la crisi del debito greca ed europea del 2010

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Tesi di laurea del corso triennale in Economia Internazionale all'università di Padova, facoltà di Scienze Politiche.La tesi, mediante un approccio storico e basato sui fatti politi ed economici dell'ultimo ventennio, si propone di descrivere le dinamiche che hanno portato la Grecia e l'Unione Europea alla crisi del debito nel 2010. Particolare attenzione verrà data al Patto di stabilità e crescita e alla crisi finanziaria del 2007.

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UNIVERSIT DEGLI STUDI DI PADOVAFACOLT DI SCIENZE POLITICHECorso di laurea triennale in Economia Internazionale

LA CRISI DEL DEBITO GRECA ED EUROPEA DEL 2010

Relatore: Prof. Maurizio Mistri Laureando: FILIPPO VESCOVO matricola n. 575374

A.A. 2009/2010

Indice generaleIntroduzione......................................................................................................................... Capitolo 1...........................................................................................................................7 L'Europa che abbiamo costruito.........................................................................................7 1.1. La lunga strada dell'Unione europea e della moneta unica.....................................7 1.2. Le politiche fiscali dell'Eurozona.........................................................................12 1.3. Il coordinamento delle politiche fiscali.................................................................13 1.4. Vincoli di bilancio e sanzioni...............................................................................15 1.5. La politica monetaria dell'euro.............................................................................17 Capitolo 2.........................................................................................................................21 Dieci anni di Unione monetaria tra luci ed ombre............................................................21 2.1. La strategia di Lisbona.........................................................................................21 2.2. La performance economica di Eurolandia nel decennio.......................................24 2.3. L'andamento dei bilanci governativi nel decennio................................................34 2.4. La riforma del Patto di Stabilit e Crescita...........................................................37 2.5. I risultati di Lisbona e dell'euro............................................................................40 Capitolo 3.........................................................................................................................43 La crisi economica in Europa e le misure di Eurolandia...................................................43 3.1. La crisi finanziaria in America.............................................................................43 3.2. La propagazione della crisi in Europa...................................................................45 3.3. La risposta della Bce.............................................................................................47 3.4. Le manovre dell'Europa e dei governi europei contro la crisi...............................48 Capitolo 4.........................................................................................................................53 La crisi dei debiti pubblici................................................................................................53 4.1. I bilanci dei governi europei dopo la crisi.............................................................53 4.2. La crisi greca e l'occhio dei mercati sui bilanci europei........................................58 4.3. Il ritorno dei Pigs e la crisi politica in Eurolandia.................................................61 4.4. La Grecia sull'orlo della bancarotta e la soluzione europea..................................65 4.5. Uno scudo per proteggere l'Eurozona...................................................................70 1

Capitolo 5.........................................................................................................................73 Gli effetti della Crisi del debito........................................................................................73 5.1. La convergenza del rischio in Eurolandia.............................................................73 5.2. Austerity time: fine dello stato sociale in Europa?................................................76 5.3. Il G-20 di Toronto ed il tema dell'austerit nel contesto mondiale........................80 5.4. L'ennesimo fallimento del PSC e le proposte di riforma.......................................83 5.5. Gli squilibri dell'Eurozona....................................................................................87 Conclusioni......................................................................................................................93 Abbreviazioni...................................................................................................................99 Bibliografia....................................................................................................................100

INTRODUZIONE

Esattamente un anno addietro rispetto alla pubblicazione di questa tesi, il neo-presidente greco Giorgos Papandreou annunciava all'Europa che i dati di bilancio del suo Paese erano stati truccati, e che la realt consisteva invece in un profondo deficit, pari al 12,7% del PIL nazionale. Quel giorno segn l'inizio di una spirale negativa in pochi mesi risucchi in s l'intera Eurozona, preda degli speculatori e delle proprie incertezze politiche. La prima vittima fu la Grecia stessa, che oltre ad aver perso credibilit rispetto agli investitori ed ai partner europei per la condotta non cristallina della propria agenzia statistica, presentava anche un'economia molto provata dalla crisi. In pochi mesi la sua capacit di rifinanziarsi sul mercato peggior notevolmente, e lo scenario della bancarotta divenne sempre pi plausibile. Nel frattempo gli altri membri di Eurolandia si trovavano ancora una volta divisi sul da farsi: aiutare l'indisciplinato Paese del Mediterraneo oppure lasciare che vadi in default? L'incapacit di trovare un accordo non fece che aumentare le tensioni sui mercati, che dopo la Grecia avevano gi negli occhi le prossime vittime Irlanda, Portogallo e Spagna anch'essi membri della zona euro dai bilanci preoccupanti. Quello che inizialmente sembrava il solito tiro mancino da parte di uno dei Paesi meridionali dalla scarsa disciplina fiscale si tramut ben presto in una questione di primaria importanza: in ballo non vi era solamente il futuro del popolo greco, ma anche la sopravvivenza della moneta unica e del processo di integrazione europea.

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Ma sbagliato pensare che un Paese periferico e relativamente piccolo come la Grecia abbia da solo messo a repentaglio la soppravvivenza dell'euro: le radici della crisi sono molto pi profonde e vanno ricercate sopratutto nelle scelte politiche compiute in passato, sia a livello europeo che a livello nazionale. Il primo obiettivo della tesi sar proprio proprio quello di capire e portare alla luce quali sono stati i fattori dello scampato disastro a cui abbiamo assistitio nel corso dell'ultimo anno. A tale proposito si scelto un approccio di tipo storico e descrittivo; i primi tre capitoli saranno infatti dedicati a dare un'idea del contesto, delle scelte e degli accadimenti che hanno portato alla crisi dei debiti odierna; gli ultimi due capitoli si concentreranno invece sulle vicende dell'ultimo anno e sulle conseguenze che esse stanno portando.

Nel

primo

capitolo,

dopo

aver

ripercorso

brevemente

la

storia

dell'integrazione europea fino alla creazione dell'euro, forniremo un quadro del funzionamento della politica economica di Eurolandia, chiarendo i meaccanismi su cui si basa l'euro ed i processi di integrazione delle manovre fiscali dei vari Paesi membri. Nel secondo capitolo andremo invece ad analizzare i risultati conseguiti dalla moneta unica e dall'economia di Eurolandia nel suo primo decennio di vita: come vedremo, le prove fallite dal progetto dell'euro concorreranno in modo decisivo alla difficile situazione che viviamo oggi. Come ben sappiamo i primi dieci anni dell'euro si conclusero con lo scoppio della crisi economica e finanziaria del biennio 2008-09: nel terzo capitolo andremo a ripercorrere proprio quei fatti, andando a vedere quale stata la reazione di Eurolandia e quali misure abbiano preso i vari governi nazionali.

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Nel quarto capitolo, dopo aver analizzato gli effetti del biennio 2008-09 sui bilanci dei Paesi dell'Eurozona, inizieremo finalmente a concentrarci sugli accadimenti dell'ultimo anno, andando a descrivere i vari atti della crisi del debito fino ad oggi. Il quinto ed ultimo capitolo si concentrer invece sull'altro obiettivo della tesi, ossia l'analisi degli effetti immediati sia economici che politici dei fatti esposti: si parler quindi della riforma del Patto di Stabilit e Crescita, dell'affermazione di politiche di austerit come risposta immediata alla crisi ed infine si andr a presentare brevemente l'interessante dibattito emerso negli ultimi mesi e profondamente collegato con le considerazioni emerse da questo lavoro quale la sostenibilit degli squilibri in Eurozona.

La tesi - che tenta di approcciare il problema intrecciando elementi di storia, economia e dibattito politico, si avvale di molteplici fonti. Quelle di carattere storico (soprattutto nei primi tre capitoli), ad esempio quelle relative alla storia dell'euro o ai vari accadimenti politici come la riforma del Patto, sono ricavate in gran parte da alcuni testi di studiosi dell'economia e delle istituzioni europee, come Bini Smaghi e Brunzzo. Per quanto riguarda gli aspetti pi strettamente di analisi economica si sono prese in considerazione diverse pubblicazioni di organi di studio come l'Eurostat o l'Fmi, i bollettini mensili della Bce, ed infine soprattutto nell'ultimo capitolo alcuni articoli tecnici pubblicati da giornalisti/economisti come Martin Wolf. Un ulteriore fonte che si deciso di adottare, in particolar modo nelle parti di cronaca, quella delle dichiarazioni di alcune cariche pubbliche europee, che hanno giocato un ruolo fondamentale nella crisi.

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CAPITOLO 1 L'EUROPA CHE ABBIAMO COSTRUITO

Premessa

Prima di iniziare l'analisi sulla crisi greca ed europea, trovo utile ricordare cosa sia oggi l'Europa, e la strada che essa ha fatto negli anni per diventarlo. Dopo un breve excursus storico, ci soffermeremo invece ad analizzare il funzionamento e la struttura dell'Unione e dell'euro, andando a vedere i principi di funzionamento della politica economica e come si coordinano le politiche fiscali dei Paesi membri.

1.1. La lunga strada dell'Unione Europea e della moneta unica.

L'Unione Europea potrebbe essere definita come una partnership politica ed economica che unisce 27 Paesi democratici europei 1, ed il frutto di un lungo processo di integrazione iniziato dopo il secondo dopoguerra. L'intento iniziale dei padri fondatori era quello di evitare altre guerre che potessero devastare il continente, ed al tempo stesso tentare di avvicinare popoli che per secoli si erano combattuti. A partire dal 1951 con l'istituzione della Comunit Europea del carbone e dell'acciaio (CECA), e nel 1957 con il Trattato di Roma che costitu la Comunit Economica Europea (CEE), il cammino dell'Unione ha compiuto diversi passi avanti,1

Definizione fornita dal sito internet ufficiale dell'Unione Europea, europa.eu

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ponendosi di volta in volta obiettivi sempre pi grandi. Se la filosofia iniziale era quella di ricostruire l'Europa e mantenere la pace essenzialmente attraverso la cooperazione economica, negli anni si fatta spazio l'idea che le comunit dovessero toccare anche altri aspetti politici, come i diritti dell'uomo e scelte comuni in campi come l'istruzione, il lavoro e molto altro. Nel frattempo anche il numero degli Stati partecipanti si ingrandiva: dai 6 fondatori degli anni '50 (Italia, Germania Ovest, Francia, Paesi Bassi, Lussemburgo e Belgio), oggi si contano ben 27 Stati membri. In mezzo secolo, si pu dire che la cooperazione europea ha conseguito obiettivi ambiziosi, come la libera circolazione delle merci, delle persone e dei capitali tra gli Stati, l'attuazione di politiche agricole e di pesca comuni e un sistema di trasporti comunitario sempre pi integrato. In tal contesto forse il pi grande obiettivo raggiunto per quello della moneta unica, l'euro, adottato oggi da 16 di questi 27 Paesi. Entrando nell'Eurozona, essi hanno deciso mutuamente di delegare la sovranit sulla politica monetaria ad un'istituzione sovranazionale, comunitaria ed indipendente quale la Banca Centrale Europea (BCE). Le politiche fiscali, al contrario, restano in mano ai singoli governi nazionali, anche se, come vedremo meglio in seguito, i Trattati prevedono una qualche forma parziale di coordinamento (cfr. 1.3). Il cammino della moneta unica ha lontane radici: nel 1970, il famoso Rapporto Werner prospettava l'adozione della moneta unica mediante un percorso in tre fasi, che prevedevano la stabilit dei cambi, la creazione di istituzioni idonee ed infine il coordinamento delle politiche economiche. Il progetto fu per presto abbandonato a seguito della crisi monetaria postBretton Woods del 1971, che lasci spazio al cosiddetto serpente

