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IT La crisi e l'evoluzione dei rapporti di lavoro nel Regno Unito Contributo del gruppo Lavoratori Sintesi Febbraio 2016 Il presente lavoro costituisce la sintesi di uno studio realizzato dal Labour Research Department a seguito di una gara di appalto EESC-2016-02574-00-00-ETU-TRA (EN) 1/149

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La crisi e l'evoluzione dei rapporti di lavoronel Regno Unito

Contributo del gruppo Lavoratori

Sintesi

Febbraio 2016Il presente lavoro costituisce la sintesi di uno studio realizzato dal Labour Research Department a seguito di una gara di appalto lanciata dal Comitato economico e sociale europeo. Le informazioni e le opinioni esposte nel presente studio rappresentano il punto di vista dell'autore e non riflettono necessariamente la posizione ufficiale del Comitato economico e sociale europeo. Il Comitato economico e sociale europeo non garantisce l'accuratezza dei dati contenuti nel presente studio. Né il Comitato economico e sociale europeo né chiunque agisca in nome e per conto del Comitato può essere considerato responsabile per l'utilizzo che potrebbe essere fatto delle informazioni contenutevi.

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1. Introduzione 3

2. Il contesto politico della crisi 3

3. I sindacati 3

4. I datori di lavoro 4

5. Altre istituzioni 4

6. Aspetti legali 5

7. La contrattazione e le rappresentanze dei lavoratori sul luogo di lavoro 5

8. Retribuzioni 5

9. Minimi salariali e reddito di sussistenza 6

10. Le retribuzioni nel settore pubblico 6

11. Vertenze 7

12. Crescita e produttività 7

13. Spesa pubblica e disavanzo 7

14. Occupazione e disoccupazione 7

15. Ore di lavoro e status occupazionale 8

16. Inflazione, reddito e uguaglianza 8

17. Protezione sociale e welfare 8

18. Conclusioni 9

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1. Introduzione

Il presente studio costituisce una sintesi della relazione sulla situazione socio-economica nel Regno Unito dopo la crisi degli anni 2008/2009. Si focalizza sull'evoluzione dei rapporti di lavoro e prende in considerazione anche il ruolo del governo centrale (sebbene nel Regno Unito non vi siano accordi con le parti sociali simili a quelli esistenti in molti altri stati dell'UE).

2. Il contesto politico della crisi

A partire dalla fine della seconda guerra mondiale a Westminster si sono alternati al potere il partito conservatore a destra e a sinistra il partito laburista, al quale sono affiliati numerosi sindacati. Quando la crisi finanziaria ha colpito il paese nel 2007, al potere vi era il partito laburista, che però non è riuscito a evitare che l'economia scivolasse in recessione. Il governo di Gordon Brown ha perso le elezioni generali del 2010 a favore di una coalizione tra conservatori e liberaldemocratici che si era posta la riduzione del disavanzo come sua prima priorità.

Sotto la guida della coalizione, il peso maggiore della riduzione del disavanzo doveva essere sostenuto da una minore spesa piuttosto che da un incremento dell'imposizione fiscale (sebbene il governo abbia aumentato l'imposta sul valore aggiunto, temporaneamente ridotta dai laburisti al 15 %, portandola dal 17,5 % al 20 %). I cittadini a basso reddito dovevano essere protetti mediante maggiori sgravi fiscali sul reddito, ma è stata anche applicata una strategia di programmi di incentivazione al lavoro che prevedeva "sanzioni" per coloro che si fossero rifiutati di adeguarvisi. Sono state rimosse le barriere al lavoro flessibile e incentivati l'apprendistato e la parità nelle retribuzioni, ma altre politiche hanno ridotto i diritti dei lavoratori (ad esempio, l'accesso ai tribunali del lavoro).

Il governo conservatore che è succeduto al governo di coalizione nel 2015 ha messo al centro del suo programma misure restrittive nei confronti dei sindacati oltre a ulteriori provvedimenti all'insegna dell'austerità e di tagli al welfare. Tuttavia, il governo ha risposto anche alle preoccupazioni riguardanti le retribuzioni, annunciando un aumento della retribuzione minima per i lavoratori dai 25 anni in su. Il decentramento politico nel Regno Unito ha aperto la possibilità di una maggiore divergenza nelle politiche sociali e del lavoro mentre l'imminente referendum sulla permanenza del Regno Unito nell'UE rappresenta un fattore con possibili effetti negativi sui rapporti di lavoro e sociali e, per diversi aspetti, costituisce una fonte di preoccupazione sia per i datori di lavoro che per i sindacati.

