la melma dei giorni n° 2 - il fallimento

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Parlare di fallimento in quest’epoca richiama di solito immagini di sconfitta vergognosa, miseria economica e morale: un fallimento affrontato a capo chino, da inferiore. Non è questo l’unico modo di concepirlo; si può provare rigetto colpevole o un orgoglioso compiacimento, si può vederlo con tagliente ironia o come un taguardo desiderato in cui riconoscersi ma prima di tutto il fallimento è una possibilità. Una naturale conseguenza dell’azione e un elemento vitale per ogni ricerca, quanto il successo, poichè produce conoscenza delle cose e distacco dalle cose già conosciute. Il fallimento segna ogni vita e le dà senso. Bisogna averne però il coraggio. Dice Cioran : “Se in me non c’è niente che mi spinga a parlare del dolore o del nulla, perchè perdere tempo a studiare? Bisogna cercare tutto in se stessi, e se non si trova ciò che si cerca, ebbene, si deve lasciar perdere. Quello che mi interessa è la mia vita.“

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Direttore responsabile:Marco Gallocchio

Consigliere speciale:Natali

Segreteria di redazione: Abraham B.

Caporedattore:Luciano SilighiniGaragnani

impaginazione e grafica:Cagnaccio & Globus

Tecnico della fotografia:Marcello R.

Hanno collaborato:Spartaco | Paolo Ranieri | Vanessa Apfel | M. Passamani | Nando | Natali | Valentina Frasisti | Floro | Giovane Vecchio | Paese Cinico | Sigarette di cemento | Zoninoz | Mattia Luigi Pozzi | Dough | Areb | Dominchia | Kafuka | Compagno Jeremy Irons | Alfiere del Postirio | Callu | Paolo Pochesci

Per contatti collaborazioni insulti:[email protected]

FATICA DA BESTIA FA CRESCERE IL MUCCHIO

MA RENDE TRISTE LA VITA

la melma dei giorni: la rivista preferita dal prof. galimberti e dai giovani insicuriinsidiati dal nichilismo. prossimamente nelle location piu’ brutte della provincia.

LA melMA DEI GIORNIn°2 - novembre/dicembre 2013

saronno - como - varese - laveno - milano

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MENU’ MENU’ MENU’ MENU’ MENU’Cavalier Malriuscito SpartacoFalliti di tutto il mondo rallegriamoci...Paolo RanieriDisagioVanessa ApfelSenza Rendere ContoM. PassamaniLe Meravigliose Avventure di NandoGlobus e GallocchioLorenzo Natali come Luke PerryLorenzo NataliA Pugni ChiusiSpartacoSecolari Minuti UltimiValentinaLa Forma è un ArmaFloro e GallocchioIncursioni nel GrottescoJonas OrlandiPaese Cinico-Il principio del divismo e l’effetto d’impotenzaSamuele ZoniScalmanare il FallimentoMattia Luigi PozziPaese Cinico-Le Meravigliose Avventure di NandoGlobus e GallocchioBoriaDiego - Gallocchio - NataliVent’anni

GallocchioCoppini AtomiciFloroPoesia tratta da “I DIari Isolati”ArebdisegnoDominchiaProspettive insurrezionali la domenicaCompagno Jeremy IronsL’alfiere del PostirioDavid di ChiaraLe Meravigliose Avventure di NandoGlobus e GallocchioGenesiGallocchio e NataliPaese CinicoNotizie dal Buon PaesottoNataliEccetra eccetraNatali - GallocchioL’albero con l’occhioCalluI Misteri del SessoProf. Paolo PochesciNoviziatoNataliPaese Cinico

Cavalier Malriuscito Spartaco....................................................................5Falliti di tutto il mondo rallegriamoci Paolo Ranieri...................................6Disagio Vanessa Apfel...................................................................................9Senza Rendere Conto M. Passamani..........................................................10Nando Globus e Gallocchio......................................................................13Lorenzo Natali come Luke Perry Lorenzo Natali.......................................18A Pugni Chiusi Spartaco...........................................................................20Secolari Minuti Ultimi Valentina................................................................21La Forma è un Arma Floro - Gallocchio.......................................................23Incursioni nel Grottesco Jonas Orlandi....................................................24Il principio del divismo e l’effetto d’impotenza Zoninoz..........................27Scalmanare il Fallimento Mattia Luigi Pozzi.............................................32Nando Globus - Gallocchio.........................................................................35Boria Diego - Gallocchio - Natali................................................................38Vent’anni Gallocchio.................................................................................39Coppini Atomici Floro...............................................................................40Poesia tratta da “I DIari Isolati” Areb........................................................41Metastasi Dominchia.................................................................................42L’angolo del Kafuka Kafuka.......................................................................44Prospettive insurrezionali la domenica Compagno Jeremy Irons............45L’alfiere del Postirio Davide di Chiara......................................................48Nando Globus - Gallocchio..........................................................................50Genesi Gallocchio - Natali............................................................................54Vento d’estate Pietro Mandreoli - Cagnaccio..............................................56L’albero con l’occhio Callu......................................................................60I Misteri del Sesso Prof. Paolo Pochesci.................................................61Noviziato Natali............................................................................................62

la maggior parte degli esseri umani non sono mai stati altro che animali da soma, capaci di promuovere una tecnologia al servizio dei loro interessi predatori ma incapaci di affinare la vita e raggiungere così la propria specificità. 3