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monetario, conosciuto ufficialmente come Sistema Monetario Europeo (SME). I compiti dello SME erano essenzialmente la stabilit dei tassi di cambio ed il contenimento dell'inflazione. Il sogno di costruire un'unit monetaria vera e propria non era stato per abbandonato, ma semplicemente rimandato a tempi migliori, e sopratutto politicamente maturi (Brunazzo 2009, p.176). Questi vennero sul finire degli anni 80', con la guerra fredda ormai agli sgoccioli, ed il progetto poteva riprendere cos nuove energie. Nel 1988, poco prima della caduta del Muro, il Consiglio Europeo si impegnava solennemente a creare l'Unione Economica e Monetaria (UME), costituendo un comitato che implementasse un progetto e le possibili fasi operative. Il resoconto del collegio, il cosiddetto Rapporto Delors, venne approvato un anno dopo nel Consiglio Europeo tenutosi a Madrid e prevedeva tre fasi successive che avrebbero portato, un giorno, ad una moneta unica europea. La prima parte del progetto, che prese inizio nel luglio 1990, consisteva principalmente nell'abolizione di tutte le restrizioni alla circolazione di capitale all'interno degli stati dell'Unione e nell'istituzione di una primitiva forma di controllo multilaterale delle politiche economiche dei Paesi membri. Se il primo progetto degli anni '70 era stato rimandato principalmente per via del contesto macroeconomico altamente instabile, il secondo tentativo stava invece acquisendo velocit grazie anche alla fine della guerra fredda ed all'unificazione della Germania. Venne cos la seconda fase, che prevedeva la creazione delle basi istituzionali e giuridiche necessarie ad un'unione monetaria, e port allo stipulazione di due fondamentali accordi: il Trattato di Maastricht del 1992 e il Patto di

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Stabilit e Crescita, nel 1996 (Brunazzo 2009, p.177). Il primo storico trattato, firmato il 7 gennaio 1992, sanciva al tempo stesso la nascita dell'Unione Europea, basata sul sistema dei tre pilastri, e della moneta unica, che sarebbe dovuta entrare in vigore nel 1999, a seguito della creazione di una banca centrale (la BCE appunto) al comando di un organismo in cui sarebbero confluite le diverse banche centrali nazionali. Fu in quello stesso documento che vennero varate le clausole di non partecipazione al progetto della moneta unica per il Regno Unito e la Danimarca, con riserva di entrata in un secondo momento. Il Trattato dettava ai Paesi precise condizioni per l'entrata nell'euro, rappresentate dai cinque cosiddetti parametri di convergenza. Essi consistevano in: sostenibilit nei conti pubblici: rapporto tra deficit pubblico e PIL non superiore al 3% e rapporto tra debito pubblico e PIL non superiore al 60%; stabilit dei prezzi: tasso d'inflazione inferiore all'1,5% rispetto alla media delle tre economie pi virtuose; tasso di interesse a lungo termine non superiore al 2% del tasso medio dei tre Paesi pi con pi bassa inflazione; stabilit del tasso di cambio della valuta nazionale per almeno 2 anni. Tali parametri ci fanno capire quale sia la filosofia di fondo che si deciso di adottare nell'avventura dell'euro, ossia quella della stabilit dei prezzi e della disciplina di bilancio: un modo di vedere l'economia perfettamente in linea con la tradizione accademica tedesca. Fu infatti la Germania il vero leader nella creazione della moneta unica, e gli altri Stati

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firmatari si trovarono d'accordo nel prenderne a modello la banca centrale, la Bundesbank, che negli anni aveva mantenuto il marco tedesco stabile e forte, facendone la seconda valuta pi scambiata a livello internazionale e quella di riferimento nell'esperimento dello SME (Bini Smaghi 2001, p.74). Per quanto riguarda l'aspetto operativo invece, il Trattato prevedeva la creazione di un istituto a carattere transitorio chiamato Istituto Monetario Europeo (IME), con il compito di gettare le basi logistiche e perfezionare i metodi di funzionamento della futura banca centrale della moneta unica, oltre a chiarirne i rapporti con le banche centrali nazionali. La maturit del Trattato di Maastricht arriv per con il Patto di Stabilit e Crescita, concordato ad Amsterdam nel giugno 1997, in cui i Paesi dell'Eurozona si impegnarono a rispettare i parametri di convergenza anche dopo l'entrata nella moneta, oltre a darsi l'obiettivo del pareggio di bilancio nel medio termine. Con il Patto si prevede inoltre la possibilit, per il Consiglio, di applicare sanzioni nei confronti di quegli Stati che non avrebbero adottato programmi volti a porre fine a deficit persistenti. Il Patto verr modificato in un secondo momento, nel 2005, come vedremo pi dettagliatamente pi avanti (cfr. 2.4). La terza ed ultima fase prese luogo il 31 dicembre 1998, un giorno prima dell'entrata in vigore della moneta unica, quando furono fissati i tassi di conversione finali tra le valute dei singoli Paesi prossime all'estinzione e l'euro. Il giorno successivo l'Europa era in festa nelle piazze a festeggiare la nascita della moneta unica: 11 Paesi Italia, Belgio, Germania, Francia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Portogallo, Spagna, Irlanda, Austria e Finlandia - erano pronti a dare il via al progetto, e presto a loro si sarebbero aggiunti altri 5 stati: con la Grecia nel 2001, e Slovenia, Cipro,

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Malta e Slovacchia entrate nell'ultimo triennio, il conto sale a 16 Stati, per un totale di circa 310 milioni di abitanti (Bini Smaghi 2008, p.7).

1.2. Le politiche fiscali dell'Eurozona.

Prima di guardare a come andato finora questo esperimento, che ora vive una fase piuttosto critica, andiamo a capire meglio i meccanismi che hanno pensato per la nostra moneta i politici e burocrati europei che negli anni 90' hanno implementato tale macchina. Ad esempio, perch si deciso di seguire la filosofia della disciplina di bilancio e bassa inflazione? Come detto poco sopra, lo stampo quello tipico tedesco di una politica economica equilibrata, che porti ad una crescita stabile in un contesto di prezzi stabili. Ci si traduce nel mantenimento di bilanci prossimi al pareggio, in modo di accrescere la capacit di risposta nei casi di cicli negativi dell'economia (Bini Smaghi 2001, p.49). E' un po' come il comportamento della formica nella paradigmatica storiella che la vede in contrasto con la cicala: mette da parte risorse durante le floridi stagioni (cicli economici positivi) per meglio affrontare i rigidi inverni (cicli negativi). Come nella favola scritta dal greco Esopo, allo stesso modo, la filosofia dettata dai Trattati quella di attuare politiche fiscali restrittive in fasi di crescita ed espansive nelle fasi di recessione, mentre la moneta deve mantenersi su valori stabili in modo - al tempo stesso - di evitare l'inflazione e fornire un contesto economico stabile su cui poter attuare le diverse manovre. Mantenendo un tetto di deficit pubblico annuale del 3%, valore relativamente vicino al pareggio, i governi acquisiscono una certa

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flessibilit, e all'avvento di un periodo di recessione possono rispondere attuando politiche anti-cicliche senza compromettere i propri bilanci; al tempo stesso, nell'attuare tali manovre, possono trovare la liquidit necessaria nel mercato finanziario, vendendo i propri titoli statali senza dover pagare premi troppo elevati. Ci dovuto al fatto che un bilancio in buone condizioni indica ceteris paribus - scarso rischio di insolvibilit, e quindi abbassa notevolmente il premio da pagare. Ma perch si sono scelti come valori di riferimento proprio il 3 e il 60%? Essi sono stati calcolati prendendo in considerazione una crescita dell'economia del 5% annuo in termini nominali, che comporterebbe, dato un un deficit del 3%, una convergenza del debito pubblico ad un livello inferiore al 60% nel medio periodo. Nel caso per in cui la crescita sia bassa ahim aspetto molto vicino alla realt nella nostra Europa tali parametri andrebbero rivisti. Ad esempio, ipotizzando una crescita media attorno 1,5% come stato per l'Italia nel primo decennio del 2000, la soglia massima del deficit andrebbe spostata ad un valore di 1,5%, pari alla met del 3%. Ecco quindi che, la diminuzione dei debiti pubblici passa obbligatoriamente per una modifica dei parametri oppure per un aumento dei tassi di crescita (Bini Smaghi 2008, p.94).

1.3. Il coordinamento delle politiche fiscali2

Se questa la logica di fondo per le singole politiche fiscali, ben pi grossi problemi vengono dal loro coordinamento, tema tornato fortemente a galla durante l'attuale crisi dei bilanci europei (cfr. 5.5). Vediamo come2

La base giuridica del coordinamento della politica economica si trova all'articolo 121 TFUE, in cui viene anche spiegato il meccanismo di formazione degli IMPE e gli strumenti di pressione politica in mano alla coppia Consiglio/Commissione.

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funziona il meccanismo di coordinamento. Il Patto di Stabilit e Crescita prevede che le politiche di bilancio nazionali siano soggette a un processo di sorveglianza multilaterale, che consiste principalmente nell'adozione, da parte Consiglio, degli indirizzi di massima per le politiche economiche (IMPE). Implementati dall'Ecofin, essi stabiliscono, a scadenza triennale, gli orientamenti economici che l'Unione intende seguire. I Governi sono tenuti a redigere le loro politiche fiscali in modo di rispettare le strategie dettate dagli IMPE, e proprio per questo motivo, i bilanci dei governi nazionali sono sottoposti annualmente a verifica da parte di organi predisposti all'interno dell'Ecofin, i quali possono emettere raccomandazioni e richiederne seppur senza vincoli concreti la modifica (Brunazzo 2009, p.179). Il coordinamento delle politiche fiscali diviene una necessit quando ci si trova in un'unione monetaria, in quanto gli incentivi per l'attuazione di politiche espansive, e quindi inflazionistiche, aumenta. Ci dovuto al fatto che il braccio monetario vincolato all'Unione, e quindi un aumento del disavanzo pubblico da parte di uno Stato produce un aumento del tasso di interesse inferiore e un aumento del reddito maggiore rispetto a quello che si verificherebbe in un sistema di cambi flessibili, incentivando regimi di overspending. Inoltre, l'adozione di una moneta unica comporta l'eliminazione del rischio di cambio e i connessi premi per il rischio fra i Paesi partecipanti, allentando la disciplina normalmente esercitata dai mercati finanziari sulla condotta dei governi in materia di conti pubblici. Se cos un una minoranza di Paesi indisciplinati mettesse in moto politiche espansive generando spinte inflazionistiche, la Bce si troverebbe obbligata ad aumentare il tasso di interesse in tutta l'Eurozona,

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danneggiando direttamente anche i governi in linea con i parametri (Bini Smaghi 2001, p.41). In poche parole, citando uno dei padri fondatori dell'euro Tommaso Padoa-Schioppa, sbagliato credere che l'Euro e la piena sovranit nazionale siano compatibili3, e il funzionamento dell'unione monetaria sembra dover passare necessariamente per un certo coordinamento delle politiche fiscali e strutturali. Che il meccanismo fin qui utilizzato non abbia poi funzionato, resta un'altra storia, di cui parleremo nel corso prossimi capitoli.

1.4. Vincoli di bilancio e sanzioni

Da un punto di vista pi operativo, l'Unione ha messo appunto un sistema di tipo coercitivo per indurre i Paesi membri a rispettare i vincoli del Patto, in particolare i parametri del 3 e 60%. L'articolo 126 del TFUE prevede la possibilit, per gli Stati che perdurano in uno stato di disavanzo eccessivo, di incorrere in una procedura per deficit eccessivo (PDE). Alla fine dell'iter procedurale previsto da tale legge, fatto di richiami e controlli da parte della Commissione, se il governo sotto osservazione si dimostra recidivo nel perseguimento di politiche in linea alle raccomandazioni, prevista la possibilit di infliggere delle sanzioni allo stesso.

