risiede nel sostanziale insuccesso dell’ARAN, nella sua reale (in)capacità di tenuta

come rappresentante della parte pubblica. Ed infatti, quest’ultima è stata, a sua volta, oggetto di

modifiche rilevanti, mirate nella sostanza a delegittimarne il ruolo. E’ di tutta evidenza, infatti,

come l’ARAN non sia riuscita a svolgere un ruolo di rappresentatività dei veri interessi pubblici,

mancando di vigilare sulle frequenti ed incontrollate incursioni effettuate dalla contrattazione

collettiva integrativa, come si è già detto, assai di frequente non rispettosa dei margini di spesa e

non allineata con i limiti imposti dai bilanci pubblici.

La verità è che, sulla problematicità delle fonti, la modifica in parola inaugura un

nuovo rapporto in tema di successione temporale tra legge e contratto che, a ben vedere, restituisce

lo scettro alla prima, perché subordina sempre all’intervento del legislatore la derogabilità delle

preesistenti disposizioni di legge, di regolamento o di statuto ad opera di norme negoziali che,

quindi, finiscono per assumere in tal modo il ruolo di mero braccio operativo del legislatore, la

funzione di mero esecutore di volontà già espresse nei luoghi della politica.

Diversamente, la precedente versione di cui alla norma dell’art. 2, comma 2, del

d.lgs. n. 165/01 disponeva in senso opposto. Dava, infatti, esclusivo risalto all’autonomia collettiva,

prima assolutamente libera di poter derogare e con l’unica eccezione che la legge non avesse

espressamente previsto in senso contrario, ma in forma diretta.

Orbene, l’innovazione di cui sopra è di tutta evidenza sul piano interpretativo. Nella

nuova versione l’autonomia negoziale è circoscritta sistematicamente, e senza alcuna possibilità in

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senso diverso, dalla necessità di un intervento legislativo autorizzativo, caso per caso.

Diversamente, nella precedente versione, solo un intervento specifico del legislatore avrebbe potuto

limitare l’operatività della contrattazione collettiva di lavoro, la quale, in assenza di specifiche

inibizioni, aveva mano libera di intervenire sulla regolamentazione dei rapporti individuali di lavoro

e su tutte le vicende riguardanti la disciplina del lavoro all’interno delle pp. aa.

E’, dunque, di tutta evidenza che, con la nuova stesura, la disciplina delineata dal

decreto di attuazione della riforma 2009 risulterà blindata, contro interventi contrattuali che non

siano stati legittimati ex ante dal legislatore. Si profila la nuova regola, infatti, che la contrattazione

collettiva non potrà più derogare direttamente alla legge; pertanto, non potrà avvalersi, come prima,

dell’originario potere di disapplicazione di norme non conformi. Tutto ciò neppure nello specifico

caso di eventuali disposizioni più favorevoli ai pubblici dipendenti, dovendo attendere sempre

l’imprimatur del legislatore.

D’altro canto, nel testo del decreto attuativo della delega (d.lgs. n. 150/’09), e

specificamente nelle disposizioni di cui agli artt. da 53 a 66, viene restituito, nella forma della

concreta applicazione, alla legge il ruolo di disciplina primaria e pressoché esclusiva dei profili

legati alla gestione e organizzazione delle risorse umane, attribuendosi al contratto collettivo un

ruolo secondario, come già si è accennato, prevalentemente incentrato sulla disciplina degli aspetti

retributivi di base, preventivamente giustificati, questi ultimi, dalla Corte dei conti e dai Comitati di

settore.

Diviene indispensabile, però, a questo punto dell’analisi, la necessità di una verifica,

articolo per articolo, circa il nuovo ruolo assegnato alla contrattazione collettiva dell’area pubblica,

al fine di rendere conto e valutare in concreto riguardo i limiti e la subalternità imposta a

quest’ultima rispetto alla volontà del legislatore.

4. Ruolo e funzione della contrattazione collettiva nell’attualità

La nuova disciplina sulla contrattazione collettiva nazionale e integrativa è prevista

dalle disposizioni contenute nel capo IV del decreto legislativo di attuazione della legge delega n.

15/09. A prescindere dalla prima norma, e cioè quella dell’art. 53, che statuisce in via del tutto

programmatica l’obiettivo di una migliore organizzazione del lavoro e di assicurare il rispetto della

ripartizione tra le materie sottoposte alla legge, si segnalano, più in particolare, le modifiche

intervenute sul testo dell’art. 40 del d.lgs. n. 165/01 e, in dettaglio, rassegnate nella norma di cui

all’art. 54 del d.lgs. n. 150/’09.

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Si tratta, in buona sostanza, della riscrittura dei primi tre commi dell’originaria

norma12, che disponeva in primo luogo sullo svolgimento della contrattazione collettiva su tutte le

materie relative ai rapporti di lavoro ed alle relazioni sindacali. In altri termini, un’ampia delega allo

strumento negoziale di intervenire, con il potere di disciplinare il rapporto di lavoro dei singoli

comparti, e con la necessità di costituire un’area contrattuale autonoma in riferimento alla dirigenza.

Più in particolare, il comma 3, dell’originario testo dell’art. 40, statuiva che la durata dei contratti

collettivi, sia nazionali, sia integrativi, fosse fissata in coerenza con quella del settore privato e,

inoltre, che le pp. aa. attivassero autonomi e indipendenti livelli di contrattazione collettiva

integrativa, sia pure nel generico rispetto dei vincoli di bilancio. In questa logica, ancor più

interessante era il richiamo ai limiti della contrattazione collettiva integrativa, ove si stabiliva, in

particolare, che i predetti limiti fossero previsti esclusivamente dai cc.cc.nn.ll.13, quindi, con

l’intento di assicurare a questi ultimi un ruolo di coordinamento e di controllo sulla negoziazione

decentrata.

Le innovazioni, rispetto a tale assetto, sono ora di tutta evidenza.

In particolare, il nuovo intervento esclude espressamente dalla contrattazione

collettiva le materie attinenti all’organizzazione degli uffici, nonché quelle oggetto di

partecipazione sindacale, riguardo gli ambiti di misurazione e valutazione della performance

individuali. Ma, ancor più in particolare, rimangono escluse dall’intervento della contrattazione

collettiva le prerogative dirigenziali, le materie riguardanti il conferimento e/o la revoca degli

incarichi dirigenziali, nonché, sia pure per ulteriore conferma, quelle di cui all’art. 2, comma 2, lett.

c) della l. 23/10/1992, n. 42114.

Quanto, poi, alle specifiche materie riguardanti le sanzioni disciplinari, il trattamento

accessorio della retribuzione, la mobilità e le progressioni economiche della carriera, risulta che la

contrattazione collettiva sia ammessa esclusivamente nell’ambito dei limiti previsti dalle norme di

legge, atteso che le materie di cui sopra rientrano nella dichiarata competenza di quest’ultima.

