la droga non ascolta

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13 DIFESA SOCIALE - vol. LXXXIII, n. 3 (2004), pp. 13-52 SUMMARY . Drugs do not listen. The suffering of drug-addicted parents and their children. Epidemiologic investigation, considerations and proposals. This paper, which resulted from within a research-action project that lasted four years, describes an epidemiologic investigation relative to a sample of 142 drug-addicted parents and 100 children. The results provide us with an interesting picture of the characteristics of this typology of patients, allowing us to consider a few knotty problems: the dynamics of family relations, the relationships between the parents' drug addiction and psychopatho- logy, the psychological damage suffered by the children, the psycho-diagnostic and psycho-therapeutical courses for parents and children, the role of the operational integra- tion of the health services involved, the weight of cultural prejudices. The choice of an interpretative model founded on the systemic matrix of the attachment theory allows us to gain an insight into the connections between the hardship of both parents and children and promotes a sharing of the work objectives on the part of the services involved in the treat- ment. The results are debated and compared with those provided by literature. RIASSUNTO In questo lavoro, nato all’interno di un progetto di ricerca-intervento durato quattro anni, descriviamo un’indagine epidemiologica riguardante un campione composto da 142 tossicodipendenti genitori e 100 figli. I risultati ci forniscono un interessante quadro delle caratteristiche di questa tipologia di pazienti permettendoci di riflettere su alcuni nodi pro- blematici: la dinamica delle relazioni familiari, il rapporto tra tossicodipendenza e psico- patologia dei genitori, il danno psicologico subito dai figli, i percorsi psicodiagnostici e psi- coterapeutici per genitori e figli, il ruolo dell’integrazione operativa tra i servizi sanitari implicati, il peso dei pregiudizi culturali. La scelta di un modello interpretativo fondato sulla matrice sistemica della teoria dell’attaccamento ci permette di comprendere le con- nessioni tra il disagio dei genitori e quello dei figli, e favorisce la condivisione degli obiet- tivi di lavoro tra i servizi impegnati nella cura. I risultati sono discussi e comparati a quel- li forniti dalla letteratura sull’argomento. LA DROGA NON ASCOLTA Le sofferenze dei genitori tossicodipendenti e dei loro figli. Indagine epidemiologica, riflessioni e proposte. Cesare Gorrini* - Viviana Brera** * Psicologo, Consultorio Familiare ASL di Pavia ** Psicologa, Servizio Dipendenze ASL di Pavia Se pur gridassi, chi m’udrebbe dalle gerarchie degli angeli? R. M. Rilke (Elegie Duinesi)

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13DIFESA SOCIALE - vol. LXXXIII, n. 3 (2004), pp. 13-52

SUMMARY. Drugs do not listen. The suffering of drug-addicted parents and their children.Epidemiologic investigation, considerations and proposals.

This paper, which resulted from within a research-action project that lasted four years,describes an epidemiologic investigation relative to a sample of 142 drug-addicted parentsand 100 children. The results provide us with an interesting picture of the characteristics ofthis typology of patients, allowing us to consider a few knotty problems: the dynamics offamily relations, the relationships between the parents' drug addiction and psychopatho-logy, the psychological damage suffered by the children, the psycho-diagnostic andpsycho-therapeutical courses for parents and children, the role of the operational integra-tion of the health services involved, the weight of cultural prejudices. The choice of aninterpretative model founded on the systemic matrix of the attachment theory allows us togain an insight into the connections between the hardship of both parents and children andpromotes a sharing of the work objectives on the part of the services involved in the treat-ment. The results are debated and compared with those provided by literature.

RIASSUNTO

In questo lavoro, nato all’interno di un progetto di ricerca-intervento durato quattroanni, descriviamo un’indagine epidemiologica riguardante un campione composto da 142tossicodipendenti genitori e 100 figli. I risultati ci forniscono un interessante quadro dellecaratteristiche di questa tipologia di pazienti permettendoci di riflettere su alcuni nodi pro-blematici: la dinamica delle relazioni familiari, il rapporto tra tossicodipendenza e psico-patologia dei genitori, il danno psicologico subito dai figli, i percorsi psicodiagnostici e psi-coterapeutici per genitori e figli, il ruolo dell’integrazione operativa tra i servizi sanitariimplicati, il peso dei pregiudizi culturali. La scelta di un modello interpretativo fondatosulla matrice sistemica della teoria dell’attaccamento ci permette di comprendere le con-nessioni tra il disagio dei genitori e quello dei figli, e favorisce la condivisione degli obiet-tivi di lavoro tra i servizi impegnati nella cura. I risultati sono discussi e comparati a quel-li forniti dalla letteratura sull’argomento.

LA DROGA NON ASCOLTALe sofferenze dei genitori tossicodipendenti e dei loro figli.Indagine epidemiologica, riflessioni e proposte.

Cesare Gorrini* - Viviana Brera**

* Psicologo, Consultorio Familiare ASL di Pavia** Psicologa, Servizio Dipendenze ASL di Pavia

Se pur gridassi, chi m’udrebbedalle gerarchie degli angeli?

R. M. Rilke (Elegie Duinesi)

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INTRODUZIONE

Il titolo di questo articolo rappresenta un ideale contrappunto a “La droga nonparla” (a cura di S. Basti e M. Fea, 1997), raccolta di interventi e riflessioni sullaprevenzione all’uso della droga e sulla promozione della salute, in cui la comples-sità dell’argomento era affrontata in una prospettiva interdisciplinare e multisetto-riale.

Anche la tematica più circoscritta del rapporto dei tossicodipendenti con i pro-pri figli, necessita, sia nella fase conoscitiva che nell’intervento, di un approcciomultifocale. Nella prassi operativa dei Servizi Dipendenze l’attenzione alla dimen-sione tossicomanica viene sempre più coniugata a quella psicopatologica ed allastoria familiare del paziente, ma è ancora raro rilevare un sistematico interesse perla dimensione della genitorialità, anche se viene registrata la presenza di figli. Alcontrario, presso i Consultori Familiari, la consuetudine a lavorare con le famigliee con progetti finalizzati alla tutela dei minori favorisce un’attenzione più globale,orientata al genitore, al figlio ed al sistema familiare. Questa ha però il limite difermarsi laddove inizia il dominio della psicopatologia e della tossicodipendenzanel genitore e dei disturbi neuropsichiatrici nei figli. I problemi delle famiglie congenitori tossicodipendenti (o più in generale pazienti psichiatrici) non si prestanoquindi ad essere esaurientemente compresi all’interno dell’approccio convenzio-nale di un unico servizio.

Anche la sottolineatura della funzione di ascolto nel titolo non è casuale, pre-standosi bene a rappresentare quanto l’ascolto, in questo tipo di casistica, possarisultare critico a diversi livelli. I bambini trascurati, come sono spesso i figli ditossicodipendenti, sono descritti come bambini inascoltati che, dovendo interagireprecocemente con figure di attaccamento insensibili ai loro segnali, tendono a svi-luppare la convinzione di essere incapaci di comunicare i propri bisogni e immeri-tevoli di ottenere aiuto. Ma, a sua volta, la trascuratezza dei tossicodipendenti adul-ti nei confronti dei figli rappresenta la conseguenza inevitabile di un pesante retag-gio di carenze di attenzione subite nell’infanzia, in genere non riconosciute, che nelimitano le competenze genitoriali.

Da ultimo, anche la mancanza di ascolto reciproco tra i servizi, coinvolti negliinterventi clinici su questi casi, può limitarne fortemente l’efficacia, soprattuttocreando contrapposizioni di alleanze e di obiettivi che tradiscono la complessitàdelle concatenazioni relazionali in gioco.

L’indagine epidemiologica descritta in queste pagine è stata condotta all’in-terno della ricerca-intervento dal titolo “La costruzione di una relazione tra servi-zi a tutela di una relazione tra i tossicodipendenti genitori e i propri figli” realiz-zata negli anni 1999 - 2003 grazie a due progetti finanziati dal Fondo NazionaleLotta alla Droga (legge 45) presentati alla Regione Lombardia da Sandra Basti,psicologa del Servizio Dipendenze dell’ASL di Pavia. Questa esperienza ha coin-volto, in un unico gruppo di lavoro, rappresentanti del Servizio Dipendenze e deiConsultori Familiari dell’ASL , dei Servizi Sociali del Comune e dell’Ospedale S.Matteo di Pavia e, limitatamente al primo anno di lavoro, anche rappresentanti diuna Comunità Terapeutica.

15STUDI E RICERCHE

Lo scopo del progetto quadriennale è stato quello di sperimentare modalità dilavoro integrate, affrontando i condizionamenti derivanti dalle diverse culture deiservizi di appartenenza. A tal fine il gruppo, con l’aiuto di supervisori, ha svolto unlavoro formativo teorico, un lavoro clinico sui casi, un lavoro metodologico in cuisono stati messi a punto strumenti e modelli di intervento, e anche un’indagine epi-demiologica.

In questo percorso, suddiviso in diverse fasi, l’indagine epidemiologica harappresentato la costruzione di un corpo di informazioni intrecciate sulla casisticadei genitori, dei figli e dei servizi, fotografando questa realtà nella complessità deisuoi rapporti e fornendo indizi per analisi ed interpretazioni. Abbiamo così cerca-to di rispondere a diverse domande sui genitori tossicodipendenti, cercando dicogliere le connessioni funzionali al duplice obiettivo della cura dei genitori e dellatutela dei figli. Abbiamo infine confrontato i nostri risultati con quelli di altre ricer-che italiane ed internazionali, cercando di estrapolare informazioni utili ad unaridefinizione degli interventi istituzionali.

Collaborazione tra servizi

L’esperienza insegna che spesso la collaborazione tra i servizi coinvolti nellapresa in carico di questi casi (Servizio Dipendenze, Tribunale per i Minorenni,Servizi Sociali dei Comuni e Consultori Familiari) incontra alcuni intoppi. Nei pro-fessionisti non è infrequente un atteggiamento di delega o colpevolizzazione origi-nato dalla frustrazione derivante dall’approccio ad una casistica obiettivamentedifficile da gestire. Infatti queste famiglie spesso collaborano con fatica e sonoquindi difficili da aiutare, inoltre presentano problematiche particolarmente com-plesse e difficili da comprendere. Si tratta poi di una casistica poco conosciuta lacui presa in carico necessita di opportuni scambi culturali.

Le difficoltà di collaborazione tra i servizi sono state messe in luce in un’in-dagine di Bricca et al. (1997) i quali così commentano il resoconto di alcune espe-rienze di lavoro: “La complessità di alcuni di questi casi imponeva ad operatori diservizi diversi una collaborazione difficile da instaurare sia per le modalità opera-tive da scegliere sia per gli obiettivi comuni difficili da individuare. La rispostadifensiva più facilmente messa in atto consisteva allora in una difesa strenua delproprio paziente o meglio di quella parte di sé che il paziente giocava abilmentepresso ciascun servizio, con conseguenti atteggiamenti di sfida e di delega reci-proca tra i servizi e squalifica, invece che valorizzazione, del lavoro di ognuno”(pp. 83-84).

La complessità di questi casi è affrontata da servizi diversi con diverse com-petenze e rappresentazioni dei propri obiettivi di lavoro. Ma letture scotomizzategenerano contrapposizioni tra i servizi e non rispondono ai bisogni dei pazienti.Alla divisione delle competenze dovrebbe corrispondere invece un’integrazionedei saperi per cogliere le connessioni dell’intero sistema familiare, nonché unapproccio che integri funzione terapeutica e funzione preventiva.

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A proposito dell’integrazione nei Servizi Sociosanitari, Olivetti Manoukian(1999) sostiene che le maggiori difficoltà di collaborazione si concentrano sul pro-blema della costruzione di un oggetto di lavoro comune. I problemi di integrazio-ne nel lavoro d’équipe, all’interno di un servizio o tra servizi, sarebbero in granparte riconducibili a rappresentazioni dell’oggetto di lavoro non condivise e nonesplicitamente fatte proprie da tutti i professionisti coinvolti.

Anche Cirillo (1997) nota quanto spesso nei casi di tossicodipendenti con figlila logica della collaborazione tra servizi risulti improduttiva. I Consultori Familiariad esempio tendono a chiamare in causa il Servizio Dipendenze con un atteggia-mento colpevolizzante, accusandolo di non curare i genitori o non segnalare il casoal Tribunale per i Minorenni. Dal canto suo il Servizio Dipendenze è riluttante afarsi coinvolgere in un progetto finalizzato prevalentemente alla tutela del bambi-no in cui la funzione di controllo, da esercitare sugli adulti, è sentita come incoe-rente rispetto al proprio ruolo terapeutico. Per uscire da queste contraddizioniCirillo propone una diversa logica, secondo la quale il Servizio Dipendenze potreb-be trarre vantaggio da una più stretta collaborazione con i Consultori Familiari econ il Tribunale per i Minorenni, soprattutto rispetto all’efficacia terapeutica neicasi in cui i pazienti genitori sono resistenti al trattamento. In quei casi cioè in cuiessi utilizzano il Servizio Dipendenze in maniera manipolatoria o irregolare senzadare la possibilità di concordare un progetto terapeutico soddisfacente. Si presumeinfatti che, se un paziente collaborante sente il problema del proprio comporta-mento genitoriale inadeguato come egodistonico, egli possa trovare una rispostaterapeutica all’interno del Servizio Dipendenze.

Cornice teorica

Per introdurre l’indagine epidemiologica riteniamo utile presentare le lineeguida del modello teorico al quale si rifà il percorso di lavoro descritto e che haispirato anche la formulazione di alcuni items del protocollo di indagine. La scel-ta di un modello interpretativo fondato sulla matrice sistemica della teoria dell’at-taccamento ci permette di comprendere disagio dei genitori e quello dei figli nellereciproche connessioni, supportando anche il processo di integrazione operativa.