Esse sono elencate al comma 9 dello stesso articolo: obbligo, per lo Stato sotto osservazione, di pubblicare informazioni supplementari sui propri bilanci e con regolarit;

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Vedi articolo Euro remains on the right side of the Hystory, di Tommaso Padoa-Schioppa, da Financial Times, 13 maggio 2010.

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invito, alla banca europea degli investimenti, a riconsiderare la sua politica di prestiti verso tale Stato; richiesta allo Stato un deposito infruttifero; ammende di quantit adeguata. Potenzialmente, l'articolo 126 sarebbe un ottimo disincentivo all'attuazione di politiche inflazionistiche, ma nel decennio trascorso possiamo constatare come le sanzioni previste non siano mai state applicate, malgrado se ne fosse presentata la necessit in diversi casi. Il momento decisivo nella crisi dell'articolo 126 stato probabilmente il biennio 2003-04, quando Francia e Germania utilizzarono il loro imponente peso politico per evitare le sanzioni a loro previste. Entrambi i Paesi, a seguito di deficit eccessivi nel 2003 si erano impegnati formalmente con la Commissione a prendere le misure necessarie per rientrare in breve tempo. Peccato che, le leggi di bilancio successivamente approvate dai parlamenti nazionali non andavano bene alla Commissione, la quale aveva previsto la possibilit di sanzionare i due Stati. Alla fine, Francia e Germania, con la loro influenza ed autorit, guidarono il Consiglio ad una soluzione che li avrebbe salvati, di fatto ovviando alle raccomandazioni della Commissione. A seguito di tale avvenimento si scaten un grosso dibattito in Europa, con scontri a pi riprese tra le opinioni pubbliche ed i governi: il sistema sanzionatorio previsto dall'articolo 126 ne usc molto indebolito. Fu proprio questo il motivo principale che port alla riforma del PSC nel 2005, ma da allora ben poco cambiato in realt, e ad oggi, nessun governo dell'Eurozona teme il PDE. Sar anche questa una delle chiavi di lettura per la crisi del debito che viviamo oggi in Eurolandia.

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1.5. La politica monetaria dell'euro.

Alle politiche fiscali appena descritte, si accompagna una politica monetaria comune, la cui responsabilit attribuita al Sistema Europeo di Banche Centrali (SEBC), composto dalla Banca Centrale Europea (BCE) e dalle banche centrali dei 16 Paesi che partecipano all'euro. Al Consiglio direttivo della Bce affidata la formulazione della politica monetaria per l'area dell'euro e degli orientamenti per la sua attuazione; nel quadro di tale competenza esso ha annunciato alla sua nascita, nell'ottobre 1998, una strategia tesa a conseguire l'obiettivo primario della stabilit dei prezzi, come sancito nel Trattato di Maastricht, e presente all'articolo 127, comma 1 del Trattato sul Funzionamento dell'Unione Europea (TFUE):L'obiettivo principale del Sistema europeo di banche centrali, in appresso denominato SEBC, il mantenimento della stabilit dei prezzi. Fatto salvo l'obiettivo della stabilit dei prezzi, il SEBC sostiene le politiche economiche generali nell'Unione al fine di contribuire alla realizzazione degli obiettivi dell'Unione definiti nell'articolo 3 del trattato sull'Unione europea. Il SEBC agisce in conformit del principio di un'economia di mercato aperta e in libera concorrenza, favorendo una efficace allocazione delle risorse e rispettando i principi di cui all'articolo 119.

La strategia della Banca Centrale si articola in due elementi principali: una definizione quantitativa di inflazione accompagnata continuamente dall'analisi combinata del quadro economico e monetario. Secondo la definizione di stabilit dei prezzi l'obiettivo principale della Bce consiste nel mantenere l'inflazione su livelli prossimi al 2%. L'obiettivo si basa sulla teoria comprovata che un livello stabile dei prezzi sia il principale contributo al benessere economico che la politica monetaria possa offrire (Boll. Bce Maggio 2008, p.12).

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Secondo diversi analisti, l'articolo 127 presenta tuttavia delle ambiguit strutturali, in quanto il primo ed il secondo obiettivo possono talora entrare in contrasto: in presenza di imperfezioni del mercato monetario e finanziario, la non neutralit della moneta implica un collegamento tra obiettivi monetari ed obiettivi reali della politica economica; diverse combinazioni di politiche fiscali e politica monetaria possono essere pi o meno efficaci per il raggiungimento di taluni tra gli obiettivi finali della politica economica (Arcelli 2007, p.53). Ci ha portato negli ultimi dieci anni a diversi contrasti tra Bce e governi nazionali, come nel 2007, quando il presidente francese Sarkozy, vedendo la risposta alla crisi finanziaria nella riduzione dei tassi di interesse inizi a fare pressioni a Francoforte. La Bce decise invece, in autonomia, di mantenere i tassi stabili. Pochi mesi dopo, l'inflazione dell'area euro vide una crescita preoccupante oltre il 3%, e i governi europei che avevano tentato di contrastare l'azione della Bce fecero marcia indietro (Bini Smaghi 2008, p.42). Il tema dell'autonomia della banca centrale, molto discusso sia prima che dopo la sua istituzione, merita una breve analisi. Come suggerisce Bini Smaghi [2008, p.43], l'esigenza di avere una Banca centrale fortemente indipendente deriva dal fatto che la politica monetaria produce effetti di segno opposto nel breve termine rispetto a quelli di medio termine. Se nel breve una politica espansiva genera crescita economica, stimolando occupazione e redditi, nel medio porta invece a maggiore inflazione, molto pi difficile da curare. Ecco quindi che l'indipendenza spinge la Bce a far propria una prospettiva di lungo periodo, nel perfetto interesse dei cittadini dell'Unione

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e del loro futuro, anzich quello che pu essere un interesse politico legato ai cicli elettorali. Altre misure volte a garantire l'indipendenza di Francoforte sono ad esempio la proibizione dei finanziamenti diretti dei tesori nazionali, oppure il metodo di votazione del Consiglio direttivo (organo decisionale principale dell'istituzione), a cui prendono parte tutti i presidenti delle banche centrali con ugual potere. Un altro aspetto da tenere in considerazione che l'autonomia della Bce auspicabile anche al fine del contenimento dei disavanzi pubblici: senza il braccio della moneta, i Tesori nazionali sono forzati a finanziare i propri deficit solo sul mercato, e quindi secondo le condizioni dettate dagli operatori. Ecco quindi che i vari Governi verrebbero a percepire con chiarezza il costo di una politica economica non rigorosa, dovendo pagare premi elevati sui titoli di Stato emessi. Come vedremo nel quinto capitolo, tale assunzione impeccabile dal punto di vista teorico si riveler inefficace nella realt (cfr. 5.1). L'autonomia della Bce e l'efficacia delle sue politiche monetarie nel corso del decennio l'hanno resa un'istituzione solida e credibile, e ci consente di assicurare agli operatori finanziari aspettative d'inflazione pi basse, diminuendo i rischi ed aumentando l'efficienza economica ad ogni livello. In poche parole, se c' qualcosa che non ha funzionato nel modello di economia pensato per l'Europa, questo sembra non aver a che fare con la Bce (Brunazzo 2009, p.94).

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CAPITOLO 2 DIECI ANNI DI UNIONE MONETARIA TRA LUCI ED OMBRE

Premessa

Se nella prima parte abbiamo analizzato i meccanismi della macchinaEuropa, ora andremo invece a vedere i risultati che essa ha conseguito, ed in particolare il cammino dell'euro nel suo primo decennio. La domanda a cui vogliamo rispondere qui erano tutte rose e fiori nell'area euro prima della crisi?. Nella prima parte del capitolo si andranno a vedere quali erano gli obiettivi decennali dell'Unione, in particolare quelli dell'agenda di Lisbona, mentre nel resto del capitolo si analizzeranno gli andamenti

macroeconomici dell'area, tentando di scoprire quanto questi trend siano stati influenzati dall'appartenenza all'unione monetaria. Alla fine del capitolo si traccer un breve bilancio del primo decennio dell'euro, confrontando i risultati conseguiti con gli obiettivi originali.

2.1. La Strategia di Lisbona

Nel Consiglio europeo straordinario di Lisbona del 23 e 24 marzo 2000, gli Stati membri dell'Unione Europea si riunirono per concordare l'inizio di un nuovo progetto strategico decennale, al fine di sostenere l'occupazione, le riforme economiche e la coesione sociale nel contesto di

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un'economia basata sulla conoscenza4. Nelle premesse del Consiglio si osserva come l'evoluzione del processo di globalizzazione e il continuo rinnovamento delle tecnologie rendano indispensabile un'azione immediata da parte dell'Unione, per sfruttare appieno i vantaggi derivanti dalle nuove opportunit. L'obiettivo di fondo era quello di far dell'Unione la pi competitiva e dinamica economia della conoscenza entro il 2010. Per far ci, i capi dei governi europei, decisero di concordare un programma ambizioso, votato alla creazione delle infrastrutture del sapere, alla promozione di riforme economiche strutturali e alla modernizzazione dei sistemi di previdenza sociale e d'istruzione. Al punto 3 del documento, venivano elencati i principali problemi strutturali che l'Unione si trovava ad affrontare ad inizio millennio, tra cui: Tasso di occupazione eccessivamente basso, caratterizzato da bassa partecipazione da parte di anziani e donne; Eccessiva disoccupazione strutturale di lungo periodo; Profondi squilibri regionali, con conseguenti trend di spopolamento ed impoverimento del territorio; Sottosviluppo del settore dei servizi, in particolar modo telecomunicazioni e Internet; Mancanza di manodopera altamente qualificata, che comporta posti di lavoro inoccupati. La soluzione a tali problematiche andava ricercata nel conseguimento di un nuovo obiettivo strategico decennale, che avrebbe fondato le sue basi sulla diffusione e sviluppo della conoscenza, in grado di realizzare una4

Conclusioni della presidenza, C.E. 23-24 Marzo 2000.

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crescita economica sostenibile, creando nuovi e migliori posti di lavoro e garantendo una maggiore coesione sociale. I canali di sviluppo di tale obiettivo sarebbero stati: miglioramento della conoscenza, in concreto con il potenziamento delle politiche di istruzione e della ricerca; lotta all'esclusione sociale; accelerazione delle riforme sui temi della competitivit e dell'innovazione. Il documento propone come chiave del futuro europeo il triangolo conoscenza competitivit - occupazione: attuando forti investimenti e riforme a vantaggio della conoscenza, interpretata sia come alti livelli di istruzione che come R&S (sopratutto nel campo dell'informatica e telecomunicazioni), si potranno a loro volta migliorare occupazione e competitivit delle imprese, garantendo nel lungo periodo una crescita del benessere tra gli Stati dell'Unione. Parallelamente, va migliorato il contesto in cui debba avvenire tale processo, ossia il completamento del mercato unico ed il pieno sfruttamento del potenziale dell'euro. Tra gli obiettivi principali previsti dal documento ricordiamo: realizzazione di una crescita media del 3% all'interno dell'area (punto 6); completamento dell'integrazione dei mercati finanziari (punto 20); risanamento dei bilanci pubblici e miglioramento della sostenibilit delle finanze pubbliche (punto 22); potenziamento degli investimenti in capitale umano ed istruzione (punti 25-27);

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crescita del tasso di occupazione dal 61% al 70% ed aumento dell'occupazione femminile dal 50 al 60% (punto 30).