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Parlare di fallimento in quest’epoca richiama di solito immagini di sconfitta vergognosa, miseria economica e morale: un fallimento affrontato a capo chino, da inferiore. Non è questo l’unico modo di concepirlo; si può provare rigetto colpevole o un orgoglioso compiacimento, si può vederlo con tagliente ironia o come un taguardo desiderato in cui riconoscersi ma prima di tutto il fallimento è una possibilità. Una naturale conseguenza dell’azione e un elemento vitale per ogni ricerca, quanto il successo, poichè produce conoscenza delle cose e distacco dalle cose già conosciute. Il fallimento segna ogni vita e le dà senso. Bisogna averne però il coraggio. Dice Cioran : “Se in me non c’è niente che mi spinga a parlare del dolore o del nulla, perchè perdere tempo a studiare? Bisogna cercare tutto in se stessi, e se non si trova ciò che si cerca, ebbene, si deve lasciar perdere. Quello che mi interessa è la mia vita.“

DAlla cappa opprimentedella provincia

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DAlla cappa opprimente

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FALLITI DI TUTTO IL MONDO, RALLEGRIAMOCI! di Paolo Ranieri

Il fallimento, concetto giuridico nato in ambito commerciale e di lì metastatizzato nella società intera, significava in origine qualcosa di differente dalla sua accezione corrente: la legislazione sui fallimenti introdotta, fra molti dubbi e marce indietro (perché percepita come immorale), nasce per proteggere, infatti, non già il creditore ma il debitore fallito.

Dichiarare fallimento significa richiedere alla comunità comprensione e sollecitare un accomodamento. Serve in sostanza a riconoscere che il fallito, colui che non riesce più a pagare i propri debiti, è differente da un ladro, anche quando, come sovente accade, i danni da lui procurati sono molto più rilevanti di quelli causati da un semplice furto.

Ma dichiararsi falliti può trovare venia solo perché, in una società fondata sul successo (identificato il più delle volte con l’accumulo

di ricchezze, magari non solo materiali), questa dichiarazione contiene un’ammissione di inadeguatezza. Ci si riconosce falliti a capo chino.

Tuttavia, se il fallimento è l’opposto del successo, non sempre viene affrontato a capo chino: può viceversa essere rivendicato con orgoglio e lanciato come un guanto di sfida. Di atteggiamenti come questi possiamo individuare almeno tre interpretazioni fra loro differenti, e in certo qual modo, a loro volta, opposte l’una rispetto all’altra.

Da una parte abbiamo il successo impossibile, perché l’esistente non avrebbe spazio per contenerlo, ben rappresentato da questo famoso brano di In girum imus nocte et consumimur igni: “Quel che un poeta dell’epoca T’ang ha scritto Separandosi da un viaggiatore, potrebbe applicarsi a quest’ora del mio

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racconto? “Discesi da cavallo: gli feci offerta del vino dell’addio / e gli chiesi quale fosse il fine del suo viaggio./Mi rispose: non sono riuscito negli affari del mondo;/faccio ritorno ai monti Nan-Chan per cercarvi riposo.” Ma no, vedo molto distintamente che non esiste riposo per me; prima di tutto perché nessuno mi fa la grazia di pensare che io non sono riuscito negli affari del

mondo. Ma, fortunatamente, nessuno potrà dire neppure che io vi sia riuscito”.Occorre dunque ammettere che non vi erano successo o fallimento per Guy Debord, e per le sue pretese smisurate.

Dalla parte opposta, abbiamo

colui il quale ha scelto di non gareggiare, di rifiutare sé stesso alla competizione: “Geremia che avrebbe potuto essere tutto e preferì essere nessuno” (Una ballata del mare salato, Hugo Pratt).

Da una terza parte, troviamo chi ha scelto il contrario del successo, un successo nero, infernale, nemico di ciò che

esiste. Un esempio mirabile e mirabilmente descritto ce lo offre Sade in : “Tutti conoscono la storia del Marchese di *** che, informato sulla sua condanna ad essere bruciato in effigie, tirò fuori il cazzo dai pantaloni e gridò “Dio fottuto, ecco dove volevo arrivare; sono

il fallimento diviene in ciascuno di questi casi il traguardo desiderato, il successo rispetto al proprio personaledisegno.

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coperto d’obbrobrio e di infamia; lasciatemi, lasciatemi che devo godere!” . E lo fece all’istante”.

Ecco dove volevo arrivare: il fallimento diviene in ciascuno di questi casi il traguardo desiderato, il successo rispetto al proprio personale disegno. Essere dimenticati, essere impossibili da misurare, essere ricordati al vertice del peggio.

Tutti modi in cui si esprime il proprio ripudio dell’esistente, delle masse che lo percorrono, dei valori che tali masse esprimono.

Anche se, senza dubbio, anche in questo caso vale, debitamente adeguata, l’avvertenza di Gandhi riguardo alla non-violenza: è non-violento chi, potendo reagire violentemente, rinuncia a farlo e non già chi, debole e imbelle, non reagisce

violentemente perché non ne avrebbe la possibilità.

Ugualmente possiamo conside-rare che ripudi il successo, che scelga il fallimento unicamente chi avrebbe le doti per riuscire, e non già chi avrebbe voluto ma semplicemente non era all’altez-za, non era all’altezza di questa società.

Il che, considerando i requisiti davvero infimi che questa re-clama, suggerisce che probabil-mente si tratterebbe di soggetti troppo meschini per qualsiasi società.

Anche per fallire con decoro occorrono dunque delle doti, occorre impegno: chi avesse pensato di abbandonarsi pigra-mente al nulla che avanza, si rassegni. Sarà fallito anche in quanto fallito.

