la gran bretagna e la resistenza europea (*) · 2019. 3. 5. · la gran bretagna e la resistenza...

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LA GRAN BRETAGNA E LA RESISTENZA EUROPEA (*) « Ho sempre avuto orrore di fomentare la rivoluzione m un paese per uno scopo politico. Ho sempre detto : se insorgono per loro conto, bene; ma non incitateli a farlo. E ’ una responsabilità spaventosa ». Il Duca di Wellington Sebbene la condotta di una guerra sovversiva da parte degli Inglesi non sia stata oggetto di decisione ufficiale del Governo fino all’estate del 1940, negli anni immediatamente precedenti lo scop- pio della seconda guerra mondiale ci fu una serie di movimenti, non coordinati, intrapresi, in particolare, da singoli membri delle tre Forze Armate britanniche, allo scopo di esaminare le possibilità di un’azione del genere nel caso di un conflitto europeo. Anche se questi primi tentativi di studiare il problema furono poi superati dalle esperienze storiche degli anni di guerra, tuttavia vale la pena di esaminarli, non fosse che per mettere in evidenza quale fu, nelle sue linee essenziali, il modo col quale quegli ambienti considera- rono la questione. L’idea, nel suo complesso, di una guerriglia contro un nemico continentale non è mai stata, su un piano storico, oggetto di esame da parte dei Comandi ufficiali delle Forze Britanni- che. Le improvvisazioni fantasiose del colonnello Lawrence nel Deserto Arabico durante la prima guerra mondiale non portarono ad uno studio approfondito dei problemi inerenti all’arruolamento di forze irregolari contro una potenza nemica nel suo proprio terri- torio. Il fatto stesso che le attività di Lawrence condussero ineso- rabilmente ad una penosa confusione nell’assestamento post-bellico del Medio Oriente probabilmente suonò ammonimento e funzionò come insegnamento' negativo. Per tradizione, gli Inglesi si sono sempre accostati ai problemi della guerra in termini empirici, escludendo implicitamente di ri- cavare principi politici dalla condotta immediata delle ostilità; e le conseguenze delle campagne di Lawrence nel Deserto — a prescin- dere dalle inevitabili discussioni sulla loro portata puramente mili- (*) Testo integrale della relazione presentata al Congresso internazionale di Storia della Resistenza Europea (Milano, marzo 1961).

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  • LA GRAN BRETAGNA E LA RESISTENZA EUROPEA (*)

    « Ho sempre avuto orrore di fomentare la rivoluzione m un paese per uno scopo politico. Ho sempre detto : se insorgono per loro conto, bene; ma non incitateli a farlo. E ’ una responsabilità spaventosa ».

    Il Duca di Wellington

    Sebbene la condotta di una guerra sovversiva da parte degli Inglesi non sia stata oggetto di decisione ufficiale del Governo fino all’estate del 1940, negli anni immediatamente precedenti lo scop- pio della seconda guerra mondiale ci fu una serie di movimenti, non coordinati, intrapresi, in particolare, da singoli membri delle tre Forze Armate britanniche, allo scopo di esaminare le possibilità di un’azione del genere nel caso di un conflitto europeo. Anche se questi primi tentativi di studiare il problema furono poi superati dalle esperienze storiche degli anni di guerra, tuttavia vale la pena di esaminarli, non fosse che per mettere in evidenza quale fu, nelle sue linee essenziali, il modo col quale quegli ambienti considerarono la questione. L’idea, nel suo complesso, di una guerriglia contro un nemico continentale non è mai stata, su un piano storico, oggetto di esame da parte dei Comandi ufficiali delle Forze Britanniche. Le improvvisazioni fantasiose del colonnello Lawrence nel Deserto Arabico durante la prima guerra mondiale non portarono ad uno studio approfondito dei problemi inerenti all’arruolamento di forze irregolari contro una potenza nemica nel suo proprio territorio. Il fatto stesso che le attività di Lawrence condussero inesorabilmente ad una penosa confusione nell’assestamento post-bellico del Medio Oriente probabilmente suonò ammonimento e funzionò come insegnamento' negativo.

    Per tradizione, gli Inglesi si sono sempre accostati ai problemi della guerra in termini empirici, escludendo implicitamente di ricavare principi politici dalla condotta immediata delle ostilità; e le conseguenze delle campagne di Lawrence nel Deserto — a prescindere dalle inevitabili discussioni sulla loro portata puramente mili-

    (*) Testo integrale della relazione presentata al Congresso internazionale di Storia della Resistenza Europea (Milano, marzo 1961).

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    tare — procurarono, se mai, alla mentalità militare tradizionale prove valide a tutto sfavore di una rivoluzione di questo genere inquadrata in una concezione strategica. Quella di Lawrence diven- tò esclusivamente una leggenda letteraria ed eroica, senza ripercus- sioni nel futuro sulla condotta delle operazioni militari.

    La ribellione di Dublino del 1916 ed i conseguenti moti in Irlanda hanno forse, alla loro volta, fornito altre lezioni storiche a proposito della tecnica della repressione con il ricorso alla tattica dei ribelli; ma i problemi dell’occupazione violenta di un territorio britannico produssero inevitabilmente, date le condizioni, come nel caso della guerra dei Boeri, un profondo complesso psicologico di colpa nei circoli politici, complesso che sembrò escludere il problema tecnico dello studio, da parte dei Comandi, della guerra irregolare con riferimento a quei due episodi storici. Si potrebbe quasi dire che, da parte degli storici, ci fu a questo proposito una deliberata reticenza circa i rapporti fra politica e guerra.

    Durante gli anni 1914-1918, a parte l’epica lawrenciana, si potrebbe dire a buon diritto che in nessuna occasione gli Inglesi presero in considerazione piani di sovvertimento o di sabotaggio sul continente europeo, sia sul territorio dell’Impero germanico che nelle regioni occupate dagli eserciti tedesco o austro-ungarico. Solo in una direzione ci si occupò di minare le posizioni nemiche altrimenti che con le concezioni militari ortodosse, e ciò avvenne nel campo della propaganda riguardante gli scopi di guerra delle potenze in conflitto. Queste attività, che furono concentrate a Crewe House, segnano un punto di partenza originale e discusso in questo campo piuttosto ristretto.

    Parlando in generale, fu sulle basi di questa esperienza limitata e periferica che, verso la fine del decennio 1930-1940, un certo numero di ufficiali regolari e relativamente subalterni, impiegati a Londra presso i Ministeri delle tre Forze Armate, rivolsero la loro attenzione sulle possibilità di azione in quella che, da un punto di vista ufficiale, costituiva la sfera non accettata delle attività sovversive irregolari contro un nemico, in caso di guerra futura. Il primo passo fu di creare, in seno al Ministero della Guerra, durante l’aprile 1938, una sezione dedicata allo studio delle possibilità di sabotaggio nella Germania di Hitler, nell’eventualità di uno scoppio di ostilità, e allo sviluppo della propaganda nei paesi nemici, sulle basi, in linea generale, dell’esperienza fatta alla Crewe House durante il primo

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    conflitto mondiale. Non ci sono prove che sia stata prestata attenzione particolare all’esperienza di Lawrence nel Deserto, mentre, per quanto riguarda l’Irlanda, è forse significativo il fatto che il primo tentativo di relazione scritta sulla tattica della guerriglia fu intitolato: « Lo sviluppo della combinazione della guerriglia con la tattica deiriRA »; e questa relazione fu fatta circolare nel 1939 come documento segreto. L’accresciuto pericolo di uno scoppio delle ostilità in Europa dopo Monaco indusse a prendere in considerazione, ad un simile livello, un coordinamento fra la Gran Bretagna e quegli alleati eventuali che essa avrebbe potuto trovare sul continente nel conflitto incombente con la Germania nazista.

    Nei mesi che precedettero l’aggressione tedesca alla Polonia del settembre 1939, fu compiuta una serie di sforzi, modesti ma coraggiosi, per stabilire comunicazioni in Polonia, Cecoslovacchia e Francia nell’eventualità di una guerra, presumendo pessimisticamente ma realisticamente che, in caso di una lotta di maggiori proporzioni, quelle nazioni sarebbero state travolte. Ai primi di giugno del 1939 si tennero discussioni sul sabotaggio dei mezzi di comunicazione con i servizi francesi e vennero costituiti in Francia piccoli depositi di armi e di equipaggiamenti. La stessa sezione speciale del Ministero della Guerra stabilì, al medesimo scopo, quella che diventò poi nota come la Missione Militare n. 1 in Polonia. Qualsiasi altro progetto fu concentrato esclusivamente sulle possibilità, in sé nuove per la mentalità ufficiale britannica, di sabotare i rifornimenti vitali per lo sforzo bellico tedesco. In primo luogo questi piani si occuparono particolarmente del minerale di ferro svedese, del petrolio rumeno e dei mezzi di navigazione sul Danubio. Queste prime attività, ardite ma in certo qual modo dilettantesche, troveranno il loro posto in un resoconto definitivo delle operazioni di questo tipo durante i primi mesi della « strana guerra ». Ad ogni modo esse furono progettate come operazioni puramente tecniche, senza alcuna riposta intenzione politica. I tentativi di mantenere qualche comunicazione-radio con la Polonia e con la Cecoslovacchia, come pure quelli di effettuare sabotaggi in Scandinavia e nei Balcani si rivelarono infruttuosi; sarebbe però errato sottovalutare il valore storico di quell’esperienza e degli insegnamenti che se ne ricavarono. Comunque, al tempo dell’attacco tedesco alla Francia, nell’estate del 1940, questi primi sforzi erano già stati annullati senza che lasciassero alcuna traccia visibile: ben presto1, dopo Dunquerque,

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    emerse la triste realtà che gli Inglesi avevano perduto ogni contatto col continente europeo.