2.2. La performance macroeconomica di Eurolandia nel decennio5

In dieci anni l'euro diventato la seconda moneta mondiale dopo il dollaro, e rappresenta un'area economica e finanziaria integrata di 16 nazioni, dal Mediterraneo al Baltico, con un peso economico comparabile a quello degli Stati Uniti (Bini Smaghi 2008, p.7). Alcuni obiettivi della strategia di Lisbona sono stati raggiunti, molti altri no; di certo c' che all'interno della stessa Unione e dell'Eurozona si sono verificati andamenti molto eterogenei, sia nell'attuazione di riforme che nei risultati.

Crescita Dal 1996 al 2008, la crescita media dell'area euro stata del 2,2% annuo, cifre invariate rispetto al periodo 1980-95, e anche in termini di reddito pro-capite non ci sono differenze rilevanti. Il cambiamento pi rilevante forse per quantomeno fino a prima della crisi economica 2008-09 - la riduzione della variabilit del ciclo economico, con una diminuzione della deviazione standard del tasso di crescita dall'1,8% all'1,3% nell'area euro negli stessi periodi considerati (Bini Smaghi 2008, p.99). Da alcuni studi6 si denota come la crescita in Europa rimanga di natura sostanzialmente export-led, ed in particolare legata agli andamenti5

Il paragrafo prende spunto in gran parte dal Bollettino mensile della Bce del Maggio 2008, dal titolo Dieci anni di Bce, in cui vengono analizzate le performance economiche dell'Eurozona nel suo primo decennio di vita. 6 Si veda Cer, Rapporto n.3, 2006.

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dell'economia americana, mentre la correlazione con le emergenti economie asiatiche risulta addirittura negativa. In altri termini l'economia europea non sembra ancora essersi agganciata alla locomotiva asiatica (Rhi-Sausi-Vacca 2007, p.63). Qui di seguito (Grafico 1) sono rappresentati gli andamenti dei tassi di crescita dell'Eurozona, della Grecia e degli Stati Uniti. Innanzitutto si notano dei trend generali comuni alle tre serie di dati: crescita in calo tra il 2000 e 2002, con Stati Uniti e Grecia capaci di accelerare i ritmi prima rispetto alla media europea; crescita pi sostenuta fino al 2007, con gli USA costantemente sopra alla media europea di un punto percentuale; ritmi negativi nel 2008 e addirittura decrescita per il 2009 come effetto della crisi finanziaria ed economica.Grafico 1 - Variazioni percentuali del PIL in Eurozona, USA e Grecia, 2000-2010PIL %6 5 4 3 2 1 0 -1 -2 -3 -4 -5 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010

usa eu16 grecia

fonte: Eurostat

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Dal confronto tra le serie di dati notiamo invece come la crescita degli Stati Uniti sia stata mediamente pi alta di quella europea: considerando le medie per il periodo in esame (e quindi anche l'ultimo biennio), gli USA presentano una media del +2,0, contro il +1,3 dell'Eurozona. Se prendiamo in esame invece il periodo 2000-07 il divario si accorcia, con gli Stati Uniti al +2,6 e l'Eurozona al +2,2: segno che la crescita della nostra economia ha risentito di pi degli effetti della crisi, perdendo terreno rispetto agli USA. Per quanto riguarda la Grecia, notiamo invece che essa ha mantenuto tassi di crescita relativamente molto alti fino al 2007, con una media del +4,2%, solo che le proiezioni per il 2010 sono piuttosto pessimistiche: la crisi ed il piano di austerit proposto dal governo porteranno ad un calo del PIL stimato attorno al 3%. Se allarghiamo l'analisi ai Paesi dell'Eurozona, notiamo invece come si siano verificati andamenti differenti all'interno dell'area. Al proposito prendiamo in analisi la Tabella 1, che presenta la crescita media del periodo 2000-07 dei maggiori Paesi dell'Eurozona.Tabella 1 Tassi medi di crescita Eurozona(%PIL) 2000-2007 Belgio Germania Irlanda Grecia Spagna Francia Italia Lussemburgo Olanda Austria Portogallo Finlandia Media UE16fonte: Eurostat

2,2 1,5 6,0 4,2 3,6 2,1 1,5 4,8 2,2 2,3 1,5 3,5 2,2

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Possiamo identificare tre gruppi: un primo gruppo a crescita consistente, oltre il 3%, quali Finlandia, Lussemburgo, Spagna, Irlanda e Grecia; quelli che presentano una crescita in linea con la media europea del 2%, quali Belgio, Francia, Olanda e Austria; quelli a bassa crescita, Italia, Germania e Portogallo con tassi attorno all'1,5%. Parte delle differenze nei ritmi di crescita potrebbe essere attribuita alla convergenza dei Paesi meno ricchi verso livelli di reddito in linea con le medie europee: ci vale sicuramente per Spagna, Irlanda e Grecia, che ad inizio decennio presentavano redditi ben inferiori alla media europea mentre oggi si trovano all'altezza dei loro partner. Sotto questo punto di vista, l'eterogeneit delle crescite all'interno dell'Eurozona andrebbe quindi valutata positivamente (Bini Smaghi 2008, p.101). Andando ad un'analisi pi accurata, e prendendo in considerazione i dati di Pil pro-capite, risulta tuttavia che il fenomeno di catching-up delle economie pi povere verso le pi ricche subisce una forte battuta d'arresto nei primi anni 2000, dopo un lustro in cui la convergenza era risultata ben marcata. Anzi, dal 2001 escludendo Grecia e Irlanda - emersa una preoccupante tendenza alla divergenza, che ha progressivamente riportato l'indicatore dove si trovava nel biennio 1996-97, prima della nascita dell'euro (Rhi-Sausi-Vacca 2007, p.65). Questi trend spesso ignorati dai nostri politici europei - hanno sollevato tra gli economisti grosse preoccupazioni sulla compatibilit del progetto della moneta unica con gli obiettivi di convergenza economica. Il link logico tra i due fattori resta comunque ancora tutto da verificare: negli stessi anni, infatti, altri Paesi

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dell'est Europa e dei Balcani non appartenenti all'Eurozona sono cresciuti a ritmi piuttosto sostenuti. Poi nell'ultimo anno, lo scoppio della bolla immobiliare in Spagna, e la bolla del deficit dei bilancio in Grecia e Irlanda fanno suscitare forti dubbi sulla reale consistenza di queste crescite. Ma di questo parleremo meglio negli ultimi due capitoli. In ultima analisi, la conclusione resta che la crescita economica in Europa resta piuttosto bassa, sia rispetto agli obiettivi del 3% che l'Unione si era data con la Strategia di Lisbona, sia rispetto agli Stati Uniti. Parte di questa lentezza - come vedremo di seguito - pu essere spiegata con i bassi tassi di crescita della produttivit.

Proddutivit La sostanziale stabilit dei tassi di crescita prima e post-euro nasconde due trend differenti: mentre la crescita occupazionale aumentata significativamente nell'ultimo decennio, la produttivit media continua a calare dalla met degli anni 90' (Boll. Bce Maggio 2008, p.69). Ed forse in questo secondo dato che va ricercata una delle cause principali dei bassi tassi di crescita dell'area euro. Basta infatti sfogliare un qualsiasi manuale di macroeconomia per capire che uno degli ingredienti fondamentali per una crescita stabile nel lungo periodo il miglioramento della produttivit del lavoro. Come si pu notare nel Grafico 2 (pagina successiva), tra il 1980 e il 1995, la crescita media del prodotto per ora lavorata nell'area euro stato del 2,3% mentre la crescita del 2,2%. Dalla met degli anni 90' in poi, abbiamo assistito ad un generale rallentamento della produttivit: dal 2,3 all'1,3%, con una crescita media invariata al 2,2%.

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Grafico 2 Produttivit in Eurozona e USA 1980-2008

fonte: Bollettino Bce, Maggio 2008

Se confrontiamo i dati europei con quelli relativi all'economia statunitense (cfr. Grafico 2), notiamo che gli Stati Uniti, negli stessi periodi considerati, hanno mantenuto invariata la crescita di ore di lavoro annuali (dall'1,4% all'1,3%), mentre la produttivit ha visto i tassi di crescita passare dall'1,4% al 2,1%. Una delle chiavi di lettura pu essere quella della maggiore diffusione in terra statunitense delle Information and

Communication Technologies (ICT), sopratutto nel settore dei servizi, che permettono alle aziende diversi vantaggi, tra cui l'aumento dell'efficienza nei processi decisionali, la riduzione dei costi di comunicazione e il miglioramento della pianificazione (Boll. Bce Maggio 2008, p.70).

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Un altro fattore importante per il miglioramento della produttivit che vede tutti gli economisti concordi quello dell'aumento della flessibilit ed efficienza del lavoro. Ad esempio, legando i salari alla produttivit, si garantirebbe al tempo stesso un sistema pi equo e meritocratico, aumentando l'efficienza delle aziende e quindi le prospettive economiche di lungo periodo (Bini Smaghi 2008, p.111). Anche qui l'Europa presenta andamenti molto differenti all'interno dell'area: Paesi come la Germania e l'Olanda nell'ultimo decennio hanno varato profonde riforme del settore che ora garantiscono loro importanti vantaggi in termini di competitivit. Altri Paesi come la Grecia, la Spagna ed in parte l'Italia non hanno avuto la forza, e forse nemmeno la volont politica di produrre questi stessi impopolari cambiamenti, ed i dati pre-crisi parlano di aumenti del costo del lavoro del settore manufatturiero rispettivamente del 45, 40 e 47%, a fronte di un calo in termine di valori assoluti da parte della Germania (Bini Smaghi 2008, p.104). Come vedremo in seguito negli ultimi capitoli, l'abbassamento dell produttivit e quindi della perdita di competitivit dei Paesi della periferia avranno un ruolo fondamentale nella crisi del debito odierna.

Lavoro ed occupazione Se il totale di ore lavorate per persona aumentato mediamente di un simbolico 0,2% nel periodo 1997-07, la partecipazione al lavoro invece aumentata dal 67,2% del 1997 ad un 71% nel 2007, grazie alla diffusione del lavoro part-time e del pi largo accesso da parte di donne ed anziani. L'indice generale vede invece una crescita dell'occupazione, nel periodo 1999-07, dal 60,3% al 65,5% per un totale di 15 milioni di nuovi

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posti di lavoro creati nei primi otto anni dell'unione monetaria. Gli standard dell'occupazione restano comunque bassi, se comparati ai livelli di occupazione oltre il 70% degli Stati Uniti e degli obiettivi posti ad inizio decennio con la Strategia di Lisbona.Grafico 3 Disoccupazione e occupazione nell'Eurozona 1991 2007

Andando a guardare il Grafico 3, segnali positivi arrivano da quello che forse il dato pi significativo: la diminuzione del livello di disoccupazione in et 15-64 dal 9,1% al 7,5% tra il 1999 e il 2007. I problemi semmai sono arrivati poi con la crisi, come vedremo. Alcuni studi sostengono che le riforme nei campi del lavoro e dell'immigrazione sono riusciti a contrastare parte di quelli che possono essere i vincoli alla crescita derivanti da una troppa rigidit e regolamentazione del mercato del lavoro (Boll. Bce Maggio 2008, p.71). Un fattore che sicuramente ha influenzato positivamente l'occupazione rappresentato comunque dalla politica monetaria della Bce, che mantenendo i prezzi stabili, ha creato le basi per nuovi posti di lavoro e bassa

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disoccupazione. Le lamentele di gran parte degli economisti riguardo al fattore-lavoro in Europa restano quelle legate alla regolamentazione ed agli impedimenti giuridici ad una pi ampia liberalizzazione del mercato relativo. L'idea sarebbe come visto poco sopra - quella di aumentare la flessibilit, convergendo verso un modello pi americano, in cui le retribuzioni siano legate alla produttivit, ed in cui sia pi facile assumere e licenziare il lavoro dipendente. Citando il Bollettino Bce, si sostiene che un maggior livello di flessibilit aiuterebbe i mercati nazionali del lavoro ad adeguarsi agli shock economici, migliorando cos l'efficienza allocativa delle risorse inoltre la differenziazione dei salari aumenterebbe le possibilit d'impiego per le fasce di lavoratori meno qualificati7.