In primo luogo, secondo quanto illustrato da Cirillo et al. (1996), nel sistemafamiliare del tossicodipendente si assiste ad un intreccio transgenerazionale dilegami che danno luogo alla trasmissione di una carenza. Questa carenza trasmes-sa avrebbe le caratteristiche di una perdita-interruzione, veicolata da un’adultizza-zione intempestiva, oppure della incompiutezza-invischiamento, tipica di unadipendenza protratta o irrisolta. Secondo gli autori, nella famiglia con figliomaschio tossicodipendente gli aspetti della perdita-interruzione sono più frequen-temente interiorizzati e trasmessi dal padre, mentre quelli dell’incompiutezza-invi-schiamento dalla madre. Nelle tossicodipendenze femminili il gradiente della tra-smissione della carenza si inverte. Il rischio di trasmissione della carenza riguarda

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quindi il figlio dello stesso sesso, e si concretizza quando il genitore di sesso oppo-sto non riesce, nel rapporto di coppia, a sanare la carenza del partner ed impedireil processo di trasmissione della carenza nella relazione genitore-figlio dello stes-so sesso.

Gli autori illustrano uno schema processuale della trasmissione della carenzaarticolato in sette stadi ed individuano almeno tre tipi di percorsi familiari tipicinello sviluppo della tossicodipendenza. Questi ultimi corrispondono a diversisignificati del sintomo e della psicopatologia, e comportano altrettanti quadri pro-gnostici sulle potenzialità genitoriali. In particolare, nel il percorso uno il pazien-te rimane bloccato nel ruolo di figlio, presenta ansia, sentimenti depressivi, esi-genze insoddisfatte di accudimento/riconoscimento e spesso i nonni compensanola trascuratezza verso il nipote. Nel percorso due il paziente viene triangolato nelgioco relazionale della coppia dei genitori, presenta confusione/impulsività, rabbiae rapporti discontinui con la famiglia di origine e con i propri figli. Nel percorsotre il paziente ha subito traumi e gravi carenze di tutela, presenta personalità anti-sociale e agiti nei quali tende a ripetere le esperienze traumatiche subite.

In sintesi, Cirillo (1996) sostiene che la trascuratezza genitoriale dei tossico-dipendenti non è semplicemente un effetto diretto dell’assunzione di droga, marappresenta invece il segnale di un drammatico blocco evolutivo. L’incapacitàgenitoriale sarebbe dovuta al fatto che il mondo interiore del genitore è così con-dizionato delle relazioni affettive insoddisfacenti, sperimentate in qualità di figlio,che egli non riesce a transitare ad un ruolo adulto e dirigere le proprie energie emo-tive verso il proprio figlio.

In secondo luogo le conoscenze sullo sviluppo delle relazioni di attaccamen-to (Bowlby, 1972-1973) ci possono aiutare a capire gli eventuali problemi incon-trati dai figli di tossicodipendenti, ma anche a capire i problemi incontrati dai geni-tori tossicodipendenti nella loro storia di figli.

Nel bambino piccolo il legame di attaccamento implica una attiva ricerca delcontatto con una figura privilegiata (in genere la madre) che, insieme alla sensibi-lità materna nel cogliere i messaggi del bambino, contribuisce alla formazione delsuo “Sé sociale”. Nel corso della seconda infanzia poi, il bambino sviluppa il lin-guaggio e il pensiero verso contenuti simbolici e i sistemi di memoria attraverso iquali può organizzare le esperienze e costruire una storia su sé stesso e sulle pro-prie relazioni. A partire dagli studi di Ainsworth et al. (1978), osservando i com-portamenti del bambino nell’interazione con la figura di attaccamento sono statiindividuati alcuni tipi di attaccamento insicuro (ambivalente, evitante, disorganiz-zato) che predispongono al successivo sviluppo di disturbi di personalità (Bowlby,1988).

La chiave di lettura dell’attaccamento ci fornisce la possibilità di approfondi-re anche il mondo interno dell’adulto il quale può operare una costruzione narrati-va delle proprie esperienze relazionali elaborata per raccontare e rappresentare “Séstesso”. Infatti dalla storia relazionale di ogni individuo nasce un modello internorelazionale che si compone di elementi affettivi, cognitivi e comportamentali inte-riorizzati che costituiscono un’organizzazione funzionale alla gestione del proprio

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mondo interno e dell’ambiente. Nell’età adulta, si può quindi parlare dello stilerelazionale dell’individuo come di un’organizzazione interna rispetto al Sé, allarelazione e al mondo esterno dotata di stabilità nel tempo (Fava Viziello eSimonelli, 1997).

Ainsworth et al. (1992) sottolineano come la qualità dell’attaccamento di unbambino dipenda dalla memoria relazionale della madre e delle modalità reali efantasmatiche che la madre ha avuto nel rapportarsi con lui. Ogni madre infattiporta nella relazione con il figlio il proprio passato, il proprio presente e le rappre-sentazioni che ha costruito riguardo a sé stessa, alle proprie esperienze significati-ve e al proprio ruolo di madre. E’ così possibile teorizzare il concetto di trasmis-sione intergenerazionale degli stili di attaccamento, in cui per intergenerazionali-tà si intende la comunicazione di modalità proprie di organizzazione e di gestionedel proprio modello relazionale interno, che si gioca principalmente all’interno deirapporti significativi, in particolare tra il genitore ed i propri figli. Ed è in questosenso che si può parlare di trasmissione della carenza nel sistema familiare del tos-sicodipendente, proprio come influenza depauperante da parte del modello rela-zionale interno carenziato del genitore sulla costruzione dello stile di attaccamen-to del figlio. Secondo il modello di Cirillo e collaboratori la valenza patogena, tut-tavia, sarebbe costituita non solo dalla trasmissione della carenza ma anche dal suomisconoscimento, dal fatto cioè che la carenza trasmessa non sia riconosciutacome tale.

Seguendo la prospettiva indicata dalla teoria dell’attaccamento, la tossicodi-pendenza viene interpretata, in modo sempre più convincente, come il sintomo diun’incapacità nella regolazione degli affetti sviluppata all’interno di relazioni pri-marie insicure e di interazioni regolative disfunzionali con le figure di attacca-mento (Gabbard, 1990).

Questa cornice teorica ha accompagnato i lavori del progetto quadriennale,permettendo ai partecipanti di condividere i presupporti interpretativi e di costrui-re insieme una metodologia coerente e strumenti di intervento funzionali. Oltreall’indagine epidemiologica in oggetto, sono stati elaborati altri aspetti della tema-tica dei genitori tossicodipendenti e dei figli, si veda ad esempio lo studio paralle-lo di Basti e Berrini (2005) sul tema del rapporto tra tossicodipendenza, parentinge psicopatologia.

INDAGINE EPIDEMIOLOGICA

L’indagine epidemiologica è stata preceduta da una ricerca preliminare, rela-tiva ai casi conosciuti negli anni 1997-1999, nella quale sono stati utilizzati solo idati contenuti nelle cartelle cliniche del Servizio Dipendenze e dei ConsultoriFamiliari, e che ha compreso, oltre a Pavia anche il territorio di Vigevano. La ricer-ca preliminare ci ha permesso di mettere a fuoco alcune osservazioni utili ad orien-tare le successive analisi e l’indagine epidemiologica propriamente detta.

19STUDI E RICERCHE

La prima osservazione riguardava la disattenzione dei professionisti delServizio Dipendenze rispetto alla presenza di figli nella vita dei loro pazienti, evi-denziabile nella frequente mancanza di registrazione di questa e di altre informa-zioni relative al rapporto genitore-figlio. Ciò nonostante l’incidenza di genitoririscontrata sul totale dei pazienti tossicodipendenti in carico (16% nel ServizioDipendenze di Pavia e 13% nel Servizio Dipendenze di Vigevano) era tale da giu-stificare un interesse rivolto a questa casistica. Questa valutazione sembrava atten-dibile se confrontata con i risultati di un analogo studio epidemiologico italiano diBricca et al. (1997), che hanno stimato (per difetto) la presenza del 16.6% di geni-tori sul totale dei pazienti tossicodipendenti. Una ricerca olandese (Groeneweg etal., 1988) invece stima che addirittura circa un quarto dei soggetti che fanno uso didroghe pesanti avrebbe un figlio di cui prendersi cura. Altre rilevazioni italiane(Pigatto, 1997) ottenute presso alcuni Servizi Dipendenze stimano la frequenza ditossicodipendenti con figli da accudire intorno al 7-15% circa, percentuale chevaria a seconda dell’anno considerato. Zacchello e Giaquinto (1997) calcolanoinvece che circa il 25% della popolazione di tossicodipendenti sia costituita dadonne in età fertile e che ogni anno vi siano in Italia circa 2500-3000 gravidanzein donne che fanno uso di sostanze, di cui almeno l’80% portato a termine.

La seconda osservazione si è centrata sulla problematicità dei casi di figli ditossicodipendenti che risultavano conosciuti dai Consultori Familiari in base allecartelle cliniche disponibili. Tra questi solo il 20,4% appariva aproblematico (nonpalesava cioè trascuratezza o disturbi psicologici rilevabili). Per quanto riguarda lacollocazione, il 26,5% risultavano affidati a parenti (in genere ai nonni) o a fami-glie affidatarie, il 14,3% allontanati (in comunità o adozione) e solo il 59.2% vive-vano con almeno un genitore. Diverse ricerche internazionali analizzano le possi-bili ripercussioni sui bambini dei problemi legati al consumo di droghe da parte deigenitori (Gonzales-Hachero et al. 1999, Barnard, 1999). In particolare Hans et al.(1999), confrontando le capacità genitoriali di madri tossicodipendenti con quelledi madri senza problemi di droga, hanno messo in luce come le capacità genitoria-li delle prime fossero inferiori, ma che tale differenza fosse legata al loro livello didisagio psicopatologico più che ai problemi legati al consumo di droghe in sé.Secondo le ricerche di Clark et al. (1997) e Luthar et al. (1998) nei figli di tossi-codipendenti risultano più frequenti i problemi comportamentali, l’ansia, la depres-sione e i comportamenti socialmente inadeguati e distruttivi. McAvay et al. (1999)riscontrano in generale, nei figli di tossicodipendenti, una maggiore frequenza diproblemi medici e psicologici.

La terza osservazione è stata che all’interno dei servizi vi era una grande ete-rogeneità nella gestione di questi casi e anche la collaborazione tra ServiziDipendenze e Consultori Familiari era estremamente disomogenea. Si passava dal42.8% dei casi nell’area di Pavia al 6.8% nell’area di Vigevano, i contatti eranoattivati quasi esclusivamente dal Servizio Dipendenze e per lo più dopo la nascitadel figlio. Solo in rari casi gli interventi del Servizio Dipendenze erano orientatianche al supporto della genitorialità, e gli interventi dei Consultori Familiari eranoprevalentemente di tipo educativo e rivolti solo nel 14,3% direttamente al figlio e

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nel 28,6% alla genitorialità. Anche le informazioni in possesso del ServizioDipendenze e dei Consultori Familiari non erano integrabili, in particolare sfuggi-vano alla conoscenza di entrambi i servizi molti bambini che, in assenza di infor-mazioni dirette, venivano supposti non problematici. Della loro esistenza era infor-mato il Servizio Dipendenze, ma non il Consultorio Familiare né tanto meno ilTribunale per i Minorenni.

Gli studi sugli interventi terapeutici nei servizi solo raramente prendono inconsiderazione variabili legate al ruolo genitoriale dei pazienti. Per quanto riguar-da la genitorialità, Camp e Finkelstein (1997) hanno proposto un intervento assi-stenziale complesso ad un campione di donne tossicodipendenti con relativi figli,notando l’importanza di un training specifico per una gestione ottimale della geni-torialità. Tale approccio risultava influenzare positivamente anche la dipendenzadall’uso di sostanze nelle madri. Risultati contrastanti sono invece emersi dall’in-dagine di Catalano et al. (1997) che hanno proposto un intervento familiare orien-tato sia a ridurre il rischio di ricaduta nei genitori, sia a diminuire il rischio di dannipsicologici nei bambini. Peterson et al. (1996) hanno sottolineato l’utilità di inter-venti precoci con i tossicodipendenti genitori per prevenire e ridurre il rischio dicomportamenti dannosi per i figli. Tuttavia gli studi su genitori tossicodipendentie figli sono una rarità nella letteratura internazionale, anche in ambito italiano sonocarenti le informazioni sui rapporti tra genitorialità e condotte di abuso, sulla presain carico dei figli e sulle modalità di collaborazione interservizi.

Queste osservazioni ci hanno portato ad interrogarci sui limiti dell’approccioconoscitivo a questa complessa tematica che emergeva dalle prime rilevazioni,valutando l’opportunità di orientare l’indagine sulle condizioni di vita dei figli e sulrapporto tra la tossicodipendenza e l’espletamento del ruolo parentale dei genitori.Per approfondire questi argomenti interconnessi era però necessario portare l’atten-zione sulle relazioni più che sui singoli attori. Ci siamo così posti l’obiettivo di svi-luppare una rappresentazione più integrata dei problemi di questi pazienti in rap-porto ai diversi assi di analisi: la relazione tra genitori e figli, la relazione tra geni-tori e sostanza, la relazione tra Servizio Dipendenze e genitori tossicodipendenti, larelazione tra Consultori Familiari e genitori tossicodipendenti e figli, e la relazionetra Servizio Dipendenze e Consultori Familiari e altri servizi implicati.

