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SCUOLA SUPERIORE PER MEDIATORI LINGUISTICI TESI DI DIPLOMA DI MEDIATORE LINGUISTICO (Curriculum Interprete e Traduttore) La Pallanuoto, il Gruppo ed il Doping RELATORE: CORRELATORI: Prof.ssa Adriana Bisirri Prof. Alfredo Rocca Prof.ssa Hannelore Schmidt CANDIDATO: Cesare Piccinini Matr. N. 242 ANNO ACCADEMICO 2010/2011

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SCUOLA SUPERIORE PER MEDIATORI LINGUISTICI

TESI DI DIPLOMA

DI

MEDIATORE LINGUISTICO (Curriculum Interprete e Traduttore)

La Pallanuoto, il Gruppo ed il Doping

RELATORE: CORRELATORI:

Prof.ssa Adriana Bisirri Prof. Alfredo Rocca

Prof.ssa Hannelore Schmidt

CANDIDATO: Cesare Piccinini

Matr. N. 242

ANNO ACCADEMICO 2010/2011

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INDICE

INTRODUZIONE 3 CAPITOLO 1 6

La Pallanuoto...tutta d'un fiato ................................................................. 7 Il gioco della pallanuoto ........................................................................... 9 Le origini storiche .................................................................................. 14 L’evoluzione del regolamento di gioco ................................................... 23 I ruoli tattici ........................................................................................... 25

CAPITOLO 2 27

Io e il Gruppo ......................................................................................... 28 Il Gruppo ................................................................................................ 30 Gruppo e decisioni ................................................................................. 33 Raggiungere una decisione ..................................................................... 34

CAPITOLO 3 36

La Leadership......................................................................................... 37

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CAPITOLO 4 47

Doping ................................................................................................... 48 Cenni storici ........................................................................................... 51 Una lotta impari ..................................................................................... 59 Doping – alcune conclusioni .................................................................. 62

CAPITOLO 5 65

Impegno e costanza ................................................................................ 66 Talento vs Impegno ................................................................................ 68 Accettare i propri limiti .......................................................................... 72 Alcune conclusioni personali .................................................................. 79

BIBLIOGRAFIA 177

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INTRODUZIONE

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Sport. Spesso sinonimo di lealtà, confronto, competizione e principi

sani. Mens sana in corpore sano, sostenevano i latini. Una definizione che mi

ha accompagnato dalle scuole elementari, attraverso le prime bracciate in

piscina fino ai primi campionati di pallanuoto. Una definizione che oggi

sembra quasi dimenticata nel suo significato più intimo e lontana dal concetto

stesso di sport, sempre più sinonimo di passatempo, soldi e forma fisica, a tal

punto da assumere, nell'attuale società contemporanea, una forte valenza

sociale, economica e politica.

Un aspetto quest'ultimo, che ben si associa alla definizione di base che

si trova nella libera enciclopedia telematica cui hanno accesso milioni di

utenti in tutto il mondo. Per Wikipedia, infatti, lo “Sport è l'insieme di quelle

attività, fisiche e mentali, compiute al fine di migliorare e mantenere in buona

condizione l'intero apparato psico-fisico umano e di intrattenere chi le pratica

o chi ne è spettatore”.

In questa prima premessa e affermazioni si trovano la gran parte degli

elementi che questa Tesi vuole affrontare. Partendo e basandomi

principalmente sulla mia esperienza personale, caratterizzata da una lunga

attività tuttora in corso come atleta semi professionista di Pallanuoto, il lavoro

di Tesi si propone di:

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a) Analizzare i concetti generali e l'impatto dello Sport sull'individuo e

sul gruppo, studiando come la Pallanuoto praticata a livello agonistico,

influisce positivamente e/o negativamente nelle relazioni emotive tra

l'individuo e il gruppo stesso;

b) Spiegare quanto sia incompleta la definizione secondo cui lo Sport è

“quell'insieme di attività, fisiche e mentali, compiute al fine di

migliorare e mantenere in buona condizione l'intero apparato psico-

fisico umano.” L'attività sportiva, infatti, praticata nel tempo libero, a

livello dilettantistico, agonistico e/o professionistico, può essere più

dannosa che salutare se non controllata adeguatamente e seguita da

un’equipe di gruppo;

c) Capire le motivazioni che spingono atleti a fare uso di sostanze

proibite o comunemente dette dopanti per alterare le proprie

performance atletiche. Alterazioni che riguardano non solo le singole

performance, ma anche la struttura psico-fisica dell'atleta stesso;

d) Descrivere uno scenario futuro sull'evoluzione dello Sport in genere e

della Pallanuoto in particolare.

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CAPITOLO 1

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La Pallanuoto...tutta d'un fiato

Nuota Cesare, nuota Cesare, non ti fermare adesso. Ancora pochi metri

e potrai riprendere fiato, anche se per pochi secondi. Quante volte questa

frase, questa dinamica si è ripetuta insistentemente nella mia testa,

convincendomi a non mollare, a resistere, ad andare avanti anche nei momenti

più duri, quando l'assenza di ossigeno ti chiude la bocca dello stomaco e le

braccia sembrano diventare due blocchi di cemento difficili da controllare. Sì,

perché la Pallanuoto è anche questo, è soprattutto questo. Uno sport di

squadra dove bisogna mettersi in gioco con se stessi, prima che con gli altri.

La palla, il gioco, la tattica, vengono dopo. Dopo ore estenuanti di duro

allenamento in acqua e potenziamento specifico in palestra. E' proprio in

questa fase che il nostro fisico, il nostro carattere si forgia. Un passaggio

necessario che ogni giocatore deve affrontare se vuole diventare parte di un

gruppo. Parte di un qualcosa che va oltre l'individualità e l'individualismo.

Forse anche per questo qualche giornalista ci paragona ai gladiatori dell'era

contemporanea.

Uno sforzo e una fatica necessari. In fondo siamo dei terrestri e come

tali le nostre funzioni organiche e vitali non sono abituate a lavorare in altri

ambienti come quello acquatico. Basta solo entrare in acqua, come si dice in

gergo, che il nostro corpo attiva delle funzioni che neanche potevamo

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immaginare di avere. Le pulsazioni aumentano e solo dopo mesi di

ambientamento il ritmo cardiaco si appropria anche in acqua di un suo

andamento regolare, comunque sempre diverso da quello naturale e terrestre.

Del resto, noi come pallanuotisti, che arriviamo a questo sport solo dopo anni

di pratica e attività agonistica, siamo chiamati ad eseguire e compiere dei

gesti che dal punto di vista atletico richiedono sacrificio e disciplina. Due

caratteristiche che, ahimè, oggi sembrano essersi perdute.

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Il gioco della pallanuoto

Come sappiamo la pallanuoto è uno sport di squadra acquatico diffuso

e giocato ad alti livelli in quasi tutto il Mondo. E' possibile praticarla in bacini

artificiali d'acqua o più semplicemente noti come piscine, di dimensioni che

variano da 33 x 20 m (per le partite maschili) a 25 x 12 m (femminili), con

profondità di almeno 1,80 m. Sulla linea di fondo, da entrambi i lati, vi sono

due porte galleggianti che misurano 0.90 x 3 m (figura 1).

Segnali applicati sul bordo della vasca indicano alcune linee immaginarie:

La linea di porta (bianca);

La linea dei 2 metri, che serve a delimitare il fuorigioco (rossa);

La linea dei 5 metri che delimita l’area in cui un fallo grave può causare

l'assegnazione di un rigore, la distanza stessa da cui tirarlo (gialla) e l’area

al di fuori della quale chi ha subito un fallo può tirare direttamente in

porta;

La linea di metà campo da cui deve partire l’azione all’inizio del gioco,

dopo ogni rete segnata ed alla ripresa del gioco dopo un time-out (a meno

che lo stesso non sia stato richiesto prima di un tiro d’angolo o prima di

un rigore, nel qual caso l’azione riparte appunto con il tiro d’angolo o con

il rigore).

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Figura 1 – Diagramma di un campo da pallanuoto secondo le regole della

FINA (2005)

La pallanuoto è giocata in acqua da due squadre composte ognuna da

sette giocatori, compreso il portiere. Le due formazioni sono

complessivamente composte da 13 giocatori di cui massimo 6 in panchina.

Solo per le categorie giovanili (under 13 e 15) si possono schierare tra acqua e

panchina 15 giocatori. Il pallone (di circonferenza variabile fra i 68 e i 71 cm

e peso stabilito fra i 400 e i 450 g) deve essere mandato dentro la porta

avversaria per realizzare un goal. Vince la squadra che totalizza più reti

durante l’incontro.

I giocatori devono indossare per regolamento delle calottine, munite di

paraorecchi, contro rischio infortuni, che devono essere di colori diversi

rispetto alla squadra ospite. Per la squadra di casa sono bianche o i propri

colori sociali e per le squadre ospiti nere o blu o i propri colori sociali,

ovviamente per chi usa i colori sociali nel rispetto del colore chiaro (casa) e

scuro (ospite) onde evitare somiglianze di calottine. Per entrambe le squadre

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il portiere deve avere una calottina rossa ma esse si differenziano per il colore

chiaro o scuro sul paraorecchie. Ogni calottina è contrassegnata da un numero

da 1 a 13 (1 per il portiere, da 2 a 12 per i giocatori, 13 ad un altro giocatore o

al secondo portiere con calottina rossa). L’incontro dura 4 parziali (tempi) da

8’ effettivi per i campionati di serie A1 e A2 maschile e femminile, B e under

20 maschile. La temperatura dell’acqua deve essere, senza ulteriore

tolleranza, nei valori compresi tra 25° e 30° nelle piscine coperte e tra 26° e

31° in quelle scoperte pena la sconfitta a tavolino della squadra ospitante.

Solamente nei campionati di A1 e A2 maschile e durante i play off e

play out nel campionato di serie A1 femminile vengono designati 2 arbitri

nella stessa partita che rimangono sul bordo vasca coadiuvati da una giuria

che è così composta:

1. da un cronometrista, che deve fermare il tempo ad ogni fischio

dell’arbitro essendo la durata dell’incontro di tempo effettivo

2. da un “trentista”, che controlla il tempo di possesso della palla (ogni

azione può durare al massimo 30” effettivi, poi il possesso palla passa

agli avversari).

3. da un segretario che redige lo score board dell'incontro.

Gli arbitri possono fischiare due tipi di falli: semplici e gravi. Nel

primo caso il gioco, così come il tempo, s’interrompe quel tanto che basta per

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riprendere il gioco con la ripresa del pallone. Nel secondo caso questi falli

comportano l’espulsione temporanea del giocatore che l’ha commesso, che

deve dirigersi verso l’area di rientro, posta sotto la panchina, e stazionarvi per

20” effettivi. Il giocatore espulso o un suo eventuale sostituto potrà rientrare

in campo, senza sollevare la corsia e senza spingersi dal bordo, su

segnalazione del tavolo della giuria allo scadere dei 20”, dopo la realizzazione

di una rete, se la propria squadra abbia riconquistato il possesso della palla

prima dei 20”.

In tutti i campionati il limite di falli gravi è di 3. I giocatori, dopo il

terzo fallo grave, saranno esclusi dalla partita ma potranno rimanere in

panchina continuando ad indossare la calottina, ad eccezione dei giocatori

espulsi definitivamente per “gioco violento o brutalità” che dovranno lasciare

il piano vasca e recarsi negli spogliatoi.

Esiste poi l'espulsione definitiva per “brutalità” o per “gioco violento”

o “mancanza di rispetto e disobbedienza”. Nel primo caso il giocatore viene

allontanato dal bordo vasca e la squadra dell'espulso giocherà con un uomo in

meno per 4’ effettivi oltre a subire un rigore nel momento stesso

dell’espulsione. Negli altri casi, invece, il giocatore dovrà allontanarsi dal

bordo vasca e la sua squadra potrà sostituirlo al termine dei 20” effettivi di

espulsione.

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L’azione di gioco dura 30” dal momento in cui la squadra entra in

possesso del pallone, altrimenti viene fischiata un’infrazione di tempo e la

palla passa agli avversari. Il conteggio dei 30” verrà azzerato (ovvero

ricomincia un’intera azione) nel momento in cui viene effettuato un tiro in

porta, viene assegnata un’espulsione o un rigore o viene assegnato un tiro

d'angolo; tutto ciò indipendentemente da chi rientrerà in possesso del pallone.

Nel caso in cui un tiro in porta finisca oltre la linea di fondo a causa di una

deviazione provocata da un difensore, l’azione riprenderà con il possesso del

pallone a favore di chi difendeva al momento del tiro; nel caso di deviazione

da parte del portiere, invece, l'azione riprenderà con una rimessa dall’angolo

che dovrà essere effettuata dalla linea dei 2 metri dalla squadra in possesso

della palla al momento del tiro. Tuttavia, nel caso in cui il difensore dovesse

indirizzare volontariamente il pallone sul fondo, si riprenderà il gioco con un

tiro d’angolo in favore della squadra in attacco.

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Le origini storiche

Queste le principali regole vigenti in Italia oggi. Ma quando e dove

nasce la pallanuoto?

Il predecessore della moderna pallanuoto era un gioco che apparve per

la prima volta in Gran Bretagna nel 1869, dovuto forse al volere di atleti, che

volevano introdurre una maggior varietà nelle monotone competizioni

natatorie. Il gioco appena nato, tuttavia, conteneva poche analogie con la

moderna pallanuoto, ma guadagnò presto il favore di una grande massa di

spettatori. "Calcio in acqua" ("football in the water") fu il primo nome che gli

venne dato. Un anno dopo la London Swimming Association riunì i propri

professionisti per decidere le regole del nuovo sport.

I tecnici del club "Bournemouth", società che eccelleva in tale sport,

nel 1876 stabilirono le dimensioni ufficiali del campo (50 yards), il numero di

giocatori per squadra (7) e il numero di arbitri (un arbitro ufficiale e due

guardalinee). Non c'erano goal al tempo, infatti, lo scopo del gioco era di

mettere il pallone in un galleggiante difeso dalla squadra avversaria. Le prime

regole ufficiali vennero stabilite qualche mese dopo da William Wilson a

Glasgow, dove venne giocata la prima partita ufficiale nel fiume Dee. Fin dai

primi tempi la pallanuoto ebbe un numero sempre crescente di sostenitori e

venne introdotta nei programmi di molte manifestazioni e competizioni

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natatorie. Vennero stabilite le dimensioni della porta, fu vietato ai giocatori di

prendere e tirare la palla con entrambe le mani e venne stabilito che il

punteggio sarebbe stato modificato solo quando la palla fosse entrata

completamente in porta.

Le squadre di pallanuoto inglesi e scozzesi iniziarono a giocare tale

sport tra di loro e vennero così creati il campionato irlandese, inglese e

scozzese. Le competizioni iniziarono ad essere svolte in pieno rispetto delle

regole uniformi appena create, tra le quali il divieto di fare goal da più di metà

campo e di mettere la palla sott'acqua. Le regole del 1883 determinarono la

durata delle partite. A partire dai primi anni del 1900, la pallanuoto iniziò a

riscuotere successi anche nel continente americano. Veniva giocata nelle

piscine, ma non esistevano i goal, i giocatori segnavano toccando con la palla

un tabellone posto dalla parte opposta della vasca.

In Europa la pallanuoto apparve in Germania nel 1894,

successivamente in Austria, Belgio, Francia e Ungheria. A partire dal 1900,

con le Olimpiadi di Parigi, la pallanuoto venne inserita ufficialmente

nell'elenco delle discipline olimpiche. La prima vincitrice del titolo olimpico

fu la Gran Bretagna (Osborne Club di Manchester). Il primo Campionato

Europeo venne svolto nel 1926 a Budapest e la vincitrice fu proprio

l'Ungheria.

Con le Olimpiadi del 1912 venne inserita per la prima volta la palla

vera e propria: era fatta di pelle ed era molto pesante e ruvida per il contatto

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con l'acqua. Nel 1936 dopo le Olimpiadi i palloni vennero costruiti con una

fibra di cotone, successivamente in nylon, coperto con una gomma fabbricata

appositamente e di eccellente grip. La palla originale era rossa, ma in seguito

venne cambiato il colore in giallo per una maggiore visibilità. Questa palla

divenne ufficiale nel 1956. Ancora oggi, tuttavia, è permesso l'uso di palloni

rossi e verdi per le competizioni.

La pallanuoto muove i primi passi italiani al Bagno di Diana di Milano

per merito della società Nettuno che, nel 1899, diffonde la nuova disciplina

presentata come "un football dell'acqua più faticoso e difficile, che richiede

energia e resistenza fuor dell'ordinario". Da Roma, però, quasi ad animare una

diatriba sulle radici della specialità fanno passare per esperimento quanto

successo nella piscina milanese mentre si accredita la primogenitura romana

secondo quello che scrive "Il Messaggero" il 23 giugno del 1900 "Per

graziosa concessione avuta dal municipio del laghetto di Villa Borghese, si è

riuscito ad introdurre a Roma il gioco della palla a nuoto (waterpolo)". I primi

due tornei indetti dalla Federazione Italiana Rari Nantes alle Acque Albule di

Tivoli nel 1901 e nel 1902 furono vinti dalla R.N. Roma per mancanza di

avversari. Viene approvato il regolamento: la porta, formata da due pali ed

una cordicella, si chiama "arco", il portiere è il "custode", il campo misura fra

20 e 30 metri, le squadre sono composte da sette giocatori. Le regole

internazionali, esattamente undici, erano state elaborate già nel 1870 dalla

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London Swimming Association e la partita di water football durava 20 minuti

mentre nel 1900 si parla di due tempi di 7 minuti e durante i falli, i giocatori

devono rimanere fermi.

Tornando in Italia, finalmente al terzo tentativo - il 20 settembre 1903 -

il torneo di pallanuoto vede confrontarsi due squadre: Rari Nantes Roma e

Romana Nuoto con la vittoria 3-0 dei primi. Sarà poi la Podistica Lazio nel

1906 ad affermarsi ed interrompere così il monopolio romanista. Ma il vero

primo campionato italiano si disputa a Napoli nel 1912 con la vittoria 4-1 del

Genoa sulla Partenope. Nel 1913 lo scudetto si assegna a Castelgandolfo tra

quattro squadre iscritte, poi divenute tre per la rinuncia della R.N.Ostia. Nella

classifica finale, il Genoa primeggiò con 3 punti, seguita dalla Partenope con

2, ed infine, dalla Lazio con 1. Successivamente, nel 1914, prima

dell'interruzione per il conflitto bellico, terzo successo del Genoa (11 reti e

nessuna subita) su altre due liguri, Partenope e R.N.Milano.

Comincia a delinearsi come motivo dominante del campionato la

rivalità ligure - napoletana con l'affermazione nel 1921 e 1922 dell'Andrea

Doria sulla Partenope e un sostanziale dominio ligure negli Anni Venti:

bisognerà attendere il 1939 per vedere il primo scudetto partenopeo con il

successo della Rari Nantes Napoli ( fino al 1950 ne accumulerà altri quattro),

accredita dell'appellativo di Settebello creato dal suo capitano Mimì Grimaldi.

Il 28 luglio 1923, dopo l'esperienza delle Olimpiadi di Anversa del 1920 (con

l'esordio della pallanuoto ai Giochi Olimpici nel 1920 ad Anversa con i nostri

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che accusano problemi per l'acqua gelata e perdono 2-1 al supplementare con

la Spagna e 5-1 con la Grecia), nasce la nazionale italiana che formata da 13

giocatori liguri, 2 napoletani e 2 milanesi perde 6-1 a Pavia con l'Ungheria.

Quattro anni dopo, prima esperienza agli europei di Bologna cui faranno

seguito le partecipazioni nel 1934 a Magdeburgo e nel 1938 a Londra.

L'attività italiana degli anni Trenta vede una lunga striscia di successi della

Rari Nantes Florentia.

Nel 1932 i falli vengono definiti come falli ordinari, falli gravi e rigori.

La Gazzetta dello Sport del 1. settembre 1933 fotografa crudamente il livello

del gioco della nazionale italiana dicendo in occasione della sconfitta 12-1

con l'Ungheria: "Abbiamo avuto agio di assistere allo spettacolo offerto da

una squadra che veramente pratica la pallanuoto e non la solita lotta in acqua

come è in uso presso di noi".

Dopo la Seconda Guerra Mondiale nel 1946 riprende l'attività

nazionale con il campionato che si disputa in mare a Rapallo tra sei squadre e

il successo, dopo una decina d'anni, del Camogli. In campo internazionale nel

1947 prologo d'oro alla grande impresa olimpica di Londra con il successo

agli europei di Montecarlo. La vittoria alle Olimpiadi del 1948 (squadra:

Buonocore, Bulgarelli, Rubini, Ognio, G.Pandolfini, Ghira, Arena, Majoni,

T.Pandolfini, Toribolo, Fabiano. All.Valle), conquistata soprattutto con il 4-3

sull'Ungheria nelle eliminatorie con il gol decisivo "il più bello che mai ci sia

stato dato di vedere" di Gildo Arena, e la bella atmosfera che si respirava

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attorno ad una delle squadre italiane più forti di sempre in ogni disciplina

sportiva viene così descritta dal capitano Mario Majoni quando incontra il

presidente del CONI Giulio Onesti: "Gli dissi che avremmo vinto la medaglia

d'oro”. Bene - disse lui - avrete un premio di un milione a testa: Alt, fermi

tutti. Un momento, presidente, vado a chiamare gli altri bravacci. Lo dica

davanti a loro. Un po' più reticente Onesti alla fine comunicò la notizia a tutti,

ancora sospettosi perché l'anno prima, campioni europei, avevamo avuto un

orologio di latta, con incisa la scritta "Il CONI al campione". Non avevamo

torto a non fidarci: “Tornati a Roma, ricevemmo un premio di 160 mila lire,

dopo di che ci fu un educato "scambio verbale" con Onesti, il quale dovette

risalire in fretta e furia sull'auto e ripartire prima che noi gliela

cappottassimo!".

Nel 1950 cambio importante nella fisionomia del gioco: viene

consentito ai giocatori di muoversi dopo il fischio dell'arbitro e viene abolito

il tiro diretto dai 4 metri dopo un fallo grave. La durata della partita diventa di

2 periodi di 10 minuti per passare nel 1961 a 4 periodi di 5 minuti e nel 1981

agli attuali 4 tempi di 8 minuti. La grande impresa londinese ha fatto, senza

dubbio, da volano alla splendida stagione della pallanuoto italiana che in 55

anni (dall'oro delle Olimpiadi di Londra 1948 all'argento degli Europei di

Zagabria del 2010) è salita venti volte sul podio di Giochi Olimpici,

campionati del Mondo e campionati d'Europa.