Inflazione Andiamo a vedere ora quello che alla luce delle considerazioni fatte nel primo capitolo - forse rappresenta il pi grande obiettivo raggiunto dall'UME, ossia la stabilit dei prezzi. Secondo i dati ufficiali Eurostat (cfr. Tabella 2, pagina successiva), dal 1999 al 2009 l'inflazione media nell'area dell'euro stata del 2,0%. Questo dato evidenzia un livello

significativamente inferiore ai tassi medi prevalsi nella maggior parte dei Paesi dell'Eurozona nei decenni precedenti all'entrata in vigore dell'euro (Bini Smaghi 2008, p.26). Anche qui, tuttavia si presentano alcune divergenze, ed in particolare medie d'inflazione pi accentuate (attorno al 3% in media) in Paesi come Grecia, Spagna e Irlanda dovute ad un certo numero di fattori, tra cui la7

Bollettino Bce di Maggio 2008, p.73.

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diversa dipendenza dall'import di materie prime, il costo di lavoro per unit prodotta e, pi in generale, i tassi di crescita (Rhi-Sausi-Vacca 2007, p.68).Tabella 2 Inflazione media nell'Eurozona, 1999 20091999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 media 1,2 2,2 2,4 2,3 2,1 2,2 2,2 2,2 2,1 3,3 0,3 2,0fonte: Eurostat

Oltre all'inflazione in s, molto importanti sono anche le aspettative sull'inflazione, determinanti nel preservare la fiducia del mercato finanziario e nell'attrarre gli investimenti esteri. Andando al Grafico 4 si pu notare come la Bce sia stata in grado di ancorare in modo duraturo le aspettative di inflazione a lungo termine alla sua definizione di stabilit dei prezzi, come confermano le misure ricavate dai rendimenti delle obbligazioni indicizzate all'inflazione proposte da organismi autorevoli come Consensus Economic Forecasts e Survey of Professional Forecasters, riportate sullo stesso grafico (Boll. Bce Maggio 2008, p.49).Grafico 4 Aspettative di inflazione a lungo termine

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Questi risultati non fanno che testimoniare la fiducia che il settore finanziario nutre o forse sarebbe meglio dire nutriva, visti gli ultimi sviluppi - verso la stabilit della moneta unica, fattore peraltro rilevante se si considerano gli shock petroliferi registrati nell'ultimo decennio. Alla luce di tutte queste considerazioni, possiamo ritenere quindi soddisfacenti i risultati della Bce e del progetto dell'euro in termini di inflazione.

2.3. L'andamento dei bilanci governativi nel decennio

Un altro aspetto importante da analizzare considerata anche la sua rilevanza rispetto al tema principale della tesi - l'andamento delle finanze pubbliche dei Paesi dell'Eurozona nel corso del primo decennio di moneta unica, cercando magari di capire se l'appartenenza ad un'area valutaria unificata abbia in qualche modo influenzato le dinamiche di spesa e finanziamento dei rispettivi governi. Iniziamo la nostra analisi prendendo in considerazione il Grafico 5 della pagina successiva, in cui sono rappresentati gli andamenti del debito (sinistra) e della spesa (destra) nei Paesi dell'Eurozona dagli anni 80' ad oggi. Notiamo innanzitutto come gli anni '80 e '90 siano stati caratterizzati da alti tassi di crescita della spesa pubblica, finanziati pesantemente con l'emissione di titoli di Stato: da un debito globale del 40% nel 1980 si arrivati oltre il 70% in meno di vent'anni. In parallelo vediamo logicamente alti livelli di deficit nel corso dello stesso periodo, sempre oltre il 3% e con punte del 5,5%. Questo secondo trend per cala vertiginosamente a partire dalla met degli anni '90: parte del merito va certamente ai parametri di convergenza previsti da Maastricht (cfr. 1.1), che imposero agli aspiranti

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membri dell'Eurozona un profondo risanamento dei bilanci8 ed una riduzione del ricorso al debito.Grafico 5 Debito e Spesa per i governi dell'Eurozona, 1980-2008

I primi anni della moneta vedono un calo generale del debito lordo, in conseguenza ai bassi livelli di deficit negli anni precedenti; allo stesso modo il trend si inverte a partire dal 2005 come risposta al crescente ricorso ai mercati fatto registrare nel primo lustro del nuovo millennio. Spostandoci sul grafico di destra notiamo come i rapporti pi bassi fra disavanzo pubblico e PIL nell'area euro durante gli anni recenti possano essere attribuiti - in larga misura - a un significativo calo della spesa sui tassi di interesse, passata dall'incidere per il 6% del prodotto nel 1993 al circa 3% del 2008. Questo fatto pu essere considerato un vantaggio derivante8

Vedi Bce Working Paper N^1054 Fiscal Behaviour in the EU; Rules, Fiscal Decentralization and Government Indebtness di Antnio Alfonso e Sebastian Hauptmeier, Maggio 2009. Nel paper vengono analizzati gli andamenti dei bilanci governativi dei Paesi membri dell'Unione nel periodo 1990-2005, e viene dimostrata l'importanza delle imposizioni di rigore fiscale da parte delle istituzioni comunitarie.

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prevalentemente dall'eliminazione del rischio di cambio e dalla transazione a politiche macroeconomiche pi orientate alla stabilit, oltre che alla solidit della moneta unica in s (Boll. Bce Maggio 2008, p.76). Come vedremo meglio in seguito (cfr. 5.1), ci ha permesso a Paesi con posizioni di bilancio non brillantissime come la Grecia di finanziarsi a tassi relativamente bassi, probabilmente inferiori ai veri valori di rischio attendibili, rendendo cos lo strumento del debito oltremodo appetibile. Passiamo ora ad analizzare gli andamenti dei deficit di bilancio dei Paesi dell'Eurozona dalla nascita dell'euro in poi.Tabella 3 Deficit di bilancio dei Paesi di Eurolandia 1999-2009 (%PIL)Belgio Germania Irlanda Finlandia Spagna Francia Italia Lussemburgo Paesi Bassi Austria Portogallo Grecia (dal 2000) Slovenia (07) Cipro (08) Malta (08) Slovacchia (09) Eurozona fonte: Eurostat 1999 -0,6 -1,5 2,7 1,6 -1,4 -1,8 -1,7 3,4 0,4 -2,3 -2,8 -3,4 -3 -4,3 -7,7 -7,4 -1,3 2000 0 1,3 4,8 6,9 -1 -1,5 -0,8 6 2 -1,7 -2,9 -3,7 -3,7 -2,3 -6,2 -12,3 0,1 2001 0,4 -2,8 0,9 5 -0,6 -1,5 -3,1 6,1 -0,2 0 -4,3 -4,5 -4 -2,2 -6,4 -6,5 -1,8 2002 -0,1 -3,7 -0,4 4,1 -0,5 -3,1 -2,9 2,1 -2,1 -0,7 -2,8 -4,8 -2,5 -4,4 -5,5 -8,2 -2,5 2003 -0,1 -4 0,4 2,6 -0,2 -4,1 -3,5 0,5 -3,1 -1,4 -2,9 -5,6 -2,7 -6,5 -9,9 -2,8 -3,1 2004 -0,3 -3,8 1,4 2,4 -0,3 -3,6 -3,5 -1,1 -1,7 -4,4 -3,4 -7,5 -2,2 -4,1 -4,7 -2,4 -2,9 2005 -2,7 -3,3 1,7 2,8 1 -2,9 -4,3 0 -0,3 -1,6 -6,1 -5,2 -1,4 -2,4 -2,9 -2,8 -2,5 2006 0,3 -1,6 3 4 2 -2,3 -3,3 1,4 0,5 -1,5 -3,9 -3,6 -1,3 -1,2 -2,6 -3,5 -1,3 2007 -0,2 0,2 0,1 5,2 1,9 -2,7 -1,5 3,6 0,2 -0,4 -2,6 -5,1 0 3,4 -2,2 -1,9 -0,6 2008 -1,2 0 -7,3 4,2 -4,1 -3,3 -2,7 2,9 0,7 -0,4 -2,8 -7,7 -1,7 0,9 -4,5 -2,3 -2 2009 -6 -3,3 -14,3 -2,2 -11,2 -7,5 -5,3 -0,7 -5,3 -3,4 -9,4 -13,6 -5,5 -6,1 -3,8 -6,8 -6,3

La tabella qui sopra mostra i deficit/surplus di bilancio degli Stati membri dell'euro dal 1999 al 2009, in rosso vengono evidenziati i valori che sforano il limite del 3% previsto dai parametri di convergenza. Si pu notare che, mentre la maggior parte dei Paesi sono stati in grado di seguire le prescrizioni del Patto di Stabilit e Crescita, mantenendo

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bilanci attorno al pareggio per quasi tutto il decennio, altri tra cui sopratutto le tre grandi economie di Eurolandia - Italia, Germania e Francia - hanno invece fatto registrare deficit eccessivi anche per diversi anni consecutivi. Oltre a questi tre big v presa nota del caso greco, con buchi oltre il 3% per tutto il decennio. Al di l delle implicazioni politiche di questi fatti (di cui peraltro parleremo nel prossimo paragrafo) da un punto di vista economico, accompagnare livelli di deficit pur non altissimi con bassi livelli di crescita quali quelli europei, potrebbe risultare estremamente dannoso per la crescita potenziale del prodotto, con grossi debiti sulle spalle dei futuri governi del Vecchio Continente, gi minacciati dalle dinamiche di invecchiamento della popolazione9. La causa dei rilevanti deficit di questi Paesi da ricercarsi nella maggiore dei casi a previsioni troppo ottimistiche su parametri macroeconomici e di spesa oltre che alla carenza di misure governative adeguate, dovute molto spesso alla mancanza di volont politica di mantenere gli impegni presi a livello comunitario (Boll. Bce Maggio 2008, p.78), oltre che alla scarsa efficacia degli strumenti di coercizione come la PDE, specialmente per gli Stati pi grossi.

2.4. La riforma del Patto di Stabilit e Crescita

Nel biennio 2001-02, con il verificarsi del primo rallentamento economico della storia dell'euro, in diversi Paesi i disavanzi dei bilanci governativi toccarono o superarono il valore di riferimento del 3% (cfr. Tabella 3). Fu questo quindi anche il primo banco di prova per la procedura per deficit eccessivo (PDE) dell'articolo 121, e gli imputati principali erano9

A tal proposito si veda l'inserto speciale Repent at Leisure A special report on debt su The Economist del 26 Giugno 2010.

