la linguistica contrastiva dalle origini alle … · perché acquisisca un posto nella linguistica...
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LA LINGUISTICA CONTRASTIVA DALLE ORIGINI ALLE
SOGLIE DEGLI ANNI 1990
L’Analisi dell’Errore e l’Analisi Contrastiva. I presupposti storici: H. Frei. Origini e sviluppo. L’idea contrastiva: Freis. La fondazione di una disciplina:
Robert Lado Intereferenza e contatto linguistico: Weinreich
L’AE negli anni 1970, diffusione e critiche. Nuove prospettive per gli anni 1990. Serie: Studi di Linguistica Contrastiva, n. 2
Di Serenella Pelaggi
I presupposti storici: Henri Frei.
Si suole collocare l’ origine dell’Analisi dell’Errore (AE) e i suoi sviluppi a
seguito di e in parallelo con i primi esperimenti di Analisi Contrastiva (AC) negli
anni Sessanta del Novecento. Tuttavia, sorprendentemente, si potrà riscontrare
che nel lontano 1929 un post-saussuriano ginevrino di seconda generazione,
allievo di Charles Bally, Henri Frei, nella sua tesi La Grammaire de Faute mette
a fuoco il ruolo dell’errore linguistico. E non solo fa ciò nell’ottica riscontrata
dai vari commentatori (Guirand 1965, Kukenheim 1966, Amacker e Godel 1980,
Simone 1992), bensì anche in una prospettiva interlinguistica che sembra
gettare i semi di interessi contrastivi, tipologici, di ricerca degli universali che
verranno perseguiti solo nell’ultima parte del secolo.
Nel primo capitolo, Introduction a la Linguistique Fonctionnelle, Frei mette a
confronto la Linguistica Funzionale con la Grammatica Normativa, la Linguistica
Storica e conclude con Le Choix des Faits, un invito ad attenersi all’analisi dei
fatti. Sottolineata la vaghezza dei termini ‘correct’ e ‘faute’, rileva che:
Un grand nombre d’auteurs définissent le correct par la confomité avec
la norme sociale (p.17)
E citando Jespersen:
On entend par langage correct le langage tel qu’il est exigé par la
collecivité, e par fautes de langage les écarts à partir de cette norme –
abstraction fait de toute valeur interne des mots ou de formes (p.140)
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Che codifica il punto di vista normativo: è corretto ciò che corrisponde alla
norma stabilita dalla comunità. Ma prosegue affermando che è possibile un
altro punto di vista:
Une autre conception, que nous appellerons […] fonctionnelle, fait
dépendre la correction o l’incorrection de faits de langage de leur degré
de conformité à la fonction donnée que ils ont à remplir (p.18)
Fa risalire il punto di vista normativo soprattutto alla scuola francese
(Durkheimer) e ginevrina (De Saussure), e quello funzionale alla scuola
scandinava (Jespersen). A seconda del punto di vista prescelto si avrà una
definizione diversa di corretto o sbagliato
normativo: è sbagliato ciò che trasgredisce la norma collettiva
funzionale: è sbagliato quello che non è adeguato ad una funzione data.
La differenza radicale tra le due sta nel fatto che:
• un fatto di lingua (fait de langage) può essere corretto ma adatto alla
sua funzione
• molti errori, viceversa, servono esattamente a compensare il deficit
funzionale della lingua.
Rileva l’interesse che riveste per il linguista lo studio funzionale degli errori.
Una delle sue tesi è dimostrare che nella maggior parte dei casi l’errore, fino
ad allora considerato più o meno un aberrazione o patologia del linguaggio,
serve a prevenire o compensare i limiti della lingua corretta. Mentre il purismo
infatti è molto praticato, lamenta che l’analisi dell’errore è trascurata, mentre
egli ne vede il valore a livello funzionale. Nonostante la riluttanza dei linguisti
a prendere in considerazione la finalità della lingua, Frei sostiene che
esaminata dal punto di vista degli errori e delle innovazioni, la finalità appare
sotto due aspetti opposti ma complementari: la selezione e l’adattamento
creativo.
A proposito della selezione, individua il ruolo funzionale che l’oblio svolge nella
vita di una lingua essendo l’altra faccia della selezione, infatti la memoria
lascia cadere gli elementi che non sono adatti ad una data funzione.
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Quanto all’adattamento creativo, si realizza un ciclo funzionale cui dà inizio
una limitazione, che attraverso un processo tende al fine di rispondere ad un
bisogno linguistico.
Il ciclo funzionale viene messo in relazione ai concetti di regola e legge. Mentre
la legge è un fenomeno che si realizza inevitabilmente, in quanto relazione
costante tra i fatti, la regola grammaticale invece è un principio imperativo,
imposto dalla costrizione dell’uso collettivo e dalla grammatica che se ne fa
interprete. La regola grammaticale non ha niente a che fare con la legge,
perché è convenzionale appunto, mentre la legge è naturale. E in questo critica
De Saussure, in quanto per lui la concezione di legge espressa nel Cours (p.133)
interessa solo la regola grammaticale; ma la grammatica come la
giurisprudenza prescrive e codifica il dover essere, mentre i linguisti, come i
sociologi, constatano e registrano semplicemente i rapporti di mutua
dipendenza tra i fatti.
La contrapposizione norma e funzione, da un lato, e regola e legge, dall’altro,
costituiscono conseguenze importanti per la disciplina. La Grammatica
Normativa è puramente descrittiva, mentre la Linguistica Funzionale ha scopo
esplicativo, tende a spiegare i fenomeni che costituiscono il funzionamento
della lingua. E’ la linguistica funzionale che dovrà spiegare il mantenimento o
l’abbandono delle regole di un sistema. La grammatica normativa è una
disciplina particolare, che può solo studiare una lingua in un dato momento;
mentre la linguistica funzionale è una scienza generale.
Non meno interessante il rapporto che stabilisce Frei tra linguistica funzionale
e linguistica storica. Rifiuta il concetto di linguistica storica come unica
spiegazione veritiera, in contrapposizione alla linguistica statica (che
interpretiamo come sincronica) come disciplina puramente descrittiva. La
spiegazione funzionale si oppone a quella storica. La linguistica storica infatti è
una ricostruzione dei fatti a posteriori che interpretiamo come diacronica),
mentre quella funzionale si colloca a livello statico (sincronico) e cerca di
spiegare i fatti riportandoli alle funzioni (bisogni, istinti, ecc.), che sono
chiamati a soddisfare. I bisogni fondamentali che regolano le funzioni della
lingua sono di numero relativamente limitato e variano poco da una lingua
all’altra o ella stessa lingua da un’epoca all’altra. Elementi che Frei denomina
‘costanti della lingua’.