3. I sindacati

I rapporti di lavoro nel Regno Unito si erano stabilizzati in un quadro consolidato in cui i sindacati rappresentavano e negoziavano per una minoranza, ancora forti nel settore pubblico ma con una limitata interazione collettiva fra le parti sociali nella maggior parte del settore privato. Dopo la crisi, si è registrato un ulteriore declino con la discesa da 7,65 milioni a 7 milioni di tesserati totali; gli iscritti al sindacato tra i lavoratori dipendenti sono passati da poco più di 7 milioni (28 % dei

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lavoratori dipendenti) a 6,4 milioni (25 %). Il numero dei sindacati affiliati al Trades Union Congress (la federazione centrale che non prende parte alle contrattazioni) è calato da 61 (6,5 milioni di membri) a 52 (5,8 milioni di membri) e il grosso del lavoro dei sindacati è stato rivolto di fatto a mantenere le posizioni acquisite.

Circa la metà dei membri del TUC appartiene a sindacati affiliati al partito laburista (sebbene il TUC non lo sia) e le sconfitte dei laburisti nel 2010 e nel 2015 hanno comportato che le priorità dei sindacati, come quelle sostenute dal TUC non abbiano trovato dei difensori. Prima delle elezioni del 2015 il TUC aveva chiesto garanzie di lavoro per i giovani, estendendo il principio del salario minimo di sussistenza volontario, mettendo al centro dei servizi pubblici "le comunità e non il profitto", domandando altresì maggiore voce in capitolo per i lavoratori nella gestione delle aziende.

4. I datori di lavoro

I datori di lavoro nel Regno Unito appaiono più frammentati dei sindacati ma non per questo risultano meno potenti. La maggior parte dei datori di lavoro del settore privato non fa più affidamento sull'appartenenza a un'associazione che contratta con i sindacati e il numero di associazioni registrate dal Certification Officer continua a diminuire. La Confederation of British Industry (CBI - Confederazione dell'industria britannica), che rappresenta e dà voce a circa 190 000 aziende che danno lavoro a quasi 7 milioni di persone, non è coinvolta nelle contrattazioni in materia di retribuzioni.

Durante gli anni della crisi, la CBI si è fatta portavoce delle preoccupazioni più diffuse tra i datori di lavoro: dall'eccessiva regolamentazione al salario minimo nazionale, alle cause presso il tribunale del lavoro, al controllo delle retribuzioni nel settore pubblico, al lavoro flessibile, alla parità di genere, alle scuole e alle competenze, al ruolo dei migranti nell'economia del Regno Unito e all'appartenenza all'UE. La CBI è rimasta inizialmente scioccata dalla gravità della crisi, ma al contempo sollevata dal fatto che la disoccupazione non avesse raggiunto gli alti livelli temuti grazie alle modifiche apportate ai modelli di lavoro, all'"estrema" moderazione retributiva e ad altre misure.

5. Altre istituzioni

Un certo numero di istituzioni svolge un ruolo di sostegno nell'ambito dei rapporti di lavoro nel Regno Unito, dall'Advisory, Conciliation and Arbitration Service (Acas, Servizio di consulenza, conciliazione e arbitrato) alla Low Pay Commission (LPC, Commissione per le basse retribuzioni) che formula raccomandazioni in merito al salario minimo nazionale; la Gangmasters Licensing Authority (GLA, Autorità che rilascia autorizzazioni per l'esercizio dell'intermediazione di manodopera) che supervisiona i fornitori di manodopera e i Pay Review Bodies (Organi di esame delle retribuzioni), che consigliano il governo in materia di retribuzioni nel settore pubblico, per circa 2 milioni di lavoratori. Queste istituzioni sono sopravvissute alla crisi mentre altre sono state tagliate dal governo centrale, lasciando delle lacune nel quadro generale dei rapporti di lavoro.

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6. Aspetti legali

Nel Regno Unito, la legge che disciplina l'azione sindacale non ha mai previsto un inequivocabile diritto allo sciopero, lasciando piuttosto che i lavoratori e i loro sindacati si avvalessero delle immunità legali. Esistono regimi legali di riconoscimento (riguardanti le modalità con cui l'azienda e i sindacati lavorano insieme) che tuttavia non hanno impedito la diminuzione del numero degli iscritti o la copertura della contrattazione, prima o dopo la crisi. Tuttavia, i cambiamenti sul piano giuridico nel periodo successivo alla crisi hanno condizionato i rapporti di lavoro in modi diversi: dalle modifiche apportate alla normativa sul trasferimento delle imprese (TUPE) che limitano il beneficio dei miglioramenti successivi al trasferimento, al requisito imposto ai lavoratori che abbiano una vertenza di rivolgersi all'Acas prima di adire il tribunale e di dover sostenere i costi legali.