    Nei giorni immediatamente seguenti il collasso della Francia, per la prima volta, a livello governativo, furono prese in considerazione e discusse le possibilità di ristabilire i contatti interrotti con l’Europa occupata, in appoggio al nostro sforzo bellico- contro la Germania; precisamente in quel momento ha inizio la storia del tentativo britannico di organizzare una resistenza in Europa. Nel maggib 1940 Sir Winston Churchill era diventato Primo Ministro e Ministro della Difesa, e in questa sua seconda veste egli fu diretta- mente responsabile di tutti gli aspetti della condotta della guerra. Dietro sue istruzioni fu costituito un comitato allo scopo di « coordinare tutte le azioni di sovvertimento e sabotaggio contro il nemico d’oltremare ». Il rapporto steso su queste istruzioni fu opera di Neville Chamberlain. A livello del Gabinetto fu deciso di creare uno speciale comitato allo scopo di studiare e svolgere queste attività. Il 16 luglio 1940 il compito di attuare questa missione fu affidato al leader socialista Hugh Dalton, allora a capo del Ministero della Guerra Economica, di -recente formazione, che già si occupava di studiare l’intero problema della lotta fra la Gran Bretagna e la Germania in vista del controllo sui materiali bellici di vitale importanza strategica. Come ebbe a dire Sir Winston Churchill a Dalton, il suo dicastero era destinato ed essere il « Ministero della Guerra ’’ungentlemanly” », il cui compito era, sempre nelle parole di Churchill, di « mettere in fiamme l’Europa ».

    Un’organizzazione segreta chiamata S p ec ia l O perations E x e c u tive (SOE) diventò una sezione clandestina del Ministero della Guerra Economica, tenuta però a rendere conto del suo operato, in definitiva e direttamente, ai Capi di Stato Maggiore.

    Dalton intraprese con tenace entusiasmo questo genere di attività sino a quel momento pressoché inesplorato. In una relazione diretta, nell’ottobre 1940, al Gabinetto di Guerra, con il titolo di « La Quarta Arma », egli diede una definizione provvisoria del ruolo di questa nuova branca che aveva subito assorbito la originaria sezione speciale del Ministero della Guerra, creata nel 1938 e comprendente allora un nucleo bene addestrato di 50 ufficiali, sezione alla quale spetta il merito- di aver svolto un’attività, per così dire, pionieristica, per nulla trascurabile.

    « I Tedeschi hanno dimostrato che in guerra si possono otte

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    nere dei successi in larga misura con il ’’sovvertimento” , e con questo termine io intendo riferirmi non solo alla propaganda, ma anche alle attività sovversive nel senso più ampio... Il ” sovvertimento ” , io penso, è un elemento essenziale in ogni azione offensiva su larga scala, p e r contra (i) esso è di poco o nessun valore quando la strategia fondamentale è difensiva... Se vogliamo vincere la guerra dovremo, a questo o quello stadio del conflitto, passare all’offensiva sul conti- nente. E’ probabile che i piani delle forze combattenti riceveranno un appoggio materiale molto considerevole se fin d ’ ora l’azione di ” sovvertimento ” sarà pianificata su scala molto diffusa ».

    La storia dei futuri rapporti clandestini inglesi in Europa, nel senso operativo, coincide con quella dell’organizzazione SOE. Talvolta, e forse troppo spesso-, si dimentica di che vastità sia stato il suo compito e, date le circostanze, nel 1940, quanto grande la povertà delle sue risorse e, pur ferma restando la dedizione entusiastica dei suoi funzionari, come totale fosse la mancanza di esperienze precedenti sulle quali regolarsi. Inoltre i mezzi di comunicazione di cui disponeva la Gran Bretagna nella guerra contro la Germania, erano già sfruttati al limite massimo del rischio, per cui, a quei tempi, ben poco o nullo era l’equipaggiamento del quale si poteva disporre per nuove avventure, per modeste che fossero nei loro scopi. Proprio in questa situazione di profonda crisi militare Londra diventò non solo l’unica capitale di una potenza belligerante in lotta da sola contro la Germania nazista e l’Italia fascista, ma anche il rifugio di quei sovrani e governi in esilio che, sul continente, si erano sottratti alla cattura da parte dei Tedeschi. La natura e la composizione di questi gruppi in esilio non solo influenzarono, inevitabilmente e logicamente, i punti di vista britannici nei confronti di un incoraggiamento alla resistenza nell’Europa occupata, ma anche introdussero nella strategia sovversiva, almeno in un primo tempo, un elemento politico, tradizionalmente estraneo e sgradito alle concezioni belliche inglesi. La presenza arbitraria e fortuita di quei governi in esilio allora su suolo britannico determinò convenzioni precise ed ufficiali nonché obblighi morali con i sovrani ed i governi rifugiati.

    Le istanze politiche che questa situazione venne a creare furono implicitamente rimandate per ragioni sia di tendenza fonda- mentale che pratiche : nel primo caso, perchè gli Inglesi, d’abitudine,

    (1) Sic nel testo (N. d. T .).

  • Prof. Deakin

    avevano sempre evitato le interferenze politiche nella condotta della guerra, e nel secondo caso, perchè doveva passare un ben lungo e logorante tempo prima che si potesse sensatamente considerare in termini strategici la prospettiva di una liberazione dell’Europa.

    Fra l’estate del 1940 e l’anno seguente il Gabinetto inglese dovette sviluppare, sia pure in termini provvisori, i suoi rapporti con i sovrani e con i capi politici fuggiti dalla Norvegia, dall’Olanda, dalla Jugoslavia e dalla Grecia e riconoscere come « Governi in esilio « i Polacchi, i Cecoslovacchi, i Lussemburghesi ed i Belgi e, significativo, forse fra tutti, lo stato provvisorio del generale de Gaulle e dei Francesi Liberi. I problemi originanti da questa com- plessa situazione erano destinati a costituire una limitazione paralizzante alle future attività del SOE nei paesi interessati.

    Fu inoltre logico' ed inevitabile che, quando derivassero conseguenze politiche dalle attività sovversive destinate a svilupparsi sotto gli auspici britannici in questi paesi, esse dovessero rientrare nelle competenze del Foreign Office; e col progredire della guerra le differenze di punti di vista fra quest’ultimo e il SOE vennero ad assumere una parte sempre più importante nel quadro di questa particolare situazione. Il generale clima storico' non era sconosciuto: la Gran Bretagna non era solamente l’unica potenza ancora in lotta con la Germania nazista — e quindi, a dirla in breve, ogni resistenza a Hitler in Europa dipendeva dalla sopravvivenza dell’Inghilterra come potenza combattente — ma essa era anche rifugio ed aiuto delle forze che governavano in Europa nel 1939 con le quali la Gran Bretagna aveva preso impegni formali di ristabilirle nei loro paesi al momento, per quanto ancora al di là di ogni previsione, della vittoria finale. Perciò i suoi obblighi a lunga scadenza erano quelli di una restaurazione legittimistica piuttosto che di una rivoluzione politica. In quei primi tempi era difficile, o addirittura impossibile, prevedere che in alcuni, se non in molti casi, quegli elementi e gruppi che avevano trovato asilo in Gran Bretagna, o per il loro passato politico o in conseguenza dell’occupazione tedesca, erano destinati a perdere, sia pure in misura diversa, l’obbedienza e l’appoggio dei loro popoli. Ma poche di queste complicazioni erano prevedibili negli oscuri giorni del 1940-41, quando l’interesse e la preoccupazione erano concentrati, giustamente ed esclusivamente, sulla sopravvivenza dell’Inghilterra.

    In origine l’intento evidente del SOE fu di organizzare con

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    assoluta priorità il sabotaggio dello sforzo bellico tedesco e, solo in seconda istanza, di incoraggiare manifestazioni sovversive nell’Europa occupata, con la quale, del resto, erano perduti tutti i contatti. Nei primi giorni il SOE iniziò le sue attività con personale in via di addestramento — agenti, operatori-radio — tratto non solo dalle Forze Armate, ma anche dalle rappresentanze delle forze alleate in esilio su suolo britannico, in particolare polacchi e francesi. A questi uomini, che furono i precursori entusiasti della liberazione, sarebbe stato superfluo precisare che il loro primo compito, stabilendo comunicazioni nell’Europa occupata e raccogliendo informazioni sui movimenti nemici, era di indebolire lo sforzo bellico tedesco, con esclusione, almeno temporaneamente, di qualsiasi preoccupazione o considerazione di natura politica. In quei primi tempi della guerra le Isole Britanniche erano non solo l’ultima difesa del mondo libero ma anche la base futura per la liberazione dell’Europa; e un’opera simile non poteva nemmeno essere iniziata senza la creazione, nel territorio occupato dal nemico, di una complessa e vasta rete anzitutto di informazioni militari. Le complicazioni politiche che dovevano seguire ed accompagnare l’estendersi di tali attività risultarono evidenti solo quando le prime missioni britanniche ed alleate del SOE vennero, dopo molti sforzi ardimentosi e molte frustrazioni e delusioni, in contatto con i gruppi della Resistenza che andavano prendendo forma spontaneamente nelle tenebre inesplorabili dell’Europa occupata dall’Asse.

