la creazione come veritÀ’ filosofica nel secolo xx

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LA CREAZIONE COME VERITÀ’ FILOSOFICA NEL SECOLO XX Fenomenologia-semantica-storia e filosofia della tematica PASQUALE ORLANDO 1. Fenomenologia. La realtà, la nostra realtà, è certamente un buon punto di partenza per la nostra indagine, perché il mondo è. Dal mondo che è, il perché esso è, è questo il nostro interrogativo. In altre parole: il mondo è, da dove il suo actus essendi?. Dobbiamo, inizialmente, chiarire due cose: cosa è la realtà e cosa dice la scienza? 1.2. La realtà? Con sguardo generale, la realtà è tutto il reale. Tematizzando più determinatamente, la realtà è tutto il reale, tutto ciò che esiste: ogni ente, l'insieme degli enti e, in questo senso, l’essere esistente in generale. Non è qui il luogo di analizzare a fondo che cosa sia la realtà. Di essa non si può dare una definizione a priori. L’onni- comprensivo non è, per definizione, né definibile né circoscrivibile. Per- ciò sarà sufficiente accennare concretamente, con questo concetto pluri- stratificato e pluridimensionale, per dare al nostro discorso concretezza e determinatezza, diversamente esso è astratto e vuoto di significato. Per tale motivo possiamo determinare la realtà in tre grandi sfere. La realtà, sono soprattutto io stesso, che come soggetto posso farmi mio oggetto. Io stesso in anima e corpo, con le mie doti ed il mio compor- tamento, con le mie debolezze e i miei punti forti: non l’uomo ideale, ma solamente un uomo con i suoi alti e bassi, con le sue deficienze e le sue positive qualità... Un uomo sempre diviso da diversi ruoli sociali, che la società si attende da lui, ruoli che deve svolgere nella società. Spesso riesce più facile accettare il mondo che se stessi, quali si è al momento, o quali si è divenuti ad opera degli altri!. 1 E’ il pensiero predominante di Romano Guardini, Ansia per l’uomo, Mor- celliana 1970, in 2 volumi. Teresianum 38 (1987/2) 357-379

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Page 1: LA CREAZIONE COME VERITÀ’ FILOSOFICA NEL SECOLO XX

LA CREAZIONE COME VERITÀ’ FILOSOFICA NEL SECOLO XX

Fenomenologia-semantica-storia e filosofia della tematica

PASQUALE ORLANDO

1. Fenomenologia.

La realtà, la nostra realtà, è certamente un buon punto di partenza per la nostra indagine, perché il mondo è.

Dal mondo che è, il perché esso è, è questo il nostro interrogativo. In altre parole: il mondo è, da dove il suo actus essendi?.

Dobbiamo, inizialmente, chiarire due cose: cosa è la realtà e cosa dice la scienza?

1.2. La realtà? Con sguardo generale, la realtà è tutto il reale.

Tematizzando più determinatamente, la realtà è tutto il reale, tutto ciò che esiste: ogni ente, l'insieme degli enti e, in questo senso, l ’essere esistente in generale. Non è qui il luogo di analizzare a fondo che cosa sia la realtà. Di essa non si può dare una definizione a priori. L ’onni­comprensivo non è, per definizione, né definibile né circoscrivibile. Per­ciò sarà sufficiente accennare concretamente, con questo concetto pluri- stratificato e pluridimensionale, per dare al nostro discorso concretezza e determinatezza, diversamente esso è astratto e vuoto di significato.

Per tale motivo possiamo determinare la realtà in tre grandi sfere. La realtà, sono soprattutto io stesso, che come soggetto posso farmi mio oggetto. Io stesso in anima e corpo, con le mie doti ed il mio compor­tamento, con le mie debolezze e i miei punti forti: non l ’uomo ideale, ma solamente un uomo con i suoi alti e bassi, con le sue deficienze e le sue positive qualità... Un uomo sempre diviso da diversi ruoli sociali, che la società si attende da lui, ruoli che deve svolgere nella società. Spesso riesce più facile accettare il mondo che se stessi, quali si è al momento, o quali si è divenuti ad opera degli a ltr i!.

1 E’ il pensiero predominante di Romano Guardini, Ansia per l ’uomo, Mor­celliana 1970, in 2 volumi.

Teresianum 38 (1987/2) 357-379

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La realtà: è il mondo e tutto ciò che costituisce il mondo nello spa­zio e nel tempo, il macrocosmo e il microcosmo con i loro abissi. Il mon­do nella sua storia, nel passato, nel presente e nel futuro. Il mondo con la materia e l'energia, con la natura e la cultura, con tutti i suoi pro­digi ed orrori. Non un mondo-sano, ma un mondo-reale e con tutto il suo dolore, in tutta la sua problematicità: con i suoi condizionamenti con­creti e catastrofi naturali, con la sua miseria reale, con gli animali e gli uomini nella loro lotta per l ’esistenza, nel loro nascere e nel loro perire, nel loro divorare e nel loro essere divorati.

Quale varia e vasta gamma di aspetti di questo mondo! Come viene descritto da tutti i libri presenti e passati, di qualsiasi aspetto di cultura nemine excepto, perché tutto è incluso nella denominazione di mondo­reale.

La realtà: sono nel mondo, in particolare gli uomini, gli uomini di tutti i ceti e di tutte le classi, di tutti i colori e di tutte le razze, nazio­ni e regioni, sono l ’uomo singolo e la società. Gli uomini: i più lontani e soprattutti i più vicini (il prossimo), che spesso sentiamo lontanissimi da noi. Gli uomini con tutto il loro umano, troppo umano. Nessuna uma­nità ideale comunque, ma un’umanità che comprende anche tutto ciò che noi vorremmo escludere « dall’abbraccio universale e dal bacio cosmi­co » 2. Che comprende anche tutti coloro che, in grande o in piccolo, pos­sono renderci la vita un inferno, per dirla con Sartre 3.

1.3. Cosa dice la scienza?

La scienza, riguardando le strutture e le interazioni delle cose come si trovano già nell'universo, prescinde propriamente dal problema della creazione. Il suo approfondimento della conoscenza intima dei corpi, os­sia l ’approfondita analisi degli ultimi elementi della realtà corporea, che sono come il materiale da costruzione del grande edificio cosmico, può darci notevoli indicazioni circa la probabile o meno creazione dal nulla. Si potrà almeno vedere se la scienza moderna, rispetto alla scienza an­tica, rilevi aspetti più o meno favorevoli all’ipotesi dell’iniziale creazione.

Una retta visione scientifica, senza per altro entrare in quella pret­tamente filosofica4, scorge indicazioni in senso favorevoli alla creazione dal nulla.

Con il Dott. C. Landucci possiamo considerare quanto segue.« Lo sviluppo scientifico ha dimostrato che tutte le proprietà dei cor­

2 Hans Kiing, 24 Tesi sul problema di Dio, Arnoldo Mondadori Editore, I 1980, p. 13.

3 E' una delle tesi di Être et Néant, pubbli, nel 1943 (cfr. ed. it. Il Saggia- tore-Milano-1963, e ripetuta in A porte chiuse del 1945.

4 Cfr. M.F. Sciacca, Prospettiva sulla Metafisica di San Tommaso, Città Nuova ed. 1975, c. 5° « Il principio di creazione. Partecipazione e Analogia, pp. 93-109.

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pi naturali hanno la loro profonda spiegazione nelle intime strutture corpuscolari. Il mondo visibile macroscopico cioè risulta tutto radicato nel mondo invisibile corpuscolare, ossia in quegli intimi elementi che costituiscono le prime strutture dei corpi.

La necessità di un estrinseco ordinatore del cosmo fa naturalmente pensare che la perfetta idoneità di tali intime strutture, quali materiale da costruzione della struttura cosmica, sia dovuta al fatto che l ’ordina­tore potentissimo abbia fabbricato tale materiale stesso da costruzione, ossia — trattandosi proprio degli ultimi elementi — lo abbia creato. Ogni inventore e costruttore di un diffìcile meccanismo sceglie egli stes­so il materiale più adatto. Tuttavia, mentre una qualsiasi macchina di un artefice umano non nasce dal materiale, pur avendone essenziale bi­sogno, la macchina cosmica, invece, sgorga dall’intima costituzione del materiale, nel senso che posto tale materiale doveva naturalmente uscire tale macchina. La radicazione di questa nel suo materiale è quindi straordinariamente intima ed essenziale, così da suggerire appunto la produzione creativa del materiale stesso » 5.

D’altra parte, è bene riflettere, che l ’ipotesi opposta, cioè d’un ordi­natore capace di flettere il materiale già trovato alla costruzione di una così profonda struttura unitaria cosmica (per escludere il creatore) sup­pone un tale dominio sul materiale stesso che sembra, sotto certi aspetti superare la potenza stessa di produrli ex novo. Perciò aveva ben ragione Aliotta di affermare » l ’evoluzionismo più miracoloso del creazionismo » 6.

