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La luce L’uomo, fin dalla nascita della civiltà, ha sempre guardato con curiosità ai fenomeni luminosi come lampo, fuoco, eclissi, arcobaleno, aurore boreali, cercando di spiegare queste manifestazioni della natura e attribuendo molto spesso un significato divino CORSO DI OTTICO - IFP A. Volta sede di Altamura - Dispense di Ottica e Laboratorio - ing. Francesco Chierico Le prime teorie sulla natura della luce nacquero in Grecia intorno al V secolo CENNI STORICI - scuola dei pitagorici (Pitagora): la luce era dovuta a sottili bastoncelli che uscendo dagli occhi esploravano gli oggetti come organi sensoriali simili al tatto - scuola degli atomisti (Democrito): dai corpi luminosi si staccano delle “scorze” o “simulacri”, che rimpicciolendosi, riuscivano a penetrare negli occhi e a portare all’anima la forma e il colore degli oggetti Queste teorie facevano parte del “problema della conoscenza” cioè di come l’individuo viene a conoscere il mondo esterno La spiegazione filosofica che prese piede e che fu condivisa per molto tempo fu che l’individuo fosse costituito da un’anima (l’io) racchiuso dentro un corpo comunicante verso l’esterno attraverso gli i sensi (tatto, gusto, olfatto, udito, e vista)

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La luce

L’uomo, fin dalla nascita della civiltà, ha sempre guardato con curiosità ai fenomeni luminosi come lampo, fuoco, eclissi, arcobaleno, aurore boreali, cercando di spiegare queste manifestazioni della natura e attribuendo molto spesso un significato divino

CORSO DI OTTICO - IFP A. Volta sede di Altamura - Dispense di Ottica e Laboratorio - ing. Francesco Chierico

Le prime teorie sulla natura della luce nacquero in Grecia intorno al V secolo

CENNI STORICI

- scuola dei pitagorici (Pitagora): la luce era dovuta a sottili bastoncelli che uscendo dagli occhi esploravano gli oggetti come organi sensoriali simili al tatto

- scuola degli atomisti (Democrito): dai corpi luminosi si staccano delle “scorze” o “simulacri”, che rimpicciolendosi, riuscivano a penetrare negli occhi e a portare all’anima la forma e il colore degli oggetti

Queste teorie facevano parte del “problema della conoscenza” cioè di come l’individuo viene a conoscere il mondo esterno

La spiegazione filosofica che prese piede e che fu condivisa per molto tempo fu che l’individuo fosse costituito da un’anima (l’io) racchiuso dentro un corpo comunicante verso l’esterno attraverso gli i sensi (tatto, gusto, olfatto, udito, e vista)

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In figura una rappresentazione della concezione pitagorica e atomistica relativa alla natura della luce

Un ulteriore contributo si ebbe nel 300 a.c. con Euclide che fece osservazioni sulla propagazione rettilinea della luce studiando il fenomeno delle ombre

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Ulteriori contributi si ebbero ad opera di Aristotele (350 a.c.) e Tolomeo (120 d.c.) che studio la rifrazione atmosferica

Queste teorie rimasero immutate per secoli e siccome trovarono subito il consenso della Chiesa impedirono lo sviluppo e la diffusione della cultura scientifica nel mondo occidentale

Non a caso nel Medioevo fioriscono le culture del mondo arabo e orientale infatti intorno all’anno mille l’arabo Alhazen scrive un trattato sull’ottica basato su una serie di esperienze visive che portavano alla conclusione che le “scorze” erano in realtà punti che entravano nell’occhio e lo impressionavano con un’immagine. L’opera venne tradotta in latino nel 1200

Intanto nel 1200 si iniziavano a produrre gli occhiali senza nessuna teoria scientifica e contro la cultura religiosa che vedeva nei fenomeni fisivi prodotti dalle lenti (ingrandimenti, rimpicciolimenti, effetti colorati) una manifestazione del demonio Nel 1600 il mondo occidentale esce dall’oscurantismo del Medioevo e, forte del metodo scientifico da poco introdotto a Galileo Galilei, inizia a sondare correttamente i fenomeni luminosi con Snellius, Cartesio, Keplero Nel 1700 Newton e Huygens propongono dei modelli fisici relativi alla luce che costituiranno la base dello studio dei fenomeni luminosi Di seguito approfondiamo alcuni aspetti delle teorie di questi ultimi scienziati

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Keplero è stato il primo protagonista della profonda evoluzione delle idee relative al meccanismo della visione

Nella sua opera “Paralipomena ad Vitellionem” del 1604 egli fece delle osservazioni che condussero allo studio della luce basate su un modello semplificato che può riassumersi nei seguenti elementi:

- Da ogni punto dell’oggetto parte un scorza puntiforme che si propaga in tutte le direzioni dello spazio in maniera rettilinea

- All’interno dell’occhio si formano delle figure che sono simili in senso geometrico agli oggetti nel mondo reale

- Ogni punto che si vede viene ricostruito dall’io che ricompone l’oggetto luminoso sorgente delle infinite rette chiamate raggi (immagini reali e virtuali)

Inoltre per primo introdusse le semplificazioni di considerare -raggi parassiali; -intersezione puntiforme dei raggi luminosi; gettando le basi dell’ottica geometrica

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Le varie interpretazioni sulla natura della luce trovarono una sistemazione organica nell’opera di Newton che si può considerare il piu autorevole e il più importante sostenitore della modello corpuscolare (“Trattato di ottica” del 1704 Secondo Newton la luce è prodotta dall’emissione di piccolissime particelle materiali da parte della sorgente luminosa, le dimensioni di questi corpuscoli dipendono dal colore

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I corpuscoli si propagano in linea retta, attraversano i corpi trasparenti e vengono riflessi dai corpi opachi e la loro velocità è maggiore quanto maggiore è la densità del mezzo attraversato

Il successo che inizialmente incontrò la teoria corpuscolare era dovuto al fatto che i fenomeni luminosi più evidenti come riflessione e rifrazione potevano essere spiegati sulla base di modelli meccanici

Riflessione secondo Newton: Nella riflessione della luce, il corpuscolo è paragonato ad una sferetta che rimbalza contro una superficie rigida: se l’urto è elastico e non vi è dissipazione di energia le componenti della velocità prima e dopo l’urto sono uguali e l’angolo formato con la normale rimane costante i = r

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Rifrazione secondo Newton: Nella rifrazione della luce cioè nel passaggio della luce attraverso un mezzo trasparente supponiamo di densità maggiore del primo, la velocità del corpuscolo aumenta perché si ipotizza l’esistenza di una forza agente lungo la normale che accelera la particella. Lungo l’orizzontale non agiscono forze quindi: v1x = v2x da cui v1 sen i = v 2 sen r e pertanto si ha:

1

2

ˆˆ

vv

rsenisen=

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Le prime ipotesi sul comportamento ondulatorio della luce furono avanzate dal fisico olandese Christiaan Huygens contemporaneo di Newton. Egli suppose che le particelle che costituiscono i corpi luminosi fossero dotati di rapidissimi moti di agitazione interna, tali moti mettevano in agitazione il mezzo circostante che diventava sede di propagazione di onde elastiche simili alle onde sonore (note in quel periodo storico) Huygens attribuì a questo mezzo il nome di etere con caratteristiche di rigidezza molto elevata pur essendo fluido impalpabile e capace di attraversare i corpi

Questa teoria lasciava prestava il fianco a una serie di dubbi e osservazioni: l’etere come mezzo rigido doveva apporsi anche al moto dei corpi, le onde elastiche aggirano gli ostacoli e la luce no (anche se oggi sappiamo che anche la luce aggira gli ostacoli…. diffrazione e relatività…)

A Huygens si deve l’intuizione del modello ondulatorio e l’enunciazione di un principio molto importante che ci tornerà utile in futuro e che porta il suo nome

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Questa superficie immaginaria che i fisici intendono come luogo dei punti caratterizzati dall’avere tutti la stessa fase viene detta anche fronte d’onda Per sorgenti sufficientemente lontane il fronte d’onda può considerarsi piano

'tvr ⋅=

Spazio percorso dal fronte d’onda da A a C:

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Lo scetticismo incontrato dalla teoria ondulatoria fu notevole e si dovettero aspettare due secoli perché questa fosse rivalutata Un passo importante verso la comprensione del fenomeno della luce fu fatto dallo scienziato scozzese James Clerk Maxwell nel 1873 Egli propose un modello della luce basato sulle onde elettromagnetiche rivalutando la teoria ondulatoria, ma ampliandola sulla scorta delle nuove conoscenze sperimentali sull’elettromagnetismo

Heinrich Hertz aveva infatti generato onde elettomagnetiche (micronde) e aveva dimostrato che esse erano soggette ai fenomeni della luce riflessione rifrazione, polarizzazione ecc. Il concetto di etere venne completamente abbandonato

La luce è un fenomeno ondulatorio inquadrabile nel più vasto campo delle onde elettromagnetiche. Più precisamente noi indichiamo con il termine luce la percezione visiva stimolata nell’occhio da onde elettromagnetiche la cui lunghezza d’onda è compresa tra 700 e 400 nm circa

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Alcuni fenomeni però non potevano essere spiegati ammettendo solo una natura ondulatoria della luce, ed ecco che si riaffaccia sulla scena la teoria corpuscolare

Il fenomeno cui si fa riferimento è l’effetto fotoelettrico cioè l’emissione di elettroni dalla superficie di un metallo opportunamente sottoposto ad una radiazione luminosa

Albert Einstein formulò l’ipotesi che l’energia associata alla radiazione luminosa è concentrata in quantità discrete cioè in pacchetti di energia detti fotoni Pertanto spiegò il fenomeno assumendo che il fotone incidente la superficie del metallo trasferisce energia all’elettrone del metallo come in un urto elastico e questo porta all’espulsione dell’elettrone dal metallo stesso