Orbene, è di tutta evidenza che il nuovo corso determina un restringimento dell’area

della contrattazione collettiva, segnatamente di quella integrativa, con un sicuro ripensamento del

suo ruolo e della sua portata, specie in riferimento alla gestione delle risorse umane nelle singole

12 Per un commento a quella che era la disciplina previgente, cfr. L. FIORILLO, Le fonti del lavoro pubblico nell’elaborazione di dottrina e giurisprudenza, LPA, 2004, 571.

13 Sul precedente assetto cfr. G. DELLA ROCCA, Quale contrattazione collettiva nel pubblico impiego? Limiti e prospettive, DRI, 2003, 456 ss..

14 Si tratta della riserva di legge, contenuta nell’originaria delega del 1992, e riguardante: 1) le responsabilità giuridiche attinenti ai singoli operatori nell’espletamento di procedure amministrative; 2) gli organi, gli uffici, i modi di conferimento della titolarità dei medesimi; 3) i principi fondamentali di organizzazione degli uffici; 4) i procedimenti di selezione per l’accesso al lavoro e di avviamento al lavoro; 5) i ruoli e le dotazioni organiche; 6) la garanzia della libertà di insegnamento; 7) la disciplina delle incompatibilità tra impiego pubblico e altre attività.

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amministrazioni15. Ciò che più impressiona è, però, la limitazione di quest’ultima a proposito delle

regole in materia di sanzioni disciplinari e del trattamento economico accessorio, ove in passato si

trattava di materie tutte demandate all’intervento della contrattazione collettiva, indiscussa fonte

regolativa del rapporto individuale di lavoro.

Il nuovo comma 2 dell’art. 40, del d.lgs. 165/01, dispone, poi, per un restringimento

del numero dei comparti delle pp. aa., che ora saranno al massimo 4, ai quali potranno

corrispondere le relative aree per la dirigenza pubblica, anche se - così è specificato - nell’ambito

dei medesimi comparti di contrattazione è previsto che siano costituite apposite sezioni per le

peculiari professionalità.

Del tutto contraddittoria appare, poi, la formula del comma 3 della norma da ultimo

citata, ove si statuisce che la contrattazione collettiva del settore pubblico debba essere in coerenza

con quella del settore privato, e ciò a proposito della disciplina dei rapporti tra i diversi livelli di

contrattazione, nonché della durata dei contratti, sia nazionali, che integrativi. In verità,

quest’ultima disposizione è identica all’originario comma 3 dell’art. 40, ma oggi appare, però,

incoerente rispetto alle modifiche di cui sopra, perché non sembra affatto che si possa parlare di

omogeneizzazione con il settore privato, attesi i nuovi limiti evidenziati. Unici aspetti di possibile

convergenza potrebbero essere, anche in ragione dell’Accordo Quadro sulla riforma degli assetti

contrattuali del 22 gennaio 200916 - trasfuso, poi, nel protocollo d’intesa del 30 aprile 2009 per i

comparti contrattuali del settore pubblico -, quello previsto sulla durata dei contratti collettivi17, ed

anche quello sull’assetto articolato su due distinti livelli funzionali di contrattazione collettiva.

Tuttavia, strutturalmente e sostanzialmente diverso è, invece, il rapporto tra i due

livelli negoziali, atteso che nel privato, anche in ragione dell’Accordo Interconfederale del 15 aprile

2009, la contrattazione aziendale e territoriale si pone l’obiettivo di collegare salario e

produttività18, nel pubblico, pur essendo formalmente prevista la stessa espressione semantica,

vengono messi in maggiore evidenza gli aspetti relativi all’efficienza e alla qualità della

performance. Ma, vi è di più: vi è l’interrogativo irrisolto su quale convergenza sia possibile in uno

15 Sullo specifico punto, ma in riferimento alle esperienze passate, cfr. L. BORDOGNA, La contrattazione

integrativa e la gestione del personale nelle pubbliche amministrazioni, LPA, 2002 5 ss. 16 Per un sintetico commento al nuovo modello contrattuale delineato dall’Accordo del 22 gennaio 2009, cfr. T.

TREU, Firmato l’accordo per il nuovo modello contrattuale, Contratti & contrattazione collettiva, 2009, 2, 3. 17 Si tratta della previsione di vigenza triennale, sia per il privato, sia per il pubblico, per quanto concerne i

contratti collettivi nazionali di lavoro, ed anche per quelli di secondo livello. Per una disamina dell’efficacia nel tempo della contrattazione collettiva nell’assetto previgente, cfr. G. PELLACANI, La contrattazione collettiva nell’impiego pubblico dopo il d.lgs. 396 del 1997 e il d.lgs. n. 80 del 1998: l’efficacia nel tempo, LPA , 2000, 81 ss.

18 Più in particolare le OO. SS. del settore privato confermano la necessità che vengano rese strutturali le misure di incentivazione, soprattutto in termini di detassazione e decontribuzione, della contrattazione collettiva di secondo livello, ovviamente misura possibile per il settore pubblico solo nel rispetto dei vincoli e degli obiettivi di finanza pubblica.

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scenario che registra, invece, un evidente scostamento tra le due grandi aree del lavoro dipendente,

e ciò proprio a seguito della nuova logica che anima il modello della contrattazione collettiva

pubblica, evidentemente rivolto a ridurre gli spazi della negoziazione. Anzi, risulta persino

contraddittorio lo stesso richiamo che l’Intesa del 30 aprile 2009, sull’applicazione dell’Accordo

Quadro al settore pubblico, opera alla legge delega n. 15/’09, attese le dissonanze tra quest’ultima e

i principi di una rinnovata autonomia contrattuale, che traspaiono dal testo dell’Intesa sindacale.

Nel concreto, poi, è solo il caso di rilevare che l’analitica e penetrante disciplina del d.lgs. 150/’09

non lascia spazi alla progettualità dell’Intesa sindacale, come, peraltro, è provato dagli accordi già

siglati sui rinnovi dei contratti collettivi pubblici19, preventivamente vincolati dal parere dei

Comitati di settore, dalla certificazione della Corte dei conti e, soprattutto, da una invasiva

disciplina legislativa sulle vicende dei rapporti individuali di lavoro.

Continuando la disamina sulla rinnovata norma dell’art. 40 del d.lgs. 165/’01, è il

caso di evidenziare, poi, che sono stati aggiunti i commi 3 bis, ter, quater, quinquies e sexties che,

rispettivamente, dispongono: a) che una quota del trattamento accessorio complessivo venga

destinato alla produttività individuale, attraverso lo strumento della contrattazione integrativa; b)

che, in caso di mancata sottoscrizione di contratti integrativi, le amministrazioni interessate

potranno provvedere provvisoriamente sulle materie dell’accordo, ferme le procedure di controllo

sulla compatibilità economico-finanziaria; c) che la Commissione per la valutazione, la trasparenza

e l’integrità delle pp. aa. fornisca all’ARAN una graduatoria di performance delle amministrazioni,

raggruppate su tre livelli di merito; d) che in ogni caso non potranno essere stipulati contratti

collettivi integrativi in contrasto con i vincoli e i limiti risultati dal livello nazionale; e) che è

obbligo delle pp. aa. redigere una relazione tecnico-finanziaria a corredo del contratto integrativo.