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Passata in rassegna anche l’opposizione tra cambiamento come passaggio
reversibile, ed evoluzione come stadio invece irreversibile, definisce la
linguistica del funzionamento (linguistica della parole) il ponte tra la linguistica
statica e la linguistica evolutiva. La linguistica funzionale non potrà che agire
nel presente, essere statica operare in ambito sincronico; e cita De Saussure:
La première chose qui frappe quand on étudie le faits de langue, c’è
que pour le sujet parlant leur succession dans les temps est inexistante
[…].
L’Introduction à la Linguistique Fonctionnelle con cui si apre l’opera di Henri
Frei presenta il tentativo di inquadrare lo studio degli errori linguistici in una
teoria strutturale e allo stesso tempo finalistica. Mostra che gli errori servono a
prevenire e porre rimedio alle limitazioni della lingua corretta, offre un
approccio sociolinguistico e una visione funzionale degli errori, come ‘bisogni
linguistici’ finalizzati alla realizzazione di espressività, chiarezza, economia, in
contrapposizione agli approcci normativi (p. 19). Vede l’errore come un mezzo
per risolvere ambiguità linguistiche, chiarificare con la differenziazione, e
come produttore di economia (brevità, ellissi, sottintesi, abbreviazioni). Mette
in evidenza i fenomeni di mobilità.
René Amacker (1999), nella sua dell’opera di Frei al congresso SLI rintraccia
nella prima parte dell’opera Introduction à la linguistique fonctionnelle:
le difficoltà incontrate dall’Autore nel tentativo di inquadrare lo studio
degli ‘errori’ linguistici in una teoria al contempo strutturale e
finalistica. Inoltre, tale teoria contiene elementi — sia saussuriani sia
ballyani — la cui compresenza in parte conflittuale oppone al progetto di
Frei una certa resistenza […]
nonché:
tre nozioni problematiche (quantunque basilari per Frei), l’errore (fatto
empirico), la funzione (teoricamente definita) e la grammatica (quale
sintesi di empirica e teoria), tenendo nel dovuto conto i loro mutui
rapporti, come ciò del resto s’impone, per riflessività, a chi pretende
costruire, di un testo empirico, una qualche interpretazione teorica.
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Caratteri dell’opera di Frei non evidenziati dai commentatori. Esistono tuttavia
elementi lungimiranti che sembrano non aver attirato l’attenzione, come il
concetto di creatività dell’errore, così moderna e attuale. Tra gli obiettivi della
sua linguistica funzionale indica:
L’idéale de la linguistique fonctionnelle serà de pursuivre la recherche
de coïncidences non seulement entre les différentes parties d’une
langue donnée, mais ancore d’une langue a autre (p. 38)
Prefigurando un’analisi non solo intralinguistica, ma interlinguistica, che fa
pensare agli sviluppi futuri dell’analisi contrastiva e della tipologia linguistica,
da lui stesso considerata avveniristica,
Voilà évidemment une tâche de l’avenir, à laquelle on ne pourrà pas
encore souger ici.
Questo per sottolineare come la sua grammatica si vuole distinguere
radicalmente dalla grammatica comparativa tradizionale. Un’altra interessante
anticipazione sembra affacciarsi nella definizione degli obiettivi della
linguistica funzionale:
Les besoins fondamentaux qui commandent le fonctionnement du
langage sont en nombre relativement restreint et varient en somme
assez peu d’une langue à l’autre ou d’une époque à l’autre dans la
même langue. On pourrait les appeler le constantes du langage (p. 27)
In cui potremmo intravedere gli antecedenti concettuali degli universali
linguistici.
Origini e sviluppo. L’idea contrastiva: Freis.
Quello che un tempo poteva essere considerato un vezzo o un difetto, secondo i
punti di vista, e cioè l’incapacità di esprimersi correttamente in una lingua
straniera e di comportarsi correttamente nell’interscambio sociale, è un
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fenomeno attestato dalla storia stessa dell’uomo e dalla letteratura. Ma
diventa oggetto di attenzione scientifica propriamente solo per ideazione di un
filosofo e linguista americano, Charles C. Fries, col suo trattato The teaching of
English language (1927), che dà il primo quadro di riferimento per
l’insegnamento delle lingue, e cui fa seguito Teaching and learning English as a
foreign language (1945), in cui sostiene la fondamentale importanza della
lingua madre (L1) nell’apprendimento di una lingua straniera o seconda lingua
(SL), identificando il meccanismo inconscio che nei primi gradi
dell’apprendimento tende a trasferire regolarmente sia pure in parte alla L2 le
strutture della L1.1 Nasce così l’idea contrastiva.
L’approccio contrastivo, ideato nel 1957 sulla base delle intuizioni di Fries,
intende mettere a confronto i sistemi fonologico, morfologico, sintattico,
lessicale e culturale delle due lingue che entrano in contatto nel processo di
apprendimento, per identificarne similarità e differenze, allo scopo di
prevedere come obiettivo finale le aree di maggior o minore difficoltà per gli
apprendenti (Gass- Selinker, 2001).
Ideata dunque a livello linguistico-filosofico, l’Analisi Contrastiva (AC) si
sviluppa nelle sue prime applicazioni soprattutto negli USA in ambito di
didattica delle lingue, e rimane a lungo confinata ad un uso prettamente
empirico nella sua versione cosiddetta ‘forte’2. Dovranno passare vari decenni
perché acquisisca un posto nella linguistica generale e le vengano riconosciute
validità e utilità anche in altri campi di applicazione, come gli studi della
traduzione, la linguistica computazionale, la linguistica dei corpora, nonché ad
essere riabilitata anche nel campo dell’insegnamento delle lingue nella sua
nuova versione cosiddetta ‘debole’, più articolata dal punto di vista teorico e
meno dogmatica dal punto di vista applicativo.3
1 La metodologia di Fries è sviluppata nei due testi American English grammar (1940) e The structure of English (1952). 2 la maggior parte degli errori dei discenti potevano essere previsti in base ad una analisi contrastiva di L1 e L2; gli errori si sarebbero verificati in relazione alle componenti più difficili da apprendere che erano individuate negli elementi di maggior differenza, distanza o asimmetria tra le due lingue; infine una didattica impostata alla consapevolezza e alla pratica della contrastività avrebbe potuto evitare gli errori. 3 L’ipotesi debole ridimensiona l’entità del potere predittivo dell’errore attraverso l’analisi contrastiva delle due lingue, e pur tenendo ferma la fiducia nella validità della consapevolezza da parte dello studente delle aree di forte differenza tra L1 e L2, mitiga il convincimento della prossibilità di prevenzione dell’errore.