Essere dimenticati, essere impossibili da misurare, essere ricordati al verticedel peggio.

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SENZA RENDERE CONTOdi Massimo Passamani

Nihil sine ratione. Niente è sen-za fondamento . Così afferma da sempre il pensiero filosofico , con il solido accordo del senso comune. La coincidenza di esse-re e fondamento dice che ogni ente ha un fine , e solo come re-alizzazione di questo fine la sua esistenza trova ragione , ragione di cui si può e si deve rendere conto. Questo “rendere conto “ indica che ogni ente è calcolabile , misurabile. La vita dell’indivi-duo non fa eccezione.

È chiaro che variando la con-cezione del fondamento , varia anche il fine dell’esistenza , così come mutano i criteri in base ai quali si individua chi e che cosa , di volta in volta si allontana da quel fine o contraddice quel fon-damento. Ciò che viene consi-derato folle , criminale, innatu-rale o inumano è proprio tutto

quello che rappresenta la nega-zione del fondamento e del fine, in quanto modelli esterni impo-sti all’individuo.

Questi modelli vengono giustifi-cati in nome di quello che viene posto come elemento comu-ne, come essenza generica. Se il tratto comune che ci unisce è Dio , allora il fine dell’uomo è l’at-tuazione della volontà divina . Se, invece, esso è individuato nella legge naturale , il suo compito sarà di realizzare gli intrinseci piani della natura . Così come se il dato universale è la ragione , il fine dell’uomo è di non contrad-dire il principio di razionalità. Il modello dell’uomo come essere sociale , come animale politico , imporrà infine la missione di rispettare le norme sociale e i dettami politici. Cambiando i principi di riferimento , cambia

“la rosa è senza perché ;fiorisce poiché fiorisce ,

di sé non gliene cale,non chiede

d’esser vista’’Angelo Silesio,

il pellegrino cherubico

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anche la morale . ma il cielo a cui chiama è sempre lo stesso .

Ogni fine , fosse anche quello della libertà , impone sacri do-veri , pretende sacrifici. Anche l’ “uomo umano” è una missione , una essenza da realizzare una tautologia moralistica che por-ta con se i suoi tribunali e le sue scomuniche ( non è un caso ad esempio che in tedesco non-uo-mo e mostro si esprimano con lo steso termine Unmensch) .

In nome dei diritti dell’uomo sono stati sfruttati e si continua-no a sfruttare gli uomini . Il rogo dell’ateo , la riprovazione verso l’omosessuale o l’incestuoso , la segregazione del folle e la car-cerazione del fuorilegge sono solo modi diversi di integrare e di reprimere chiunque oltrepas-si i limiti stabiliti della norma , le prescrizioni del bene.

Il valore degli individui si misura solo in base al grado di adesione al fine al quale viene subordina-

ta la loro esistenza . Nonostan-te spesso si critichi sdegnati la coercizione della pena o la vio-lenza dell’inserimento forzato , non altrettanto spesso si arriva a negare alla radice il concetto stesso di dovere , di cui quelli non sono che corollari giacché l’autorità non è che la mediazio-ne tra il fine e gli individui chia-mati a realizzarlo .

Certo tra gli anarchici ci si chia-ma al sicuro dalla doverosità dei precetti religiosi dalla sacralità delle imposizioni statali oppure da una visione rigidamente fina-listica della storia eppure si con-tinua a credere che esistano di-ritti naturali ( gli uomini nascono liberi e d eguali ) da contrapporre a quelli legali (si tratta dell’eter-no conflitto tra phìsis e nòmos ) per cui contro i secondi è possi-bile insorgere in nome dei primi . Già , in nome di , cioè facendo sempre riferimento a qualcosa di a noi esterno e trascendente che in qualche modo legittimi le nostre scelte .

Che questo qualcosa sia Dio , la comunità , lo Stato , la natura poco importa . Ciò che conta e che vi siano valori pre-esitenti e conoscibili che si tratta solo di

Ogni fine , fosse anche quello della libertà , impone sacri doveri , pretende sacrifici.

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applicare così la vita non è che una marcia, trionfale o dimessa, verso il bene .

Anche se sembrerà una irre-sponsabile boutade , io credo che tra i destini della razza predicati dal nazismo, la visone di una na-tura che tende alla libertà e ad una differenziazione progres-sive teorizzata dalla versione libertaria del giusnaturalismo, e l’anarchia come ordine verso

cui muove la storia non ci sia una differenza sostanziale. Il loro spazio è sempre il sacrificio, il loro tempo il futuro. Non c’è po-sto in queste concezioni per l’au-tonomia dei singoli, per la loro infondata individualità .

Carceri , manicomi , terapie de-mocratiche e trattamenti orto-pedici sono solo modi diversi di applicare la stessa fede in un modello. All’opposto di tut-to questo c’è la vita intesa come dispiegamento delle proprie po-tenzialità, come interrogazione aperta . Senza rendere o chiede-re il conto , come la rosa di Sile-sio. Una vita che ognuno , libe-ro dalle garanzie si gioca fino in fondo . Così da poter dire come Peter Altenberg:” E dovessi anche precipitarmi nell’abisso , che sia al-meno il mio abisso quello in cui mi sfracello !”. E chissà che non si ri-esca a danzare su quell’abisso.