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Si parla quindi di pacchetti di energia o “quanti” da cui la teoria quantistica di Plank e si dimostra che l’energia associata ad una onda elettromagnetica è data da:

fhE ⋅=Dove E è l’energia, h è la costante di Plank, f è la frequenza

Un’altra importante scoperta relativa alla luce fu che essa viaggia con una velocità che è sempre la stessa circa v = 300.000km/sec indipendentemente dal moto e dalla velocità della sorgente e dell’osservatore e inoltre si ha:

2cmE ⋅=

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Le nostre considerazioni sui raggi luminosi in ottica geometrica prescindono dalla natura della luce Infatti per la risoluzione dei problemi faremo riferimento solo a rette e angoli che rappresentano le basi della geometria

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Raggi e loro proprietà

La radiazione capace di impressionare l’occhio si considera composta da raggi, ovvero semirette uscenti in numero infinito da un punto di un oggetto luminoso o illuminato

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L’estensione di tali semirette deve considerarsi illimitata finchè rimane in un mezzo trasparente. Se il raggio viene interrotto o mozzato, il corpo con cui il raggio è in contatto in quel punto si dice opaco

INTRODUZIONE

Per gli studi che seguiranno considereremo un oggetto come un insieme di punti o sorgenti puntiformi ciascuna delle quali emette raggi in tutte le direzioni dello spazio

Cominceremo con lo studio di una singola sorgente puntiforme per poi estendere le indagini a casi più complessi di più sorgenti

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Raggi e loro proprietà

Un punto raggiante emette raggi in tutte le direzioni dello spazio, ma per semplificare lo studio consideriamo un cono di raggi che ha il vertice nel punto raggiante

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INTRODUZIONE

Prendiamo in considerazione i raggi contenuti in un piano perpendicolare allo schermo KH nel quale a sua volta è aperto un foro

Un foro aperto in uno schermo opaco per delimitare il cono di raggi prende il nome di diaframma

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Raggi e loro proprietà

Dato un diaframma con centro in O potremmo condurre da un punto esterno quante rette vogliamo, ma ne esiste una che ha una particolare importanza. La retta passante per il punto esterno A e per il centro O, perpendicolare al piano del diaframma si chiama asse del diaframma

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INTRODUZIONE

Si abbia un punto raggiante A sull’asse AO del diaframma, il segmento AO può essere misurato con varie unità di misure metro, centimetro ecc. e prende il nome di distanza del punto A dal centro O

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Raggi e loro proprietà

In occhialeria l’inverso della distanza AO di un punto esterno dal centro del diaframma è detta vergenza

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INTRODUZIONE

La vergenza espressa sotto forma di numero (cioè avente fatto il rapporto1/AO) si chiama diottria

← divergenza diminuisce

divergenza aumenta →

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Raggi e loro proprietà Nella tabella seguente sono riportati i valori più frequenti delle vergenze usate dall’ottico e i corrispondenti valori delle distanze

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Distanze in metri

Vergenze in diottrie

10.00 0.10

5.00 0.20

4.00 0.25

3.00 0.33

2.50 0.40

2.00 0.50

1.50 0.67

1.33 0.75

1.25 0.80

1.10 0.90

1.00 1.00

0.90 1.10

0.80 1.25

0.75 1.33

0.67 1.50

0.57 1.75

0.50 2.00

0.40 2.50

0.33 3.00

[ ]11 −→= mAO

DDire che il punto A è a 2 diottrie dall’occhio equivale a dire che si trova a 0,50 metri dall’occhio cioè a 50 centimetri

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Raggi e loro proprietà La distanza di un punto dall’occhio può essere espressa con la diottria dato che possiamo considerare un cono di raggi luminosi con vertice nel punto e il diaframma costituito dalla pupilla dell’occhio.

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Quando A è posto all’infinito si hanno zero diottrie. Possiamo in tal caso considerare i raggi provenienti da una stella come raggi paralleli all’asse ottico

Per lo studio della radiazione luminosa occorre fare un ulteriore ipotesi semplificativa cioè quella di raggi parassiali. Nell'ottica geometrica si può applicare l'approssimazione parassiale quando tutti i raggi che entrano o escono da un sistema ottico centrato si propagano dal piano oggetto al piano immagine ad angoli piccoli rispetto all'asse del sistema, rimanendo quindi confinati in una regione prossima all’asse ottico ("parassiale"). In questo caso, si dice che il sistema ottico forma l’immagine dell’oggetto in condizioni parassiali

Più semplicemente diremo che siamo nelle ipotesi di raggi parassiali quando i raggi formano con l’asse ottico angoli piccoli (<30°)

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Raggi e loro proprietà Un’altra semplificazione è quella di considerare l’intersezione delle rette o raggi luminosi assolutamente puntiforme anche se nella realtà non è così

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Ricordiamo che tutte queste tutte queste ipotesi semplificative furono introdotte da Keplero che gettò le basi per lo studio geometrico dei fenomeni luminosi. Vedremo che queste ipotesi si adattano bene al sistema occhio lente perché la pupilla dell’occhio umano funge da diaframma operando una selezione dei raggi che colpiscono la parte interna dell’occhio

A Keplero si deve anche l’intuizione del concetto di “immagine virtuale” perché nella sua trattazione dei fenomeni luminosi aveva affermato che quello che noi vediamo non è la realtà ma è solo una interpretazione dell’io dell’anima

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Riflessione e rifrazione Quando una radiazione luminosa incontra una superficie di separazione tra due mezzi ottici diversi si hanno due fenomeni: la riflessione e la rifrazione

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Si parla di riflessione quando si analizza il comportamento della radiazione che ritorna nel mezzo di provenienza

Si parla di rifrazione quando si analizza il comportamento della radiazione che prosegue nel mezzo secondo mezzo

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Riflessione e rifrazione RIFLESSIONE

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Le leggi che regolano la riflessione sono le seguenti: -il raggio incidente, la normale alla superficie nel punto di incidenza e il raggio riflesso giacciono tutti nello stesso piano;

-l’angolo di incidenza è uguale all’angolo di riflessione;

Le leggi della riflessione sono molto antiche , risalgono a 24 secoli fa, superfici sulle quali i raggi luminosi si riflettono sono dette superfici catottriche o semplicemente specchi

riNNri

=Π∈,,

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Riflessione e rifrazione RIFRAZIONE

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Le leggi che regolano la rifrazione sono le seguenti: -il raggio incidente, la normale alla superficie nel punto di incidenza e il raggio o i raggi rifratti giacciono tutti nello stesso piano;

-Il rapporto tra il seno dell’angolo di incidenza e il seno dell’angolo di rifrazione è costante;

Le leggi della rifrazione sono più recenti, risalgono a 3 secoli fa, superfici sulle quali i raggi luminosi si rifrangono sono dette superfici diottriche o semplicemente diottri

ksenrseni

NNri

=

Π∈,,

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Riflessione e rifrazione RIFRAZIONE

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Per angoli “piccoli” cioè per i<30° la relazione vista precedentemente si semplifica nella seguente

krii =⇒°< 30

La costante K non è altro che il rapporto tra gli indici di rifrazione n2 e n1

1

230

1

2

nn

ri

nn

senrseni i = →= °<

La direzione del raggio rifratto dipende dai seguenti fattori: - Direzione del raggio incidente (i); - Qualità del raggio incidente (l); - Qualità delle sostanze attraversate dalla radiazione luminosa (n2 e n1);

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Riflessione e rifrazione RIFRAZIONE

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L’indice di rifrazione n rappresenta un numero adimensionale cioè senza unità di misura perché è definito come rapporto tra due velocità

11 v

cn =

c velocità della radiazione luminosa nel vuoto e v1 velocità della radiazione luminosa nel mezzo 1 In questo caso si parla di indice di rifrazione assoluto perché la velocità a numeratore è la massima possibile, il mezzo in cui la velocità della radiazione luminosa è massima è il vuoto Nei casi in cui la radiazione non attraversa il vuoto e abbiamo due mezzi diversi fra loro si parla di indice di rifrazione relativo

2

12,1 v

vn =

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Riflessione e rifrazione RIFRAZIONE

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Dato che il vuoto ha per definizione indice di rifrazione assoluto pari a 1 e l’aria ha indice di rifrazione assoluto molto prossimo a 1, nei nostri esercizi, se non espressamente specificato, considereremo l’indice di rifrazione dell’aria pari all’unità

Nella tabella a lato ricordiamo gli indici di rifrazione indicati

Non sempre a materiali più densi corrspondono indici di rifrazione più alti (vetro-diamante; acqua-olio di oliva)

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Riflessione e rifrazione RIFRAZIONE

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La legge seguente è anche detta legge di Snell, (nota anche come legge di Cartesio o legge di Snell-Cartesio) e rappresenta la formula che descrive le modalità di rifrazione di un raggio luminoso nella transizione tra due mezzi con indice di rifrazione diverso. Prende il nome da uno dei suoi scopritori, il matematico olandese Willebrord van Roijen Snell (1580-1626).

La legge di Snell è valida in generale solo per mezzi isotropi, come il vetro. Nel caso di mezzi anisotropi (ad esempio alcuni cristalli) il fenomeno della birifrangenza può dividere in due il raggio rifratto. Si vengono allora ad avere due raggi, uno ordinario (raggio o) che segue la legge di Snell, e uno straordinario (raggio e) che può non essere complanare con quello incidente.

1

2

nn

senrseni

=

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Riflessione e rifrazione

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La birifrangenza è un fenomeno fisico che consiste nella scomposizione di un raggio di luce in due raggi e che avviene quando esso attraversa particolari mezzi anisotropi, a seconda della polarizzazione della luce

La birifrangenza è utilizzata per la polarizzazione della luce, ad esempio nel prisma di Nicol. Materiali birifrangenti sono per esempio la moissanite e la calcite In basso a sinistra osserviamo un’immagine attraverso un cristallo di calcite con un filtro polarizzatore. Un polarizzatore o filtro polarizzante è un filtro che blocca la radiazione elettromagnetica a seconda della sua polarizzazione.