    Le prime due operazioni fortunate del SOE furono condotte agli inizi del 1941: un gruppo fu paracadutato in Polonia ed un secondo nella Francia settentrionale per sabotare un aeroporto tedesco. Condizione e limitazione fondamentale in questo primo stadio delle attività del SOE era che il contatto col continente poteva essere stabilito solo a mezzo di sottomarino o di aereo. Talvolta si dimentica che le restrizioni o la mancanza di equipaggiamento a disposizione dello Stato Maggiore britannico erano tali che, fra il 1940 e il 1941, il SOE ebbe permanentemente ai suoi ordini due soli bombardieri Liberator riattati. Tutti i sottomarini disponibili erano costantemente in azione nella battaglia-chiave per i convogli nell’Atlantico e nel Mediterraneo (per tacere della minaccia giapponese nell’Oceano Indiano); quanto all’aviazione inglese, stava combattendo una disperata battaglia difensiva per la sua stessa sopravvivenza. Quando si tenga presente questa realtà tirannica, di

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    venta ozioso criticare la portata delle Operazioni Speciali durante questo periodo.

    In verità fino ai primi giorni del 1941 l’unico punto di con' tatto fisico fra gli eserciti inglesi ed il nemico fu sul fronte libico, nell’Africa settentrionale; ma, con lo sbarco alleato in Grecia ed il colpo di stato di Belgrado, dell’aprile 1941, la breve ripresa di contatto sul continente europeo accrebbe le possibilità di azione. I due paesi erano stati teatro di attività sovversive appena abboZ' zate e piuttosto sperimentali da parte prima della sezione speciale del Ministero della Guerra e poi del SOE, inizialmente in vista del sabotaggio contro la navigazione danubiana e nei porti di Salonicco e del Pireo, attraverso i quali affluivano i rifornimenti vitali agli eserciti dell’Asse nell’Africa settentrionale. E inoltre agenti del SOE svolsero una parte nei preparativi confusi della cospirazione contro il Governo jugoslavo, che verso la fine di marzo del 1941 stava per firmare il Patto dell’Asse. Questo fu in un certo senso il primo esperimento po litico , in verità isolato, della nuova organizzazione. In Grecia l’attenzione era concentrata sullo smantella- mento, ad esempio, dei porti e delle difese di Salonicco nel 1941, e sul tentativo, poi fallito, di bloccare il Canale di Corinto.

    Con la definitiva occupazione tedesca dei Balcani, antecedente all’attacco' su larga scala contro l’Unione Sovietica, la cortina cadde di nuovo sull’Europa sud-orientale. Ma questa volta furono mantenuti almeno i rudimentali elementi di un contatto e in ambedue i casi si intravvide per la prima volta, nei suoi tratti generali, uno stato di confusione politica. Questa apparve evidente anzitutto nel caso della Grecia. Contatti-radio più o meno regolari erano stati stabiliti fin dalla fine del 1941 fra Atene ed il Cairo con un’unica apparecchiatura; e così si ebbero rapporti sul movimento delle navi nel Pireo e resoconti sui sabotaggi. Il re di Grecia, insieme con alcuni uomini politici monarchici, era stato evacuato al Cairo; i primi segni di dissenso fra questo gruppo ed elementi interni della Grecia occupata apparvero anche troppo evidenti fin dal principio. La confusione non si limitò solo alla parte greca; le responsabilità coincidenti dei rappresentanti locali del Ministero degli Esteri, del Quartier Generale britannico del Cairo e del SOE complicarono ancor di più il quadro. Invano furono fatti dei tentativi per affrontare il problema con direttive scritte, fra le quali la comunicazione originale del SOE dice che era « compito di questa

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    organizzazione svolgere ogni azione possibile per danneggiare i Tedeschi e gli Italiani in Grecia incitandovi la resistenza ». Questa comunicazione fu rimaneggiata ai primi del 1942 in modo da suo- nate come segue: « E’ interesse del SOE promuovere l’unità ab l’interno della Grecia allo scopo di resistere alle forze occupanti e stimolare la ribellione. La Grecia come sarà a guerra finita non ci riguarda ». Le intenzioni definitive furono poi espresse nel senso che l’interessamento delle autorità militari britanniche doveva es- sere diretto particolarmente a qualsiasi attività clandestina si sviluppasse sul territorio ellenico.

    In Jugoslavia il quadro si presentava, per il momento, più semplice. Agenti del SOE erano stati in contatto con elementi contrari alla collaborazione con i Tedeschi al tempo del colpo di stato dell’aprile 1941, ed era logico, su un piano storico, attendersi che la resistenza sarebbe venuta dagli elementi serbo-monarchici, come del resto sembrava garantire l’esperienza della Prima Guerra Mondiale, durante la quale si era offerto l’esempio noto ed incoraggiante di un governo serbo in esilio con in più il nucleo di un esercito quasi intatto dopo la spaventosa ritirata attraverso l’Albania, alla fine del 1914. C’era dunque qualche tenue speranza che la resistenza jugoslava avrebbe finito col seguire nelle sue linee generali quel precedente storico-; in realtà pare che alcuni progetti del SOE abbiano implicitamente contemplato, anche se non espresso categoricamente, la prospettiva che il corso della guerra portasse ad uno sbarco alleato in grandi forze nei Balcani, come era accaduto nella Grecia settentrionale e in Macedonia durante la Prima Guerra Mondiale.

    Alla fine del 1941 una missione inglese era stata sbarcata da un sottomarino sulle coste della Dalmazia e messa in contatto con un colonnello serbo che operava sulle montagne della Serbia insieme ad un gruppo composto di ufficiali e sottufficiali dell’esercito regolare, sfuggiti all’internamento tedesco. Questa sembrò dover essere la linea ideale della resistenza jugoslava, passibile, e tradizionalmente e storicamente, di utili svolgimenti. Sulla base di messaggi-radio di questo personaggio la leggenda eroica del colonnello Mihailovic fu deliberatamente e, a quanto sembrò allora, legittimamente corroborata e sostenuta dal SOE, e Mihailovic venne descritto come il primo capo della resistenza apparso sul continente europeo. Allo scopo furono sfruttati i servizi della BBC. Fra la fine del 1941 e l’inizio del 1942 un accidente sfortunato, uno dei molti degli anni

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    di guerra, portò all’interruzione delle comunicazioni'radio con la missione britannica sbarcata nel paese, e Tunica apparecchiatura rimasta in funzione fu quella azionata dallo stesso Mihailovic. L’esperimento di sbancare alcune altre missioni britanniche « eie- che », cioè non precedute dalla dovuta preparazione, finì con un fallimento, e, così, di fatto, andò perduto ogni contatto anche con la Jugoslavia.

    L’attacco tedesco alla Russia modificò tutta la situazione nei confronti della guerra clandestina in Europa e, sebbene in un primo tempo ciò non risultasse evidente a chi organizzava operazioni se' grete dalla Gran Bretagna, la comparsa dell’Unione Sovietica come belligerante di primo piano trasformò inevitabilmente l’intero qua' dro della situazione. I Russi avevano di queste operazioni una concezione coerente e del tutto opposta a quella britannica. La guerra irregolare costituiva un elemento fondamentale della teoria sovietica della guerra. Come ebbe a dire Stalin nel suo primo ordine del giorno: « La lotta contro la Germania non deve essere consi' derata alla stregua di una comune guerra. Essa non è solamente un conflitto fra due eserciti... Per impegnare il nemico, bande di parti' giani e sabotatori devono operare clandestinamente dovunque, facendo saltare ponti, distruggendo strade, telefoni, telegrafi e in- cendiando depositi e foreste. Nei territori occupati bisogna rendere la vita impossibile al nemico, metterlo nella condizione di non poter resistere... Coloro che lo aiutano saranno puniti e messi a morte. Sabotaggio a tutte le organizzazioni nemiche! »

    Entro poche ore dall’attacco germanico il Comintern inviò a tutti i partiti comunisti d’Europa istruzioni telegrafiche di innalzare la bandiera della rivolta contro le forze fasciste d’occupazione. Già, del resto, nel 1928, in una risoluzione del Cominform, era stato precisato essere dovere di ogni partito comunista « trasformare una guerra imperialistica in una guerra del proletariato contro la bor' ghesia », e anche accorrere in aiuto dell’Unione Sovietica, nel caso essa venisse attaccata. E in quel frangente, per esempio, istruzioni in questo senso raggiunsero il Partito Comunista Jugoslavo il giorno stesso delTaggressione tedesca, e in un successivo messaggio, di dieci giorni dopo, esso fu invitato « ad organizzare bande armate senza perdere un minuto e a scatenare la guerra partigiana alle spalle del nemico ». Ben poche erano le probabilità pratiche di poter stabilire un contatto fisico fra 1 Russi e questi gruppi partigiani dell’Europa