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Le squadre nazionali maschili più rappresentative, che hanno segnato

la storia di questo sport, sono l'Ungheria, l’ex Jugoslavia, l’Italia, l' ex Unione

Sovietica, la Spagna e gli Stati Uniti d’America. Nel recente passato e

attualmente le nazioni dell’ex Jugoslavia, come Croazia (campione del mondo

nel 2007), Montenegro (campione d’Europa nel 2008), Serbia&Montenegro

(campione d’Europa nel 2001 e 2006) e Serbia (campione del mondo nel

2009), sono le nuove realtà della pallanuoto europea e mondiale. L’Ungheria

vanta i titoli delle ultime tre edizioni dei Giochi Olimpici (Sidney 2000, Atene

2004 e Pechino 2008).

La Nazionale azzurra di pallanuoto maschile ha vinto ben tre ori

olimpici: a Londra (1948), a Roma 81960) e a Barcellona (1992),

quest’ultimo sotto la guida del coach Ratko Rudic, ed è stato tre volte

campione del mondo (Berlino Ovest 1978, Roma 1994 e Shanghai 2011).

Il primo campionato italiano, datato 1912, fu vinto dal “sette” S.G.

Andrea Doria di Genova, che inaugurò una lunga serie di successi nazionali.

In Italia sono riconosciute due grandi scuole: quella napoletana, rappresentata

prima dalla Canottieri Napoli e dalla Rari Nantes Napoli, e più recentemente

dal Circolo Nautico Posillipo, e quella ligure che trova lustro negli scudetti

della R.N. Camogli, del R.N. Bogliasco, della R.N. Savona e soprattutto della

Pro Recco, la squadra più titolata, che ha conquistato ben 24 scudetti. Grande

importanza hanno avuto anche le squadre della Roma e del Pescara; in

quest'ultima squadra, sul finire degli anni '90, sette giocatori su sette

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giocavano nella rispettiva nazionale: cinque in quella italiana, uno in quella

serba e uno in quella spagnola (il famoso Manuel Estiarte).

In ambito internazionale, la Coppa dei Campioni per club, adesso

Eurolega, è stata vinta per la prima volta nel 1964 dal Partizan Belgrado, che

ha nella sua bacheca 7 trofei, così come la Pro Recco, ma la squadra più

titolata è l’ HAVK Mladost con 7 titoli.

La pallanuoto femminile trova le proprie origini nel lontano 1906 ad

Harlem, in Olanda, ma è stata ampiamente sviluppata solo nel corso degli

anni ’60. Tra i paesi promotori del movimento pallanuotistico femminile è

possibile distinguere diversi paesi europei (soprattutto Italia, Ungheria, Russia

e Olanda), Stati Uniti d’America ed Australia. Il “Setterosa”, nonostante il

primo campionato del mondo fu svolto nel 1986 vinto dall’Australia, ha vinto

numerosissimi titoli internazionali. Ricordiamo l’oro Olimpico ai Giochi di

Atene nel 2004 in finale proprio contro la Grecia padrone di casa davanti a

15000 spettatori. I due titoli mondiali a Perth nel 1998 ed a Fukuoka nel 2001,

e cinque titoli europei nel 1995, 1997, 1999, 2003 (tutti sotto la guida del

tecnico romano Pierluigi Formiconi, C.T. della nazionale dal 1994 al 2004) e

2012.

La pallanuoto femminile ha avuto il suo primo campionato riconosciuto dalla

FIN nel 1985: le finali si svolsero a Narni, in Umbria, e il primo scudetto fu

vinto dal Volturno (secondo classificato il Fuorigrotta di Napoli e terzo la

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Nuotatori Rivarolesi di Genova). Tra le file del Volturno giocava già Carmela

Allucci, per diversi anni capitano del Setterosa.

In ambito nazionale ed internazionale, la squadra più titolata della

storia della pallanuoto femminile è l’Orizzonte Catania, vincitrice di 17

Scudetti (di cui 15 consecutivi dal 1992 al 2006) e 8 Coppe dei Campioni. Il

Volturno segue con 7 titoli nazionali ,anch’essi consecutivi dal 1985 al 1991,

ed un solo titolo per la Fiorentina nel 2007. La Coppa dei Campioni è stata

vinta per la prima volta nel 1988 dal Donk Gouda. Dietro l’Orizzonte, come

già detto vincitrice di 8 titoli, segue proprio il Donk Gouda ed il Nereus

Zaandam entrambe squadre olandesi con 3 titoli ciascuno.

Nel 1985 comincia il campionato femminile che vedrà lo strapotere

prima del Volturno e poi dell'Orizzonte Catania che vi aggiungerà svariate

edizioni della Coppa dei Campioni. L'epopea del Setterosa, che sembra

inarrestabile, vede in 15 anni (dal bronzo degli Europei di Atene 1991

all'argento degli Europei di Belgrado 2006) le azzurre salire ben dodici volte

il podio di una grande competizione internazionale.

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L’evoluzione del regolamento di gioco

La pallanuoto è rappresentata a livello mondiale dalla F.I.N.A.

(Fédération Internationale de Natation Amateur) mentre, nel nostro paese, è la

F.I.N. (Federazione Italiana Nuoto) a regolamentare l’intero movimento

pallanuotistico. Nel 2005, a seguito dei Giochi Olimpici di Atene, il

regolamento tecnico previsto per i campionati italiani è stato proposto

secondo le stesse modalità internazionali.

Le nuove regole sono: il possesso palla ridotto a 30” anziché 35”; il

tiro d’angolo viene assegnato solamente se c’è la deviazione del portiere o

una deviazione volontaria del giocatore; il tiro di rigore viene eseguito da 5

metri e non da 4 metri; il tiro libero, successivamente ad un fallo semplice

viene anch’esso eseguito da 5 metri e non da 7 metri. Le suddette normative

sono state cambiate dalla F.I.N.A. con l’intenzione di favorire la velocità e la

spettacolarità del gioco.

La pianificazione degli allenamenti è stata condizionata dai

cambiamenti del regolamento, in quanto i tecnici inseguono capacità tattiche

ed espressioni fisiche di velocità e rapidità sempre più elevate. Durante gli

incontri, soprattutto nell’alto livello, si assiste a continui cambiamenti tattici

difensivi durante l’azione stessa. Si possono vedere diversi tipi di marcature

dal “pressing” alla “zona”, ad esempio, quest’ultima eseguita con diverse

modalità allo scopo di evitare il possibile passaggio al centro-boa, fulcro del

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gioco. Le superiorità numeriche prevedono principalmente due schieramenti

tattici: 4-2 e 3-3 (Hughes et al., 2006). Anche in questa situazione possiamo

notare numerose soluzioni di costruzione del gioco e di relativa conclusione,

caratterizzate da spostamenti strategici dei giocatori e della palla.

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I ruoli tattici

Tra i 7 giocatori in campo è possibile evidenziare i seguenti ruoli

tattici:

Portiere;

Centro-boa, giocatore offensivo posizionato solitamente al centro

dell’area di rigore, a circa 2 metri dalla porta avversaria;

Difensore centrale o marcatore (giocatore posizionato, durante le fasi

difensive, in marcatura diretta sul centroboa, ed in quelle offensive

centralmente e maggiormente distanziato dalla porta avversaria rispetto

ai propri compagni);

Esterno (che gioca a 4-5 metri, leggermente al di fuori rispetto i pali

della porta);

ala (molto esterno che gioca a 2 metri).

I ruoli vengono definiti con un numero indicante una posizione

specifica

“posizione 1”, ala destra;

“posizione 2”, esterno destro;

“posizione 3”, difensore centrale o marcatore;

“posizione 4”, esterno sinistro;

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“posizione 5”, ala sinistra;

“posizione 6”, centro-boa.

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CAPITOLO 2

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Io e il Gruppo

Lo sport in genere implica gruppi e dinamiche di gruppo. In realtà la

maggior parte degli sport sono sport di squadra, cioè riguardano prestazioni

competitive in cui un gruppo di atleti si confronta con un altro gruppo di

atleti. Anche negli sport individuali, come ad esempio il nuoto, il singolo

atleta gareggia spesso in nome di una squadra per la quale cerca la vittoria o il

riconoscimento.

Le competizioni avvengono inoltre, nella maggior parte delle

occasioni, di fronte ad un pubblico di tifosi o sostenitori che, con il loro

comportamento possono influenzare in modo significativo lo sforzo e le

prestazioni degli atleti. Lo sport dunque coinvolge i gruppi e le dinamiche di

gruppo a molti livelli e in tanti modi differenti. Proprio al centro di questo

argomento si colloca il fenomeno dell'influenza sociale. In pratica il

comportamento del singolo può essere influenzato da altre persone. In ambito

sportivo l'influenza sociale può essere vista nel modo in cui i compagni di

squadra interagiscono e diventano una squadra unita.

In termini generali, nel processo di formazione di un gruppo hanno una

forte incidenza il conformismo, la leadership e le relazioni interpersonali tra i

componenti. In questo contesto e in un gruppo in via di formazione o

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comunque già formato possono influire sull'individuo e quindi in via

secondaria anche sul gruppo, altri individui, siano essi spettatori o

semplicemente membri di un altro gruppo, tralasciando in questa sede quello

che può essere considerato un terzo argomento: la relazione tra i gruppi.

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Il Gruppo

Nella sua forma più semplice un gruppo può essere definito come un

insieme di persone che stanno nello stesso posto nello stesso momento.1

Secondo questa ampia definizione non è necessario che le persone

interagiscano tra di loro per essere considerate un gruppo, ma è sufficiente

che stiano insieme. In generali queste tipologie di gruppo vengono definite

non sociali, ricordando però, che anche in gruppi non sociali, la semplice

presenza di altre persone può influenzare l'individuo.

In questa sede, però, si parla di Sport, di Pallanuoto. Pertanto quando

pensiamo ad un Gruppo si intende qualcosa in più della semplice presenza

simultanea in un luogo. Io, i miei compagni di squadra, l'allenatore, il

preparatore atletico e tutte le persone che si occupano di dirigere e

amministrare la società abbiamo un intento comune.

“Non è necessario che siate amici o che usciate insieme la sera, voglio che

buttiate dentro quella palla”.2

1 Cei, A. Psicologia dello sport, Il Mulino, 1998

2 Cit. Pierluigi Formiconi, ex allenatore del Setterosa e allenatore che ho avuto durante il mio periodo alla S.S. Lazio Nuoto.

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Una frase che uno dei miei allenatori usava ripetere durante le riunioni

preparatorie delle partite. Il significato è semplice e diretto. Un messaggio

che, secondo me, afferma il vero, sebbene qualche teorico o psicologo possa

affermare o dimostrare il contrario. La mia squadra è un gruppo sociale, cioè

un gruppo di più persone che interagiscono tra di loro e sono allo stesso

tempo interdipendenti, nel senso che i loro bisogni e i loro scopi fanno sì che

siano dipendenti l'uno dall'altro.3

Ogni membro della squadra, infatti, interagisce con gli altri compagni

durante l'allenamento, durante una partita e in alcuni casi al di fuori

dell'evento sportivo. E' in questo senso che io e i mie compagni di squadra

siamo interdipendenti, per il fatto che ogni membro, molto probabilmente,

può essere influenzato dal comportamento degli altri. Del resto scopi e intenti,

come affermava il mio allenatore, sono comuni: la vittoria della partita, del

torneo o del campionato. In questo senso diventano fondamentali per la vita

del gruppo stesso le norme sociali, che saranno distinte in base al gruppo di

appartenenza. Le norme sociali del gruppo famiglia o di una congregazione

religiosa sono, infatti, molto diverse da quelle che contraddistinguono un

gruppo sportivo e più specificatamente una squadra. Norme sociali che vanno

rispettate dai singoli con un comportamento etico e quanto più possibile

coerente con gli obiettivi iniziali. All'interno della squadra e in genere di ogni

3 Cartwright e Zander, 1968; Levin e Moreland, 1998; Lewin 1948

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gruppo sociale, si sviluppano inoltre dei ruoli ben definiti nonché aspettative

condivise all'interno di un gruppo su come si dovrebbero comportare alcune

persone particolari. Mentre le norme specificano come dovrebbero

comportarsi tutti i membri del gruppo, i ruoli specificano come si dovrebbero

comportare le persone che occupano certe posizioni all'interno del gruppo. Da

me che sono un giocatore e dal mio allenatore ci sia aspetta un

comportamento differente in base ai rispettivi ruoli che ricopriamo. Pur

ricoprendo gli stessi ruoli, inoltre, come quello da atleta, le aspettative

possono essere diverse e dettate da fattori come l'età o l'esperienza di gioco

maturata negli anni. Pertanto i ruoli e i comportamenti di un atleta minorenne

o comunque giovane saranno diversi da quelli di un atleta più maturo pur

giocando nella stessa squadra, in cui finalità e obiettivi sono praticamente

uguali.

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Gruppo e decisioni

Il funzionamento di un gruppo può essere valutato dal modo in cui i

suoi membri risolvono i conflitti o le singole dispute. Più genericamente può

essere analizzato studiando il modo i cui si prendono le decisioni. Chi decide

chi deve battere un tiro di rigore? E' sempre l'allenatore che decide

l'esclusione di un uno o più elementi della squadra? Come si decide il

settebello titolare prima di una partita delicata? Quali i fattori che

determinano queste scelte?

In generale il prendere decisioni può essere definito come il tentativo

di combinare e di integrare le informazioni disponibili per scegliere uno di

differenti modi di agire. Il senso comune suggerisce che i gruppi siano

avvantaggiati rispetto ai singoli nei processi decisionali: un singolo individuo

può non conoscere alcune informazioni e giungere così a decisioni più

ponderate. E' questo il motivo per cui governi, multinazionali, unità militari e

squadre sportive tendono ad affidare le decisioni ad un gruppo invece che a

un singolo, ritenendo che il gruppo possa riunire le diverse abilità dei suoi

membri ed evitare soluzioni drammatiche sbagliate. Naturalmente questo

vantaggio del gruppo non è garantito in tutti i casi e la domanda principale

resta la seguente. Che cosa fa sì che a volte i gruppi prendano decisioni

cattive o disastrose?

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Raggiungere una decisione

Le decisioni del gruppo devono riflettere e rispettare al massimo le

idee dei suoi membri. Quindi, i membri del gruppo devono prima informarsi

delle idee e delle opinioni degli altri riguardo all'argomento su cui devono

decidere. Poi, per prendere decisioni che riflettano le preferenze e le idee dei

membri interni, si applicano le regole delle decisioni sociali (Gigone e Hastie,

1993, 1997; Larson, Foster-Fishman e Franz, 1998; Stasser, Taylor e Hanna,

1989). Una regola ben nota è “la maggioranza vince”, cioè si opta per

qualsiasi posizione o decisione inizialmente sostenuta dalla maggioranza.

Questo può quindi valere come regola generale, ma cosa accade quando a

decidere deve essere lo spogliatoio?

Tolto il fatto che le convocazioni sono decise sulla base della settimana di

lavoro e fatte esclusivamente dall'allenatore, in alcuni casi, le persone più

mature, come il capitano o coloro che godono di una sfiducia totale da parte

dell'allenatore stesso possono essere sentiti o ascoltati, in via informale,

proprio durante la settimana di lavoro. Consigli e suggerimenti che i giocatori

stessi offrono liberamente al proprio allenatore. A volte sono i giocatori stessi

a lanciare delle provocazioni per valutare la reazione o meno dell'allenatore.

La cui risposta varietà in base all'esperienza e alla capacità di mostrarsi leader

all'interno della squadra, ovvero del gruppo. Ma cosa accade quando bisogna

decidere all'interno dello spogliatoio per valutazioni che non richiedono

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obbligatoriamente l'intervento dell'allenatore? In questo caso potrebbero

valere le considerazioni di cui sopra: la maggioranza. Ma è sempre vero che

decide la maggioranza? No. Questo perché, molte volte all'interno di un

gruppo di 13/15 persone a decidere si può essere in due o tre. Sono gli

'anziani' ad obbligare i più giovani a seguire determinate regole di

adattamento e comportamento che possono influenzare non solo l'andamento

di una singola stagione, ma la crescita comportamentale e caratteriale del

singolo individuo, che in taluni casi, dimostrerà piena riconoscenza o

addirittura odio per le imposizioni volute da un singolo o da un ristretto

gruppetto di giocatori. E' in questo caso, ovvero quando chi deve subire la

decisione imposta decide di non obbedire, che si creano delle frizioni e delle

vere e proprie rotture all’interno dello spogliatoio che possono creare fratture

difficili da sanare e che possono compromettere l'intero lavoro quotidiano che

dovrà valutarsi durante le prestazioni di gara.

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CAPITOLO 3

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La Leadership

“Il talento individuale fa vincere la partita, la squadra fa vincere il

campionato”.4 Questa frase detta da uno dei giocatori di pallacanestro più

forti della storia (Michael Jordan ) e uno degli atleti più amati e premiati dello

Sport moderno, sintetizza al meglio diversi aspetti dello studio di questa tesi.

Una frase che molto si avvicina al concetto che un noto allenatore come

Pierluigi Formiconi soleva sottolineare durante l'arco della stagione. Ovvero,

che nel momento in cui il buon giocatore viene a mancare, è la squadra ad

uscire fuori. “Non è il singolo che fa la squadra, ma la squadra che forgia il

singolo”.5 Questo significa che avere dei talenti o campioni in squadra è sì un

valore aggiunto innegabile, ma non ci si può affidare al suo/loro talento per

puntare ad un risultato più incisivo che vada oltre la singola vittoria. Per

questo è importante il ruolo dell'allenatore, il gioco che riesce a dettare e

l'interpretazione che i singoli e il gruppo sono in grado di attuare. Quindi la

domanda è: “Che cosa fa sì che un gruppo funzioni bene?”. Il conformismo

(ovvero il cambiamento nel comportamento dovuto all'influenza, reale o

immaginaria degli altri – Kiesler e Kiesler 1969) tra i membri del gruppo può

spiegare il processo di consolidamento del gruppo stesso, ma non spiega il

fatto che un gruppo mantenga solidamente nel tempo il proprio benessere.

4 Cit. Michael Jordan 5 Cit. Pierluigi Formiconi

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Per questo motivo si può sintetizzare che il funzionamento di un

gruppo dipende da:

Dalla capacità del leader;

Dalla capacità del gruppo di risolvere i conflitti che incontra (ad

esempio le discussioni tra compagni di squadra sulle ragioni di una

sconfitta o le discussioni tra gli atleti e le parti manageriale e

amministrativa della società, dei conflitti tra squadra e allenatore, etc.)

Dalla capacità dei componenti del gruppo di riprendere decisioni

vantaggiose per il gruppo nel suo complesso.

Anche se chiaramente distinti l'uno dall'altro, questi processi sono parte

di un insieme dinamico che si sviluppa e si modifica nel tempo e che

contribuisce al funzionamento del gruppo.

Facciamo un esempio: Secondo manuale un allenatore volutamente

tenta di insegnare ai suoi giocatori come risolvere i conflitti o prendere buone

decisioni in campo.

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“In acqua ci siete voi, non certo io. Io vi posso insegnare tutti gli schemi che

volete, ma la situazione la dovete affrontare voi e a decidere tempi e modi

per finalizzare l'azione di gioco” 6

In questo modo, il leader influenza in maniera significativa la

soluzione dei conflitti e i processi decisionali del gruppo. Questo

naturalmente è valido e sacrosanto se l'allenatore è riuscito a conquistarsi la

fiducia dei singoli giocatori e della squadra. In caso contrario, qualsiasi

tentativo da parte dell'allenatore potrebbe rivelarsi, è proprio il caso di dirlo,

un vero e proprio buco nell'acqua.

Supponiamo quindi che l'allenatore abbia la fiducia del gruppo e che si

renda conto che dei conflitti presenti all'interno del gruppo o della sua scarsa

capacità di riprendere decisioni. Ciò lo porta immediatamente a cambiare

strategie, il modo di dirigere e anche gli obiettivi del gruppo. In questo caso il

leader è influenzato dalle particolari esperienze fatte nel gruppo, piuttosto che

il contrario.

La leadership è un concetto e forse il ruolo più importante che una

persona possa assumere nel gruppo, perché può fornire una guida ai membri

del gruppo su un gran numero di problemi, che vanno da come affrontare le

relazioni interpersonali all'interno del gruppo a come instillare certe idee

6 Cit. Pierluigi Formiconi

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particolari tra i membri del gruppo, a come scegliere i comportamenti

necessari per raggiungere obiettivi e scopi comuni. Se rispettati tutti questi

passaggi, il leader può essere parte integrante del processo di formazione del

gruppo.

Funga da esempio in questo senso l'azione e il ruolo che può svolgere

una persona dotata di una sensibilità attenta, con un background culturale di

buon livello rispetto agli atleti più giovani che sono parte integrante e

fondamentale del gruppo. Ovvero, la base di oggi che costituirà il nucleo di

domani. Come spesso accade nello Sport, sia in squadre professioniste e in

parte anche non professioniste, la leadership viene assegnata a qualcuno per

motivi che spesso son indipendenti dai processi interni al gruppo stesso. Ad

esempio gli allenatori sono scelti da un club o da un'organizzazione sulla base

di criteri finanziari e attraverso negoziati lunghi e, spesso, segreti tra le parti

interessate.

Ora da un punto di vista teorico, indipendentemente dal modo in cui il

leader viene scelto, psicologi, storici, e studiosi di politica si sono chiesti

spesso quali siano le caratteristiche di una buona leadership.7 A meno che uno

non abbia certe qualità che lo rendano una persona in gamba, non può essere

un leader o comportarsi come se lo fosse. Un'affermazione che può sembrare

ovvia e che è alla base di una teoria esaminata e studiata attentamente e

7 Bass, 1997; Burns 1978; Chemers e Ayman, 1993; Hardy e Crace, 1997; Hollander, 1985

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ripetutamente nel corso degli anni. Un buon leader, secondo ad esempio gli

psicologi sociali, è la persona giusta al momento giusto e nel posto giusto.