E per concludere su questa iniziale considerazione, mentre con il citato Landucci ripetiamo « Senza voler poi troppo premere sui responsi diretti della scienza circa un problema che essenzialmente la trascende, ha fatto molta impressione il fatto che un complesso di ricerche geolo­giche, radioattive, sul carbonio... confluiscono nell’additare, per l ’evolu­zione del nostro cosmo, un inizio a una distanza di tempo finita, dell’or­dine di grandezza di Cinque-dieci miliardi di anni » 7, riaffermiamo, al­tresì, con Gilson che « La scienza può spiegare molte cose nel mondo, ed un giorno potrà forse spiegare tutto ciò che costituisce il mondo dei fenomeni. Ma perche qualcosa sia, o esista, la scienza non lo sa, proprio perché non può neppure porsi la domanda. Questa è una domanda su­prema che ha un’unica risposta suprema ed è che: l ’esistenza di ogni energia esistenziale, di ogni essere particolare esistente, dipende da un puro Atto di essere. Ma l’atto puro di essere dev’essere un’esistenza as­soluta, altrimenti non sarebbe ultima risposta a tutti i problemi esisten­ziali. Come assoluto l ’Atto-puro di essere è anche autosufficiente e, se crea, il suo Atto-creativo deve essere libero. Di più: se crea, crea non

5 Cfr. P.C. Landucci, Problematica della Miscredenza e della fede, Colet­ti Editori Roma 1964, pp. 59-60.

6 Cfr. A. Aliotta, Evoluzionismo e Spiritualismo, Libr. Scientif. Editr. Na­poli 1948, pp. 144 e ss.

7 Cfr. Landucci, op. cit. p. 61.

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solo l'essere ma anche l'ordine, deve contenere per lo meno l ’unico prin­cipio di ordine noto alla nostra esperienza, cioè il pensiero che raccoglie e domina tutto l ’universo. Dunque: una causa assoluta, sussistente per sé e intelligente non è Qualcosa, ma è Qualcuno » 8.

2. Semantica.

L'idea di creazione o è totalmente assente o è completamente frain­tesa nell’ateismo contemporaneo9. E lo stesso modo scolastico di definire la creazione come « productio rei ex nihilo sui et subiecti » non è esat­to, o è per lo meno incompleto, giacché mette in risalto solo l ’aspetto negativo della creazione, e tralascia quello positivo 10.

Creare è: 1) in primo luogo « productio entis », cioè, più esattamente « existentis » in quanto tale. Vale a dire « produzione dell’esistente in quanto esistente ». Ma, poiché l ’esistente è tale in virtù dell’atto di es­sere, che è perfezione di ogni perfezione in ogni singolo esistente, pro­durre l ’esistente in quanto esistente è produrlo totalmente. La fonte del­l ’essere è necessariamente la fonte della totalità d’essere, cioè la fonte dell’esistente in quanto è un tutto. Per questo l ’attributo fondamentale dell’attività creatrice è la totalità. Creare, dunque, non è fare qualcosa nelle cose, ma è fare la totalità di ogni cosa in ogni età.

L ’attività creatrice, che è Dio stesso e si identifica con Lui, non è, né deve essere considerata come qualcosa di passato, ma come qualcosa di attuale, perciò in qualsiasi istante, nulla è che non sia fatto hic et nunc da Dio-creatore. L ’attività creatrice deve essere considerata come qual­cosa di sommamente presente. L ’attività umana ammette il presente, il passato ed il futuro, perché essa modifica soltanto le cose, non le pro­duce mai totalmente. Perciò l ’agire umano è parziale perché sempre solo produce qualcosa in qualcosa, come fa lo scultore nel marmo scolpito ».

8 Cfr. E. Gilson, Dio e la filosofia, Editrice Massimo Milano, 1984, pp. 122 e ss.9 Ci riferiamo al così detto Ateismo prometeico o prometeismo, noto pure

come ateismo assertorio. Il nome viene dal personaggio mitologico di Promé- teo, il gigante che ruba il fuoco a Giove per restituirlo agli uomini. In pena di questa sua audacia, viene legato ad un masso nel Caucaso e condannato ad avere il fegato perpetuamente divorato da un'aquila. Il senso del racconto mitologico può essere facilmente spiegato: vi è tra Dio e l ’uomo una forma di emulazione, fondata in una concezione pre-cristiana dei rapporti tra l’uomo e Dio, al di fuori della creazione. Giove appare in un certo modo come un uomo in grande. Prometeo come un uomo in piccolo. In definitiva è una lotta antropomorfica che si svolge tra l ’uno e l ’altro. Cfr.: G. Carli-Escobedo, Enci­clopedia della mitologia, De Vecchi editore, Milano 1964, p. 409; AA.VV., VAtei­smo contemporaneo, S.E.I. 1970, v. IV, pp. 311.314.315.

10 Cfr. S. Tommaso, In lib. II Sent., Dist. I, q. I, a. 2; S.Th. I, q. 65, a. 4; S. Bonaventura, In Lib. II Sent., Dist. I, p. I, a. 11, q. 2 resol.; S. Agostino, De Genesi ad litt-, lib. I, c. 14, n. 29.

11 La stessa generazione è sempre e solo una modificazione e disposizione della materia preesistente all’attività generatrice.

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L ’azione umana passa e svanisce, l ’attività creatrice non può cessare senza che la creatura svanisce nel nulla. Per cui: non si può dire che l’attività creatrice proceda in senso cronologico perché essa costituisce e fonda il tempo ed ogni cronologia. Creare è porre attualmente la realtà del tempo, cioè il prima e il p o i12. Il prima e il poi, il passato ed il fu­turo riguardano l’attività che si svolge nel tempo ed è misurata dal tempo. Il creatore è il presente comprendente in sé ogni passato ed ogni futuro. Tutto questo scaturisce da un esatto concetto dell’essere, cioè dall’esistere e da questo esatto concetto diviene chiara la atempo­ralità dell’azione creativa.

Il fondamento stesso del tempo è l ’esistere. L ’atto di esistere fonda e ricomprende in sé il tempo e la storia. L ’atto di esistere delle crea­ture è misurato dal tempo, perché da esso comincia il tempo di ogni esistente. Cominciare ad esistere vuol dire venire iscritto nell’essere per sempre. Anche quando un esistente cessa di esistere rimarrà sempre vero che tale esistente è stato inscritto nell'essere per la durata della sua vita. Sarà sempre vero che ognuno di noi ha vissuto il suo deter­minato tempo (= la sua vita), in determinate circostanze: il tempo è la durata d’un fenomeno (= ogni esistente)13.

Dunque l’esistere fìssa il tempo e gli conferisce qualcosa di immuta­bile e di intemporale che esso esistere ha: l ’esistere è il fondamento di ogni cronologia.

Come si vede, il concetto dell’essere e il concetto di creazione sono intimamente solidali: dal significato del concetto dell’essere dipende il valore di creato: un debole concetto dell’essere porta necessariamente ad un debole concetto di creazione.

Pertanto, il problema di fondo rimane lo stesso e di sempre: cosa è l ’essere nella sua intima realtà?

In una filosofia che sostiene che l ’essere è solo una idea mentale (cfr. Kant), di natura puramente logica, formale, vuota di contenuto, anche la creazione rimane debole e superficiale, insignificante. Se, in­vece, l ’atto d’essere è inteso come perfezione d’ogni perfezione, anche la creazione acquista una forma realistica e realizzante di valore infinito. In tal caso la creazione è veramente il fondamento assoluto della realtà che ha in sé l ’infinita densità dinamica dell’Essere-Sussistente14.

Questa considerazione è illuminante per un concetto positivo di creazione, che dobbiamo ancora completare.

Esso, oltre agli attributi di totale ed attuale, è, anche, di valore infi­nito, perché capace di superare la infinita distanza che intercede tra il

12 Tutti i verbi riferiti alla creazione non possono avere né prefissi (che indicano priorità cronologica) né suffissi (che esprimono posterità cronolo­gica); anzi tali verbi non hanno né passato, né futuro, ma solo il presente.

•3 Cfr. P. Orlando, Filosofia dell'essere-Saggi - Napoli 1979, pp. 70-8.14 Come vedremo nelle riflessioni che faremo in seguito.

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nulla e l ’essere; inoltre è azione sussistente perché ha come effetto il sussistente particolare; è, ancora, un’azione assolutamente una ed unica perché nulla entra in composizione con essa; è azione assolutamente im­mediata di immediatezza personale, poiché dov’è l ’azione di Dio ivi è immediatamente la persona divina; è azione intellettuale, libera, volitiva, perché è azione personale15: Dio, che è essenzialmente essere è anche essenzialmente azione.