E’ di un certo rilievo sottolineare, sempre in riferimento alla norma qui in commento

e in sintonia con l’art. 3, lett. d) della legge delega n. 15/09, le regole stabilite soprattutto al comma

3 quinques sull’applicazione di clausole di legge, inserite di diritto nel contesto del contratto

collettivo, anche in sostituzione delle clausole difformi in esso apposte dalle parti stipulanti, e ciò in

applicazione del principio di cui alla norma dell’art. 1339 c.c. Altro richiamo, in analoga direzione e

sempre nello stesso comma, è fatto, poi, alla norma dell’art. 1419, comma 2, c.c., sulla potenziale

nullità del contratto in mancanza dei requisiti previsti dalla legge, e segnatamente all’automatica

caducazione di tutte le clausole contenenti violazione dei limiti prefissati allo spatium deliberandi

concesso alla contrattazione collettiva. D’altro canto, nel nuovo assetto, il legislatore è pure

19 Sul punto specifico si rinvia a G. BERTAGNA, Siglata l’ipotesi del c. c. n. l. Regioni e autonomie locali, GPI,

2009, 7-8, 14 ss., che riassume tutti i passaggi del rinnovo contrattuale degli ee. ll., il quale già “incassa”, a seguito delle modifiche legislative del 2009, il sostanziale blocco delle progressioni orizzontali di avanzamento nella stessa categoria.

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legittimato a individuare tutti i criteri per la fissazione di precisi vincoli alla negoziazione collettiva,

e ciò al fine di assicurare il rispetto dei parametri di bilancio. E’ dato intendere che trattasi di poteri

additivi (art. 1339 c.c.), nonché volti ad espungere (art. 1419 c.c.), rispetto alle disposizioni dei

contratti collettivi. Tutto ciò, ai sensi e per gli effetti delle successive lett. e) ed f) del richiamato art.

3 della legge delega, anche mediante la fissazione di limiti massimi, ovvero minimi, di spesa, ai fini

dell’esatto accertamento dei costi sociali della contrattazione integrativa e del suo impatto sulla

compatibilità economico-finanziaria.

Occorre precisare - e non si tratta certo di un rilievo di poco conto - che il richiamo

alle norme codicistiche è fatto esclusivamente in senso e direzione diametralmente opposta a quella

riguardante l’interpretazione dei contratti collettivi di lavoro nel settore privato. Più in particolare,

la giurisprudenza20, a mero titolo esemplificativo, in riferimento al caso della nullità parziale ex art.

1419 c.c. per quest’ultimo settore, ha stabilito il seguente principio: le clausole della contrattazione

collettiva, che adottino una più ristretta base di calcolo per il compenso del lavoro straordinario,

devono considerarsi nulle perché contrarie al concetto di onnicomprensività della retribuzione e,

quindi, sostituite di diritto. A ben vedere, il richiamo della stessa norma del codice, ma avuto

riguardo alla contrattazione collettiva dell’area pubblica, è fatta esclusivamente nel senso di inibire

fughe in avanti, ovvero annullare tutti quegli oneri che comportano aggravi di spesa, non previsti

negli strumenti di programmazione annuale e pluriennale di ciascuna amministrazione.

Emblematicamente, l’aspetto qui evidenziato rappresenta un altro e fondamentale

elemento, sotteso a dimostrare che le dinamiche legate ai trattamenti economici dei pubblici

dipendenti sono sottoposte a riserva di legge21 e la contrattazione collettiva assume un ruolo

meramente subalterno, rispetto ai meccanismi rivolti ad un maggiore controllo sulla spesa.

L’effetto è quello di sminuire il ruolo di decentramento22, specie dei contratti collettivi integrativi,

rispetto agli assetti regolativi di carattere generale.

20 Sul punto si veda Cass. 19 marzo 2001, n. 3932, inedita, che esclude la caducazione delle predette clausole

del contratto collettivo, solo se sussiste l’ipotesi che il computo in esse previsto assicuri al lavoratore un trattamento economico pari o superiore a quello derivategli dall’applicazione dei criteri legali.

21 Io stesso mi esprimevo in senso del tutto opposto oltre dieci anni fa, quando scrivevo: “presupposto per un ottimale svolgimento della nuova struttura contrattuale è che non vi siano più destabilizzanti incursioni del legislatore sulla materia della retribuzione del pubblico impiego”. Ed ancora: “il confortante assetto della disposizione esaminata (n. d. r. art. 49 del testo originario del d.lgs. n. 29/93), che prevede compensi correlati alla qualità e alla produttività, è decisamente condizionato dall’effettività del sistema degli obiettivi: primo fra tutti quello dell’astensione del legislatore ad intervenire su istituti economici di competenza negoziale”. Cfr. C. ROMEO, Il trattamento economico nel rapporto di lavoro “privatizzato”, Torino, 1998, 208 ss. ove illustravo il traguardo della delegificazione dei trattamenti economici ad opera della contrattazione collettiva.

22 Per quanto riguarda tale funzione della contrattazione collettiva nell’area pubblica, si v. L. BORDOGNA, Il decentramento della contrattazione nel settore pubblico: opportunità, condizioni e possibili effetti disattesi, DRI, 2003, 441 ss.

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In tale direzione sono stati introdotti meccanismi ad hoc di monitoraggio - è quanto

prevede il nuovo art. 40 bis del d.lgs. 165/01, riscritto dall’art. 55 d.lgs. 150/09 -, al fine di

controllare la compatibilità dei costi della contrattazione collettiva integrativa con i vincoli di

bilancio e di norme di legge. Tali controlli sono effettuati dal collegio dei revisori dei conti, dal

collegio sindacale, dagli uffici centrali di bilancio, oppure da analoghi organi previsti dai rispettivi

ordinamenti, ma sempre con il dichiarato obiettivo di verificare la congruenza della ripartizione

delle materie tra vincoli di legge e contratti collettivi.

5. Segue: le innovazioni della riforma 2009

Per la verità, non sarebbe corretto, sul piano interpretativo, ritenere che solo con la

riforma del 2009 sia avvenuto un restringimento dell’area della contrattazione collettiva a favore

della legge. Più in particolare, il meccanismo della sanzione della nullità per le clausole difformi era

ben presente nel testo dell’art. 40, comma 3, del d.lgs. n. 165/01, laddove, nella sua ultima parte,

espressamente così si prevedeva: “le clausole difformi sono nulle e non possono essere applicate”.

Non vi era, però, alcuna traccia nell’originario testo del d.lgs. n. 29/93, ove, al contrario, sia pure

per il diverso caso del controllo della Corte dei conti, si prevedeva l’ipotesi del silenzio-assenso,

ove la Corte, chiamata a verificare la legittimità e la compatibilità economica dei contratti collettivi,

entro quindici giorni dalla data di ricezione, non avesse effettuato alcun rilievo.