Un buon leader deve avere quindi delle specifiche qualità interpersonali ma

queste qualità significherebbero poco o nulla se il leader in realtà non sapesse

come affrontare il gruppo nel suo complesso o le situazioni specifiche che il

gruppo incontra quotidianamente.8

Per queste è necessario parlare di contingenza della leadership, teoria

che sottolinea sia l'importanza delle caratteristiche personali del leader sia le

caratteristiche delle situazioni che coinvolgono il leader e i membri del

gruppo. La teoria fa innanzi tutto una distinzione tra leader orientati al

compito e leader orientati alle relazioni. Secondo questa teoria il primo tipo

di leader è interessato soprattutto al lavoro che viene fatto, mentre i leader

orientati alle relazioni sono interessati principalmente a curare le relazioni tra

i membri del gruppo (quindi al fatto che si mantengano buone relazioni

interpersonali). Non è che uno di questi due tipi di leader sia sempre più

efficace dell'altro, ma sarà più adatto l'uno o l'altro a seconda della situazione,

più specificatamente a seconda della quantità di controllo e influenza che il

leader ha sul gruppo. Nello sport e nello specifico nella pallanuoto, queste

nozioni di massima si possono applicare non solo all'allenatore ma anche alla

leadership che un singolo atleta può avere all'interno della squadra.

8 Hollander, 1958; House, 1971; Vroom e Yetton, 1973

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Dal punto di vista pratico e secondo la mia personale esperienza di

atleta vorrei esporre alcuni esempi con il tentativo di dare chiarezza ad un

quadro che non resti esclusivamente e puramente teorico. Se si è appena

arrivati in una nuova squadra, l'atteggiamento del singolo può essere in linea

generale, di apertura o chiusura. Spetterà all'allenatore e ai veterani della

squadra garantire e sostenere un buon inserimento dei nuovi arrivati con un

gruppo che magari lavora in modo puntuale da anni. In questo senso, la

bravura e l'intelligenza del nuovo arrivato è quella di adeguarsi ai nuovi ritmi

e sistemi di lavoro, mentre quella dei 'vecchi' è capire nel miglior modo

possibile le caratteristiche tecniche e psico-fisiche del nuovo compagno di

squadra. Una situazione che può diventare più difficile se il nuovo arrivato

non parla la lingua o proviene da una cultura diversa dalla nostra. La barriera

linguistica, infatti, può essere un ostacolo duro da superare anche per l'intera

stagione e per questo essere la causa di emarginazione del singolo o di due tre

e elementi dal resto della squadra e del gruppo, con il rischio che si creino

diversi gruppetti all'interno di quello che invece deve essere un gruppo

omogeneo e coeso, che si deve muovere con un unico obiettivo, solitamente

stabilito ad inizio stagione e che può cambiare durante il suo corso.

Nel senso comune vige la regola che il giocatore più forte sia anche il

leader. Prima è stato citato Micheal Jordan, grandissimo atleta con capacità

straordinarie e fuori dal comune. Le qualità di Jordan non si fermano solo

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all'aspetto tecnico e atletico. Per anni, a detta di esperti e professionisti del

settore, il campione NBA è stato capace di trasmettere ai propri compagni di

squadra la capacità di essere molto concentrati durante una partita di basket.

Da aggiungere c'è che durante gli anni '90 del secolo scorso, i Chicago Bulls,

squadra da lui rappresentata, hanno vinto sei campionati NBA con Phil

Jackson allenatore, apprezzato per aver creato sempre squadre molto

armoniose e affiatate nonostante tutti i numerosi cambiamenti di giocatori

avvenuti all'interno della squadra.

In questo caso particolare possiamo parlare di due leader, ’fuori' e

'dentro' il campo. Questo di solito avviene quando l'allenatore è in grado di

percepire e capire di poter fare affidamento su un giocatore dalle qualità

eccezionali. Ma non è sempre detto che un ottimo atleta sia anche un ottimo

uomo e leader. Con questo vorrei sottolineare il fatto che le qualità umane e

caratteriali, in molti casi possono essere più importanti di quelle tecnico

tattiche. Un giocatore che vuole distinguersi e vuole essere quello che in

gergo si chiama 'prima donna' potrebbe rischiare di rimanere isolato dal

gruppo o volutamente auto-isolarsi, perché si ritiene superiore, mettendo al

servizio della squadra solo le sue capacità tecnico tattiche. Sfruttando quindi

la squadra per suoi fini personali, che possono essere mettersi in mostra agli

occhi di altri club, o della nazionale, o poter chiedere più soldi per l'anno

venturo. Sono tanti e tali le dinamiche individuali che devono muoversi e

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combaciare per il raggiungimento della vittoria del gruppo che molte volte, il

confronto tra giocatori, tra giocatori e allenatore, tra squadra e manager

diventa necessario e ancora più importante dell'intero aspetto tecnico.

“Se voi non credete in quello che vi dico è inutile andare avanti, dovete

esserne convinti al 100 per cento. Se non lo siete fate domande e sono certo

che vi convincerete”. 9

Conosciuto per spiccata personalità e grande conoscenza tecnico-tattica

pallanuotistica, Formiconi, l'uomo che ha reso nota in Italia la pallanuoto

femminile portandola al successo in più occasioni, come nell'Olimpiade di

Atene 2004, ha guidato anche la nazionale maschile, non riuscendo a bissare i

traguardi ottenuti con il 'Setterosa'. Nella sua lunga carriera come allenatore

ha inoltre guidato numerosi club sia maschili che femminili. In questa sua

affermazione si nasconde una verità assoluta. Se io giocatore non credessi ai

metodi di allenamento o tattici che il mio allenatore vuole impostare, si

creerebbero delle distanze che alla lunga non possono far altro che logorare il

rapporto con l'allenatore, tra giocatori e del gruppo stesso. Per questo motivo

diventa importante, se non fondamentale, il confronto e il dialogo continuo tra

giocatori e con il proprio allenatore per meglio dare una linea di gioco e di

pensiero alla squadra. Il non rispetto dei ruoli di uno solo dei giocatori può far

9 Cit. Pierluigi Formiconi

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saltare l'intero ingranaggio. Fondamentale diventa la leadership dell'allenatore

nel saper gestire un parco atleti di grandi capacità e caratteristiche caratteriali

comunque diverse e già formate. Non è detto, infatti, che il leader cui

l'allenatore faccia affidamento sia riconosciuto dal resto del gruppo o che

magari due o tre giocatori si sentano essi stessi leader perché tecnicamente

dotati. A quel punto diventa fondamentale la comunione di intenti e obiettivi,

dove ognuno gioca non solo per se stesso, ma per gli altri e per la squadra

tutta. Pertanto, anche colui che ricopre il ruolo di attaccante puro rinuncerà

alla fase offensiva se capisce che in un preciso momento della gara ci sarà

bisogno del suo apporto in chiave difensiva. Il buon leader e il buon

allenatore sanno inoltre riconoscere quando sfruttare dei 'momenti magici' di

alcuni gregari o seconde linee, dando loro il massimo spazio. Anche se questo

significa mettere da parte le prime linee e sfruttare al meglio la 'giornata di

grazia' di uno o più giocatori. Insomma, quello che una persona al di fuori

dell'ambito sportivo farebbe per la persona amata o per un amico. Ma in una

squadra di tredici persone non si può pretendere che tutti siano amici gli uni

con gli altri, dove l'allenatore, per quanto simpatico e versatile, resta

comunque una figura autoritaria voluta e scelta dalla parte manageriale e non

dal gruppo di giocatori. Superati i trent'anni, inoltre, possono subentrare

difficoltà di età con i ragazzi di 10/15 anni più giovani. L'approccio verso

ragazzi più o meno timorosi, tatticamente poco preparati, più o meno educati,

diventa fondamentale. Per questo il leader e l'allenatore hanno bisogno di

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quello che spesso viene definito in gergo come il gruppo dei 'vecchi'. Ovvero

un gruppo all'interno della squadra che si relaziona e si rapporta con i più

giovani a seconda del momento e delle situazioni. Spesso ci si trova in

situazioni in cui due giovani di 16/17 anni e che si allenino insieme da oltre

sei anni insieme abbiano caratteri completamente diversi. Catapultati in prima

squadra potrebbero rivelare aspetti del proprio carattere sconosciuti ad

entrambe.

E' proprio in questi frangenti che diventa importante anche il substrato

culturale e familiare e la motivazione che spinge i singoli atleti a praticare

quel particolare sport. A questo si aggiunge infine la capacità dei più 'vecchi'

di sapersi relazionare con loro. In questo senso frasi come questa - “C'è

sempre da imparare” - note e ripetute fino al punto da perdere quasi la loro

reale efficacia, acquistano in ambito sportivo e per la 'gente di sport' una

valenza pratica, reale e non solo teorica.

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CAPITOLO 4

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Doping

Con il termine doping ci si riferisce all'assunzione da parte di sportivi

di determinate sostanze che hanno l'effetto di migliorare la condizione fisica o

mentale, e quindi la prestazione.

La definizione precisa di doping proposta dal Comitato Internazionale

Olimpico (CIO) è: “ la somministrazione o l'uso di sostanze esogene in

quantità inusuali o con metodi inusuali per individuo sano, con lo scopo

esclusivo di raggiungere un miglioramento artificiale alla prestazione in

competizioni”. Questa pratica è vietata in ambito sportivo e il CIO ha stilato

una lista di classi di sostanze e metodi proibiti e di sostanze soggette a

restrizione, ovvero che possono essere assunte solo con una notifica scritta del

medico alla federazione di competenza e solo con determinati metodi.

Secondo la legislazione italiana, in base all'art. 1 della Legge 14

dicembre 2000, n. 376 che disciplina in Italia la tutela sanitaria delle attività

sportive e della lotta contro il doping, “costituiscono doping la

somministrazione o l'assunzione o la somministrazione di farmaci o di

sostanze biologicamente o farmacologicamente attive e l´adozione o la

sottoposizione a pratiche mediche non giustificate da condizioni patologiche e

idonee a modificare le condizioni psicofisiche o biologiche dell'organismo al

fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti”.

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Il doping è quindi considerato un reato penale, punito fino a tre anni di

reclusione (che possono diventare di più se insorgono danni effettivi per la

salute), se ad essere indotto ad assumere sostanze vietate per doping è un

minorenne o se, a distribuire le sostanze, è un dipendente del CONI. Solo in

presenza di condizioni patologiche dell'atleta documentate e certificate da un

medico e verificata l´assenza di pericoli per la salute, è consentito un

trattamento specifico con sostanze vietate per doping e la possibilità di

partecipare ugualmente alla competizione sportiva. Ma anche in questo caso il

trattamento deve rispondere a specifiche esigenze terapeutiche e la

documentazione deve essere conservata e tenuta sempre a disposizione

dall'atleta. Il controllo anti-doping vero e proprio sulle competizioni e sulle

attività sportive spetta ad alcuni laboratori accreditati dal Comitato

Internazionale Olimpico (CIO).

La lista delle sostanze biologicamente e farmacologicamente attive che

circolano negli spogliatoi e nelle palestre è molto lunga, ma si possono

raggruppare in tre categorie principali:

1. I farmaci non vietati per doping, ma utilizzati per scopi diversi da

quelli autorizzati,

2. I farmaci vietati per doping,

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3. Gli integratori, ovvero i prodotti salutistici, vale a dire tutti quei

prodotti che servono a reintegrare eventuali perdite di macro e

micronutrienti (sali, aminoacidi, vitamine).

Per quanto riguarda l'impiego di farmaci al di fuori delle indicazioni

per le quali sono stati sintetizzati, è opportuno ricordare che la loro

somministrazione a persone non malate è sempre pericolosa in quanto priva di

finalità terapeutica, scopo fondamentale di un medicamento. Tra i farmaci più

usati gli antinfiammatori non steroidei, gli integratori e i prodotti erboristici o

omeopatici. Come effetti negativi possibili la comparsa di gravi reazioni

avverse. Tra i farmaci vietati per doping, l’Eritropoietina (EPO) e i suoi

derivati, gli anabolizzanti e gli stimolanti.

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Cenni storici

Gli atleti fanno uso di sostanze esogene da secoli per il miglioramento

della prestazione da secoli. Per fare solo alcuni esempi, da alcuni scritti di

Platone è possibile supporre che i premi destinati ai vincitori delle

competizioni olimpiche fossero molto consistenti, spesso prossimi ai 500mila

euro attuali. L'evento del professionismo e di forti interessi commerciali portò

velocemente alla comparsa di sotterfugi e corruzione. Dagli scritti dell'epoca è

possibile dedurre come gli atleti ingerissero ogni sorta di preparato in grado di

potenziare le prestazioni atletiche, principalmente estratti di funghi e semi.

Contestualmente alle interferenze politiche fu proprio la profonda corruzione

a decretare la fine delle Olimpiadi antiche. Anche nella cultura romana lo

sport rivestì un ruolo fondamentale nella società; tuttavia le attività sportive

differivano alquanto da quelle delle antiche Olimpiadi greche. Gli spettatori

romani erano più attratti dalle gare di bighe o dai combattimenti dei gladiatori

che dalle gare di atletica; per questo motivo le più comuni pratiche illecite si

riferivano alla somministrazione di miscele stimolanti ai cavalli e di sostanze

allucinogene ai gladiatori.

Tornando al XX secolo, l'attenzione sull'uso di sostanze esogene per il

miglioramento della prestazione si è diffusa nei primi anni '50. Dopo una

visita ai campionati mondiali del 1956, il Dr. Ziegler documentò negli Stati

Uniti l'uso di parte della squadra sovietica di sollevamento pesi di steroidi

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anabolizzanti allo scopo di favorire un miglioramento delle prestazioni

atletiche, ma sappiamo che body builders americani della West Coast

assumevano steroidi anabolizzanti già nel 1940. Negli anni '60 i media

cominciarono a dedicare attenzione al problema, pubblicando informazioni

aneddotiche sulla morte di due ciclisti professionisti, il danese Knut Jensen e

l'inlgese Tommy Simpson, il cui decesso fu associato all'uso di anfetamine. In

quegli anni si è cominciato ad assistere alla diffusione delle sostanze

cosiddette dopanti, dapprima negli sport dove occorre forza esplosiva,

dall'atletica leggera al football, e successivamente agli sport di resistenza

come il nuoto e il fondo.

In seguito alla crescente diffusione del doping e al verificarsi di

incidenti mortali legati all'uso di sostanze proibite, nel 1967 il CIO ha

costituito una commissione medica e ha identificato una prima lista di

sostanze proibite. Nel 1972 anche la Federazione Internazionale Atletica

Amatoriale (IAAF) ha formato una commissione medica e introdotto le

analisi delle urine come misura preventiva. Queste analisi permettevano0

unicamente uno screening per le sostanze stimolanti. A partire dal 1974 i

controlli vennero estesi allo screening delle sostanze anabolizzanti e nel 1976

otto atleti risultarono positivi ai controlli alle Olimpiadi di Montreal (Canada).

Da quel momento in poi si è assistito al miglioramento delle procedure per

l'identificazione di sostanze dopanti, e, parallelamente, a un'evoluzione delle

metodiche di doping. Spesso le seconde risultano più evolute delle prime, con

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il risultato che talvolta i controlli si riferiscono a procedure di doping ormai

superate o che, insieme alla sostanza ad azione dopante, all'atleta venga

consigliato di assumere altre sostanze che gli permettono di mantenere i suoi

valori fisiologici al di sotto delle soglie critiche oltre le quali scatterebbero

sanzioni o squalifiche.

Ma può l'utilizzo del doping essere riconducibile esclusivamente al

concetto di guadagno, di profitto? Sinceramente, dopo anni di attività

agonistica mi sento di rispondere: “Non solo”. Certo il profitto, i guadagni, le

pressioni degli sponsor e delle società stesse e l'idea di un risultato da ottenere

in modo veloce e immediato, figlio di una società che tutto brucia e consuma

ci ha indotto e portato ad utilizzare sostanze esogene, anche senza esserne

realmente consapevoli. Di fondo, però, l'atleta, al di là di un guadagno

immediato e di una fama che lo potrebbe portare sul tetto del mondo cerca, in

molti casi, fama e gloria, più che un solo, esclusivo e mero ritorno economico.

A volte, e questo è il caso di molti, si è disposti a fare di tutto pur di giocare

una partita. E la partita non deve essere per forza la finale del Campionato del

Mondo.

In alcuni casi, come è stato quello di Benjamin Sinclair 'Ben' Johnson

Jr., uno dei primi casi eclatanti di doping, non erano solo i soldi a muovere la

volontà del corridore giamaicano a vincere. Ma anche la volontà di essere

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presenti e vincenti a tutti i costi. Ai Giochi olimpici di Seul del 1988, Ben

vinse la finale dei 100 metri piani stabilendo il nuovo record del mondo con il

tempo di 9"79, ma tre giorni dopo i risultati dei test antidoping lo rivelarono

positivo, fu quindi squalificato con il conseguente annullamento della vittoria

e del record. Come confessò anni più tardi, disse di esser stato preso perché

abusò di sostanze con il solo scopo di recuperare in fretta da un infortunio che

gli avrebbe potuto chiudere le porte alla partecipazione olimpica. E comunque

per stare al passo dei grandi. Ammise inoltre di aver utilizzato sostanze

dopanti quando ottenne il record mondiale nel 1987, per cui la IAAF cancellò

dai suoi annali anche quella prestazione. Ma Johnson e centinaia di altri atleti

si sono a lungo lamentati di aver dovuto assumere sostanze dopanti per

raggiungere le prestazioni degli altri atleti più forti con i quali dovevano

gareggiare e che facevano anch'essi uso di queste sostanze.

Queste affermazioni hanno assunto una luce veritiera in seguito agli

sviluppi e alle rivelazioni dal 1988 in poi. Quattro dei cinque migliori atleti

sui 100 metri, Johnson incluso, sono stati prima o poi trovati positivi a

sostanze dopanti in un momento della loro carriera. Essi sono: Carl Lewis, a

cui venne assegnata la medaglia d'oro; Linford Christie che ottenne la

medaglia d'argento, e Calvin Smith che ottenne il bronzo. Di questi,

solamente Johnson fu costretto a rinunciare ai suoi record e alle sue medaglie,

sebbene sia stato anche l'unico trovato positivo o che abbia ammesso la

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positività durante un evento che metteva in palio una medaglia. In seguito

Christie fu squalificato per uso di steroidi. Secondo dei documenti pubblicati

nel 2003 da un ex ufficiale anziano dell'antidoping USA, il dottor Wade

Exum, Carl Lewis e due suoi compagni di allenamento assunsero gli stessi tre

tipi di stimolanti proibiti (trovati tra le medicine vendute sottobanco) e furono

scoperti ai trials USA del 1988, cioè nella gara utilizzata per selezionare gli

atleti che parteciperanno alle Olimpiadi o a un grande evento. Questo breve

ricordo storico la dice lunga anche sugli interessi che muovono atleti, società,

nazioni (ricordiamoci che siamo ancora alla fine della guerra fredda), case

farmaceutiche e multinazionali in genere.

Con il passare del tempo, l'opinione pubblica ha sempre più dovuto

fare i conti con il doping e la sua lotta fino ai tristi giorni che hanno visto in

manette ciclisti, medici e dirigenti di società ciclistiche da parte della

gendarmerie francese. Ricordo ancora i commenti più comuni di allora: “Era

ovvio a tutti che si dopassero, come si può correre in bici per sei ore di

seguito e fare una media di 200 km al giorno per due settimane?”. In effetti, la

domanda è giusta. Ma l'altra domanda dovrebbe essere: “Perché siamo arrivati

a questo punto?” “Chi vuole tutto questo?”

Comunemente, tra i non atleti e chi non conosce il mondo dello sport,

si è portati a pensare che utilizzare sostanze dopanti, significa ridurre la fatica

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dell'allenamento. Assolutamente falso. Anzi, l'utilizzo di alcune sostanze,

soprattutto prodotti che inducono la produzione di globuli rossi nel sangue

con la sola stimolazione del midollo osseo senza quindi partire da una

reazione chimica artificiale, richiedono un corretto allenamento e un impegno

costante e metodico affinché l'alterazione dei propri valori del sangue non

risulti in un eventuale controllo antidoping che in alcuni sport richiede oggi

un doppio controllo incrociato sangue/urina. Famose sono oramai le

testimonianze che vogliono sciatori austriaci pedalare di notte sulle cyclette

per smaltire le sostanze in eccesso o le trasfusioni di sacche di sangue di

calciatori e ciclisti, trattati ormai come dei veri e propri criminali. Da una

parte le società che prima spingono il proprio associato ad abusare e poi lo

licenziano in caso di positività al test. Test che in molti casi, come negli sport

considerati minori come la pallanuoto vengono ripetuti in maniera non

sistematica e talmente sporadica da risultare, almeno ai miei occhi e a quelli

di molti miei compagni ed ex compagni di squadra, in uno sperpero di denaro

pubblico con il solo obiettivo di realizzare libri statistici che vanno poi a

riempire gli scaffali impolverati dei nostri dicasteri.

In questo senso portare in questa sede un'esperienza vissuta in prima

persona potrà servire come esempio di quanto detto sopra.

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Al termine della prima metà di gara, il mio numero viene sorteggiato

davanti agli occhi di testimoni e arbitro per il controllo che avverrà a fine

gara. Due giocatori per squadra. Sarà l'unico controllo cui la mia squadra

verrà sottoposta in tutto l'arco del campionato, ovvero 22 partite. Nell'attesa

che abbia uno stimolo, decido di scambiare quattro chiacchiere con il medico,

assistito da un secondo delegato amministrativo, per scoprire che quel

controllo non viene effettuato né dal CONI (troppo impegnato forse a

rincorrere ciclisti e calciatori), né dalla nostra Federazione (FIN –

Federazione Italiana Nuoto), secondo molti a corto di fondi e soldi,

soprattutto dopo la faraonica edizione dei Campionati del Mondo di nuoto

tenutisi a Roma nel 2009. Ironia e luoghi comuni a parte non un controllo dei

due enti principali chiamati a vigilare che noi atleti non facessimo uso di

sostanze dopanti, ma una commissione medica del nostro caro Ministero della

Salute. “E come mai tutto questo interesse” fu la mia domanda? “Statistiche”,

mi rispose il medico. A volte, infatti, non importa combattere il doping, ma

capire cosa si utilizza, in che attività sportive e a che età. Ricerche e

statistiche per arrivare a capire che solo il 3 per cento dei controllati dal

Ministero della Salute risultano positivi. Di questi, inoltre, solo una minima

percentuale utilizza sostanze che realmente alterano la prestazione come

ormoni della crescita o stimolatori di globuli rossi.

“La maggior parte – infatti - viene beccata per aver fumato derivanti da THC

(Hashish e Marijuana) o aver inalato cocaina”. Oltre 600 euro per ogni

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controllo per capire che siamo una società che anche nello sport fa uso di

Hashish, Marijuana e Cocaina. Sostanze che anche per chiara e amichevole

ammissione del medico “altererebbero semmai la prestazione in negativo”.

Non male come risultato, visto che il fine ultimo dovrebbe essere quello della

lotta al doping.