In Dio l ’operare si identifica con la sostanza, che, perciò, è essen­zialmente dinamica, né è possibile, per la sua semplicità, distinguere realmente in Dio più operazioni con una distinzione specifica o nume­rica: un solo atto semplicissimo è tutta la sua attività: conoscere, vo­lere ed agire,é.

Buona la sintesi di Bogliolo su questo argomento. Partendo dal noto principio « Unumquodque agit secundum quod est » u, enuclea poi così « gli agenti particolari hanno un modo di agire particolare e parziale, gli attributi dell’esistente particolare sono gli attributi delFagente parti­colare... I l loro agire è parziale, potenziale, subordinato, condizionato, limitato, temporale, spaziale, successivo, imperfetto, intrinsecamente com­posto... Nell’ente assoluto si realizza in modo assoluto. Il creare è azione semplicissima, perfettissima, totale, attualissima, infinita, sussistente, as­solutamente una e semplice, eterna, intellettuale, liberissima, personale, sopra ogni successione, sopra ogni tempo, sopra ogni spazio, assoluta- mente immediata, assolutamente indipendente18.

Dunque, appare chiaro dal fin qui detto che:1) Il creare è solo di Dio (= Ente infinito);2) neppure Dio può comunicare la potenza creatrice ad una creatura;3) né Egli può usare delle creature come causa strumentale della

creazione19.

3. Storia.

Tre ipotesi circa la problematica dell’origine del mondo presenta la storia del pensiero umano, che riteniamo visione adeguata, perché oltre queste tre ipotesi non riusciamo a pensarne una quarta20; esse sono:1) Ipotesi panteistica, 2) dualistica, 3) creazionistica.

15 Cfr. Il cit. mio Fil. dell’Essere, pp. 151-170.16 Nel cit. mio Libro, a pp. 1314, si afferma la legittimità della distinzione

rationis ratiocinatae tra le varie operazioni attribuite a Dio. Sono immanenti formalmente e transeunti virtualmente e così la creazione.

17 ' Ogni esistente agisce secondo il suo modo d’esistere ’. Cfr. N. Signoriel- lo, Lexicon peripateticum philosophico-theologicum, Napoli 1584, p. 40.

18 Cfr. L. Bogliolo, Antropologia filosofica. L ’uomo nell’essere. Città Nuova, Roma 1971, pp. 293.294.295.

» Cfr. De Pot., q. Ili, a. 4; S.Th., I, 45, aa. 5-8; ScG, 2, 21.20 Ciò se si pone una esistenza di Dio; se la neghiamo esistono altre ipotesi,

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Dio e il mondo sono identici o distinti? L ’infinito è qualcosa che trascende il finito, oppure è ad esso immanente? E come derivano le cose dall’infinito? I l finito e l ’infinito sono coesistenti?

Ovvero: in quale relazione, circa l ’origine, sono?Ecco un complesso di quesiti importanti. Una rivisitazione storica,

sintetica e precisa, ci dipana la matassa, con sguardo d’insieme.

3.1. Panteismo.

I l Panteismo21 che è monismo, si presenta variamente costituito.Gli storici parlano di Panteismo moderato, che ritiene Dio è parte

del mondo, come insegnava nel Medio Evo David di Dinant, in quanto è l ’elemento materiale; o, in quanto è quello formale secondo Amaury di Chartres, ricavata dalla dottrina degli Stoici, che dicono Dio anima del mondo.

Si parla di Panteismo integrale o rigido, che è il vero panteismo, secondo il quale: l ’infinito è tutto, e tutto è l ’infinito. Dio, dunque è im­manente al mondo, tutte le cose sono emanazione, modi, aspetti reali o ideali della sua sostanza. Emanatismo o emanazionismo afferma che tut­te le cose debbano ritenersi divine, in quanto sono parti della divinità, come l ’acqua dalla sorgente, la luce e il calore dal sole, le scintille dalla fiamma, il frutto dall’albero22.

E’ tale la posizione degli Stoici. Ma con Plotino assume la struttura sistematica che diventerà classica nel pensiero occidentale: il suo sche­ma ciclico dell’emanazione (apórroix) e del ritorno (epistrofé) rimarrà per secoli, sia pure attraverso variazioni sostanziali, lo schema di tutti quei pensatori nei quali la continuità e l ’unità dell’essere prevalgono sul­le distinzioni e sull’autonomia dell’individuale e del finito: Scoto Eriu- gena, Eckhart, G. Bruno e recentemente in tutte le dottrine teosofiche23.

quali il materialismo, il casualismo... ma non entrano nella presente prospet- tiva.

21 II Panteismo (pan theós) non è il panenteismo (pan-en-theó) cioè tutto in Dio, termine creato da K. Ch. F. Krause per definire la propria posizione. Cfr. Vorlesungen iiber das Systen der Philosophie, Gottingè 1928.

22 Questa forma di panteismo si trova, avvolta nei veli dell’allegoria, in molte leggende di antichi popoli indiani.

23 La teosofia è un complesso di dottrine che riguardano una certa visione di Dio ed una misteriosa conoscenza delle cose. In generale, è una corrente che attraversa l ’intera storia della filosofia, e riguarda un problema da tutti sentito, e in tutti i tempi. Ma la moderna teosofia è influenzata soprattutto dal Buddismo e dell’induismo (H. Blavatsky, A. Bésant), mentre R. Steiner ha fondato l ’antropologia che si appoggia piuttosto ai misteri greci ed egi­ziani. La teosofia si professa panteista. Cfr. M.M. Rossi, Teosofia, in Enc. Fil., cit. IV, 1161-3.

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I l Panteismo offre, tuttavia, diversi aspetti che qualificano diverse forme. Un Panteismo immanentistico che risolve completamente Dio nel­le cose e scivola così nel più piatto monismo materialistico con Ostwald, Haechel, Taine. Pn Panteismo trascendente (mistico) che vede il divino solo nell’intimo delle cose e, in particolare, nell’anima per cui la crea­tura diviene Dio solo in quanto si liberi dall’involucro sensibile, così nel panteismo indiano della filosofia vedanta, in Plotino, in Scoto Eriu- gena. Un Panteismo trascendente-immanente, secondo il quale Dio si rea­lizza e si rivela nelle cose, così: Spinoza, l ’idealismo tedesco, Goethe, Schleiermacher, Euchen 24.

Quanto al sorgere delle cose, il Panteismo è emanatistico (il neo- platonismo), le cose sorgono da un Assoluto Immutabile; è evoluzioni­stico, dove Dio si realizza nel processo stesso del divenire cosmico e attraverso di esso giunge all’autocoscienza, così: Fichte, Schelling, He­gel, Gentile, Croce; c’è infine quello di Spinoza che trascura il problema del sorgere delle cose.

Sotto l ’aspetto gnoseologico, altro è il panteismo realistico, che ri­conosce alle cose e alla coscienza singola un essere indipendente dal pen­siero divino (Spinoza, Hartmann), altro è quello idealistico, per il quale le cose non sono che pensiero della’ssoluto (come nel panlogismo hege­liano, in cui pensiero ed essere si identificano).

3.2. Dal Panteismo all’Ateismo.

L ’ateismo prometeico recepisce l ’immagine della cultura filosofica eu­ropea specialmente del Romantiscismo tedesco.

Qui, però, ci troviamo di fronte ad una concezione assai meschina di Dio e dei rapporti tra Dio e l ’uomo. E sorprende davvero che questa immagine dell’ateismo domini oggi, dopo duemila anni di Cristianesimoi

E ’ questa per esempio, l ’idea di Marx circa il Dio-Cristiano.Tanto è vero che molte volte egli sostituisce il nome di Dio con

quello di D ei25. Non per nulla aveva elaborato la sua tesi di laurea sulla religione dei Greci26, che divenne poi il prototipo di ogni religione27.

Ma ci domandiamo: la teologia protestante quale concetto aveva del­la creazione nel tempo della cultura in cui vissero Kant, Feuerbach, Marx, Schopenhauer e poi Nieschtze? E come veniva concepito il rapporto crea- tore-creatura dalla Teologia Cattolica?

24 In questa categoria rientra il pampsichismo, secondo cui tutto è vivi­ficato da un’anima o da una ragione cosmica. In questo il panteismo biolo­gico cerca di spiegare la finalità interna ed esterna degli organismi.

25 Cfr. 0. Todisco, Marx e la religione, Città Nuova, Roma 1976, 229-48.26 Cfr. Id., Karl Marx, Ed. Paoline, Roma 1979, 11-67; R. Garaudy, K. Marx,

Sanzogno Milano 1974 ' 15 aprile 1841 ’ a Iena « Differenza tra la filosofia na­turale di Democrito e di Epicuro ».