Tuttavia la novità, rispetto al testo del d.lgs. del 2001, risiede nell’avere, sia la legge

n. 15/09, sia il d.lgs. n. 150/’09, espressamente richiamato la norma del comma 2 dell’art. 1419 c.c.

sulla nullità parziale, nonché l’altra disposizione dell’art. 1339 c.c. sull’inserzione automatica di

clausole nel contratto. In altri termini, risulta ulteriormente rafforzato il ruolo di vigilanza e

controllo sulla contrattazione collettiva, anche se, già da prima, vi era un livello nazionale di

contrattazione disciplinato dalla fonte legislativa. La modifica ha implicato un sistema più rigido e

decisamente più invasivo, atteso che per la prima volta appare il riferimento alla norma codicistica

del 1339 sulla possibilità di inserzione automatica di clausole nell’ambito del contratto collettivo,

fattispecie decisamente più pregnante rispetto a quella della semplice espunzione delle clausole

difformi, ex art. 1419 c.c.

Sotto il profilo sistematico si segnalano, poi, le nuove articolazioni sui controlli in

materia di contrattazione integrativa, segnatamente l’art. 40 bis, del d.lgs. n. 165/01, come innovato.

E’ previsto, tra l’altro, il termine del 31 maggio di ogni anno, per le pp. aa., al fine di inviare

dettagliate informazioni sui costi e, quindi, sulla compatibilità di spesa dei contratti integrativi. Tali

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informative devono, però, essere certificate dagli organi di controllo interno e, quindi, inviate al

Ministero dell’Economia per la raccolta dei dati e la formalizzazione di un livello di rilevazione dei

costi, sia pure d’intesa con la Corte dei conti ed il Dipartimento della Funzione Pubblica. La norma

in questione, poi, dispone che tali informazioni siano funzionali anche alla concreta applicazione di

criteri improntati alla premialità e, cioè, al riconoscimento del merito individuale, ovviamente oltre

alla necessità di un’indagine sistematica sul rispetto dei vincoli finanziari. Controllo finale spetterà

sempre alla Corte dei conti, la quale avrà il compito di valutare le eventuali ipotesi di responsabilità

in caso di scostamenti.

Più defilato appare, invece, il ruolo dell’ARAN23, atteso che dalla nuova

formalizzazione dei suoi poteri di indirizzo - cfr. la nuova stesura dell’art. 41 del d.lgs. n. 165/01 -

emerge con maggior evidenza il ruolo dei Comitati di settore, con la funzione di regolare

autonomamente le modalità di funzionamento delle procedure di contrattazione collettiva, con

significativi e concreti limiti sulla libertà sindacale della parte pubblica24.

E’ stato espunto dal nuovo testo il principio che sia l’ARAN a regolare i rapporti con

i comitati di settore sulla base di appositi protocolli. Diversamente, risulta ora che i rappresentanti

designati dai comitati di settore possono assistere l’ARAN nello svolgimento delle trattative

negoziali. Sono sempre i comitati di settore che hanno facoltà di stipulare con l’ARAN specifici

accordi, con la previsione che gli stessi comitati abbiano una propria struttura operativa, sia pure

senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.

Parimenti, è stata espunta la previsione di un organismo di coordinamento dei

comitati di settore costituito presso l’ARAN, al quale poteva partecipare il Governo tramite il

Ministro della Funzione Pubblica. Ed ancora, non sembra che l’ARAN possa assumere le

tradizionali iniziative per il coordinamento delle parti datoriali, atteso che non risulta confermato il

comma 7 dell’originario testo dell’art. 41, d.lgs. n. 165/01. Risulta, infatti, che quest’ultima norma

sia stata radicalmente modificata dalla riforma dell’anno 2009, la quale si è preoccupata fortemente

di rivedere i tratti salienti del regolamento di organizzazione dell’ARAN, sospetta di ambigue

collusioni con i sindacati, ripensando alle sue competenze, alla struttura e agli organi della stessa

Agenzia.

23 Ciò in aperta controtendenza rispetto alle dichiarazioni di intenti prevista al punto 2.2 dell’Intesa sindacale

del 30 aprile 2009, ove è stabilito che “verrà attribuito un nuovo e più incisivo ruolo all’ARAN”. 24 In generale, sulla problematica della libertà sindacale nell’area pubblica, si rinvia ad A. TURSI, Libertà

sindacale e soggettività negoziale nella contrattazione collettiva del lavoro pubblico, LD, 2000, 377 ss. Sempre in linea generale, per quanto attiene l’originario ruolo dell’Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni, si v. M. RICCIARDI, Ruolo e funzioni dell’ARAN: una riflessione, DRI, 2000, 425 ss.

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In tale direzione viene, quindi, integralmente sostituita la precedente norma dell’art.

41, nonché modificata in più parti la norma dell’art. 46, entrambe del d.lgs. n. 165/01. A proposito

di quest’ultima, profondi sono i ritocchi apportati, dove espressamente vengono prese le distanze

dalle organizzazioni sindacali dei pubblici dipendenti. Ora si esplicita, in concreto, l’attuazione al

principio della legge delega sulla necessità di rafforzare l’indipendenza dell’ARAN dall’eccessiva

(e sospetta) invadenza delle organizzazioni sindacali. In tal specifico senso, è espressamente

previsto che non possono far parte del collegio di indirizzo e controllo dell’ARAN, né ovviamente

ricoprire le funzioni di Presidente dell’ARAN, soggetti che ricoprano o abbiano ricoperto cariche

all’interno di organizzazioni sindacali. Orbene, una tale incompatibilità, comprensibilmente, si

estende anche alla totale inibizione rispetto a qualsiasi rapporto di carattere professionale e/o di

consulenza con le predette organizzazioni sindacali. Risulta, poi, un contingentamento delle spese

correnti ad appannaggio dell’ARAN, con evidente restringimento delle risorse disponibili per il suo

funzionamento. E’ solo consentito, come unica possibilità, che l’ARAN possa avvalersi di

personale proveniente dalle pp. aa., ma esclusivamente in posizione di comando o fuori ruolo.

6. La deriva pubblicistica e l’affievolimento della c.d. “privatizzazione”: conferma

della mancata armonizzazione tra procedure negoziali pubbliche e la riforma del modello

contrattuale delineato con l’Accordo del 22 gennaio 2009

Le osservazioni sopra esposte consentono di affermare, con una notevole dose di

sicurezza, che si è proceduto ad un sostanziale riequilibrio del sistema regolativo, che disciplina la

struttura della contrattazione collettiva nel pubblico impiego, in evidente chiave pubblicistica.

Sembra pacifica, peraltro, la conferma di una surrettizia ambiguità tra la dichiarazione di intenti

volta a proclamare l’armonizzazione delle procedure negoziali pubbliche con il settore privato,

rispetto al nuovo regime dei controlli sulla spesa. Ed infatti, i numerosi “lacci e lacciuoli” fanno

propendere per una deriva in funzione pubblicistica che, a ben vedere, affievolisce la scelta di fondo

sulla c.d. “privatizzazione”, in modo particolare sulla disciplina della determinazione del

trattamento economico, sia dei comparti, sia della dirigenza25, ora schiacciata dai numerosi controlli

e dalle continue verifiche. In piena crisi, quindi, risulta la scelta originaria del d.lgs. n. 29/’93 che

affidava alla competenza della contrattazione collettiva la definizione dei trattamenti economici

fondamentali ed accessori dei pubblici dipendenti, anche se taluni dubbi su una soluzione

25 Per una valutazione delle indicazioni giurisprudenziali in tema di raccordo tra legge e contrattazione per

l’area della dirigenza pubblica e in materia di retribuzioni, cfr. G. ZILIO GRANDI, Il trattamento economico dei dirigenti pubblici tra legge, contrattazione collettiva e giurisprudenza, LD, 2002, 425 ss.