Articolo tratto da: Canenero, n. 3, 11 novembre 1994

Il loro spazio è sempre il sacrificio, il loro tempo il futuro. Non c’è posto in queste concezioni per l’autonomia dei singoli, per la loro infondata individualità .

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e a s c o l t o o u t o f v o g u e d e i m i d d l e c l a s s a t u t t o s p i a n o d a l l e c a s s e g r a c c h i a n t i d e l c o m p u t e r d i u n u f f i c i o p e r i m m i g r a t i s e n z a l a v o r o e p e r d i t e m p o q u i n e l l a r i d e n t e

v a r e s e2 1 1 0 0

b e v e r l y h i l l s9 0 2 1 0

s o r s e g g i a n d o m i l e n t a m e n t e q u a r a n t a c i n q u e c e n t e s i m i d i c a l d a g e r m a n i a p i l s n e r i n l a t t i n a d a m e z z o l i t r om e n t r es i m u l t a n e a m e n t e m ’ i m b o t t o d i s o t t i l e t t e t i g r e f o t t u t e a l c a r r e f o u rn o n d o p o e s s e r m i s p a r a t o u n i n t r a m u s c o l o d i v o l t a r e n a l c e s s o .

N u l l a p i u ’ m i s c a l f i s c e .

( L o r e n z o N a t a l i c o m e L u k e P e r r y )

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Quando troppo si addensapuzza di latte guasto,sputata sul vassoio della mensae al pozzo senza fondo data in pasto.Questo rosso bolo cade giù,digrignando scheggia i suoi dentima si blocca nelle pareti in schiavitù,e oppresso presso la pazzia ti senti.Freneticamente si inclina a pontecarico di schiumoso, metallico contenutosi scarica contro l’alto montecrudo e veloce come uno starnuto.Potete lanciare quante più bombe,ma vomiterò io sulle vostre tombe.(a pugni chiusi)

Quando troppo si addensapuzza di latte guasto,sputata sul vassoio della mensae al pozzo senza fondo data in pasto.Questo rosso bolo cade giù,digrignando scheggia i suoi dentima si blocca nelle pareti in schiavitù,e oppresso presso la pazzia ti senti.Freneticamente si inclina a pontecarico di schiumoso, metallico contenutosi scarica contro l’alto montecrudo e veloce come uno starnuto.Potete lanciare quante più bombe,ma vomiterò io sulle vostre tombe.

(a pugni chiusi)

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Sono talmente simili al mioi volti coetanei,immemori condannati e ridentiche lo schifo , si ripiega e riversasu me;anch’io incapacedi trascinarmi di sponda in spondacon crudele luceaspetto, ma puresenza convinzioneaspettoaspettando che la frustrazione vuotafaccia aperto doloree sconfini fuor di measpettoaspettando che si destio muoia, l’anima miae aspettoaspettando che il mio operare nel mondoscarichi il ciclo della necessitàche ancora mi tienee stringemaledettamenteal corpo della vita.

(secolari minuti ultimi)

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La conoscenza del mondo senza la coscienza dei desideri di vita è una conoscenza morta. Essa non ha utilità che al servizio dei meccanismi che trasformano la società secondo la necessità dell’economia. I lenimenti che essa procura alla sorte degli uomini, non li cede che a malincuore, e sotto la minaccia di un rigore futuro che ne cancellerà gli effetti.22

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È un grassone, frequenta un forum di cosplay, un giornoesce di testa e pubblica un set di foto in cui sborra sulle sue mutande sudate e lecca la sua stessa sborra (il suonickname è panino99).

È una persona tranquilla, si è laureato con il massimo dei oti ed è diventato dipendente a tempo indeterminato diun’azienda: una mattina si sveglia e si fa riempire il corpo di tatuaggi di slogan e simboli nazisti.

È deceduto negli anni settanta, lo esumano per gettare isuoi resti nell’ossario comune: l’ultima cosa che ha visto sul letto di ospedale prima di morire e stato uno sketch comico di Enrico Montesano.

Si sono dati appuntamento per un suicidio collettivo, si salutano con entusiasmo e con movenze e gesti “da giovani” e si tolgono la vita.

di Jonas Orlandi

INCURSIONI NEL GROTTESCO

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La morte imprimerà un tatuaggio indelebile sul tuo corpo.

Vive da solo, fa il fico: si mette un giacchetto di jeans e dei vistosi occhiali da sole, si guarda allo specchio del bagnoe orina sul pavimento.

Acquista un abito di altissima sartoria da quattromila uri, lo porta a casa e ci ritaglia con le forbici un buco da cinque centimetri di diametro in corrispondenza dell’ano.

Si drogano, gli nasce un bambino, gli mettono nome Kevin.

È ossessionato dalla morte: immagina la sua salmaindifesa sperduta in una cassettina in un immensocimitero metropolitano (nella foto sul loculo sorride e haun papillon).

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PAESE CINICO

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Il divo è il modello, noi solo una sua brutta copia: la ri-produzione sociale ha bisogno dei suoi cliché, perché ognuno se ne stia in riga al suo posto e sia realisticamente prevedi-bile. La “realtà” deve essere prevedibile, in linea di principio: senza regolarità o aspettative è solo caos, sogno, desiderio, “produzione” selvaggia e non ri-conoscibile, mentre è “reale” solo ciò che è regale.

E il divo funge da calco regale per la decalcomania illimitata di una realtà adesiva “di mas-sa”: o si è “in” o si è “out”, figo o sfigato, vincente o perdente, tertium non datur. Il divismo è un principio di realtà che opera per selezione e omo-geneizzazione stratificata. Naturalmente serve una gerar-chia fra modello e copie: se il divo è un assioma, deve essere irraggiungibile.