Anche la normativa in materia di parità è stata modificata in diversi modi, ma il Trade Union Bill presentato dai conservatori (e non ancora completato al momento della stesura della presente relazione) ha promesso cambiamenti importanti, comprese nuove regole sulle votazioni per decidere l'entrata in sciopero (una soglia per il quorum pari al 50 %, con le astensioni conteggiate come voti contrari, e un quorum del 40 % per gli scioperi nel settore del servizio pubblico); l'utilizzo di lavoratori interinali per coprire le esigenze di lavoro durante lo sciopero; nuovi requisiti per la notifica dello sciopero; limitazioni ai permessi sindacali per la raccolta delle quote d'iscrizione e modifiche alle norme che regolano i finanziamenti alla politica. Il risultato finale non era ancora noto al momento della stesura della presente relazione.

7. La contrattazione e le rappresentanze dei lavoratori sul luogo di lavoro

Prima della crisi la copertura della contrattazione collettiva era già crollata al 34,7 % (20,0 % di lavoratori nel settore privato e 72,0 % nel settore pubblico). Nel 2014 era ulteriormente scesa al 27,5 %, rappresentando il 15,4 % dei lavoratori nel settore privato e il 60,7 % in quello pubblico. La contrattazione collettiva con diversi datori di lavoro, che nel settore privato è limitata a determinati comparti, si è indebolita ulteriormente anche se in alcuni casi è stata invece tutelata (come ad esempio nel settore delle costruzioni, compresa la Lindsey Oil Refinery). La rappresentanza sindacale sul luogo di lavoro (dove esiste) sembra essere rimasta ampiamente inalterata, sebbene si trovi sotto pressione a causa, ad esempio, dei limiti imposti o previsti per la raccolta delle quote d'iscrizione ai sindacati da parte dei datori di lavoro del settore pubblico. I sindacati stanno ponendo maggiore enfasi sulle loro sezioni locali, ma hanno constatato la ricomparsa delle liste nere di membri considerati un rischio per un potenziale datore di lavoro.

8. Retribuzioni

Prima della crisi, gli accordi in materia di retribuzioni monitorati dal Labour Research Department (LRD, un istituto di ricerca sul lavoro) presentavano un andamento stabile, caratterizzato da un

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incremento mediano del 3,2 %. Tuttavia, dopo il biennio 2007-08, tale incremento è sceso sotto il 3 % e, ad oggi, non si è ancora osservata una "ripresa", con un'eccezione temporanea nel settore privato negli anni 2010-11 e 2011-12. Il livello degli stalli nelle retribuzioni del settore privato ha raggiunto l'apice nel corso dei primi quattro mesi del 2009, rispecchiando ciò che la CBI ha descritto come "estrema moderazione retributiva". Tuttavia, la diminuzione registrata negli accordi salariali non è stata così marcata come il crollo dei redditi reali (vedi sotto) e il periodo successivo alla crisi è stato contraddistinto da una "deriva retributiva negativa".

Incremento mediano delle tariffe salariali di base più basse Settore 2006-07 2007-08 2008-09 2009-10 2010-11 2011-12 2012-13 2013-14 2014-15

Tutti 3,60 % 3,90 % 2,70 % 2,00 % 2,80 % 2,50 % 2,50 % 2,50 % 2,0 %Privato 3,80 % 4,00 % 2,60 % 2,00 % 3,00 % 2,90 % 2,50 % 2,50 % 2,25 %Pubblico 3,00 % 3,00 % 2,70 % 2,00 % 1,60 % 1,00 % 1,00 % 1,50 % 1,87 %Fonti: LRD Payline, Workplace Report e LRD Pay Survey