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totalmente ispirata al modello del diritto privato è stata da me espressa26, proprio a proposito degli

assetti retributivi e in riferimento alla “prima stagione” della riforma degli anni ‘90 sul pubblico

impiego.

Per essere più concreti e ritornando all’attualità, rimane incomprensibile il rapporto

tra i nuovi modelli contrattuali, delineati in sede sindacale attraverso il già citato Accordo del

22/01/2009, poi trasfuso per il pubblico impiego nella successiva “Intesa di attuazione del

30/04/2009”, con le sostanziali modifiche di cui alla riforma legislativa dell’anno 2009. Ancor più

in particolare, non è dato comprendere come i cc. cc. nn. ll. dei comparti possano definire il calcolo

delle risorse da destinare agli incrementi salariali, attraverso la supervisione, volta per volta, dei

ministeri competenti, previa concertazione delle confederazioni sindacali, ma assumendo come dato

previsionale l’indice IPCA, quale nuovo parametro di riferimento per l’individuazione degli

standards, da applicarsi ad una base di calcolo costituita dalle voci di carattere stipendiale. In

parole più semplici, non è dato comprendere come possa efficacemente interagire il nuovo sistema

dell’indice dei prezzi al consumo, armonizzato in ambito europeo (IPCA), con il rispetto dei vincoli

di bilancio e del patto di stabilità, nonché con il rispetto di tutti gli oneri contemplati negli strumenti

di programmazione annuale e pluriennale di ciascuna amministrazione.

Coerentemente, infatti, il nuovo indicatore per l’inflazione (IPCA), che sostituisce -

com’è noto - il tasso di inflazione programmata, attraverso un diverso (più moderno ed efficace)

criterio revisionale, è già stato adottato nei più recenti contratti collettivi del settore privato27, ma

non si vede come possa parimenti essere adottato agevolmente pure per il settore pubblico, attesa

l’assoluta difficoltà di collegamento tra parametri assolutamente diversi e non certo conciliabili tra

loro. Analoghe osservazioni critiche e talune perplessità, inoltre, possono essere mosse anche a

proposito della progettualità di cui alla richiamata Intesa sindacale del 30/04/2009, ove, come già è

stato espressamente ricordato, si afferma l’assunto che “verrà attribuito un nuovo e più incisivo

ruolo all’ARAN”, quindi, in palese contrasto con il denunciato ridimensionamento di cui sopra.

A ben vedere, aleggia il sospetto che si voglia predisporre un coordinamento, tra

l’Intesa sindacale del 30/04/2009 e l’ancor più recente d.lgs. di attuazione n. 150/09 della legge

delega n. 15/09, solo di mera facciata, senza avere contezza delle reali difficoltà di dover adeguare

realmente il modello privato al modello pubblico. I due modelli, nella realtà, non sono per nulla

conciliabili, sia per i numerosi paletti all’autonomia privata, sia per il predominio delle scelte

discrezionali rispetto a quelle di tipo meramente negoziale. In tal senso, si avverte forte l’esigenza

26 Cfr. Il trattamento economico nel rapporto di lavoro, cit., 242 ss., dove si evidenziano i limiti del modello

come soluzione di privatizzazione delle fonti del rapporto di pubblico impiego. 27 Si cfr. l’accordo collettivo dei metalmeccanici dell’ottobre 2009.

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di prendere le distanze da chi ha diversamente sostenuto che la c.d. “Riforma Brunetta”, approvata

interamente solo ora con l’entrata in vigore del d.lgs. attuativo della legge n. 15/09, si armonizzi,

invece, con le procedure negoziali pubbliche, che dovranno essere siglate in sintonia con l’Intesa di

riforma del modello di contrattazione collettiva, delineato dall’accordo, in più occasioni richiamato,

del 30 aprile 200928.

Ulteriori ed evidenti contraddizioni sono pure presenti anche negli stessi principi

espressi nel testo concordato dell’accordo sindacale qui in commento, specie sulle procedure per le

modalità e per gli ambiti della contrattazione collettiva (cfr. punto 2.4 dell’Intesa), ben diverse dalle

tecniche di monitoraggio e documentazione necessarie per adempiere ai vincoli di cui al d.lgs.

150/09: a) le prime ispirate all’autonomia dei cicli negoziali; b) le seconde, diversamente,

all’imperativo del controllo pubblico.

E infatti, a mio parere, non sembra affatto che i tempi, i modi e le modifiche alle

disposizioni economiche e normative, contenute nell’accordo sindacale, siano in effettiva sintonia

con le dettagliate scansioni di cui alla disciplina sui controlli e sui vincoli in materia di

contrattazione collettiva pubblica. Il d.lgs. n. 150/09 ci ha, peraltro, dato un esempio di legislazione

invasiva, riguardo a dinamiche che, in via del tutto generale ed astratta, nonché in ragione di

principi già consolidati nel nostro ordinamento, ben avrebbero potuto essere affidate alla

negoziazione collettiva, come è accaduto sino ad un recente passato. Diversamente, è ora il

legislatore a stabilire, peraltro in forma assai rigida, tutti i dettagli delle procedure contrattuali, ed

inoltre, è pure la stessa legge a stabilire i presupposti indefettibili, la cui presenza consente di

stipulare legittimamente un c. c. n. l.

Sotto tale profilo, emblematiche sono le vicende che hanno portato a rivedere oggi il

ruolo dell’ARAN, per la verità colpevole di pericolose collusioni e, soprattutto, di non aver

rappresentato efficacemente gli interessi della parte pubblica. Numerose le riflessioni, critiche e no,

che, anche per il passato, sono state sollevate, da più parti29, sulle continue riforme che hanno

riguardato l’Agenzia per la rappresentanza negoziale delle amministrazioni pubbliche e sulla crisi

del sistema contrattuale.

Orbene, dal complessivo assetto sopra illustrato se ne ricava che, oltre ad un

meccanismo di incorporazione del contratto collettivo nella sfera governata dalla legge, attraverso il

28 Diversa è l’opinione di G. FALASCA, Approvata la riforma Brunetta: in arrivo la produttività dell’impiego pubblico?, GLav, 2009, 42, 23, ove in senso opposto si sostiene l’armonizzazione dei due modelli.