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La fondazione di una disciplina: Robert Lado.
Docente, autore di libri di testo, Robert Lado (1915-1995) ricopre cariche
accademiche in università americane nel Michigan e a Washington-DC, è
professore di linguistica fino al 1980. Deve la sua fama alla originalità nel
campo della ricerca linguistica e della didattica delle lingue. Nato in Florida da
genitori spagnoli, e rientrato in Spagna prima di aver imparto l’inglese, torna
negli USA all’età di 21 anni imparando la lingua da adulto, dunque. Sviluppa
perciò, sulla base dell’esperienza personale, la curiosità scientifica per i
problemi interculturali dell’emigrazione e dell’apprendimento della L2,
divenendo l’antesignano dello studio della comunicazione interculturale.
Nel 1957 viene pubblicata l’opera fondamentale di Robert Lado Linguistics
across cultures. L’ edizione originale è presentata da Charles C. Freis, che
mette in evidenza lo spostamento di interesse, nel campo dell’insegnamento
delle lingue, dalla pratica e dalle modalità dell’azione didattica ad un nuovo
approccio, che consiste nel lavoro preliminare da fare per individuare i
problemi che possono insorgere nel processo di apprendimento.
Tale processo di apprendimento viene definito da Freis, in linea con le
tendenze dei tempi, come induzione negli apprendenti dello sviluppo di una
serie di “nuove abitudini linguistiche”, a fronte delle abitudini linguistiche già
apprese, proprie della loro L1, in questo senso Freis è specchio di un’epoca
segnata dai principi della psicologia comportamentista. Ciononostante, mette
in evidenza che l’apprendimento di una L2 è un processo diverso
dall’apprendimento della lingua madre, e riconosce perciò a Lado il merito del
lavoro da lui svolto con la produzione di strumenti validi per promuovere un
apprendimento più efficace della lingua straniera. Individua il grande valore
dell’opera di Lado nei risultati dei tests da lui eseguiti in ambito di ricerca,
basati su una accurata e sistematica analisi comparativa delle descrizioni delle
strutture di due lingue, quella dell’apprendente e la lingua da apprendere,
descrizioni che non si limitavano alle forme:
His comparisons demanded more and more complete descriptions,
including not only the narrowly linguistic features but a wide selection
of the social-cultural features in which the language operated (p.v)
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La nuova impostazione didattica richiedeva materiali adeguati che
presentassero un sistematico confronto tra L1 e L2. Nella sua prefazione, Lado
presenta il suo lavoro come una innovazione sostanziale:
a fairly new field of applied lingusitics and the analysis of culture,
namely the comparison of any two languages, to discover and describe
the problems that the speakers of one of the languages will have in
learning the other (p. vi)
e sostiene che i risultati di tali analisi si sono rivelati fondamentali per la
preparazione di materiali didattici, dei test e degli esperimenti
sull’apprendimento delle lingue.
Poi introduce quel concetto, che la storia successiva della ricerca
sull’acquisizione avrà modo di smentire, anche se solo in parte, e cioè:
We can predict and describe the patterns that will cause difficulty in
learning and those that will not cause difficulty, by comparing
systematically the language and the culture to be learned with the
native language and culture of the student (p.vii)
Il lavoro era indirizzato anche agli psicologi dell’apprendimento, ma
prevalentemente agli insegnanti che dovevano produrre i materiali didattici,
per cui, dopo l’ampia esposizione delle necessità di una comparazione delle
lingue e culture, il lavoro continua con l’illustrazione sistematica del metodo
per mettere a confronto tutte le componenti delle due lingue in questione, e
cioè il sistema dei suoni, le strutture grammaticali, i sistemi lessicali, i sistemi
di scrittura, ed ultimo ma - non meno importante - le culture. Nell’indice
stesso dell’opera troviamo in nuce tutti i presupposti degli sviluppi futuri della
ricerca contemporanea in campo acquisizionale.
Lado si dedica in questo lavoro alla fonologia contrastiva, ma dà indicazioni
precise e metodologicamente tuttora valide per l’analisi delle altre componenti
della lingua, gettando così le basi non solo per le grammatiche contrastive, ma
anche per la retorica contrastiva (che lui definisce i ‘sistemi di scrittura’) e,
con le sue raccomandazioni sull’importanza di analizzare le culture delle lingue
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da apprendere, anche le basi di quella che solo in epoca recente è stata
denominata la Pragmatica Acquisizionale Interculturale.
Nella formulazione dei concetti fondamentali che devono guidare la
preparazione dei materiali didattici, Lado cita Ch. C. Freis (1945) laddove dice
che i materiali didattici più efficaci sono basati su una descrizione scientifica
della lingua da apprendere e su una descrizione parallela della lingua
dell’apprendente. Questo principio e il relativo lavoro di analisi contrastiva
furono alla base della serie Spoken English Textbooks nell’ambito del progetto
lingue straniere realizzato nel 1954 sotto l’egida dell’ACLS (American Council of
Language Societies). Questo può a buon diritto essere considerato il primo
progetto nazionale di analisi contrastiva ante-litteram, perché costituisce il
presupposto dei progetti nazionali contrastivi condotti in seguito in alcuni paesi
europei, anche se con obiettivi diversi. Infatti in USA l’esigenza era quella di
insegnare l’inglese in immersione alle molte nazionalità diverse, che sempre
hanno caratterizzato la configurazione demografica di quel paese attraverso i
tempi; mentre in Europa l’obiettivo era di facilitare l’apprendimento
dell’inglese come lingua straniera a livello scolare, per superare i limiti alla
comunicazione esterna di lingue nazionali con poca diffusione o speranza di
diffusione al di fuori dei propri confini territoriali (progetti contrastivi serbo-
croato, polacco, finlandese, ecc.), ma anche interna (come nel caso di
comunità multi-etniche).
Il punto chiave che Lado vuole sottolineare è questo:
in the comparison between native and foreign language lies the key to
ease or difficulty in foreign language learning (p.1).