METODOLOGIA

Abbiamo effettuato l’indagine epidemiologica nell’area di Pavia, sui genitoritossicodipendenti e i loro figli conosciuti dalle istituzioni (ASL, Comune eOspedale) negli anni 1999-2001. Per raccogliere le informazioni abbiamo costrui-to un’intervista strutturata che è stata proposta ai professionisti dei diversi servizida una psicologa tirocinante opportunamente preparata1.

1 Ringraziamo la dr.ssa Anna Maria Morardo per la collaborazione fornitaci nella fase della raccolta dei dati.

21STUDI E RICERCHE

Nella procedura di indagine abbiamo proposto l’intervista ai professionisti:medici, psicologi e assistenti sociali che hanno avuto in carico i casi, coinvolgen-do il Servizio Dipendenze e i Consultori Familiari dell’ASL di Pavia, i ServiziSociali del Comune di Pavia e l’Ospedale S. Matteo di Pavia.

Le informazioni richieste erano di tipo socioanagrafico, istituzionale, medicoe psicologico e sono state fornite dai colleghi con l’ausilio dei dati registrati in car-tella o in base alle proprie valutazioni cliniche. Per l’elenco e la definizione dellevariabili (relative a genitori, figli e servizi) rimandiamo all’appendice, in cui sonoillustrati anche i risultati quantitativi. Le interviste sono state raccolte nel secondosemestre dell’anno 2001.

I soggetti della ricerca sono stati figli e genitori. Abbiamo individuato 100 figliminorenni, di cui almeno uno dei due genitori era conosciuto per l’abuso di sostan-ze. In presenza di altri fratelli, è stato scelto l’ultimogenito.

Nell’analisi dei dati abbiamo calcolato le frequenze relative ad ognuna dellevariabili ed analizzato le associazioni tra variabili con il test Chi quadro.

RISULTATI

I tossicodipendenti e i loro figli

Il campione osservato è composto da 100 figli, di cui 46 maschi e 54 femmi-ne, con una età media (nel giugno 2001) di 6 anni e 7 mesi, e una gamma di età da0 a 18 anni. Solo l’80% di questi è conosciuto dai Consultori Familiari o daiServizi Sociali. La fascia più bassa di età (0-6 anni) è la più rappresentata e ciò èdovuto sia alla scelta dell’ultimogenito sia al fatto che negli ultimi anni sonoaumentate le segnalazioni con funzione preventiva dei bambini alla nascita. Altri68 figli, tra fratelli e sorelle, non sono stati contemplati nella ricerca.

Tra i genitori, 142 sono conosciuti dal Servizio Dipendenze per l’abuso disostanze: l’89% di padri e il 53% di madri, con un’età media (nel giugno 2001) di35 anni e 3 mesi, e una gamma da 23 a 58 anni. La maggioranza di padri rispettoalle madri risulta coerente con la preponderanza della tossicodipendenza maschilerispetto a quella femminile. Ad esempio, il Servizio Dipendenze di Pavia, nel trien-nio 1999-2001, ha avuto in carico una percentuale di pazienti uomini oscillante tral’81 % e l’83 %.

I genitori tossicodipendenti rappresentano il 22.5% del totale dei pazientiseguiti dal Servizio Dipendenze di Pavia nel triennio 1999-2001. Dato che, se com-parato con l’analogo 16% della rilevazione relativa agli anni 1997-1999, indica unatendenza all’aumento, per lo meno nella conoscenza da parte di servizi, del nume-ro dei tossicodipendenti che diventano genitori.

In sintesi, il campione osservato è composto da una maggioranza di padri tos-sicodipendenti rispetto alle madri e da figli mediamente all’inizio dell’età scolare.

22 DIFESA SOCIALE - N. 3, 2004

Sintomi del figlio alla nascita e tossicodipendenza della madre

Alla nascita, l’astinenza da eroina e la positività all’HIV si riscontrano in unaminoranza di figli (20%), con una preponderanza di casi (15%) di sola astinenza(contro il 3% di sola sieropositività HIV e il 2% di entrambe le condizioni), men-tre nella maggior parte dei casi (75%) non si rilevano queste sintomatologie.

La rilevazione di sintomi nel figlio alla nascita è associata soprattutto alla tos-sicodipendenza della madre alla nascita (c²= 39.77; p<.001), ed avviene esclusi-vamente se la madre assume sostanze stupefacenti, salvo due casi in cui assumemetadone.

Nei casi di trattamento metadonico della madre, dovrebbe essere raro il riscon-tro della crisi di astinenza del neonato in quanto sono previsti interventi per preve-nirne gli effetti. Tuttavia in circa un terzo dei casi anche i figli di madri tossicodi-pendenti attive alla nascita risultano asintomatici e ciò fa pensare ad una possibi-le incompletezza delle informazioni possedute su queste situazioni.

I figli che presentano sintomi alla nascita tendono a manifestare in seguito, inmodo moderatamente significativo (c²= 4.01; p<.05), anche disturbi psicologici,ma nel 24,5% dei casi sono rilevati disturbi psicologici anche in assenza di sinto-mi alla nascita. La presenza di sintomi alla nascita si associa a differenze signifi-cative nel collocamento dei figli (c²= 20.93; p<.001), in particolare risultano piùfrequenti successivi casi di allontanamento.

In sintesi, la rilevazione di astinenza da eroina e la positività all’HIV nei figlialla nascita riguarda solo una minoranza dei casi osservati (probabilmente coninformazioni incomplete) ed è associata esclusivamente alla tossicodipendenzaattiva (o all’assunzione di metadone) da parte della madre. La presenza di questasintomatologia alla nascita sembra essere un fattore predisponente alla rilevazio-ne successiva di disturbi psicologici nel bambino ed a casi di allontanamento dalnucleo familiare.

Disturbi psicologici nei figli e tossicodipendenza dei genitori

In circa un terzo dei casi vengono rilevati disturbi psicologici nei figli (32%),contro il 48% di bambini non problematici ed il 20% di casi non conosciuti e quin-di non valutabili. Se limitiamo l’osservazione ai figli di madri tossicodipendenti lapercentuale di casi con disturbi psicologici riscontrati si attesta al 54.7 %.

E’ frequente la compresenza di più di un disturbo psicologico (nell’81,2% deicasi). Il repertorio dei disturbi rilevati nei figli comprende con frequenze decre-scenti disturbi dell’attaccamento (50%), disturbi della condotta (46,9%), trascu-ratezza materiale (40,6%), difficoltà scolastiche (37,5%), disturbi psicosomatici(31,2%), ritardi di sviluppo (31,2%), disturbi dell’umore (25%).Maltrattamento/abuso (9,4%) e disturbi neurologici (3%) sono invece rilevati inuna ristretta minoranza di casi. Il sesso maschile risulta moderatamente associato(c²= 4.81; p<.05) alla rilevazione di disturbi psicologici nei figli.

La tossicodipendenza della sola madre determina differenze significative

23STUDI E RICERCHE

nella rilevazione di disturbi psicologici nei figli (c²= 19.64; p<.001), al contrario diquanto accade per la tossicodipendenza del solo padre (c²= 0.48; n.s.). Anche latossicodipendenza di entrambi i genitori risulta essere una condizione significati-vamente associata alla rilevazione di disturbi psicologici nei figli (c²= 20.27;p<.001).

Osserviamo tuttavia che l’alta percentuale dei bambini sui quali non si rileva-no disturbi psicologici (circa il 70% dei casi) si riferisce alla fascia di età più bassadel campione. Ciò ci fa ipotizzare che la presenza di disturbi possa essere sotto-stimata a causa dalla difficoltà di valutare come disturbi psicologici gli indizi didisagio osservati in bambini molto piccoli. Questo dato, sommato alla mancataconoscenza diretta del 20% dei casi, contribuisce alla sottovalutazione diagnosticadella casistica dei figli di tossicodipendenti.

In sintesi, i disturbi psicologici dei figli riguardano circa un terzo dei casiosservati. Si tratta soprattutto, con frequenza decrescente, di disturbi dell’attacca-mento, della condotta e di trascuratezza materiale, e tendono ad essere più fre-quenti nei maschi. Ma è probabile che vi sia una sottovalutazione diagnostica daparte dei Consultori Familiari, sia per mancata conoscenza diretta dei figli in unapercentuale di casi, sia per la difficoltà di valutare come disturbi psicologici (inprospettiva evolutiva) i disagi osservati nei bambini in età prescolare.

In particolare, la tossicodipendenza della sola madre (contrariamente a quel-la del solo padre) si associa alla rilevazione di disturbi psicologici nel figlio, ed èaggravata dalla compresenza della tossicodipendenza paterna.

Rapporto tra i genitori e collocamento dei figli

La maggior parte dei genitori risulta separata (48%), contro il 40% di convi-venti e l’11% di singoli o vedovi.

Nel giugno 2001 la maggior parte dei figli sono collocati con i genitori (conentrambi nel 30%, con la sola madre nel 32%, in soli 2 casi in comunità con un geni-tore) e in misura minore sono collocati con i nonni (22% in totale, insieme ad ungenitore nel 9%, o senza genitori nel 13%). Più rari sono i casi di allontanamento(adozione nel 5%, affido eterofamiliare nel 5% e istituzionalizzazione nel 2%).

Il tipo di rapporto tra i genitori determina differenze significative nel collo-camento del figlio (c²= 37.70; p<.001), se i genitori convivono il figlio tende a starein maggior misura con loro, se sono separati sta in genere con la madre o viene inrari casi allontanato, se il genitore è vedovo o singolo il figlio può stare dai nonnio essere in rari casi allontanato.

Il tipo di rapporto tra i genitori è associato a differenze significative nell’etàdel figlio (c²= 18.62; p<.001) in quanto le separazioni ovviamente aumentano difrequenza con il tempo e quindi con l’età dei figli. Ma né il tipo di rapporto tra igenitori (c²= 0.09; n.s.), né il collocamento dei figli (c²= 4.36; n.s.) risultano asso-ciati alla rilevazione di disturbi psicologici nei figli.

In sintesi, la percentuale di separazioni tra i genitori risulta alta (circa la metàdel campione) ed il tipo di rapporto tra di loro condiziona il collocamento dei figli.

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Il collocamento presso i nonni (con o senza un genitore) avviene con relativa fre-quenza, più rari sono gli allontanamenti. Invece, né il tipo di rapporto tra i geni-tori né le differenze di collocamento dei figli sembrano associarsi alla rilevazionedi disturbi psicologici in questi ultimi.

Tossicodipendenza dei genitori e collocamento dei figli

La tossicodipendenza dei genitori non è associata al loro tipo di rapporto (c²=4.38; n.s.), ciò vale sia per la tossicodipendenza del padre (c²= 1.16; n.s) sia perquella della madre (c²= 2.21; n.s.). Invece la tossicodipendenza della sola madre(c²= 14.84; p<.001) e quella di entrambi i genitori (c²= 15.97; p<.01) determinanodifferenze significative nel collocamento dei figli che risulta più vario e compren-de anche l’allontanamento. Quando invece è il solo padre ad essere tossicodipen-dente (c²= 2.17; n.s.) il figlio vive esclusivamente con genitori o nonni.

In sintesi, la tossicodipendenza dei genitori non sembra influenzare il loro tipodi rapporto. Invece la tossicodipendenza della madre, sola o insieme a quella delpadre, influenza il collocamento del figlio che può essere in questi casi ancheallontanato, contrariamente al caso della sola tossicodipendenza paterna.

Tossicodipendenza dei genitori e ruolo genitoriale

Alla nascita del figlio le madri tossicodipendenti si presentano in buona misu-ra in remissione (37,7%), percentuale che aumenta ulteriormente se si aggiungonoi casi in trattamento metadonico (47,2%), segno di un cambiamento finalizzato atutelare la gravidanza. In parte rilevante (41,5%) esse risultano però ancora attive.

La maggior parte (55,5%) delle madri, che alla nascita del figlio erano tossico-dipendenti attive o in trattamento metadonico, risulta in remissione nel 2001. Unapercentuale inferiore (29,3%) di padri, che alla nascita del figlio erano attivi o in trat-tamento metadonico, risulta in remissione nel 2001. Di questi, la quasi totalità (adeccezione di un solo caso) ha una partner che, o non è mai stata tossicodipendente,oppure è a sua volta in remissione. Per le madri, le percentuali di remissione dopo ilparto sono superiori (quasi doppie) a quelle di norma riscontrate nei tossicodipen-denti non genitori conosciuti dal Servizio Dipendenze di Pavia nel triennio 1999-2001 (che si aggirano intorno al 30% dei casi). Per i padri invece le percentuali diremissione sono conformi alla casistica media del Servizio Dipendenze.

In sintesi, il diventare madre sembra influenzare in termini positivi la remis-sione dall’uso di sostanze, lo stesso non sembra valere per i padri.

Genitori e interventi del Servizio Dipendenze

Nella maggior parte dei casi (73,6 %), le madri tossicodipendenti sonostate oggetto di interventi da parte del Servizio Dipendenze e, anche tra le madri

25STUDI E RICERCHE

in remissione nel 2001, la maggior parte (87,5%) risulta avere ricevuto inter-venti.

Invece solo il 28,1% dei padri tossicodipendenti è stato oggetto di un inter-vento da parte del Servizio Dipendenze, e la maggioranza di questi (80%) ha unapartner tossicodipendente la quale a sua volta è stata oggetto di cure.

Gli interventi prevalenti più frequenti per le madri sono stati la psicoterapiaindividuale e l’inserimento in comunità per singoli con il figlio (nel 25,6% deicasi); per i padri invece il sostegno sociale individuale e, con la stessa frequenza,altri tipi di intervento. Le madri usufruiscono più frequentemente dell’esperienzacomunitaria perché, diversamente dai padri, vi accedono anche sole con il figlio(nel 20% dei casi).