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    occupata, salvo che nelle zone della stessa Unione Sovietica che caddero sotto il controllo germanico nei mesi successivi. E, in effetti, durante tutto il corso* della guerra i Russi fecero solo dei piccoli tentativi di creare un’organizzazione del genere. Però sulla scena europea fu, per cosi dire, proiettata una nuova immagine di guerra*: la lotta contro l’occupante fascista fu nello stesso tempo una lotta per la* conquista del potere politico. La guerra partigiana contro i Tedeschi e gli Italiani doveva essere solo il primo stadio di una guerra civile internazionale. A mano a mano che, secondo linee diverse, nasceva in tutta l’Europa, più o meno spontaneamente, un movimento di resistenza, non diretto e non controllato in realtà né da Londra né da Mosca — divenute ormai le due opposte capitali simboliche della* Resistenza europea — un elemento di lotta civile investì a poco a poco il quadro intero del conflitto. L’atteggiamento* degli Inglesi di fronte a questi sviluppi non è difficile da definire. In generale le attività del SOE erano strettamente dirette dagli Stati Maggiori britannici; però in tutti i casi in cui insorgevano complicazioni politiche come risultato del tentativo di mettere in atto direttive militari, la linea di condotta finì con l’essere controllata, in ultima analisi, dal Foreign Office. Mai il SOE fu un’organizzazione indipendente che conduceva la propria guerra, anche se in alcuni casi si potè forse creare, ma solo temporaneamente, un’impressione del genere.

    Perciò il corso delle operazioni del SOE in Europa è strettamente legato allo sviluppo della* strategia britannica e, dopo l’entrata in guerra degli Stati Uniti d’America, nel dicembre 1941, della strategia militare anglo-americana. Il breve spazio di questa memoria non consente di fare il dovuto posto allo svolgimento di queste operazioni, regione per regione; tuttavia il quadro nel suo insieme presenta una sua intima coerenza. La forma e la natura dell’aiuto britannico alla Resistenza europea variò fondamentalmente da paese a paese, in dipendenza, anzitutto, dei fattori geografici e strategici. Le considerazioni politiche, fin quasi forse agli ultimi mesi di guerra, costituirono, durante tutto il corso delle ostilità, un fattore di* secondaria importanza.

    Un riassunto di queste operazioni del SOE si può dividere storicamente in tre parti: la prima, della quale ho trattato troppo sommariamente, comprende il periodo che va dallo scoppio del conflitto, nel settembre 1939, all’attacco tedesco alla Russia, del

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    giugno 1941. La seconda è connessa con la lotta combattuta per riconquistare l’iniziativa strategica su tutti i fronti della guerra, il che avvenne, da parte di tutti e tre gli alleati, dopo El Alamein, gli sbarchi nell’Africa settentrionale e Stalingrado. Il terzo periodo, che giunge fino al giugno 1944, è dominato dallo sforzo di tutti e tre gli Alleati per distruggere la macchina bellica dei Tedeschi e degli Italiani, facendo convergere attacchi sempre più massicci sul continente europeo. E infine l’ultima fase è contrassegnata in tutta l’Europa dai problemi creati dalla liberazione dei singoli paesi, l’uno dopo l’altro, dall’occupazione nemica.

    Il compito del SOE in Europa, dalla fine del 1942 all’autunno 1943, fu interamente condizionato dai piani strategici, al massimo livello, degli Stati Maggiori britannico ed americano. Era logico che la maggior attenzione venisse concentrata sull’Europa occidentale, a preparazione di un eventuale intervento massiccio degli Alleati in quelle regioni.

    La Francia suggerì sin dagli inizi considerazioni di diretto interesse strategico: il suo territorio metropolitano era aperto alla penetrazione di gruppi di agenti, francesi ed inglesi, per via mare e per via aria. Subito, dal principio, si dovettero progettare operazioni in questo campo, perchè ogni contatto era venuto meno nell’estate 1940; d’altra parte la situazione giuridica particolare del Governo di Vichy, fino al novembre 1942, faceva pensare che a sud della linea di demarcazione, il territorio francese fosse, in un certo senso, anche politicamente accessibile. Durante i primi due anni di guerra furono aperti molteplici canali di comunicazione tra la Francia e la Gran Bretagna: di qui, come conseguenza naturale, confusione di autorità e mancanza di un controllo coordinato. Il SOE non esercitava nessun monopolio su queste azioni, anzi, le sue attività nella zona non-occupata, fino agli sbarchi « Torcia », si limitarono all’azione preparatoria, ad opera dei suoi agenti, per creare un’organizzazione a più lunga scadenza. Durante tutto questo periodo furono seguite le istruzioni generali emanate nell’agosto 1940. « Fino a nuove disposizioni in senso contrario il Governo di Sua Maestà considera sfavorevolmente qualsiasi atto di aggressione da parte di sudditi o truppe inglesi contro persone o obbiettivi della Francia non-occupata ».

    Non è questa la sede adatta per discutere particolareggiatamente il meccanismo vitale dei collegamenti fra i Francesi Liberi

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    e il SOE ed i contrasti agrodolci che si verificarono fra le due organizzazioni. Durante i primi quattro anni (1941-1944) le attività di questi due corpi si svolsero in compartimenti stagni. Da parte britannica furono reclutati, sia tra francesi che tra inglesi, agenti da impiegare in colpi di mano, radio-operatori, agenti del servizio segreto, le cui attività erano direttamente subordinate alla Sezione Francese del SOE di Londra. Questi uomini e queste donne furono piuttosto legati all’Inghilterra che alla Francia Libera. Il tentativo di creare una sezione gollista del SOE fallì sin dagli inizi, e così pure l’idea di de Gaulle di formare un movimento di Resistenza distinto e completamente sotto la sua autorità e il suo controllo non riuscì a concretarsi, ed il generale si decise ad appoggiarsi sugli eventuali capi nazionali della Resistenza in territorio francese, con i quali egli sperava e contava di cooperare al momento opportuno. Il suo atteggiamento fondamentale, ostinatamente ma in verità patriotticamente conservato, fu quello di evitare, nei limiti del possibile, la supervisione inglese sui suoi legami con la Francia occupata. Talvolta delusioni amare da ambo le parti rischiarono di condurre quasi ad una rottura di rapporti, soprattutto nei mesi precedenti la preparazione degli sbarchi nell’Africa settentrionale. Infatti, da una parte lo Stato Maggiore inglese impose il ruolo coordinatore del SOE nei confronti di tutte le attività del genere, e dall’altra parte il successo* dell’Operazione « Torcia » accentuò moltissimo l’importanza militare della Resistenza in Francia, grazie alle speranze ormai concrete di una vittoriosa invasione della Francia e dell’Europa occidentale da parte degli Alleati. A complicare il quadro, la fusione dei piani anglo-americani in vista di un’operazione di così grande importanza, portò all’estensione all’Europa delle competenze dell’Ufficio Americano dei Servizi Strategici, estensione che pose così fine al controllo esclusivo del SOE nel teatro occidentale della guerra.

    Il ruolo britannico in questa situazione fu soprattutto tecnico; senza aviazione, senza i piccoli navigli della Marina, senza armi e depositi di rifornimenti non si poteva stabilire nessun collegamento tra Gran Bretagna e Francia, La tattica del SOE fu di reclutare singoli agenti per precisi compiti di informazione e di sabotaggio e per evitare, nei limiti del possibile, le tendenze centralizzatrici e dei gruppi della Resistenza, che cominciavano ora a comparire sul suolo francese, e del Comando dei Francesi Liberi con sede a Lon

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    dra. Forse però ci si rese conto troppo lentamente che paracadutare armi e rifornimenti a missioni o gruppi di individui operanti nel territorio occupato non era solo un’operazione contro il nemico ma anche un mezzo perchè queste missioni o gruppi acquistassero in primo luogo un controllo regionale e territoriale e quindi, in defini' tiva, un’autorità politica su intere zone del paese. Le armi fornite dal SOE dovevano inevitabilmente modificare l’equilibrio delle forze politiche in seno a qualunque movimento della Resistenza. Come dice un rapporto dalla Francia occupata, in riferimento a queste bande di resistenti che andavano prendendo corpo: « Esse mirano a che gli Inglesi le riconoscano come organizzazioni dotate di autorità: i fondi e i materiali che esse ricevono dall’Inghilterra stabiliscono la loro superiorità rispetto ad organizzazioni più piccole, che quindi presto sarebbero in grado di assorbire, acquistando alla fine potenza sufficiente per ignorare le direttive di Londra che non rispondono ai loro desideri ».