A validare la sua posizione si richiama agli studi sulle lingue in contatto
condotte da Haugen (1953) e Weinreich (1953). Lado si pone il problema delle
implicazioni che tale teoria può avere nella ricerca sulla psicologia
sull’apprendimento (all’epoca oltre alla psicologia non c’erano le altre
discipline che sono oggi disponibili alla ricerca per avanzare ipotesi
neurologiche sui meccanismi dell’apprendimento):
Research in the psychology of languages and language learning in
educational psychology has not as a rule made any conscious systematic
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use of assumptions of the importance of the nature of language habits in
foreign language learning. Yet there is every reason to believe that a
real progress could be made if such assumptions were to become part of
the planning in language learning research (pp. 1-2)
Lado non pretende di avere alle spalle la certezza di una teoria psicologica
dell’apprendimento, anche se il termine language habits è un chiaro
riferimento al comportamentismo, ma bisogna considerare che all’epoca era
una impostazione indiscussa, se non l’unica disponibile. Dobbiamo riconoscere
che il suo proposito era sperimentale, la sua non era che un’ipotesi di ricerca
senza la pretesa di imporre una teoria, che invece gli è sempre stata
rimproverata come acritica adesione al comportamentismo. Il valore
dell’impostazione di Lado va individuato nella procedura metodologica che
illustra, nel percorso che indica con un atteggiamento di fiducia che chiunque
avvii una ricerca deve avere, ma anche con una dose di ragionevole dubbio.
La facilità con cui Lado è stato accantonato è a nostro avviso eccessiva. A
prescindere dalla minore incidenza esercitata complessivamente dalla L1
nell’apprendimento della L2 rispetto alle previsioni, non si può accusarlo di
infondatezza visto che l’ipotesi dell’interferenza della L1 non si è mai
dimostrata del tutto inattendibile, bensì è sta dimostrata attendibile almeno al
30% tra le cause dell’errore nella interlingua dell’apprendente. E comunque
vale la pena di ribadire che il suo approccio contrastivo resta una conquista
indiscutibile della linguistica applicata.
Si richiama ai presupposti di Freis, come già detto, per una efficacia dei
materiali didattici, a seguito degli studi sul bilinguismo e della ricerca sulle
verifiche (test). L’assunto di fondo della sua opera è frutto di osservazione,
documentata ricerca e elaborazione dei dati da essa ricavati:
Individuals tend to transfer the forms and meanings, and the distribution
of forms and meanings of their native language and culture to the
foreign language and culture – both productively when attempting to
speak and act in the culture, and receptively when attempting to grasp
and understand the language and the culture as practised by natives
(p.2)
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Questo dato, frutto come si diceva di ricerca sul bilinguismo e delle verifiche
sistematiche sugli apprendenti, è il presupposto basilare dell’opera di Lado,
strettamente legato alla esigenza della analisi contrastiva nell’ambito della
didattica delle lingue.
Da notare che lingua e cultura (L&C) vengono sempre menzionati
congiuntamente e inscindibilmente, e che per entrambi i domini viene
documentata dalla ricerca la trasferenza di forme, significati e distribuzione di
elementi dalla L&C1. Inoltre è anche di grande attualità e importanza l’enfasi
distinta posta sulle due direzioni della comunicazione interlinguistica: la
ricezione o la percezione come presupposto della comprensione da un lato, e
dall’altro la produzione, frutto del processo di appercezione, ritenzione ed
elaborazione dell’input ricevuto.
Questo resta un terreno ancora poco sviluppato della linguistica acquisizionale,
cioè la doppia natura dell’interferenza che si può verificare prima nel modo in
cui il soggetto accoglie l’input di L&C2, poi nel modo in cui l’interferenza
agisce causando trasferenze dalla propria L&C1 nella interlingua. E’ indubbio
che l’esplorazione della maniera in cui l’input L&C2 venga accolto dal
ricevente, e di come possa interagire con il suo posseduto di L&C1, non è
dominio di facile accesso, neanche oggi a dispetto dei progressi e delle
conquiste nelle neuroscienze. Si tratta di un lavoro interdisciplinare che il
cognitivismo ha abbracciato ma che non ha portato a tutt’oggi a certezze o
smentite, poiché l’unico fenomeno osservabile è la produzione (output),
mentre ancora non sembrano esserci i mezzi adeguati per studiare i meccanismi
della percezione e assimilazione dell’input, che sono all’origine
dell’interferenza. Il modo in cui viene decodificato il messaggio ricevuto è
inevitabilmente condizionato dalla configurazione cognitiva del soggetto, e non
c’è modo per osservare (se non attraverso gli studi clinici su alcuni settori della
patologia del linguaggio) la selezione degli elementi di input che viene
effettuata, la loro interpretazione o i meccanismi di ritenzione fatta dal
ricevente nel suo sistema interno di elaborazione dei dati L&C2 cui viene
esposto.
L’ipotesi di Lado è che l’input in primo luogo sia influenzato dalla
configurazione cognitiva del soggetto, definita in tempi più recenti come
l’‘enciclopedia’, ma che potremmo anche chiamare constraints e parameters,
riferendoci non esclusivamente al livello primario dell’acquisizione linguistica,
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ma a qualsiasi livello di sviluppo della condizione cognitiva successiva, in cui
agiscono sempre elementi di condizionamento e selezione rispetto a ciò che si
è in grado di capire, assorbire, elaborare.
Se l’implicazione che ne consegue, cioè le facili equazioni:
<simile = facile>
<diverso = difficile>
sono state in buona parte smentite dalla ricerca acquisizionale
contemporanea, bisogna però riconoscere che Lado la aveva formulata come
ipotesi, non l’aveva proposta come conclusione. La negazione totale in cui è
incorsa l’AC, per influenza di nuove tendenze nella linguistica teorica negli anni
1960, non è giustificata dalla debolezza di questa ipotesi, che in fondo contiene
anche una buona parte di verità.
Semmai, dovendo muovere una critica al messaggio didattico, l’impostazione di
Lado pone ancora oggi un carico troppo grave sulle spalle dell’insegnante.
L’intento principale del gruppo di ricerca della University of Michigan era la
formazione docenti e la produzione di materiale didattico. Non essendo
disponibili all’epoca manuali di grammatica contrastiva per ciascuna delle
possibili o per le maggiori lingue di immigrazione negli USA, il lavoro che
ricadeva sull’insegnante era enorme: produrre il repertorio di contrastività tra
l’inglese e la lingua madre di ciascuno degli apprendenti. Questo è un problema
ancora attuale, poiché si può pensare di assegnare come docente L2 un
insegnante sufficientemente competente nella L1 dei suoi studenti solo in
gruppi omogenei per lingua. Questo avviene spontaneamente solo in situazione
di apprendimento scolastico (L2 come LS), sia che si tratti di un docente di
lingua straniera in patria o di un lettore madrelingua all’estero. Ma
l’apprendimento in immersione nel contesto della comunità L2 (scuole primarie
e secondarie, corsi e università per stranieri) vede per lo più classi multi-
lingue. Non è pensabile in tal caso poter disporre di docenti sufficientemente
competenti in tutte le lingue straniere presenti nel suo gruppo di studenti. E’
pensabile, magari, che al di fuori delle lezioni in classi multi-lingue si possano
organizzare incontri periodici di gruppi di studenti omogenei per lingua con
mediatori linguistico-culturali, per affrontare i problemi specifici di
intercomprensione e contrasto tra L&C1 e L&C2.