29 In generale, sulla riforma dell’ARAN, cfr. L. ZOPPOLI, La “terza volta” dell’Agenzia per la rappresentanza negoziale delle amministrazioni pubbliche. Brevi sulla riforma dell’ARAN, LPA, 1998, 1297 ss. Ma, anche A. CORPACI, Agenzia per la rappresentanza negoziale e autonomia delle pubbliche amministrazioni nella regolazione delle condizioni di lavoro, in Regioni, 1994, 1025 ss. Invece sul dibattito riguardante la problematicità del sistema contrattuale pubblico, cfr. M. BARILÀ, Quella riforma “in bilico” tra pubblico e privato, GPI, 2008, 7-8, 4-5.

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sistema dell’espulsione di clausole negoziali e di inserimento di clausole di legge, si è proceduto ad

una rivisitazione generale della precedente opzione in chiave di autonomia negoziale. Vero è che, in

parte qua, la norma dell’art. 40, comma 3, del d.lgs. 165/01 è rimasta invariata, segnatamente nel

punto in cui stabilisce che “la contrattazione collettiva disciplina, in coerenza con il settore privato”,

la struttura contrattuale, i rapporti tra i diversi livelli e la durata dei contratti integrativi, ma è anche

vero che l’affermazione rimane solo una dichiarazione, meramente programmatica, di intenti.

Ed infatti, non è revocabile in dubbio la persistenza di un profilo distintivo: il datore

di lavoro pubblico non è ancora riuscito a trasfondere, nelle prassi negoziali e nelle dinamiche delle

stesse trattative preliminari alla stipula, le stesse logiche che fisiologicamente animano il settore

privato, da sempre proteso verso un imprescindibile interesse creditorio alla prestazione di lavoro

dei suoi dipendenti. In altri termini, non è avvenuto, specie sul fronte delle relazioni sindacali e

delle vicende legate alle rivendicazioni economiche, quell’auspicato traghettamento alla spiaggia

delle relazioni industriali, atteso che le pp. aa., per la verità, continuano a non essere analoghe ai

datori di lavoro privati.

Consequenzialmente vi è da ribadire ancora come l’ARAN, in questi anni, a mio

avviso, non abbia mai assunto, in buona sostanza, le vesti consone ad un’associazione sindacale di

estrazione datoriale, ritagliandosi, invece - e ciò pure attraverso l’elaborazione di innumerevoli

pareri e informazioni -, una vera e propria posizione di terzietà e, quindi, lasciando del tutto

scoperto il ruolo di rappresentanza sindacale degli interessi datoriali delle pp.aa., spesso interpretato

- ma, al di fuori delle strategie direttamente legate alle vicende sindacali - dal Dipartimento della

Funzione Pubblica.

7. Considerazioni conclusive

Senza volere cadere, in questa sede, nella facile tentazione di censurare le richiamate

prassi della contrattazione collettiva dell’area pubblica, e, in special modo, di quella integrativa, mi

pare, però, che non possa escludersi un’osservazione dal tono critico, sia pure di portata generale,

nonché di rilievo metodologico, che riassumo brevemente qui di seguito.

L’esplicito riconoscimento di un’armonizzazione con il settore privato (l’attuale art.

40, comma 3, d.lgs. 165/’01), in uno alla dichiarazione di coerenza con il modello contrattuale

sottoscritto dalle parti sociali (art. 53 del d.lgs. n. 150/09), non sono profili omogenei con l’attuale

dinamica dei controlli che, in verità, sembrerebbe incrinare fortemente la stessa qualificazione della

natura negoziale della contrattazione collettiva del pubblico impiego. L’evidente e irrinunciabile

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ambiguità tra istanze privatistiche da una parte - prima fra tutte il modello del c.d. “piano

industriale”30 - e imprescindibili esigenze di controllo sulla spesa delle pp. aa., costringono l’assetto

istituzionale ad una double face che disorienta l’interprete, ora sempre più imbrigliato da un reticolo

di obblighi, prescrizioni, vincoli e sanzioni di difficile coordinamento. Per essere più precisi, e

volendo entrare nel dettaglio, si citi il caso del nuovo d.lgs. n. 150/09, che interviene sia con una sua

normativa del tutto autonoma, sia con un’operazione di modifiche e integrazioni al testo vigente del

d.lgs. 165/01. L’effetto finale è quello, dunque, della riscrittura del secondo, ma anche della vigenza

del primo per le parti totalmente innovative, si ripete in posizione del tutto automa e indipendente,

senza, quindi, il necessario coordinamento.

La verità è che si sta procedendo alla riforma della riforma a passi veloci e

inizialmente scanditi dalle ultime leggi finanziarie31, si sta portando a compimento un’operazione

diretta verso la rilegificazione e la continua rivisitazione, a volte ripetitiva e sovrabbondante, degli

assetti regolativi i rapporti di lavoro con le pubbliche amministrazioni. La domanda spontanea che,

in estrema sintesi, legittimamente può essere fatta all’interprete, è questa: e, cioè, se tali nuovi

principi e criteri direttivi, ora sempre più ispirati al controllo pubblico, potranno effettivamente

raggiungere lo scopo di combattere sia la scarsa efficienza, sia l’eccessiva lievitazione delle spese

per il pubblico impiego; oppure si tratta, e ancora una volta, della solita operazione di maquillage,

transitoria e, quindi, destinata ad essere a sua volta rimaneggiata, con scarse possibilità di esiti

positivi, non in grado, in buona sostanza, di essere realmente incisivi sulle persistenti ambiguità

della c.d. “privatizzazione” del pubblico impiego.

La verità è che, sotto il profilo istituzionale e strutturale, riappare incombente

l’intreccio, sovente non risolto, tra atti di organizzazione (e di controllo), meglio provvedimenti di

macro-organizzazione, ed invece atti di regolazione/gestione dell’ordinaria amministrazione del

rapporto di lavoro32, con un evidente coinvolgimento del ruolo e della portata dello strumento (la

30 Originariamente previsto al Capo VIII d.l. del 25 giugno 2008, n. 112, poi convertito con la legge del agosto

2008, n. 133, il c.d. “Piano industriale della Pubblica Amministrazione” è stato ridisciplinato dalla legge del 18 giugno 2009, n. 69, specificamente nelle norme contenute nel Capo III di quest’ultima legge. In particolare, si segnala la disposizione di cui all’art. 21 che dispone sulla trasparenza delle retribuzioni dei dirigenti pubblici, nonché sui tassi di maggiore presenza e assenza del personale, con la previsione di poter monitorare i dati. Ma si tratta di misure, pur apprezzabili sul piano della trasparenza e della coerenza dell’amministrazione pubblica, non certo in linea con le prassi in uso nell’area dell’impresa privata e, in ogni caso, non contestualizzate all’interno del d.lgs. 165/01.

31 Il percorso è iniziato, soprattutto, con il consolidamento delle questioni legate al risparmio di spesa nell’area del pubblico impiego, ben presenti negli interventi delle finanziarie 2007 e 2008. Sul coordinamento tra questi due provvedimenti legislativi (20 dicembre 2006, n. 296 e 24 dicembre 2007, n. 244), si rinvia ad un mio intervento: Finanziaria 2008, precariato nel lavoro pubblico e ruolo della contrattazione collettiva, LG, 2008, 651 ss.