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Francia e Germania. In questo contesto i pareri erano discordanti circa l'applicazione della stessa norma, e la storia si concluse, come visto nel primo capitolo (cfr 1.4), con la decisione dell'Ecofin del novembre 2003 di sospendere le procedure per disavanzi eccessivi nei confronti dei due Paesi. Da qui nacque il dibattito che port alla riforma del Patto, nella primavera 2005. Micossi e Tosato [2008, p.93] hanno due spiegazioni sul perch il Patto non funzion. La prima consiste nel fatto che una volta entrati nel gruppo, i Paesi perdevano gli incentivi al mantenimento del rigore nella finanza pubblica, in quanto da free riders gi godevano della stabilit nominale senza doversi impegnare per essa, ed una volta entrati nell'unione monetaria, non potevano essere pi venir cacciati dal club. A questo si accompagna il secondo motivo, ossia il meccanismo delle sanzioni, la cosiddetta PDE, che appariva poco plausibile vista la coincidenza nel Consiglio tra vigilanti e vigilati. Il risultato fu una maggioranza di Paesicicala (tra cui Italia, Germania e Francia, che sono le tre pi forti economie d'Europa), con il che quello che sarebbe dovuto essere controllo e coordinamento multilaterale si trasform in una collusione che metteva in disparte gli obiettivi del Trattato di Bruxelles: un cambiamento del sistema era quanto di pi necessario. Cos inizi l'iter di riforma, con un lungo dibattito tra l'estate del 2004 e la primavera dell'anno successivo, che port infine all'adozione del documento intitolato Migliorare l'attuazione del Patto di Stabilit e Crescita da parte dell'Ecofin nel marzo 2005. Cerchiamo di riassumere brevemente i punti salienti della riforma10.10

Vedi Bollettino Mensile Bce, Agosto 2005, p. 61-76 in cui un vasto articolo spiega bene la riforma del PSC, il suo contesto ed il punto di vista della Bce.

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Rafforzamento della sorveglianza sulle posizioni di bilancio e sul coordinamento delle politiche economiche. Se nel PSC originale il percorso di avvicinamento all'obiettivo del pareggio di bilancio era fissato al valore di almeno 0,5% del PIL all'anno, con la nuova riforma tale miglioramento va misurato in termini di variazioni del saldo corretto per gli effetti del ciclo economico, mentre le misure una tantum devono essere considerate singolarmente caso per caso. Definizione dell'obiettivo di bilancio a medio termine. Ogni Stato membro deve specificare un obiettivo di medio termine (OMT) nell'ambito del programma di stabilit o di convergenza, che successivamente valutato dal Consiglio Ecofin. Gli OMT sono differenziati per Paese in modo da tener conto delle peculiarit dello stesso, ma fanno riferimento ad un valore comune di riferimento del 3% di deficit e vengono rivisti ogni 4 anni. - Percorso di Aggiustamento nel medio termine. Per i governi con i conti non in regola, si richiede uno sforzo maggiore, in particolare nei momenti di congiuntura favorevole, cosicch quando il prodotto supera il livello potenziale si possano raggiungere livelli di deficit vicino allo 0 per cento se non addirittura avanzi. Riforme strutturali. Nel valutare l'operato dei governi, la Commissione ed il Consiglio dovranno tener presente l'attuazione, da parte degli stessi governi, di riforme strutturali atte al contenimento dei costi ed all'aumento della crescita potenziale nel lungo periodo. Ci d l'incentivo ai governi all'attuazione delle riforme strutturali, concedendo in cambio pi tempo agli stessi nel percorso di risanamento del bilancio. Particolare risalto viene dato alle riforme dei sistemi pensionistici.

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Meccanismo correttivo. Il Pde ha subito alcune modifiche che lo rendono complessivamente meno rigido e ne allungano le scadenze procedurali, suggerendo invece un rafforzamento del sistema di pressioni politiche reciproche tra i governi degli Stati membri. Come si pu notare, complessivamente la riforma del Patto tenta di rendere i meccanismi correttivi pi flessibili ed adattabili alle peculiarit dei diversi Paesi e del ciclo economico. Fin qui tutto bene, ma come vedremo il problema principale, ossia dell'inefficacia del PDE, rimase ancora una volta irrisolto, come ampiamente previsto dalla Bce11. I risultati della riforma infatti non sembrano, a cinque anni di distanza, molto incoraggianti; citando Alesina-Giavazzi12 Nonostante diversi tentativi di riesumarlo (il Patto) e di far rispettare ai membri dell'unione monetaria le regole di disciplina fiscale, oggi queste regole non vengono osservate anche se la Commissione e l'Ecofin si comportano come se ci accadesse e convocano riunioni periodiche con i ministri dell'economia e funzionari degli Stati membri dove di solito li censurano per i loro deficit.

2.5. I risultati della strategia di Lisbona e dell'euro in dieci anni.

Se la Strategia di Lisbona aveva degli obiettivi decennali ben precisi da raggiungere (cfr. 2.1), oggi alla sua scadenza non possiamo dirci troppo soddisfatti. In parte ci dovuto alla crisi finanziaria che ha colpito l'economia mondiale negli ultimi due anni, che ha ridimensionato sopratutto gli obiettivi di ordine economico come i tassi di crescita e la11

Si veda la Dichiarazione del Consiglio Direttivo Bce del 21 marzo 2005, presente nel Bollettino Bce agosto 2005, p.61. In tale occasione la Bce non nascose i propri dubbi e perplessit sulla riforma del Patto. 12 ALESINA A. e GIAVAZZI F., Goodbye Europa. Cronache di un declino economico e politico, Milano, Rizzoli, 2006, p.193.

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disoccupazione; ma anche prima della grande congiuntura del biennio 2008-09 i risultati non erano granch soddisfacenti. Alle porte della crisi Pierucci e Vilella [2008, p.66] notavano seccamente come a quasi dieci anni di distanza il risultato non quello sperato. Tuttavia non si pu dire che l'agenda di Lisbona non abbia dato alcun frutto, in particolare presso quei Paesi come la Germania - che hanno deciso effettivamente di adottare certe riforme strutturali, sopratutto nei settori del lavoro e della pubblica amministrazione, e che oggi ne raccolgono i risultati (Bini Smaghi 2008, p.106). Il problema semmai stato che gli altri Paesi meno virtuosi non abbiano deciso di copiare i modelli vincenti all'interno dell'area. Come fa notare Bini Smaghi [2008, p.108], uno dei vantaggi dell'euro, e del processo di Lisbona, stato di creare maggior trasparenza nei risultati ottenuti dai vari Paesi, rendendo pi facile il fare paragoni ed eventualmente copiare le politiche di successo. Tale meccanismo purtroppo non ha dato grossi risultati, e spesso le scelte politiche dei vari governi sono state influenzate molto pi dai cicli elettorali e fattori interni piuttosto che da un ambiente di confronto con gli altri Paesi sulle manovre di lunga prospettiva. Se c' un obiettivo che stato mancato in pieno, come visto quello del risanamento dei bilanci governativi ed il miglioramento della loro sostenibilit, fattore rivelatosi poi decisivo nella crisi odierna. L'acuirsi di tali situazioni indesiderate nei bilanci pubblici va certamente attribuito alla classe politica, sia a livello nazionale che a livello comunitario (PadoaSchioppa 2006, p.62-63). A livello nazionale perch alcuni governi in primis quello greco hanno conseguito politiche fiscali inflazionistiche ed insostenibili, andando

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a finanziarsi sul mercato ed aumentando il debito complessivo senza al tempo stesso attuare riforme atte a migliorare la potenzialit di crescita del lungo periodo. Come visto una delle cause di questo atteggiamento quella dell'adozione di prospettive di breve periodo da parte della classe politica, che sembra pensare pi ai cicli elettorali che non a quelli economici. Con la congiuntura poi tali errori non hanno fatto che venire a galla. L'altra faccia degli insuccessi da ricondurre invece alle istituzioni comunitarie, ed in particolare al duo Consiglio-Commissione, che dopo il fallimento del Patto di Stabilit e Crescita, hanno apportato una riforma che anzich rafforzarlo lo ha indebolito, portando ad un secondo fallimento a cui seguir nel futuro un'ulteriore revisione (cfr. 5.4). Passando invece all'analisi della performance macroeconomica, abbiamo invece notato risultati non del tutto soddisfacenti, che in parte si spiegano con le considerazioni appena fatte sulle deficienze della struttura politica dell'Unione. Tuttavia vorrei chiudere questo capitolo facendo presente che si tratta di considerazioni che scontano una logica temporale di breve periodo: come suggeriscono alcuni economisti (Krugman 1993, p.241-261), alcuni effetti posso richiedere molto tempo per manifestarsi in quanto derivanti da variazioni nei modelli di commercio e di specializzazione in tutta l'area dell'euro.

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CAPITOLO 3 LA CRISI ECONOMICA IN EUROPA E LE MISURE DI EUROLANDIA

Premessa

Come abbiamo visto, l'Europa e l'euro si sono affacciati al 2008 con grandi dilemmi sul proprio futuro, e risultati economici non troppo soddisfacenti: crescita bassa, apertura della forbice della produttivit nelle diverse aree e il persistere di livelli insufficienti di occupazione. In questo capitolo vedremo come, nell'affrontare la crisi, i Paesi dell'Unione decisero di adottare politiche a sostegno delle banche ed in minor misura dell'economia reale, mettendosi in pancia rischi e debiti con l'obiettivo di dare slancio all'attivit economica.

3.1. La crisi finanziaria in America.

L'origine della crisi economica e globale dell'ultimo biennio quantomeno a livello temporale - da ricercarsi negli Stati Uniti: cerchiamo brevemente di ricordare quanto accaduto. Nella seconda met del 2007, l'esplosione della bolla immobiliare americana ha fatto crollare il valore dei mutui ipotecari, gran parte dei quali erano cartolarizzati, cio raggruppati e rivenduti ad altre istituzioni finanziarie (Bini Smaghi 2008, p.130). La conseguenza stata la diffusione di una generale sfiducia verso questo tipo di prodotti derivati, che dall'oggi

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al domani sono passati da livelli di rating di primo livello a titolispazzatura13. In breve tempo il mercato dei titoli subprime ampiamente diffuso - si cos arenato, e la corsa agli sportelli da parte dei risparmiatori ha fatto perdere la liquidit di tali titoli, ormai carta straccia. Vediamo di creare uno schema logico riassuntivo della crisi finanziaria in terra statunitense.

Tavola 1 - La crisi finanziaria in America in dieci tappe14Antefatto 1) 2000-05 Ingrossamento della bolla immobiliare negli Stati Uniti (valore delle case cresciuto ben oltre il valore reale) guidato de una corposa domanda, legata anche ai bassi tassi della Fed fino al 2004 e dalle politiche sulla casa portate avanti del governo Bush; 2) Emissione dei mutui subprime, ossia mutui ad alto rischio (sia per debitore che creditore) e legati ai tassi di interesse della Banca Centrale; 3) Emissione di titoli derivati collegati a tali mutui da parte sopratutto delle grandi banche finanziarie statunitensi; 4) Aumento dell'indebitamento delle famiglie, che utilizzano come garanzia le loro case, il cui valore si riveler poi in sovrapprezzo; Inizio e sviluppo della crisi 5) 2005: la Fed inizia ad alzare i tassi di interesse e con essi anche le rate dei mutui, portando la bolla immobiliare ad un lento sgonfiamento, guidata da un eccesso di offerta: crescita esponenziale delle insolvenze delle persone che avevano stipulato un mutuo subprime; 6) Giugno 2007: inizio della caduta del valore dei titoli derivati che erano collegati ai mutui subprime; 7) Agosto 2007: Espansione rapida della sfiducia verso le borse: fuga degli investitori, coinvolgimento di altri titoli, crollo dei prezzi e perdite di milioni di dollari. Il panico degli investitori si tramuta in ricerca di liquidit mediante13

Traduzione letterale del termine inglese junk-bond, che indica titoli con livello di rischio inferiore alla tripla B (quindi da BBB- in gi), caratterizzati da alto rischio per l'investitore ed alti rendmenti. 14 Ispirato da una conferenza a cura del dott. Daniele Pesce all'Universit di Padova dal tema La Crisi Finanziaria del 2008 nel corso del secondo semestre dell'anno accademico 2009-10.