La ricerca sui punti di contrasto tra lingua e cultura, le differenze, le
peculiarità, rivestono per Lado un forte significato in quanto a suo avviso ciò
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che ha bloccato l’avanzamento della ricerca nel campo dell’apprendimento
delle lingue è stato il non sapere con certezza:
what the student is to learn and what he already knows because it is the
same as in his native language (p.7)
Se è stato facile accantonare Lado alla luce del fallimento dell’ipotesi sulla
entità della trasferenza da L1 a L2, e nel rapporto diretto
<somiglianza = facilitazione> e <differenza = difficoltà>
è stato poco lungimirante oscurare tutto il significato della sua ricerca,
soprattutto per la parte che invoca la necessità di analizzare le lingue a
confronto tra di loro. Di fatto non tutti hanno sepolto il messaggio di Lado in
tutto il mondo, e la corrente contrastivista è sempre stata latente anche negli
anni ‘bui’ del generativismo, anche se solo la più recente ricerca
sull’acquisizione ha fatto giustizia di un oscuramento indebito. Ma se è vero che
senza la AC non sarebbero state possibili la linguistica tipologica, i corpora
paralleli o multipli, la retorica contrastiva o la pragmatica acquisizionale
interculturale, è anche vero che la sostanza del massaggio di Lado non è stata
colta a pieno, né è stata raccolta diffusamente dai linguisti l’esortazione allo
studio comparativo sincronico delle lingue. Infatti a dispetto del numero
esorbitante di lavori contrastivi prodotti dagli anni 1950 in poi è vero però che
per la maggior parte si tratta ancora di studi sull’inglese a confronto con le
altre lingue. Questo in parte si spiega col fatto che l’inglese si è imposto come
lingua veicolare o lingua franca a livello mondiale, è la più diffusa, la più
insegnata, la più usata anche per la comunicazioni tra non madrelingua tra
loro, nei contesti nazionali multi-etnici. Non ci sono però altrettanti risultati di
analisi contrastiva tra altre lingue, come ci si potrebbe aspettare dopo mezzo
secolo dalla fondazione della disciplina.
Ancora vogliamo sottolineare l’altro aspetto oscurato nel passato e non rivaluto
abbastanza oggi, cioè la sua insistenza costante sull’importanza del binomio
lingua – cultura. La sua è una preoccupazione anche sociale, profondamente
etica. Il suo interesse all’intercomprensione fra lingue e culture, che egli stesso
aveva sperimentato in quanto originario di famiglia spagnola, ne fa un autore
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estremamente moderno e attuale. Egli mette in guardia contro il rischio
costante della incomprensione tra lingue e culture diverse, e contro il
conseguente rischio di sviluppo e radicamento di pregiudizi:
Because human personality has evolved a variety of ways to live, ways
that we call cultures, we constantly misinterpret each other across
cultures (p.8)
Evidenzia le possibili conseguenze dell’incomprensione fra le persone, che
amabilmente e simbolicamente chiama ‘neighbors’ e poi anche ‘fratelli’,
consentendoci qui di estendere il significato del suo messaggio ad includere i
popoli di diverse lingue e culture. La mancata comprensione interculturale è
all’origine di giudizi sbagliati, come osserva acutamente, perché formulati in
base ai parametri del ricevente e non dell’ emittente del messaggio, e dunque
costante minaccia di tensioni e contrasti. Attribuendo al ‘prossimo’ (nel senso
biblico di neighbor come in Lado) intenzioni che non corrispondono a ciò che
noi esternamente percepiamo di esse, dato che non abbiamo gli strumenti per
interpretare correttamente lingue e culture altre, possiamo ingenerare
conseguenze frustranti o addirittura pericolose.
Quello di Lado, oltre che linguistico e pedagogico, risulta essere anche un
messaggio profondamente etico e pertinente, attuale sempre, quanto mai oggi
nel processo di assimilazione tra le varie nazioni nella Unità Europea e in
generale nel cosiddetto processo di globalizzazione a livello planetario.
Lado sostiene ancora l’importanza dell’AC per gli apprendenti di una L2 nel suo
testo del 1964, L’insegnamento linguistico: un approccio scientifico. Definisce
l’AC come:
Il confronto fra due lingue per individuare e descrivere i problemi che i
parlanti di una delle due lingue possono avere nell’apprendimento
dell’altra
Lado sostiene che le strutture che risultano molto simili nelle due lingue
possono essere trasferite dalla L1 alla L2 e funzionare correttamente nella
seconda lingua. Invece le strutture che risultano differenti, sono difficili per
l’apprendente, e se trasferite alla L2 non funzionano in modo soddisfacente.
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Lado dunque suppone l’esistenza e il funzionamento costante di un meccanismo
di trasferenza (originale transfer), termine mediato dal concetto di transfer
psicologico, e lo considera il presupposto dal quale l’apprendente parte sempre
per appropriarsi della L2. Lado, include però nella sua visione anche l’analisi
dei sistemi culturali delle due lingue, che ritiene debbano esser messi a
confronto per le opportune deduzioni, ma questo è palesemente il punto più
trascurato della sua teoria nell’intero arco di sviluppo degli studi e delle
applicazioni in campo contrastivo fino agli anni 1980.
L’interesse principale di Lado consiste sopratutto nella creazione di materiali
per la didattica , molti dei quali basati sui presupposti della contrastività.
Alcuni dei presupposti della AC vengono così commentati da Gass e Selinker
(2001):
l’analisi contrastiva è basata su una teoria che considera la lingua come
comportamento, per cui l’apprendimento di una seconda lingua
comporta la realizzazione di una nuova serie di comportamenti […] La
lingua madre è la fonte principale degli errori di comprensione e
produzione nella L2 […]
Quanto maggiori sono le differenze tra la L1 e la L2, tanto più numerosi
saranno gli errori che si verificheranno […]
E’ importante che l’apprendente si concentri solo sulle differenze
perché le similarità potranno agevolmente essere trasferite […]
La difficoltà o a facilità di apprendimento sono legate rispettivamente
alle differenze e alle similarità tra la L1 e la L2.