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Una lotta impari

Alla luce degli ultimi scandali che hanno sconvolto il mondo di calcio

e ciclismo mi sentirei di dire semplicemente e tranquillamente di no. In questi

ultimi anni, le scoperte fatte nei magazzini e negli spogliatoi di società

calcistiche e ciclistiche sia di professionisti che dilettanti hanno messo in

evidenza un'evoluzione tecnologico-scientifica nella realizzazione di sostanze

esogene atte ad alterare la prestazione sportiva che non ha precedenti. Stando

anche alle conferme ed affermazioni rilasciate anche dagli alti organi medici

di organizzazioni internazionali, la ricerca sullo sviluppo di sostanze dopanti

è avanti mediamente di dieci anni rispetto ai metodi di ricerca degli organi di

controllo. Ricerca che quindi si muove nei canali sotterranei delle industrie

farmaceutiche e anche per questo non aspetta di provare e testare il prodotto

come avverrebbe per un farmaco. Il test viene eseguito direttamente sulla

pelle degli atleti che protetti dalla giovane età e da un corpo perfetto si

reputano invincibili. Solo dopo anni, quando ormai dimenticati da tutto e da

tutto, sono spesso costretti ad affrontare il male che deriva dall'abuso di

farmaci mai clinicamente testati e da ore di duro lavoro e fatica che ne hanno

alterato anche le più normali funzioni vitali. Sapevate ad esempio che il cuore

di un nuotatore di livello internazionale riesce a raggiungere un battito

cardiaco anche di quaranta pulsazioni al minuto in stato di riposo? Senza

andare oltre, visto che non è tema di questa trattazione, mi basta sottolineare

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che quel cuore un giorno dovrà tornare a pulsare sui 58/60 battiti al minuto.

Pensate che questo continuo sali e scendi non provochi scompensi? Ma

soprattutto, pensate che arrivare a delle pulsazioni così basse sia solo effetto

di un duro e sano allenamento? Sbagliato, come pensare che lo Sport praticato

a livello agonistico faccia solo del Bene!

Alterazioni delle prestazioni, farmaci, allenamento duro e quotidiano,

controlli e soldi. In un’unica parola doping e lotta al doping. In sintesi

controlli e test, che però, come è emerso in passato non venivano neanche

effettuati.

Ricordate lo scandalo dei laboratori dell'Acqua Acetosa? Quando i

controlli non venivano neanche effettuati? Un po' per risparmiare o perché il

telefono squillava e qualcuno diceva chiudere un occhio. All'epoca, quando il

caso scoppiò facendo tremare il palazzo, il presidente del CONI era Mario

Pescante. Infatti, eletto nel 1993, rimase in tale incarico fino alle dimissioni

avvenute il 13 ottobre 1998 a seguito proprio dello scandalo che travolse il

laboratorio antidoping dell'Acqua Acetosa. Lo stesso Mario Pescante che il 9

ottobre 2009 è stato eletto vicepresidente del CIO, organizzazione non

governativa creata da Pierre de Coubertin nel 1894, per far rinascere i Giochi

olimpici della Grecia antica attraverso un evento sportivo quadriennale dove

gli atleti di tutti i paesi potessero competere fra loro. Evidentemente il buon

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lavoro come presidente in Italia, quando la lotta al doping si rivelò una truffa

colossale ha fatto i suoi effetti e Pescante è stato degnamente ripagato e

onorato di far parte di una delle organizzazioni più note e antiche della storia

moderna. Che vinca il migliore!

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Doping – alcune conclusioni

In conclusione, il primo elemento che emerge da questa breve e

personale analisi è che il problema del doping nella pratica sportiva è

sufficientemente complesso da non poter essere affrontato semplicemente

attraverso campagne educative basate sulla diffusione di conoscenze sui

talvolta drammatici effetti collaterali a lungo termine; queste, infatti,

dimostrarono di avere effetti solo marginali sulla diffusione del fenomeno.

Altri elementi su cui si basano gli atteggiamenti nei confronti del doping

sembrano risiedere nella possibilità che questa metodica offre di superare i

propri limiti fisici e prestazionali. Questo è coerente con un'idea di sport 'No

Limits' che, nonstante sia lontanissima dai principi ispiratori dell'Olimpismo

formulati da Pierre De Coubertin, sembra essere stata incorporata dagli

sportivi di altissimo livello amatoriale, e c'è da notare che alcune campagna

antidoping condotte da associazioni per la diffusione dello sport per tutti si

basano proprio su un'enfatizzazione degli aspetti ludici e sociali dell'attività

sportiva,10 più che su quelli legati alla competizione con se stessi e con gli

altri. Efficaci campagne antidoping dovrebbero poi tenere conto del ruolo

delle norme sociali nella formazione delle intenzioni di azione e del

comportamento stesso. In questo senso c'è anche da notare che mentre viene

10 Porro, PROGETTO DI RICERCA - MODELLO A Anno 2008 - prot. 2008BS7BA7 'La pratica

sportiva nella UE come nuovo diritto di cittadinanza e come sensore del mutamento culturale'

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spesso sottolineato (anche a livello mass mediatico) il ruolo di allenatori,

compagni di squadra o altri nel processo di avvicinamento dello sportivo

verso l'assunzione di sostanze dopanti, più raramente si enfatizza la possibilità

di usare il contesto sociale in cui l'atleta è inserito come uno spazio in cui

incoraggiare e rinforzare le ragioni per non fare uso di sostanze dopanti, o di

spingere l'atleta verso l'acquisizione di capacità decisionali basate

maggiormente sulle proprie motivazioni endogene piuttosto che su processi

guidati dall'esterno. Infine c'è da notare che molti studi indicano, tra i fattori

che possono ostacolare l'assunzione di sostanze dopanti, il timore di essere

scoperti. Su questa base si potrebbe concludere che il deterrente più efficace

nella lotta al doping sia rappresentato dai controlli. Ma abbiamo anche visto

come, soprattutto in alcuni sport come la pallanuoto questi controlli vengano

eseguiti. Questo sottolinea il fatto che i controlli non possono e non devono

costituire la e rappresentare l'aspetto centrale di una vera lotta al doping per

almeno tre ragioni:

1. I controlli, se non altro per ragioni di costo economico, possono

ragionevolmente essere effettuati unicamente su sportivi e atleti

impegnati in competizioni di alto livello, mentre il fenomeno è

chiaramente diffuso anche a livello amatoriale.

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2. Impostare la lotta al doping esclusivamente sulle procedure di

controllo rischia di enfatizzare ulteriormente l'aspetto di rincorsa

infinita tra il miglioramento nelle procedure di controllo e l'evoluzione

di sfuggire ai controlli stessi.

3. Centrare le campagne antidoping unicamente sull'aspetto dei controlli

rischia di rinforzare la percezione degli sportivi che la scelta di

assumere o non assumere sostanze dopanti debba basarsi

principalmente su motivazioni esogene (la paura che altri facciano i

controlli, i consigli dell'allenatore, della dirigenza sportiva, dei

compagni di squadra, del medico) piuttosto che su processi guidati

dall'individuo come primo responsabile delle proprie scelte in materia

di promozione della salute.

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CAPITOLO 5

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Impegno e costanza

“Se solo si fosse impegnato di più…” una frase che sembra ricorrere

ripetutamente sia nel mondo scolastico che in quello sportivo. Una frase detta

molte volte con tono di rammarico da allenatori soprattutto delle squadre

giovanili visto che in ambito di prima squadra, sia a livello professionistico

che dilettantistico i giocatori percepiscono un compenso monetario che nel

secondo caso equivale ad un rimborso spese. Questo significa che il non

impegno equivale all'essere estromessi dalla squadra o non essere

semplicemente convocati per la gara/partita. Sebbene sembri generica e

retorica, questa frase mette in luce il ruolo svolto da uno dei due fattori che

determinano la riuscita in un'attività, e cioè l'impegno e la costanza nel lavoro.

Sentirsi impegnati in un'attività significa essere consapevoli che la

propria motivazione e la propria concentrazione sono orientate al

raggiungimento di mete specifiche. Già il bambino che gioca a calcio con gli

amici sa che cosa vuole da quella situazione e s'impegna per raggiungerla. Il

suo impegno sarà, quindi, in funzione della sua motivazione, per cui se il suo

obiettivo è di primeggiare, cercherà di mostrare sul campo le sue competenze

calcistiche e il suo sforzo sarà orientato in questa direzione. Diverso è invece

l'impegno del giovane il cui obiettivo è di stare con gli amici e di far parte del

gruppo; in questo caso il suo impegno sarà principalmente orientato a stabilire

una rete di rapporti sociali positivi e per lui gratificanti. Appare pertanto

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chiaro che, indipendentemente dagli obiettivi che si vogliono perseguire,

questi vengono raggiunti solo da chi s'impegna in quella direzione. Oggi poi,

sembra sempre più difficile trovare ragazzi/e che dedichino gran parte del loro

tempo e voglia ad un'attività sportiva che in fondo ha molto da offrire in

termine valoriale e sociale e poco dal punto di vista economico. Oggi anche i

ragazzi delle squadre giovanili affrontano già in età adolescenziale discorsi

legati all'aspetto economico, a potenziali retribuzioni senza però valutare cosa

riusciranno ad aver in cambio del loro impegno in termini esperienziali. E la

domanda, oggi più che mai è questa: Perché un ragazzo di 13/14 anni

dovrebbe dedicare tre o quattro ore del suo tempo ad uno sport che forse non

lo ripagherà mai, dal punto di vista economico, del suo impegno e sforzo

quotidiano? Dopo vent'anni potrei fornire mille e una risposta, ma vorrei solo

sottolineare che la sensazione che si prova a raggiungere un risultato positivo

o ad affrontare una sconfitta, superandone la delusione da soli e con la propria

squadra non ha alcun prezzo e non potrà mai essere monetizzato. Una

semplice pacca sulla spalla di un compagno di squadra, un complimento del

proprio allenatore, o l'applauso degli spettatori ad una vittoria sono sufficienti

per ripagare anni di fatica condivisa con compagni che mi hanno aiutato a

comprendere, a capire, a scontrarmi e a confrontarmi, prima con me stesso e

poi con gli altri, compagni e avversari compresi. In poche parole che mi

hanno aiutato a crescere e diventare la persona che sono oggi.

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Talento vs Impegno Naturalmente la rilevanza dell'impegno emerge anche in relazione allo

sport di vertice, in cui è stato ampiamente dimostrato che non è affatto

sufficiente possedere del talento per raggiungere livelli di eccellenza, a meno

che non ti chiami Diego Armando Maradona. Ma proprio questo classico

esempio che si fa in ambito sportivo tende a dimostrare che come lui, con un

talento innato e una struttura fisica e muscolare fuori dal comune ne nascono

uno ogni cento anni.

La storia dello Sport e quindi anche della Pallanuoto è costellata di

eterne promesse, che non sono mai riuscite a raggiungere quei livelli che le

loro capacità atletiche sembravano rendere accessibili. Se fra gli stessi

operatori sportivi ci può essere discordanza nell'identificare le componenti

fisiche del campione, non c'è invece alcun dubbio quando si parla di capacità

psicologiche. Tutti attribuiscono alla fiducia n se stessi e all'impegno una

rilevanza fondamentale nel favorire il raggiungimento di prestazioni di valore

assoluto: per eccellere bisogna dedicarsi in maniera quasi totale a quell'attività

e sviluppare l'autocontrollo allo scopo di fornire prestazioni ottimali in

circostante d'intensa pressione competitiva.

Può sembrare addirittura troppo ovvio sostenere il valore dell'impegno,

ma per eccellere in un'attività bisogna, per prima cosa, cominciare con

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l'impegnarsi. Certamente non basta fare del proprio meglio per avere

successo, altrimenti già sarei campione del mondo. Ma è evidente che la

mancanza d'impegno non consenta di sviluppare il proprio potenziale.

Nel mondo manageriale e nell'attuale era digitale chi non conosce Bill

Gates? Beh in molte interviste ha sempre sottolineato che ciò che lo ha

contraddistinto è lavorare sempre dieci minuti in più degli altri. Se trasliamo

questa affermazione nel mondo dello Sport la ritroviamo sulla bocca di molti

atleti e campioni di fama mondiale. “Mollo un attimo dopo gli altri”, “Mi

alleno duramente e più a lungo”, “Voglio fare sempre di più”.

Naturalmente l'impegno è solo una delle caratteristiche che un atleta

deve possedere per poter emergere o comunque per realizzare i propri

obiettivi personali. In generale, anche in base a ricerche compiute sul campo,

gli elementi fondamentali che caratterizzano giocatori poi entrati nel

professionismo sono i seguenti: desiderio di riuscire, determinazione,

attitudine e auto motivazione. Inoltre, dare alla carriera sportiva la priorità

principale, mantenere un'elevata stima di sé, cercare costantemente di

migliorare e fornire il massimo dell'impegno costituiscono gli indicatori del

tipo di impegno necessario per avere successo. Il talento aiuta, ma il lavoro

costante ti struttura e ti consegna un metodo sui cui l'atleta dovrà lavorare per

migliorare ogni aspetto dello sport che pratica. Nel mio caso, tecnica

individuale, tattica di gioco, velocità, resistenza e soprattutto un pizzico di

intelligenza e rapidità, qualità sempre utili, non solo in ambito sportivo.

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A mio modesto avviso, una delle prime domande che un giovane atleta

dovrebbe porsi è la seguente: “Quanto è importante per me lo sport che

pratico?” Devo confessare che è una domanda che mi sono posto nel corso

degli anni più e più volte e non sempre la risposta è stata sempre uguale.

Oggi, ad esempio, a voler essere onesti, la pallanuoto è una parte importante

della mia vita. Ma all'età di 34 anni e con i migliori risultati che avrei potuto

conseguire già ottenuti, ritengo che sia importante per continuare a praticare

un'attività sportiva che mi piace, condividendo tempo e valori con compagni

di età diverse e differenti. I soldi, anche hanno la loro parte e il contributo

annuale certo è qualcosa che fa comodo. Insomma, una serie di considerazioni

che cambiano in base al tempo e all'impegno.

Di seguito vorrei riportare ulteriori affermazioni che possono servire

agli atleti come spunti di riflessione per prevedere e comprendere quanto sono

disposti a impegnarsi:

Sono pronto a mettere in secondo piano alcune cose anche importanti

della mia vita per riuscire come sportivo.

Mi impegno molto per migliorare le mie abilità.

Mi piace gareggiare e vincere.

Mi impegno a valutare in maniera costruttiva le mie prestazioni e i

miei risultati.

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Assumo le responsabilità dei miei errori.

In ogni allenamento cerco di dare il massimo e di essere soddisfatto.

Mi piace imparare tecniche nuove.

Considero gli errori delle opportunità di miglioramento e non qualcosa

da nascondere a me stesso.

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Accettare i propri limiti La pazienza è un'altra caratteristica strettamente correlata all'impegno.

Facilita la costanza e la scrupolosità dell'impegno; al contrario, l'impazienza

ostacola fortemente il raggiungimento degli obiettivi. Infatti, gli individui

eccessivamente reattivi non accettano di migliorare poco alla volta, perché

vorrebbero imparare più rapidamente e con poca fatica, hanno difficoltà ad

imparare dagli errori che attribuiscono con più facilità a situazioni sfortunate

o al desiderio degli altri di farli sbagliare. Al contrario, l'uso della pazienza

consente di spendere in maniera efficace la propria energia psicologica e di

lavorare al raggiungimento delle proprie mete focalizzandosi sui compiti da

svolgere. Quando si pensa troppo al futuro occupando la mente, ad esempio,

con il pensiero della prossima gara/partita, è facile diventare eccessivamente

preoccupati e di conseguenza nervosi e tesi, immaginando quello che

potrebbe accadere e come si reagirà alle situazioni critiche. La mente

dedicherà così, meno attenzione a cosa bisogna fare per prepararsi alla

competizione e sarà invece eccessivamente proiettata sulla prestazione futura.

La pazienza è, invece, una delle chiavi per restare focalizzati sul presente e

per costruire l'efficacia della prestazione partendo dalla concentrazione sui

compiti che devono essere svolti ora. In tal modo, come atleta, è come se

guidassi me stesso attraverso la realizzazione di quanto devo fare sino al

momento in cui avrà inizio la partita e, avendo sviluppato un'attenzione

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costante al presente potrò continuare a mantenere lo stesso tipo di

focalizzazione anche durante la gara.

La pazienza, più di ogni altra cosa, mi ha aiutato e aiuta l'atleta in

genere ad accettare i propri limiti e di poter lavorarci sopra per poterli poi

superare. Nella pallanuoto e nello Sport in genere, è importante essere

consapevoli che il miglioramento è graduale e dipende in larga parte dal

desiderio d'impegnarsi in quest'attività. Ogni giovane, pur avendo il diritto di

sognare di vincere una medaglia alle Olimpiadi, deve sapere che per avere

qualche probabilità di migliorare le sue prestazioni deve pensare in piccolo,

agendo per dare il meglio che vuole dare in ogni singolo allenamento e

dialogando con l'allenatore.

Voglio che quando usciate dalla vasca facciate uno sbocco di sangue. Al

termine di ogni allenamento o partita, dovete essere stanchi, esausti, sfiniti.

Non dovete avere neanche la forza per respirare. Se doveste perdere, ma

con la consapevolezza di aver dato tutto, il massimo, si po' accettare e

lavorare con più armonia sulla sconfitta. Se invece doveste perdere sapendo

di non aver dato il massimo passerete l'intera settimana a pensare agli

errori fatti con il rischio di non rimanere concentrati per il prossimo

impegno.11

11 Cit. Pierluigi Formiconi

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Questa frase, che Formiconi ed altri allenatori sono soliti ripetere con

più o meno veemenza, spiega i concetti teorici fino ad ora espressi. Tradotto

in termini pratici, quindi, significa darsi il tempo necessario a raggiungere le

mete prefissate, senza mettersi troppa pressione addosso, senza crearsi

aspettative irrealistiche, concentrandosi sul proprio miglioramento e non su

quello degli altri e, soprattutto, agendo ogni giorno per soddisfare quei piccoli

obiettivi di miglioramento che permettono di continuare a coltivare i propri

sogni.

La competizione sportiva è una situazione in cui il singolo atleta deve

fornire la sua prestazione migliore attraverso il confronto con altri atleti che

hanno il suo obiettivo. Inoltre, minore è la differenza di competenza fra gli

atleti e maggiore è l'importanza dell'evento sportivo cui si partecipa, maggiore

sarà di conseguenza la pressione agonistica avvertita dai contendenti. Questo

significa che la gara è identificabile come una situazione in cui è necessario

guidare se stessi, assumendo un atteggiamento positivo e ottimista nei

riguardi della possibilità di fare bene durante quella specifica competizione.

In sintesi “crederci fino in fondo”. Nella pallanuoto come in altri sport si

verificano risultati sorprendenti o inaspettati anche grazie alla determinazione,

alla voglia di vincere e all'atteggiamento in positivo che il singolo e l'intera

squadra riescono a profondere durante la gara. Naturalmente a questa voglia e

ottimismo si deve aggiungere un'ottima preparazione fisica e mentale.

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Caratteristiche che si costruiscono durante la settimana di allenamento. I

muscoli da soli non bastano e la famosa 'mentalità vincente' va costruita col

tempo, con passione, pazienza, dedizione e costanza. É la mente che deve

allenarsi prima del fisico. Se la mente vuole, il fisico segue, a meno di

infortuni particolarmente gravi. In ambito pallanuotistico, però, i giocatori e le

giocatrici sono stati in grado di sfatare anche questo tabù. Se Franz Anton

Beckenbauer viene spesso ricordato per aver giocato parte di un mondiale con

un braccio fasciato, noi non siamo da meno. Tagli sullo zigomo, sul

sopracciglio, naso rotto, costole incrinate, dita delle mani o dei piedi lussate

non sono state sufficienti a fermare atleti impegnati in competizione

pallanuotistiche - naturalmente me compreso - che nel corso degli anni hanno

riportato diverse ferite e fratture, ma senza mai abbandonare il campo di gara!

Mai abbattersi alla prima difficoltà. Mai pensare di aver perso prima del

fischio finale. Mai pensare di partire sconfitti.

“La palla è rotonda e ricordate: Io non ho mai visto un uomo in bocca ad

un altro uomo”.12

Il Partizan Belgrado della stagione 2010/2011, squadra di giovani ben

compatti, concentrati e volitivi, è stata in grado di battere in finale di Euro

League la più quotata Pro Recco, squadra ultra milionaria e composta da 13

12 Cit. Pierluigi Formiconi

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campioni di diverse nazionalità e Paesi. Una vittoria che ha sorpreso i più, ma

non gli addetti ai lavori, che hanno capito fin dai primi minuti di quella finale

giocata a giugno del 2011 a Roma, quanto i ragazzi allenati da un ex grande

giocatore come Igor Milanovic, avesse una spinta più. Maggiori motivazioni,

maggiore fame di vittoria, di voler dimostrare di essere i migliori, di voler

mettere le mani su quella coppa che per un giovane ragazzo di Belgrado può

rappresentare il vero trampolino di lancio di una carriera tutta da vivere e

giocare. Ottimismo quindi, soprattutto in situazioni di stress agonistico.

Ogni atleta prima di ogni gara si sente teso, nervoso ed è conscio

dell'importanza che ha per lui quella situazione. Queste reazioni fisiche

comportano la presenza di sensazioni fisiche anche fastidiose come, ad

esempio, sentire le mani fredde e sudate, avere mal di stomaco o la nausea,

sentirsi fisicamente tesi, avere difficoltà a respirare, sentire il cuore in gola o

altro ancora. Queste sensazioni non distinguono, però, coloro che forniscono

prestazioni scadenti da quegli atleti che forniscono abitualmente prestazioni di

successo. Infatti, non sono queste reazioni fisiche ad incidere negativamente

sulla prestazione; ciò che invece esercita un effetto negativo è la componente

cognitiva associata a queste manifestazioni fisiche. In altri termini, è di

fondamentale importanza quello che l'atleta pensa quando avverte queste

sensazioni fisiche. A tale proposito sono possibili almeno tre reazioni:

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Reazione positiva. L'atleta sviluppa un dialogo interno di questo tipo:

“Dopo aver tanto atteso questa partita finalmente ci siamo. Manca più

di un'ora e sento il cuore che batte a mille, quasi fosse in gola, in una

sensazione ricca di energia. E' così che mi sento prima di ogni gara.

Sono pronto”.

Reazione negativa. L’atleta sviluppa un dialogo interiore di questo

tipo: “Lo sapevo. Sono troppe le partite e guarda come mi trovo, con la

nausea, mi sembra di avere un nodo in gola, quasi non respiro. E tutto

questo proprio oggi, il giorno della partita. D'altra parte è così, ogni

volta che faccio una gara importante parto troppo teso e faccio schifo.