    L’estendersi crescente di tutta una rete di missioni e gruppi operanti in Francia e l’arrivo dei delegati delle organizzazioni mili' tari e politiche francesi di svariatissima e complessa origine e colore, inevitabilmente diedero un aspetto del tutto nuovo alla Resistenza, attribuendole in questo paese, più che in qualsiasi altro, forme par- ticolarmente complicate. Sulle intenzioni del SOE non possono sussistere seri dubbi: esso mirava a creare una « quarta arma » di guerra sul territorio francese contro i Tedeschi, ausiliaria delle ini' minenti massicce operazioni militari. Fu fatto anche un tentativo deliberato, se non del' tutto fortunato, di ignorare le conseguenze politiche connesse con lo sviluppo delle organizzazioni della Resi- stenza sul territorio francese e di mantenere invece il controllo di- retto, per le immediate necessità operative, sulla rete sempre più vasta dei servizi d’informazione e di sovvertimento1. Ma questo fu un riconoscimento del fatto che, qualunque fosse la complessità politica della Resistenza francese, destinata ormai a venire alla luce attraverso i contatti sempre più stretti e frequenti e quali che fossero le conseguenze di questa situazione dopo la guerra, non era più possibile dubitare del valore militare delle forze della Francia LL bera all’interno e dell’importanza del ruolo che, convenientemente rifornite, esse potevano svolgere nella definitiva liberazione del paese. La decisione di sviluppare con tutti i mezzi tecnici l’aiuto militare a queste formazioni segnò di per sé un distacco dalla tattica

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    concordata delle operazioni del SOE e diventò poi una parte ben definita della politica alleata verso la Francia nel periodo precedente10 sbarco in Normandia.

    E’ difficile riassumere efficacemente in cosi breve spazio la notevole portata di questo aiuto per tutta la durata della guerra. Il primo radio-messaggio, ricevuto dalla Francia occupata da un appa- recchio SOE, risaliva al maggio 1941. Non si potranno mai abbastanza sottolineare la dedizione e l’entusiasmo di cui diedero prova le prime missioni paracadutate o sbarcate nel territorio francese o11 loro coraggio ed esempio nei primi mesi d’isolamento, quando la iniziativa bellica era interamente nelle mani dei Tedeschi. Verso la fine del 1941, ad esempio, tutta l’ofganizzazione del SOE nella zona occupata cadde nelle reti della polizia di Vichy e della Gestapo, e solo nel febbraio 1942 si riprese a fare qualche progresso.

    Le proporzioni dell’attività nell’autunno 1942 sono rivelatrici: nella zona occupata c’erano solo 6 organizzatori, 1 corriere, 2 operatori-radio e nessun deposito di armi e munizioni; nella zona non occupata c’erano 25 organizzatori, 19 agenti locali, 6 operatori- radio e pochi modesti depositi di rifornimenti. Nel 1944 circa 600 agenti inglesi e francesi furono paracadutati in Francia, senza contare quelli che, via terra o via mare, raggiunsero alcuni punti della costa o arrivarono attraverso la Spagna.

    Per quanto1 modeste possano sembrare queste cifre, la sola presenza di agenti alleati agì come stimolo sul morale dei primi gruppi di resistenti, e non è facile esagerare l’influenza che le informazioni giunte attraverso quegli apparecchi isolati W^T ebbero, in tutta l’Europa, sul compimento delle azioni di bombardamento delle forze aeree inglesi e americane contro le vie di comunicazione dell’Asse.

    Ai primi del 1944 tutta la concezione era mutata. Le Forze Francesi dell’Interno erano un esercito clandestino che bisognava rifornire, per quanto lo consentivano le limitazioni tecniche dell’aviazione, come una forza ausiliaria dell’attacco ai Tedeschi al momento dell’invasione dell’Europa occidentale. In Francia, nel Belgio e in Olanda il SOE aveva ormai raggiunto, al suo livello, iniziativa tecnica nel sabotaggio, ed il suo ruolo era diventato quello di una autorità militare ausiliaria in rapporto con l’esercito dell’interno. La risposta da parte della Resistenza francese è fra i fatti epici della guerra. Tutta l’organizzazione fu messa all’erta la notte del 5-6 giugno 1944 in tutto il Belgio e la Francia. Delle 1055 distruzioni

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    ferroviarie progettate, 960 furono condotte a termine felicemente. In agosto, nella sola Francia, ebbero luogo ben 2900 attacchi a linee ferroviarie. Le Forze Francesi deH’Interno erano salite a più di100.000 uomini armati. Il 25 giugno 76 fortezze volanti americane con rifornimenti di armi e munizioni furono distolte dai loro normali compiti per appoggiare queste operazioni, e altre 400 ne vennero adibite il 14 luglio. Come dice un rapporto del Supremo Comando Alleato: « L’azione dei gruppi della Resistenza a sud della Loira diede come risultato un ritardo medio di 48 ore (e in alcuni casi molto superiore) nel movimento dei rinforzi diretti in Normandia. Il nemico dovette affrontare un’altra battaglia dietro le sue linee ». Un’attività consimile seguì nel Belgio, in Olanda, in Norvegia, in Danimarca. Alla fine della guerra il generale Eisenhower scrisse al maggior'generale Sir Colin Gubbins, comandante operativo del SOE:

    « Anche se non è ancora stata raggiunta una definitiva valuta- « zione dell’importanza operativa delle azioni della Resistenza, io « ritengo che la disorganizzazione delle comunicazioni ferroviarie « nemiche, il bersagliamento dei movimenti tedeschi su strada e la « continua, crescente pressione esercitata sull’economia bellica ger- « manica e sui servizi di sicurezza interna in tutta l’Europa occu- « pata, ad opera delle forze organizzate della Resistenza, hanno

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    mutamenti significativi. Tutto il problema delle operazioni del SOE nei Balcani, nell’Europa centrale e nell’Italia settentrionale, dovette alla fine essere considerato storicamente alla luce della strategia de- gli Stati Maggiori britannico ed americano nei confronti di queste regioni. Lo scopo e anzi la natura delle operazioni del SOE in questi teatri dipese dalla direzione della spinta principale alleata che dal teatro mediterraneo si spostò contro la fortezza europea controllata dall’Asse.

    Dal punto di vista inglese lo sviluppo della resistenza locale in Grecia e in Jugoslavia, in rapporto diretto con l’importanza per l’Asse delle comunicazioni ferroviarie attraverso l’Europa sud-onen- tale ed il Pireo, che costituiva non solo l’unica via di rifornimento per gli eserciti dell'Asse ma anche la via dei rifornimenti essenziali, ad esempio, del petrolio e del grano rumeno e della bauxite jugo- slava, vitale per l’industria aeronautica del Reich, si svolgeva ormai in un senso avverso alia Germania. In Grecia, per esempio, il primo gruppo di paracadutisti inglesi fu lanciato nell’ottobre 1942 per preparare il sabotaggio della linea ferroviaria principale che trasportava l’8o% dei rifornimenti a Rommel. Questa operazione segna il primo intervento diretto da parte delle missioni militari in Grecia dopo la ritirata seguita alla campagna ellenica del 1941. Altre spedizioni seguirono con il compito preciso di raccogliere informazioni sulla composizione dei gruppi della Resistenza greca, sui quali si era appuntata l’attenzione degli Alleati per la prima volta alla fine dell’estate del 1942. Altre missioni guidate da inglesi furono paracadutate più tardi, e venne così stabilita una rete di comunicazioni in tutta la Grecia continentale.

    La brevità dello spazio non ci consente di occuparci come si dovrebbe delle complicazioni politiche del teatro greco; comunque l’esperienza generale dei comandi britannici interessati fu quasi unanime nel giudicare che le bande dell’EAM, guidate da comunisti, operavano anzitutto con l’intenzione di impadronirsi del potere politico al momento che i Tedeschi si fossero ritirati verso il nord, ed erano riluttanti ad assumere compiti militari nell’immediato periodo dell’occupazione nemica. Un ulteriore fattore di confusione era costituito dal fatto che, nella maggioranza dei casi, i gruppi o le bande che non erano comunisti, erano però antimonarchici (in linea generale, almeno fatta eccezione per pochi elementi isolati della città), ed ogni tentativo' del SOE di mettere in atto la precisa tattica

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    di incoraggiare la Resistenza con lo scopo esclusivo ed immediato di sabotare e di attaccare gli obbiettivi militari, fu profondamente e disperatamente complicato dalla dura realtà che le missioni britan- niche si venivano a trovare di fronte subito ad un’incipiente guerra civile; di conseguenza qualsiasi aiuto militare sotto forma di armi e rifornimenti avrebbe, nello stesso tempo, alterato decisamente e direttamente, l’equilibrio politico delle forze al momento della liberazione.

    In assenza di un’autorità centrale in territorio greco le decisioni, che venivano prese sul momento dalle Missioni inglesi, a v e v a n o p e r scopo di promuovere l’azione sovversiva, per principio, solo direttamente dietro comando e controllo britannico. Nella primavera del 1943, di queste missioni alle dipendenze dirette del Cairo ve ne erano dieci. Fu fatto un tentativo di organizzare delle Bande Nazionali, accompagnate, ciascuna, da un ufficiale inglese di collegamento e controllate da un ufficiale superiore inglese residente in Grecia, ma in definitiva sotto il controllo del Cairo. La Grecia montagnosa fu divisa in aree di guerriglia fra queste missioni, ma il progetto falli anzitutto per l’estesa e aspra opposizione dell’EAM comunista, che, nella primavera del 1943, non tollerava rivali sul campo. E così la situazione costrinse alla fine a tagliare tutti i rifornimenti ai comunisti greci. Dunque le speranze di conferire alle Missioni inglesi l’ulteriore compito di usare della loro influenza per promuovere l’unità politica fra le fazioni in lotta sul suolo greco fallirono sin dall’inizio. Le difficoltà risultanti dalle operazioni condotte in queste condizioni risultano chiare, in modo eloquente e caratteristico, in una direttiva del Ministero degli Esteri del marzo 1943:

    « Data l’importanza operativa annessa alle attività sovversive in Grecia, è chiaro che il SOE, anziché rifiutarsi di avere a che fare con un determinato gruppo, semplicemente per la ragione che i suoi sentimenti sono contrari al Re ed al Governo, è tenuto a far intendere a questi gruppi, anche se antimonarchici, il fatto* che il Re ed il Governo godono del pieno appoggio* del Governo di Sua Maestà. Insomma non si deve trascurare nulla che possa aiutare e promuovere l’unità fra i gruppi resistenti di Grecia e fra essi ed il Re ed il Governo ».