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Riflessione e rifrazione

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RIFRAZIONE

Altre considerazioni sulla legge di Snell:

1

2

nn

senrseni

=

1) Se n2>n1 si ha che i>r e quindi nel passaggio da un mezzo meno rifrangente a uno più rifrangente il raggio incidente si avvicina alla normale

2) Se n2<n1 si ha che i<r e quindi nel passaggio da un mezzo più rifrangente a uno meno rifrangente il raggio incidente si allontana dalla normale

3) Se siamo nel caso 2) esisterà un angolo di incidenza ilim per ci il valore dell’angolo di rifrazione sarà pari a 90°. Questo ilim è detto angolo limite

1

2lim

1

2

90 nnarcseni

nn

senseni

=⇒=°

Dato che sen 90° = 1

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Riflessione e rifrazione

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RIFRAZIONE

Ne consegue che se l’angolo di incidenza supera l’angolo limite non si avrà più il raggio rifratto ma solo il raggio riflesso il fenomeno è detto riflessione totale

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Riflessione e rifrazione

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RIFRAZIONE

Questo fenomeno spiega effetti ottici come il miraggio, la fata morgana ed è sfruttato a scala industriale per la produzione di fibre ottiche

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Riflessione e rifrazione

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RIFRAZIONE

Le fibre ottiche sono filamenti di materiali vetrosi o polimerici, realizzati in modo da poter condurre al loro interno la luce, e che trovano importanti applicazioni in telecomunicazioni, diagnostica medica e illuminotecnica.

Il fenomeno della Fata Morgana è un particolare tipo di miraggio in cui le immagini apparenti sono prodotte ad una certa altezza dal suolo, e sono rapidamente mutevoli, proprio come le apparizioni dell'omonimo personaggio della mitologia celtica.

Il miraggio è un'illusione ottica naturale che si verifica quando i raggi del Sole incontrano uno strato d'aria più calda rispetto agli strati sovrastanti dove l'aria più fredda è di densità maggiore. Così i raggi di luce subiscono una riflessione totale ed è possibile vedere le immagini come se fossero veramente riflesse al suolo.

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Bontà di un mezzo ottico La bontà di un mezzo ottico qualunque può essere quantificata mediante un numero indicato con la lettera greca n e chiamato numero di Abbe in onore del fisico, ottico e imprenditore tedesco Ernst Abbe

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Abbiamo visto che il percorso di un raggio luminoso attraverso un mezzo ottico dipende dalla lunghezza d’onda del raggio stesso

Abbiamo anche preso come riferimento tre raggi ottici caratterizzati da tre diverse lunghezze d’onda: - C : rosso nC : indice di rifrazione del raggio luminoso rosso --------------- - D : giallo nD : indice di rifrazione del raggio luminoso giallo --------------- - F : blu nF : indice di rifrazione del raggio luminoso blu ---------------

Definiamo ora le seguenti quantià: nD -1 : rifrangenza nF – nC : dispersione

Il rapporto tra rifrangenza e dispersione è detto numero di Abbe:

CF

D

nnn−−

=1ν

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Bontà di un mezzo ottico

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Nella formula sottostante, gli indici nD, nF e nC sono anche detti indici di rifrazione del materiale alle lunghezze d'onda delle linee spettrali di Fraunhofer D (589.2 nm), F (486.1 nm) e C (656.3 nm) rispettivamente

CF

D

nnn−−

=1ν

Per come è definito, a causa del fatto che è a denominatore la differenza di indici di rifrazione a lunghezze d'onda diverse, un numero di Abbe inferiore indica una materiale più dispersivo.

Definizioni alternative possono essere date usando gli indici di rifrazione a lunghezze d'onda leggermente diverse; ciò viene indicato con un pedice corrispondente alla riga utilizzata. Ad esempio sostituendo alla D, d si definisce il numero di Abbe rispetto alla linea d di Fraunhofer (linea D3 dell'elio) a 587.6 nm

I numeri di Abbe sono utilizzati per classificare i vari tipi di vetri e altri materiali trasparenti in funzione della loro capacità di disperdere la luce visibile, di separare cioè spazialmente i diversi colori di un raggio di luce non monocromatico. Valori tipici possono essere da circa 20 per vetri flint molto densi fino a più di 85 per vetri crown particolarmente leggeri. Data la definizione come rapporto di differenze di indici di rifrazione nel visibile, le proprietà di dispersione quantificate dal numero di Abbe sono utili per classificare i materiali solo in questo intervallo spettrale.

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Bontà di un mezzo ottico

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Molto utile può essere costruire un diagramma di Abbe, in cui si riporta l'indice di rifrazione nd in funzione del numero di Abbe V, in modo da catalogare i vetri in base alla loro posizione nel diagramma

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Bontà di un mezzo ottico

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Il vetro crown (vetro sodico-calcico)è un tipo di vetro ottico utilizzato in lenti e altri componenti ottici come telescopi e obiettivi per macchine fotografiche o cineprese. Il vetro crown è prodotto da silicati di calcio-alcali (RCH) contenenti circa il 10% di ossido di potassio. Esso ha un basso indice di rifrazione (≈ 1,52) e una bassa dispersione (con numeri di Abbe circa 60)

Il vetro flint (vetro al piombo)è una qualità di vetro che ha un indice di rifrazione particolarmente alto (1,6-1,89) e dispersione attorno a 0,017. Queste caratteristiche lo rendono adatto per vetri d'ottica quali prismi per rifrattometri e lenti acromatiche. L'elevato indice di rifrazione fa sì che la lucentezza di questa qualità di vetro ricordi quella del diamante e, pertanto, venne usata per le gemme dei lampadari di cristallo e per realizzare altri oggetti di pregio (con la denominazione generica di cristallo)

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Bontà di un mezzo ottico

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Vediamo un’applicazione di vetri flint e crown in un obbiettivo Nikon

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Lamine e Prismi Si definisce lamina un mezzo ottico delimitato da due facce piane e parallele

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Una lamina è definita dal suo indice di rifrazione n e dal suo spessore e

Prendiamo una lamina di spessore e immersa nel vuoto con il raggio luminoso che forma un angolo i con la normale alla superficie come in figura

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Lamine e Prismi La faccia SS si chiama faccia d’incidenza (il raggio AI raggio incidente)

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La faccia S’S’ si chiama faccia d’emergenza (il raggio I’E raggio emergente)

Osservando che AI e I’E sono paralleli fra loro possiamo dire che il raggio d’incidenza nel passaggio attraverso una lamina non viene deviato ma viene spostato parallelamente a se stesso

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Lamine e Prismi La quantità e’ di cui viene spostato il raggio incidente dipende da n, e, i infatti quando i è zero anche e’ è zero quando i è prossimo a 90° e’ è prossimo a e

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La costruzione dei raggi luminosi nel passaggio attraverso una lamina si effettua con le leggi della rifrazione

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Lamine e Prismi Nella realtà il punto raggiante A invia verso la lastra una stella di raggi, per semplicità studiamo cosa accade a due soli raggi uscenti da A

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Il punto A appare spostato nella posizione A’ per un osservatore che lo osserva dalla parte opposta alla lastra

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Lamine e Prismi Questo spostamento può essere quantificato, infatti se indichiamo lo spostamento verso la lastra con d si dimostra che questo segmento è pari a:

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nned 1−

=

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Lamine e Prismi Se la lamina è fatta di vetro con indice di rifrazione n=1,5 si ha

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3ed =

Guardando di lato attraverso una lamina di vetro il punto A appare più vicino di un terzo dello spessore della lamina stessa

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Lamine e Prismi Consideriamo un oggetto formato da più punti raggianti

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La situazione ripetuta punto per punto fornisce lo stesso risultato vale a dire che guardando lateralmente degli oggetti attraverso una lastra di vetro questi ci appaiono più vicini di una quantità d che dipende dallo spessore della lamina

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Lamine e Prismi Si definisce prisma una mezzo ottico delimitato da due superfici piane e non parallele. L’angolo formato dalle superfici del prisma è detto angolo di rifrangenza e viene indicato con a

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Lo spigolo V’V’’ è la porzione di retta individuata dall’intersezione delle facce del prisma e viene denominato spigolo di rifrangenza

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Lamine e Prismi Come nelle lamine si individuano la faccia di incidenza UV e la faccia di emergenza VZ a seconda della provenienza del raggio luminoso (AI raggio incidente e I’E raggio emergente)

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La costruzione dei raggi che vediamo in figura sopra avviene secondo le regole della rifrazione (la riflessione dei raggi non è stata disegnata ma è comunque presente anche se poco evidente)

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Lamine e Prismi Un raggio che incide una faccia del prisma emerge dalla seconda faccia deviato di un angolo d

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Il raggio emergente giace nel piano individuato dal raggio incidente e dalla normale alla faccia di incidenza nel punto di incidenza. La deviazione è verso la base del prisma

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Lamine e Prismi L’angolo d è dato dalla relazione:

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Tale relazione per i fini dell’occhialeria è valida per angoli di rifrangenza a inferiori a 15° e per angoli di incidenza i non superiori a 30° quindi per angoli “piccoli” Chiameremo questi prismi “prismi sottili”

)1( −⋅= nαδ

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Lamine e Prismi La deviazione d è detta anche potenza del prisma e può essere misurata in gradi, radianti o diottrie prismatiche D

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Per diottria prismatica D si intende l’angolo che alla distanza di 1 metro dal vertice sottende un arco di 1 cm. Quindi 1D equivale a 10 mrad

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Lamine e Prismi E’ bene ricordare che gli oggetti guardati attraverso un prisma sottile appaiono spostati verso la base del prisma di un angolo di deviazione d opposto allo spigolo di rifrangenza

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Vedremo che in occhialeria vengono utilizzati anche prismi con angoli di rifrangenza maggiori di 30°. Tipico è il caso del prisma con a =60° utilizzato per scomporre la luce bianca nelle radiazioni cromatiche dal rosso al violetto. Tutti questi prismi sono detti prismi rifrangenti per distinguerli da quelli che invece esaltano il fenomeno della riflessione

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Lamine e Prismi Accenniamo il fenomeno delle superfici che riflettono anziché rifrangere le radiazioni luminose: gli specchi