L'esperienza non mi ha proprio insegnato nulla”.

Reazione positiva a una condizione negativa. L'atleta sviluppa un

dialogo interno di questo tipo: “Sono tesissimo, mi manca il fiato, ho

110 pulsazioni al minuto e manca più di un'ora. Se continuo così arrivo

al fischio d'inizio che sono esausto. So cosa funziona per me in queste

situazioni: respiro profondamente, m'immagino l'ultima partita che ho

fatto. Anche adesso lo sono, mi sono preparato con cura a questa gara e

ho fatto tutto quello che si doveva fare. Il cuore va meglio, batte veloce

ma va bene così, mi sento teso ma non sono più preoccupato. Ora mi

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concentro sulla mia prestazione e m'immagino esattamente quello che

devo fare. La mia azione è fluida, coordinata, sicura”.

In conclusione, emerge abbastanza chiaramente che essere ottimisti

non significa assumere un atteggiamento superficialmente sicuro e spavaldo,

ma vuol dire impegnarsi e sviluppare un atteggiamento che promuova le

proprie risorse personali e le incrementi attraverso l'utilizzo di un programma

di preparazione psicologica costruito per trovare soluzioni alle molte

situazioni problematiche che l'atleta si trova ad affrontare durante la sua

carriera agonistica.

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Alcune conclusioni personali Con questo lavoro concludo non solo il mio percorso di studi, ma racconto

una parte importante della mia vita, che in fondo mi ha insegnato a tenere

duro e non mollare mai. Di considerare ogni cosa possibile fino al fischio

finale della sirena. Solo allora si potrà dire se si è perso o si è vinto. Con gli

anni ho imparato molto dalle sconfitte e sebbene in molte occasioni il risultato

numerico sia stato sfavorevole, quello che oggi mi resta è ben altro del sapore

amaro. Quel che rimane è la voglia di continuare, di confrontarmi, di non

darmi mai per sconfitto. Un po' come la nostra nazionale italiana di

pallanuoto, che nell'estate di quest'anno è tornata sul gradino più alto del

podio ai Mondiali di Nuoto di Shanghai. Una nazionale che solo due anni fa

ai campionati di Roma aveva deluso toccando uno dei punti più bassi della

sua storia. Quel risultato e le sonore sconfitte che hanno deluso le migliaia di

spettatori presenti a sostenere il Settebello, erano solo l'inizio. L'inizio di una

ripresa che un grande allenatore come Sandro Campagna ha saputo accendere

e gestire fino ad una vittoria più che mai commovente. Una vittoria costruita

da un gruppo di giovani guidato da qualche giocatore più esperto che ha fatto

del lavoro e del merito due qualità che oggi sono difficili da trovare. Un

plauso a loro quindi e a tutti i pallanuotisti e atleti di altre discipline che

hanno voglia e determinazione per inseguire un sogno!

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TABLE OF CONTENTS

INTRODUCTION 82 CHAPTER 1 85

The Water polo...all in one go................................................................. 86

The game of water polo .......................................................................... 88 The historical origins ............................................................................. 91

CHAPTER 2 94

The group and I ...................................................................................... 95

The Group .............................................................................................. 96

Group decisions ..................................................................................... 97 CHAPTER 3 99

The Leadership ..................................................................................... 100

CHAPTER 4 104

Doping ................................................................................................. 105 Historical notes .................................................................................... 107

An unequal struggle .............................................................................. 110

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Doping - conclusions ............................................................................ 111 CHAPTER 5 114

Commitment and perseverance ............................................................. 115 Talent vs. Commitment ......................................................................... 117 Accepting your limits ............................................................................ 121

BIBLIOGRAPHY 177

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INTRODUCTION

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Sport. Often synonymous with loyalty, confrontation, competition and

sound principles. Mens sana in corpore sano, the Latins argued. A definition

that stayed with me over the years from primary school through the first

swimmings in the pool until the first water polo championships. A definition

that seems almost be forgotten in its most intimate meaning these days, so

distant from the concept of sport, more and more synonymous with hobby,

money and fitness, till the point where it has taken, in the modern society, a

strong social, economic and political value.

One aspect this one, which is well associated with the basic definition

that is in the free electronic encyclopedia which millions of users around the

world have access. For Wikipedia, in fact, the "Sport is all of those assets,

physical and mental, done to improve and maintain in good condition, the

entire psycho-physical human apparatus and entertain those who practice it or

who are spectators".

In this first premises there are most of the elements that this thesis

wants to address. Starting and based primarily on my personal experience,

characterized by a long activity still in progress as a Water Polo semi-

professional athlete, this presentation is intended to:

a) Analyse the general concepts and the impact of sports on the individual

and the group, studying how water polo, practiced at a competitive level,

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has a positive and / or negative impact on the emotional relationships

between the individual and the group itself;

b) Explain how incomplete the definition is, that states sport as "the set of

physical and mental activities, done to improve and maintain in good

condition, the entire psycho-physical apparatus of human being". Sports

activity, in fact, practiced in leisure, amateur, competitive and / or

professional level , can be more harmful than healthy if not properly

controlled and supervised by a group of specialist;

c) Understand what motivates athletes to make use of prohibited doping

substances or commonly known methods to alter their athletic

performance. Alterations, which affect not only individual performance

but also the psycho-physical structure of the athlete himself;

d) Describe a future scenario on the evolution of sport in general and Water

polo in particular.

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CHAPTER 1

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The Water polo...all in one go

Swim Cesare, Cesare swim…don’t stop now. Just a few meters and

you can recover your breath, though for a few seconds. How many times this

phrase, this dynamic has repeated insistently in my head, convinced me not to

give up, to resist, to go forward even in the hardest moments, when the

absence of oxygen closed the mouth of my stomach and the arms seemed to

be two concrete blocks difficult to control. Yes, cause water polo is this as

well , and beyond this. A team sport where you have to get involved with

yourself, rather than with others. The ball, the game, tactics, they come after.

After grueling hours of hard training in water and specific work out in the

gym. It is at this stage that our body, our character is forged. A necessary step

that every player must deal with if he wants to become part of a group. Part of

something that goes beyond individuality and individualism.

An effort and hard work is required. Basically we are human beings

and as such our vital and organic functions are not used to work in other

environments such as water. You just need to “get into the water”, as we use

to say in the jargon, that our body activates functions that you could not even

imagine to have. Pulse rate increases, and only after months of settling the

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heart rhythm begins to have a regular course in water, but always different

from the natural and normal one . Moreover, we, as water polo athletes, come

to this discipline after years of practice and competitive activity. We are

called to execute and perform some gestures that, from the athletic point of

view, require sacrifice and discipline. Two features which, these days seem

lost.

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The game of water polo

Water polo is a team water sport known and played at high levels almost

all over the world. It is possible to practice it in pools ranging in size from 33

x 20 m (male games) to 25 x 12 m (females).

Signals on the edge of the pool indicate some imaginary lines:

The goal line (white);

The 2 meters line, which serves to delimit the offside (red);

The 5 meter line, that delimits the area in which a major foul can lead to a

penalty;

The midfield line, from which the action must start at the beginning of the

game or of every period;

Figure 1 - Diagram of a field according to the FINA water polo rules (2005).

The water polo is played by two teams, each composed of seven

players including the goalkeeper. The two teams are composed of a total of

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13 players, of which a maximum of 6 on the bench. The winner of the game is

the team that scores more goals.

Players must wear by regulation caps, equipped with earmuffs against

risk of accidents, which must be of different colors than the visiting team. For

the home team the color is white ,for the visiting teams instead it is black or

blue. For both teams the goalkeeper must have a red cap. Each cap is marked

by a number from 1 to 13. The game lasts 4 periods of 8 minutes in the A1,

A2 and B male and female League and junior male championships.

Only in men’s A1 and A2 championships and during the playoff and

playout finals in A1 Women League two referees are designated for the same

game, remaining on the poolside assisted by a jury.

The referees may give two types of fouls: simple or major, in the

second case with the temporary exclusion of 20 seconds. In all leagues the

limit of major faults is 3. The players will be excluded from the game after

the third foul. Moreover, there is the permanent exclusion for "brutality" or

"violent play" or "disrespect and disobedience." The game play lasts 30

seconds from the moment the team gains possession of the ball. In the event

that a shot passed the bottom line of the goal, due to a deviation caused by a

defender, the action restarts with possession of the ball in favor of those who

defended at the time of the shooting. In case of deviation from the goalkeeper,

however, the action restarts with a throw from the corner, to be carried out

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within the 2 meters line, from the team which was in possession of the ball

when shot. However, if the defender voluntarily directs the ball beyond the

bottom line, it will resume the game with a shot from the corner for the

attacking team.

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The historical origins

These are the main rules in force in Italy today. But when and where was

water polo born?

The forefather of the modern water polo was a game that appeared for the

first time in Britain in 1869, perhaps due to the will of athletes, who wanted to

introduce greater variety into the monotonous swimming competitions. The

game soon gained the favor of a great mass of spectators. "Football in the

Water" was the first name that was given. A year after the London Swimming

Association gathered its experts to decide the rules of the new sport.

Starting in 1900, for the Paris Olympics Games, water polo was officially

included in the list of Olympic events. The first winning team of the Olympic

Game title was the UK (Osborne Club of Manchester).

Water polo first steps in Italy started in 1899 at Diana's Bath in Milan

thanks to the Neptune Team, which spread the new sport as a “water football

play, but much harder, which requires out of the ordinary energy and

strength". The first Italian championship, instead, is held in Naples in 1912.

On july 28th , 1923, after the experience of the Olympic Games in Antwerp in

1920, the first italian national team was founded, which consisted of 13

players of the italian region Liguria, 2 of Naples and 2 of Milan. It lost its first

game with the score of 6-1 in Pavia against Hungary. Four years later, they

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took part for the first time at the European championships that were held in

Bologna and followed by the participation in 1934 in Magdeburg and in 1938

in London. In 1947 Italy achieved the success in Monte Carlo European

championship, followed by a victory at the 1948 Olympics games. The men's

water polo national team won three Olympic gold medals: in London (1948),

Rome (1960) and Barcelona (1992). Moreover, they won the World

Championship three times (1978 West Berlin, Rome 1994, Shanghai 2011).

Women Water polo finds its origins in 1906 in Harlem, the Netherlands,

but was largely developed only during the 60’s. Among the promoters of the

water polo movement we can distinguish between different European

countries (especially Italy, Hungary, Russia and the Netherlands), United

States of America and Australia.

The so called "Setterosa", the Italian women national team, won

numerous international titles even if the first world championship, won by

Australia, was only played in the late 1986. We can remember, for example,

the gold medal at the Olympic Games in Athens in 2004, won in the final

plaid against Greece, the two world titles in Perth in 1998 and in Fukuoka in

2001 and the four European titles in 1995, 1997, 1999 and 2003, all under the

guidance of the roman trainer Pierluigi Formiconi, coach for the national team

from 1994 to 2004.

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The polo is represented worldwide by FINA (Fèderation Internationale de

Natation Amateur), while, in our country, is the FIN (Italian Swimming

Federation) which regulates the entire water polo world.

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CHAPTER 2

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The group and I

Usually the sport involves groups and group dynamics. In reality, most

sports are team sports, that involve competitive performances in which a

group of athletes competes with another group of athletes.

The sport therefore involves groups and group dynamics at many levels and

in many different ways in which individual behavior can be influenced by

other people. In sports social influence can be recognized in how teammates

interact and become a united team. Generally speaking, in the process of

forming a group there is a strong incidence on conformity, leadership and

interpersonal relations among the components. In this context and in a group

being formed or an already formed one can affect, on the individual and

secondary on the group, other individuals which can be whether spectators or

simply members of another group. All this leaving out here what can be

considered a third argument: the relationship between the groups.

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The Group

In its simplest form, a group can be defined as a group of people who

are in the same place at the same time. Under this extensive definition it is not

necessary that people interact with each other to be considered as a group, but

simply that they are together.

Here, however, it comes to sports and, more precisely, to Water Polo. So

when we think of a group it means something more than the simultaneous

presence in one place. My teammates and I, the coach, the athletic trainer and

all the people involved to direct and manage the team have a common

purpose.

"You do not need to be friends or hang out together the nights, I want

you to score goals." (cited above)

A phrase that one of my coaches used to say during the preparatory meetings

of the matches and that, in my opinion, states the true. Goals and common

aims in a context where social rules, which are distinguished according to the

group and that must be respected by individuals having an ethical behavior as

much as possible consistent with the initial objectives, are fundamental. If the

rules specify how all members of the group should behave, roles define the

behavior of people who occupy certain positions within the group. It is

expected to behave differently according to the roles that someone is

covering, as for example me as a player or my coach.

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Group decisions

The behavior of a group can be evaluated by how its members resolve

conflicts and individual disputes or by the way the group is taking decisions.

Who decides who is to beat a penalty shot? Is it always the coach who decides

the exclusion of one or more elements of the team? How do you decide the

lineup before an important game? What are the factors that determine these

choices?

In general, the decisions can be defined as the attempt to combine and

integrate the information available to choose one of different modes of action.

Common sense suggests that decisions should be taken by the group more

than by a single person: an individual may miss some information and, thus,

reach more informed decisions. And this is why governments, corporations,

military units and sport teams tend to entrust decisions to a group rather than

an individual, believing that the group can bring together the different skills

of its members and avoid the wrong solution. But the main question is the

following: what makes the group sometimes take bad or disastrous decisions?

The decisions of the group should reflect and respect most of the ideas of its

members. So, members of the group must first learn the ideas and opinions of

the others about the topic on which they have to decide. A well-known rule is

“ it is the majority that wins". This can then count as a general rule. So, for

example, what happens when the team is supposed to decide and the

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intervention of the coach is not required? They may then apply above

consideration: the majority. But is it always true that the majority decides?

No. This is because, within a group of 13/15 people it could be that the

decision is taken from 2 or 3 individuals. It is the task of the “older” players

to compel the younger ones to follow certain rules that can affect not only the

later course of a single season but also the growth in terms of behavior and

character of the individual. In some cases they may show gratitude or even

hate in front of some taxation decided by an individual or a small group of

players.

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CHAPTER 3

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The Leadership

“The individual talent makes win a game, the team makes win the

championship". Michael Jordan. This phrase of one of the strongest

basketball players ever and one of the most popular and award-winning

athletes of modern sport, summarizes the different aspects of the study of this

thesis. A phrase that is very similar to the concept that a well-known coach,

like Pierluigi Formiconi, used to emphasize throughout the course of the

season. "It is not the individual who makes the team, but it is the team

that shapes the individual". Though it is true that the talent is an added

value, this is not sufficient for the success of a team.

So what is important is the role of the coach, the guidelines he is able to give

during the game and the interpretation that every single player and the group

is able to give to certain situation. So the question is: "What makes a group

work well?"

In general, the functioning of a group depends on the ability of the

leader, on the problem solving skills of the group and on the ability of the

members of the group to resume profitable decisions for the group as a

whole.

"It is you who are in the water, not me. I can teach you all the schemes

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you want, but it’s you who have to face the situation and decide the

timing and ways to finalize the action game" (Formiconi).

In this case, the leader significantly influences the resolution of conflicts and

the decision-making processes of the group. This, of course, is valid if the

coach was able to win the confidence of every single player and the team as a

whole. Otherwise, any attempt made by the coach could be, as it is

appropriate to say, “a real hole in the water”.

The leadership is a concept and, perhaps, the most important role that a

person can take within a group, because it can provide guidance to team

members on a variety of problems. If all these steps are observed, the leader

can be an integral part of the process of forming a group. As often happens in

sport, the leadership is assigned to someone for reasons that are often

independent of the processes within the group itself. For example, coaches are

chosen by a club or organization on the basis of financial criteria and

subsequent to long and often secret negotiations between the parties involved.

Unless someone has certain qualities that make a person smart, he cannot be

a leader or behave as if he were. A statement that may seem obvious and that

is the basis of a theory examined and studied carefully and repeatedly over the

years. A good leader, according to social psychologists for example, is the

right person, at the right time, in the right place.

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The first theory makes a distinction between task-oriented leaders and

relationship-oriented leaders. According to this theory, the first type of leader

is primarily interested in the kind of work that is done, while relationship-

oriented leaders are primarily interested in maintaining relations between

members of the group (so that you maintain good interpersonal relations). In

sport, and particularly in water polo, these concepts can generally be applied

not only to coaches but also to the leadership that a single athlete can have

inside the team.

From the practical point of view and according to my own experience as an

athlete, I would like to expose some examples with the attempt to give a clear

picture that does not remain purely theoretical. If you have just entered a new

team, the attitude of the individual can be generally of opening or closing. It

will be the coach and the team's veteran’s task to ensure and support a good

start to the newcomers within a group that may have been working together

for some years. In this sense, the cleverness and intelligence of the newcomer

is to adjust himself to the rhythms and systems of work, while that of the

'veterans' is to understand the technical and psycho-physical characteristics of

the new team-mate. A situation that may become more difficult if the

newcomer does not speak the language or has a different culture. The

language barrier, in fact, can be hard to overcome and can be an obstacle for

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the entire season. It can be the cause of the exclusion of the single or two or

three players from the rest of the team and the group, with the risk of creating

different small groups within the team that needs to be a cohesive and

homogenous group moved with a single objective, usually set out earlier in

the season and that may change during its course. For these reasons, the

human qualities may be more important than technical tactics. There are so

many and different individual dynamics that must be moved and fit together

to achieve the victory of the team, that many times the confrontation between

players or between players and coach or between team and managers becomes

necessary and even more important than the technical aspect.

"If you do not believe in what I say, it is impossible to go on. You have to

be 100% convinced about what I say. If you are not, ask questions and I

am sure you will get convinced". (Formiconi)

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CHAPTER 4

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Doping

“The administration to or use by a healthy individual of any agent or

substance not normally present in the body…and/or of any physiological

agent or substance when introduced in abnormal additional quantities and/or

by an abnormal route and/or in an abnormal manner, with the purpose and

effect of increasing artificially and in an unfair manner the performance of

that individual during the period of competition” This is the definition of

doping proposed by the International Olympic Committee (IOC).

According to italian legislation, the Art.1 of the law no. 376 from December

the 14th of the year 2000, that disciplines in Italy the health protection of

sport activities and fight against doping, "it is considered doping taking or

using drugs or substances which are biologically or pharmacologically active

and the adoption or submission to medical practices that are not justified by

pathological conditions and eligible to change the psycophysical or biological

conditions of the organism in order to alter the competitive performances of

athletes. "

Doping is therefore considered a criminal offense, punishable up to three

years in prison (which can become more if actual damages arise for health), if

to be induced to take banned substances for doping is a minor or if the

person who distributes these substances is an employee working at CONI.

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Only in presence of pathological conditions of the athlete, certified and

documented by a physician, and verified the absence of health risks, a specific

treatment with prohibited substances for doping is allowed and also the

possibility to participate to sport events is given. The real anti doping control

in sport competitions is made by some laboratories accredited by the

International Olympic Committee (IOC).

The list of biologically and pharmacologically active substances can be

grouped into three main categories:

1. The drugs which are not banned for doping, but used for purposes

other than those authorized,

2. Drugs banned for doping,

3. Supplements or health products, i.e. all those products that are used

to restore any macro-and micronutrients loss (salts, aminoacids,

vitamins).

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Historical notes

Athletes have been using exogenous substances for centuries to

improve their performance. To give just few examples from the writings of

Platone, it is possible to suppose that the prizes given to the winners of the

Olympic competitions were very high, often close to the equivalent of

500.000€. The advent of professionalism and big business interests quickly

led to the appearance of deception and corruption.

Even in Roman culture, sport played an important role in society.

However, it differed somewhat from those sport activities of the ancient greek

Olympic games. Viewers were more attracted by Roman chariot races or

gladiator fights rather than athletics, which is why the most common illegal

practices related to the administration of mixtures of stimulants and

hallucinogenic substances were related to horses or to gladiators.

Going back to the twentieth century the attention on the use of

exogenous substances to improve performance has become widespread in the

early 50’s. Following the increased prevalence of doping and the occurrence

of fatal accidents linked to the use of prohibited substances in 1967 the IOC

established a medical commission andidentified an initial list of prohibited

substances. In 1972 the International Athletic Amateur Federation (IAAF)

also formed a medical commission and introduced the urine analysis as a

preventive measure. These tests allow only a screening for stimulants. Since

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1974 the controls have been extended to the screening of anabolic substances

and in 1976 eight athletes were found positive to the controls at the Olympics

in Montreal (Canada). From that moment on, an improvement of procedures

for the identification of drugs occurred and, in parallel, an evolution of new

methods of doping.

But the use of doping can be attributed just to the concept of gain and

profit? Honestly, after years of agonistic activity I would answer: "Not only".

Of course the profit, earnings, pressure from sponsors and the companies

themselves and the idea of a result to be achieved quickly and immediately

has led us to the use of exogenous substances, even without being really

aware about it. Basically, in many cases, an athlete, beyond the immediate

profit and the fame that could lead him to the top of the world, is looking for

fame and glory rather than a single, exclusive and purely economic return.

Sometimes, and this is the case with many, you are willing to do anything you

can in order to play a game. And the game does not necessarily have to be the

final of the World Championship.

Over time, public opinion increasingly had to deal with doping and its

fight until the sad days where cyclists, doctors and cycling team’s executives

have been arrested by the French gendarmerie. I still remember the most

common comments at that time: "It was obvious to everyone that they used

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drugs , how can you run a bike for six hours straight and make an average of

200 km per day for two weeks?". In fact, the question is correct. But the other

question should be: "How did we get to this point?" "Who wants this?"

Commonly, among non-athletes and those new to the world of sports,

we tend to think that the use of performance-enhancing drugs, is to reduce

the fatigue of training. Absolutely false. Indeed, the use of some substances,

particularly products that induce the production of red blood cells only by

stimulation of the bone marrow alone without an artificial chemical reaction,

requires a proper training and a constant and methodical commitment, so that

the alteration of their blood values does not result in an possible anti-doping

test. Today, in some sports, this check requires a double cross-checking blood

/ urine test. Tests, that in minor sports like water polo, are repeated in a non-

systematic and in a such sporadic way that result in a waste of public money

with the only purpose of realizing statistical books that fill the dusted shelves

of our ministries.