Larry Selinker, suo allievo e il primo a realizzare un dottorato con lui sull’AC,
considera Lado il fondatore ante litteram degli studi sull’acquisizione delle
lingue, proprio per quella componente della sua teoria che individuava il
meccanismo della trasferenza linguistica dalla L1 alla L2. Essendo stato suo
allievo e avendo realizzato con lui un dottorato sull’AC, Selinker muove delle
critiche alle limitazioni dell’AC, sull’onda dell’influenza della linguistica di
Chomsky. Fa parte infatti di quel movimento che alla fine degli anni 1960
“threw out the CA baby and the bathwater at all”, che aveva cioè “buttato via
l’acqua sporca col bambino”. In seguito tuttavia si impegna al recupero e alla
rivalutazione dell’AC a partire dal concetto di base di InterLingua (IL), ed
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elaborando una ipotesi coerente di grammatica dell’IL e di una teoria
dell’acquisizione della seconda lingua (AL2).
Interferenza e contatto linguistico: Uriel Weinreich.
La pubblicazione di Languages in Contact (LiC) nel 1953 segna l’apertura di un
decennio di studi che porteranno alla configurazione della Analisi Contrastiva
(AC) come campo specifico della linguistica applicata, gettando le basi e i
presupposti della sua storia futura.
Nella presentazione dell’edizione italiana del 1974, G. R Cardona fa notare che
una diffusa idealizzazione aveva cercato di configurare come esclusivo il
rapporto di una lingua col suo territorio e i suoi occupanti, “cuius regio eius
lingua” (p. vii), come se la condizione del monolinguismo fosse quella normale,
la più comune, la regola, insomma. Al contrario è il plurilinguismo che è più
frequente e diffuso in tutto il mondo. Per questo esisteva un vuoto sostanziale
di studi nel campo, e anche perché la politica non aveva in generale
incoraggiato il multilinguismo, in quanto fattore antieconomico ai fini
istituzionali e amministrativi, spingendo nel corso della storia anche per altri
motivi ideologici all’omogeneità linguistica sul territorio.
Quindi il lavoro innovativo di Weinreich è accolto anche in Italia, seppure a
circa venti anni dalla sua pubblicazione, con largo favore e apprezzamento.
Cardona rammenta che il primo a costruire una teoria dell’interferenza era
stato lo psicologo Jzhac Epstein, proveniente anche lui da ambiente plurilingue,
citato con ampia considerazione da Weinreich.
Uriel Weinreich aveva una ampia esperienza personale di bilinguismo e tutta la
sua carriera sarà dedicata allo studio del bi-linguismo, senza peraltro ignorare
altri campi della linguistica. La sua opera è il risultato delle sue due tesi, di
laurea (1949) e di dottorato (1951), ed ebbe enorme risonanza, divenendo
subito il punto di riferimento per lo studio delle lingue in contatto, tanto è vero
che vari dei suoi termini chiave sono entrati nella storia della linguistica, come
interferenza, lingue in contatto, configurazioni di prestigio, bilinguismo
coordinato e subordinato, e altri. Un suo commentatore (Haugen) ha sostenuto
nel 1954 che il termine interferenza gli venisse dalla Scuola di Praga, ma non ci
sarebbero prove documentali a riguardo.
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Cardona definisce LiC “uno degli incunaboli della linguistica contrastiva” e
commenta
Con questo termine si indica lo studio parallelo di due lingue, condotto
con uno stesso metodo e mettendone in evidenza gli stessi fatti, o
l’assenza o presenza degli stessi fatti (p. xvi)
Dice inoltre che pare essere stato Freis (1945) il primo a dare applicazione
didattica al criterio di prevedibilità dell’errore e delle difficoltà di
apprendimento come esito di una AC. Ma di fatto la prima pubblicazione
espressamente accreditata come iniziatrice dell’AC sembra essere quella di R.
Lado (1957).
L’ AC era stata usata anche da un linguista russo, E. A. Polivanov, tra il 1933 e
il 1935, ma a parte Wolff (1950) con la sua descrizione contrastiva dei fonemi
dell’inglese e dello spagnolo portoricano, lo studio contrastivo fonologico del
dialetto romancio e dello schwyzertütsch di Weinreich sembra essere tra i
primissimi lavori in questo campo.
Dopo Weinreich l’AC si è affermata ampiamente come criterio di base nella
linguistica applicata, portando anche maggiore consapevolezza delle carenze
della linguistica descrittiva in relazione alle singole lingue in sé, e a partire
dalla fonologia si è estesa subito alla grammatica, infatti una intera serie fu
dedicata dalla editrice della Università di Chicago negli anni 1960 all’inglese
messo a confronto con il tedesco, l’italiano, il francese, lo spagnolo. Ancora
negli anni 1970, sia pur con opportune modifiche, il sistema di Weinreich veniva
utilizzato nello studio dell’interferenza fonetica (Hyman 1970). A livello
lessicale e sintattico invece Cardona rileva che non era stata fatta molta strada
dalla LiC fino a quel momento. E aveva ragione, soprattutto rispetto al
panorama italiano.
A Weinreich Cardona riconosce anche il merito di aver dato un deciso impulso
alla sociolinguistica, un campo all’epoca ancora incerto, sottolineando come
molti termini da lui definiti per la prima volta siano poi rimasti come
patrimonio della disciplina. Tra i concetti più pregnanti cita quello di
commutazione linguistica (code switching), che si riallaccia al termine
diglossia, introdotto da Ferguson (1959) e inteso come uso alternativo di due
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varietà della stessa lingua a seconda del contesto, ma che da Weinreich viene
ricondotto all’interno del discorso del parlante singolo.
Nella sua presentazione dell’opera di Weinreich, André Martinet aveva già
sottolineato l’importanza di riconoscere ed esplorare la realtà del
plurilinguismo a dispetto dell’illusione dell’omogeneità e autosufficienza di
ogni lingua
Una comunità linguistica non è mai omogenea e forse mai
autosufficiente. I dialettologi hanno dimostrato la permeabilità delle
cellule linguistiche, e si è visto che i mutamenti linguistici si diffondono
come onde attraverso lo spazio … la diversità linguistica comincia dalla
porta accanto e spesso all’interno di uno stesso individuo … . Quello che
noi chiamiamo “una lingua” è un aggregato di milioni di questi
microcosmi. (p. xxxix)
Lamentando che con poche eccezioni la linguistica avesse sempre privilegiato
lo studio della “divergenza” (evidentemente diacronica), accoglie con evidente
soddisfazione questo interesse allo studio della “convergenza”. E’ singolare che
Martinet definisca convergenza lo studio dell’interferenza che si verifica nel
contatto, giacché tale fenomeno per essere messo in evidenza deve essere
sottoposto ad AC, ovvero allo studio delle divergenze (in questo caso a livello
sincronico evidentemente).