Per i padri il 40% degli interventi sono rivolti al singolo ed il 60% alla cop-pia, mentre per le madri il 61,5% degli interventi sono rivolti ai singoli ed il 38,5%alla coppia. Si tratta di rapporti percentuali invertiti che sembrano confermarecome l’attivazione dei padri sia secondaria a quella delle madri.

In sintesi, gli interventi del Servizio Dipendenze sui tossicodipendenti genito-ri sono in maggioranza rivolti alle madri, di cui coprono i tre quarti della casisti-ca. La risposta positiva di remissione dell’uso di sostanze riscontrata nelle madriè quindi collegabile anche agli interventi ricevuti.

Figli, genitori e interventi dei Consultori Familiari (in collaborazione con iServizi Sociali)

Circa la metà dei casi (52%) sono stati oggetto di un intervento da parte deiConsultori Familiari. Gli interventi prevalenti sono orientati in uguale misura(26%) al figlio e ai genitori, sul figlio i più frequenti sono affido eterofamiliare esupporto educativo, mentre sugli adulti sono monitoraggio nella famiglia (o nel-l’istituto) e supporto alla relazione genitore figlio. Gli interventi prevalenti sui figlisono in massima parte (nel 77% dei casi) diretti all’ambiente relazionale dei bam-bini (monitoraggio alla famiglia, supporto alla relazione genitore-figlio e istituto oaffido), nei restanti casi gli interventi si orientano al supporto educativo, al moni-toraggio e, in rari casi, alla psicoterapia.

La rilevazione di disturbi psicologici nei figli, ovviamente, è significativa-mente associata agli interventi dei Consultori Familiari (c²= 25.31; p<.001), maanche ad interventi del Servizio Dipendenze sulle madri (c²= 14.21; p<.001), men-tre sui padri è meno significativa (c²= 4.01; p<.05). Tendenzialmente, ai casi diintervento dei Consultori corrisponde significativamente l’intervento del ServizioDipendenze, in particolare sulla madre (c²= 26.55; p<.001) e in secondo luogo sulpadre (c²= 9.58; p<.01).

In sintesi, gli interventi dei Consultori Familiari si orientano in ugual misu-ra ai bambini ed ai genitori e avvengono in particolare nei casi di figli con dis-turbi psicologici riscontrati, sono inoltre tendenzialmente associati ad interventidel Servizio Dipendenze sugli stessi casi, ma coprono solo circa la metà dellacasistica.

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Collaborazione tra servizi, interventi e segnalazioni al Tribunale per iMinorenni

Nella maggior parte dei casi si rileva una collaborazione tra diversi servizi(59%), mentre con minor frequenza risultano attivarsi solo il Servizio Dipendenze(34%) o i Consultori Familiari (7%). Questo dato sembra segnalare un discretolivello di integrazione, migliorato nell’area di Pavia anche rispetto alle rilevazionidel 1999 (che già evidenziavano una collaborazione molto superiore rispetto all’a-rea limitrofa di Vigevano). La collaborazione tra i servizi inoltre si associa signi-ficativamente agli interventi a favore di figlio (c²= 58.25; p<.001), della madre (c²=33.15; p<.001) e, in misura minore, del padre (c²= 7.19; p<.05).

Per quanto riguarda le segnalazioni al Tribunale per i Minorenni, che riguar-dano la maggior parte dei casi (59%), i diversi servizi si dividono l’iniziativa inmodo equilibrato (Servizio Dipendenze 13%, Consultori e/o Servizi Sociali 15%,Ospedale 15%), con l’8% di segnalazioni in collaborazione. In particolare, lasegnalazione del caso al Tribunale per i Minorenni è significativamente associataalla presenza di interventi da parte dei servizi sui figli (c²= 70.28; p<.001) sullamadre (c²= 34.74; p<.001) e sul padre (c²= 9.35; p<.01). La presenza di una segna-lazione al Tribunale per i Minorenni si associa alla rilevazione di disturbi psicolo-gici nel figlio (c²= 20.9; p<.001) ed all’effettuazione della psicodiagniosi sullamadre (c²= 26.59; p<.001), ma non sul padre (c²= 2.40; n.s.). La segnalazione nonsi associa invece con nessun particolare tipo di psicodiagnosi dei genitori (anchese le madri con una psicodiagnosi di disturbo di personalità borderline risultanosegnalate al T.M. nel 90,9% dei casi). La segnalazione al Tribunale per iMinorenni sembra quindi rispondere a finalità preventive favorendo soprattutto lacollaborazione delle madri con i servizi.

In sintesi, la collaborazione tra servizi riscontrata conferma l’intesa organiz-zativa maturata in questi anni e si dimostra una condizione favorevole per l’atti-vazione di iniziative in favore di figli e genitori. Lo stesso vale per la segnalazio-ne al Tribunale per i Minorenni che risponde a finalità preventive.

Psicodiagnosi del genitore e disturbi psicologici dei figli

La psicodiagnosi è stata formulata dal Servizio Dipendenze per il 73.6% dellemadri tossicodipendenti e per il 60% dei padri tossicodipendenti. Tra le madri dia-gnosticate, la maggior parte presenta un disturbo di personalità borderline (56,4%),disturbi antisociali, narcisistici e dell’umore sono meno rappresentati (10,2%).Mentre nei padri si osservano frequenze decrescenti di disturbi borderline(28.3%), antisociali (26.4%), narcisistici (18.9%) e dell’umore (15.1%). Inentrambi i genitori i disturbi di personalità di cluster B del DSM IV sono la psico-patologia più ampiamente riscontrata (73.6% nei padri e 82.0% nelle madri).

Nel 50% dei casi le madri con disturbo di personalità borderline hannofigli sui quali si riscontrano disturbi psicologici, ma non risultano differenzesignificative tra questo ed altri tipi di psicodiagnosi nelle madri quanto a rile-

27STUDI E RICERCHE

vazione di disturbi psicologici nei figli (anche a causa del ridotto numero diosservazioni).

Tra i padri con disturbo di personalità antisociale (rispetto a padri con dis-turbo di personalità borderline) si osserva invece una differenza moderatamentesignificativa a favore della rilevazione di disturbi psicologici nei figli (c²= 2.43;p<.05), in particolare per disturbi della condotta (c²= 2.47; p<.05), dell’attacca-mento (c²= 1.76; p<.05), e trascuratezza materiale (c²= 2.47; p<.05).

Dobbiamo osservare tuttavia che, pur facendo riferimento univocamente aicriteri psicodiagnostici del DSM IV, gli strumenti e i metodi utilizzati per la for-mulazione della psicodiagnosi non sono stati omogenei ma dipendenti in massimaparte dalla prassi e dall’orientamento clinico degli psicologi o psichiatri che hannoavuto in carico i casi degli adulti tossicodipendenti. Si può ad esempio ipotizzareche la mancanza di uno strumento diagnostico sistematico abbia potuto favorirenelle madri la preponderanza della diagnosi di disturbo di personalità borderlineche, soprattutto nella sua accezione psicodinamica, è inclusivo di un’ampia varia-bilità di condizioni.

In sintesi, la formulazione della psicodiagnosi sui genitori tossicodipendentida parte del Servizio Dipendenze avviene nella maggior parte dei casi. Nelle madriè più frequente il disturbo di personalità borderline, nei padri sono rappresentatidisturbi borderline, antisociali, narcisistici e dell’umore. Nei padri tossicodipen-denti il disturbo di personalità antisociale predispone, più del disturbo borderline,alla rilevazione di disturbi psicologici nei figli. Dobbiamo sottolineare tuttavia ledimensioni limitate della casistica osservata e la mancanza di sistematicità del-l’assessment psicodiagnostico.

Tipo di percorso familiare e psicodiagnosi del genitore

Il tipo di percorso familiare dei genitori è stato rilevato nel 67% delle madrie nel 60% dei padri tossicodipendenti. In entrambi i casi le maggiori frequenzeosservate riguardano il percorso tre, conseguente a gravi carenze di tutela (47.2%nei padri e 38.9% nelle madri). Ma, mentre per i padri ha un discreto rilievo(39.6%) anche il percorso uno, che li vede bloccati nel ruolo di figlio, per le madrisi osserva in ugual misura ( 38.9%) il percorso due, che le vede triangolate nelgioco relazionale della coppia dei propri genitori.

Non si notano differenze significative nel percorso familiare delle madri e deipadri, sia in rapporto alla rilevazione di disturbi psicologici sia rispetto alla collo-cazione dei figli (probabilmente anche a causa del ridotto numero di situazioniosservate).

Molto alta è invece l’associazione tra la rilevazione del percorso familiare ela rilevazione della psicodiagnosi, sia per le madri (c²= 69.12; p<.001) che per ipadri (c²= 36.23; p<.001), a conferma che le rilevazioni in entrambi i casi riguar-dano la fascia di pazienti collaborativi con il Servizio Dipendenze.

Per quanto riguarda i rapporti tra il tipo di psicodiagnosi dei genitori e il tipodi percorso familiare, si riscontrano differenze significative (c²= 10.67; p<.001)

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che sembrano confermare l’ipotesi di una contiguità tra la diagnosi di disturbo dipersonalità antisociale e il percorso tre nei padri. Nelle madri con disturbo di per-sonalità borderline la contiguità con il percorso due non è statisticamente signifi-cativa, ma l’associazione di queste due condizioni rappresenta comunque il 50%dei casi.

In sintesi, la rilevazione del tipo di percorso familiare, da parte del ServizioDipendenze, avviene nella maggior parte dei casi. Ciò ci permette di discriminarefrequenze di percorsi familiari parzialmente diverse tra padri e madri, e confer-mare parzialmente le relazioni ipotizzate tra tipo di percorso familiare e psicodia-gnosi.

DISCUSSIONE

Passiamo ora alla discussione dei risultati cercando di evidenziare i temisalienti nelle relazioni tra tossicodipendenza, genitorialità e psicopatologia degliadulti, danno per i figli, relazioni familiari e presa in carico dei servizi.Commentiamo questi risultati rapportandoli a modelli interpretativi e ricerche nelsettore.

Tossicodipendenza e genitorialità

Come era prevedibile, la positività all’HIV e la crisi di astinenza dei figli allanascita sono limitate ai casi di tossicodipendenza attiva della madre e, in misuraminore, all’assunzione di metadone. L’uso controllato di tale farmaco, infatti, per-mette di prevenire la crisi di astinenza del neonato attraverso la programmazionedi un progressivo dosaggio a scalare nelle ultime settimane di gravidanza.

Secondo la stima di Johnson et al. (2003) la sindrome di astinenza coinvolgedal 55% al 94% dei neonati esposti ad oppiacei durante la gestazione. Ciò corri-sponde a quanto da noi riscontrato, ma è possibile che i nostri dati risultino sotto-stimati a causa di limiti di rilevazione sia dell’astinenza che dell’HIV nei figli. Perqueste rilevazioni infatti sono state utilizzate fonti indirette, come le registrazioninella cartella della madre aperta presso il Servizio Dipendenze. Per ottenere infor-mazioni complete sarebbe stato invece necessario accedere alla cartella sanitariaospedaliera del figlio (spesso non disponibile per diversi motivi, tra cui il diversoluogo di nascita o il tempo intercorso dalla nascita alla rilevazione). Peraltro vadetto che questo limite vale anche per altri dati riguardanti i figli, stante la fre-quente mancanza di conoscenza diretta degli stessi. A volte le informazioni pos-sedute possono essere contraddittorie, come nel caso delle crisi di astinenzariscontrate in due bambini nati da madri in trattamento metadonico. Cosa chefarebbe pensare alla mancanza di un efficace intervento preventivo a tutela delneonato, o alla permanenza misconosciuta di una tossicodipendenza attiva dellemadri.

Un fatto certo è che i danni provocati al figlio dalla tossicodipendenza attiva

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della madre in gravidanza sono scientificamente dimostrati. Zuckermann e Brown(1996), ad esempio, rilevano come in una tossicodipendente gravida le sostanzepsicoattive attraversano la barriera ematoencefalica e colpiscono il sistema nervo-so centrale del feto in evoluzione, producendo una vulnerabilità biologica che ren-derà il bambino più sensibile ai successivi effetti di un accudimento scadente. Altristudi (Wilson, 1992; Mayes e Truman, 2002) indicano come l’esposizione a sostan-ze stupefacenti in epoca prenatale può compromettere lo sviluppo fetale e condi-zionare anche a distanza di anni la capacità di organizzare il comportamento e diinibire l’attività motoria. Per quanto riguarda l’assunzione di metadone, questaprovocherebbe nel neonato un’astinenza meno grave rispetto all’uso di eroina, marimarrebbero comunque rischi di altre complicanze (Zeanah, 1997).

Inoltre, non solo la tossicodipendenza durante la gravidanza può essere noci-va per lo sviluppo, ma anche l’uso successivo di sostanze da parte della madresarebbe correlato con lo sviluppo di disturbi emotivi del bambino. Kelly (2003), adesempio, dimostra che un fattore cruciale per lo sviluppo del pattern di attacca-mento ansioso nel figlio non è l’esposizione prenatale ma l’uso attuale di sostanzeda parte della madre.

Da ciò consegue che la scelta della madre, tossicodipendente attiva, di inizia-re la cura metadonica in vista della gravidanza, rappresenta già un primo segno dipreoccupazione per la salute del figlio. Ed è comprensibile quindi che l’assenza diquesto cambiamento iniziale favorisca il riscontro successivo di rischi, quali l’in-sorgenza di disturbi psicologici o l’allontanamento del figlio dal nucleo familiare.