32 Analoghe considerazioni critiche sono espresse da M. ARGENZIANO, Decreto Brunetta: una riforma che non convince a pieno, GPI, 2009, 8-9, 20 dove sono enunciate talune evidenti ambiguità del nuovo assetto. Tra le molte, vengono analiticamente censurate le ragioni della compressione delle relazioni sindacali, con una ricaduta negativa sul piano dell’autonomia della contrattazione collettiva.

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contrattazione collettiva) che, sino ad un recente passato, è stato giustamente definito snodo cruciale

della riforma in itinere sulla c.d. “privatizzazione” del rapporto di pubblico impiego33.

Orbene, ritengo di condividere le perplessità di taluni sul complessivo disegno della

riforma dell’anno 2009, la quale ha esplicitato “uno strumentario non sempre dotato di una

profonda coerenza sistematica”34, e ciò anche in considerazione degli irrisolti problemi sul raccordo

privato-pubblico. E in questa sede, è solo il caso di ricordare che la vera scommessa, di maggiore

evidenza sul piano politico e istituzionale, va fatta soprattutto in materia di valutazione e di reale

premialità del personale in organico nelle diverse pp. aa. In altri termini, occorrerà valutare

l’effettività delle regole in questione, sul piano della loro tangibile attuazione, destinate a

disciplinare il merito ed il giusto riconoscimento del rendimento del singolo dipendente pubblico.

Ancor più in concreto occorrerà verificare, poi, se l’operazione di restringimento degli ambiti della

contrattazione collettiva produrranno veramente i benefici risultati auspicati dalla recente riforma.

In altri termini, se l’assegnazione di uno spazio, oggi decisamente residuale alla negoziazione delle

parti sociali, sia la chiave di volta per uscire dall’impasse della crisi di rappresentatività e,

soprattutto, dal vicolo cieco della improduttività del lavoro pubblico.

La via delineata dal legislatore del 2009 è quella di retribuire di più chi lavora e

produce, alla ricerca di una produttività (rectius: performance) individuale che non ha visto

precedenti in passato.

D’altro canto, in linea di principio e in via del tutto astratta, non è possibile non

condividere le soluzioni delineate. Ed infatti, solo evitando generalizzate ed indifferenziate

corresponsioni di indennità e premi, si potrà procedere ad una effettiva pesatura dei dipendenti

(dirigenti e no), destinando le (scarse) risorse economiche disponibili a quel personale strutturato,

proficuamente coinvolto nei processi di ristrutturazione e razionalizzazione e, quindi,

legittimamente meritevole di poter ottenere i giusti riconoscimenti retributivi in funzione dei

risultati conseguiti. Si tratterà di valorizzare al massimo le risorse umane presenti nelle pubbliche

amministrazioni, da sempre mortificate dalla scelta di criteri premiali e riconoscimenti di

progressioni (verticali e/o orizzontali), incoerenti con la reale pesatura delle professionalità e

funzionali, in ultima istanza, alla surrettizia captazione di consensi politici.

Tuttavia, nel concreto, appaiono ancora aggrovigliati i nodi legati all’assetto degli

incentivi ai funzionari più operosi, atteso che sembrano decisamente emergenti i profili rivolti a

penalizzare e, quindi, sanzionare l’improduttività, rispetto a quelli, invece, di carattere premiale a

33 L. FIORILLO, Le fonti del lavoro pubblico nell’elaborazione di dottrina e giurisprudenza, cit., 608. 34 Così, testualmente, M. ARGENZIANO, Decreto Brunetta, cit., 22.

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favore dei più meritevoli. Manca, in verità e ancora una volta, la concreta possibilità di utilizzare lo

strumentario tipico dell’impresa privata, con il rinvio, invece, ad una direzione del tutto opposta, e

cioè ad un sistema rigido e privo delle necessarie opzioni che dovrebbero essere realmente rivolte ai

lavoratori più produttivi.

Ad ogni modo, però, è solo il caso di avvertire che la flessibilità di una valutazione

legata al “caso per caso” ha già dato prova di ambiguità applicative di non poco peso, senza

l’auspicata rettitudine di procedimenti di selezione oggettiva, sia verticali, sia orizzontali, dei più

meritevoli. Con l’effetto, quindi, di rendere improcrastinabile l’ingresso di un sistema fondato sulla

determinazione ex ante dei criteri premiali, anche se, giudicando i livelli di riforma del 2009, non

sembrano coerentemente delineati gli assetti per avviare una seria ridefinizione della retribuzione di

risultato.

Rimane, pertanto, un’unica emergente certezza: la declinazione delle complesse

vicende legate al lavoro nelle pp. aa., segnatamente all’assetto degli interessi collettivi dei pubblici

dipendenti, non sembra possa avvenire più con i parametri tipici del diritto privato e, cioè, nel segno

di un agire della parte pubblica, contraddistinto dall’autonomia negoziale35; bensì attraverso una

spiccata e sempre più invadente funzionalizzazione del contratto collettivo agli obiettivi del buon

andamento e dell’imparzialità della p. a.

A ben vedere, coerentemente, si era ritenuto, e ciò sino ad un recente passato36, che

il necessario meccanismo di funzionalizzazione della contrattazione collettiva riguardasse i

comportamenti del datore di lavoro pubblico, e non già l’attività negoziale in sé, autenticamente

legata alle prassi della tradizionale contrattazione collettiva di lavoro e, quindi, frutto di una vera

libertà contrattuale, presente pure nell’area del pubblico impiego. L’effetto consequenziale di tale

tesi aveva approdato all’esclusione di qualsiasi condizionamento riguardo la stipula di contratti

collettivi nei vari comparti 37, equiparati in tutto e per tutto a quelli del settore privato.

35 Autorevolmente la dottrina giuslavoristica dello scorso decennio negava ogni interferenza, ritenendo che il

vincolo di scopo presente nella contrattazione collettiva pubblica riguardasse soltanto la sovrastruttura dell’agire della parte pubblica, e non invece il contratto in sé che risultava dal consenso reciproco. Così, testualmente M. D’ANTONA, Autonomia negoziale, discrezionalità e vincolo di scopo nella contrattazione collettiva delle pubbliche amministrazioni, ADL, 1997, 4, 60.

36 Sempre M. D’ANTONA, Lavoro pubblico e diritto del lavoro: la seconda privatizzazione del pubblico impiego nelle “leggi Bassanini”, LPA, 1998, 35 ss.

37 Tale tesi è di M. MARAZZA, Il contratto collettivo nel nuovo sistema del diritto comune del lavoro, Roma, 2003, 52 ss. che, però, finisce con l’attribuire rilevanza all’interesse pubblico attraverso la fase della c.d. “procedimentalizzazione” della formazione delle scelte della p.a., con l’apposizione di evidenti limiti esterni alla contrattazione collettiva.