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An unequal struggle

In recent years, the findings in the warehouses and in the dressing

rooms of cycling and football clubs have shown a scientific-technological

development in the production of exogenous substances, foreseen to alter the

athletic performance, like ever before. According also to the confirmations

and statements made even by senior doctors of international organizations,

research on the development of performance-enhancing drugs is ahead by an

average of 10 years compared to the research methods of the controlling

entities. A type of research that moves into the underground channels of the

pharmaceutical companies and, that also for this reason, does not wait to try

and test the product as it would do for a drug. The test is performed directly

on the skin of athletes who, protected by their young age and their perfect

body, think to be invincible. Only after years, when forgotten by everyone

and everything, they are often forced to face the disease that arises from the

abuse of drugs ever clinically tested before and from hours of hard training

that changed their normal vital functions.

Changes in performance, drugs, daily hard training, tests and money.

In one word, doping and the fight against doping. In summary, checks and

tests that, as emerged in the scandal involving the leaders of the CONI and the

laboratory of Rome Acqua Acetosa, had never been made.

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Doping - conclusions

The first element to emerge from this brief and personal analysis is that

the problem of doping in sport is sufficiently complex, that it cannot simply

be addressed through educational campaigns based on the diffusion of the

dramatic long term side effects knowledge. These campaigns, in fact,

demonstrated to have only marginal effects on the diffusion of the

phenomenon. Other factors, based on the attitudes towards doping, seem to lie

in the possibility that this method offers the chance to overcome their physical

and performance limits. This is consistent with the idea of “No Limits” sports

which, despite being far away from the guiding principles formulated by

Pierre De Coubertin, seems to have been integrated by athletes at the highest

amateur level. It should be noted that some anti doping campaigns, conducted

by associations that promote sport for everyone, are based on the emphasis of

social and recreational aspects of sport (Porro 2000) rather than on those

related to competition with oneself and with others. Effective anti-doping

campaigns should also take into account the role of social norms in the

formation of action intentions and behavior. In this sense, it should be also

noted that, while it is often pointed out (even in mass media) the role of

coaches, teammates and others in the process of approaching the athlete to

taking performance-enhancing drugs, more rarely it is emphasized to use the

social context in which the athlete is included as a space to use to encourage

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and reinforce the reasons for not to using performance-enhancing drugs, or to

push the athlete to the acquisition of decision-making skills based on his most

endogenous motivations rather than externally driven processes. Finally it

should be noted that many studies indicate, among the factors that may hinder

the assumptions of drugs, the fear of being discovered. On this basis we might

conclude that the most effective deterrent in the fight against doping is

represented by the anti doping tests. But we also have seen how, especially in

some sports like water polo, these controls are performed. This underlines the

fact that the controls cannot and should not be and represent the central aspect

of a real fight against doping for at least three reasons:

The controls, cause of economic costs, can reasonably be made only on

sports and athletes engaged in high level competitions, while the

phenomenon is clearly widespread even at amateur level.

Set up the fight against doping exclusively on control procedures is likely

to further emphasize the infinite race between the improvement in

control procedures and the evolution of escaping from those controls.

Focusing the anti-doping campaigns only on the controls aspects is likely

to reinforce the perception of the athletes that the choice, to take or not

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to take performance-enhancing drugs, must be based primarily on

exogenous reasons (the fear that others will do the controls, the coach's

advice, the managers, teammates, the doctor) rather than on processes

driven by the individual as primarily responsible for his own choices

regarding his health.

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CHAPTER 5

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Commitment and perseverance

"If only he had committed more." Phrase that seems to be used

repeatedly in the academic world and in sport. A phrase often said with a tone

of regret, especially by coaches of youth teams.

Although it seems generic and rhetoric, this statement highlights the

role played by one of two factors that determine the success in an activity,

namely the commitment and perseverance in the work. Feeling engaged in an

activity means to be conscious that your own motivation and concentration

are directed to achieving specific goals. Even the child who plays soccer with

his friends knows what he wants from that situation and is committed to it.

His commitment will, therefore, be in function of his motivations. Therefore,

if his goal is to excel, he will try to show his skills on the football field and his

efforts will be oriented in this direction. Different, instead, is the commitment

of a teenager whose goal is to stay with friends and join the group. In this case

his efforts will mainly be oriented to establish a network of positive social

relationships which are very rewarding for him. It therefore seems clear that,

regardless of the objectives to pursue, these are achieved only by someone

who engages in that direction.

Today it seems more and more difficult to find boys / girls who sacrifice

much of their time and desire to a sport that has lot to offer in terms of social

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values and less from the economic point of view. Today, even boys of the

youth teams have already faced discussions related to the economic aspect, to

potential earnings, without knowing what they can get from their commitment

in terms of experience.

And the question, now more than ever, is following: why should a 13/14 -

year old boy spend three or four hours of his free time for a sport that, from

an economic point of view, might never repay his commitment or daily

effort? After twenty years I could provide an answer, but I just want to point

following: the feeling that you feel when you achieve a positive result or face

a defeat, overcoming the disappointment on your own or with your team, has

no price and can never be monetized. A simple pat on the shoulder by a

teammate, a compliment from your coach or the applause of the spectators

during a game is enough for paying me back all the years of hard work shared

with friends who have helped me to understand and confront first with myself

and then with others, including teammates and opponents. In a few words

they helped me grow up and become the person I am today.

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Talent vs. Commitment

The commitment is also very important when we are speaking of

professional sports. It has been widely demonstrated that it is not enough to

have pure talent to reach levels of excellence, unless your name is Diego

Armando Maradona. But this classic example confirms that in sports athletes

like him, with an innate talent and an unusual muscular structure, show up

once every hundred years.

The history of sport and, therefore, of water polo is full of eternal

promises that have never been able to reach those levels that their athletic

ability seemed to make accessible. Even between sports operators there may

be disagreement in identifying the physical elements of a champion, instead

there is no doubt when it comes to psychological capacities. All ascribe to

self-confidence and commitment a fundamental importance in facilitating the

achievement of absolute value performances: in order to excel you must

dedicate yourself totally to the activity and develop a self control in order to

provide optimal performance in conditions of intense competitive pressure. It

may even seem too obvious to sustain the value of commitment, but to excel

in an activity you must, first, start with the commitment. Obviously it’s not

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enough to do your best to succeed, otherwise I would already be a world

champion.

But it is evident that the lack of commitment does not allow you to develop

your potential.

Who does not know Bill Gates in the management’s world and in the

digital age? Well, in many interviews he has always remarked that what

distinguished him was that he always stayed ten minutes longer than the

others at work. If we bring this statement into the world of sport we can hear

it on the mouths of many athletes and world-renowned champions. "I always

give up a moment after the others", "I train harder and longer", "I want to do

more". Of course, the commitment is just one of the characteristics that an

athlete must possess to be able to emerge or at least to achieve his personal

goals. In general, also based on research carried out on the field, the key

elements that characterize players that become professionals are: desire to

succeed, determination, attitude and self motivation. Also giving top priority

to the sport career, maintaining high self-esteem, constantly seeking to

improve and provide the maximum of the commitment are the indicators of

the type of commitment necessary to succeed. Talent helps, but the constant

work lets you structure and gives you a method on which the athlete will be

working on to improve every aspect of the sport he practices. In my case,

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individual technique, tactics skills , speed, endurance and above all a bit of

intelligence and rapidity, as always useful, not only in sports.

In my opinion, one of the first questions that a young athlete should asked

himself is: "How important is the sport I am practicing for me?" I must

confess that it is a question that I asked myself more times over the years and

the answer was not always the same. Today, for example and to be honest,

water polo is an important part of my life. But at the age of 34 years and with

the best results that I could achieve already gained, I think it is important to

continue to practice a sport that I love, sharing time and values with

teammates of different ages. For sure also money has its important part as

well, the annual contribution is certainly something that comes handy. In

short, a number of considerations that changes depending on the time and the

effort.

Below I would like to bring further statements, that could be used from the

athletes to foresee and understand how much they are willing to commit:

I am ready to put some important things of my life by side to succeed

as a sportsman.

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I work hard to improve my skills.

I like to compete and win.

I promise to evaluate my performances and my results in a constructive

way.

I assume responsibility for my mistakes.

In every training session I try to do my best and be satisfied.

I like learning new techniques.

I consider mistakes an opportunity to improve and not something to

hide to myself.

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Accepting your limits

Patience is another characteristic closely related to commitment. It

facilitates consistency and thoroughness of the commitment; on the contrary,

impatience prevents the achievement of objectives. In fact, too reactive

individuals do not accept to improve little by little, because they would like to

learn more quickly and with little effort. They have difficulty on learning

from their mistakes: they relate them more easily to unfortunate situations or

to the desire of the others to make them fail. On the contrary, the use of

patience lets you effectively spend your psychological energy and work in

order to achieve your goals by focusing on tasks to do. When you think too

much about the future, occupying your mind for example with the thought of

the next race / game, it is easy to get worried and, therefore, nervous and

tense imagining what might happen and how you will react to critical

situations. In this case your mind will, therefore, give less attention to what is

needed to prepare yourself for the competition and will, instead, over-project

on the future performance.

Patience, however, is one of the keys to stay focused on the present and to

build the effectiveness of the performance, starting from the concentration on

the tasks that must be done at that moment. Thus, as an athlete, it's as if I

would drive myself through the realization of what I have to do until the

beginning of the game, and, having developed a constant attention to the

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present, I will continue to maintain the same kind of focus during the game.

Patience, more than anything else, helped me and helps the athlete in general

to accept his limits and allows me to work on them to be able to get over

them. In water polo, and sports in general, it is important to be aware that the

improvement is gradual and depends in large part by the desire to engage in

this activity. Every young person, although having the right to dream to win a

gold medal at the Olympic Games, should know that to have any chance to

improve his performance he should think small, give the best he can in every

single training session and always talk to the coach.

“I want you to spit blood when you come out of the pool. After each

workout or game you must be tired, exhausted, worn out. You should not

even have the strength to breathe. If we lose knowing that we have given

everything and the best, it is somehow easier to accept the defeat and we

can work on it with more harmony. But if we lose, knowing we didn’t

give the maximum, we will spend the whole week thinking about the

mistakes we made with the risk not to focus our concentration on the

next game” (Formiconi).

This phrase, that Formiconi and other coaches are used to say with

more or less vehemence, explains the theoretical concepts expressed so far.

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Translated into practical terms, therefore, it is to take the necessary time to

reach your predetermined goals, without putting too much pressure on

yourself, without creating unrealistic expectations, focusing on your own

improvements and not on that of others, and, above all, acting every day to

satisfy those little improvement goals that allow you to continue to pursue

your dreams.

The sport competition is a situation where the individual athlete must provide

its best performance through comparison with other athletes who have the

same goal. In addition, the smaller the difference in competence between the

athletes and the more important the sporting event in which you participate is

the more competitive pressure is felt by the contenders. This means that the

competition is identifiable as a situation where you have to address yourself,

taking a positive and optimistic attitude towards the possibility of doing well

at that particular competition. In few words, "believe in it". In water polo, as

in other sports, occur surprising or unexpected results thanks to the

determination, the will to win and the positive attitude that the individual and

the entire team succeed to transmit during the game. Of course, an excellent

physical and mental preparation must be added to this optimism. Features that

are built during the workout week. The muscles alone are not enough and the

famous “winning mentality” has to be built over the time, with passion,

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patience, dedication and perseverance. It’s the mind which has to be well

trained before the physics. If the mind wants, the body follows, unless

particularly severe injuries.

"The ball is round and remember: I have never seen a man in the mouth

of another man" (Formiconi).

The team of Belgrad “Partizan”, a team of very compact, focused and strong-

willed young men, was able to beat in the final of the Euro League in the

2010/2011 season the most quoted Pro Recco, ultra millionaire team which

consists of 13 champions of different nationalities and countries. A victory

that surprised the most, but not the insiders, who understood this from the

very first minutes of the match played in Rome in June of 2011, as the boys

coached by a former great player such as Igor Milanovic, had a secret boost.

More motivations, more hungry for victory, will to prove to be the best, will

to get the hands on the cup, that for a young boy in Belgrade can be truly a

boost for a great sport career. Therefore, optimism, especially in situations

of agonistic stress.

Every athlete before every match feels tense, nervous and is aware of the

importance that the situation has for him. These emotional sensations involve

the presence of annoying physical reactions like, for example, feeling cold

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and having sweaty hands, bellyache or nausea, feeling physically tense,

having breathing difficulty, feeling your heart in your throat and so on. These

feelings do not distinguish, however, those that provide a poor performance

from athletes who usually provide successful performances. In fact, it is not

due to these reactions to have a negative impact on your performance, instead

the negative effect is given by the cognitive component associated with these

physical manifestations. In other words, it is crucial what the athlete thinks

when he has these physical sensations. In this regard there are at least three

possible reactions:

1. Positive reaction. The athlete develops an internal dialogue like this

for example: "After this long awaited game finally we are here. More

than an hour is missing to the match and I feel my heart beating like

crazy, like if it were in my throat, in a full of energy feeling. This is

how I feel before every game. I'm ready".

2. Negative reaction. The athlete develops an inner dialogue of this kind:

"I knew it. There are too many games and look how I feel now, with

nausea. It seems I have a lump in my throat, I can’t barely breath.

And all this today, the day of the match. On the other hand it is always

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like this, every time I have a big game I start to be tense and I suck.

Experience didn’t teach me nothing".

3. Positive reaction to a negative condition. The athlete develops an

internal dialogue of this kind: "I'm very tense, I have short breath, I

have 110 beats per minute and more than an hour is missing. If I keep

feeling like this I’ll be already exhausted by the start of the game. I

know what works for me in these situations: to breathe deeply. I

imagine the last game I did. Also now I am prepared for this game and

I did everything that needed to be done. The heart is better now, it’s

beating fast but that's okay. I feel tense, but I am no longer worrying.

Now I focus on my performance and I imagine exactly what I have to

do. My action is smooth, coordinated, and safe".

In conclusion, it is clear that being optimistic does not mean having an

attitude of superficial safety and arrogance, but it means to engage and

develop an attitude that promotes your personal resources and increases them

through the use of a psychological preparation program made to find solutions

to the many problematic situations that the athlete has to face during his

career.

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INHALTSVERZEICHNIS

VORWORT 129 KAPITEL 1 132

Wasserball…in einem Atemzug ............................................................... 133

Das Wasserballspiel ............................................................................... 135

Die historischen Ursprünge .................................................................... 138 KAPITEL 2 141

Ich und die Gruppe ................................................................................. 142

Die Gruppe ............................................................................................. 143

Gruppe und Entscheidung ...................................................................... 144 KAPITEL 3 146

Die Führungsrolle .................................................................................. 147 KAPITEL 4 151

Das Doping ............................................................................................ 152

Bemerkungen zur Geschichte .................................................................. 154

Ein ungleicher Kampf ............................................................................. 158

Doping – einige Schlussfolgerungen ....................................................... 160

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KAPITEL 5 163

Einsatz und Konstanz ............................................................................. 164

Talent vs Einsatz..................................................................................... 166

Die eigenen Grenzen akzeptieren............................................................ 170 BIBLIOGRAPHIE 177

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VORWORT

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Sport. Oft ein Synonym für Fairness, Konfrontation, Wettbewerb und

gesunden Prinzipien. Mens sana in corpore sano, sagen die Lateiner. Eine

Definition die mich seit der Volkschule, während der ersten

Schwimmbewegungen bis zur ersten Wasserballmeisterschaft begleitet hat.

Eine Definition die heute beinahe vergessen zu sein scheint in ihrer intimsten

und gleichzeitig umfassendsten Bedeutung des Konzepts des Sports, mehr als

ein Synonym für Zeitvertreib, Geld, körperliche Leistung bis zu einem Punkt,

an dem sie in unserer gegenwärtigen Gesellschaft eine starke

gesellschaftliche, wirtschaftliche und politische Bedeutung bekommt.

Ein Aspekt, der gut mit der Basisdefinition übereinstimmt die das freie

telematische Wörterbuch anbietet, zu dem Millionen von Benutzern in der

ganzen Welt Zugang haben. Für Wikipedia ist „Sport das Zusammenspiel der

körperlichen und geistigen Aktivität mit dem Ziel, den Zustand des gesamten

psycho-physischen Apparats zu erhalten und zu verbessern und diejenigen zu

unterhalten, die ihn ausführen oder die Zuschauer sind“.

In diesen ersten Prämissen und Behauptungen findet sich der Grossteil der

Elemente die diese Thesis bearbeiten will. Von meiner persönlichen

Erfahrung ausgehend, einer langen bis heute andauernden Aktivität als

halbprofessioneller Athlet des Wasserballspiels. Die Thesis möchte:

a) die allgemeinen Konzepte über die Wirkung des Sports auf das Individuum

und die Gruppe analysieren. Sie möchte untersuchen wie das Wasserballspiel

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auf Wettkampfebene in positiver oder negativer Weise die gefühlsmassigen

Beziehungen des Einzelnen gegenüber der Gruppe beeinflussen.

b) erklären, wie unvollständig die Definition, nachdem „der Sport das

Zusammenspiel der körperlichen und geistigen Aktivität, mit dem Ziel den

Zustand des gesamten psycho-physischen Apparats zu erhalten und zu

verbessern“ ist. Tatsächlich kann sportliche Aktivität, die in der Freizeit auf

amateur oder professioneller Basis ausgeführt wird, für die Gesundheit

schädlich sein, wenn sie nicht von einem Team entsprechend kontrolliert

wird.

c) die Motivationen zu verstehen, die die Athleten dazu bringen verbotene

Substanzen, normalerweise als Dopamine bezeichnet, zu benutzen, die die

persönliche athletische Leistungsfähigkeit aber auch die psycho-physische

Struktur des Athleten verändern.

d) eine Vorstellung der zukünftigen Entwicklung des Sports im Allgemeinen

und des Wasserballspiels im Besonderen zu beschreiben.

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KAPITEL 1

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Wasserball…in einem Atemzug

Schwimm Cesare, schwimm Cesare jetzt nicht aufgeben! Noch ein

paar Meter und du kannst Luft holen, wenn auch nur für ein paar Sekunden.

Wie oft hat sich dieser Satz, dieser Ablauf eindringlich in meinem Kopf

wiederholt, um mich davon zu überzeugen nicht aufzugeben, durchzuhalten,

weiterzumachen auch in harten Momenten, wenn das Fehlen des Sauerstoffs

dir den Mageneingang verschließt und die Arme zwei Zementblocke werden,

die kaum zu kontrollieren sind. Ja, weil Wasserballspielen heißt auch das und

gerade das. Ein Mannschaftssport bei dem man sich mit sich selbst

konfrontieren muss, noch vor der Konfrontation mit der Gruppe. Der Ball, das

Spiel, die Taktik kommen später. Nach Stunden härtesten Trainings im

Wasser und spezifischer Potenzierung im Fitnesscenter. Genau in dieser

Phase werden unser Körper und unser Charakter geschmiedet. Eine nötige

Passage die jeder Spieler durchlaufen muss, wenn er Teil der Gruppe werden

will. Teil einer Situation die über die Individualität und den Individualismus

hinausgeht.

Eine nötige Anstrengung. Im Grunde sind wir Landlebewesen und deshalb

sind unsere lebensnotwendigen Funktionen nicht daran gewohnt, in einem

anderen Lebensraum zu arbeiten, wie z.B. im Wasser. Es reicht schon „nur

ins Wasser zu gehen“ wie man im Jargon sagt, dass unser Körper Funktionen

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in Gang setzt, von denen wir nicht einmal wussten, sie zu besitzen. Der

Herzschlag nimmt zu und nur nach Monaten der Anpassung wird der

Herzschlag auch im Wasser gleichmassig aber trotz allem immer

unterschiedlich zum natürlichen Rhythmus. Übrigens, wir als

Wasserballspieler sind nur nach Jahren von leistungssportlicher Aktivität

dazu in der Lage, den athletischen Anforderungen Stand zu halten und dazu

braucht man Disziplin und Selbstaufgabe. Zwei Verhaltensweisen, die leider

heute verloren zu sein scheinen.

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Das Wasserballspiel

Der Wasserball ist ein berühmter und weltweiter Mannschaftssport den

man im Wasser spielt. Die Mindestmasse des Spielfelds, in diesem Falle der

Schwimmbäder, gehen von 33 x 20 m (bei Männer) bis 25 x 12 m (bei

Frauen). Einige Signale, die am Bord des Beckens angelegt werden, zeigen

imaginäre Linien:

Die Torlinie (weiss);

Die 2 Meter Linie, die benötigt wird um das Abseits zu begrenzen (rot);

Die 5 Meter Linie die den Bereich begrenzt wo ein “schweres Foul” mit

einem 5 Meter Freistoss bestraft werden kann (gelb);

Die Mittelfeld Linie an der das Spiel beginnt und an der man nach jedem

Tor wieder starten muss;

Bild 1 – Diagramm eines Wasserballfeldes nach den Regeln der FINA (2005)

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Der Wasserball wird im Schwimmbad gespielt. Gegner sind zwei

Mannschaften von je sieben Spielern, Torwart eingeschlossen. Beide

Mannschaften bestehen insgesamt aus 13 Spielern, von denen 6 auf der Bank

sitzen müssen. Es gewinnt die Mannschaft die mehr Tore schießt.

Die Spieler müssen, nach den Regeln, Kappen mit Ohrschutz tragen

Verletzungen zu verhindern. Die Kappen müssen von unterschiedlicher Farbe

sein, seien sie der Gast oder die Heimmannschaft. Die Heimmannschaft trägt

weiße Kappen, während der Gast schwarze oder blaue hat. In beiden Fällen

müssen die Torwärter eine rote Kappe aufsetzen. Jede Kappe hat seine

Nummer von 1 bis 13. Das Spiel dauert vier Zeiten von je 8 min. (die Zeit

stoppt bei jedem Tor und Foul) in der Männer- und Frauenliga A1 und A2, in

der B-Gruppe und in der Junior Meisterschaft.

Nur in der 1. und 2. Männerliga, und während der Play Off oder Play

Out Spiele im Falle von der 1. Frauenliga, werden zwei Schiedsrichter

eingesetzt, die durch einer Jury unterstützt werden. Die Schiedsrichter können

zwei Arten von Fouls pfeifen: leichte oder schwere, d.h. einen

vorübergehenden Ausschluss von der Dauer von 20’’. In allen

Meisterschaften können die Spieler maximal drei Ausschlüsse haben, dann

müssen sie das Spiel verlassen. Außerdem gibt es den definitiven Ausschluss

wegen “Brutalität” oder “Gewalttätigkeit” oder “Protest“. Die Spielaktion

dauert 30’’ und startet im Moment indem eine der beiden Mannschaften

wieder den Ball bekommt. Wenn ein Schuss aufgrund einer Abweichung

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eines Verteidigers außerhalb der Torlinie endet, startet das Spiel wieder mit

den Ball in den Händen der Mannschaft die zum Zeitpunkt des Schusses

verteidigt hat; im Gegensatz dazu, bei einer Abweichung vom Tormann,

bleibt der Ball in den Händen des Teams das gerade im Angriff war und das

Spiel startet wieder von der 2 Meter Linie. Dennoch, falls ein Verteidiger den

Ball mit Absicht außerhalb des Spielfelds schießen sollte, würde der Ball der

anderen Mannschaft wieder zurückgegeben.