A questo proposito, la percentuale riscontrata delle madri tossicodipendentiattive, che arrivano al parto in remissione o avendo iniziato il percorso di disintos-sicazione, è di poco inferiore alla metà. Dato positivo che segnala come la gravi-danza agisca da potente fattore di cambiamento, rappresentando non solo un vin-colo rispetto al progetto di cura ma anche una risorsa supplementare. La prima con-seguenza del diventare genitori è quindi quella di offrire al tossicodipendenteun’opportunità evolutiva.

In particolare, come sottolineano Cirillo et al. (1999) e Berrini et al. (2002), latossicodipendenza femminile sembra assumere una sua peculiarità con la materni-tà, raramente infatti negli studi sono individuate le differenze rispetto al fenomenomaschile. Così, l’attesa della nascita e l’attivazione di compiti genitoriali possonosuscitare nelle madri tossicodipendenti reazioni disorganizzative, ripetitive maanche riparative delle proprie esperienze negative di attaccamento (Fava Vizielloet al., 2000).

Il campione dei genitori che abbiamo studiato è composto da una maggioran-za di padri, composizione che risulta coerente con quella della popolazione dei tos-sicodipendenti adulti, che è per la maggior parte maschile. In particolare circa quat-tro uomini per ogni donna, come abbiamo visto nei dati rilevati dal SevizioDipendenze di Pavia tra il 1999 e il 2001.

Nella nostra ricerca, anche dopo la nascita del figlio, le percentuali di remis-sione per le madri sono superiori alla norma dei casi in carico, cosa che non siverifica per i padri.

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Le madri però, rispetto ai padri, oltre a vivere più direttamente l’opportunitàdi cambiamento offerta dalla gravidanza e dall’accudimento del neonato, usufrui-scono, anche per questa stessa ragione, di maggiori attenzioni ed interventi da partedei servizi. Ciò sembra suggerire che, oltre alla personale motivazione dellepazienti, l’intervento dei servizi assume un ruolo decisivo nel concretizzare lepotenzialità di cambiamento rappresentate dalla maternità.

Nel caso dei padri, invece, gli interventi sono molto più limitati, in coerenzacon quanto rilevato nello studio di D’Ippoliti et al. (1996), secondo cui l’esseremaschio rappresenterebbe un fattore prognostico negativo per la presa in caricodell’adulto tossicodipendente.

La significativa relazione tra la tossicodipendenza materna e la rilevazione didisturbi psicologici nel figlio una volta in più conferma come il rapporto critico trafiglio e caregiver coinvolga soprattutto la madre, figura primaria di attaccamento,il cui rapporto con la tossicodipendenza assume un impatto più destrutturante. Ciòè ribadito anche dal fatto che la tossicodipendenza materna influenza la colloca-zione del figlio, che in questi casi può essere anche allontanato.

La tossicodipendenza paterna può invece peggiorare il livello di rischio per ifigli se accompagna quella della madre, ma appare invece compatibile con un certolivello di garanzie per la loro crescita durante l’infanzia. Un risultato analogo èstato riscontrato nello studio epidemiologico di Bricca et al. (1997) i quali preve-dono, per converso, i potenziali rischi della tossicodipendenza paterna per i figli invista dei processi di identificazione e individuazione adolescenziali.

Psicopatologia e genitorialità

Come abbiamo visto, la psicodiagnosi viene effettuata sulla maggior parte deipazienti genitori. Più della metà delle madri tossicodipendenti presenta disturbi dipersonalità borderline, mentre i padri presentano disturbi più vari (borderline, anti-sociale, narcisistico, dell’umore). Quindi, nel caso di entrambi i genitori tossicodi-pendenti, i disturbi di personalità di cluster B del DSM IV sono la psicopatologiapiù ampiamente riscontrata. Basti e Berrini (2005) sottolineano che questo dato,che indica una disposizione all’instabilità affettiva, all’impulsività ed ai disturbidella relazione, induce a pensare come, per entrambi i sessi, la scelta di diventaregenitore possa essere condizionata, fin dal momento del concepimento, dalla logi-ca del passaggio all’atto e da limiti di consapevolizzazione.

Queste considerazioni introducono il ruolo dalla psicopatologia dei genitorinell’eziologia del danno psicologico subito dal figlio. In proposito, Luthar et al.(1998; 2003) sostengono che la tossicodipendenza della madre non sarebbe neces-sariamente più dannosa, per il benessere socio-emotivo del figlio, di altre malattiepsichiatriche, e che anzi il disadattamento tra i figli di tossicodipendenti sarebbeproporzionale alla gravità dei disturbi psichiatrici, specificatamente della madre.Anche secondo Hans et al. (1999) la compromissione del ruolo materno dipende-rebbe soprattutto dalla dimensione psicopatologica e non direttamente dall’uso di

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sostanze. Nel nostro caso, data la frequenza dominante di madri diagnosticate condisturbo di personalità borderline, non è possibile ottenere una comparazione vali-da tra diverse psicopatologie in rapporto ai disturbi psicologici dei figli. Tuttaviaosserviamo che la metà delle madri con personalità boderline ha un figlio che pre-senta disturbi.

McMahon e Rounsaville (2002) definiscono alcuni aspetti, poco studiati, delrapporto tra tossicodipendenza e paternità, come i fattori che compromettono ilruolo paterno e il conseguente sviluppo dei figli. Ragionevolmente si può ipotiz-zare che il primato della psicopatologia, tra le cause di danno ai figli, valga ancheper i padri, e che anche per loro la ricerca sugli aspetti psicopatologici potrebbefornire i risultati più interessanti. Il riscontro, nella nostra indagine, dell’associa-zione tra il disturbo di personalità antisociale nel padre tossicodipendente e lo svi-luppo di disturbi esternalizzati (della condotta e dell’attaccamento) nei figli, sem-bra confermare questa ipotesi. Ciò concorda in particolare con quanto rilevato daMoss et al. (2001) secondo cui la personalità antisociale nei padri costituirebbe unfattore di rischio aggiuntivo alla tossicodipendenza, in quanto significativamentepiù rischioso per la salute psicologica dei figli del pur grave disturbo di personali-tà borderline.

Questa sottolineatura del ruolo della psicopatologia del genitore nella trasmis-sione del danno psicologico ai figli ci fornisce un ulteriore argomento per postula-re l’utilità di una sua valutazione più sistematica. Pensiamo in particolare allacostruzione di un assessment psicodiagnostico per la popolazione dei tossicodi-pendenti in cura che, secondo molti osservatori, sarebbe sottodiagnosticata. Daalcuni anni si riflette sulla necessità di individuare strumenti e modalità diagnosti-che e di rilevazione che siano omogenee e riproducibili, per poter precisare le variecomponenti psicopatologiche della tossicodipendenza e favorire l’ottimizzazionedei percorsi terapeutici. In questa prospettiva, la difformità nella metodologia psi-codiagnostica utilizzata rappresenta un limite anche operativo.

Nella nostra indagine le psicodiagnosi effettuate hanno riguardato la maggio-ranza dei casi, tuttavia, nonostante l’utilizzo di una medesima griglia di rilevazio-ne, i metodi di formulazione diagnostica non sono stati omogenei bensì variavanoin funzione delle opzioni cliniche dello psicologo o psichiatra che aveva in caricoil paziente. Tale difformità metodologica peraltro non sorprende, anche El Guebalyet al. (1999) hanno rilevato l’esistenza di una certa discrepanza tra i modelli teori-ci e culturali di riferimento e la pratica terapeutica quotidiana reale che i profes-sionisti adottano con i pazienti tossicodipendenti.

Una limitazione ulteriore, nel caso in cui il tossicodipendente sia anche geni-tore, è caratterizzata dalla generale mancanza di strumenti di valutazione dellaresponsività genitoriale, definibile come la capacità del genitore di rispondere ade-guatamente e prontamente ai segnali del bambino. Ciò frustra la possibilità diattuare, in funzione preventiva, piani di intervento precoce anche a tutela dei figli.

Un caregiver responsivo sviluppa un’intersoggettività comprendendo le emo-zioni del bambino e usando le proprie espressioni emotive per regolare l’interazio-

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ne affettiva. In questa dinamica assume particolare importanza la reciprocità dellarelazione, la capacità cioè del genitore di condividere lo stato emotivo del bambinoin termini di disponibilità e di sintonizzazione emotiva (Osofsky, 1999). La respon-sività del caregiver, a propria volta, favorisce la costruzione, nel contesto di unattaccamento sicuro, di quella abilità metacognitiva del proprio e altrui stato men-tale chiamata “Sé riflessivo” (Fonagy et al., 1999). Infine, l’integrità delle compe-tenze metariflessive rappresenta un fattore prognostico favorevole anche nel per-corso terapeutico mirato al recupero delle funzioni genitoriali di pazienti adulti.

E’ evidente come il riferimento a questa concezione intersoggettiva dellaresponsività genitoriale, studiata all’interno della teoria dell’attaccamento, richie-da uno sforzo di modificazione notevole della rappresentazione dell’oggetto dicura, soprattutto da parte degli operatori dei Servizi Dipendenze, in genere attentisoprattutto al disagio individuale del tossicodipendente.

In questa prospettiva si comprende l’importanza di studiare la tossicodipen-denza dal punto di vista della teoria dell’attaccamento. Gli studi più recenti sul-l’interpretazione della tossicodipendenza come sintomo pongono l’enfasi sull’in-capacità di questi soggetti di regolare i propri stati affettivi (Gabbard, 1990), ovve-ro su un disturbo di regolazione del Sé che ha origine in epoche precoci dello svi-luppo, all’interno delle interazioni madre-bambino. Le storie di molti soggetti tos-sicodipendenti, secondo Horowitz e Overton (1992), sembrano caratterizzate dadisorganizzazioni del sistema autoregolativo del Sé, a partire da interazioni dis-funzionali precoci che si trasformano in pattern disadattivi durante le fasi di cre-scita, prima fra tutte l’adolescenza.

A maggior ragione assume interesse la possibilità, fornita dai più recenti studisull’attaccamento, di seguire il percorso della strutturazione dei “modelli operativiinterni” (Bowlby, 1972; Bretherton 1992; Crittenden; 1994) nelle diverse fasi dellavita, in particolare nell’età prescolare, nell’adolescenza e nell’età adulta. Il concet-to di trasmissione intergenerazionale degli stili di attaccamento, già anticipato nel-l’introduzione, ci permette di apprezzare l’importanza di una valutazione diagno-stica dell’attaccamento dell’adulto. La qualità del mondo relazionale interno delgenitore tossicodipendente risulta infatti parte integrante della costruzione e inte-riorizzazione dell’attaccamento del figlio, nel sistema originario composto dallarelazione diadica genitore-bambino.

Uno strumento diagnostico dell’attaccamento nell’adulto è rappresentatodall’Adult Attachment Interview (Main et al,. 1985; Crittenden, 1994), un’intervi-sta semistrutturata che si propone di valutare lo stato della mente dell’adulto sullabase della capacità del soggetto di narrare sé stesso e la propria storia relazionalenel legame con i propri genitori. Le categorie dell’attaccamento dell’adulto, cosìdefinite, sono analoghe a quelle dell’attaccamento infantile proposte da Ainsworthet al. (1978).

Come abbiamo gia notato nella parte introduttiva, la trasmissione intergenera-zionale degli stili di attaccamento implica fatalmente, nel sistema familiare delgenitore tossicodipendente, la trasmissione intergenerazionale di una carenza,

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peraltro in genere misconosciuta. Cirillo et al. (1996) ne illustrano uno schema pro-cessuale in sette stadi che porta allo sviluppo della patologia. Attraverso lo studiodelle tipologie familiari gli autori riescono a definire le connessioni esistenti tra ipercorsi relazionali dei pazienti, la trasmissione intergenerazionale e lo sviluppo diuna psicopatologia prevalentemente connessa alla tossicodipendenza. Si trattaquindi di una vera e propria diagnosi trigenerazionale che integra la storia fami-liare dei genitori nell’eziologia dei loro esiti psicopatologici e, conseguentemente,dei rischi di trasmissione del danno ai loro figli.

A questo proposito, la nostra indagine ha messo in luce parziali conferme del-l’esistenza di possibili rapporti diretti (come postulato da Cirillo e collaboratori) trail percorso familiare del genitore e tipo di psicopatologia sviluppata. Le madri tos-sicodipendenti, ad esempio, sono più frequentemente collocabili nel percorso due,in cui prevale la confusione/impulsività, con conseguente prevalenza di personali-tà borderline. I padri invece sono più frequentemente collocabili nel percorso uno,in cui prevale l’ansia di separazione. Significativa è poi nei padri l’associazione trail tipo familiare gravemente carenziato e la personalità antisociale, nel quadrodella quale la droga alimenta gli agiti.

Sempre restando in un ambito di intervento diagnostico – valutativo, una fasespecifica è rappresentata dalla proposta di Cirillo (1997) di costruire un contesto divalutazione della ricuperabilità delle funzioni genitoriali. Questa operazione partedalla consapevolezza che l’incapacità del tossicodipendente di sintonizzarsi sullecompetenze genitoriali segnala la presenza di un vincolo protratto di dipendenzainfantile e di un mondo interiore dominato da relazioni affettive insoddisfacenti.L’emancipazione verso un codice di relazione più adulto può essere quindi favo-rita dalla costruzione di un’alleanza che faccia sentire il paziente “compreso” perle carenze affettive subite come figlio e/o come partner, e “disposto” a fare qual-cosa per non trasferirle a sua volta al proprio figlio. Questo approccio ha il van-taggio di favorire le condizioni per un aggancio terapeutico anche in casi in cui nonve ne è una esplicita richiesta. Il Servizio Dipendenze può così stabilire un’utilealleanza, in primo luogo con il Tribunale per i Minorenni, e in secondo luogo coni Consultori Familiari e i Servizi di Neuropsichiatria Infantile, deputati alla valuta-zione preliminare del danno subito dal figlio. E’ proprio sull’evidenza del danno,infatti, che si può fare leva per motivare il genitore al cambiamento e stimolarlo adun percorso terapeutico che lo aiuti a consapevolizzare il significato emotivo erelazionale della sua attuale inadeguatezza.