    Come in Grecia, così furono fatti dei passi, nello stesso tempo, cioè nell’autunno del 1942, per sviluppare ulteriormente i tenui

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    legami, sotto forma di Missioni britanniche, con la Resistenza jugoslava. Questi rapporti però si limitarono alla Serbia e alle bande sotto il controllo di Mihailovic, che era anche Ministro della Guerra, sulla carta, del Regio Governo Jugoslavo in esilio a Londra.

    Come già ho detto più sopra, ai primi del 1942 erano stati perduti i contatti-radio con il paese, fatta eccezione per un’unica apparecchiatura azionata da Mihailovic. Alla fine dell’anno una Missione militare, composta da ufficiali superiori, fu mandata al quartier generale del colonnello con l’incarico di fare un accurato rapporto sulla consistenza della organizzazione di Mihailovic in vista del sabotaggio delle principali vie di comunicazione e in generale suU’importanza dei Cetnici come forza di resistenza contro i Tedeschi. Mihailovic, di fronte all’espansione crescente del nemico interno, i partigiani del Partito Comunista Jugoslavo, e, in particolare nelle regioni fuori dalla Serbia, alle conseguenze delle selvagge rappresaglie fatte dai Tedeschi e dalle truppe satelliti contro la popolazione civile in caso di sabotaggio, fermamente convinto che gli Alleati sarebbero alla fine sbarcati nei Balcani, rifiutò categoricamente di intraprendere azioni di rilievo- sino alla fine della guerra. Il suo atteggiamento, se pure originante da punti di vista assoluta- mente opposti, -ricorda nelle manifestazioni quello dei comunisti greci. Per Mihailovic era preponderante il fatto politico; ai suoi occhi la posta in gioco era l’equilibrio politico futuro della Jugoslavia a ostilità cessate.

    Fu in misura considerevole sulla base dei rapporti delle Missioni militari britanniche in Serbia, rivelatori di questo stato di cose, che fu presa dall’Alto Comando del Cairo la decisione di esplorare le possibilità di un contatto con i partigiani jugoslavi. Era stato preparato uno studio particolareggiato sulla dislocazione degli eserciti tedesco ed italiano in Jugoslavia e da esso risultò chiaro che i principali concentramenti si trovavano in aree estranee al controllo di Mihailovic. Presumibilmente le disposizioni prese dall’Asse erano in rapporto con la minaccia interna alle loro linee di comunicazione da altra parte. Naturalmente si dovrebbe anche sottolineare che in alcuni casi importanti l’ordine di battaglia dell’Asse in Jugoslavia si dimostrò direttamente legato all’ostinata convinzione di Hitler che l’attacco definitivo alla fortezza europea da parte degli Alleati sarebbe venuto attraverso i Balcani.

    Un altro fattore della decisione, presa dall’Alto Comando del

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    Cairo, di autorizzare il SOE a mettersi in contatto coi comandanti partigiani jugoslavi fu l’intenzione dei militari in generale di tenere impegnato il maggior numero possibile di divisioni dell’Asse nei Balcani col minimo sforzo da parte alleata, in vista delle grandi operazioni imminenti nell’Europa occidentale. Questo obbiettivo giocò una parte decisiva nella risoluzione di prendere contatti con Tito. Questi legami furono stabiliti da una serie di gruppi di azione inglesi nel maggio 1943, uno dei quali comandato dalla persona stessa che qui parla; tre mesi dopo una Missione di ufficiali superiori al comando del brigadiere Maclean fu inviata al quartier generale di Tito. L’atteggiamento del SOE di fronte agli avvenimenti che seguirono in Jugoslavia fu essenzialmente motivato da considerazioni di interesse immediato e contingente. A differenza dell’EAM, in Grecia, i partigiani jugoslavi si erano trasformati in una forza combattente efficace e avevano dimostrato una capacità di azione partigiana su larga scala, contro le divisioni tedesche ed italiane di stanza in Jugoslavia, superiore a qualsiasi altra che si fosse verificata in quel tempo in altro paese dell’Europa occupata. La decisione di andare avanti per questa strada e dare il massimo appoggio a Tito fu una decisione essenzialmente inglese; gli Americani vi aderirono solo dopo interminabili discussioni. Come in Grecia, e in realtà ovunque, il fattore politico emerse subito, e tuttavia l’atteggiamento britannico fondamentale rimase sempre quello, di appoggiare cioè qu'alsiasi gruppo fosse in grado di lottare con i Tedeschi, a prescindere da considerazioni di natura politica e preoccupandosi il meno possibile delle ripercussioni post-belliche del fatto. Strettamente legato a questo atteggiamento inglese verso Tito era anche l’aspetto strategico della guerra in senso lato. Una volta che era stato deciso che non ci sarebbe stato sbarco alleato in forze nei Balcani, i compiti pratici del sovvertimento potevano, in un certo senso, essere tenuti distinti dai fattori politici connessi.

    Stava diventando sempre più chiaro il fatto che l’equilibrio del potere nei paesi dell’Europa liberata, a guerra finita, sarebbe stato condizionato dalle posizioni finali occupate sulla carta geografica rispettivamente dagli eserciti anglo-americani e sovietico. La questione della futura struttura politica dell’Europa orientale, centrale e sud-orientale sarebbe dipesa in ultima analisi dalle decisioni diplomatiche prese alla sommità fra i tre grandi Alleati, e problemi come quelli del futuro della Grecia, della Jugoslavia e della Polonia

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    da una parte, e dei satelliti del nemico, la Rumenia, la Bulgaria e l’Ungheria dall’altra, sarebbero stati definiti al tavolo di una conferenza e non dalle azioni del SOE o di qualsiasi altra organizzazione del genere.

    Nei confronti di Tito gli Inglesi conclusero che l’aiuto del SOE era giustificato da motivi militari, tenuto presente il generale sforzo bellico. E, sebbene sia probabile, se non certo, che le forze partigiane jugoslave non avrebbero vinto solo la battaglia contro i Tedeschi, ma anche la lotta per il potere, a guerra finita, senza aiuti estranei, decisivo fu il fattore tempo, che consigliava di affrettare la conclusione del conflitto, fattore che, comunque, in ogni caso, secondo il mio parere — che è quello di un testimone oculare di questi avvenimenti — era tale da giustificare l’aiuto dato ai partigiani jugoslavi.

    A differenza che in Grecia le Missioni inglesi presso Tito furono essenzialmente di collegamento. Sul piano operativo i partigiani agirono come forza assolutamente indipendente e, a parte le direttive generali date a Tito nei confronti del sabotaggio delle comunicazioni e delle installazioni, il controllo tattico di tutte le operazioni restò al Maresciallo e al suo Stato Maggiore. Dagli ultimi mesi del 1943 al maggio 1944 i rifornimenti inglesi ed americani alle forze tifine raggiunsero 62.458 tonnellate per via mare e 13.695 per via aerea.

    Conferì un aspetto particolare alla guerra in Jugoslavia la condizione in cui vennero a trovarsi i feriti, fatalmente condannati, quando cadevano in mano tedesca, con conseguente effetto psicologico di questa efferatezza. Come unico esempio nella storia della guerra irregolare nell’Europa occupata ricorderemo che gli Inglesi e gli Americani, durante il corso dei combattimenti, evacuarono dalla Jugoslavia piu di' 14.000 feriti.

    E’ materia molto discutibile — e solleverebbe lunghe controversie qualsiasi affermazione categorica in un senso 0 nell’altro — la questione di ciò che sarebbe accaduto nel territorio jugoslavo, se gli Inglesi si fossero astenuti da qualsiasi contatto con le forze partigiane e avessero negato loro qualsiasi aiuto. Una discussione del genere non è strettamente pertinente a questa mia memoria; però io vorrei precisare, sia pure lasciandolo oggetto di futuro dibattito, sostenuto però da irrefutabili prove storiche, il fatto che l’aiuto britannico a Tito ebbe, in modo imprevisto e imprevedibile, una parte

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    decisiva nel convincere i Russi che l’intera operazione fosse stata deliberatamente voluta dalla Gran Bretagna in considerazione di ulteriori motivi politici, e cooperò quindi a creare, da parte sovietica, un’atmosfera di sospetto nei confronti della lealtà assoluta del mo- vimento partigiano jugoslavo alla causa del ComuniSmo internazionale, e a determinare quindi, nel 1948, la rottura fra Jugoslavia e U.R.S.S.