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Il punto raggiante A viene visto dall’osservatore RR’ nella posizione A’ simmetrica di A rispetto alla superficie speculare SS’

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Diottro sferico Il diottro è una superficie di separazione tra due mezzi trasparenti con indice di rifrazione diverso

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Quando la superficie di separazione è sferica si parla di diottro sferico

Prenderemo in considerazione il diottro sferico che è molto utile per introdurre le lenti sferiche che vedremo in seguito

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Diottro sferico Osserviamo il percorso fatto da un raggio luminoso proveniente da un punto raggiante A posto all’infinito

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Quando il raggio incide la superficie del diottro SS nel punto I questo viene deviato: se considero l’intorno del punto I e il piano tangente alla sfera in tale punto posso applicare le leggi relative alla rifrazione Mandando la normale al piano nel punto I questa deve passare necessariamente per il punto C che rappresenta il centro di curvatura della superficie sferica, questo perché in una sfera tutte le rette normale (ortogonali) alla superficie passano per il centro della sfera

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Diottro sferico Sono identificati gli angoli i e r che sono relazionati dalle leggi sulla rifrazione secondo gli indici di rifrazione n

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Ripetendo il ragionamento per altri punti che si trovano tra V e S il risultato non cambia: tutti i raggi che attraversano la superficie diottrica convergono verso il punto A’ (fuoco) Mandando la normale al piano nel punto I questa deve passare necessariamente per il punto C che rappresenta il centro di curvatura della superficie sferica, questo perché in una sfera tutte le rette normale (ortogonali) alla superficie passano per il centro della sfera

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Diottro sferico A questo punto se osserviamo che la figura risulta simmetrica rispetto all’asse ottico possiamo stabilire con certezza che i risultati ottenuti per i punti al di sopra di V valgono anche per i punti al di sotto di V perché abbiamo individuato una simmetria di rivoluzione attorno all’asse ottico

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Osserviamo che c’è un raggio particolare che coincide con l’asse ottico che ne passaggio nella superficie diottrica non viene deviato perché l’angolo di incidenza è nullo (normale alla superficie e raggio incidente sono paralleli) e quindi è nullo anche l’angolo di rifrazione

Page 60: La luce - Geopolis

Diottro sferico Se si pone un diaframma davanti al diottro si parla di diottro diaframmato

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Assumeremo sempre l’ipotesi di diottro diaframmato introdotta da Keplero per lo studio di questi fenomeni per consentirci di considerare gli angoli, sotto cui i punti emettono raggi luminosi molto piccoli, parassiali

angolo parassiale op. angolo piccolo

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Diottro sferico Il raggio proveniente dall’infinito converge nel punto F detto fuoco, la distanza focale f è la distanza del fuoco dalla superficie diottrica

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Il prodotto nf è detto potenza del diottro

Si dimostra che la potenza del diottro è data da: R

nn 1−=ϕ

Solo se il primo mezzo è il vuoto e il secondo mezzo è il vetro e il punto A è all’infinito

*

*

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Diottro sferico In generale se il punto A non è posto a distanza infinita vale la formula seguente:

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che per la sua genericità è sempre applicabile ad ogni situazione nel caso di diottro sferico strettamente diaframmato

Rnn

xn

xn 1221

'−

=+

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Diottro sferico CASO I: Fuoco oggetto, cioè prendiamo in considerazione il caso in cui il punto raggiante sia posto nel fuoco F e l’immagine si formi all’infinito

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Otteniamo la distanza focale f sostituendo i valori desunti dall’immagine sopra

12

112112211221

' nnnRf

Rnn

fn

Rnnn

fn

Rnn

xn

xn

−⋅

=⇒−

=⇒−

=∞

+⇒−

=+

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Diottro sferico CASO II: Fuoco immagine, cioè prendiamo in considerazione il caso in cui il punto raggiante sia posto a distanza infinita e l’immagine si formi nel fuoco F’

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Otteniamo la distanza focale f ‘ sostituendo i valori desunti dall’immagine sopra

12

212212211221 '''' nn

nRfR

nnfn

Rnn

fnn

Rnn

xn

xn

−⋅

=⇒−

=⇒−

=+∞

⇒−

=+

Notiamo che se il diottro è immerso nel vuoto n1=1 e ritroviamo la formula indicata prima con l’asterisco *. Per non sbagliare ricordiamoci solo che la potenza del diottro è semplicemente nf

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Diottro sferico L’ingrandimento trasversale nel diottro è pari a:

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Si dimostra attraverso la similitudine dei triangoli che l’ingrandimento trasversale può essere ricavato mediante le distanze misurate lungo l’asse ottico e cioè:

xnxnIT ⋅⋅

=2

1 '

yy

ABBAIT

'''==

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Diottro sferico Il diottro sarà utile a definire superfici concave e superficie convesse che caratterizzeranno le lenti

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Di seguito sono esposte alcune convenzioni A seconda della posizione del centro di curvatura C relativo ad una superficie sferica diremo che: la superficie è convessa se C si trova nel mezzo con indice di rifrazione maggiore la superficie è concava se C si trova nel mezzo con indice di rifrazione minore

Inoltre:

Se la superficie è convessa R è positivo

Se la superficie è concava R è negativo

x è positivo se l’oggetto è nello spazio oggetto (reale) x è negativo se l’oggetto è nello spazio immagine (virtuale)

x’ è positivo se l’immagine è nello spazio immagine (reale) x’ è negativo se l’immagine è nello spazio oggetto (virtuale)

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Lenti sferiche sottili La lente è un mezzo ottico qualunque delimitato da due superfici attive delle quali almeno una è curva.

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Si parla di superfici attive per intendere che nello studio sono interessate solo le superfici d’incidenza e d’emergenza dei raggi luminosi trascurando tutte le altre superfici come ad esempio i bordi della lente. Si introduce l’ipotesi semplificativa di lente sottile intendendo che stiamo studiando il fenomeno trascurando per adesso l’influenza dello spessore s della lente

Immaginiamo di tracciare una retta AA’ un segmento LL’ perpendicolare alla retta nel punto O e un arco di circonferenza con centro nel punto C con estremi L e L’. Facendo ruotare la figura intorno alla retta AA’, il segmento LL’ descrive un cerchio mentre l’arco descrive una calotta sferica

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Lenti sferiche sottili L’oggetto così ottenuto è una lente con una faccia piana ed una faccia sferica chiamata comunemente lente piano-convessa

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Analogamente facendo ruotare la figura sottostante si ottiene una lente con una faccia piana ed una faccia sferica chiamata comunemente lente piano-concava

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Lenti sferiche sottili L’asse AA’ è un asse di simmetria per la figura e questo significa che tutte le caratteristiche possedute da un punto sulla figura valgono anche per il suo simmetrico rispetto a AA’

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L’asse di simmetria AA’ nel caso delle lenti sferiche è detto anche asse ottico

Siccome non tutte le lenti hanno asse di simmetria chiameremo: -Assosimmetriche le lenti dotate di asse di simmetria -Astigmatiche le lenti non dotate di asse di simmetria

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Lenti sferiche sottili Diamo ora delle definizioni più precise relative ai “centri di una lente”

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Centro ottico O: è il punto di intersezione tra asse ottico (che nel caso di lenti sferiche è anche asse di simmetria) e la superficie della lenti

Centro di curvatura C: è il centro individuato dal raggio di curvatura R della superficie sferica della lente

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Lenti sferiche sottili

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Centro di figura O’: è il centro dell’orlo della lente

NB: Non utilizzare mai la frase “centro di una lente” perché è causa di ambiguità infatti essa non specifica se si sta parlando di centro di curvatura o centro ottico oppure del centro di figura

Molto spesso le lenti da occhiali hanno bordi bizzarri e irregolari imposti dalle tendenze della moda e pertanto accade che centro ottico e centro di figura non coincidano come evidenziato nella la figura sotto

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Lenti sferiche sottili

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Un concetto molto importante nello studio delle lenti è quello di fuoco

La distanza del fuoco F dal centro ottico O è detta distanza focale e si indica con f

Il fuoco F è il punto in cui convergono i raggi ottici provenienti da un punto sull’asse ottico posto a distanza infinita

L’inverso della distanza focale è chiamata potenza della lente e si indica con f

f1

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Si vuole dimostrare che la potenza di una lente dipende dall’indice di rifrazione n e dal raggio di curvatura R secondo la formula sottostante

Si prenda una lente piano convessa sottile e si tracci la normale al punto di incidenza, sulla superficie sferica, di un raggio parallelo all’asse ottico relativo ad un punto B posto all’infinito

Rn 1−

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Lenti sferiche sottili

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L’angolo di rifrazione r per le leggi della rifrazione nelle approssimazioni fatte vale

nir =Considerazioni geometriche su gli angoli alterni-interni di rette parallele tagliate da una retta trasversale permettono di individuare l’angolo r-i che il raggio rifratto forma con l’asse ottico dopo aver attraversato la lente

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Lenti sferiche sottili

ϕhfhOFI ==ˆ

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Se gli angoli sono molto piccoli possiamo sfruttare la semplificazione che consente di confondere la tangente di un angolo con l’angolo stesso e cioè

iRhOCI ==ˆ

Quindi sostituendo i risultati fino qui ottenuti nella formula IFO = r – i si ha:

)1(

)1(

−=

−=−=−=

nRhh

niiniirIFO

ϕ Rn 1−

=ϕSemplificando h

h

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Analogamente viene trattato il caso della lente piano concava: i risultati ottenuti precedentemente sono identici, a patto di ricordare che il fuoco si forma da parte opposta alla direzione dei raggi che attraversano la lente

Questo perché l’angolo r vale sempre r = ni ma ora il passaggio del raggio avviene dal vetro all’aria e quindi r > i

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Lenti sferiche sottili

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La lente trasforma i raggi paralleli in raggi divergenti che prolungati all’indietro passano tutti per il fuoco F. L’immagine è, quindi, virtuale perché si forma sul prolungamento dei raggi e non sui raggi stessi