Concludendo possiamo sostenere che, rispetto ad un obiettivo complessocome la cura della relazione genitoriale del paziente tossicodipendente, si rendenecessaria un’integrazione delle prassi diagnostiche e terapeutiche per poter giun-gere ad un inquadramento psicodiagnostico multidimensionale. Cioè un insieme divalutazioni che comprenda la dimensione della psicopatologia, quella della tossi-codipendenza e quella delle risorse della relazione genitoriale, per arrivare a valu-tare anche le potenzialità clinico-evolutive della funzione materna o paterna deltossicodipendente.

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Danno per i figli

Malagoli Togliatti e Mazzoni (1993) distinguono il possibile danno per i figli,conseguente alla tossicodipendenza dei genitori, nel suo aspetto sanitario (comel’assunzione di metadone o il contatto con siringhe infette per incuria del genito-re), sociale (come i frequenti cambiamenti di contesti abitativi e sociali) e psicolo-gico (come lo sviluppo di disturbi psichici da parte dei figli). Gli studi che riguar-dano i figli di tossicodipendenti in genere ne mettono in luce la fragilità psicologi-ca. Reder e Lucey (2000), ad esempio, attribuiscono loro problemi di differenzia-zione psicologica e di formazione dell’identità, scarse competenze relazionali coni pari, bassa autostima e scarsa abilità nella gestione dei conflitti.

Per quanto riguarda la percentuale di disturbi psicologici nei figli di madritossicodipendenti, quella che abbiamo rilevato (54.7%) si avvicina a quanto ripor-tato in altre ricerche. Luhtar et al. (1998), ad esempio, hanno osservato disturbi psi-cologici nel 61% di figli (tutti in età scolare, dai 7 ai 17 anni) di madri tossicodi-pendenti, mentre Weissman (1999) in una ricerca analoga riscontra un 60% di casi.Essendo il nostro campione composto da figli (da 0 a 18 anni) mediamente all’ini-zio dell’età scolare, ed essendo plausibile assumere che alcuni disturbi siano di piùdifficile riscontro nell’età prescolare, possiamo considerare la nostra rilevazione inlinea con quelle citate.

La maggiore frequenza di disturbi psicologici, da noi rilevata nei figli maschi,rappresenta la possibile conferma di quella diversa vulnerabilità tra i due sessiriscontrata anche da Luthar e Cushing (1999). Questi autori hanno osservato, inuna ricerca come i figli maschi di tossicodipendenti subivano maggiormente l’in-fluenza negativa del contesto sociale disagiato rispetto alle femmine, le quali vice-versa beneficiavano maggiormente della presenza di operatori professionali di sup-porto.

In particolare, il tipo di disturbi psicologici che abbiamo rilevato trova riscon-tro nei risultati di diverse ricerche sull’argomento, che segnalano appunto come ifigli dei genitori tossicodipendenti manifestino disturbi dell’attaccamento (Rodniget al., 1989) e della condotta (Gabel e Shindledecker, 1992), siano spesso trascu-rati (Fava Viziello et al., 1997a), e possano presentare disturbi psicosomatici(McAvay et al., 1999), difficoltà scolastiche (Kumpfer, 1987) nonché svariati ritar-di di sviluppo (Bauman e Levine, 1986; Van Baar, 1990).

I disturbi dell’attaccamento traggono origine da specifiche problematichelegate alla relazione con i caregivers. Molti ricercatori hanno studiato la connes-sione tra la qualità dell’attaccamento nella prima infanzia e l’adattamento durantelo sviluppo (Thompson e Lamb, 1983; Grossmann e Grossmann, 1991; VanIJzendoorn et al., 1995a). Pur essendo accertato che la sicurezza nell’attaccamen-to rappresenta una base affettiva che favorisce lo sviluppo, le modalità di attacca-mento insicuro, allo stato attuale delle conoscenze, non sono predittive del tipo didisturbo di personalità che un soggetto potrebbe sviluppare durante la crescita.Tuttavia Zeanah et al. (1996) sottolineano come un disturbo dell’attaccamentopossa contribuire, insieme ad altri fattori eziologici, all’insorgenza successiva di

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altre forme psicopatologiche come i disturbi della condotta, la depressione mag-giore, i disturbi da inibizione sociale.

Secondo Zeanah e collaboratori, i figli di tossicodipendenti, in quanto spessotrascurati, tendono a sviluppare stili di attaccamento di tipo evitante, caratterizza-ti dall’inversione di ruoli, con l’assunzione cioè di responsabilità normalmenteassunte dai genitori. L’inversione sarebbe favorita dalla massiccia identificazioneproiettiva operata dal genitore sul figlio, il quale così svolgerebbe inconsciamentela parte a lui richiesta, e può assumere sia la forma del controllo-accudimento siaquella del controllo-punizione. Fabris e Pigatto (1988) parlano dell’adultizzazioneprecoce dei figli dei tossicodipendenti anche come forma di difesa dalla frammen-tazione. Un’altra caratteristica di questo stile di attaccamento è l’iperadeguatezza,il bambino, ad esempio, mantiene una prossimità non ansiosa alla figura di attac-camento nei luoghi non familiari, tanto da apparire ad un primo impatto come auto-nomo e sufficientemente adattato. Proprio per queste caratteristiche questi bambi-ni solitamente sfuggono (più facilmente di quanto non accada per i bambini mal-trattati) all’attenzione delle istituzioni, anzi, in ambito scolastico, possono appari-re sovente più tranquilli e adeguati di altri.

Per quanto riguarda la trascuratezza ci riferiamo ad un comportamento deigenitori più che un disturbo del figlio, ma possiamo assumere che essa rappresen-ti per i figli una causa diretta di danno. La trascuratezza dei genitori può manife-starsi infatti sia come incuria verso i bisogni elementari dei figli sia come nonrispondenza verso i loro bisogni psicoaffettivi. Secondo Crittenden (1994), più chedifficili, o compulsivamente acquiescenti come i maltrattati, questi bambini tendo-no ad essere passivi, insensibili agli stimoli ambientali, chiusi verso i coetanei, dis-organizzati, a volte aggressivi, oscillando tra il polo della depressione a quello del-l’iperattività. La disattenzione nei confronti dei loro tentativi di esplorazione, oltrea esporli oggettivamente ai pericoli, ne limita le capacità esplorative. Si tratta dibambini che, nonostante presentino una sintomatologia meno eclatante, subisconospesso ferite più profonde e dolorose rispetto ai bambini maltrattati.

Diversi ricercatori riscontrano ritardi di sviluppo psicomotorio nei figli dimadri tossicodipendenti, a partire dai rischi rappresentati dal consumo di sostanzein gravidanza. Il ritardo può sia manifestarsi nel periodo neonatale (Chasnoff et al.,1986) sia permanere, a diversi gradi di espressività, nel corso di tutta la vita(McCance-Katz, 1991).

Per quanto riguarda i ritardi di sviluppo cognitivo, Sowder e Burt (1980)hanno riscontrato punteggi più bassi (rispetto alla popolazione normale) nei testsdi intelligenza dei figli di tossicodipendenti dai 3 ai 7 anni, mentre dagli 8 ai 18anni hanno rilevato maggiori difficoltà scolastiche (di apprendimento, adattamen-to ambientale e comportamento). Ciò conferma che il rischio di disadattamentoscolastico per i figli di tossicodipendenti sarebbe comunque superiore alla norma,nonostante la tendenza all’iperadeguatezza. In particolare, le difficoltà scolastichesono una problematica riscontrabile appunto solo in età scolare e quindi potenzial-mente sottostimata nel campione da noi studiato, in cui i bambini hanno un’etàmedia coincidente con l’inizio della scolarità.

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Come abbiamo già evidenziato a proposito dei tossicodipendenti adulti, ancheper i loro figli si notano limiti nella rilevazione psicodiagnostica. I figli spessosuscitano attenzione più per le difficoltà evidenziate dalla madre (infatti i figli dimadri con disturbo borderline sono segnalati al Tribunale per i Minorenni nellaquasi totalità dei casi) piuttosto che per le difficoltà direttamente osservate su diloro (infatti solo alla metà di essi è attribuita una forma di disturbo psicologico).

Nella nostra indagine, la rilevazione psicodiagnostica sui figli riguarda lamaggioranza dei casi, tuttavia abbiamo riscontrato che, nonostante il riferimentoad una medesima griglia di disturbi, i criteri di formulazione non possono essereconsiderati del tutto omogenei. In diverse situazioni la stima del disagio dei bam-bini, fornita al momento dell’intervista, appariva influenzata, più che dall’osserva-zione sistematica, dall’area di funzionamento psicologico osservata in modo privi-legiato. Le diverse opzioni cliniche dei professionisti, quindi, ci sono sembrateavere un ruolo preponderante nel selezionare gli aspetti da osservare e queste varia-zioni metodologiche riducono le possibilità di apprezzare chiaramente la presenzadi disturbi psicologici o dei loro precursori soprattutto in bambini di età prescola-re. Ciò avviene a maggior ragione nella prima infanzia, fase dello sviluppo infan-tile in cui la patologizzazione dei segni di disagio psicologico è un’operazione deli-cata a causa della plasticità degli equilibri evolutivi. A questo bisogna aggiungereche il 20% dei figli non è stato conosciuto dai Consultori Familiari e la rilevazio-ne diagnostica non è quindi stata effettuata.

Tali considerazioni delineano la presenza di un problema simmetrico traServizi Dipendenze e Consultori Familiari che aggiunge un ulteriore argomento afavore della costruzione di modalità operative e metodologiche integrate nella dia-gnostica e nella cura dei genitori tossicodipendenti e dei loro figli.

Queste osservazioni avvalorano la scelta di utilizzare la diagnosi dell’attacca-mento, che offre indubbi vantaggi comparativi in quanto verte su una dimensionepsicologica cruciale sia del bambino che dell’adulto.

A proposito della diagnosi dell’attaccamento del bambino nell’età prescolarepossiamo citare alcuni strumenti interessanti, tra cui i seguenti. Il Test diCompletamento di Storie di Emde, descritto in Fava Viziello et al. (1997b), nelquale il bambino è invitato a concludere storie incomplete di personaggi di unafamiglia. L’Attachment Q-Sort (AQS) di Waters, nell’adattamento italiano diCassibba e D’Odorico (2000), che permette di osservare alcuni semplici compor-tamenti del bambino in ambienti naturali. Il Separation Anxiety Test (SAT) diKlagsbrun e Bowlby nella versione adattata di Attili (2001) che valuta l’attacca-mento dei bambini attraverso reazioni e risposte a ipotetiche separazioni dai geni-tori presentate attraverso illustrazioni.

Ma la qualità dell’attaccamento diagnosticabile sul figlio è in qualche modotrasmessa, come abbiamo visto nell’introduzione, dalle modalità di rapporto pro-poste dal genitore, costruite nella storia dei suoi attaccamenti infantili a loro voltadiagnosticabili con l’Adult Attachment Interview. Questa catena intergeneraziona-le della qualità dell’attaccamento è confermata anche da recenti studi. Utilizzandol’AAI, Fava Viziello et al. (2000) hanno riscontrato in madri tossicodipendenti una

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prevalenza di attaccamenti insicuri, associati all’impossibilità di organizzare unmodello di attaccamento unitario, alla caratteristica dell’invischiamento e allemanifestazioni agite nel sintomo. Per converso, Simonelli e Fava Viziello (2002)hanno messo in evidenza in figli di madri tossicodipendenti l’81% di pattern diattaccamento insicuro, come strategia prevalente nell’interazione diadica. Madriinsicure, quindi, hanno più facilmente figli insicuri e l’insicurezza dell’attacca-mento rappresenta un carattere comune e transgenerazionale.

La connessione descritta influenza anche l’approccio alla valutazione deldanno dei figli. Zeanah (1997), ad esempio, considera la valutazione dell’espe-rienza soggettiva del genitore come parte integrante della diagnosi dell’attacca-mento del bambino (soprattutto le percezioni del genitore e l’interazione genitore-figlio). Hirsberg (1996) sostiene che la valutazione psicodiagnostica dei bambinideve essere effettuata all’interno del contesto delle loro famiglie, ponendo atten-zione sia alla sofferenza che i genitori rivelano, sia alla storia che riportano circa iproblemi del bambino. Emde et al. (1996) parlano della necessità di sviluppare unavalutazione intergenerazionale della salute mentale del bambino. In primo luogo,perché le trasformazioni in età evolutiva devono essere classificate diversamenterispetto alle rigide costellazioni di sintomi che indicano la presenza di disturbi nellesuccessive fasi della vita. In secondo luogo, perché la valutazione del bambinodovrebbe essere orientata alla prevenzione, avendo attenzione ai disturbi potenzia-li quanto a quelli manifesti.