27 E’ il concetto di Dio e della Religione nel romanticismo tedesco.

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Queste considerazioni appartengono, è vero, alla storia della teolo­g ia23, non alla storia della filosofia. Ma è questa che influisce molto su quella, ecco perché ne parliamo.

E rimanendo in ambiente eminentemente filosofico, notiamo che, do­po Kant, il concetto di Dio s’avvicina molto al panteismo spinoziano. Tutto l ’idealismo trascendentale è panteistico, ed il concetto idealistico di Dio non è altro che una comoda ipotesi che serve benissimo a coro­nare e completare il sistema.

E ’ dominante il concetto di Dio-Demiurgo, prima in Feuerbach e poi nel Marxismo, e poi in tutta la cultura laica.

Dal Dio-Demiurgo all’ateismo prometeico il passo è breve. Molti con­temporanei parlano di Dio in modo da farne un uomo grande, potente, sapiente e poco più. A che stupirci, allora, se ci si rivolta contro un si­mile Dio? (Che non è il vero Dio-cristiano).

Nietzsche è figlio di questa cultura. A 14 anni fu affascinato dalla mistica figura di Prometeo e ne fece il tema della sua vita. Aveva anche abbozzato un dramma sull'argomento che doveva concludersi con la fine di Zeus. N. discendeva da un'antica famiglia di pastori protestanti for­temente luterani. Di qui l ’idea di Dio che toglie all’uomo lo slancio vi­tale, che domanda di mortificarsi, di pentirsi, di annientarsi... il Dio della quaresima, del pietismo corrucciato, del venerdì santo senza Pasqua. Degno figlio del suo tempo!. Anche ai dì nostri non mancano cospicui rappresentanti. L'avversione di Heidegger ad ammettere filosoficamente un Dio come Persona-Sussistente ha le medesime radici teoretiche e sto­riche. La caduta del trascendente nel trascendentale kantiano, viene pro­seguita da Heidegger. Il trascendente viene inteso come ontico, come og­getto e perciò stesso limitato, come realtà opposta all’uomo. L ’opposi­zione prometeica assume in Heidegger la forma di assoluta incompati­bilità tra fede e ragione.

Il Dio-Persona, trascendente, può essere soltanto oggetto di fede, ma non ha nulla a che fare con Dio-trascendente della filosofia. Mette­re insieme fede e ragione costituisce un circolo quadrato29. L ’ultima ri­soluzione del prometeismo portato fino alle sue estreme conseguenze l ’abbiamo senza dubbio in J.P. Sartre30. La sua filosofia è costituita inte­ramente sulla base di una concezione irriducibilmente antagonista tra Dio e l ’uomo. E ’ lo svolgimento filosofico portato fino in fondo del prin­cipio: o io(=uom o) o tu(=Dio).

28 Cfr. S. Kierkegaard, Briciole di Filosofia e postilla non scientifica, trad. C. Fabro, Bologna 1962, II p. 70; K. Barth. L ’epistola ai Romani, trad. it. Fel­trinelli 1974; P. Tillich, Systematic Theology, Chicago 1957; D. Bonhoeffer, Re­sistenza e resa, tr.it. Bompiani, Milano 1969; R. Bultmann, Jesus, Parigi 1968; J. Robinson, Dio non è così, tr.it. Vallecchi, Firenze 1965; P. Van Buren, I l si­gnificato secolare del Vangelo, tr.it., Gribaudi, Torino 1968.

29 Cfr. C. Ottaviano, Manuale di Storia della Filosofia, Napoli 1972, voi. 3°, pp. 617 e ss.

30 cfr. J.P. Sartre, L ’essere e il nulla, ed.it. Il Saggiatore, Milano 1958.

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L ’eliminazione di uno dei termini segue logicamente alla rottura dei rapporti tra Dio e l ’uomo: la morte di Dio o la morte dell’uomo: o deve sparire l ’uomo e vive Dio, o deve sparire Dio e vive l ’uomo. Sartre sce­glie questa seconda alternativa e tutta la sua filosofia è intessuta intorno a questo tema.

Un ultimo fugace sguardo per completare il dato storico è costituito dal notare che ci sono stati dei tentativi di conciliazione tra teismo e panteismo, o, come si suol dire, tra trascendenza ed immanenza. In questa linea possiamo notare Krause31, che insegna che, sebbene Dio e il mondo costituiscano una sola essenza, pure Dio è tutta questa es­senza, mentre il mondo non ne è che una parte. Di conseguenza Dio sa­rebbe immanente come vuole il Panteismo e insieme trascendente, come vuole il teismo.

E. Le R oy32 pure crede concilabili le due opposte concezioni. « Im­manenza e trascendenza, scrive, non sono contraddittorie, ma rispondono a due momenti distinti della durata, l ’immanenza al divenuto, la trascen­denza al divenire. Se dichiariamo Dio immanente, è perché sappiamo di lui ciò che è divenuto in noi e nel mondo; ma per il mondo e per noi havvi un infinito divenire, infinito che sarà creazione propriamente detta e non semplice sviluppo; e da questo punto di vista Dio appare come trascendente » 33.

Anche B. Varisco ritiene che immanenza e trascendenza possano e debbano conciliarsi. « Arrivare a Dio per mezzo delle creature, che signi­fica se non scoprire Dio nelle creature? Ora domando una cosa può es­sere scoperta dove non è? Se Dio viene scoperto nelle creature, dunque sarà implicito nelle creature, sarà immanente nell’universo... Un princi­pio divino increato, necessario, è immanente nell’universo e in noi... Il principio implicito negli organismi come istinto che realizza un fine inav­vertito, diviene, con maggiore o minore chiarezza, esplicito nella coscien­za personale di ciascuno di noi. Ed è il medesimo sempre dappertutto: è la ragione; insieme nostra, costitutivo di ciascun uomo, è universale. E- scludere però che il principio esiga, che implichi logicamente, una co­scienza personale, di cui tutto il mondo sensibile sarebbe il contenuto non mi sembra possibile, Le determinazioni fenomeniche non sono essen­ziali all’Essere, e quindi questo non si risolve nell’universo fenomenico, ma lo trascende » 34.

31 1781-1832.32 1870-1954: fu seguace di Bergson e vicino alle correnti pragmatiste.33 Cfr. Revue de Métaph. et de Moral, 1907, p. 512.34 Cfr. Massimi problemi, pp. 326-30.

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3.3. Il dualismo filosofico.

Altro è il dualismo filosofico o metafisico, altro quello religioso. Anzi originariamente ed inizialmente il dualismo ebbe carattere religioso: in tal senso fu usato per la prima volta da Tom H ide35 che se ne servi per designare le dottrine religiose che ammettono, accanto al principio del bene, un principio del male che gli è coeterno36. Il termine, nel corso storico, ha assunto diversi significati.

Dualismo è quella dottrina che sia nell’universalità del reale, come nei casi particolari, sia in qualsiasi altra questione, ricorre come a prin­cipi esplicativi, a due entità tra loro irriducibili. Così: dualismo di spi­rito e materia, di intelletto e volontà, di ideale e reale, di fatto e di dirit­to, di ragione e di fede... In metafisica dualismo si usa in opposizione a monismo, ed in senso cosmologico dualismo è ogni dottrina che tende a spiegare l'origine delle cose mediante l'azione di due principi irriducibili tra loro ed eternamente coesistenti. Tale dottrina s’incontra già con Pi­tagora in Grecia, nella serie di numeri pari e dispari, egli riconosce le antitesi e i contrasti che determinano l'incessante vicenda del divenire cosmico ed anche dell’anima. I l dualismo si nota pure nei primi ten­tativi di sintesi tra l ’essere degli Eleati e il divenire di Eraclito compiuti da Empedocle. Questi, però, non riesce a superare l'eterno contrasto tra l'Amicizia e l ’Odio. Il dualismo si afferma nella concezione del caos pri­mitivo e della mente (noüs) di Anassagora. E ’ presente in modo partico­lare nella dottrina materialistica degli Atomisti di un vuoto infinito da una parte e di una moltitudinedi corpuscoli indivisibili dall’altra. Il dua­lismo diviene sistema nella dottrina di Platone, circa le idee, che ha cer­cato di precisare coi più netti contorni i rispettivi confini dei due mondi: l ’intelligibile, che ha i caratteri dell’eternità, dell’immortalità e dell'uni­versalità; il sensibile, che è questo mondo finito, contingente e mutabile.

