la lunga via dello stile - i segreti dello stile

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101 GENNAIO 2020 | ARBITER 100 ARBITER | GENNAIO 2020 Sopra, Antonino Ubaldo Caltagirone indossa un paltò in Cashmere inglese confezionato negli anni 90 dalla Domenico Caraceni a Milano. Recentemente ne ha fatto accorciare la lunghezza, ha ritoccato le asole e sostituito la fodera, attualizzandolo. Nell’altra pagina, il servomuto con un abito tre pezzi sempre di Caraceni, del ’95. Caltagirone ogni anno, o con il cambio del guardaroba, porta gli abiti dal sarto per stirarli e rinfrescarne collo e polsi con una pezza imbevuta di trielina. LA LUNGA VIA DELLO STILE L’eleganza è nel togliere, non nell’aggiungere, e ha a che vedere con l’abbigliamento solamente in minima parte. Ne è convinto Antonino Ubaldo Caltagirone, che da 50 anni si veste su misura con un rigore ionico e spirituale DI ALESSANDRO BOTRÉ NEL GUARDAROBA DI...

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Page 1: LA LUNGA VIA DELLO STILE - I segreti dello stile

101 GENNAIO 2020 | ARBITER 100 ARBITER | GENNAIO 2020

Sopra, Antonino Ubaldo Caltagirone indossa un paltò in Cashmere inglese confezionato negli anni 90 dalla Domenico Caraceni a Milano. Recentemente ne ha fatto accorciare la lunghezza, ha ritoccato le asole e sostituito la fodera, attualizzandolo. Nell’altra pagina, il servomuto con un abito tre pezzi sempre di Caraceni, del ’95. Caltagirone ogni anno, o con il cambio del guardaroba, porta gli abiti dal sarto per stirarli e rinfrescarne collo e polsi con una pezza imbevuta di trielina.

LA LUNGA VIA DELLO STILE

L’eleganza è nel togliere, non nell’aggiungere, e ha a che vedere con l’abbigliamento solamente in minima parte.

Ne è convinto Antonino Ubaldo Caltagirone, che da 50 anni si veste su misura con un rigore ionico e spirituale

DI ALESSANDRO BOTRÉ

● NEL GUARDAROBA DI...

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In alto, da sinistra, i gilet in cashmere; l’etichetta di un abito Caraceni del ’95; acqua di colonia fatta fare a un artigiano italiano. Nell’altra pagina, 1. Quasi tutte le camicie sono button down di Jack Emerson, con collo e polsi sfoderati. Più vecchie e lise sono, meglio è. 2. Alcuni abiti, tutti sfoderati. 3. Giacche sportive in velluto, lana, cashmere-seta, inframezzate con i pantaloni per risparmiare spazio. 4. Le scarpe sono tutte anni 90 e 2000, da Giacopelli a Edward Green, Allen Edmonds e Ugo Cilento.

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n guardaroba per essere tale deve essere vis-suto, ogni pezzo deve possedere delle carat-teristiche e raccontare una storia. La ba-se per costruirlo è la conoscenza dei tessuti. Ho avuto la fortuna di fare il primo abito dal sar-

to a 16 anni, ormai sono 50 anni che vesto su misura. Ma ci vuole cultura per saper chiedere cosa si vuole all’artigiano». Capelli lun-ghi e fluenti d’altri tempi, baffi, sguardo intenso, sempre in giacca e cravatta dallo stile che definirei ionico, Antonino Ubaldo Cal-tagirone è un metafisico dell’eleganza. Dico «dell’eleganza» e non «del vestire» perché sono due cose ben diverse, come vedremo tra poco. Nato nel 1954 e cresciuto a Torino, Caltagirone oggi fa capo a Firenze ma è perennemente in viaggio per lavoro. Proprio il suo peregrinare gli ha permesso di accumulare nei decenni un archivio di tessuti rigorosamente inglesi, da Dormeuil a Fox Brothers, acqui-stati in Inghilterra. Questo magazzino ha alimentato inizialmente i numerosi sarti a cui si rivolgeva per far confezionare abiti, giac-che, cappotti e pantaloni, ma rimaneva così abbondante che il suo artefice ha deciso di devolverlo piano piano, in maniera accurata, agli amici, regalando al momento giusto la stoffa intonata allo stile di ciascuno. «Ho seguito varie scuole sartoriali», racconta Caltagi-rone, «da quella inglese con Norton & Sons a quella siciliana con Maugeri, che aveva bottega a Torino. Poi sono passato a Michele Mescia, sempre nella mia città, e a Domenico Caraceni di Milano, mentre ultimamente mi servo dal napoletano Gianni Volpe. Ma la

maggior parte dei miei capi ha almeno una decina d’anni, così co-me le scarpe e le camicie. Il mio gusto è inglese per quanto riguar-da le stoffe e asciutto nel taglio, analogamente alla vecchia sarto-ria abruzzese. Preferisco i bottoni di corozo anziché in madreperla, il doppiopetto con revers non esagerati, gli spacchi laterali, le giac-che sfoderate anche in inverno. Ma sono i vuoti che contano, non l’asola sbottonata o altri dettagli che, contrariamente a quello che si sostiene, non fanno la differenza: l’eleganza è togliere, non ag-giungere. Il capo lo vedi da come accolla, da come ti sta quando sei seduto, dal giromanica giusto che non fa spostare il fianco quando alzi il braccio. La differenza non la fa l’abito, quanto l’uomo. Io so-no più per il rigore che per la creatività». Ci stiamo avvicinando al campo in cui Antonino Ubaldo Calta-girone ha molto da trasmettere, applicando all’ambito dell’esteti-ca quella spiritualità che lo pervade: «L’eleganza è un istinto, che ti rende capace di abbinare tessuti e cose belle. È composta da sti-le, classe e carisma: il vestire contribuisce al massimo per il 10%.