9. Minimi salariali e reddito di sussistenza

La Low Pay Commission, consulente del governo in materia di salario minimo nazionale, ha adottato un approccio cauto dopo la crisi, aumentando la tariffa salariale per gli adulti in media solo dell'1,92 % all'anno fra il 2009 e il 2013. Tuttavia, mentre cresceva la preoccupazione relativa alla caduta dei redditi reali, si sono registrati nuovamente maggiori incrementi (intorno al 3,0 %) nel 2014 e 2015, che hanno portato la tariffa salariale minima per gli adulti a 6,70 sterline a partire da ottobre 2015. Nel frattempo, il reddito di sussistenza volontario (a partire da novembre 2015, pari a 8,25 sterline all'ora, 9,40 sterline a Londra) è stato formalmente approvato da oltre 2 000 datori di lavoro "accreditati". Alle elezioni generali del 2015 la maggior parte dei partiti si è detta impegnata a fare qualcosa di più "affinché il lavoro paghi" e il governo conservatore ha annunciato un nuovo minimo legale pari a 7,20 sterline all'ora per i lavoratori a partire dai 25 anni di età (chiamandolo, in modo che induce confusione, "salario di sussistenza nazionale"). Esso è destinato ad aumentare a circa 9,00 sterline entro il 2020 e, nonostante sia più basso rispetto al salario di sussistenza, avrà un profondo effetto sui datori di lavoro che pagano salari bassi.

10. Le retribuzioni nel settore pubblico

Il contenimento delle retribuzioni nel settore pubblico è in forza da un periodo insolitamente lungo; iniziato poco prima della crisi sotto il governo laburista, proseguito sotto forma di congelamento delle retribuzioni (ma con un aumento di "almeno 250 sterline" per coloro con un reddito inferiore a 21 000 sterline) per volere della Coalizione ed è stato successivamente sostituito dal limite dell'1  % che il governo conservatore ha ora esteso fino al 2016-17. Gli sforzi della Coalizione tesi a imporre a livello locale una "retribuzione legata al mercato" per i dipendenti del settore pubblico non hanno avuto successo, mentre i sistemi di progressione retributiva (ossia gli avanzamenti sulla scala retributiva) hanno subito un rallentamento.

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11. Vertenze

Il numero medio delle interruzioni di lavoro, delle giornate di lavoro perse e delle giornate di lavoro perse per 1 000 dipendenti fra il 2008 e il 2014 è stato inferiore rispetto agli anni precedenti alla crisi (2000 - 2007), ma i livelli delle azioni sindacali non sono crollati. Si sono registrati importanti scioperi nel 2011 per le pensioni del settore pubblico e hanno avuto luogo anche alcune accese vertenze nel settore privato (ad esempio nel settore edile).

12. Crescita e produttività

La ripresa dopo la recessione nel Regno Unito è stata lenta e incerta, la più debole dai tempi del dopoguerra, e ha alimentato timori di una doppia recessione (double dip recession) nel 2012. Quando la crescita è finalmente ripartita non è stata accompagnata da un aumento di produttività, che si attesta fra i 15 e 16 punti percentuali al di sotto del livello che avrebbe invece potuto raggiungere. I programmi del governo volti ad affrontare tale problema sono stati oggetto di critica da parte dei parlamentari all'inizio del 2016.

13. La spesa pubblica e il disavanzo

Il governo laburista in carica prima della recessione ha soprinteso a un aumento in termini reali della spesa pubblica, ma la recessione ha innescato un forte calo del bilancio corrente del settore pubblico, che non ha dato segni di ripresa fino al 2010, sotto il governo di Coalizione. Nel 2012 c'è stata una nuova battuta d'arresto, ma i tagli sono continuati insieme con un irrigidimento delle politiche di welfare (vedi sotto) e un'intensificazione della pressione sui membri dei sindacati.

14. Occupazione e disoccupazione

La continua crescita dell'occupazione ha rappresentato l'aspetto più saliente del periodo post-recessione: l'occupazione basata su "contratti onnicomprensivi" è cresciuta del 4,6 % fra il 2007 e il 2014 a 30,7 milioni di lavoratori (31 milioni nel 2015). A crescere più velocemente è stato il lavoro autonomo (21,2 %), seguito dai lavoratori temporanei (9,6 %) e dai dipendenti part-time (6,2 %). Il numero di lavoratori dipendenti con contratti a tempo pieno è cresciuto dello 0,7 % fino al 2014. Prima della recessione l'occupazione nel settore pubblico era cresciuta più rapidamente rispetto al settore privato, ma ha subito una contrazione del 10,4 % fra il 2007 e il 2014. La disoccupazione ha raggiunto un picco con 2,7 milioni di disoccupati e non è diminuita in misura significativa fino ad alcuni anni dopo la crisi.