La distanza del fuoco F dal centro O si chiama sempre distanza focale e il suo inverso si chiama ancora potenza

Ricordiamo che per le convenzioni fatte il raggio R è negativo e quindi la potenza della lente piano concava risulta negativa

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Se accoppiamo una lente piano convessa di raggio R e indice di rifrazione n con una lente piano concava avente le stesse caratteristiche ottengo una lamina sottile che non devia il raggi incidente

Si deduce che la potenza complessiva del sistema di lenti sia la somma delle potenze algebriche delle due lenti cioè preso con il loro segno

La lente piano convessa ha potenza positiva e viene detta lente positiva o convergente

La lente piano concava ha potenza negativa e viene detta lente negativa o divergente

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Notiamo che se la lente è sottile la potenza è la stessa, sia che la lente rivolga al punto raggiante la faccia piana sia che rivolga la faccia curva

Questo ragionamento non vale se lo spessore della lente non è trascurabile

F

Nelle lenti spesse infatti si introdurrà il concetto di potenza frontale

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I risultati ottenuti con le dimostrazioni geometriche precedenti possono essere estesi allo studio delle lenti biconcave e biconvesse se consideriamo il fatto che una porzione di lente può essere vista come una piccolo prisma sottile con angolo al vertice paria a d

Il raggio incidente subirà una deviazione di un angolo d proporzionale ad a

Quindi d’ora in avanti ragioneremo in termini di deviazioni angolari d

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Se prendiamo due lenti piano convesse di caratteristiche uguali saldate secondo la faccia piana ottengo una lente biconvessa come in figura

Il raggio incidente subirà una deviazione di un angolo d1 al passaggio nella prima lente e d2 al passaggio nella prima lente

La deviazione totale sarà pari a d = d1 + d2

Essendo uguali le due lenti d1 = d2 e quindi la deviazione totale è doppia rispetto alla deviazione della generica lente per cui anche la potenza raddoppia

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Generalizziamo il discorso accoppiando due lenti piano convesse dello stesso materiale con raggi di curvatura diversi che il chè significa angoli al vertice diversi a1 e a2

La deviazione totale sarà pari a d = d1 + d2

ϕδϕδϕδ

hhh

===

22

11

f = f1 + f2

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Quanto detto per la lente biconvessa vale anche per la lente biconcava, le formule non cambiano e vale sempre la f = f1 + f2 ricordando sempre la convenzione fatta sui segni

Si parla di lente biconvessa o biconcava isoscele quando a1 = a2 e cioè quando i raggi di curvatura della faccia di destra R1 è uguale al raggio di curvatura della faccia di sinistra R2

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Consideriamo ora il caso in cui si accoppia una lente piano-concava e una lente piano convessa a ottenere una lente detta menisco : si presentano tre casi

CASO I: la differenza d1 - d2 è positiva nel senso che d1 prevale su d2; il raggio incidente in I subisce una prima deviazione verso l’asse ottico e una seconda deviazione in senso contrario, il raggio emergente converge sempre verso l’asse ottico fino ad incontrarlo in F: menisco convergente o menisco positivo f > 0

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CASO II: la differenza d1 - d2 è nulla nel senso che d1 e d2 sono uguali; il raggio incidente in I subisce una prima deviazione verso l’asse ottico e una seconda deviazione in senso contrario, uguale ed opposta, il raggio è parallelo all’asse ottico: menisco neutro f = 0

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CASO III: la differenza d1 - d2 è negativa nel senso che d2 prevale d1; il raggio incidente in I subisce una prima deviazione verso l’asse ottico e una seconda deviazione in senso contrario, superiore alla prima, il raggio è divergente rispetto all’asse ottico: menisco divergente o menisco negativo f < 0

I menischi assumono grande importanza nella realizzazione delle lenti da occhiale perché si adattano meglio alla rotazione del bulbo oculare. Anche per i menischi vale la regola:

f = f1 + f2

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Quando il punto raggiante non si trova all’infinito, ma si trova in un punto a distanza x da una delle due facce allora si presenta la situazione seguente:

Sfruttando una nota proprietà dei triangoli si ha che l’angolo d è uguale alla somma g + g’

d = g + g’

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Lenti sferiche sottili

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Trattandosi di angoli piccoli si possono scrivere le seguenti relazioni:

Ricordando che l’inverso di una quantità contrassegnata da una lettera minuscola dell’alfabeto latino l’abbiamo indicata con una lettera dell’alfabeto greco

γδ hfh== ξγ h

xh== ξγ ′=

′=′ h

xh

Otteniamo la formula seguente sostituendo i valori precedenti nella relazione generale sugli angoli e quindi

xx ′+=′+=

11ξξϕLa somma della vergenza dell’oggetto e di quella dell’immagine rispetto alla lente è costantemente uguale alla potenza della lente stessa

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Lenti sferiche sottili

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Vediamo dei casi pratici relativi alla lente convergente

Supponiamo di avere una lente di potenza f=+5D

• Oggetto posto a distanza infinita x = 0

mx 20,005 =′⇒′+=⇒′+= ξξξϕ

• Oggetto posto a distanza 2m dalla lente x = +0,5D

mx 22,05,05 =′⇒′++=⇒′+= ξξξϕ• Oggetto posto a distanza 1m dalla lente x = +1D

mx 25,015 =′⇒′++=⇒′+= ξξξϕ• Oggetto posto a distanza 0,5m dalla lente x = +2D

mx 33,025 =′⇒′++=⇒′+= ξξξϕ• Oggetto posto a distanza 0,40m dalla lente x = +2,5D

mx 40,05,25 =′⇒′++=⇒′+= ξξξϕ

Page 90: La luce - Geopolis

Lenti sferiche sottili La lente è un mezzo ottico qualunque delimitato da due superfici attive delle quali almeno una è curva.

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Si parla di superfici attive per intendere che nello studio sono interessate solo le superfici d’incidenza e d’emergenza dei raggi luminosi trascurando tutte le altre superfici come ad esempio i bordi della lente. Si introduce l’ipotesi semplificativa di lente sottile intendendo che stiamo studiando il fenomeno trascurando per adesso l’influenza dello spessore s della lente

Immaginiamo di tracciare una retta AA’ un segmento LL’ perpendicolare alla retta nel punto O e un arco di circonferenza con centro nel punto C con estremi L e L’. Facendo ruotare la figura intorno alla retta AA’, il segmento LL’ descrive un cerchio mentre l’arco descrive una calotta sferica

Page 91: La luce - Geopolis

Lenti sferiche sottili L’oggetto così ottenuto è una lente con una faccia piana ed una faccia sferica chiamata comunemente lente piano-convessa

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Analogamente facendo ruotare la figura sottostante si ottiene una lente con una faccia piana ed una faccia sferica chiamata comunemente lente piano-concava

Page 92: La luce - Geopolis

Lenti sferiche sottili L’asse AA’ è un asse di simmetria per la figura e questo significa che tutte le caratteristiche possedute da un punto sulla figura valgono anche per il suo simmetrico rispetto a AA’

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L’asse di simmetria AA’ nel caso delle lenti sferiche è detto anche asse ottico

Siccome non tutte le lenti hanno asse di simmetria chiameremo: -Assosimmetriche le lenti dotate di asse di simmetria -Astigmatiche le lenti non dotate di asse di simmetria

Page 93: La luce - Geopolis

Lenti sferiche sottili Diamo ora delle definizioni più precise relative ai “centri di una lente”

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Centro ottico O: è il punto di intersezione tra asse ottico (che nel caso di lenti sferiche è anche asse di simmetria) e la superficie della lenti

Centro di curvatura C: è il centro individuato dal raggio di curvatura R della superficie sferica della lente

Page 94: La luce - Geopolis

Lenti sferiche sottili

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Centro di figura O’: è il centro dell’orlo della lente

NB: Non utilizzare mai la frase “centro di una lente” perché è causa di ambiguità infatti essa non specifica se si sta parlando di centro di curvatura o centro ottico oppure del centro di figura

Molto spesso le lenti da occhiali hanno bordi bizzarri e irregolari imposti dalle tendenze della moda e pertanto accade che centro ottico e centro di figura non coincidano come evidenziato nella la figura sotto

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Un concetto molto importante nello studio delle lenti è quello di fuoco

La distanza del fuoco F dal centro ottico O è detta distanza focale e si indica con f

Il fuoco F è il punto in cui convergono i raggi ottici provenienti da un punto sull’asse ottico posto a distanza infinita

L’inverso della distanza focale è chiamata potenza della lente e si indica con f

f1

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Si vuole dimostrare che la potenza di una lente dipende dall’indice di rifrazione n e dal raggio di curvatura R secondo la formula sottostante

Si prenda una lente piano convessa sottile e si tracci la normale al punto di incidenza, sulla superficie sferica, di un raggio parallelo all’asse ottico relativo ad un punto B posto all’infinito

Rn 1−

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L’angolo di rifrazione r per le leggi della rifrazione nelle approssimazioni fatte vale

nir =Considerazioni geometriche su gli angoli alterni-interni di rette parallele tagliate da una retta trasversale permettono di individuare l’angolo r-i che il raggio rifratto forma con l’asse ottico dopo aver attraversato la lente

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ϕhfhOFI ==ˆ

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Se gli angoli sono molto piccoli possiamo sfruttare la semplificazione che consente di confondere la tangente di un angolo con l’angolo stesso e cioè

iRhOCI ==ˆ

Quindi sostituendo i risultati fino qui ottenuti nella formula IFO = r – i si ha:

)1(

)1(

−=

−=−=−=

nRhh

niiniirIFO

ϕ Rn 1−

=ϕSemplificando h

h

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Analogamente viene trattato il caso della lente piano concava: i risultati ottenuti precedentemente sono identici, a patto di ricordare che il fuoco si forma da parte opposta alla direzione dei raggi che attraversano la lente

Questo perché l’angolo r vale sempre r = ni ma ora il passaggio del raggio avviene dal vetro all’aria e quindi r > i