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Die historischen Ursprünge

Dies sind die in Italien heute benutzten Hauptregeln. Aber wann

entsteht der Wasserball?

Der Vorgänger des modernen Wasserballsports war ein Spiel das zum

ersten Mal in Großbritannien im Jahre 1869 auftauchte. Es war sehr beliebt

bei den Athleten, die eine größere Vielfalt von Schwimm-Wettbewerben

wollte. Diese Sportart zog gleich das Interesse der Zuschauer an. “Fußball im

Wasser” (“football in the water”), dies war sein erster Name. Ein Jahr später

brachte die “London Swimming Association” ihre Experten zusammen um

die Regeln dieser neuen Sportart zu entscheiden.

Seit dem 1900, mit der Olympiade in Paris, wurde der Wasserball

offiziell in der Liste der olympischen Disziplinen aufgenommen.

Großbritannien (Osborne Manchester Club) gewann diese erste

Veranstaltung.

In Italien trat der Wasserball erstmals am “Bagno di Diana” in Mailand

auf, dank des Vereins “Nettuno” der im Jahre 1899 diese neue Sportart

verbreitete. Es wurde vorgestellt als “Football im Wasser, aber viel schwerer

und harter, das eine außergewöhnliche Energie und Resistenz benötigt”. Die

erste italienische Meisterschaft fand in Neapel 1912 statt. Am 28. Juli 1923,

nach der Erfahrung der Olympischen Spiele in Antwerpen des Jahres 1920,

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entsteht die italienische Nationalmannschaft gebildet von 13 Spielern aus

Ligurien, 2 aus Neapel und 2 aus Mailand. Sie verlor 6-1 in Pavia gegen

Ungarn. Vier Jahre später nahm sie in Bologna zum ersten Mal an einer

Europameisterschaft teil. Es folgen Magdeburg im Jahre 1934 und London

1938. 1947 gewann Italien seine erste Europameisterschaft in Montecarlo und

danach, 1948, gleich die Olympiaden. Die italienische Nationalmannschaft

der Männer hat insgesamt drei Olympiaden gewonnen: in London (1948), in

Rom (1960) und in Barcelona (1992). Außerdem gewann sie auch drei

Weltmeisterschaften: West Berlin (1978), Rom (1994) und Shangai (2011).

Im Gegensatz zu den Männern, begannen die Frauen zum ersten Mal

im Jahre 1906 in Harlem, Niederlande, Wasserball zu spielen. Dennoch

wurde diese Sportart bei den Frauen erst in den 60er Jahren entwickelt. Es

waren v.a. europäische Länder die ihn gefördert haben (Italien, Ungarn,

Russland und Niederlande), aber auch die Vereinigten Staaten von America

und Australien.

Der “Setterosa”, so ist die italienische Frauen Nationalmannschaft

genannt, hat viele internationale Titel gewonnen obwohl die erste

Weltmeisterschaft erst 1986 stattgefunden hat und von Australien gewonnen

wurde. Als Beispiel erinnern wir uns an der Goldmedaille bei der Olympiade

in Athen (2004), wo sie im Finale gegen die heimische Nationalmannschaft

gewannen. Außerdem auch zwei Weltmeisterschaften in Perth (1998) und

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Fukuoka (2001) und vier Europameisterschaften in den Jahren 1995, 1997,

1999 und 2003. Dies alles v.a. dank dem Römer Pierluigi Formicon, Trainer

dieses Teams von 1994 bis 2004.

Der Wasserball ist weltweit von der F.I.N.A. (Fédération Internationale

de Natation Amateur) vertreten, während in Italien die F.I.N. (Federazione

Italiana Nuoto) das ganze regelt.

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KAPITEL 2

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Ich und die Gruppe

Der Sport im Allgemeinen impliziert Gruppe und Gruppendynamik.

Letztendlich sind die meisten Sportarten Mannschaftssports, d.h. sie betreffen

die Leistungen in denen sich Gruppen von Athleten miteinander

konfrontieren.

Demnach berührt der Sport die Gruppe und die Dynamik der Gruppe auf

vielen Ebenen und auf verschiedenste Weise, in dem das Verhalten des

Einzelnen von anderen Personen beeinflusst werden kann. Im Bereich des

Sports kann der soziale Einfluss so gesehen werden, dass die

Mannschaftskameraden miteinander interagieren und eine einheitliche

Mannschaft bilden.

Im Allgemeinen sind im Prozess der Gruppenbildung der Konformismus, die

Führungsrolle und die interpersonalen Beziehungen von ausschlaggebender

Bedeutung. Auch können andere Individuen, seien es die Zuschauer oder

einfach die Mitglieder einer anderen Gruppe, im Kontext einer sich

bildenden oder auch schon bestehenden Gruppe sich auf das Individuum

auswirken. Dieses dritte Argument, die Beziehungen zwischen Gruppen,

wird in diesem Zusammenhang nicht bearbeitet.

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Die Gruppe

In ihrer einfachsten Form kann eine Gruppe als “Miteinander von

Personen am selben Ort zur selben Zeit“ beschrieben werden. Entsprechend

dieser Definition ist es nicht nötig, dass die Personen untereinander agieren,

um als Gruppe betrachtet zu werden. Ausschlaggebend das Miteinander.

In dieser Arbeit spricht man jedoch über Sport, über Wasserball. Deshalb

denken wir bei dem Begriff „Gruppe“ nicht nur an eine einfache

gleichzeitige Präsenz an einem Ort.

“Es ist nicht nötig, dass ihr Freunde seid und abends zusammen ausgeht,

ich will dass ihr diesen Ball reinbringt”.

Ein Satz den einer meiner Trainer während der Vorbereitungen auf die Spiele

häufig gebrauchte und der, meiner Meinung nach, wahr ist. Das Gemeinsame

Ziel und die gleiche Absicht sind sehr wichtig. Dies v.a. in einem Rahmen, in

dem die sozialen Normen entscheidend sind. Sie werden, unterschiedlich

entsprechend der Gruppenzugehörigkeit, vom Einzelnen mit einem ethischen

Verhalten, das möglichst mit den ursprünglichen Zielen übereinstimmt,

respektiert.

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Gruppe und Entscheidung

Das Funktionieren einer Gruppe kann an seiner Fähigkeit gemessen

werden in dem seine Mitglieder in der Lage sind Konflikte zu lösen. Wer

entscheidet wer einen Freistoss schießen darf? Ist es immer der Trainer, der

über den Ausschluss eines oder mehrerer Mannschaftsmitglieder entscheidet?

Wie entscheidet man die Spieler die ein schwieriges Spiel anfangen müssen?

Welche Faktoren bestimmen die Wahl?

Im Allgemeinen wird Entscheidungen treffen als ein Versuch betrachtet, die

zur Verfügung stehenden Informationen zu integrieren um eine von

verschiedenen Verhaltensmöglichkeiten zu wählen. Normalerweise glauben

wir, dass die Gruppen im Entscheidungsprozess gegenüber dem Einzelnen

begünstigt sind: ein einzelnes Individuum kann z.B. einige Informationen

nicht kennen und so zu unüberlegten Entscheidungen kommen. Das ist der

Grund warum Regierungen, multinationale Konzerne, militärische Einheiten

und Sportmannschaften dazu neigen, Entscheidungen einer Gruppe und nicht

einem Einzelnen anzuvertrauen, weil man annimmt, dass die Gruppe besser

die Fähigkeiten seiner Mitglieder vereinen kann, um so falsche

Entscheidungen zu vermeiden. Die wichtigste Frage ist aber folgende: Was ist

der Grund, warum Gruppen manchmal schlechte oder katastrophale

Entscheidungen treffen.

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Gruppenentscheidungen müssen in höchstem Masse die Ideen seiner

Mitglieder respektieren und wiedergeben. Also müssen sich die Mitglieder

einer Gruppe vorher bei den anderen über deren Meinungen, ein bestimmtes

Argument betreffend, informieren. Eine sehr bekannte Regel sagt: Die

Mehrheit gewinnt. Das kann im Allgemeinen gelten aber was passiert, wenn

die Spieler entscheiden müssen und das Eingreifen des Trainers nicht nötig

ist? In diesem Fall könnten die oben genannten Überlegungen gelten: die

Mehrheit. Aber ist es denn wirklich immer die Mehrheit die entscheidet?

Nein. Und das deshalb, weil in einer Gruppe von 13/15 Personen 2 oder 3

entscheiden. Es sind die „Alten“ die die Jüngeren dazu zwingen, bestimmten

Anpassungsregeln zu folgen, die später nicht nur den Verlauf einer Saison

beeinflussen können sondern auch die Entwicklung von Verhaltensweisen

und Charaktereigenschaften des Einzelnen, die in bestimmten Fällen größte

Dankbarkeit oder sogar Hass gegen die Befehle von einem Einzelnen oder

einer kleinen Gruppe von Spielern zeigen können.

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KAPITEL 3

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Die Führungsrolle

“Mit individuellem Talent gewinnt man ein Spiel, mit der

Mannschaft gewinnt man die Meisterschaft”. Michael Jordan. Dieser Satz,

ausgesprochen von einem der besten Basketballspieler aller Zeiten und einem

der meist geliebten und prämierten Athleten des modernen Sports, fasst die

diversen Aspekte dieser Thesis am besten zusammen. Ein Satz, der sich sehr

dem Konzept eines bekannten Trainers, Pierluigi Formiconi, annähert und den

er im Laufe der Saison zu unterstreichen pflegt. „Nicht der Einzelne macht

die Mannschaft, sondern die Mannschaft formt den Einzelnen“. Auch

wenn das Talent einen zusätzlichen Wert darstellt ist es nicht ausreichend für

das Bestehen einer Mannschaft.

Aus diesem Grund ist die Rolle des Trainers so wichtig, wie er das Spiel

bestimmt und die Interpretation die der Einzelne und die Gruppe in der Lage

sind zu geben. Deshalb stellt sich die Frage: „Warum funktioniert eine

Gruppe gut?“

Im Großen und Ganzen hängt das Funktionieren einer Gruppe von folgenden

Variablen ab: der Fähigkeit des Leaders, der Fähigkeit der Gruppe Konflikte,

denen sie begegnet, zu lösen und der Fähigkeit der Gruppenmitglieder

vorteilhafte Entscheidungen für die gesamte Gruppe zu treffen.

„Im Wasser seid ihr, ich ganz sicher nicht. Ich kann euch alle Konzepte

beibringen die ihr wollt, aber mit der Situation musst ihr euch

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auseinandersetzen und ihr musst die Zeiten und Modalitäten bestimmen,

um die Spielaktion durchzuführen.“ (Formiconi)

In diesem Fall beeinflusst der Leader in signifikanter Weise die Lösung der

Konflikte und die Entscheidungsprozesse der Gruppe.

Natürlich gilt das, wenn der Trainer in der Lage war, das Vertrauen der

einzelnen Spieler und der Gruppe zu erringen. Ist dies nicht der Fall, konnte

sich jeder Versuch des Trainers in einen Reinfall verwandeln.

Die Führungsrolle ist die wichtigste Position, die eine Person in der Gruppe

übernehmen kann, denn sie kann der Gruppe der Leitfaden bei der Lösung

vieler Probleme sein. Wenn er alle diese Passagen respektiert, kann der

Leader ein integrierender Bestandteil im Formationsprozess der Gruppe sein.

Wie es häufig im Sport passiert wird die Führungsrolle jemandem aus

Motivationen übergeben, die unabhängig sind von internen Prozessen der

Gruppe. So werden z.B. die Trainer von einem Club oder von einer

Organisation auf Basis finanzieller Kriterien und in langen

Verhandlungsphasen, die oft geheim bleiben, ausgewählt.

Es sei denn, jemand hat bestimmte Fähigkeiten, die ihn zu einem tüchtigen

Kerl machen, kann niemand Leader sein oder sich als solcher verhalten.

Eine Feststellung, die offensichtlich erscheinen mag, die aber die Basis einer

Theorie ist, die in den vergangenen Jahren wiederholt aufmerksam untersucht

wurde. Z.B. den Sozialpsychologen nach ist ein guter Leader die richtige

Person zum richtigen Zeitpunkt am richtigen Platz.

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Die Theorie unterscheidet vor allem zwischen Leadern die sich an der

Aufgabe und solchen, die sich an den Beziehungen orientieren. Dieser

Theorie nach ist der erste Typ von Leader an der Arbeit interessiert, die

gemacht wird, während die Leader die an den Beziehungen interessiert sind,

sich in erster Linie auf die Beziehungen zwischen den Gruppenmitgliedern

konzentrieren (d.h. auf die Tatsache, dass man gute interpersonelle

Beziehungen aufrecht erhalt). Im Sport und speziell im Wasserballsport,

können diese Anmerkungen im großen und ganzen nicht nur auf den Trainer

sondern auch auf die Führungsrolle angewendet werden, die ein einzelner

Athlet im Gruppenzusammenspiel haben kann.

Aus praktischer Sicht und aufgrund meiner persönlichen Erfahrung als Athlet

möchte ich einige Beispiele anführen, die helfen sollen etwas Klarheit in ein

sonst allzu theoretisches Bild zu bringen. Wenn man in eine neue Mannschaft

kommt, kann das Verhalten des Einzelnen normalerweise entweder offen oder

verschlossen sein. Es ist Aufgabe des Trainers und der „Veteranen“ der

Mannschaft, eine gute Eingliederung der „Neuen“ in einer Gruppe, die

vielleicht schon seit Jahren fest zusammenarbeitet, zu garantieren und zu

fordern. In diesem Sinne sind es die Intelligenz und die Fähigkeiten des

“Neuen“ sich an die neuen Rhythmen und Arbeitssysteme zu gewöhnen

während die der „Alten“ darin besteht, in bestmöglicher Weise die

technischen und psychophysischen Eigenschaften des neuen

Mannschaftskameraden zu verstehen. Eine Situation, die schwierig werden

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kann, wenn der neu Angekommene die Sprache nicht kennt oder wenn er aus

einer anderen Kultur kommt. Die Sprachbarriere kann ein schwer zu

überwindendes Hindernis während der ganzen Saison sein und deshalb der

Grund für den Ausschluss eines oder mehrerer Elemente durch den Rest der

Gruppe oder der Mannschaft darstellen. Man riskiert also, dass sich

verschiedene kleine Gruppen innerhalb einer Gruppe bilden, die doch

homogen sein sollte und sich mit einem gemeinsamen Ziel bewegen sollte,

das normalerweise zu Beginn der Saison festgelegt wird, das sich jedoch im

Laufe der selben verändern kann. Aus diesem Grund können die

menschlichen und charakterlichen Eigenschaften wichtiger sein als die

technisch-taktischen. Es gibt so viele verschiedene individuelle Dynamiken

die miteinander harmonieren müssen, um den Sieg der Gruppe zu erreichen,

dass oft die Konfrontation zwischen den Spielern, zwischen Spielern und

Trainer, zwischen Mannschaft und Manager notwendig wird und noch

wichtiger ist als der ganze technische Aspekt.

„Wenn ihr nicht daran glaubt, was ich euch sage, ist es unnötig

weiterzumachen. Ihr musst hundertprozentig überzeugt sein. Wenn ihr es

nicht seid, stellt Fragen und ich bin sicher dass ihr euch überzeugen lasst.“

(Formiconi)

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KAPITEL 4

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Das Doping

“Verabreichung oder Verwendung körperfremder Substanzen in

ungewöhnlicher Mengen und Methoden seitens eines gesunden Menschen,

mit dem einzigen Zweck eine künstliche Verbesserung der Leistung des

Wettkampfes zu erreichen”. Das ist die vorgeschlagene Definition des

Dopings durch das Internationale Olympische Komitee (CIO).

Nach der italienischen Gesetzgebung, aufgrund des Artikels 1 des Gesetzes

vom 14. Dezember 2000 Nr. 376, das in Italien den Gesundheitsschutz der

Sportaktivitäten und des Kampfes gegen das Doping reguliert, “ist Doping die

Verabreichung und Einnahme von biologisch und pharmakologisch aktiven

Medikamenten und das Durchlaufen einer mit einem pathologischen Zustand

nicht gerechtfertigten medizinischer Praxis, die den psychophysischen oder

biologischen Zustand des Organismus verändert und die Wettbewerbsleistung

der Athleten verbessert”.

Doping gilt also als eine strafbare Handlung, die mit drei Jahren

Gefängnis bestraft wird (die mehr werden können wenn effektive Schäden für

die Gesundheit auftreten), wenn es ein Minderjähriger ist der dazu gebracht

wird diese fürs Doping verbotenen Substanzen zu nehmen oder wenn es sich

um einen Angestellten vom CONI handelt, der sie verteilt. Nur der von einem

Arzt dokumentierte und bestätigte pathologische Fall, und wenn die

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Gesundheit sichergestellt ist, kann mit diesen verbotenen Substanzen

behandelt werden und dem Athleten die Möglichkeit geben trotzdem am

Wettkampf teilzunehmen. Während der Wettkämpfe und der Sportaktivitäten

sind verschiedene vom Internationalen Olympischen Komitee (CIO)

genannten Labors für die Doping Kontrolle verantwortlich.

Die biologischen und pharmakologischen aktiven Substanzen können

in drei Hauptkategorien eingeteilt werden:

e) Die für Doping nicht verbotene Medikamente, die aber für andere

Zwecke als die erlaubten benutzt werden,

f) Die für Doping verbotene Medikamente,

g) Die Nahrungsergänzungsmittel, d.h. die gesundheitlichen Produkte die

benötigt werden um eventuelle Verluste von Nährstoffen zu integrieren

(Salze, Vitamine, Aminosäuren).

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Bemerkungen zur Geschichte

Die Athleten benutzen seit Jahrhunderten körperfremde Stoffe um ihre

Leistungen zu verbessern. Zum Beispiel, kann man von einigen Schriften von

Platone annehmen das die für die Gewinner bestimmten Prämien der

Olympischen Spiele sehr hoch waren, oft ca. 500.000 der aktuellen Euro. Das

Auftreten des Berufssports und der starken kommerziellen Interessen brachte

schnell zur Korruption und zur Erscheinung von Täuschungen.

Auch in der römischen Kultur nahm der Sport eine wichtige Rolle in

der Gesellschaft ein. Dennoch unterschieden sich die Sportaktivitäten sehr

von den antiken griechischen Olympiaden. Die römischen Zuschauer waren

aber eher von den Wettbewerben der Zweigespanne und den Kämpfen der

Gladiatoren begeistert als von den athletischen Wettkämpfen. Aus diesem

Grunde bezogen sich die häufigsten gesetzwidrigen Verhalten auf die

Verabreichung von stimulierenden Mischungen and die Pferde und den

Halluzinationssubstanzen and die Gladiatoren.

In den 50er Jahren des XX Jahrhundert verbreitet sich das Interesse an

den körperfremden Stoffen für die Verbesserung der Leistungen. Im Jahre

1967, aufgrund der steigenden Verbreitung des Dopings und der mehrfachen

Todesfälle wegen Gebrauch der verbotenen Substanzen, hat der CIO eine

medizinische Kommission gegründet und als erste Liste der verbotener

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Substanzen erstellt. Im Jahre 1972 hat auch die Internationale Föderation der

Amateur Athleten (IAAF) eine medizinische Kommission gegründet und als

Vorbeugungsmassnahme die Urinprobe eingeführt. Diese Analyse

ermöglichte nur ein Screening der stimulierenden Substanzen und ab 1974

wurden die Prüfungen auf die Anabolika erweitert. 1976 wurden acht

Athleten bei der Olympiade in Montreal (Kanada) bei den Kontrollen positiv

gefunden. Parallel zur Entwicklung der Doping Methoden konnte man, ab

diesem Zeitpunkt, eine Verbesserung der Prozeduren für die Identifikation der

Dopingsubstanzen verfolgen.

Kann die Verwendung der Dopingsubstanzen nur auf das Konzept des

Verdienstes und des Profites zurückgeführt werden? Ehrlich gesagt, nach

jahrelanger Wettkampfaktivität kann ich folgende Antwort geben: “Nicht

nur”. Wir sind uns bewusst dass in der heutigen Gesellschaft alles schnell und

sofort erreicht werden muss. Dies, sowie der Profit, die Verdienste, der Druck

der Sponsoren und auch der Vereine hat uns zur Verwendung der

körperfremden Stoffe gebracht ohne dass wir uns dessen wirklich bewusst

waren. Im Grunde genommen möchte der Athlet nicht nur einen sofortigen

Gewinn und eine weltweite Berühmtheit, sondern in vielen Fällen sucht er vor

allem Ruhm und Freude. Oft ist man zu allem bereit um an einem Spiel

teilzunehmen, obwohl es nicht unbedingt die Finale der Weltmeisterschaft

sein muss.

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Mit der Zeit hat sich die öffentliche Meinung immer mehr mit dem

Kampf gegen das Doping beschäftigen müssen. Dies bis zu den heutigen

Zeiten wo mehrere Radfahrer, Ärzte und Leiter der Radevereine von dem

französischen Gendarmen verhaftet worden sind. Ich erinnere mich noch an

die allgemeine Kommentare der Zeit: “Es war offensichtlich das sie gedopt

waren. Wie kann man sechs Stunden lang ununterbrochen Rad fahren und

eine Durchschnittstrecke von 200 km am Tag zurücklegen und das für zwei

Wochen?” Die Frage ist tatsächlich richtig, aber eine weitere Frage sollte

sein: “Warum sind wir an diesem Punkt angekommen?” “Wer möchte dies

alles?”.

Menschen die keine Athleten sind und diejenigen die nicht die Welt

des Sportes kennen, glauben dass die Verwendung der Dopingsubstanzen zu

einer Reduzierung der Müdigkeit führt. Das ist absolut falsch. Ganz im

Gegenteil, die Verwendung einiger Substanzen benötigen ein korrektes

Training und eine methodische und dauerhafte Einsatzbereitschaft damit die

Veränderung der Bluteckwerte nicht in einer eventuellen Dopingkontrolle

erscheint. Dies ist der Fall vor allem bei einigen Produkten, die die roten

Blutkörperchen im Blut nur mit dem Antrieb des Knochenmarks veranlassen,

d.h. ohne eine chemische und künstliche Reaktion zu benötigen. Einige

Sportarten verlangen heute eine doppelte Kontrolle Urin / Blut. Proben die in

den weniger wichtigen Sportarten, wie z.B. Wasserball, nicht regelmäßig,

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sonder nur selten, wiederholt werden um statistische Bücher zu realisieren,

die in den verstaubten Regalen unserer Ministerien landen. Dies ist also eine

große Verschwendung von öffentlichen Geldern.