Sono un figo perché gli assomi-glio, perché mi si riconoscono proprietà conformi al marchio,

non perché sono un divo ma perché ne derivo in modo uni-voco, perché “partecipo”.Come in ogni sistema assio-matico, anche la realtà adesiva dei divi deve chiudere il cer-chio, trovare il suo principio di

chiusura, colmare i vuoti, esau-rire le possibilità combinatorie: se c’è il divo pro-sistema allo-ra deve esserci anche il divo anti-sistema.

Il divismo, come ogni principio di selezione, soffre di horror vacui: l’album delle figurine

IL PRINCIPIO DEL DIVISMO E L’EFFETTO D’IMPOTENZA

[ZONINOZ]

La “realtà” deve essere prevedibile, senza regolarità o aspettative è solo caos, sogno, desiderio, “produzione” selvaggia e non ri-conoscibile

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deve essere completo o com-pletabile, anche se illimitato (come in ogni assiomatizzazio-ne che si rispetti, non c’è limite al limite). E la scacchiera non può avere caselle scivolose o sfondate e pezzi a sorpresa, non numerabili o mutanti. I ruoli sono unità di misura su cui la realtà adesiva di massa deve poter contare.

Naturalmente, ogni pezzo ha (o è) una parabola. Ma è fon-damentale che sia la parabo-la di un divo: il desiderio che convoglia deve essere ri-pro-ducibile in traiettorie centri-pete ripetibili, opportunamente trafilato e montato in serie. La copia (il figo) deve essere conforme al modello (il divo), recare il marchio regale di ogni realtà rispettabile.

Il divo anti-sistema, per esem-pio, per esser tale deve poter trafilare il figo anti-sistema. Se la trafila non riesce, allora non c’è divo (e, solo secondaria-mente, per il principio del di-vismo, ne deriva che non c’è figo). Una “massa” può esiste-re senza divismo? Anzitutto una “massa” in quanto “mas-sa e basta” è indifferenziata,

indeterminata, inenarrabile e priva di profili e traiettorie.

Non si può dire che sia atti-va ma neppure passiva: già il semplice patire ha le sue li-nee più o meno segmentate. La “massa” è “reale in quanto massa” solo se riconoscibile come tale, entro la prospettiva gerarchica dei modelli e delle copie, altrimenti è una moltepli-cità non riproducibile. Perché si possa dire “reale” una massa, è necessario togliere differenza ed estrarre variabilità alle mol-teplicità non numerabili (mol-titudini che non sono il mero multiplo di una unità elemen-tare omogenea -regale- e che, dunque, non sono “massa”). Ci vuole una riduzione all’u-niforme, attraverso selezione e omogeneizzazione perché si dia qualcosa come una “massa”.

Insomma, è necessaria una lavorazione per contrazione ed estrazione di differenze su larga scala per obliare disso-miglianze e ripetere soltanto somiglianze. Il principio del di-vismo è un principio di realtà o regalità che, contraendo somi-glianze e sottraendo differenze,

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realizza una massa distaccan-done ogni determinazione. Se un massa si ottiene per sot-trazione e riduzione all’inde-terminazione come elemento riempitivo di un calco, il divo in quanto modello ne è l’unità di misura vuota.

Nessuno è un divo: c’é solo una decalcomania di vincenti (il figo) e perdenti (lo sfigato), presi nella parabola deside-rante del divo (non dobbiamo confondere interpretato e in-terpretante: il divo è un ruolo). Se il divo è una unità di misura vuota, un cliché riproduttivo, allora il figo (non meno del se-dicente sfigato) è impotente, perché è separato dalla propria potenza. Il figo è solo un ade-

sivo scollato dalle possibilità che gli sono proprie, perché scartate in quanto “sfiganti” e “fuori gioco”.

In quest’ottica, il figo pro-si-stema ed il figo anti-sistema sono intercambiabili, poiché entrambi, riconoscibili nell’al-bum di figurine, si muovono impotenti sulla scacchiera di un gioco già dato e prevedibile, nel rispetto delle regole assio-matizzate dal divismo, riprodu-cendo il cliché che li ha trafilati in serie e che li ha “realizzati”.

Il divismo riduce ogni cosa all’impotenza della presenza in un piano di gioco prefigurato. Il suo grido è: “resistere è inu-tile!”. Ci vuole ottimismo sen-za speranza per resistere al presente e non soccombere alla stupidità.

Occorre inventare nuove stra-tegie, divenire impercettibili e ripetere imperturbabili: “preferirei di no”.

Nessuno è un divo: c’é solo una decalcomania di vincenti (il figo) e perdenti (lo sfigato), presi nella parabola desiderante del divo

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SCALMANARE IL FALLIMENTOdi Mattia Luigi Pozzi

Fallire.Cosa c’è di più banale, di più disperante e, al contem-

po, di più rassicurante? Quando si è giovani – ma cosa vuol dire giovani? Non si dica più che non si soffre a quindici, diciot-to, vent’anni pena un supplizio more germanico… – esso è ve-ramente la visione dell’abisso, gli occhi negli occhi con il nul-la – del senso, degli scopi, delle realizzazioni. Ma, ahimè, ahinoi, si cresce e con il passare degli anni questa versione borghese del nulla, come la chiama Cio-ran, diventa irrimediabilmen-te – per dirla con le sue stesse parole – imborghesimento nel nulla, nell’abisso stesso, habitus, costume (e il costume è meglio che la legge…), metafisica ad uso quotidiano, filosofia della storia spicciola, panacea, nascondiglio, maschera – delizia…