    La creazione di una base principale del SOE nell’Europa meridionale, a Bari, rese possibile di estendere le operazioni cominciate due anni prima nella Polonia occupata. Queste operazioni avevano assunto, in un primo periodo, un aspetto particolare; cioè, la evacuazione delle truppe polacche dalla Francia nel 1940 e, più tardi, il loro impiego a fianco degli Inglesi, nel Medio Oriente, in Africa e in Italia, nonché la simbolica presenza di un Governo in esilio a Londra, fecero si che i Polacchi, con i Francesi Liberi, rappresentassero i due gruppi più forti combattenti con la Gran Bretagna. In questo senso la Polonia rimase in guerra con l’Asse, e la lotta delle sue forze regolari le diede un prestigio particolare agli occhi dell’Inghilterra. Le operazioni del SOE in Polonia, che erano cominciate con una missione isolata nel 1941, furono guidate direttamente dai Polacchi stessi. Fu per essi motivo di orgoglio poter organizzare le loro spedizioni indipendentemente da un minuto controllo britannico. Queste missioni furono perfino trasportate in Polonia per via aerea da apparecchi pilotati da Polacchi. Io stesso ebbi la emozionante esperienza di vedere una di queste missioni partire da un aeroporto segreto d’Inghilterra su due bombardieri Blenheim, dipinti in nero e pilotati da giovani Polacchi, le cui probabilità di ritornare sani e salvi dall’Europa orientale sorvolando la Germania del nord erano molto scarse. La lunghezza del volo di ritorno rendeva pressoché sicura l’intercettazione da parte di aerei tedeschi da combattimento.

    Fino agli ultimissimi giorni della guerra nessuna missione britannica del genere scese sul territorio polacco, e le operazioni tecnicamente organizzate dal SOE dalla Gran Bretagna alla Polonia, furono condotte esclusivamente da Polacchi di Londra, i quali agivano come una forza indipendente.

    In realtà il volume e l’estensione di queste attività non furono grandi. Nell’aprile 1942 furono compiute solo nove spedizioni fortunate, cui presero parte 48 uomini. Durante le 24 spedizioni

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    del settembre 1943, partite ormai da basi italiane, andarono perduti 6 apparecchi. La base del SOE polacco era stata posta in Italia nel dicembre del 1943, e circa 20 operazioni in Polonia furono tentate nei primi tre mesi del 1944; due sole di esse ebbero successo. Politicamente, la Polonia doveva diventare, ancora una volta nella sua storia, il banco di prova delle relazioni fra Est e Ovest e della buona fede fra Russi da una parte e Alleati occidentali dall’altra.

    Proprio come la Francia, e poi l’Italia, erano situate lungo la principale linea strategica di accesso degli Alleati occidentali nel loro definitivo massiccio attacco al continente europeo, così la Polonia stava sul cammino diretto dell’avanzata sovietica nella Germania e nell’Europa orientale, con tutte le relative inevitabili conseguenze politiche. E’ impossibile, e comunque sarebbe ingiusto, sottovalutare il particolare senso di lealtà degli Inglesi verso i loro alleati polacchi, per i quali del resto la Gran Bretagna era entrata ufficialmente nel conflitto, nel settembre 1939. E non si dovrebbe nemmeno dimenticare il ruolo essenziale che ebbero, nei confronti dello sforzo bellico tedesco, gli agenti polacchi che raccolsero informazioni nel territorio occupato.

    Le discussioni sullo svolgimento delle future operazioni del SOE in Polonia riguardarono essenzialmente le possibilità tecniche di assicurare la liberazione del territorio polacco dall’ovest, operando il congiungimento di forze polacche aviotrasportate con l’esercito polacco clandestino. In realtà l’esperimento, che si era dimostrato possibile in Francia, di creare e rifornire eserciti clandestini nell’Europa occupata, fu decisamente scartato nei confronti della Polonia — e anche della Cecoslovacchia — causa la scarsa disponibilità dei mezzi aerei necessari, che non potevano essere distolti dai compiti offensivi di bombardare su vasta scala gli obbiettivi tedeschi. Il progetto polacco per una simile operazione giunse allo Stato Maggiore inglese nell’ottobre 1942, ma fu fermamente 'respinto per le ragioni su esposte. Perciò l’unica speranza rimasta ai Polacchi alleati della Gran Bretagna fu di preparare, seguendo una tradizione familiare alla storia polacca, una sollevazione nazionale sostenuta solo dalle risorse umane del paese stesso. I tentativi di cooperazione fra l’esercito clandestino dei Polacchi di Londra e gli elementi locali raccolti e addestrati sul suolo della madrepatria, incontrarono una solida ed aspra resistenza da parte sovietica. In realtà, nel 1944, i Russi stavano svolgendo già in Po-

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    Ionia la guerra parmigiana indipendentemente dai Polacchi di qualsiasi tendenza politica fossero.

    Gli eventi mossero verso la nota tragedia della insurrezione di Varsavia, che non può essere oggetto di adeguata trattazione in questa sede e che forse, allo stato presente delle informazioni, non può essere ancora discussa a fondo. Un solo fatto, e fondamentale, risulta chiaro, cioè che le istruzioni al generale Bor Komorowski di sollevare l’esercito polacco in una rivolta nazionale allo scopo' di cacciare i Tedeschi dalla capitale furono disposte senza averne informato le autorità inglesi, e una volta che la insurrezione ebbe luogo, vani sforzi furono fatti da Britannici e da Americani per persuadere i Russi affinchè ci permettessero almeno di recare quell’aiuto che si poteva per via aerea; il rifiuto sovietico di discutere questi aiuti segnò l’inizio del profondo malinteso fra i tre Alleati.

    L’invasione alleata dell’Italia nell’autunno 1943 creò il primo fronte terrestre anglo-americano nell’Europa occupata e aprì la possibilità di formare gruppi di resistenza dietro le linee tedesche nel nord del paese. Operazioni dirette dal SOE cominciarono solo in settembre, ed il mese seguente vide in azione le prime sei missioni. Nel settembre 1944 il numero era salito a 37 gruppi inglesi e 17 italiani operanti a nord della Linea Gotica.

    Il teatro italiano era destinato a presentare ben presto un insieme ancora diverso di circostanze particolari. Come la Francia, il territorio italiano rappresentava, nel cuore dell’Europa occupata, una via strategica maestra lungo la quale gli Anglo-Americani dovevano muoversi. Comunque, fino al settembre 1943 la Gran Bretagna era stata in guerra con l’Italia fascista e poi col Governo Badoglio. La capitolazione italiana consolidò in termini politici l’occupazione militare da parte delle forze alleate della Sicilia e del tallone della penisola e diede origine ad una frontiera politico- militare in movimento sulla penisola stessa, creando, nello stesso tempo, le possibilità di espletare operazioni sovversive a nord della linea del fronte, attività che però dovevano articolarsi strettamente e localmente, con i futuri piani del generale Alexander nei confronti della campagna italiana nel suo complesso.

    Mai gli Inglesi intesero creare un esercito italiano clandestino nell’Italia settentrionale ora occupata dai Tedeschi e sciaguratamente amministrata dalla repubblica satellite fondata agli ordini di Mussolini sul Lago di Garda. Gli eserciti inglese ed americano

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    operavano ora su vasta scala in un paese col quale precedentemente erano stati in guerra e che ora era per metà in mano di un re e di un governo che si era arreso e che costituiva l’inevitabile nucleo di una restaurazione, mentre l’altra metà era tuttora territorio nemico, in senso stretto.

    L’intenzione fondamentale degli Alleati nel cercare di appog- giare e di sfruttare per la causa comune l’esplodere spontaneo della Resistenza partigiana nell’Italia settentrionale dopo il settembre 1943, era di irreggimentare queste energie e farne una forza ausi- liaria dell’avanzata anglo-americana verso il nord sino alle frontiere tedesche. Come altrove nell’Europa occupata, i partigiani furono considerati anzitutto come elementi utili, se operanti in piccoli gruppi, a raccogliere informazioni sul nemico e a sabotare le comunicazioni e i depositi di materiale. In ogni tempo queste attività furono considerate sotto il diretto controllo militare britannico. La confusione di propositi fra i capi partigiani italiani e il Comando inglese, da una parte, e l’intrusione di istanze politiche scaturite dalla rivolta contro vent’anni di dominio fascista dall’altra, furono forse più acuti in questo teatro di guerra che in tutti gli altri di Europa.

    Le operazioni tecniche del SOE potevano essere e furono condotte come in tutte le altre regioni; ma il rapido estendersi delle bande partigiane, specialmente nelle zone appenniniche ed alpine, diede vita di fatto ad un esercito clandestino come quello che aveva preso forma in Francia, dove era stato considerato, più che ausiliario, sostitutivo di un vero e proprio consistente aiuto militare alleato. In termini generali si potrebbe dire a buon diritto che la mancanza di comprensione che insorse di tanto in tanto fra i capi della Resistenza italiana ed i Comandi anglo-americani derivò dal fatto che i primi consideravano loro principale scopo la creazione di un Esercito di Liberazione e, pur senza preoccuparsi del colore politico dei vari raggruppamenti in esso compresi, vedevano come eminentemente politico il compito che questo esercito avrebbe svolto alla fine della guerra, a liberazione avvenuta, mentre gli Alleati, come del resto dappertutto nel continente europeo, avevano una visione del tutto diversa ed esclusivamente militare della funzione che gli italiani avrebbero avuto nelle ultime tappe della guerra.