Aristotele ha cercato di eliminare tale contrasto, inserendo l’univer­sale nel particolare, però non è riuscito a superare le difficoltà insite nella sua metafisica, dove la materia rimane sempre, anche con la possi­bilità di ricevere la forma, resistente a lasciarsi dominare del tutto e la Torma nella sua pura essenza, di puro pensiero (=d io ), rimane sempre estraneo al mondo.

Nella dottrina neoplatonica resta ancora il dualismo, anche se il principio dell’emanazione serve da ponte tra l ’unità divina e la materia37.

35 Cfr. T. Hyde, Historia religionis veterum Persarum, Oxford, 1700, p. 114.36 Lo usò in seguito Pierre Bayle nel suo 1 Dictionnaire historique et cri­

tique ’ in 2 voli., 1695-97 a Rotterdam (= posizione manichea contro la divina provvidenza) cui rispose W. Leibniz con 1 Essai de Théodicée sur la bonté de Dieu, la liberté de l’homme et l’origin du mal » ad Amsterdam nel 1710; tr.it. a cura di V. Mathieu, Zanichelli, Bologna 1973. Da notare come Wolff lo trasportò nel campo psicologico, per designare i rapporti tra l'anima e il corpo.

37 Cfr. C. Mazzantini, Storia del pensiero antico, Marietti 1949.

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Nell’umanesimo e nel naturalismo del rinascimento si riprende e si sviluppa, sulla scorta di Sigieri di Brabante, la dottrina averroistica della doppia verità, come si può vedere in Pomponazzi e in Telesio. Secondo tale dottrina la ragione conduce ai principi dell'eternità del mondo e del determinismo causale; la fede insegna invece che il mondo creato e che l ’uomo è libero. Il concetto di natura, cioè il mondo corporeo da spiegare, come vuole Telesio « secondo i propri principi », rinvia neces­sariamente a qualche cosa che sta al di là: Dio, secondo Telesio. Giord. Bruno, invece, dirà « Mens super omnia », cioè l'unità assoluta ed eterna, non conoscibile nella sua essenza38.

In Cartesio il dualismo metafisico assume la sua forma più precisa: spirito e materia costituiscono due mondi irriducibili, quello del pensie­ro, e, quindi, della libertà, e quello dell’estensione, ossia del determi­nismo meccanico e passivo. L'opposizione tra spirito e materia porta al dualismo psicofisico che caratterizza la psicologia da Wolf in poi.

La stessa metafisica di Kant aveva un valore psicologico per fonda­mento, e si risolve in un dualismo: il mondo fenomenico e quello nou- menico, che non può essere oggetto della scienza. Il regno della natura è retto dalla necessità e quindi da un rigido ordine causale, il mondo morale è regno della libertà, che realizza i valori morali. Sono dunque antitetici il mondo naturale ed il mondo morale39.

La filosofia di oggi, da Kant in poi, nella problematica del dualismo ha un aspetto di scienza. Oggi, senza distinzione, possiamo parlare di dualismo che è filosofico e scientifico. Dopo i tentativi di Lotze e di Fechner di riallacciarsi al criticismo kantiana, ammettendo nel mondo esterno l ’esistenza d’un rigoroso meccanicismo e la natura costituita da una molteplicità di elementi capaci di interferire fra loro, i fisici risolvo­no tutta la realtà in due principi: la materia, della quale è proprio il discontinuo e l ’energia, della quale è proprio il continuo43.

4. Riflessione filosofica.

I l quadro storico ci obbliga a tre serie di considerazioni filosofiche, e cioè:

una serie sul panteismo, un'altra serie sul dualismo,una terza, che è approfondimento di riflessione, sul creazionismo.

38 G. Reale - D. Antiseri, I l pensiero occidentale dalle origini ad oggi, Edi­trice La Scuola, Brescia 1983, voi. 2° 103-135.

» Cfr. Id., ivi, pp. 259-288; 645-699.« Cfr. Id., vol. 3°, pp. 317-19; 499-507.

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4.1. Sulle forme di panteismo.

1) Vorremmo iniziare dal considerare i tentativi di riconciliare l'in- manenza con la trascendenza. In verità sono due dottrine antitetiche, inconciliabili: bisogna decidersi o per l ’una o per l ’altra. Il Dio di Krause o è realmente identico al mondo ed allora non può trascenderlo, o è real­mente distinto dal mondo, ed allora non può essere immanente al mon­do stesso. Se, infatti, si concepisce il mondo come parte di Dio, come qualcosa della sua sostanza, ci troviamo nel panteismo emanatistico.

Anche la posizione di Le Roy, se vuole salvare la trascendenza di Dio, deve considerarlo, non già come il divenire, ma come il principio ultimo del divenire. Se Dio non è realmente distinto dal divenire, non può essere realmente distinto dalle cose che divengono; e se è così, è un Dio panteistico.

Perciò, Bergoson, per difendersi dal sospetto di panteismo, in una lettera a De Tonquedec scriveva che egli « parlava di Dio, come di una sorgente da cui escono a volta a volta per un effetto della sua libertà, le correnti e gli slanci,ciascuno dei quali formerà un mondo » 41.

2) Quanto al panteismo nelle sue forme integrali, moltissimi rilievi critici una sana filosofìa può offrire, da quello che dichiara che il pan­teismo s’avvolga in contraddizioni, in quanto coinvolge necessariamente Dio, semplice, perfetto, immutabile nella molteplicità, perfettibilità e mutabilità del mondo e delle cose che lo costituiscono, a

3) quello che rileva che col panteismo si toglie all’uomo la libertà e con ciò si sopprime la responsabilità e si annulla la differenza tra il bene e il male.

4) Senza esplicitare oltre, poiché è evidente, che il panteismo va con­tro l ’attestazione della nostra coscienza, poiché, se non fossimo sostanze indipendenti, non potremmo avere la coscienza personale dell’io.

5) Vorremmo rilevare alla posizione hegeliana, come quella forma di panteismo più fortemente e profondamente elaborata; il filosofo di Staccarda ha addotto a favore del panteismo l ’argomento più forte. Egli critica la teologia razionale che pretende di « addurre un fondamento oggettivo dell’essere di Dio, il quale perciò diventa qualcosa di mediato da un altro », ed afferma « Questo modo di dimostrare... urta nella dif­ficoltà di compiere il passaggio dal finito all'infinito. Così non poteva uscire dal bivio: o di non liberare Dio dalla infinità positiva del mondo esistente, dove doveva concepirlo come la sostanza immediata di questo (= panteismo) o di lasciarlo come un oggetto di fronte al soggetto, fa­cendone per tale modo alcunché di finito (= dualismo) » 42.

« Cfr. Etudes, 20 febbr. 1912.42 Cfr. Enciclopedia, tr. Croce, II I ed. Bari 1951, par. 36, p. 41; W. Brugger,

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6) Il panteismo si fa forte dell’infinità di Dio, che non può essere limitata da nulla, e non avere nulla di fronte a sé. Ma divinizzare, per tale ragione, la natura finita, oltre a non risolvere la difficoltà per cui si fa ricorso a tale espediente, include altre difficoltà. In tal modo si fa deH’infinito qualcosa che si attua attraverso le forme di realtà che noi conosciamo, che sono finite e che non possono essere concepite in alcun modo come irrilevanti rispetto alla realtà infinita, se si suppone che le appartengono. Ma allora, anche quest’ultima, della infinità non con­serva più che il nome, poiché sarebbe contraddittorio pensare come in­finita un’essenza che si attui in forme affette di tante manchevolezze. Dunque: l ’essenza divina a cui mette capo la soluzione panteistica, non è più quella che, con la sua infinità, sembrava giustificare il porsi nella strada del panteismo. In altre parole: il panteismo toglie a Dio quella infinità che vuol difendere.

7) Non basta. Oltre a togliere l ’infinità a Dio, il panteismo toglie an­che alle cose ciò che le rende divine, cioè l'autonomia della loro esisten­za. Ciò che la natura ha di divino non è il costituire un momento dia­lettico dell’Assoluto, ma l’essere, pure nella sua dipendenza di cosa crea­ta, a suo modo intrinsecamente produttiva ed inventiva. Il panteismo è costretto a negare che le cose naturali posseggano ciò in proprio (anche se non se le son date), perché fa di esse mere manifestazioni, o modi,o « momenti » che non hanno la loro verità in sé, ma solo nel tutto.

8) Le conseguenze di tanto sono particolarmente gravi per l ’uomo, come già abbiamo indicato, poiché la libertà diviene, in questa prospet­tiva, necessariamente illusoria, perché le manca ogni fondamento.