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disinvestimenti su titoli bancari e finanziari, contribuendo al crollo delle borse; 8) La sfiducia porta ad un inasprimento delle condizioni di finanziamento: inizio di un periodo di restrizione della liquidit da parte delle banche, con conseguente blocco del mercato monetario; 9) La sotto-capitalizzazione di alcune banche che utilizzavano prestiti di medio termine per finanziare impegni di lungo termine, le porta ad una crisi di liquidit, aumentandone in poco tempo il rischio di insolvenza; nel 2008 crisi dei grandi istituti finanziari e tracollo di Lehman Brothers; 10) Il blocco del flusso di moneta strozza il circolo di liquidit alle aziende, trasmettendosi cos all'economia reale.

Ecco quindi che la crisi, nata nel settore finanziario americano, si in poco tempo propagata al resto dell'economia, sia in termini settoriali che geografici, passando dall'essere definita come mera crisi finanziaria a crisi economica globale.

3.2. La propagazione della crisi in Europa.

I primi effetti della crisi in Europa si iniziarono a vedere nell'estate del 2007 stessa. Il 9 agosto nelle prime pagine dei giornali europei si leggono gli annunci della francese BNP Paribas, che congela tre fondi di investimento specializzati in obbligazioni immobiliari subprime. A questa ulteriore iniezione di sfiducia - che port il tasso interbancario a un giorno dal 4 a oltre il 4,70% - rispose la Bce conducendo un'operazione di pronti conto termine con scadenza un giorno, prestando oltre 90 miliardi di euro. Presto la tempesta avrebbe colpito anche altre due grosse banche tedesche, IKB e Sachsen LB, mentre a settembre la Banca d'Inghilterra annuncer il salvataggio di Northern Rock, quinta banca di mutui immobiliari del Paese, poi nazionalizzata nel mese di febbraio.

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Il meccanismo di propagazione della sfiducia identico a quello a cui accennavamo poco sopra: > diffidenza verso il mercato finanziario da parte dei risparmiatori ed investitori; > restrizione della liquidit da parte delle banche; > condizioni di finanziamento alle aziende e alle famiglie molto pi difficili; > contrazione dell'economia reale. Nel grafico 6 proposto qui sotto rappresentato l'andamento degli standard necessari per ricevere credito dalle banche: si pu ben notare come come la crisi finanziaria abbia notevolmente aumentato tali requisiti per tutti i soggetti (aziende e famiglie), raggiungendo il picco nell'ultimo quadrimestre del 2008, momento riconosciuto da tutti come apice della crisi. Tale fenomeno, conosciuto anche come credit crunch, rappresenta il canale decisivo di propagazione della sfiducia dal mercato finanziario a quello dell'economia reale.Grafico 6 Standard necessari per il finanziamento a imprese e famiglie in Eurozona, 2007 (Q1) 2009 (Q2)

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Tra la fine del 2008 ed il 2009, infatti, non era difficile trovare aziende che pur presentando anche rilevanti surplus di bilancio, presentavano problemi di liquidit e diffusi ritardi nei pagamenti in quanto il ruolo di veicolo di liquidit delle banche era fortemente rallentato. Tornando al grafico, notiamo che dopo un'ascesa che va dall'estate 2007 fino a fine 2008, i trend iniziano a calare solo nel primo semestre del 2009, in risposta agli annunci dei vari governi sugli aiuti alle ricapitalizzazioni e le garanzie sui debiti emessi dalle banche (Boll. Bce Maggio 2009, p.22), e torneranno a livelli pre-crisi solo nel 2010.

3.3 La risposta della Bce.

Per quanto riguarda invece la politica economica portata avanti dalla Bce, quando alla fine dell'estate 2007 la crisi intacc il mercato monetario, la domanda di liquidit inizi a salire, alzando gli spread tra Euribor (Euro Interbank Offered Rate) ed Eonia (Euro Overnight Index Average). E qui intervenne, come gi accennato, la Bce, con ingenti immissioni di liquidit con l'obiettivo di stabilizzare l'indice Eonia e fermando il rialzo dei tassi di interesse. Dopo quasi un anno, caratterizzato da una generale sfiducia e scarsi investimenti, nell'ottobre del 2008 arriv il crollo del colosso finanziario Lehman Brothers, e con esso una nuova ondata di stress per i mercati finanziari e monetari. Questa volta la Bce rispose con misure eccezionali, riducendo i tassi di interesse delle pi importanti operazioni, ed una diminuzione del rating minimo per le operazioni principali di rifinanziamento. Tale episodio pu essere considerato uno spartiacque: a seguito di questo fatto la crisi divent apertamente sistemica, con la paralisi

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del mercato finanziario, ed il panico tra le borse mondiali (Padoa-Schioppa, 2009, p.52). La banca centrale aveva fatto quanto necessario, rispettando il suo ruolo istituzionale di prestatore di ultima istanza: ora stava ai governi ed alle altre istituzioni europee intervenire.

3.4. Le manovre dell'Europa e dei governi europei contro la crisi. Le tipologie di intervento apportate dai governi europei possono essere classificate principalmente in due aree: a favore del settore finanziario ed a favore dell'economia reale.

Aiuti alle banche. Come abbiamo visto, in Europa fino alla caduta di Lehman Brothers si pensava che le istituzioni finanziarie davvero a rischio fossero un numero limitato, ed in particolare quelle strettamente legate ad un certo tipo di operazioni di finanza creativa. A partire dall'ottobre del 2008, per, un numero crescente di banche europee inizi ad accusare problemi di liquidit, vedendosi costrette ad intraprendere massicce sottoscrizioni degli asset, con implicazioni negative per le loro solidit finanziaria. In risposta a questi fenomeni si mosse innanzitutto l'Ecofin, che nel consiglio del 7 ottobre approv delle linee guida da adottare nei diversi governi per restaurare la fiducia nel settore della finanza. I principi generali consistevano nella limitatezza temporale delle misure, in un coordinamento a livello europeo e la salvaguardia degli interessi dei contribuenti (Boll. Bce Luglio 2009, p.63).

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Il piano di aiuti prevedeva tre canali: 1) garanzie da parte dei governi per i prestiti interbancari e nei

nuovi debiti emessi dalle banche; 2) iniezione di capitale per le istituzioni finanziarie in difficolt

sotto forma di preference shares o bond; sono molto costose per la banca, ed il loro obiettivo quello di aumentare il livello di solvibilit delle istituzioni; 3) estensione delle assicurazioni governative sui depositi bancari

(retail, corporate, interbank), 4) aiuto nel ripulire i bilanci delle banche dai titoli tossici, mediante

la rimozione oppure l'assicurazione rispetto a questi titoli. Queste misure avrebbero fatto quindi da complemento alle operazioni della Bce (cfr. 3.2.) in termini di immissione di liquidit. Gli interventi finanziari pi profondi in termini di incidenza sui bilanci governativi si sono registrati in Irlanda, Regno Unito e Paesi Bassi. Ad esempio, nel salvataggio della Anglo-Irish Bank, il governo irlandese arrivato a stanziare 4 miliardi di euro, pari al 2,4% del suo PIL 15. In totale si stima che tra la fine di settembre e la fine di ottobre 2008 ben dieci Paesi dell'Unione hanno annunciato pacchetti di salvataggio per le banche private. A titolo di cronaca va ricordato che questi fatti hanno aperto diversi dibattiti nell'opinione pubblica riguardo alla loro legittimit: da una parte chi li consider mali necessari, dall'altra i critici, a ricordarci i rischi del moral hazard e le sue conseguenze in termini di distorsioni sul sistema economico e costi sociali.

15

Vedi Public Finances in EMU 2010 da European Economy 4/2010, p.24.

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Il piano EERP e gli aiuti all'economia reale. Con il crollo della Lehman Brothers ed il conseguente intensificarsi degli effetti della crisi, nel Novembre 2008 la Commissione approv lo European Economic Recovery Plan (EERP), un piano che prevedeva una serie di misure di stimolo rivolte al settore privato con l'obiettivo di sostenere la domanda e ripristinare la fiducia dei consumatori e delle aziende.Tabella 4 Spese per il piano EERP in UE, PIL% , 2009-20102009 EERP 2009 1,1 1,7 0,7 0,6 2,4 1,6 0,8 3,4 0,9 1,5 1,1 1,5 1,6 0,7 2,7 0,4 0,3 2,3 0,7 0,0 1,5 0,0 0,5 1,6 0,2 1,7 1,9 1,5 2010 EERP 2010* 1,1 2,4 1,0 0,0 0,8 1,4 0,8 2,2 1,0 1,8 0,6 1,8 2,7 1,1 2,4 0,5 1,0 1,2 1,5 1,2 0,1 0,0 2,1 3,2 0,3 2,7 0,5 1,4

Belgio Germania Irlanda Grecia Spagna Francia Italia Lussemburgo Paesi Bassi Austria Portogallo Slovenia Finlandia Malta Cipro Slovacchia Bulgaria Rep. Ceca Danimarca Estonia Lettonia Lituania Ungheria Polonia Romania Svezia Regno Unito UE (27)

* - i dati per il 2010 sono prev isioni f onte: Commission's serv ices spring 2010 EEF

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La manovra vede come attori principali sia i governi che le istituzioni europee, e va ad affiancarsi alle altre misure di aiuto al settore finanziario ed agli stabilizzatori automatici previsti nei vari Paesi membri. Il piano EERP ha durata triennale, e cesser quindi nel 2011. Sin dall'autunno 2008 una grossa parte degli Stati dell' Unione mise in atto operazioni in linea con l'EERP: i dati del 2009 (cfr. Tabella 4) vedono in testa Lussemburgo (3,4% del PIL nel 2009) Cipro (2,7%), Spagna (2,4%) e Repubblica Ceca (2,3%) mentre gli altri Paesi presentano valori tra l'1,7% della Germania e lo 0,0% dell'Estonia. Il totale di spesa per la UE nel 2009 risultato pari all'1,5% in termini di prodotto aggregato. Le misure previste dal piano lavoravano su diversi aspetti dell'economia reale, tra cui il sostegno al potere d'acquisto delle famiglie, maggior spesa nelle politiche sul mercato del lavoro, riduzione delle tasse, sistemi di incentivi alle aziende e aumento degli investimenti pubblici. Dai dati resi noti dalla Commissione, risultato che circa due terzi delle spese EERP sono da ricondursi a misure di sostegno alle famiglie ed alle imprese. Per il momento la Commissione si dice soddisfatta rispetto ai risultati conseguiti dall'EERP, considerando le misure rapide ed incisive, con obiettivi ben definiti ed in accordo ai principi di Lisbona16.

Il ruolo degli Stabilizzatori automatici. Per stabilizzatori automatici intendiamo quella parte dei sistemi pubblici di spesa per i quali l'entit del supporto economico fornito dai governi correlata al ciclo economico senza il bisogno di alcun esplicito intervento. Tali strumenti hanno quindi natura anti-ciclica, portando a16

Vedi Public Finances in EMU 2010 da European Economy 4/2010, p.19.