Stirner parla in un testo che non si legge molto – ma si legge, oggi, Stirner? – di delizie dell’aliena-zione: ebbene io oggi parlo, a vuoto si intende, di delizie del fallimento. Credo che molti, me-glio di me, parleranno qui della

condizione ontologica del falli-mento, del suo essere male, del mal-essere che ne è l’epifenome-no. Ebbene, io vorrei parlare del suo peggio, quello che lo toglie dalla sua condizione di natura e lo fa divenire una questione di spirito. Perché fallire è natura, esattamente come morire lo è. Ma natura non siamo, non siamo stati mai – nessun buon Rousse-au può (più?) venircelo a raccon-tare. Allora è spirito il fallire con dolore, con frustrazione, con imprecazioni a ogni sacro più o meno velato, più o meno vicino. Ed è altrettanto spirito il fare del fallimento il sacro, il glorificarne la distanza da noi, l’intangibilità, la nostra impotenza e godere di tale distanza – godere, appunto, delle sue delizie.

Mi permetto quindi la provoca-zione: ma se ciò che ci blocca, nel fallimento, fosse proprio la sua delizia? Il suo piacere ne-gativo, la sua abiezione, se non eccitante, quantomeno rassi-curante? Perché sai, lo sai, te lo dici di continuo, non fai che dir-telo, sei tutto in questo dire, che tu ti sforzerai , ma che ci sarà

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sempre qualcosa più grande di te, qualcosa che farà andare male le cose, qualcosa a cui dare la colpa. Perché siamo ancora a questo punto, dopo almeno tre secoli di secolarizzazione: è sempre questione di colpa, il mondo – e noi – restiamo incan-tati. Mensch, es spukt! Ma ora il gioco dell’incanto è ancora più sottile. Non dico che il fallimen-to sia un bene, non dico che non si soffra, non dico che non svuoti di tutte le energie, della voglia di prendere un’iniziativa, della voglia di essere un individuo, un unico per parlare in termini che, come credo si sia capito, mi sono particolarmente cari. Dico che il peggio, e oggi domina questo peggio, è che fallire è divenuto moda, ossia modo di condurre la propria vita: ci viene propo-sto un modello, o meglio diciamo che ci si propone un modello (be-ata illusione di autonomia…) che non potremmo mai raggiungere – non sarà più il Dio-uomo, an-che se per molti ancora lo è, sarà l’esteriorità esasperata dell’ap-parenza, ossia la fama, sarà, nel nostro piccolo, uno a cui riesce particolarmente bene ciò che noi facciamo, ciò che vorremmo fare, sarà un io o un noi migliore, più vicino a una perfezione im-

possibile. E ci si condanna a non raggiungerlo mai, a farne un aldi-là, a dipingergli un volto di Moira o di Parca.

E quindi? Costrizione al “chi s’ac-contenta gode” di rito? Rinuncia-re all’ideale – anche di un cam-biamento, di una metamorfosi (sociale, individuale…) per paura dello sdoppiamento alienante (perdonatemi l’indulgenza otto-centesca)? Limitarsi alla logica di azione-reazione di fronte alle sventure che ci capitano sempre meno, non perché non accadano, ma perché le evitiamo evitando di esporci, parando i colpi in una tattica – di vita – solo difensiva? Fare addirittura della vita una tattica? Ossia come abitare il fal-limento, se esso è così presente, così tangibile, se il suo nulla è così reale?

Forse la (dis)soluzione passa proprio attraverso la vulnera-bilità ad esso, passa attraverso le ferite che la sconfitta ci inflig-ge. Ferite da non sedare, da non anestetizzare, piuttosto da colti-vare, etimologicamente appun-to da abitare, in un’etica che sia esposizione totale, alterazione totale, forse direbbe Nietzsche, corpo a corpo tenace e disperato

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con l’esistenza, con l’esperienza, prima fra tutte quella del nulla fallimentare.

E quindi scacco da affrontare senza paracadute, senza conso-lazioni, senza epoché possibile (che la fenomenologia sia essa stessa consolazione?). Quindi lavorare sulla disfatta, centupli-carne il ritmo, non darle tregua, respiro, modo di decantare; to-glierle potenza attraverso l’in-tensità, toglierle energia attra-verso lo sfinimento, attraverso la coazione ossessiva (come le tempie che battono) di cui, noi, ora siamo proprietari.Quindi, e sempre, scalmanare il fallimento, forsennandone il vuoto.

Perché solo così possiamo, noi, assumerne tutta la portata e sfruttarne il potenziale euri-stico; perché il suo nulla non è ombra, ma è luce – da tavolo anatomico – con cui disseziona-re il reale, con cui dissezionare noi stessi. Autopsie sui nostri corpi propri per capire fin dove l’espropriazione fallimentare può arrivare, in una comprensio-ne che però sia attiva, in cui noi ci identifichiamo con essa, fino in fondo, in cui affermiamo lo

smacco, lo gridiamo, per accele-rarne il trapasso.

Solo così il fallimento divente-rà destino, direbbe Cioran, solo così la nostra iniziativa, il nostro gesto può essere efficace, alme-no per quanto concerne noi stes-si: perché spingiamo talmente in là la corruzione – la nostra cor-ruzione in seno alla più generale patologia (quella della seconda natura che tutti noi, nolenti, sia-mo) – da giungere alla barbarie, tanto più cogente quanto più co-vata nell’artificio.