Infine, nella prospettiva di creare una sinergia operativa per la costruzione delcontesto di valutazione della recuperabilità del tossicodipendente genitore, pen-siamo che la psicodiagnosi del bambino debba soddisfare alcune caratteristiche.Innanzitutto, dovrebbe comprendere il disturbo del figlio come collegabile al com-portamento dei genitori, leggere cioè il disturbo in termini eminentemente relazio-nali, per poterlo qualificare come “danno” subìto in rapporto causale con il com-portamento dei genitori, nel contesto in cui si richiede ai genitori un cambiamen-to. Ciò comporta la condivisione di questa significazione del disturbo anche tra iprofessionisti dei diversi servizi. In secondo luogo, dovrebbe identificare il disagioanche come indizio e non solo espressione di un disturbo psicologico, perseguirecioè finalità preventive, con l’utilizzo di metodi e criteri clinici mirati ed uniformi.Avendo l’obiettivo di attivare, se non proprio la collaborazione dei genitori, perlo-meno l’attenzione dei servizi, anche in presenza di un “danno” non manifesto.

Relazioni familiari

La percentuale di separazioni tra i genitori tossicodipendenti (circa la metàdei casi nel nostro campione) condiziona la vita dei figli, spesso collocati pressoi nonni o aventi una relazione costante con un solo genitore (nella maggioranzadei casi la madre, soprattutto nel caso della tossicodipendenza esclusivamentepaterna).

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Anche Marconi (1992) attraverso un’indagine sulla popolazione italiana hamesso in evidenza, tra i fattori di rischio per i figli di tossicodipendenti, le separa-zioni della coppia genitoriale (anche più frequenti di quelle da noi riscontrate, circai tre quarti dei casi) che comportano interruzioni di rapporto, sostituzioni di perso-na e carenza della figura paterna.

Nella nostra rilevazione, la tendenza alla separazione non sembra associataalla presenza della tossicodipendenza paterna o materna, ma risulta piuttosto unacaratteristica generalizzata di questa popolazione.

La fragilità delle unioni familiari dei tossicodipendenti è sostenuta dalla diffi-coltà che essi presentano nel portare a termine il processo di emancipazione dalrapporto primario con i propri genitori. Cirillo et al. (1996) rilevano come gli stes-si comportamenti tossicomanici sarebbero il sintomo di un difficile processo diregolazione delle distanze, complicato dalla mancata autonomia e differenziazionedalla famiglia di origine. Questa sarebbe la ragione per cui anche per la riuscita deltrattamento terapeutico essi considerano opportuno coinvolgere anche i genitori senon i nonni dei pazienti stessi. Gli autori hanno messo in evidenza come il trattoche caratterizza il sistema familiare del tossicodipendente è la trasmissione inter-generazionale di una carenza misconosciuta, cioè di una sofferenza che coinvolgealmeno tre generazioni: il tossicodipendente, i suoi genitori e i genitori dei suoigenitori.

Conseguenza di questa difficile transizione è che i nonni hanno un ruolo spes-so preponderante anche nei confronti dei nipoti, i quali si trovano inseriti all’inter-no di una complessa rete di rapporti intergenerazionali. Nello studio epidemiologi-co di Bricca et al. (1997) la presenza dei nonni nella vita dei bambini, sia comeconviventi insieme ai genitori, sia come affidatari, riguarda il 37.4% dei casi. Alcontrario il ricorso all’adozione come misura di tutela dei minori è stata riscontra-ta solo in casi eccezionali. Nella ricerca di Pigatto (1997) la presenza dei nonni inqualità di affidatari dei nipoti è stimata nella misura del 23,7%. Nel nostro caso, ifigli collocati presso i nonni (anche con la presenza più o meno transitoria di ungenitore) sono rilevati in una percentuale analoga, il 22% del totale. Le colloca-zioni di affido eterofamiliare e di adozione risultano invece più limitate, entrambenel 5% dei casi. Non abbiamo riscontrato associazioni tra il tipo di collocamento ela rilevazione di disturbi psicologici nei figli.

A proposito dell’affidamento eterofamiliare gli studi sottolineano aspetti nonsempre coerenti, che meriterebbero ulteriori approfondimenti. McNichol e Tash(2001), in uno studio comprendente 268 bambini di età scolare in affidamento,hanno riscontrato che i figli di madri tossicodipendenti, attive durante la gravidan-za, presentavano inizialmente prestazioni cognitive basse (tendenti però a miglio-rare significativamente durante l’affido) e anche una più alta incidenza di proble-mi comportamentali nella scuola. Tyler et al. (1997), al contrario, hanno osservatoche i figli cresciuti nelle famiglie di origine avevano uno sviluppo cognitivomigliore di quelli cresciuti in famiglie affidatarie. Leenders e Groeneweg (1988),che hanno condotto uno studio longitudinale su una casistica di figli di tossicodi-

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pendenti cresciuti in famiglia o in affidamento, hanno riscontrato sia una signifi-cativa percentuale di situazioni positive in ambito familiare, sia un’assenza di cor-relazione tra l’uso di sostanze e la qualità dell’interazione genitore-bambino.Leenders commenta quindi che “in determinate condizioni, e probabilmente graziead attitudini particolari, una maternità o una paternità più o meno accettabili pos-sono combinarsi con un uso ‘integrato’ della droga” (1997, p. 41-42). A partire daquesto risultato l’autore rileva la necessità di una particolare attenzione nelle scel-te di allontanamento (da attuarsi possibilmente con il consenso dei genitori esoprattutto dei figli, se già possono esprimersi), così come nella valutazione delleeffettive potenzialità dei genitori tossicodipendenti.

A proposito dell’ affido ai nonni, i professionisti dei servizi spesso optano perquesta soluzione perché pensano che il legame di attaccamento tra nonni e nipotisia l’unico in grado di fornire al bambino quella continuità, necessaria all’equili-brio psicologico, che il rapporto con il genitore tossicodipendente non riesce agarantirgli. Tuttavia, anche se la collocazione familiare del figlio non sembra rap-presentare in sé un elemento di rischio (come emerge anche dai nostri risultati),alcuni autori, tra cui Cirillo (1996), esprimono perplessità sulla scelta di affido ainonni, in particolare riguardo al rischio di riproduzione, all’interno della relazionetra nonni e nipoti, delle stesse modalità patogenetiche che hanno portato alla tossi-codipendenza dei figli.

L’autore sottolinea invece la necessità di considerare il più precocemente pos-sibile un intervento provvisorio di tutela del bambino e un parallelo incarico ai ser-vizi competenti, da parte del Tribunale per i Minorenni, di valutare le risorse deisuoi genitori. Un eventuale collocamento provvisorio extrafamiliare coniughereb-be infatti l’esigenza di protezione del minore con le esigenze di cura dei genitori, iquali possono venire motivati al proprio recupero dal richiamo alla responsabilitàgenitoriale.

Cirillo critica invece l’affidamento ai nonni come misura generalizzata e quasiautomatica, la quale sembra rispondere nell’immediato all’esigenza di protezionedei bambini, ma rischia di frapporre gravissimi ostacoli al recupero dei genitori.Perché per il tossicodipendente l’incapacità genitoriale è spesso un messaggiorivolto ai propri genitori. Ad esempio, per una giovane donna tossicodipendente ilfiglio può essere usato come un estremo richiamo nei confronti di una madre fru-strante ed insoddisfacente. In realtà il fallimento delle aspettative di ottenere qual-che vantaggio è inevitabile, e si produce sia quando la nonna non risponde alrichiamo rifiutando di occuparsi del nipote, sia quando si mostra disponibileinstaurando con lui un rapporto che esclude la figlia. L’affido ai nonni quindi fre-quentemente rischia di demotivare i genitori anziché mobilitarli. Lo stabilirsi di unrapporto diretto nonno-nipote scavalca il figlio-genitore facendolo sentire semprepiù inutile e doppiamente fallito, come figlio e come genitore. Per il bambino cherimane nella stessa famiglia allargata è concreto il rischio di ripetere la stessa sto-ria patologica del genitore o viceversa di essere violentemente sospinto a differen-ziarsi da lui, con l’evidente danno rappresentato dalla distruzione dell’immagineparentale.

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Servizi e presa in carico

La letteratura internazionale conferma che un supporto psicologico e socialealle madri tossicodipendenti risulta particolarmente indicato, in quanto esse ten-dono a presentare le maggiori difficoltà nel comportamento interattivo e, soprat-tutto all’inizio della maternità, sembrano essere particolarmente motivate a perse-guire l’astinenza e ad accettare aiuto (Luthar e Suchman, 2000; Pajulo et al., 2001;Eiden, 2001). Zeanah (1997) sottolinea l’utilità degli interventi sulla crisi familia-re, come pure delle consultazioni di sostegno e della psicoterapia madre-bambino.Ma in particolare egli sostiene che l’unica peculiarità di questa casistica sarebbe lanecessità di coordinare l’intervento sui bambini con quello sui genitori tossicodi-pendenti. Come abbiamo visto, Cirillo (1997) propone, nell’intervento psicotera-peutico con il tossicodipendente genitore, un’alleanza sul riconoscimento della suasofferenza di figlio, utilizzando a fini terapeutici la motivazione a recuperare lapropria genitorialità danneggiata.

Riguardo agli interventi finalizzati a migliorare la sensibilità e responsivitàgenitoriale materna, Van Ijzendoorn et al. (1995b) hanno riscontrato maggioririsultati con trainings ed interventi preventivi a breve termine rispetto ad interven-ti terapeutici a lungo termine. Tuttavia la sperimentazione dell’efficacia di un trai-ning metariflessivo con madri tossicodipendenti non ha portato a risultati univoci.

Per quanto riguarda gli interventi rilevati dalla nostra indagine, il ServizioDipendenze ha effettuato prevalentemente interventi di psicoterapia individuale edi inserimento in comunità, conformemente alla generale prassi di lavoro con i tos-sicodipendenti. Gli interventi proposti alle madri e ai padri trovano una diversapercentuale di collaborazione, quelli effettuati sulle madri sono la maggioranza eciò sembra rendere conto, insieme al più diretto coinvolgimento nella gravidanza,della risposta globalmente più positiva di remissione dall’uso di sostanze. Il ruolopositivo della maternità sull’esito del percorso terapeutico è confermato dal fattoche le madri presentano percentuali di remissione quasi doppie rispetto alla per-centuale media della casistica trattata, alla quale si conformano invece i padri.

L’intervento dei Consultori Familiari, invece, si compone in prevalenza diinterventi di supporto ai genitori e di supporto al figlio palesando un’attenzionecondivisa per genitori e figli ma coprendo soltanto la metà della casistica dei figliminori, un quinto dei quali risultano completamente sconosciuti ai servizi. Di que-sti bambini, anche in questo senso inascoltati, è quindi impossibile stabilire lo statodi salute, oltre che intervenire in senso preventivo o terapeutico.

Ciò segnala, in primo luogo, le caratteristiche sfuggenti della popolazione inesame, il cui coinvolgimento si attua nella maggior parte dei casi in seguito allarichiesta prescrittiva del Tribunale per i Minorenni. Anche Leenders (1997) sotto-linea questo aspetto riferendo che in Olanda più della metà dei bambini e dei lorogenitori consumatori di droghe pesanti risulterebbero sconosciuti ai servizi. Eglisostiene che il cosiddetto “segreto di famiglia” può impedire ai tossicodipendentidi chiedere aiuto, e la paura di essere sanzionati e respinti rende questi gruppi fami-liari molto difficili da avvicinare. Questo anche da parte di servizi il cui obiettivo

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è la riduzione del danno attraverso interventi di prevenzione primaria (dalla dia-gnosi precoce dei disturbi di relazione, all’affiancamento dei genitori nella cura delbambino). D’altra parte Leenders mette in guardia anche dal fatto che l’individua-zione non richiesta di tali famiglie potrebbe creare problemi supplementari, soprat-tutto incidendo sul delicato equilibrio comunque costruito con l’ambiente socialecircostante.

L’adattamento sociale dei figli di tossicodipendenti, inoltre, potrebbe ancheapparire adeguato, anche se ciò non garantirebbe del loro stato di buona salute psi-chica. Così come non risulta essere una garanzia il fatto che, anche in età scolare,dalle istituzioni educative non provengano segnalazioni ai servizi. Infatti , comeabbiamo visto, questi bambini non tendono a manifestare comportamenti distrutti-vi (possibili antecedenti di un disturbo impulsivo di personalità), ma eventualmen-te la tendenza al ritiro o all’isolamento (possibili antecedenti di un disturbo affet-tivo) che a prima vista possono essere interpretabili anche come doti di tranquilli-tà e riflessività.

La totale mancanza di informazioni su una rilevante percentuale di casi puòprestarsi a interpretazioni contrastanti, non si tratta di postulare la presenza di unrischio evolutivo in tutti i casi sconosciuti, sicuramente buona parte di essi nonarrivano ai servizi perché effettivamente non presentano significativi disagi.Tuttavia, in funzione preventiva, appare necessaria una particolare attenzione per-ché i bambini con problematiche sfuggenti possano essere conosciuti e ascoltati daiservizi. Può essere indicato avere un’attenzione non persecutoria ma capace di pas-sare, dalla costruzione dell’alleanza con i genitori, all’attesa di una disponibilità atrattare gli eventuali problemi del figlio. In altri casi invece l’attenzione per lamanifestazione di un possibile danno al figlio deve contemplare il ruolo delTribunale per i Minorenni nel progetto di necessario cambiamento dei genitori.

Ma modulare l’attenzione ed effettuare le scelte più opportune è un obiettivoche presuppone un intervento possibilmente integrato da parte dei servizi, cioè pre-sume che i servizi si ascoltino reciprocamente .