9) A. Guzzo e V. Mathieu43 offrono una considerazione alla luce di una unità non univoca o identica, addotta dai panteisti, bensì analoga tra Dio e il mondo, come pure d’una deduzione-induzione gnoseologica di Dio dal mondo che è pur essa analogica e non univoca44, come già indicata da S. Tommaso d’Aquino. « La difficoltà di ammettere, scrivono, esistenze finite accanto aU’infinito dovrà piuttosto indurre a riflettere sul senso di questo ' accanto ’. Non può trattarsi del medesimo senso in cui sono l ’uno accanto all’altra le cose finite, perché manca un orizzonte reale più comprensivo entro cui tale relazione possa svilupparsi: senza dubbio non si può fare del mondo e di Dio « due » cose in quel senso, perché non è possibile collocarli nell’ambito di una medesima classe. Se, invece, si tiene presente la radicale differenza del modo di essere dell’in- finito e del finito, vengono meno le ragioni di quella specie di ’ invidia

Dizionario di filosofìa, Marietti 1959, pp. 36-91; O. Runes Dizionario di filosofìa, Oscar Mondadori, 19752, col. 2°, p. 677.

« Cfr. Enc. Fil., III, col. 1136.44 Cfr. R. Arnou, Theologia naturalis, Romae 1943, pp. 250-53. S.Th., In

I Sent., dist. II, q. I, a. I; S.Th., I, q. 44, a. I; De Pot. q. 3, a 5.

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divina ’ che al panteismo fa concepire un Dio intollerante di altre esi­stenze aH’infuori della sua: l ’esistenza finita nulla può togliere all'infinito, come nulle le può aggiungere, perché somma e sottrazione sono possibili solo dove vi sio omogeneità. L ’infinità divina non costringe a concepire il finito come la manifestazione diretta deirinfinito, ma piuttosto come qualcosa che, pur in una totale diversità rispetto ad esso, ha in sé il carattere che all’infinito rimanda ».

4.2. Sul Dualismo.

10) I l dualismo radicale classico è pienamente superato soltanto dal creazionismo elaborato dal pensiero cristiano. I l creazionismo è anch’es- so dualismo, ma il dualismo creazionistico non esclude una riduzione al­l ’unità, perché il mondo, distinto ontologicamente da Dio, tuttavia ne dipende come da causa efficiente, come da causa esemplare, e come da causa finale45.

11) L ’idea di due principi supremi si distrugge da sè. Ciò che è su­premo non può essere che unico: se ve ne fosse un altro, sarebbe egua­gliato e perciò non sarebbe più supremo, cioè superiore ad ogni altro.

12) Di più: se gli attributi dei due principi sono i medesimi, uno dei due è inutile46; e se essi principi si distinguono non lo potrebbero, se non per il fatto che uno ha qualcosa che l ’altro non ha. Ed allora chi l ’ha è certamente il supremo di fronte a chi non l ’ha, che resta, dunque, inferiore a chi l ’ha.

13) Infine: se uno dei principi è il bene, l ’altro il male, quest’ultimo, essendo la negazione del bene, non può essere un principio, ma soltanto difetto (= negazione) del principio stesso47.

4.3. Approfondimento di riflessione.

Il Creazionismo.

La creazione è partecipazione: questo è il dato di fondo48. Alla luce di questo dato a d’una ontologia realistica, rifletteremo su tre punti- aspetti della tematica così determinati.

45 Questa tendenza ad accordare la dualità nell'unità (di ordine) trova analoghe applicazioni in altri campi, come in quello dei rapporti tra ragione e fede: ma questo è discorso d'altra sede.

46 « Melius enim multa reducuntur in unum ordinem per unum, quam per multa, quia per se unius unum est causa, et multa non sunt causa » unius, nisi per accidens, in quantum scilicet sunt aliquo modo unum. S.Th. I, q. 11, a. 3.

47 Cfr. Il mio Fil dell’essere, cit. pp. 161-212.

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1) Aspetto logico. L ’essere delle cose non è intelligibile senza il nesso con la Causa prim a49. Tale nesso non entra propriamente nella costi­tuzione essenziale delle cose, ma ne è necessaria consneguenza logica53. Le cose del mondo in quanto sono enti per partecipazione e non per sé, sono impensabili senza un nesso causale con l ’Ente per sé. La causalità efficiente, pertanto, è implicita nella partecipazione come dipendenza nel­l'essere da un altro ente51.

2) Aspetto ontologico. Questo ha due risvolti derivanti sia dalla mol­teplicità propria della realtà cosmica sia dalla gradazione delle perfe­zioni delle cose.

Qui la molteplicità della realtà cosmica. Osserviamo: poiché le leg­gi del pensiero corrispondono alle leggi dell'essere, il rapporto logico tra partecipazione e causalità deve avere un fondamento nella realtà concreta dell’essere.

11 valore ontologico di quel rapporto si dimostra anche a posteriori, partendo cioè dall’esperienza. La nostra intelligenza intuisce la causalità attraverso la perfezione, che scopre per mezzo della molteplicità eviden­temente propria di tutta la realtà che ci circonda. L ’essere molteplice equivale ad essere partecipato e l ’Essere-sussistente (= essenzialmente essere) non può essere che Dio. Questo principio, d’origine platonica, muove dalla realtà empirica (= molteplicità delle cose) e porta ad una realtà trascendente (Essere per sé. Essere unico) attraverso la parteci­pazione e la causalità. L ’essere per essenza è necessariamente uno, per­ché è tutto l ’essere; mentre l ’essere partecipato non è puro essere, ma miscuglio di essere e non-essere, cioè essere imperfetto, incompleto e quindi partecipato da un soggetto52.

Per questa via, puù spiccatamente aristotelica, attraverso la parte­cipazione, si arriva alla causalità-creazione. L ’esistente è composto nella sua intima natura, si accomuna ad altri e si distingue individualmente, consideriamo quanti individui in una specie, quante specie in un genere. Certamente la ragione, per la quale si accomunano non è né può essere la stessa per la quale si individuano e si distinguono53: l ’essere delle cose non potendo derivare dalla stessa essenza delle cose, bisogna che derivi da una causa esterna54.

Ora quanto alla gradazione della perfezione delle cose. Questo è un altro elemento empirico rivelatore della partecipazione.

L ’argomento è comune a Platone e ad Aristotele. Tommaso55 lo usa

48 Cfr. ivi, pp. 101-114.« S.T., De Pot. Ili, a. 5, ad I.so S. Th., I, p. 44, a. I, ad I.51 Cfr. Fil. dell’essere, pp. 207-8.52 Quodlibet., I l i, q. 8, a. 20.53 « Ratio diversitatis ratio communicationis esse nequit ». Cfr. Sertillanges,

S. T. d’Aquin, I, 153 e 303.54 Cfr. Fil. dell’essere, cit., p. 206.55 Oltre ad essere usato per la IV Via.

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perché conduce direttamente all'idea di partecipazione e quindi di cau­salità. I due grandi greci si completano a vicendo nella considerazione del mondo e del suo rapporto con una causa prima. Il secondo parte dal moto o fieri delle cose e va verso la gradazione e la molteplicità; il primo, invece, va dalla molteplicità alla gradazione ed al moto. Tommaso utilizza queste intuizioni, le purifica e ne trae conclusioni altamente me­tafisiche. L ’ascesa verso Dio ha questa legge: moto, gradazione, moltepli­cità (elemento empirico), in cui l ’intelletto intuisce la ragion d’essere partecipato (elemento metafisico). Analizzando l ’essere partecipato, ri­sulta immediatamente la composizione di atto-potenza, di essenza-esi­stenza, che spiega limitazione e contingenza delle cose (costituzione in­trinseca); conseguenza necessaria dell’analisi dell’ente partecipato è la causazione= creazione (origine estrinseca delle cose).

3) Se i primi due aspetti riguardano l ’ente in relazione agli altri enti, dunque molteplice e più o meno perfetto, ora guardiamo l ’ente in se-stes- so, cioè: la contingenza è certamente ottima base per provare l ’assunto creazionistico. La contingenza è un aspetto particolare e determinato della partecipazione. La finitezza dell’ente relativo, la limitatezza, come la perfettibilità, hanno come base la contingenza. La contingenza, la par­tecipazione, la composizione sono i connotati dell’ente causato: esso esi­ge il causante56.

Conclusione.

Intendiamo ora riportare, a mo’ di conclusione, due punti di riferi­mento: l ’uno della filosofia moderna, l ’altro della filosofia contemporanea, che illustrano bene e completanno quanto siamo andati esponendo come assunto di questa ricerca.