E i nostri occhi, milioni di volte più viziati perché addestrati al tirocinio crudele (ossia, rigoro-so) del fallimento, sapranno, for-se, condursi pas à pas – negazio-ne per negazione – alla gloria del disincanto.

E della risata. Per farsi beffe di ogni (sempre nuovo) fallire.

Quindi, e sempre, scalmanare il fallimento, forsennandone il vuoto.

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“eppure credo sia giustouno a vent’anni deve partirema non perdiamoci di vista”- così dicevamentre si camminava unasera di settembreche si fumava sui sassia parlar di bevutee notti passate all’apertoormai perse

il sapore dell’aria era di terra bagnata-lago e montagne al loro postoe ancora, noi, avevamo speranze.

(vent’anni)39

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Datemi un cammelloo anche una busta di plastica va beneinsaccate il blu e aggiungete una punta di arancio marcioshakerate per tre minutiuna spolverata di noci di coccocon tredici banane nelle orecchienon voglio sentire il cane che urlami sta sul cazzo

coppini atomiciper scacciar la malinconiaè meglio un pelo oggi che un cocomero poco maturoa meno che non hai la cannucciaventi marciapiedi non fanno una gallinae del resto ben si sa che chi si accontenta si accontentaho il mal di pancia e vorrei fare la cacca in cieloma mi son dimenticato il paracadute in Turkmenistan.

Volevo un cammelloma oggi non mi vameglio il solito.

(Coppini Atomici)

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Ho la testa che pescasenza metodoidee di dubbi;pretesa da poetagiocare col reale,creare finzione,capirci qualcosae crederci,poco.Mi sa di Han:hanno una sola parola-geni coreani-per dir: la mia passionee’ taleche m’oscura l’ideadel se andasse male. 41

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ANGOLO DEL KAFUKA

Disappears- Pre LanguageAsphodel - SmoothGirls against Boys - Tutto

Il terzo disco dei Disappears lo devono comprare tutte le persone dotate di buon senso e di sensibilità. Dritti e filati, linee di basso semplici ed efficaci, chitarre che partono con beccate sugli armonici per poi aprirsi in svolazzamenti acidi. E quella voce brutta brutta, che rimanda alla stagione d’oro di Fall e Girls Against boys. Un piccola divagazione. Anni fa

alla Casa del Disco di Varese ci lavorava un tipo chiamato Rocco, uomo dall’età indefinibile, capello lunghetto poco curato, di poche parole, massimo esperto e gran maestro di punk-rock band al femminile. Da lui acquistai dischi delle L7 e di altre brutte ragazze poco propense alla depilazione ascellare e all’uso del deodorante. Beh, un lontano giorno del 1995 entro baldanzoso nel sopracitato negozio e sento in sottofondo una roba acida, con voce profonda che mi ricorda quella di Scott McCloud. Mi avvicino a Rocco e gli chiedo con deferenza che roba stiamo ascoltando. Mi immaginavo personaggi in cura con metadone provenienti da New York o Chicago. Lui, spiccio, “sono gli Asphodel, di Varese”. Bene, Smooth degli Asphodel era un disco splendido, scuro, malato. Se avessi un’etichetta lo ristamperei al volo mettendoci dentro anche il remix di Jesus che un tipo chiamato Attila (un nome, una garanzia) assemblò nei magnifici anni ’90. Beh, l’ascolto del disco dei Disappears mi ha esaltato le funzioni mnestiche, riportandomi a quegli anni in cui i dischi si ascoltavano e non esistevano le webzine. Anni d’oro.

DISCHICONSIGLIATI

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Benvenuti cari amici lettori alla nostra inconsueta rubrica. Per ora non mi viene in mente niente per introdurla , per cui introducetevela da soli/e come più vi piace . Iniziamo con una bella citazione di cazzate scritte da qualcun altro , come Tradizione .

Tratto da Michail A. Bakunin, Stato e Anarchia , Pagina110 :

Prospettive Insurrezionali la Domenica ( a Saronno)A cura del compagno Jeremy Irons

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Proviamo a trasporre questa affascinante teoria nella realtà della nostra vita quotidiana. Del tipo:I commercianti di Saronno , nel nome dell’Amore e della Libertà , decidono di non pagare più le tasse e di stabilire il prezzo dei prodotti di momento in momento , a seconda delle disponibilità economiche e delle reali necessità delle persone .

Del resto i fornitori che con i loro automezzi vengono a portare ciò che andrà a riempire gli scaffali , non verranno più pagati con il vil denaro , ma bensì con Abbracci Liberi emanazioni di Amore Cosmico e libri usati ; più manate sulle spalle e ‘’ bella zio ‘’ .

Inoltre a Natale è prevista la tradizionale fetta di panettone e \ o pandoro , ora però rivisitata in chiave vegana , cioè senza il classico trittico - Burro-Uova-Latte ( a cui per onor del vero andrebbero aggiunti i mono e di gliceridi degli acidi grassi , che a detta di alcuni sono ricavati dagli scarti di macellazione , ma siccome della gente che ha studiato ci ha detto che sono tutte cazzate complottiste ,

faremo finta di niente ed andremo avanti , in pieno stile e tradizione italiana , così : “Buongiorno Signò , Famiglia ‘uttobbene , i Figli ‘uttobbene , ora scappo sono di corsa , ecc ecc “ ) .