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La lente trasforma i raggi paralleli in raggi divergenti che prolungati all’indietro passano tutti per il fuoco F. L’immagine è, quindi, virtuale perché si forma sul prolungamento dei raggi e non sui raggi stessi

La distanza del fuoco F dal centro O si chiama sempre distanza focale e il suo inverso si chiama ancora potenza

Ricordiamo che per le convenzioni fatte il raggio R è negativo e quindi la potenza della lente piano concava risulta negativa

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Se accoppiamo una lente piano convessa di raggio R e indice di rifrazione n con una lente piano concava avente le stesse caratteristiche ottengo una lamina sottile che non devia il raggi incidente

Si deduce che la potenza complessiva del sistema di lenti sia la somma delle potenze algebriche delle due lenti cioè preso con il loro segno

La lente piano convessa ha potenza positiva e viene detta lente positiva o convergente

La lente piano concava ha potenza negativa e viene detta lente negativa o divergente

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Notiamo che se la lente è sottile la potenza è la stessa, sia che la lente rivolga al punto raggiante la faccia piana sia che rivolga la faccia curva

Questo ragionamento non vale se lo spessore della lente non è trascurabile

F

Nelle lenti spesse infatti si introdurrà il concetto di potenza frontale

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I risultati ottenuti con le dimostrazioni geometriche precedenti possono essere estesi allo studio delle lenti biconcave e biconvesse se consideriamo il fatto che una porzione di lente può essere vista come una piccolo prisma sottile con angolo al vertice paria a d

Il raggio incidente subirà una deviazione di un angolo d proporzionale ad a

Quindi d’ora in avanti ragioneremo in termini di deviazioni angolari d

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Se prendiamo due lenti piano convesse di caratteristiche uguali saldate secondo la faccia piana ottengo una lente biconvessa come in figura

Il raggio incidente subirà una deviazione di un angolo d1 al passaggio nella prima lente e d2 al passaggio nella prima lente

La deviazione totale sarà pari a d = d1 + d2

Essendo uguali le due lenti d1 = d2 e quindi la deviazione totale è doppia rispetto alla deviazione della generica lente per cui anche la potenza raddoppia

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Generalizziamo il discorso accoppiando due lenti piano convesse dello stesso materiale con raggi di curvatura diversi che il chè significa angoli al vertice diversi a1 e a2

La deviazione totale sarà pari a d = d1 + d2

ϕδϕδϕδ

hhh

===

22

11

f = f1 + f2

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Quanto detto per la lente biconvessa vale anche per la lente biconcava, le formule non cambiano e vale sempre la f = f1 + f2 ricordando sempre la convenzione fatta sui segni

Si parla di lente biconvessa o biconcava isoscele quando a1 = a2 e cioè quando i raggi di curvatura della faccia di destra R1 è uguale al raggio di curvatura della faccia di sinistra R2

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Consideriamo ora il caso in cui si accoppia una lente piano-concava e una lente piano convessa a ottenere una lente detta menisco : si presentano tre casi

CASO I: la differenza d1 - d2 è positiva nel senso che d1 prevale su d2; il raggio incidente in I subisce una prima deviazione verso l’asse ottico e una seconda deviazione in senso contrario, il raggio emergente converge sempre verso l’asse ottico fino ad incontrarlo in F: menisco convergente o menisco positivo f > 0

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CASO II: la differenza d1 - d2 è nulla nel senso che d1 e d2 sono uguali; il raggio incidente in I subisce una prima deviazione verso l’asse ottico e una seconda deviazione in senso contrario, uguale ed opposta, il raggio è parallelo all’asse ottico: menisco neutro f = 0

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CASO III: la differenza d1 - d2 è negativa nel senso che d2 prevale d1; il raggio incidente in I subisce una prima deviazione verso l’asse ottico e una seconda deviazione in senso contrario, superiore alla prima, il raggio è divergente rispetto all’asse ottico: menisco divergente o menisco negativo f < 0

I menischi assumono grande importanza nella realizzazione delle lenti da occhiale perché si adattano meglio alla rotazione del bulbo oculare. Anche per i menischi vale la regola:

f = f1 + f2

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Quando il punto raggiante non si trova all’infinito, ma si trova in un punto a distanza x da una delle due facce allora si presenta la situazione seguente:

Sfruttando una nota proprietà dei triangoli si ha che l’angolo d è uguale alla somma g + g’

d = g + g’

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Trattandosi di angoli piccoli si possono scrivere le seguenti relazioni:

Ricordando che l’inverso di una quantità contrassegnata da una lettera minuscola dell’alfabeto latino l’abbiamo indicata con una lettera dell’alfabeto greco

γδ hfh== ξγ h

xh== ξγ ′=

′=′ h

xh

Otteniamo la formula seguente sostituendo i valori precedenti nella relazione generale sugli angoli e quindi

ξξϕ ′+=

La somma della vergenza dell’oggetto e di quella dell’immagine rispetto alla lente è costantemente uguale alla potenza della lente stessa

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Vediamo dei casi pratici relativi alla lente convergente

Supponiamo di avere una lente di potenza f=+5D

• Oggetto posto a distanza infinita x = 0

mx 20,005 =′⇒′+=⇒′+= ξξξϕ

• Oggetto posto a distanza 2m dalla lente x = +0,5D

mx 22,05,05 =′⇒′++=⇒′+= ξξξϕ• Oggetto posto a distanza 1m dalla lente x = +1D

mx 25,015 =′⇒′++=⇒′+= ξξξϕ• Oggetto posto a distanza 0,5m dalla lente x = +2D

mx 33,025 =′⇒′++=⇒′+= ξξξϕ• Oggetto posto a distanza 0,40m dalla lente x = +2,5D

mx 40,05,25 =′⇒′++=⇒′+= ξξξϕ

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Lenti sferiche spesse Una lente si definisce spessa quando non è possibile trascurare lo spessore e del materiale con cui la lente stessa è realizzata

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Lo studio di questo tipo di lente viene condotto sfruttando i risultati già ottenuti durante lo studio della lamina e della lente sottile

Si consideri una lente piano-convessa sottile di potenza f realizzata con un vetro di indice di rifrazione n e una lamina dello stesso vetro a facce piane e parallele il cui spessore sia e

Quando il punto raggiante A si trova all’infinito e i raggi proiettanti sono perpendicolari alla faccia di incidenza della lamina è evidente che nella vergenza del fascio emergente non avviene nessuna variazione

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Lenti sferiche spesse Possiamo saldare la lamina alla lente e studiarne il comportamento complessivo osservando che abbiamo ottenuto una lente di spessore e dato che lo spessore della lente sottile è trascurabile

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Se i raggi provengono da un punto A all’infinito nulla cambia per quanto riguarda la vergenza. Osserviamo che esiste ancora il centro di curvatura della faccia sferica C, l’asse ottico che è ancora asse di rivoluzione e simmetria passante per C, ma è scomparso il centro ottico dato che lo spessore adesso non è più trascurabile

Sono comparsi i punti V e V’ rispettivamente intersezione delle faccia di incidenza e della faccia di emergenza con l’asse ottico. La distanza VV’ è pari a e spessore della lente

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Lenti sferiche spesse Cosa accade se il punto raggiante A non si trova a distanza infinita e i raggi che incidono la faccia di incidenza non sono perpendicolari?

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Nel caso della lamina abbiamo visto che il punto raggiante appariva, rispetto ad un osservatore posto da parte opposta alla lamina, in una posizione avvicinata di un segmento d = e (n - 1) / n cioè per n = 1,5 d = e / 3

Studieremo il comportamento della lente spessa come se il punto raggiante fosse in A1 . Notiamo che è scaturita una nuova distanza pari a x’ = x + d

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Lenti sferiche spesse Dato che lo spostamento d tra punto A e Punto A’ dovuto alla lamina non dipende dalle distanze la lamina e la lente sottile possono essere considerate saldate una all’altra senza che i risultati varino apprezzabilmente

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Per trovare l’immagine di un punto raggiante nel caso di una lente spessa si devono misurare le distanze dei punti da due nuovi riferimenti: i piani m e m’ detti piani principali e M e M’ punti principali. In particolare: m piano oggetto o primo piano; M intersezione tra m e asse ottico m’ piano immagine o secondo piano; M’ intersezione tra m’ e asse ottico Osserviamo che quando in una lente spessa la radiazione entra dalla faccia piana, il piano principale immagine m’ è tangente alla faccia curva

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Lenti sferiche spesse Osserviamo ancora che il fuoco oggetto F dista f dal piano oggetto m mentre il fuoco immagine F’ dista f dal piano immagine m ‘

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I fuochi sopra indicati, pur avendo la stessa distanza focale dai relativi piani principale, hanno diversa distanza dalle facce di incidenza e di emergenza: - F dista da V di una quantità pari a f + d - e - F’ dista da M’ di una quantità pari a f

F’ è sempre esterno alla lente mentre F per spessori superiori a un certo limite rimane interno alla lente (quando?)

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Lenti sferiche spesse

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L’unica differenza per le lenti concave è quella di ricordare le immagini virtuali e quindi le distanze dei fuochi vanno prese dai rispettivi piani principali e non da piani principali più vicini

NB: I piani principali non cambiano i fuochi sono invertiti

Lo studio fatto fino qui per la lente spessa piano-convessa si riporta con gli stessi risultati per le lenti spesse biconvesse e biconcave

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Osserviamo la posizione dei piani principali in lenti positive avente lo stesso spessore dell’orlo e quindi piani principali a distanza tra di loro pari a d = e (n – 1) /n

Osserviamo la posizione dei piani principali in lenti negative avente lo stesso spessore dell’orlo e quindi piani principali a distanza tra di loro pari a d = e (n – 1) /n

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Lenti sferiche spesse

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Sottolineamo che in generale nelle lenti spesse e per i menisco spesso sottoriportato i due fuochi F e F’ distano dai rispettivi piani principali di un segmento pari alla distanza focale f mentre distano dalle facce di due segmenti FV e FV’ notevolmente diversi

Risulta ora chiaro che la dizione “i due fuochi distano dalla lente di una stessa quantità” vale esclusivamente per le lenti sottili

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Lenti sferiche spesse

2121 ϕϕϕϕϕ ⋅⋅−+=ne

e

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Cosa accade alla potenza di una lente se non possiamo considerarla sottile?