Esplicitando, intendiamo riferire e l ’ottimismo di Leibniz57 ed il pen­siero di Teilhard de Chardin58 circa la creazione. Si occupano ambedue della creazione-azione divina, ma, quegli del fine della creazione, questi, invece, della stessa creazione-azione; quegli, a nostro giudizio, si lascia prendere dall'esagerata attribuzione di concezioni umane all’azione-crea- zione di Dio, questi diminuisce la portata dell’azione medesima. Due estremi egualmente da evitare nel ponderare bene che, se l'analogia è la via nostra per conprendere e conoscere l'azione-creazione divina, questa

56 Cfr. S.Th. I, q. 44, a. I; ScG. II, 13, 2. Cfr. M.F. Sciacca, Prospettiva sul­la metafisica di S. Tommaso, Città Nuova Editr., 1975, c. V, pp.93 e ss., dal titolo ’ I l principio di creazione, partecipazione e analogia ’. Sotto l'aspetto teologico, quanto all’uso dei Padri, basta solo notare che nei Padri, oltre il dato concreto della rivelazione, c’è già una riflessione razionale per illustrare e confermare la verità della creazione. Cfr. Parente, Teologia di Cristo, Città Nuova Editr. 1970, pp. 127-31.

57 1646-1716.58 1881-1955.

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analogia non può essere né esaustiva ne onnicomprensiva, e ciò per l ’in­sita sua natura analogica: fuori di essa sarebbe univoca la nostra cono­scenza ed allora o Dio diventa uomo, o l ’uomo diventa Dio.

Vediamo ora i particolari.

L ’ottimismo leibniziano è certamente una risposta al quesito circa il fine della creazione.

Indubbiamente Dio ha un ruolo assolutamente centrale nel sistema del filosofo tedesco. Si capisce bene, pertanto, come egli abbia tentato di fornire diverse prove della sua esistenza.

La più nota è quella che si legge nello scritto Principi della natura e della grazia59. « Perché esiste qualcosa anziché il nulla »?.

E ’ questa la domanda metafisica più radiacle che l ’Occidente si sia posta. Agli antichi bastava porla in modo più attenuato, così « che cosa è l'essere »?.

Ma dopoché la metafisica ha fatto proprio il creazionismo, la doman­da si era radicalizzata giungendo appunto a diventare: perché l ’essere?. Per il nostro filosofo la domanda assume un tono particolare, anche a motivo della connnessione che egli opera con il principio « di ragion suf­ficiente » da lui tematizzato in modo completo e perfetto per la prima volta Esso stabilisce che « nulla è o avviene senza che vi sia una ra-, gione sufficiente» a determinare il fatto che una cosa avvenga così e non altrimenti. Alla luce di questo principio la domanda sull'essere è la più netta: 1) perché esiste qualcosa e non il niente? », 2) « perché ciò che esiste è così determinato e non diversamente»?. A noi interessa qui la risposta al secondo quesito (al primo è l'esistenza di Dio la risposta buddisfacente)61, e L. la indica nella perfezione di Dio: Le cose sono così e non altrimenti, perché il loro modo di essere è il migliore modo possibi­le di essere. Molti mondi, molti modi di essere, sarebbero di per sé pos­sibili, ossia non contraddittori, ma uno solo, questo nostro, è stato creato, ri, fra i molti possibili, il mondo più perfetto è il nostro, perché la ragion sufficiente ha indotto Dio a scegliere questo che, Egli perfetto ha scelto fra tutti i possibili62.

Alla difficoltà, poi, se questo mondo è il migliore dei mondi possi­bili, donde derivano i mali, L. risponde distinguendo nella Teodicea tre tipi di mali: metafisico, fisico e morale63 ed esplicita che quello metafi­sico coincide con la finitudine della creatura e dunque con la imper­

® Public, nel 1714. Cfr. V. Mathieu, Introduzione a Leibniz, Laterza, Ro- ma-Bari 1976.

60 Cfr. Fil. dell’essere, cit., pp. 203 e ss..61 Cfr. La prima Via di S. Tommaso.62 Cfr. Leibniz, Principes de la nature et de la grâce, 1714, pp. 7-10.63 Nella citata Teodicea.

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fezione connnessa alla finitudine. Ma questa è la condizione del darsi di qualcos’altro che non sia Dio stesso.

La grandiosa concezione che vede realizzato negli esseri in ciascuno e in tutti, il meglio di ciò che era possibile, costituisce l ’ottimismo leibni- ziano, che è stato oggetto di vivaci discussioni e di polemiche per tutto il Settecento.

Per davvero! Al lume della ragione non accettiamo la tesi di L. per tre motivi.

1) Il principio di ragion sufficiente o determinante non è accetta­bile perché conduce ad un razionalismo rigido, che rende vana la con­tingenza della natura, e ad un determinismo che sopprime le libertà. Anche se l ’À. esplicita che si tratta d’una necessità non metafisica ma morale64. Molto diverso è il principio di ragion d’essere: come tutto ciò che è, l ’atto creatore ha la sua ragion d’essere; ma Dio è libero quan­do crea, è libero quando sceglie un determinato mondo: Egli non è de­terminato in alcun mòdo, nemmeno dà una necessità morale.

2) I l concetto di migliore mondo possibile appare inconsistente: al di là di qualsiasi universo si può sempre immaginare un mondo più ricco di essere e di bene65.

3) L ’essenza divina è infinita ed imitabile in modi infiniti: nessuna creatura può mai adeguare o esaurire la potenza divina; che se ciò av­venisse, per assurdo, avremmo due infiniti, il che è parimenti assurdo.

Il Pessimismo è pure una risposta al proposto quesito.

Siamo di fronte al pessimismo assoluto di Schopenhauer66 che pre­tende che « il mondo è cattivo quanto gli è possibile esserlo, dato che (i pessimisti parlano genericamente) esso deve ancora essere, se fosse un pò più cattivo di così non potrebbe più sussistere»67.

Secondo Schopenhauer, il fondo dell’essere è volontà, voler vivere, desiderio, sforzo. Ma, « ogni desiderio nasce da una mancanza, da uno statò che non ci soddisfa, dunque è sofferenza, finché non è soddisfatta. Ora, nessuna soddisfazione è duratura, è soltanto un punto di partenza di un nuovo desiderio. Noi vediamo il desiderio ovunque trattenuto, ovun­que in lotta, e dunque sempre in stato di sofferenza; non vi è limite finale allo sforzo; non vi è misura né termine alla sofferenza»68.

Perciò: in questo mondo il più cattivo di tutti i mondi possibili, il voler vivere dev’essere annichilito.

64 Cfr. G. Reale - D. Antiseri, II Pensiero occidentale dalli origini ad oggi, Editr. La Scuola 1983, voi. 2°, p. 132.

« Cfr. S.Th., I, 25, 6 e ad 3.« 1788-1860.67 Cfr. I l mondo come volontà e rappresentazione, III, 395-6.«* Cfr. ivi, I, 323.

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Un sano senso critico non fa gran stento a non accettare questa altra posizione estrema. Preferiamo puntualizzare solo tre aspetti.

1) Indubbiamente la nozione di mondo più cattivo possibile è incon­sistente quanto quella di mondo migliore: il male è sempre soltanto una privazione in un soggetto parzialmente buono.

2) Il desiderio e lo sforzo non vanno assolutamente confusi con il do­lore.

3) Il pessimismo di Sch. si autodistrugge a considerarlo intimamente. Difatti: se davvero il principio di individuazione si trova solo nello spa­zio e nel tempo, che sono forme della rappresentazione, cioè del modo di conoscere del soggetto come tale, il male, che deriva dalla individua­zione della volontà, viene ad essere anch’esso soltanto rappresentazione. La realtà in sé, non essendo particolarizzata, e perciò soggetta a lace­razioni e contrasto, non può albergare il dolore. Ed allora: questa dot­trina che tanto si è battuta per dare una ragione della realtà del male, mentre il panlogismo faceva di esso un semplice momento dialettico, finisce anch’essa, per altra via, col rendere il male e il dolore inesistenti in sé: una semplice apparenza sul « velo di Maya » della rappresenta­zione.

Ma l ’invocato sano senso critico non si appaga ancora. Le due linee descritte lasciano insoddisfatto il cuore ed ingiustificata la mente uma­na. Ai dì nostri, tra questi due estremi, una visione totale dell’uomo assume ben altra via. Così, al termine della speranza marxista, si può riconoscere una visione ottimistica, che, però, è priva di una giustifica­zione profonda69. E viceversa, la corrente esistenzialistica si impregna di pessimismo, poiché l ’uomo vi è dichiarato « passione inutile »; anche se J.P. Sartre difende su questo punto la sua dottrina scrivendo « Non vi è dottrina più ottimista, poiché il destino dell’uomo è in lui stesso » 70.

Ma, mi domando: qual è questo destino, se la coscienza è sotto l ’in­cubo di un superamento impossibile?.

Una soluzione che riteniamo soddisfacente.Questo mondo è relativamente ottimo.Ed a dire che tale soluzione è più antica delle precedenti: la difese

S. Tommaso nel sec. X I I I71.Una domanda di fondo si pone T., ed è questa: quello che Dio fa,

potrebbe farlo m igliore?72. A tale quesito dà una risposta progressiva­mente così.