    I termini della resa italiana, sebbene strettamente militari nel contenuto, furono un implicito riconoscimento di aiuto a re Vitto

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    rio Emanuele III e ad un Governo monarchico in Italia. Al contrario, per dirla in breve, gli elementi che guidavano la Resistenza italiana nei territori occupati del nord erano ostili alla restaurazione monarchica nel paese. Il compito di evitare un definitivo urto fra questi due mondi in Italia non rientrava affatto negli scopi delle operazioni del SOE, le cui direttive, come in ogni altro caso in Europa, venivano in definitiva decise dagli Stati Maggiori inglese ed americano. In generale il Comando Alleato in Italia si aspettava dai partigiani italiani che si limitassero il più possibile ai compiti seguenti: interrompere le comunicazioni tedesche, proteggere e salvare i porti principali e le industrie dell’Italia settentrionale, essenziali alla ricostruzione del paese, e, solo nelle ultime fasi, azioni militari delle bande partigiane contro le forze germaniche in ritirata, nonché la difesa della legge e deH’ordine nelle aree non raggiungibili dalle truppe alleate. In pratica, le missioni inglesi e americane operanti nel territorio italiano occupato si trovarono brutalmente di fronte a quella che era in realtà una guerra civile tra fascisti e partigiani, nonché alla spontanea apparizione, da parte partigiana, di un esercito clandestino, non richiesto e non desiderato dalle direttive alleate.

    La valutazione dell’importanza militare di queste bande parti- giane fu, e forse è tuttora, argomento di discussione. Il proclama del generale Alexander, che invitava questi gruppi a sciogliersi nell’inverno 1944, evidenzia i limiti entro i quali gli Inglesi contennero rigidamente la loro concezione del ruolo più utile della Resistenza italiana nei combattimenti in Italia e la mancata valutazione, da parte loro, della situazione partigiana. Del pari, l’amaro risentimento suscitato da quel proclama illustra la fiducia che i comandanti italiani riponevano1 nella validità della loro macchina bellica. A mano a mano1 che si avvicinava l’ora della liberazione le ragioni essenzialmente politiche interferirono sempre più nella scena già confusa, nei confronti non solo del futuro assestamento politico, già inevitabilmente alterato, come del resto altrove in Europa, dalla distribuzione di armi e di munizioni a vari gruppi resistenti nel nord d’Italia, ma anche dei problemi delle future frontiere sulle Alpi occidentali e settentrionali rispetto alle richieste francesi, nell’Alto Adige e sul confine d’oriente, ancora oscuramente definito, fra i partigiani jugoslavi in avanzata e le unità italiane fasciste e non fasciste.

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    Nonostante tutti questi problemi il contributo della Resistenza italiana al generale sforzo bellico fu di notevole rilievo e nei ruoli predisposti fin dall’inizio con ostinazione dallo Stato Maggiore del generale Alexander e infine, negli ultimi stadi, quando fu dato l’ordine dell’insurrezione generale. Vennero salvati dalla distruzione i porti, particolarmente quelli di Genova e Venezia, le installazioni industriali del nord d’Italia e le centrali elettriche alpine; inoltre, negli ultimi giorni di combattimento, le forze partigiane scrissero pagine di ardimento nella lotta decisiva contro la Germania.

    La Norvegia, come la Danimarca, rimase al di fuori dell’area dell’ultimo decisivo attacco anglo-americano. La sua importanza per lo sforzo bellico alleato consistette soprattutto nel sabotaggio economico e nella tecnica dei « commandos » adibiti a colpi di mano; più tardi si svilupparono Operazioni Combinate e, con un procedimento tutto diverso di attacco, si agì soprattutto contro la navigazione tedesca e i posti-radio, dando infine luogo all’epica operazione in Norvegia contro rimpianto di produzione dell’acqua pesante, che i Tedeschi intendevano usare nei processi legati ai loro programmi atomici.

    Nel quadro delle relazioni fra il SOE e la Resistenza « esterna » norvegese, condotta dal re e dal Governo in esilio a Londra ed il Fronte interno, la situazione offrì durante tutta la guerra un esempio unico di mancanza di attriti e di confusione negli obbiettivi. E ciò fu dovuto soprattutto all’assenza di conflitti politici nella Norvegia prebellica ed ai rapporti stretti ed armoniosi intercorrenti fra i Norvegesi di Londra e quelli della madrepatria.

    Durante tutto il tempo delle sue esperienze i rapporti del SOE con la Resistenza europea a Londra e nei territori delia madrepatria furono un riflesso involontario delle tradizioni politiche diverse e contrastanti che si presentarono in ogni singolo caso.

    I Paesi Bassi crearono, alla loro volta, uno speciale problema tecnico alle attività sovversive. L’assenza di zone collinose di rifugio ed il concentramento di città industriali in pianura resero i compiti di sicurezza della Germania molto più semplici che in Francia ed in Italia, per tacere dei Balcani. Inoltre, sia il Belgio che l’Olanda si trovavano sulla via dei bombardamenti della Ruhr, e l’aviazione tedesca, fortemente organizzata, e le sue difese contraeree accrebbero la difficoltà di paracadutare missioni in questi due paesi. Ma, come la Francia, i Paesi Bassi erano anche sulla strada dell’even-

  • 3° Pro], Deakin

    tuale invasione alleata dell’Europa, e per questo simili furono le linee di strutturazione dei rapporti fra il SOE e le organizzazioni « interne » della Resistenza.

    C o n c l u s i o n e - Gli scopi ultimi che il SOE britannico cercò di raggiungere « mettendo a fuoco l’Europa », per usare le parole di Sir Winston Churchill nel 1940, variarono e nel metodo e nella progettazione e nell’attuazione a seconda delle necessità della strategia- alleata, che condizionò fin dagli inizi l’attività dell’intera organizzazione.

    Questi scopi furono essenzialmente duplici e concepiti nei due stadi dell’organizzazione e dell’equipaggiamento:

    a) di un sabotaggio e di un servizio d’informazioni siste- matici;

    b) di eserciti clandestini nell’Europa occupata.Questi fini in parte risultarono incompatibili, a mano a mano

    che lo sviluppo del primo punto attirava l’attenzione sul progetta ̂mento' del secondo. I definitivi successi del SOE spesso si verifica' rono interamente a proposito del punto a) ed i suoi insuccessi in quello b). La concezione inglese della guerra irregolare, basata su un insieme crescente di prove pratiche, a mano a mano che la guerra si sviluppava, fu essenzialmente quella- di creare una Quinta Colonna non-politica sul continente europeo, di una Resistenza « interna » controllata, dove possibile, da una Resistenza « esterna », rappresentata dagli elementi in esilio a Londra. I compiti della Resistenza « interna » dovevano di preferenza essere limitati al sabotaggio ed alla raccolta di informazioni e ristretti a piccoli gruppi piuttosto che a numerose bande, e ciò per ragioni di sicurezza più che di politica. Gli Inglesi erano per tradizione sospettosi delle « Grandi Compagnie », e solo in un senso molto particolare svilupparono in Francia un’organizzazione militare, quella delle FFI.

    Il secondo stadio degli eserciti clandestini, destinato a funzionare alla vigilia della liberazione, fu preso in considerazione agli inizi del 1941 e riguardò essenzialmente la Polonia e la Cecoslovacchia. Il piano originale avrebbe richiesto la disponibilità di 8000 apparecchi, a prescindere dall’appoggio aereo al momento dell’attacco finale. Il concomitante piano di sabotaggio avre'bbe implicato l’impiego del 15% delle esistenti forze da bombardamento da distogliere dal loro compito centrale di attaccare dal cielo la

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    Germania, e gli eserciti clandestini ne avrebbero richiesto un altro 40%. Un progetto di queste proporzioni fu respinto all’inizio dagli Stati Maggiori inglesi, e la creazione, in vista di operazioni belliche, di eserciti clandestini nell’Est, creazione sulla quale soprattutto i Polacchi riponevano le loro maggiori speranze, fu abbandonata sin dai primi del 1941.

    Le limitazioni del SOE furono perciò imposte in primo luogo dalla mancanza di mezzi. Spesso non ci si rende abbastanza conto che nell’autunno del 1941 il SOE ebbe a sua disposizione 8 bombardieri Whitley e 5 Halifax per tutte le sue missioni da basi inglesi, e, fino al 1943, 2 vecchi Whitley nel teatro mediterraneo. Così pure non si dovrebbe dimenticare che nello stesso autunno del 1941 il Comando Bombardieri dell’Aviazione britannica in Inghilterra disponeva in tutto di soli 90 apparecchi pesanti.

    Alla fine della guerra le forze in uomini del SOE assommavano a meno di una divisione con l’equivalente di quattro squadre aeree a sua esclusiva disposizione.

    Con questi mezzi e per cinque anni il SOE fu il principale strumento dell’azione britannica in Europa.

    P r o f . D e a k i n .