La potenza così ottenuta si chiama potenza equivalente fe per distinguerla dalla potenza studiata nel corso delle lenti sottili che chiameremo potenza nominale fn

Le potenze delle due facce di una lente spessa si sommano ma bisogna aggiungere un termine proporzionale allo spessore della lente

21 ϕϕϕ +=n

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Lenti sferiche spesse

11 ϕ

ϕϕ

nee

p

−=

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Un elemento utile, per tutte le lenti, che permette l’esecuzione delle ricette nella maniera più sicura e corretta, è la distanza tra fuoco F’ e la faccia posteriore o faccia d’emergenza della lente ossia quella faccia nell’uso dell’occhiale rivolta verso l’occhio

L’inverso di tale distanza è detta potenza frontale posteriore o semplicemente potenza frontale fp . Si hanno le seguente formule:

ppf

ϕ1

=

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Aberrazioni delle lenti sferiche All’inizio dello studio delle lenti avevamo fatto l’ipotesi che i raggi provenienti da un punto raggiante all’infinito, emergenti dalla faccia posteriore di una lente, convergevano in un singolo punto chiamato fuoco

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Vogliamo ora studiare nel dettaglio che cosa accade nell’intorno del punto di convergenza perché questo ci tornerà utile per descrivere i difetti delle lenti noti con il nome di aberrazioni

Osserviamo che quanto più la zona è vicina all’asse ottico tanto più il suo fuoco è lontano dalla lente

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Aberrazioni delle lenti sferiche Ricordiamo che per zona relativa ad un punto sulla superficie della lente si intende il cerchio normale all’asse ottico passante per quel punto

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Una zona passante per i punti in prossimità dell’asse ottico si dirà zona parassiale; Una zona passante per i punti in prossimità dell’orlo della lente si dirà zona marginale Per cui distingueremo un fuoco parassiale Fp e un fuoco marginale Fm

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Aberrazioni delle lenti sferiche Limitando lo studio a poche zone parassiali ad esempio ponendo un diaframma in prossimità della lente, risulta giustificato il procedimento di semplificazione fatto nei capitoli precedenti

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Nella realtà questo meccanismo di diaframmare i raggi provenienti da punti luminosi viene operato dalla pupilla dell’occhio umano

Si dice che la potenza delle varie zone di una lente semplice è diversa da zona a zona e aumenta passando da zone parassiali a zone marginali. Questo fenomeno si chiama aberrazione sferica

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Aberrazioni delle lenti sferiche Questo tipo di aberrazione è dovuta alla forma sferica della lente e per essere eliminata ha bisogno di superfici non sferiche di rivoluzione attorno all’asse ottico

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Sulla carta la risoluzione del problema si può operare ricorrendo a superfici asferiche come quella del disegno sottostante

Nella realtà, dato che risulta molto complicato realizzare superfici di questo tipo, si ricorre a sistemi di più lenti accoppiate. Non è questo il caso delle lenti da occhiali in cui non è pensabile di accoppiare due o più lenti e dato che in presenza della pupilla il fenomeno si riduce sensibilmente

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Aberrazioni delle lenti sferiche Abbiamo sempre considerato fin’ora un fascio di radiazione monocromatica, ma abbiamo visto che l’angolo di rifrazione dipendeva dalla lunghezza d’onda del fascio di luce incidente

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Avevamo individuato tre radiazioni fondamentale C (rossa), D(gialla), F (azzurra)

Nell’ordine da C a D a F l’indice di rifrazione aumenta e aumenta anche la potenza della lente. Questo tipo di aberrazione si chiama aberrazione cromatica Questo difetto viene corretto negli strumenti ottici più evoluti accoppiando opportunamente due o più lenti (obbiettivo acromatico)

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Aberrazioni delle lenti sferiche Le aberrazioni studiate precedentemente sono aberrazioni assiali perché si presentano quando il punto raggiante è posto sull’asse ottico della lente

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Il loro studio risulta facilitato perché presentano una simmetria di rivoluzione ossia hanno caratteristiche identiche per ogni piano passante per l’asse ottico compreso il piano del foglio

Keplero introdusse la semplificazione di studiare in primo luogo che cosa avviene alla punta della caustica per trovare le leggi di questi punti e poi estendere i risultati al resto della caustica

Se immaginiamo di far ruotare uno di questi piani attorno all’asse ottico notiamo che tutti i raggi emergenti sono tangenti ad un particolare solido a punta chiamato caustica Si dice che i raggi emergenti inviluppano tante caustiche quante sono le radiazioni monocromatiche contenute nella radiazione incidente

In questo modo riuscì a risolvere un problema complesso che gli altri scienziati non erano stati in grado di risolvere

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Aberrazioni delle lenti sferiche Consideriamo adesso le aberrazioni estrassiali cioè di quelle aberrazioni che si hanno quando il punto raggiante non si trova sull’asse ottico

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In questi casi si perde la simmetria di rivoluzione del complesso punto raggiante + lente rispetto all’asse ottico Per non complicare molto le cose ritorniamo nel caso in cui la radiazione incidente sia monocromatica e la lente sia sottile Consideriamo la situazione con il punto raggiante B fuori dall’asse ottico come in figura, asse ottico A-A’ e centro ottico O

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Aberrazioni delle lenti sferiche Osserviamo che la figura possiede un piano di simmetria contenente la spezzata BOA. Nella figura a destra (dove c’è il cerchio) notiamo che essa è speculare rispetto al segmento BO

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Nelle scienze fisiche si ricorre sempre all’individuazione di simmetrie perché questo facilita di molto la risoluzione dei problemi, infatti fatto lo studio per un punto si estendono tutti i risultati ai punti simmetrici

Poniamo un diaframma D centrato sull’asse ottico e uno schermo HK da parte opposta alla lente

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Aberrazioni delle lenti sferiche Lo schermo HK viene posizionato vicino alla lente e poi viene allontanato progressivamente ottenendo diverse figure luminose in un primo momento simmetriche rispetto all’asse verticale

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Linea focale astigmatica tangenziale

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Aberrazioni delle lenti sferiche Successivamente sullo schermo HK, allontanato ulteriormente dalla lente, si ottengono diverse figure luminose simmetriche rispetto all’asse orizzontale

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Linea focale astigmatica radiale o sagittale

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Aberrazioni delle lenti sferiche Volendo generalizzare possiamo osservare che cosa succede nelle figure sottostanti in cui cambia la posizione del diaframma e del punto raggiante rispetto all’asse ottico

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Linea focale astigmatica tangenziale

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Aberrazioni delle lenti sferiche Da un punto di vista didattico le due situazioni precedenti sono difficili da trattare e non portano ad una semplificazione del problema perché si perde ogni tipo di simmetria e pertanto saranno trascurate fini dell’esposizione

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Abbiamo visto che le immagini dei fasci astigmatici degenerano in due linee che semplifichiamo chiamandole: - Linea tangenziale - Linea sagittale

Quando B è posto a distanza infinita possiamo individuare i due fuochi con le rispettive focali: -Focale tangenziale ft -Focale sagittale fs

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Aberrazioni delle lenti sferiche Possiamo quindi assegnare la definizioni di potenza osservando che le focali hanno lunghezze diverse e giacciono in piani perpendicolari tra di loro

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Quando B è posto a distanza infinita possiamo individuare i due fuochi con le rispettive focali: -Potenza tangenziale ft -Potenza sagittale fs

tt f

1=ϕ

ss f

1=ϕ

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Aberrazioni delle lenti sferiche

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La differenza algebrica tra Potenza tangenziale ft e Potenza sagittale fs misura questo fenomeno chiamato astigmatismo del fascio considerato e si misura in diottrie

Dft

t 0,250,011

+===ϕ Dfs

s 5,167,011

+===ϕ

Esempio: supponiamo di avere una lente diaframmata con punto raggiante all’infinito fuori dall’asse con focale tangenziale ft = 0,50 m e focale sagittale fs = 0,67 m

La misura l’astigmatismo del fascio considerato è dato a ft - fs = + 0,50 D

Dft

t 0,425,011

−===ϕ Dfs

s 0,333,011

−===ϕ

Esempio: supponiamo di avere una lente divergente con focale tangenziale ft = 0,25 m e focale sagittale fs = 0,33 m

La misura l’astigmatismo del fascio considerato è dato a ft - fs = -1,0 D

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Aberrazioni delle lenti sferiche

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L’astigmatismo è l’aberrazione che più interessa le lenti da occhiale perché si presenta anche quando la lente è diaframmata Un altro tipo di aberrazione è il coma cioè quella particolare figura dotata di piano di simmetria e formata dalla sovrapposizione di tanti cerchi eccentrici di dimensione variabile

Coma dal termine latino che significa appunto cometa

Anche questa aberrazione si presenta quando il punto raggiante si trova fuori dall’asse

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Aberrazioni delle lenti sferiche

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Un’altra tipo di aberrazione estrassiale è quella della curvatura di campo

Si prendano due fasci astigmatici con inclinazione diversa a1< a2

Osserviamo che all’aumentare dell’angolo alfa le focali tangenziali e sagittali diminuiscono diminuiscono e di conseguenza le potenze tangenziali e sagittali aumentano

Osserviamo che sull’asse la differenza è minima ed è nullo sia l’astigmatismo sia la curvatura di campo

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Aberrazioni delle lenti sferiche

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Quando la flessione del campo riguarda linee normali all’asse ottico si ha un altro tipo di aberrazione chiamata distorsione

La distorsione può essere a cuscino o a barile (se la radiazione incidente non è monocromatica i bordi appaiono iridati e si parla di distorsione cromatica)

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Aberrazioni delle lenti sferiche

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Esaminiamo ora il problema del funzionamento delle lenti dal punto di vista delle aberrazioni

Le lenti prodotte dai due ottici, prodotte e messe in commercio non ebbero un grosso successo