Poi ci sono il fascino e la seduzione, che me-riterebbero un capitolo a parte». Un percorso di iniziazione che parte da lontano, quello di Caltagirone, precisamente nel primo anno di liceo: «Ero stato invitato da una compagna di scuola con cui avevo un flirt a una festa nel-la sua villa alla Mandria (prestigioso parco a nord-ovest di Torino, ndr). Mi sono presenta-

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«LE STOFFE PER ME SONO SOLO INGLESI,E IL TAGLIO DEVE ESSERE ASCIUTTOCOME QUELLOABRUZZESE.SONO I VUOTIA CONTARE,NON I DETTAGLI»

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In alto, da sinistra, alcuni gemelli, che però Caltagirone non indossa spesso; un pigiama inglese in goffrato, con la vestaglia abbinata; le bretelle in tantissimi colori: le preferisce con le fettucce di tessuto anziché di pelle. Nell’altra pagina, Caltagirone indossa un abito doppiopetto in grisaglia pesante inglese realizzato dal sarto napoletano Gianni Volpe, da cui si serve dal 2000, sfoderato come la maggior parte dei suoi capi anche invernali. «La moda è il kit di montaggio di chi non ha stile», dice Caltagirone.

to vestito con il golf, quello che sferruzzava mia mamma a casa, e ho trovato ragazzi della mia età con il blazer blu e che parlavano di golf, ma non intendendo quello che indossavo io. Per la prima vol-ta mi sono sentito a disagio. In via San Tommaso, lungo la strada tra casa mia e il liceo, c’era un negozio confezionista: faceva abiti, vendeva stoffe, allargava i cappelli etc. Un giorno, passando noto in vetrina il manichino di un giocatore di golf ed entro. Dal retro bottega esce un signore con i capelli bianchi, elegantissimo: il tito-lare. Gli racconto la storia e lui mi dice: “Ah, te ne sei andato con la coda tra le gambe”. Gli rispondo: “No! Voglio diventare meglio di loro”. Così Giovanni Borrella, per tutti alla torinese «Monsù» Borrella, mi propone un patto: lui mi avrebbe insegnato a diventa-re un gentleman, e io avrei lavorato gratis tutti i pomeriggi. Ho su-bito accettato e sono rimasto in negozio per tutto il liceo. È diventato un padre, eravamo sempre insieme, mi ha insegnato tut-to. In verità, ogni tanto mi allungava 10mila lire per portare fuori le ragazze, spiegandomi come dovessi comportarmi per conquistar-le. Ovviamente mio padre, comandante di una caserma dell’Eser-cito in città, non sapeva niente, e mi toccava fare tutto di nascosto con la complicità di mia madre, che di lavoro faceva l’insegnante». Caltagirone si commuove nel parlarne, segno di grande riconoscen-za verso il suo mentore. «Negli anni poi ho frequentato le ambascia-te grazie agli zii paterni che erano attaché, imparando sul campo i protocolli relazionali», rivela. «Ma non ho voluto seguire la carrie-ra diplomatica, preferisco essere libero e farmi da solo le regole. È

un viaggio interno, un gentiluomo coltiva nel profondo i propri tesori e poi inevitabilmente tutto appare. Se hai il talento, puoi perfeziona-re lo stile affinando il gusto, creando un tessu-to culturale. Il passaggio intermedio è la classe. Per aspirare all’eleganza, il terzo e ultimo sta-dio, servono esperienza e soprattutto carisma, che scaturisce da un animo nobile, colto, edu-

cato, forte. Vanno educati i cinque sensi e sviluppato il sesto, che è il più importante, quello che oggi ormai stiamo perdendo a causa dell’abuso dell’elettronica». Perché la differenza non la fa certo un abito fatto dal sarto, ma ben altre cose: «La capacità di raccontare un viaggio, i tuoi sentimenti, saper ascoltare i fatti della vita degli altri, essere veri e non invidiosi. Di fatto, quando hai un carisma gli altri lo vedono, anche se porti una giacca non proprio perfetta. Le persone eleganti sono rarissime. Non parlo di attori come Gary Cooper, personaggi pubblici che piacciono per la loro arte recitati-va. La classe è un patrimonio genetico che non è e non deve essere simpatico: anzi, una malattia dei nostri giorni sono proprio i «like», la mania di piacere a più persone possibile. Altro elemento fonda-mentale per me è aver conosciuto personaggi non comuni, oguno dei quali mi ha infuso qualcosa: l’avvocato Agnelli, papa Wojtyła, Monsù Borrella, mio zio Aldo o il frate benedettino Michele. Mi sarebbe piaciuto incontrare anche J.F. Kennedy e Gandhi. Perso-naggi armonici e carismatici, quindi eleganti».

LA CLASSE È UN PATRIMONIOGENETICO CHE ALLA MASSA NON RISULTA SIMPATICO:C’È LA MANIA DI PIACERE A QUANTE PIÙPERSONESIA POSSIBILE