Quindi tornando al caro vecchio Bakunin , che non finirà mai di stupirci : ‘’ … allora la strada del mare sarà aperta a tutti in egual maniera ; agli abitanti del litorale direttamente agli abitanti dei paesi lontani dal mare per mezzo delle ferrovie completamente liberate da ogni tutela statale , da ogni imposta , da ogni dazio , regolamento , ostacolo proibizione , permesso e ordinanza ‘’.

I veri compagni anarchici attendono con trepidazione la comparsa di suddette ferrovie dell’Umanità Nova , ‘’ completamente liberate da ogni tutela statale , da ogni imposta , da ogni dazio , regolamento , ostacolo proibizione , permesso e ordinanza ‘’. Tutto ciò sarebbe veramente fantastico !

Resta da capire chi dovrebbe progettare e poi costruire i treni, e perchè, come farà a pagare i materiali per la costruzione

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la manodopera e l’elettricità... Forse metteranno noti militanti a riscuotere il biglietto, però in maniera completamente coerente all’etica libertaria: “Ognuno dovrebbe dare un contributo per il funzionamento del treno, però se non ti va o non hai un cazzo...” i puntini puntini sono per ora eterni. Sarebbe bellissimo, mi auguro anche di trovare una tipa carina che non conosco sui sedili del suddetto meraviglioso treno della libertà, la quale me la smollerà subito senza neanche le presentazioni, così , liberamente, per gioco. Continua poi il Bakunin:

...bè comunque la navigazione aerea avrà tanta importanza. E infatti, come potete vedere, anche questo sta accadendo. I biglietti low-cost costano spesso meno dei loro corrispettivi treni, lo sappiamo tutti. E poi ci sono

quelle graziose scie bianche che queste macchine volanti per il progresso dell’Umanità tutta , disegnano nel cielo...che bello, ci ricorda quando scarabocchiavamo i banchi di scuola... a volte tutta la volta celeste assomiglia ad una gigantesca partita a tris durante l’intervallo... anche se però ora che ci penso quand’ero sui banchi di scuola gli aerei non lasciavano scie che rimanevano nel cielo così a lungo, si dissolvevano dopo poco che erano passati...o bhe sarà sicuramente un caso. Alla prossima!

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L’ALFIERE DEL POSTIRIO

La possibilita di riprodursi viene data alle persone cheriproducendosi causerebbero gravi danni alla specie,Tiziano Ferro ha avuto l’onesta intellettuale di farsipiacere il cazzo.

Perche non sono nato meno bello e affascinante ma piu intelligente? La mia vita sarebbe stata maledettamente piu semplice.

Come diceva Heidegger:“Innanzitutto e perlo più te lo butterei ovunque e in nessun luogo”.

Essere felici è quando hai la diarrea ed il bagno è libero, essere tristi è quando hai la diarrea.

L’ ALFIEREDEL POSTIRIO

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I ciccioni non piangono, ai ciccioni sudano gli occhi.

Quando sei fidanzato il problema è il luogo, quando sei single il buffering.

Erano tanti i motivi per amarla, a me ne bastava uno. Era unica, l’unica che me l’ha data.

Il brutto del cercare un lavoro é che se trovi un lavorodevi lavorare.

Non sono abbastanza scemo da prendere una laurea.

Fino alla terza superiore sono stato il piu basso della cclasse. Poi un’estate ho preso diciotto centimetri, si chiamava Marco ed e stato bellissimo.

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Quando ancoraci stavamo annusandoil culoprima di scannarci per un paio di ciabattepoi e’ corso l’annoe il progettotutto un fallimentonon ci ha portatonemmeno una scopatadue dei quattro amici, al barsenza soldi per pagare il contoma continue indefinibiliemozioniche ancora ci avvicinanoeallontanano.

(Marco Natali e Lorenzo Gallocchio:Genesi e Fine della Melma dei Giorni)

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Quando ancoraci stavamo annusandoil culoprima di scannarci per un paio di ciabattepoi e’ corso l’annoe il progettotutto un fallimentonon ci ha portatonemmeno una scopatadue dei quattro amici, al barsenza soldi per pagare il contoma continue indefinibiliemozioniche ancora ci avvicinanoeallontanano.

(Marco Natali e Lorenzo Gallocchio:Genesi e Fine della Melma dei Giorni)

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A mezzanotte il vento passa infastiditoin questo quartiere dormitorionon trova nessuno con cui danzare.I palazzi gli tolgono il respiro.Sente il bisogno di trasportare voci,ma riesce solo a muovere le fogliedei pochi alberi sfigati da marciapiede.Passa la notte da solo.Aspetta il mattino,annoiato,per poter scappellare i riporti dei pensionatibevitori di bianchino.

(Vento d’Estate)

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Lei la classica “suorina”vestita sempliceniente truccotimorata di dioe ce ne stiamo li’nel grande salone comunea guardare vecchi vhs di quelli allegati con i giornali.E mi sembra che stiamo guardando “il muro di gomma”un film cosi’ma io di certo non sto seguendo il filme lei nemmeno.Sara’ stato credo il 2002 suppergiu’anno in cui ero ospite di questa comunita’per senzatetto e disadattati varilei credo fosse fuoriuscita da un convento di clausuradopo due anni di noviziatomentre io seguitavo la ricerca di mio padrein ogni figura d’educatore possibile.E c’era quel brividodel tutto immaginariodi toccarsi al buioquel coraggio di immaginare un futuro altropoi per sempre disatteso.Quasi dieci anni.E siedo ancora sullo stesso divano.

(noviziato)

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