Agli inizi del XIX l’ottico inglese Wollaston osservò che l’astigmatismo aumentava al crescere dell’angolo di inclinazione, ma anche che l’astigmatismo dipendeva dalla forma della lente

L’astigmatismo era minore nelle lenti a menisco concavo con la parte concava rivolta verso l’occhio

Successivamente Ostwalt aveva notato che la forma del menisco concavo era quella che si adattava meglio ai movimenti dell’occhio e l’astigmatismo poteva essere ridotto anche utilizzando curvature meno pronunciate rispetto a quelle di Wollston

Il problema dello studio dei fasci obliqui che incidono una lente fu ripreso da Tscherning che introdusse alcune semplificazioni: -La pupilla viene considerata immobile a distanza di 25mm dalla lente -Punto raggiante all’infinito -Lente sottile

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Aberrazioni delle lenti sferiche

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Le ipotesi precedenti sono la base per il tracciamento del diagramma di Tschering seguente

Sull’asse orizzontale è riportata la potenza f della lente considerata che varia da -25D a + 7D, mentre sull’asse verticale è riportata la potenza della prima faccia f1

La f2 si trova per differenza f2 = f - f1

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Aberrazioni delle lenti sferiche

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Si dice che le lenti definite dal diagramma di Tscherning sono prive dell’astigmatismo dei fasci obliqui per tutto il campo che interessa le lenti da occhiali Esempio: qual è la forma da dare a una lente di potenza -10D perché risulti priva dell’astigmatismo dei fasci obliqui?

f2 = f - f1 quindi f2 = -13D e f2 = -27D Entrambe prive di astigmatismo dei fasci obliqui ma la prima ha una curvatura meno pronunciata della seconda

+17

+3

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Aberrazioni delle lenti sferiche

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Le lenti costruite secondo il diagramma di Tscherning richiedono attrezzature e materiali costosi dato che sono necessarie curvature specifiche per ogni potenza data

Per questo motivo si è pensato di fare lenti a menisco con una curvatura base uguale per tutte le lenti: i menischi così ottenuti vengono detti menischi a base costante o menischi base per differenziarli da quelli a base variabile

Nella figura sono riportati i diagrammi secondo cui sono costruiti i menischi a base costante di uso più comune

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Aberrazioni delle lenti sferiche

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Le lenti costruite secondo il diagramma di Tschering sono prive di astigmatismo dei fasci obliqui sempre nelle ipotesi di lente sottile e angolo di inclinazione tra asse ottico e asse visuale sia piccolo

Volendo tener conto dello spessore della lente e dell’inclinazione dei raggi si deve parlare di lenti punctuali

Le lenti punctuali si possono costruire per potenze da -23D a +7D secondo un diagramma tipo quello di Tscherning, sono menischi la cui base è diversa per ciascuna potenza e hanno curvature meno pronunciate

Il fascio dei raggi astigmatici è inclinato di 30° per le lenti positive e 35° per quelle negative

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Lenti e vetri speciali Le lenti sferiche ed astigmatiche rappresentano la maggior parte delle lenti utilizzate per costruire occhiali dagli ottici, queste lenti vengono genericamente denominate lenti oftalmiche

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Per correggere particolari difetti della vista, si ricorre a lenti e vetri speciali, le cui caratteristiche devono essere ben note all’ottico perché queste lenti hanno solitamente costi elevati, sono difficili da lavorare e possono risultare antiestetiche da indossare. Per questi motivi, il cliente che richiede una lente speciale deve essere ben informato dall’ottico circa i pregi e difetti delle lenti che andrà ad acquistare per evitare eventuali problemi relativi all’utilizzo dell’occhiale

La correzione di ametropie assai elevate richiede lenti di potenza corrispondente ossia dotate di piccoli raggi di curvatura e forti spessori

L’uso di occhiali con lenti di diametro elevato rende difficile e antiestetico l’utilizzo dell’occhiale che diventa pesante e disagevole da portarsi per la presenza di blocchi di vetro significativi al posto delle lenti

Si sono studiate alcune soluzioni per ridurre questo disagio:

- A) utilizzo di lenti lenticolari; - B) utilizzo di lenti con un indice di rifrazione più elevato; - C) utilizzo di lenti asferiche o di lenti speciali realizzate su richiesta;

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Lenti e vetri speciali Le lenti lenticolari hanno profili particolari e possono intendersi come composte da più lenti ossia “una lente nella lente” da cui il nome che fa sembrare ridondante il concetto di lente

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I metodi per produrre una lente lenticolare sono diversi:

A1)- lavorazione meccanica del profilo dell’orlo della lente;

I bordi vengono ridotti, nel primo caso abbiamo sull’orlo una superficie spianata, nel secondo caso abbiamo un orlo lavorato con una superficie con una pendenza contraria a quella originaria Solitamente questi profili sono rappresentativi di lenti negative

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Lenti e vetri speciali A2)- incollaggio di due profili diversi;

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Si utilizzano resine particolari tipo “balsamo del Canadà” per incollare ad esempio una lente biconvessa all’interno di un menisco come si vede in figura

Solitamente questo profilo è rappresentativo di lenti positive

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Lenti e vetri speciali B)- utilizzando materiali con indice di rifrazione più elevato;

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Dalla formula precedente si nota che la potenza della lente è direttamente proporzionale all’indice di rifrazione, per cui aumentando n aumenta f

Un utile esempio è quello di calcolare percentualmente di quanto aumenta la potenza a parità di raggio di curvatura se si passa da n=1,5 a n= 1,65 cioè se si sostituisce un vetro crown con un vetro flint

Rn 1−

Rn

Rn

1

1

22

11

−=

−=

ϕ

ϕ77,0

11

2

1

2

1 ≅−−

=nn

ϕϕ

%2323,077,01 ⇒=− L’aumento di potenza è pari al 23%

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Lenti e vetri speciali C1)- lenti asferiche;

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Sono lenti caratterizzate da un profilo particolare e da superfici non sferiche. Sono utilizzate per correggere difetti della vista che richiedono lenti con diottrie elevate +12, +14 D quando si vuole evitare l’astigmatismo dei fasci obliqui (si ricordi a questo proposito il diagramma di Tsceherning dove il campo esente da questo difetto era compreso nell’intervallo -25, +7,5D)

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Lenti e vetri speciali C2)- lenti realizzate su misura;

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Molto spesso, nella pratica professionale, si preferisce richiedere lenti fatte su misura che si adattano meglio all’esigenza del cliente, sono più resistenti e precise di una lente lavorata manualmente, ma hanno ovviamente costi maggiori delle lenti usualmente adoperate dall’ottico;

In figura si riportano due lenti speciali con orlo non sagomato

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Lenti e vetri speciali A scopo di esempio si riportano di seguito le possibili correzioni per un occhio che richiede una forte potenza positiva (+12, +14 D es. occhio afachico*)

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Se l’occhio richiede una lente assosimmetrica si dispone di: -Lente biconvessa -Menisco -Lente biconvessa in flint, o menisco in flint -Lente lenticolare -Lente asferica

* Per afachia si intende l'assenza del cristallino all’interno dell’occhio

Se l’occhio richiede una lente astigmatica si dispone di: -Lente sferocilindrica -Lente torica -Lente in flint torica o sferocilindrica -Lente lenticolare torica o sferocilindrica -Lente astigmatica asferica

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Lenti e vetri speciali Un altro tipo di lente speciale è la lente prismatica

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Si definisce lente prismatica un prisma sottile a cui viene dato un orlo arrotondato per essere sistemato nella montatura dell’occhiale

Dove d(D) è la deviazione in diottrie prismatiche che subisce la radiazione luminosa; h è il decentramento espresso in millimetri che ha il centro ottico rispetto al centro di figura della lente; f è la potenza della lente espressa in diottrie (1/m);

Osserviamo che il termine di lente in questo caso è improprio e inoltre notiamo che mentre la lente opera una trasformazione di vergenza, il prisma opera una deviazione d del raggio ottico verso la base del prisma I prismi hanno comunque rare applicazioni, la soluzione più utilizzata è quella di usare

una lente assosimmetrica decentrata dove il valore delle diottrie prismatiche è calcolabile con la formula di Prèntice:

10)( ϕδ ⋅=∆

h

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Lenti e vetri speciali Schematizziamo una lente prismatica come in figura

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Dove a sinistra è rappresentata una lente prismatica tridimensionale in cui la retta V-V rappresenta lo spigolo del prisma e a destra è rappresentata una sezione della stessa lente in cui a è l’angolo rifrangente e con e si indicano gli spessori Il diametro D della lente prismatica è pari a 50 mm ovvero 5 cm ovvero 0,05 m Se il diametro è pari a D=50 mm e l’indice di rifrazione è pari a 1,5 si ottiene che lo

spessore utile e misura la diottria prismatica del prisma, infatti ponendo e=2,5mm

)(5,2102

50)(5005,05,2

)()(

∆==⋅

⇒=== αα millesimimD

mme

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Lenti e vetri speciali Le condizioni precedenti non sono sempre verificate infatti si ha che

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Per questo motivo si utilizza la formula seguente generica per il calcolo delle diottrie prismatiche

)1(250−⋅⋅⋅= n

Deδ

D non è sempre 50mm

n non è sempre 1,5

Dove e, D sono espressi in mm e d è espresso in diottrie prismatiche

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Lenti e vetri speciali In questo modo abbiamo calcolato l’indice di rifrazione di un prisma semplicemente misurando gli spessori minimo e massimo con un calibro*

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Sostituendo nella formula si ottiene n=1,66

)1(250−⋅⋅⋅= n

Deδ

24,5mm

Dove e, D sono espressi in mm e d è espresso in diottrie prismatiche

1,9mm

38mm

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Lenti e vetri speciali * Il calibro corsoio da la possibilità di misurare spessori inferiori al millimetro grazie alla scala del nonio: di seguito si riporta una guida per l’uso

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Lenti e vetri speciali Trovate altre informazioni su http://it.wikipedia.org/wiki/Calibro da dove è stata estrapolata questa gif animata

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