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maggiori spese governative in momenti recessivi a sostegno dell'economia ed a interventi minori, con maggiori entrate in momenti di espansione (EMU Public Finance 2010, p.22). Tipici esempi di stabilizzatori automatici sono i trasferimenti ai disoccupati, che saranno chiaramente in misura maggiore in fasi di contrazione (e quindi di alta disoccupazione); oppure le imposte personali sul reddito, che sono spesso legate al ciclo economico. Le ingenti spese dei governi europei nell'ultimo biennio sono da ricondurre in grossa parte proprio all'attivazione di tali stabilizzatori pi che alle misure temporanee dell'EERP appena viste (EMU Public Finance 2010, p.23).

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CAPITOLO 4 LA CRISI DEI DEBITI PUBBLICI

Premessa

Nel capitolo precedente abbiamo visto come la crisi economica globale abbia colpito l'Europa in maniera profonda e diffusa, spingendo i governi dell'Unione ad adottare misure di sostegno al settore bancario ed all'economia reale. Oggi questi stessi governi si trovano a pagare un conto salatissimo, con deficit in doppia cifra e un mercato finanziario poco disposto a rifinanziarli: questa spirale negativa ha portato in pochi mesi alla prima vera crisi d'identit di Eurolandia, che verr ricordata come la crisi dei debiti pubblici europei. In questo capitolo inizieremo con un'analisi dei dati di bilancio di Eurolandia per poi andare a ripercorrere le tappe della crisi.

4.1. I Bilanci dei governi europei durante e dopo la crisi17

Nell'analizzare gli effetti della crisi sui bilanci governativi, prenderemo in considerazione i dati relativi al periodo di tempo che va dal 2007 al 2011, con particolare risalto ai cambiamenti registrati durante il biennio tra il 2007 ed il 2009. Nella Tabella 5 della pagina successiva sono rappresentati i dati di17

Questo paragrafo trae dati e considerazioni dal rapporto Public Finances in EMU 2010, in European Economy 4, pubblicato dalla Comissione Europea in maggio 2010 (p.13-17).

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bilancio dei governi dell'Eurozona nel periodo considerato. Come si pu notare, se nel 2007 la situazione generale era piuttosto equilibrata (con solamente tre Paesi oltre il 2%), nel 2008 e 2009 la posizione dei bilanci pubblici dell'Unione progressivamente peggiorata, facendo registrare profondi deficit in molti Stati membri. La media dell'Eurozona vede un dato medio del 6,3% del PIL nel 2009, di gran lunga pi grave dei dati di 0,6% e 2,0% dei due anni precedenti. Non vanno meglio le cose per il dato aggregato dell'Unione a 27, che vede un buco pari al 6,8% del PIL (attorno ai 565 miliardi di euro) per l'anno passato.Tabella 5 Surplus e deficit di bilancio nell'Eurozona, 2007-2011 (%PIL)Belgio Germania Irlanda Grecia Spagna Francia Italia Lussemburgo Paesi Bassi Austria Portogallo Slovenia Finlandia Malta Cipro Slovacchia Eurozona (16) UE (27) 2007 -0,2 0,2 0,1 -5,1 1,9 -2,7 -1,5 3,6 0,2 -0,4 -2,6 0,0 5,2 -2,2 3,4 -1,9 -0,6 -0,8 2008 -1,2 0,0 -7,3 -7,7 -4,1 -3,3 -2,7 2,9 0,7 -0,4 -2,8 -1,7 4,2 -4,5 0,9 -2,3 -2,0 -2,3 2009 -6,0 -3,3 -14,3 -13,6 -11,2 -7,5 -5,3 -0,7 -5,3 -3,4 -9,4 -5,5 -2,2 -3,8 -6,1 -6,8 -6,3 -6,8 2010* -5,0 -5,0 -11,7 -9,3 -9,8 -8,0 -6,3 -3,5 -6,3 -4,7 -8,5 -6,1 -3,8 -4,3 -7,1 -6,0 -6,6 -7,2 2011* -5,0 -4,7 -12,1 -9,9 -8,8 -7,4 -5,1 -3,9 -5,1 -4,6 -7,9 -5,2 -2,9 -3,6 -7,7 -5,4 -6,1 -6,5 2007-2009 -5,8 -3,5 -14,4 -8,5 -13,1 -4,8 -3,8 -4,3 -5,5 -3,0 -6,8 -5,5 -7,4 -1,6 -9,5 -4,9 -5,7 -6,0

* - i dati per il 2010 e 2011 sono previsioni fonte: Commission's services spring 2010 European Economic Forecast.

Considerando i dati del 2007 e 2009 per i singoli Stati, i deterioramenti pi ingenti si sono verificati in Irlanda (-14,4 punti percentuali in due anni), Spagna (-13,1), Cipro (-9,5) e Grecia (-8,5). Come si pu notare, nel 2009 nessun Paese membro ha conseguito

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avanzi di bilancio, mentre solo Finlandia e Lussemburgo hanno registrato dati inferiori alla soglia del 3% prevista dal PSC. Quattro Paesi in particolare hanno chiuso con posizioni di bilancio piuttosto gravi, oltre il 9%. Si tratta di Portogallo (-9,4%), Irlanda (-14,3%), Grecia (-13,6%) e Spagna (-11,2%), che hanno cos permesso ai giornalisti di rispolverare termini spiacevoli come quello di PIGS18. Guardando alle stime per i prossimi due anni, ci si aspetta un generale ed ulteriore lieve peggioramento per l'anno venturo ed un miglioramento altrettanto lieve del saldo per il 2011. Nella Tabella 6 qui proposta sono invece presentati i dati di bilancio dell'aggregato dell'intera Eurozona. Dalle prime tre righe possiamo notare che mentre i ricavi sono rimasti abbastanza costanti rispetto al PIL, con un -1% nel 2007-09, le spese sono invece aumentate quasi del 5% nello stesso periodo considerato.Tabella 6 Bilancio generale di governo, aggregato Eurozona, 2007-2011 (%PIL)totale ricavi (1) totali spese (2) bilancio attuale (3) = (1) - (2) Interessi (4) bilancio primario (5) = (3) + (4) bilancio attuale (rispetto al ciclo) bilancio primario (rispetto al ciclo) PIL, var%* - i dati per il 2010 e 2011 sono previsioni fonte: Commission's services spring 2010 European Economic Forecast.

2007 45,4 46,0 -0,6 2,9 2,4 -1,9 1,1 2,8

2008 44,9 46,8 -2,0 3,0 1,0 -2,9 0,1 0,6

2009 44,4 50,7 -6,3 2,8 -3,5 -4,8 -1,9 -4,1

2010* 44,2 50,8 -6,6 3,0 -3,6 -5,1 -2,1 0,9

2011* 44,1 50,2 -6,1 3,2 -2,9 -4,8 -1,7 1,7

07-09 -1,0 4,7 -5,7 -0,1 -5,9 -2,9 -3,0

Il risultato dell'apertura di questa forbice si riflette nella terza riga, alla18

Pigs un un acronimo e termine giornalistico utilizzato a partire dagli anni 90' per indicare in modo dispregiativo (Pigs significa infatti 'maiali' in lingua inglese) il gruppo di Paesi europei formato da Portogallo, Italia, Grecia e Spagna, che presentavano una certa tendenza a creare grossi buchi nei bilanci governativi. Con l'attuale crisi, il termine sembra tornato di moda, con la sostituzione dell'Irlanda all'Italia, la quale presenta una posizione pi equilibrata.

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voce bilancia attuale, con un deficit nel 2009 pari al -6,3%. Se la relativa costanza del dato dei ricavi facilmente spiegabile con il fatto che il livello delle tasse rimasto costante nel corso del biennio (anche se in valori assoluti, c' stato un grosso calo delle entrate, anche pi profondo rispetto alla caduta del PIL), l'impennata dei costi da ricercarsi sopratutto tra le dinamiche degli stabilizzatori automatici (cfr. 3.4) e nei profondi sistemi di protezione sociale dei welfare state europei. Se ad esempio prima si spendeva una certa somma per l'istruzione o la sanit, tali costi saranno piuttosto difficili da abbattere, sia per l'impopolarit che porterebbero ai governi in carica, sia per il fatto che i dati dell'erario si basano sopratutto su stime imprecise sull'evoluzione delle dinamiche di bilancio, rendendo difficile il calcolo del budget esatto; ecco quindi che i governi tendono a non apportare i tagli necessari se non quando la situazione lo rende indispensabile (indebitandosi nel frattempo nel mercato finanziario). L'incidenza delle spese per interessi resta costante attorno al 3% durante in tutto l'arco 2007-11 mentre nelle ultime due righe sono proposti i dati corretti per il ciclo economico: gli andamenti del deterioramento del bilancio dell'area euro sono migliori rispetto al dato nominale, ma restano comunque abbastanza preoccupanti, considerate anche le non entusiasmanti previsioni in termini di crescita del prodotto (tra l'1 e 1,5% nei prossimi due anni). Sia nell'anno venturo che nel prossimo, nessun membro dell'Eurozona atteso a centrare l'obiettivo dell'OMT 19, mentre

considerando anche gli altri Stati dell'Unione, solo la Bulgaria sembra avere buone possibilit. Passando alla Tabella 7 della pagina seguente, in cui presentato il19

OMT un acronimo che sta ad Obiettivo di bilancio di Medio Termine, ed descritto brevemente al capitolo 2.5.

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dettaglio delle voci principali di bilancio per i governi di Eurolandia, si possono annotare anche qui dei trend interessanti. Sul lato delle entrate, si distingue il calo rilevante delle imposte sull'import e sui redditi, come effetto del rallentamento generale dell'attivit economica, anche se parzialmente recuperati con un aumento delle voci contributi sociali ed altri ricavi.Tabella 7 Principali voci di bilancio in Eurozona, 2007-2010 (%PIL)ricavi totali tasse su import e produzione (indirette) tasse sui redditi contributi sociali altri ricavi spese totali consumi collettivi social benefit in natura trasferimenti sociali (non in natura) interesse sussidi investimenti altre spese* - i dati per il 2010 sono previsioni fonte: Commission's services spring 2010 European Economic Forecast.

2007 45,4 13,5 12,4 15,1 4,4 46,0 7,9 12,1 15,8 2,9 1,2 2,6 3,4

2008 44,9 13,0 12,2 15,3 4,4 46,8 8,1 12,4 16,1 3,0 1,2 2,5 3,5

2009 44,4 12,8 11,3 15,7 4,6 50,7 8,8 13,3 17,7 2,8 1,4 2,8 4,0

2010* 44,2 12,7 11,3 15,7 4,5 50,8 8,8 13,4 18,0 3,0 1,4 2,7 3,6

07-09 -1,0 -0,7 -1,1 0,6 0,2 4,7 0,9 1,2 1,9 -0,1 0,2 0,2 0,6

Per quanto riguarda le spese, aumento di 1 e 2% rispettivamente per i trasferimenti in natura e non, in accordo con le considerazioni di cui a prima, riguardanti il ruolo degli stabilizzatori automatici e le politiche EERP. I risultati dei buchi di bilancio dell'ultimo biennio hanno chiaramente effetti rilevanti anche sul debito aggregato (cfr. Tabella 8, pagina seguente), che da un valore del 66% (6 biliardi) nel 2007, passato al 79% (7 biliardi) alla fine del 2009 ed atteso al 88,5% per la fine del 2011. Ma i dati aggregati nascondono diverse peculiarit all'interno dell'area. Tre grossi Paesi come la Spagna, l'Irlanda ed il Regno Unito, che nel 2007 avevano

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debiti relativamente bassi (tra il 25% dell'Irlanda e il 44% del Regno Unito), in due anni si trovano con debiti tra il 55% e 68%, ed aspettative oltre la soglia del 70% per il 2011.Tabella 8 Debito pubblico in Eurozon