1) Supponiamo anzitutto Dio all’opera della prodozionne di una de­termina creatura, per esempio di un uomo: non si può supporre l ’uomo migliore dei suoi caratteri essenziali; la sua natura, se vuole rimanere natura umanna, non può essere cambiata; tuttavia un uomo migliore

69 Cfr. O. Todisco, Op.cit..70 Cfr. L’existenziàlisme est un humanisme, p. 62.7< Cfr. S.Th., I, q. 25, a. 6.72 « Utrum Deus possit meliora facere ea quae facit? ».

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nei suoi caratteri accedendali; acquistare santità e scienza maggiori. Dio, può, per altro, produrre anche una creatura dall'essenza più elevata di quella dell’uomo.

2) Consideriamo ora l ’universo nell'insieme: Dio avrebbe potuto po­polarlo di esseri con nature superiori, o aggiungere altri individui a quelli da lui creati; avrebbe dunque potuto creare un universo m igliore73.

3) Ma, supponendo che debbano esistere solo le cose che esistono di fatto, potevano essere meglio ordinate? Tommaso risponde negativamen­te: Dio non potrebbe aver fatto il nostro universo con maggiore sapienza e bontà, egli ha stabilito nel mondo un ordine perfettamente convenien­te; ogni realtà secondo il suo modo de’ssere, ha il suo posto in un’ar­monia che non potrebbe essere migliore. Gli stessi nostri atti liberi rien­trano in questo piano d’insieme, ma con la qualità morale determinata da una nostra volontà, sotto l'influsso della causa prim a74.

Dal punto di vista della teologia razionale, il mondo appare sospeso a una Bontà infinita: esso non può avere un’origine ed una fine mi­gliore, e, in questo senso, l ’ottimismo s’impone: « Illud quod (Deus) facit est optimum per ordinem ad Dei bonitatem » 75.

Ora guardiamo, per completezza, secondo quanto innanzi detto, la posizione di Teilhard De Chardin.

Da un discorso più generale: il pensiero di P.T. de Ch. e la teologia naturale, sciegliamo il filone che ci interessa76: la creazione.

Il p. T. ha avuto un intento: quello di unire in una prospettiva d’in­sieme le sue convinzioni di dotto e la sua fede di cristiano. Egli pro­cede così.

La scienza descrive una evoluzione universale dalle prime combina­zioni della materia sino all’uomo. In questa evoluzione, c’è, insieme, quanto all’esteriorità delle cose, complessificazione, e quanto al loro * in­terno ’, ascesa di coscienza: è la « legge di complessità di coscienza ». In tal modo: nella serie delle specie animali, mentre gli organismi si fanno pili ricchi nella loro tessitura, lo psichismo diviene più perfezionato.

L ’uomo compare infine, dotato insieme del cervello più complesso e della coscienza più alta: la coscienza riflessa (il mondo).

Sul nostro pianeta, l'uomo si moltiplica, all’umanità presa nel suo insieme, si applica la medesima legge « sempre più complessità e quindi ancora più coscienza ». Le unità pensanti sono chiamate a convergere, alla fine, esse lo faranno in un punto Omega, che ha il carattere di una Coscienza suprema, giacché, solo un Centro personale, amante ed ama­

73 Cfr. ivi, c.74 Cfr. ivi ad 3.75 De Pot. I, 5, ad 15; cfr. ad. 14.76 Teniamo presente il lavoro di E. Gilson, II Tomismo e la sua situazione

attuale - I l caso di Teilhrad de Chardin - I l dialogo difficile, Boria Editore Torino, 1967, in special modo il Saggio I I (pp. 83 e ss. con la relativa biblio­grafia in calce alle pagine.

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bile, è capace, con energia dell'amore, di fare l ’unità degli uomini. Tale Centro dev’essere imperituro, poiché, altrimenti l ’azione umana si arre­sterebbe, con il gusto umano di vivere, perché essa vuole edificare « qualche Definitivo ». I l Punto-Omega deve essere trascendente. In Dio- Omega si compie l ’evoluzione umana (l ’uomo).

Il fatto del Cristianesimo, così come appare tra le altre realtà del mondo, ci presenta nel Cristo « un Polo spirituale e trascendente di con­vergenza universale ». P.T. sottolinea la convergenza e la coincidenza tra' questa affermazione e quella del Punto-Omega, presente, in cima al mon­do, come « un focolare divino di Spirito, che l ’attira in avanti » (il feno­meno cristiano) 71.

Due punti concernono, crediamo, la teologia naturale: trascendenza di Dio e idea di creazione. Ci fermiamo sul secondo punto, che ci inte­ressa in questa sede.

Nei testi di P.T. l ’idea di creazione dà luogo ad incertezze d’espressio­ne e di pensiero. Facciamo i seguenti rilievi critici.

1) Teilhard vede gli esseri formarsi in unità sempre più alte, ed è tentato di ricondurre l ’opera creatrice a un atto di unificazione. Sup­pone Egli prima « il Multiplo puro ' Nulla creabile ’, che non è nulla, che tuttavia per virtualità passiva di aggiustamento, cioè di unione è una possibilità, una implorazione d’essere... » 78. Da questo niente, l ’essere pro­cederà per effetto di unione. Non è questo un dualismo, poiché non vi è di fronte a Dio né « Coetemo antagonista » né « materia » 79. Tuttavia, non si potrebbe ritenere per una definizione la formula « creare è uni­re » 80. Certo, ogni creazione produce delle unità, poiché ogni essere è uno; e, nelle creature in divenire, T. l ’ha sottolineato, Dio fa magnifica­mente opera di unione. Ma: in modo preciso, creare è produrre tutto l ’essere, come abbiamo chiarito avanti. Questa difficoltà dell’unione crea­trice è stata sentita dallo stesso P.T., che, per altro non ha mai cessato di esitare sulla sua teoria81.

2) Di più, l ’atto creatore è assolutamente libero e gratuito. Dio ha scelto di creare il mondo con « una volontà libera da ogni necessità » 52Il De Chardin riconosce che « Dio poteva fare a meno del mondo ». Se egli attribuisce all’Universo una « necessità » la fa « conseguente alla li­bera scelta del Creatore ». Tuttavia dal nulla è salita una implorazione d’essere in conseguenza della quale tutto accade come se Dio non avesse

77 Cfr. Particolarmente: T.d.Ch., La vie cosmique (1916), Mon Univers (1918), Christ évoluteur (1942).

77 Cfr. Particolarmente: T.d.Ch., La vie cosmique (1916), Mon Univers (1918), Christ évoluteur (1942).

78 Cfr. Comment je vois, inedito, 1948, par. 28 si troverà in E. Rideau La Pensée du Père T.C., Ed. du Seuil, 1965, pp. 373-4.

79 Cfr. Lettera del 19 nov. 1919, presso Ivi, p. 378.80 Cfr. P. Smulders, La Vision de T.C., Desclée de Brouwer, 1964, p. 93.81 Cfr. H. de Lubac, La pensée religioeuse du Père T.C., Aubier, 1962, p. 289.82 Vaticano I, D. 1805.

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potuto resistere83. « Dio è interamente auto-sufficiente; e tuttavia l ’Uni- verso gli apporta qualche cosa di vitalmente necessario » 84.

Ma la creazione non saprebbe aggiungere all’Infinitamente perfetto alcun complemento d’una relazione che lo porterebbe a compimento. Il mondo non è necessario a Dio, esso procede da un dono assolutamente gratuito.

3) Circa la contingenza radicale del creato. P. Teilhard teme che a designarla così, viene a scoraggiare l ’uomo ad agire85. Noi invece, rite­niamo che solo la contingenza può rendere conto della presenza, nel più intimo dell'essere, dell’Onnipotenza dell’Autore creatore. D’altronde l’agi­re umano è sostenuto nel suo intimo dinamismo perché esso ha per termine il Bene assoluto che è Dio.

Fin qui la parola del filosofo. I l teologo cristiano, però, ha ancora di più, poiché lo stesso agire umano-nella prospettiva cristiana si presta allo sviluppo, nel creato, delle conseguenze dell’Incamazione — al com­pimento del corpo mistico del Cristo. Ma neanche qui Teilhard soddisfa86.

83 Cfr. Rideau, op.cit., p. 378.84 Cfr. Christianisme et Evolution, 1945, presso Rideau, p. 379.85 Cfr. Contingence de l ’Univers et goût humain de survivre, 1953, pr. Ibi­

dem.86 Cfr. Col. I, 19; P. Benoit, Eségèse et Theologie, Ed. du Cerf, 1961, II,

p. 145. Ma questo è discorso di altra sede.