Weinreich esordisce con una definizione di interferenza:
Indicheremo con il nome di fenomeno di interferenza quegli esempi di
deviazione dalle norme dell’una o dell’altra lingua che compaiono nel
discorso dei bilingui come risultato della loro familiarità con più di una
lingua , cioè come risultato di un contatto linguistico
[…] Sarebbe semplicistico parlare in questi casi di prestito o di semplici
aggiunte[…]e di contatto […]
Considereremo qui il contatto linguistico e il bilinguismo nel senso più
lato, senza specificare il grado di diversità tra due lingue. (pp. 3-4)
Prosegue affermando la diretta proporzionalità tra differenza tra le lingue e
difficoltà di apprendimento e ampiezza dell’area di potenziale interferenza.
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Questo è un assunto sul rapporto di causalità che la ricerca più recente non ha
confermato. Ma qui a noi interessa l’impulso fondatore a una disciplina
sistematica:
Grandi o piccole che siano, le differenze e le somiglianze tra LiC devono
essere esaurientemente formulate per ogni settore – fonetica,
grammatica, lessico – come presupposto per un’analisi dell’interferenza.
Potrebbe anche rivelarsi utile la formulazione di canoni generali della
descrizione contrastiva. (p. 5)
A tal proposito riconosce il valore del lavoro di Seidel (1945) che aveva
realizzato una AC tra russo e romeno, senza però stabilire i principi della
metodologia. Ricorda poi altri autori che avevano cercato il sistema per
confrontare due lingue, ma ritiene tutti i precedenti fossero limitativi e
inefficaci. E ribadisce: “Le forme di interferenza reciproca tra lingue in
contatto vengono esposte in termini della linguistica contrastiva”. Ciò metterà
in evidenza le forme di potenziale interferenza anche se precisa che non tutte
e non necessariamente si verificheranno.
Al di là dei fattori linguistici oggetto della descrizione contrastiva passa poi ad
enumerare i molteplici fattori extralinguistici che intervengono nel fenomeno
di interferenza, e conclude:
Il contrasto linguistico potrà essere compreso pienamente solo se
inserito in un ampio contesto psicologico e socioculturale. …
Posta su un piano interdisciplinare l’indagine sul contrasto linguistico
acquista maggiore profondità e validità. (p.7)
Sottolinea che si prefigge di mostrare quanto l’interferenza sia determinata
dalla struttura delle due lingue in contatto e quanto da fattori non linguistici
del contesto socioculturale del contatto linguistico, esprimendo un proposito
pionieristico che troverà il suo pieno sviluppo solo alle soglie del 2000, e
ammonisce:
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Il linguista che teorizza sull’influenza linguistica ma trascura di rendere
conto del contesto socioculturale del contatto linguistico, lascia il suo
studio - per così dire - sospeso a mezz’aria. (p.8)
Di conseguenza passa ad individuare le discipline che col loro contributo devono
intervenire nell’approccio interdisciplinare prefigurato dalla AC: l’antropologia
e la psicologia.
Entrando nel merito dell’opera dopo questa premessa teorica e metodologica,
si dedica alla applicazione dei criteri esposti alla fonologia. Quanto
all’interferenza grammaticale, invece la considera una questione altamente
controversa e complessa, a causa della mancanza di accordo tra studiosi sui
concetti fondamentali riguardanti morfologia e sintassi, e soprattutto la
nozione di lingua come sistema chiuso che, in quanto tale, non potrebbe essere
sottoposta a confronti.
Commentando i risultati dei dati prodotti nelle sue tabelle di analisi fonologica,
in cui indica l’unico metodo per quantificare correttamente l’entità
dell’interferenza, osserva che “I fenomeni di interferenza sono considerati il
risultato di due forze opposte: stimoli di interferenza e resistenza
all’interferenza”. Vogliamo sottolineare questa osservazione che come in tutta
l’opera è riferita al bilinguismo in senso lato, per poter richiamare il problema
successivamente in ambito di problematica acquisizionale4.
A concludere il panorama delle cause dell’interferenza:
In quasi ogni forma di interferenza si ha un’interazione di fattori esterni
alle strutture della lingua, che favoriscono o inibiscono quel tipo di
interferenza.
Cita gli studiosi di acculturazione (Redfield, Linton, Herskovits, Kroeber, ecc.)
che a partire dagli anni 1930 avevano distinto tra fattori strutturali e non,
4 Il nostro studio si accentra attorno ad un concetto che individua elementi di stimolo dell’interferenza nei casi di forme (lessico e morfosintassi) analoghe ma con funzioni diverse nelle rispettive lingue, e nella resistenza i fenomeni di trasposizione alla L2 di concetti codificati nella L1. Si ipotizza infatti che essi siano dovuti non tanto a incapacità, nei livelli avanzati, di appropriarsi delle modalità espressive della L2, quanto a mancanza di disponibilità psicologica o volontà ideologica di calare i propri valori, concetti, o schemata nelle forme linguistiche della L2. Si tratterebbe cioè di un problema di trans-codifica di forme e funzioni della L1 nelle forme della L2, correndo così il rischio di non realizzare nella L2 la funzione appropriata.]
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distinguendo i tratti culturali, e in particolare la resistenza al prestito culturale
studiato da Devereux e Loeb (1943):
I quali distinguevano tra “resistenza all’elemento culturale” – che
corrisponde approssimativamente alla resistenza strutturale nel contatto
linguistico. (p. 97)
Spiegandolo in base a Linton (1940, p.488) “le cose nuove vengono assunte in
base alla loro utilità, compatibilità con i modelli culturali preesistenti e
associazioni di prestigio.”
Questa impostazione allo studio dell’interferenza già dopo Lado cade
praticamente in disuso, fino a quando non si configurerà la nuova disciplina
della Pragmatica, nella linea di sviluppo diretta del concetto di lingua nell’uso
e nel contesto, a proporre una trattazione molto più approfondita del confronto
tra la L1 e L2, che tiene conto della compatibilità, appunto, tra gli elementi
dell’una e dell’altra in una prospettiva interculturale.
L’AE negli anni 1970: diffusione e critiche. Nuove prospettive per gli anni
1990.
L’AC era stata alla base dello sviluppo dell’AE, negli anni 1940-1960 allorché
venivano condotte analisi contrastive attraverso cui le due lingue L1 e L2
venivano sistematicamente messe a confronto e a contrasto. Allora i ricercatori
tendevano a mettere in evidenza i punti di somiglianza e di differenza, nella
convinzione che una didattica migliore sarebbe scaturita da tale
consapevolezza e dalle strategie didattiche che essa poteva suggerire. Ne era
stato ideatore come abbiamo visto Freis (1945), seguito nell’applicazione da
Lado, il quale sottolinea anche l’importanza dell’AC per la produzione dei
materiali per la didattica. L’assunto era che l’apprendente tende a trasferire
forme e significati e la loro distribuzione dalla L1 alla L2, sia nel tentare di
parlare nella L2 che di muoversi nel suo tessuto sociale in rapporto alle regole
culturali che sottostanno al comportamento. L’ipotesi di spingeva oltre come
abbiamo visto a sostenere che sarebbero stati più facili da apprendere gli
elementi simili tra le due lingue, viceversa più difficili quelli meno simili (Lado
(1957). Questa convinzione aveva prodotto la ipotesi contrastiva (CAH).