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Per la verità tale ultima tesi, estrema e non in sintonia con una precedente e

accreditata dottrina giuslavoristica38, non trova giustificazioni a voler riflettere sulle necessarie

connessioni tra contratto collettivo e interesse pubblico, ben presenti anche nell’originario testo del

d.lgs. 165/’01 ed ancor prima nel d.lgs. 29/93. Ora più che mai, però, con la riforma del 2009,

emergono le criticità dell’intero sistema della contrattazione collettiva pubblica, condizionata dai

molteplici vincoli di conformazione alle esigenze del buon andamento. Tra le altre cose, come già si

è precisato, è mutato il segno del controllo della Corte dei conti sulla sottoscrizione e l’applicazione

del contratto collettivo di lavoro: ad esempio, in caso di certificazione non positiva, prima non era

previsto l’arresto del procedimento di contrattazione collettiva39, mentre oggi è inibita la

sottoscrizione del contratto.

E’, dunque, vero che i variegati doveri di osservanza delle regole e la concreta

prospettiva di una rilegificazione, invasiva degli spazi dell’autonomia negoziale, in chiave

riappropriativa della dimensione pubblicistica, denotano un’inversione di rotta rispetto alle tesi

rivolte, da più parti, ad attribuire alla contrattazione collettiva dell’area una funzione pregnante e

unica nella disciplina del lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni. Oggi è possibile

affermare con certezza che la contrattazione riveste solo uno spazio residuale e di contorno, con

evidenti conseguenze sul piano della disciplina dei rapporti individuali40, nella sostanza regolati

dalla legge.

Ed infatti, non è in crisi solo il ruolo primario assegnato dalla legge alla

contrattazione collettiva, ma si avverte anche una netta battuta d’arresto riguardo al processo di

complessiva omologazione dei rapporti di lavoro delle pp. aa. alle logiche dell’organizzazione e

della regolamentazione in ambito privato. E’ percepibile, peraltro, un potere legislativo ora più che

mai rivolto a dare attuazione ai principi di imparzialità e buona amministrazione, con un evidente

rilancio della disposizione di cui all’art. 97 della Costituzione, a tutto svantaggio della norma di cui

all’art. 39 della stessa Costituzione sulla libertà sindacale e, quindi, delle potenzialità di

un’organizzazione e di un’attività sindacale liberamente rivolte a perseguire gli interessi collettivi

dei pubblici dipendenti.

Vero è che in più occasioni, sia la legge delega, sia il legislatore delegato, esortano -

come già si è accennato in precedenza e in più occasioni - verso il comune (e ideale) obiettivo della

38 Sul punto, M. RUSCIANO, La riforma del lavoro pubblico: fonti della trasformazione e trasformazione delle fonti, DLRI, 1996, 245 ss.

39 Così, Corte dei conti, Friuli Venezia Giulia, 13 giugno 2008, n. 248, GPI, 2008, 8, 68-69, ove si sostiene l’assenza del danno erariale in caso di applicazione del contratto privo della certificazione positiva della Corte dei conti, atteso che il giudice contabile prima non aveva un controllo in grado di arrestare la procedura di stipula del contratto.

40 Si ricordi solo il caso delle regole in materia di sanzioni disciplinari, espropriate alla contrattazione collettiva e analiticamente trattate dal Capo IV del d.lgs. n. 150/’09.

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convergenza degli assetti regolativi del lavoro pubblico con quello del settore privato; ma, è

altrettanto vero che, memore del fallimento di un’effettiva armonizzazione tra le due grandi aree -

soprattutto sul fronte delle relazioni sindacali e, segnatamente, sui meccanismi di formazione del

contratto collettivo -, il legislatore delegante e, a seguire, quello delegato, introducono più di un

freno all’autonomia negoziale delle parti ed alla liberalizzazione in senso privatistico della gestione

delle risorse umane all’interno delle pp. aa.

Su questo specifico punto è sufficiente, all’interno di questa analisi, richiamare,

ancora una volta, il rafforzamento in atto dei controlli della Corte dei conti sul piano della

contrattazione collettiva. Già evidente con il primo “Decreto Brunetta” (cfr. il d.l. n. 112/’08, poi

convertito nella legge n. 133/’08), il giudice contabile è ora legittimato ad un ruolo di supervisione

sulle irregolarità gestionali, con l’implicito risultato di una mancata realizzazione di un sistema

privatistico, al fine di conseguire una reale ed effettiva ottimizzazione della produttività del lavoro

pubblico. La Corte, infatti, ha ora il potere di censurare la quantificazione dei costi contrattuali,

intervenendo nel merito dell’atto negoziale di stipula del contratto.

La verità è che emerge, sotto un profilo di carattere generale e complessivo, un

consistente ridimensionamento rispetto ad una visione di mercato e di taglio aziendalistico, nel

segno di un imperativo categorico: dover prioritariamente tutelare e garantire la realizzazione del

superiore interesse pubblico. Orbene, in tale direzione, quest’ultimo appare invasivo anche rispetto

alle attività più semplici, rivolte alla diretta gestione dei rapporti di lavoro in sé e, quindi, non solo

di quelle attività di micro e/o bassa organizzazione delle pubbliche amministrazioni. In altri termini,

anche le esclusive competenze relative alle vicende in dettaglio sullo svolgimento dei rapporti di

lavoro, come per il caso delle regole in materia di sanzioni disciplinari, subiscono l’attrazione

nell’orbita del precetto costituzionale del buon andamento, con la previsione di un disciplina legale

analitica che non lascia spazi all’autonomia negoziale, peraltro, ulteriormente compressa e ridotta

ad una funzione di mera ratifica della prima. Per certi versi, sembra quasi di essere ritornati indietro

nel tempo, cioè all’epoca della storica “Legge Quadro” n. 93 sul pubblico impiego dell’ormai

lontano 1983, e ciò in ragione di questa nuova funzione ancillare della contrattazione collettiva

rispetto alle legge.

A ben vedere e volendo trarre ora una considerazione finale, preso atto di tali

mutamenti strutturali e genetici, sembra oggi più realistico parlare di una vera e propria

controriforma degli assetti regolativi sul pubblico impiego, a confronto della progettualità insita

nell’originario d.lgs. n. 29/’93, con un evidente ed esplicito recupero del primato del diritto

pubblico sulle vicende regolative gli stessi rapporti di lavoro del personale all’interno delle pp. aa.

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A dire il vero, è di tutta evidenza che, per l’interprete, la difficoltà maggiore sarà quella di

armonizzare ciò che resta del d.lgs. n. 165/01 con l’avvio delle nuove regole modificative dello

stesso, avendo cura di evitare possibili interferenze ed ambiguità interpretative, che inevitabilmente

potrebbero portare alla creazione di un vero e proprio monstrum giuridico, con l’effetto di rendere

ancora una volta inattuata la riforma del pubblico impiego in Italia.

Sarebbe stato preferibile, in conclusione, anche a voler sfiduciare lo strumento della

contrattazione collettiva, prospettare un’articolata mediazione tra profili pubblicistici, esigenze di

cassa e regole aziendalistiche. Diversamente, si è optato solo per un ulteriore e più incisivo

ridimensionamento dell’autonomia negoziale, ancor più rispetto alle anticipazioni già somatizzate

con la precedente legge n. 133/08, dunque, con un evidente e più marcato restringimento dell’area

riservata alla libera iniziativa delle parti contraenti.