Secondo i risultati della nostra ricerca preliminare, citata nell’introduzione(condotta dal 1997 al 1999), le prassi dei Servizi Sociosanitari nella gestione dellacasistica dei tossicodipendenti genitori e dei loro figli erano le più varie. Spesso,da parte dell’Ospedale dove nasce il figlio, veniva attivato il Tribunale per iMinorenni, ma ciò non avveniva di norma in tutti i casi, anche quando il riscontrodi una crisi di astinenza nel neonato forniva la conferma di un rischio. Anche perquanto riguarda il tipo di rapporto tra i servizi, si osservavano modalità diverse: inalcune zone la collaborazione instaurata permetteva al Consultorio Familiare diconoscere molti bambini i cui genitori erano in carico al Servizio Dipendenze, inaltri casi questa conoscenza appariva ridotta al minimo.

La collaborazione tra Servizio Dipendenze e Consultorio Familiare è stata sti-molata anche attraverso il percorso della ricerca-intervento. In particolare nell’areadi Pavia è possibile riscontrare, nei risultati della presente indagine, il raggiungi-mento di una discreta intesa organizzativa, oltre all’aumento della percentuale di

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genitori conosciuti sul totale dei pazienti tossicodipendenti in carico. Nella mag-gior parte dei casi si riscontra una collaborazione tra diversi servizi e le segnala-zioni al Tribunale per i Minorenni (che possono avvenire solo quando i minori sonoconosciuti) sembrano rispondere efficacemente a finalità preventive.

Un approccio integrato dei servizi (in particolare tra Servizi Dipendenze eConsultori Familiari o Servizi di Neuropsichiatria Infantile) è implicato dal rap-porto necessario che lega la valutazione del danno nel figlio al contesto di valuta-zione della recuperabilità del genitore. Questi due percorsi di valutazione possonoportare ad eventuali interventi paralleli su genitori e figli e convergono in partico-lare sul tema della genitorialità. Ciò è favorito dalla condivisione di un modellointerpretativo fondato sulla matrice sistemica della teoria dell’attaccamento chepermette di comprendere, nella sua complessità, sia il disagio dei genitori che quel-lo dei figli, e inquadrare meglio le difficoltà di un paziente che è contemporanea-mente tossicodipendente, portatore di una psicopatologia e genitore.

A nostro avviso, un modello di lavoro integrato contribuisce a creare un con-testo di contenimento che favorisce anche l’integrazione dell’identità del tossico-dipendente, il cui mondo interno scisso tende a riprodursi nel rapporto con l’ester-no, condizionando inevitabilmente anche le dinamiche dei servizi stessi. Di conse-guenza, l’integrazione rappresenta anche un fattore protettivo per la salute menta-le dei professionisti, in quanto permette di creare uno spazio comune di riflessionesui propri vissuti emotivi.

CONCLUSIONI

I risultati della ricerca e i temi discussi ci portano a riflettere su alcune delleaffermazioni e delle prassi dei professionisti dei servizi, che a volte esprimono con-cezioni e credenze al limite del pregiudizio. Nell’immaginario collettivo concetticome genitorialità, tossicodipendenza e tutela dei minori non hanno una facileconvivenza e alcuni autori ipotizzano che, all’origine dello scarso interesse deglistudi per queste tematiche, ci sia una sorta di resistenza a trattare insieme questecondizioni. Mentre la genitorialità rappresenta la realizzazione piena della perso-na, la tossicodipendenza invece è vista come il segno di un fallimento esistenziale.

Indubbiamente, si tratta di un contesto in cui scelte e valutazioni sono di persé molto difficili. Spesso assistiamo a contrapposizioni rigide, tra l’interesse delfiglio e quello del genitore, che paralizzano la potenziale collaborazione dei servi-zi. Altrettanto spesso la valutazione di una situazione di rischio per il bambino (conla conseguente attivazione del Tribunale per i Minorenni) non è per niente sempli-ce, soprattutto a causa dell’indeterminabilità dell’evoluzione psicologica e relazio-nale infantile. Così, anche per i professionisti, può risultare difficile distinguere seuna segnalazione è protettiva per il figlio o punitiva per i genitori, e lo stesso valeanche per la valutazione dei vantaggi e degli svantaggi della separazione tra geni-tori e figli.

43STUDI E RICERCHE

Ma è nell’esperienza emotiva dei professionisti che possiamo apprezzare l’in-fluenza dei pregiudizi culturali. Sia per chi si occupa di tossicodipendenti, sia perchi si occupa di tutela dei minori, non è semplice tollerare il fatto che questi geni-tori sono spesso resistenti a farsi curare, sono disattenti nei confronti dei figli edhanno continue alternanze di comportamento, senza diventare punitivi nei loroconfronti o, in alternativa, negare la sofferenza dei bambini.

Inoltre, l’irritazione verso il tossicodipendente può non essere completamentecompresa nella sua valenza controtransferale e continuare ad alimentarsi dei pre-giudizi legati ad una patologia fortemente stigmatizzata sul piano sociale. In altreparole, mentre lo studio e l’esperienza solitamente aiutano il professionista a supe-rare le idee preconcette, sembra che la compresenza di un figlio trascurato e di ungenitore tossicodipendente attivi livelli emotivi profondi, in cui il pregiudizio ritor-na ad avere spazio e potere.

Le risposte emotive di rabbia e rifiuto dei professionisti possono esprimereconvinzioni come quella che i tossicodipendenti non dovrebbero avere figli, o evo-care la rappresentazione del drogato come “peccatore” e del bambino come vitti-ma “senza colpa” che bisogna difendere dal proprio genitore.

I risultati della nostra ricerca, e le conseguenti riflessioni, sembrano invecesconfermare alcuni diffusi luoghi comuni. Basta pensare al fatto che avere figli sti-mola nei tossicodipendenti la disponibilità agli interventi terapeutici e che, in par-ticolare le madri, aumentano significativamente la percentuale di remissione dal-l’uso di sostanze, accettano e condividono percorsi terapeutici anche impegnativi(come l’inserimento in comunità con il figlio). Ciò contraddice lo stereotipo deltossicodipendente resistente alla cura e del genitore tossicodipendente disinteres-sato ai propri figli.

Sugli esiti dell’allontanamento dei figli dalla famiglia di origine i nostri risul-tati sono molto parziali, ma gli studi internazionali mettono in luce dati contraddi-tori che non confermano l’idea preconcetta che un’altra famiglia sia necessaria-mente salvifica rispetto a quella di origine, dove invece una gran parte dei figli puòcrescere senza presentare disagi conclamati. Al contrario una separazione non suf-ficientemente preparata, un affido eterofamiliare d’urgenza o il passaggio ai nonni,possono comportare problematiche aggiuntive dannose per genitori e figli.

Anche la rilevazione che solo la metà dei bambini è oggetto di interventi, e cheun quinto di loro risulta addirittura sconosciuto dai servizi, pur prestandosi adinterpretazioni discordanti, non conferma lo stereotipo che i figli di tossicodipen-denti siano vittime con un destino segnato. Diversi studi interpretano la significa-tiva percentuale di figli asintomatici che vivono con genitori tossicodipendenti(dato evidente anche nella nostra ricerca) come indizio, insieme ad altri, della pre-senza di fattori protettivi nello sviluppo di questi bambini.

Nella maggior parte dei casi i figli sono seguiti dai propri genitori e spesso nonpresentato problemi così gravi da arrivare ai servizi. Anche questi dati, quindi,sembrano sconfermare lo stereotipo del genitore tossicodipendente come sempretrascurante. Inoltre, la consapevolezza che non è la tossicodipendenza in sé, bensìla psicopatologia che l’accompagna a comportare maggiori danni per il figlio

44 DIFESA SOCIALE - N. 3, 2004

(facilmente verificabile nei numerosi casi di inadeguatezza genitoriale non accom-pagnata da uso di sostanze), sconferma il pregiudizio che la tossicodipendenzarenda la genitorialità inevitabilmente inadeguata.

L’incapacità genitoriale dei tossicodipendenti (sicuramente a volte anchegrave) è invece, come abbiamo visto, il segnale di uno stallo evolutivo che a suavolta può connettersi all’abuso di sostanze. Tossicodipendenza e trascuratezzagenitoriale vengono così a rappresentare due sintomi di una stessa sofferenza psi-cologica.

Per concludere riteniamo che i servizi dovrebbero rapportarsi ai tossicodipen-denti genitori sviluppando attenzione, sostegno e modalità di ascolto che permet-tano di intervenire opportunamente nei momenti di crisi. Ovvero quando essi pos-sono elaborare le loro difficoltà ed eventualmente formulare una più matura richie-sta di aiuto. L’ascolto, attento e paziente, permette di lavorare sulla coincidenza tral’interesse del genitore e quello del figlio, con il proposito di contrastare, per quan-to possibile, la trasmissione della carenza. Questo può diventare l’obiettivo condi-viso della collaborazione tra servizi, la quale può comprendere, avvalendosi dipercorsi diagnostici sistematizzati, anche la valutazione comune dei modi e deitempi di un eventuale allontanamento del bambino e della proposta di recupero delgenitore.

In questa prospettiva, la genitorialità del tossicodipendente, liberata dai pre-giudizi culturali, in molti casi può iniziare ad essere “accolta” come un’occasionedi cambiamento e fornire risorse per la cura della relazione tra il genitore e ilfiglio.

45STUDI E RICERCHE

APPENDICE

VARIABILI DELL’INTERVISTA E RISULTATI QUANTITATIVI

FIGLI

Da 0 a 6 anni 59 Da 7 a 12 anni 30 Da 13 a 18 anni 11

Sintomi del figlio alla nascita

Nessun sintomo 75 Crisi di astinenza da eroina e/o sieropositività HIV 20 Non rilevato 5 Disturbi psicologici del figlio Rilevato nessun disturbo 48 Rilevato almeno un disturbo 32 Non rilevati 20

Tipo di disturbi psicologici del figlio Disturbi dell’attaccamento (indiscriminato, assente, crisi da separazione o inibizione/dipendenza, autolesionismo, inversione di ruoli)

16

Disturbi della condotta (iperattività, oppositività, aggressività, rabbia) 15 Trascuratezza materiale (sporcizia, denutrizione, disordine nei ritmi di vita) 13 Difficoltà scolastiche (apprendimento, linguaggio, adattamento, socializzazione) 12 Disturbi psicosomatici (cutanei, alimentari, respiratori, sonno, enuresi, encopresi) 10 Ritardo di sviluppo (cognitivo, psicomotorio) 10 Disturbi dell’umore (ansia, depressione, irritabilità) 8 Maltrattamento / abuso 3 Disturbi neurologici 1

Collocazione del figlio nel giugno 2001

Solo con i genitori (uno o entrambi, anche se in comunità) 64 Con i nonni (ed eventualmente un genitore) 22 Allontanato (istituto, affido eterofamiliare o adozione) 12 Non rilevato 2 GENITORI Rapporto tra i genitori Separati 48 Conviventi 40 Altro (singoli, vedovi) 11 Non rilevato 1

Età del figlio

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Tossicodipendenza dei genitori Solo il padre 47 Entrambi 42 Solo la madre 11 Psicodiagnosi del genitore Padri Madri Rilevata 39 Non rilevata 36 14 Tipo di psicodiagnosi del genitore Padri Madri Disturbo borderline 15 22 Disturbo antisociale 14 4 Disturbo narcisistico 10 4 Disturbo dell’umore 8 4 Disturbo dipendente 1 2 Disturbo istrionico 0 2 Disturbo psicotico 3 1 Disturbo schizoide 1 0 Disturbo ossessivo-compulsivo 1 0 Tipo di percorso familiare del genitore Padri Madri Bloccato nel ruolo di figlio 21 8 Triangolato nel gioco relazionale della coppia 7 14 Oggetto di gravi carenze di tutela 25 14 Non rilevato 36 17 Tossicodipendenza del genitore alla nascita del figlio Padri Madri Attiva 22 In remissione 24 20 Uso di metadone 8 5 Non rilevato 7 6 Tossicodipendenza del genitore nel 2001 Padri Madri Attiva 6 In remissione 30 32 Uso di metadone 14 8 Deceduto 3 Non rilevato 15 4 SERVIZI Interventi dei Consultori Familiari Effettuato almeno un intervento 52 Non effettuati interventi 47 Non rilevato 1 Tipo di intervento prevalente dei Consultori Familiari Supporto ai genitori o alla relazione genitore-figlio 13 Monitoraggio nella famiglia (o nell’istituto) 12 Supporto educativo o psicologico del figlio 10 Istituzionalizzazione

53

50

25

5

9

47STUDI E RICERCHE

Affido eterofamiliare 5 Psicoterapia al figlio 2 Psicoterapia all’adulto 1 Interventi del Servizio Dipendenze Padri Madri Effettuato almeno un intervento 25 39 Non effettuati interventi 58 8 Non rilevato 6 6 Tipo di intervento prevalente del Servizio Dipendenze Padri Madri Comunità per singoli o coppie con il figlio 3 10 Psicoterapia individuale 3 10 Comunità per singoli o coppie senza figlio 4 9 Sostegno sociale individuale o di coppia 9 5 Psicoterapia alla coppia o in gruppi terapeutici 6 5 Collaborazione tra Servizi Interventi dei Servizi in collaborazione 59 Interventi solo da parte del Servizio Dipendenze 34 Interventi solo da parte del Consultorio Familiari e/o Servizi Sociali 7 Intervento del Tribunale per i Minorenni Prescrizioni o richieste di indagine ai Servizi 59 Nessun intervento 41 Segnalazione al Tribunale per i Minorenni Segnalazione da parte dei Consultori Familiari e/o Servizi Sociali 15 Segnalazione da parte dell’Ospedale 15 Segnalazione da parte del Servizio Dipendenze 13 Segnalazione in collaborazione 8 Altri 8

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