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E’ Corder (1967) che per primo si appella alla importanza dell’errore nel
processo dell’apprendimento, focalizzando l’attenzione della linguistica
applicata e degli insegnanti sull’AE. Corder sottolinea il cambiamento di
orientamento dal comportamentismo ad un orientamento più razionalista, e
aggiunge anche - molto importante per il futuro di questa area di studio -, che
l’attenzione va spostata dalla didattica semplicemente alla osservazione e
analisi del processo di apprendimento., facendo notare come in questa ottica
l’errore dello studente assuma tutta un’altra importanza. Richiama il parallelo
con l’apprendimento della L1 da parte dei bambini, nei cui errori viene
identificato il meccanismo attivo di un sistema di apprendimento in atto, e
suggerisce di impostare in tale visione anche lo studio dell’apprendimento della
L2.
La classificazione degli errori dei discenti dovrebbe essere alla base della
ricerca degli specialisti in SLA per capire quali siano le strategie adottare
dall’apprendente nel suo percorso di acquisizione. Corder discute anche la
funzione dell’errore, in questa sua opera fondamentale, facendo notare come
l’errore sia non solo inevitabile ma indispensabile ai fini dell’apprendimento. E’
poi Selinker (1992) a mettere in evidenza come Corder aveva indicato che
l’errore non era causa di interferenza, cioè fattore negativo
nell’apprendimento, anzi era un fenomeno sistematico, con sue regole interne ,
e indicava il processo positivo in atto nell’apprendente che valuta le proprie
ipotesi linguistiche sulla L2.
Il contributo di Corder è dunque quello che dà il via agli studi moderni
sull’apprendimento della L2 da parte degli adulti. Oltre all’impulso dato allo
studio dell’acquisizione della L1, alla riflessione sui concetti dell’AC, della
trasferenza linguistica, dell’ipotesi dell’interlingua, della fossilizzazione, delle
strategie di apprendimento e di comunicazione, il suo contributo costituisce
l’impulso per una vasta produzione di studi empirici.
Tuttavia già negli anni 1970 si affacciano le prime critiche all’AE.
L’AE nasce negli anni 1970 e si sviluppa negli anni 1980. Ha come obiettivo
l’elaborazione di criteri di analisi degli errori nella lingua degli apprendenti per
una migliore comprensione dei processi di apprendimento, e per la eventuale
ricaduta sulla metodologia della didattica.
Prima degli anni 1960, quando prevaleva il punto di vista comportamentista
nello studio dell’apprendimento delle lingue, gli errori erano di fatto valutati
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negativamente, come un risultato da correggere per evitarne la futura
ripetizione. Nella prospettiva comportamentista, infatti, l’apprendimento
avveniva tramite la risposta a stimoli esterni e i successivi interventi di
rinforzo. L’abitudine era vista come prodotto di adeguato lavoro di correzione
e rinforzo, da cui avrebbe avuto luogo l’apprendimento. Gli errori erano la
risposta sbagliata agli stimoli corretti, e dovevano essere immediatamente
emendati, poiché l’errore non opportunamente e tempestivamente corretto
avrebbe formato una abitudine negativa, un comportamento linguistico
acquisito sbagliato.
Questo modo di vedere influenzava grandemente la attività scolastica, gli
insegnanti erano concentrati nella mimica e la memorizzazione delle forme
linguistiche, cercando di instillare gli schemi corretti delle forme linguistiche
nella mente degli allievi. Appena l’apprendente sbagliava, l’insegnante doveva
correggerlo immediatamente, perché sbagliare era considerato deleterio ai fini
del processo di apprendimento.
Questa convinzione viene demolita dalla prospettiva radicalmente opposta
avanzata da Chomsky (1957). Chomsky scrive un saggio critico su Skinner in cui
afferma che la mente umana non parte come ‘tabula rasa’ per
l’apprendimento, ma che l’essere umano ha piuttosto una capacità
predeterminata, innata, che lo guida attraverso la creazione di una vasta serie
di frasi possibili, e che gli consente di apprendere spontaneamente la
grammatica della lingua a cui è esposto senza fatica entro l’età dei sei anni.
Chiama questa capacità la Grammatica Universale (GU), e sostiene che è di
questa che i linguisti si debbano occupare.
Questa rivalutazione razionalista delle capacità mentali porta ad una critica
radicale del comportamentismo, l’abbandono dello stile di insegnamento /
apprendimento basato sul criterio di formazione di abitudine linguistica, per
sviluppare invece l’approccio basato sul codice cognitivo. Gli apprendenti
perciò sono indotti a lavorare in modo consapevole, su esercizi di grammatica
basati su regole specifiche, e si torna a praticare il metodo deduttivo.
L’applicazione di questa nuova prospettiva linguistica, tuttavia, non apporta un
contributo decisivo tanto è vero che Chomsky stesso ammette che la sua teoria
linguistica non offre una soluzione certa alla didattica o all’apprendimento
delle lingue (Chomsky 1966).
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Tuttavia nella linguistica applicata questo spostamento di tendenza ha un
grande influsso, si ripone molta fiducia nella capacità innata dell’apprendente
di formulare ipotesi durante il suo cammino di avvicinamento ad una
competenza in L2 sufficiente a consentirgli di esprimersi in relazione ai suoi
bisogni comunicativi. Il risultato principale è indubbiamente una maggiore
attenzione all’errore dal punto di vista qualitativo, e l’inizio dello studio
sistematico della lingua dell’apprendente.
Negli anni 1970 e 1980 vengono prodotti numerosissimi studi sull’“interlingua”,
o “sistemi approssimativi” di competenza dell’apprendente. Tuttavia iniziano
anche le critiche al nuovo approccio.
I classici dell’AE sono Corder, Selinker e Richards, cui si rivolgeranno
prevalemnetemente le critiche negli anni 1980 e 1990 allorché si affaccia
all’orizzonte della linguistica applicata l’uso diffuso del computer, e dunque la
creazione dei corpora, per cui lo studio dell’interlingua viene considerato
‘scientifico’ solo a partire dalla utilizzazione di grandi corpora.
Le nuove prospettive nella linguistica contrastiva che si manifesteranno negli
anni 1990 saranno quelle centrate sulla ricerca basata sui corpora della lingua
degli apprendenti.
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