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15. Ore di lavoro e status occupazionale

Il numero delle ore effettive lavorate è aumentato pur essendo rimasta invariata la media per lavoratore, tuttora a 32,2 ore a settimana. Si sono moltiplicate le forme di occupazione precaria, non soltanto in termini di lavoro autonomo e di lavoro part-time ma anche di contratti a "zero ore" (stimati fra 744 000 e 1,5 milioni nel 2015). Il TUC, che si sta battendo contro la "mancanza di lavori dignitosi", valuta che i lavoratori a zero ore guadagnano molto meno dei lavoratori a tempo indeterminato e che il numero di lavoratori che chiedono più ore nei loro attuali impieghi sono passati da 2,3 milioni a 3,4 milioni. Il governo ha reso illegali le "clausole di esclusività" che limitano le opportunità di impiego per i lavoratori a zero ore, ma non si è ancora spinto a vietare definitivamente questo tipo di contratti.

16. Inflazione, retribuzione e uguaglianza

L'inflazione dei prezzi al consumo è rimasta relativamente alta fino al 2012/2013, superando la crescita media dei redditi ed è quindi diventata fonte di controversia poiché la misura dell'inflazione maggiormente utilizzata per la contrattazione salariale (l'indice dei prezzi al dettaglio, RPI -retail price index) ha perso lo status di statistica nazionale mentre si è utilizzato sempre più frequentemente l'indice dei prezzi al consumo (CPI - consumer price index), normalmente più basso. I picchi dell'inflazione nel periodo successivo alla crisi si sono raggiunti nel 2011 quando il CPI ha segnato il 4,5 % e l'RPI il 5,2 %, ma nel 2015 il CPI è sceso a zero e l'RPI all'1 % o meno. La crescita del salario medio settimanale (AWE, average weekly index, - retribuzione normale esclusi bonus) si è dimezzata fra il 2007 e il 2014 risultando in una caduta senza precedenti dell'8-10 % del suo valore reale. Tuttavia, il divario retributivo di genere calcolato sul reddito orario di lavoratori a tempo pieno, esclusi gli straordinari, si è ridotto dal 16,3 % nel 2000 al 12,5 % nel 2007 e al 9,6 % nel 2014.

17. Protezione sociale e welfare

Con il governo laburista il reddito era sostenuto da crediti d'imposta e da una serie di altri sussidi. Sotto la guida del governo di Coalizione e di quello dei conservatori, i tagli e un'agenda di programmi di incentivazione al lavoro hanno subito un'accelerazione, riguardando l'adeguamento dei sussidi, le sanzioni (ossia la perdita dei sussidi), i tagli ai sussidi relativi all'alloggio e un tetto annuale per i sussidi. Una serie di sussidi e di crediti di imposta verranno sostituiti dal "credito universale", ma l'Institute for Fiscal Studies (IFS - istituto per gli studi fiscali) sostiene che tale credito, a lungo andare, ridurrà la generosità del sistema di sussidi. Profonde modifiche del sistema pensionistico statale e dei regimi pensionistici aziendali (compresa una grande vertenza relativa alle pensioni del settore pubblico) hanno caratterizzato i rapporti di lavoro nel periodo successivo alla crisi. Tali modifiche muovono in parte da suggerimenti della Labour’s Pensions Commission (Commissione pensioni del lavoro), ma una più recente politica dei Conservatori ("freedom and choice", libertà e scelta) comporta che i lavoratori dai 55 anni in su possano ora disporre delle loro pensioni private come desiderano (nel rispetto delle norme fiscali vigenti).

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18. Conclusioni

La crisi ha avuto un profondo effetto sulla situazione sociale ed economica nel Regno Unito, portando incertezza, austerità, bassa produttività, la necessità di ricorrere alle "banche alimentari" per alcuni e un crollo del reddito reale per molti. L'equilibrio fra poteri si è ulteriormente spostato dalla parte dei datori di lavoro, come simbolicamente dimostrano il Trade Union Bill ovvero i tagli fiscali selettivi o i costi legali per le vertenze e così via. Tuttavia, allo stesso tempo, si è applicato anche un ventaglio di misure "normative" più positive, dall'auto-iscrizione ai programmi pensionistici al congedo parentale condiviso, dalle informazioni relative alla diversità di trattamento economico basata sulla differenza di genere al contributo per l'apprendistato e al salario di sussistenza nazionale. Lo slogan lanciato dal TUC "la Gran Bretagna ha bisogno di un aumento di retribuzione" aveva colto bene l'umore della popolazione, ma ciò non si è tradotto in un risultato elettorale che riportasse i laburisti al governo nel 2015. L'intera situazione ha rappresentato una sfida importante, ma per le parti sociali vi è un certo grado di continuità che la crisi ha messo a dura prova ma non ha distrutto.

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