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Ein ungleicher Kampf In den letzten Jahren gab es eine einmalige technologische und

wissenschaftliche Entwicklung in der Realisierung der körperfremden Stoffe

die die sportliche Leistung sehr stark verändern. Dies wurde herausgefunden

dank der Entdeckungen, die in den Umkleideräumen und Magazinen der

Fußball- und Radvereine gemacht wurden. Die Forschung der Entwicklung

der Dopingsubstanzen ist durchschnittlich 10 Jahre den Methoden der

Forschung der Kontrollorgane voraus. Eine geheime Forschung der

pharmazeutischen Industrie, die deshalb nicht wartet das Produkt zu testen

wie es mit einem Medikament machen würde. Die Probe wird direkt an den

Athleten durchgeführt, die sich aufgrund ihrer Jugend und ihres perfektem

Körpers für unschlagbar halten. Nur nach Jahren, wenn sie schon von allen

und allem vergessen wurden, gehen sie den Schmerzen entgegen. Diese

Krankheiten wurden vom Missbrauch der nicht klinisch getesteten

Medikamente und auch von stundelanger harter Arbeit und Mühe verursacht,

die auch die normalen Lebensfunktionen verändern.

Veränderungen der Leistungen, Medikamente, hartes und tägliches

Training, Kontrollen und Geld. In einem einzigen Wort, Doping und Kampf

gegen das Doping. Zusammenfassend, Kontrollen und Test die aber nie

durchgeführt wurden. Dies wurde in der Vergangenheit festgestellt nachdem

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die Spitzen des CONI und das Labor von Acqua Acetosa in Rom in einem

Skandal verwickelt waren.

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Doping – einige Schlussfolgerungen

Das erste Element, das von dieser kurzen und persönlichen Analyse

hervorgeht, ist, dass dieses Problem des Dopings in der Sportpraxis ziemlich

komplex ist. Man kann dieses Problem nicht mit einfachen

Erziehungskampagnen angehen, die sich auf die Verbreitung von den

Erkenntnissen der dramatischen Nebenwirkungen auf lange Frist beziehen.

Diese zeigten eben nur eine geringe Wirkung auf die Verbreitung des

Phänomens zu haben. “No Limits“ – diese Interpretation des Sports, weit

entfernt von den Leitprinzipien der Olympischen Ideen, die Pierre De

Coubertin formulierte, wird, so scheint es, von den Athleten des hohen

Amateurniveaus akzeptiert. Man bemerkt, dass einige, von Verbänden zur

Verbreitung aller Sportaktivitäten geführten Anti-Doping Kampagnen

eigentlich spielerische und soziale Aspekte der Sportaktivitäten betonen.

Wirksame Anti-Doping-Kampagnen müssten bei der Gestaltung ihres

Aktionsplans die Ausbildung der sozialen Regeln und der Verhaltensnormen

berücksichtigen. In diesem Sinne bemerkt man, dass oft die Rolle des

Trainers, der Spielkameraden und anderer Personen bei der Einnahme von

Doping Substanzen unterstrichen wird (auch auf Medienebene). Seltener,

hingegen, wird von der Möglichkeit Gebrauch gemacht, den sozialen Kontext

zu stärken, indem der Athlet sich befindet, und den Sportler zu ermutigen,

keine Doping Substanzen einzunehmen. Oder letztlich den Athleten zum

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Aufbau einer eigenen Entscheidungs- und Handlungsfreiheit zu motivieren,

die hauptsächlich auf den eigenen, also endogenen Motiven basiert, weniger

auf fremdegesteuerten Prozessen. Letztlich ist folgendes zu unterstreichen:

viele Studien zeigen, dass die Einnahme von Doping Substanzen durch die

Angst, entdeckt zu werden, gehemmt werden kann. Entsprechend kann man

glauben, den Kampf gegen das Doping durch Abschreckung in Form von

Kontrollen zu verhindern. Aber parallel wissen wir wie in einigen Sportarten,

vor allen auch beim Wasserball, die Kontrollen ausgeführt werden. Dies

unterstreicht die Tatsache, dass die Kontrollen nicht den zentralen Aspekt des

echten Kampfes gegen das Doping vertreten dürfen. Dies aus mindestens drei

Gründen:

1. Die Kontrollen, allein aufgrund der Kosten, können nur auf Profi-

Athleten durchgeführt werden, während es ganz klar ist das das

Phänomen sich auch auf Amateur Ebene verbreitet hat.

2. Es ist ein Risiko den Kampf gegen dem Doping exklusiv mit den

Kontrollverfahren anzugehen. Man riskiert somit den endlosen

Wettlauf zwischen der Verbesserung der Kontrollverfahren und deren

Vermeidung zu verstärken.

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3. Sich bei den Anti-Doping Tests einzig auf den Kontrollaspekt zu

konzentrieren, riskiert bei den Athleten die Wahrnehmung

hervorzurufen, das die Wahl, Doping zu nehmen oder nicht, in erster

Linie auf externen Motivationen beruht (die Angst vor Kontrollen,

Ratschläge des Trainers, der Sportführung, der Kollegen, des

Arztes), mehr als auf die Eigenverantwortung des Individuum

hinsichtlich seiner Gesundheit.

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KAPITEL 5

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Einsatz und Konstanz “Wenn er sich nur mehr angestrengt hätte” Ein Satz den man häufig im

Sport und in der Schule hört und den v.a. die Trainer der junior Mannschaften

oft mit Bedauern wiederholen.

Obwohl es zu allgemein und rethorisch klingt, betont dieser Satz die

wichtige Rolle die einer der zwei Faktoren für eine erfolgreiche Aktivität

spielt: das Engagement und die Ausdauer in der Arbeit. Sich in einer Aktivität

engagiert fühlen, heißt sich bewusst zu sein das die eigene Motivation und

Konzentration ausgerichtet werden um bestimmte Ziele zu erreichen. Ein

Kind das mit den Freunden Fußball spielt weiß schon was er sich von dieser

Situation erwartet und strengt sich deswegen an um sie zu erreichen. Sein

Einsatz hängt also von seiner Motivation ab. Wenn sein Ziel ist, der Beste zu

sein, wird er versuchen seine Fußball-Kompetenzen auf dem Spielfeld zu

zeigen und seine Konzentration und Bemühungen werden in diese Richtung

gehen. Anders ist, im Gegensatz dazu, der Einsatz von einem jungen Athleten

dessen Ziel es ist mit den Freunden zusammen zu sein und zur Gruppe zu

gehören; in diesem Fall wird er sich vor allem engagieren um positive soziale

Beziehungen zu etablieren die ihn befriedigen. Es scheint also ganz klar das,

unabhängig der Ziele die man verfolgen möchte, werden sie nur von

demjenigen erreicht, dessen Engagement in diese Richtung geht. In der

heutigen Zeit ist es immer schwieriger Jugendliche zu finden, die ein

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Grossteil ihrer Zeit einem Sport widmen, der wenig Geld aber viele Werte

vermitteln kann. Heutzutage fangen die Athleten schon in der Jugendzeit an

über das Geld und potenzielle Gehalte zu reden, ohne zu bewerten was sie

von ihrem Engagement in Bezug auf Erfahrung gewinnen könnten. Die Frage,

heute mehr als je, ist folgende: warum müsste ein 13 oder 14 jähriger junger

Mensch drei oder vier Stunden seiner Zeit in einem solchen Sport einsetzen,

in dem er sich jeden Tag so bemühen und engagieren muss, wenn er

vermutlich dabei kein Geld verdienen wird? Nach 20 Jahren könnte ich

unheimlich viele Antworten geben, was ich aber gerne betonen möchte sind

die Gefühle nach einem Sieg und auch die Empfindungen die man fühlt jedes

mal wenn man die Enttäuschung einer Niederlage alleine oder mit der

Mannschaft überwinden muss. Dies alles hat keinen Preis und man kann es

nicht mit Geld bezahlen. Ein einfacher und kleiner Schlag auf den Schultern

von einem Kollegen, ein Kompliment vom Trainer, der Applaus der

Zuschauer nach einem Sieg: dies genügt um uns für die harten und schweren

Jahre, in denen wir uns mit unseren Kollegen so bemüht und angestrengt

haben, zu entschädigen. Kollegen die mir geholfen haben mich selbst zu

verstehen und mich mit den anderen auseinander zu setzen oder zu

vergleichen, seien es Kollegen meiner Mannschaft oder Gegner. Mit wenigen

Worten, die mir geholfen haben erwachsen und der Mensch zu werden der ich

heute bin.

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Talent vs Einsatz

Die Relevanz des Engagements zeigt sich auch im Spitzensport, wo es

weitgehend bewiesen wurde das das Talent nicht ausreichend ist um ein

Spitzenniveau zu erreichen, es sei denn du heißt Diego Armando Maradona.

Genau dieses Beispiel, das man im Sport bringt, zeigt das es jedes

Jahrhundert nur einen wie ihn geben kann, einen Athleten mit einem

angeborenen Talent und eine außergewöhnlichen Muskulatur und Struktur.

Die Geschichte des Sports, somit auch des Wasserballs, ist voll mit

Talenten, die nie das Spitzenniveau erreicht haben das man von ihnen

erwartet hätte in Anbetracht ihrer athletischen Fähigkeiten. Die Sportexperten

sind sich immer noch nicht einig in der Identifikation der körperlichen

Eigenschaften die ein Athlet haben müsste um ein Weltmeister zu werden. Im

Gegenteil gibt es keine Zweifel wenn wir von den psychologischen

Kapazitäten reden; alle meinen das das Selbstvertrauen und die

Einsatzbereitschaft wesentliche Eigenschaften sind, um das Spitzenniveau zu

erreichen: um zwischen den Besten zu liegen muss man sich voll und ganz

dieser Aktivität widmen und eine Selbstbeherrschung entwickeln um optimale

Leistungen unter großem Leistungsdruck zu erreichen. Es kann sogar zu

offensichtlich scheinen den Wert des Einsatzes zu unterstreichen, aber um das

Spitzenniveau in einer Aktivität zu erreichen muss man erstmals anfangen

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sich dabei zu engagieren. Natürlich ist es nicht genug unser Bestes zu machen

um Erfolg zu tun, sonst wäre ich schon Weltmeister. Es ist aber ganz klar dass

der Mangel an Einsatz uns nicht erlaubt unser Potential zu entwickeln.

Wer kennt Bill Gates nicht in dieser Welt und im digitalen Zeitalter?

In vielen Interviews hat er betont, dass er immer zehn Minuten mehr als die

anderen gearbeitet hat; das hat ihn immer gekennzeichnet. Wenn wir diese

Aussage in der Welt des Sports übertragen, liegt sie auf den Lippen von

vielen Athleten und Weltmeistern: “Ich gebe immer zu letzt auf”, “Ich

trainiere hart und länger als alle anderen”, “Ich möchte immer mehr machen”.

Natürlich ist der Einsatz nur eine der Eigenschaften, die ein Athlet haben

muss, um Erfolg zu haben und um seine eigenen persönlichen Ziele zu

erreichen. Generell, auch laut Forschungen die zu diesem Thema gemacht

wurden, sind die wesentlichen Elemente, die einen Athleten erlauben ein

Profi zu werden, folgende: Willen zum Erfolg, Entschlossenheit,

Selbstaufgabe und Selbstmotivierung. Außerdem muss man der Sport-

Karriere die Priorität geben, eine hohe Selbstachtung bewahren, versuchen

sich immer zu verbessern und den größten Einsatz zu liefern wenn man

Erfolg haben möchte. Das Talent hilft sehr, aber die ständige Praktik

strukturiert den Athleten und gibt ihm eine Methode auf der er dann arbeiten

muss um jeden Aspekt seines Sportes zu verbessern. In meinem Fall,

individuelle Technik, Spieltaktik, Resistenz und v.a. Intelligenz und

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Schnelligkeit, Eigenschaften die immer nützlich sind, nicht nur wenn man

von Sport redet.

Meiner Meinung nach, müsste sich ein junger Athlet erstmals folgende

Frage stellen: “wie wichtig ist für mich der Sport den ich treibe?” Ich muss

zugeben, dass es sich um eine Frage handelt, die ich mir oft in den

vergangenen Jahren gestellt habe und auf die ich nicht immer die selbe

Antwort habe. Heute z.B., wenn ich ehrlich sein muss, ist der Wasserball ein

wichtiger Teil meines Lebens. Mit 34 Jahren und mit den besten Resultaten

die ich mit meinen Vorraussetzungen erreichen konnte, glaube ich das es

wichtig ist weiterhin diesen Sport zu treiben den ich liebe und indem ich

weiterhin Zeit mit meinen Kollegen aus verschiedenen Altersgruppen

verbringe und die Werte teile. Das Geld spielt auch eine Rolle und das

jährliche Gehalt ist für mich wichtig. Letztendlich, einige Überlegungen die

sich mit der Zeit und den Aufgaben verändern.

Im folgendem möchte ich gerne weitere Aussagen zitieren die den

Athleten helfen können vorherzusehen und zu verstehen wie bereit sie sind

sich zu engagieren:

4. Ich bin bereit einen wichtigen Teil meines Lebens beiseite zu lassen

um als Sportler Erfolg zu haben.

5. Ich strenge mich sehr an um meine Kapazitäten zu verbessern.

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6. Ich nehme gerne am Wettkampf teil und gewinne gerne. Ich

verpflichte mich meine Leistungen und Ergebnisse in positiver Weise

zu bewerten.

7. Ich übernehme die Verantwortung für meine Fehler.

8. In jedem Training versuche ich mein bestes zu machen und mit mir

zufrieden zu sein.

9. Ich lerne gerne neue Techniken

10. Ich betrachte die Fehler als eine Möglichkeit mich zu verbessern und

nicht als eine Schande.

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Die eigenen Grenzen akzeptieren

Die Geduld ist eine weitere Eigenschaft, die eng mit dem Einsatz

verbunden ist. Sie erleichtert die Konstanz und die Gewissenhaftigkeit bei der

Durchführung der Aufgabe. Im Gegensatz dazu behindert die Ungeduld sehr

bei der Erreichung der Ziele. Tatsache ist, dass außergewöhnlich reaktive

Menschen eine langsame Verbesserung der Leistungen nicht akzeptieren

können, weil sie schneller und mit wenig Einsatz lernen wollen. Sie haben

auch Schwierigkeiten aus Fehlern zu lernen, die sie gerne auf unglückliche

Situationen oder auf den Wunsch der anderen zurückfuhren, dass sie Fehler

machen. Im Gegensatz dazu, kann man mit Geduld die psychologische

Energie besser einsetzen und besser am Erreichen der persönlichen Ziele

arbeiten, indem man sich auf die Aufgabe konzentriert. Wenn sich der Geist

zu sehr mit den Gedanken an die Zukunft beschäftigt, z.B. mit Gedanken an

den kommenden Wettkampf, kann der Spieler übermassig besorgt und

deshalb nervös werden, indem er sich vorstellt was passieren könnte und wie

er sich in kritischen Situationen verhalten wird.

Der Geist wird dann weniger Aufmerksamkeit auf das lenken was zu tun ist,

um sich auf das Spiel vorzubereiten und wird extrem auf die zukünftige

Leistung projektiert sein.

Die Geduld, im Gegensatz dazu, ist einer der Schlüssel, um auf die

Gegenwart konzentriert zu bleiben und um eine wirksame Leistung durch die

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Konzentration auf die Aufgabe, die jetzt durchgeführt werden muss, zu

erreichen. Auf diese Weise ist es als wurde ich mich selbst durch die

Realisierung dessen, was ich bis zum Spielbeginn machen muss, führen und

dadurch, dass ich eine konstante Konzentration auf die Gegenwart entwickelt

habe, behalte ich dieses Verhalten auch während des Spiels bei. Und die

Geduld ist es, die mir und den Athleten mehr als alles andere hilft, die

eigenen Grenzen zu akzeptieren und daran zu arbeiten diese zu überwinden.

Beim Wasserball und im Allgemeinen beim Sport ist es wichtig sich dessen

bewusst zu sein, dass sich die Leistung graduell verbessert und größtenteils

vom Wunsch abhängt sich für diese Tätigkeit einzusetzen. Jeder Jugendliche

hat natürlich das Recht zu träumen, eine Medaille bei den Olympischen

Spielen zu gewinnen. Er sollte aber wissen, um eine Chance zu haben, dass er

in kleinen Schritten denken muss um die eigene Leistung zu verbessern. Er

muss das Beste bei jedem Training geben und sich mit dem Trainer

besprechen.

„Ich möchte, dass ihr Blut spuckt wenn ihr aus dem Wasser kommt. Am

Ende jedes Trainings und jedes Spiels, musst ihr todmüde, erschöpft und

vollkommen fertig sein. Ihr dürft nicht einmal mehr die Kraft zum Atmen

haben. Wenn ihr mit dem Bewusstsein verliert, alles gegeben zu haben, das

Maximum, kann man mit mehr Harmonie an der Akzeptation der

Niederlage arbeiten. Wenn ihr hingegen verliert und wisst, nicht das Beste

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gegeben zu haben, werdet ihr die ganze Woche damit verbringen an die

Fehler zu denken die ihr gemacht habt. Das Risiko dabei ist, dass ihr euch

nicht auf die nächste Aufgabe konzentriert.“

Dieser Satz, den Formiconi und andere Trainer üblicherweise mit mehr oder

weniger Heftigkeit wiederholen, erklärt die theoretischen Konzepte, die

bisher besprochen wurden. Praktisch ausgedrückt heißt das, sich die Zeit

geben die nötig ist um die gesetzten Ziele zu erreichen, ohne sich zuviel

Druck zu machen und ohne sich unrealistische Erwartungen zu schaffen. Man

muss sich auf die eigene Leistung konzentrieren und nicht auf die der anderen

und vor allem, jeden Tag von neuem sich so verhalten um kleine

Leistungsverbesserungen zu erreichen die es einem erlauben weiterzumachen

und die persönlichen Träume zu hegen.

Der sportliche Wettstreit ist eine Situation, in der der einzelne Athlet seine

beste Leistung durch die Konfrontation mit den anderen, die das gleiche Ziel

haben, erreicht. Außerdem, je geringer der Leistungsunterschied zwischen

den Sportler ist und je wichtiger das Spiel ist an dem man teilnimmt, desto

größer wird der Kampfgeist der Beteiligten sein. Das bedeutet, dass der

Wettkampf als eine Situation identifiziert werden kann, sich selbst zu führen

und ein positives und optimistisches Verhalten gegenüber den eigenen

Möglichkeiten in einem bestimmten Wettkampf anzunehmen.

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Kurz gesagt: “total überzeugt” zu sein. Im Wasserball sowie in anderen

Sportarten ergeben sich überraschende Ergebnisse auch Dank der

Entschlossenheit und dem Wunsch zu gewinnen und dem positiven

Verhalten, das der Einzelne und die ganze Mannschaft während des

Wettkampfs ausdrücken können. Natürlich muss man dem Optimismus auch

eine optimale körperliche und geistige Präparation hinzufugen.

Das sind Eigenschaften, die man während der Woche beim Training

konstruiert. Die Muskeln allein reichen nicht aus und die berühmte

„Einstellung zu siegen“ wird im Laufe der Zeit mit Leidenschaft, Geduld,

Hingabe und Ausdauer erarbeitet. Es ist der Geist, der als erster trainiert

werden muss, noch vor dem Körper. Wenn der Geist will, folgt der Körper,

außer bei besonders schweren Unfällen.

“Der Ball ist rund; und erinnert euch daran: Ich habe noch nie einen

Mann im Mund eines anderen gesehen”. (Formiconi)

Der Verein Partizan Belgrad der Saison 2010/2011, eine kompakte

Mannschaft, junger konzentrierter und willensstarker Spieler, hat im Endspiel

der Euro

League die höher gewertete Pro Recco, eine millionenschwere Mannschaft,

die sich aus 13 Champions unterschiedlicher Nationalität zusammensetzt,

geschlagen. Ein Sieg der die meisten überrascht hat aber nicht die Leute vom

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Fach. Schon nach den ersten Minuten dieses Endspiels, das im Juni 2011 in

Rom statt fand, konnte man sehen, dass die Spieler, die von einem großen

Exwasserballer wie Igor Milanovic trainiert werden, einen „Gang mehr“

besaßen.

Stärkere Motivierung, stärkerer Siegeshunger und der Wunsch zu beweisen

die besseren zu sein und den Pokal in die Hände zu bekommen, das kann für

einen Jungen aus Belgrad ein Sprungbrett für eine Karriere werden. Deshalb:

Optimismus. Vor allem in Situationen mit hohem Wettkampfstress.

Jeder Spieler ist vor dem Match angespannt, nervös und sich der Bedeutung

bewusst, die diese Situation für ihn hat. Diese psychischen Reaktionen haben

auch sehr unangenehme körperliche Sensationen zur Folge, wie z.B. kalte

und schweißnasse Hände oder auch Magenschmerzen und Übelkeit. Auch

kann man sich körperlich sehr angespannt fühlen, mit Atembeschwerden und

dem Gefühl, das Herz schlägt im Hals und vieles mehr. Diese Reaktionen

gelten sowohl für Spieler mit minderwertigen Leistungen als auch für Sportler

die normalerweise hervorragende Leistungen erbringen. Tatsächlich sind es

nicht die körperlichen Reaktionen die sich negativ auf die Leistung

auswirken. Das was wirklich den negativen Effekt ausübt ist die kognitive

Komponente die mit den körperlichen Symptomen verbunden werden. Anders

ausgedruckt, es ist von fundamentaler Wichtigkeit, was der Sportler denkt,

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wenn er diese körperlichen Symptome fühlt. In diesem Zusammenhang sind

mindestens drei Reaktionen möglich:

1. Positive Reaktion. Der Athlet entwickelt einen internen Dialog

folgender Art: “Endlich ist es soweit, in kurze beginnt das lang

erwartete Spiel. Es fehlt noch eine Stunde und mein Herz ist schon

auf Hundert, als wäre es im Hals. Aber ich fühl mich auch voller

Energie, wie immer vor einem Spiel, ich fühl mich bereit“.

2. Negative Reaktion. Der Athlet entwickelt einen internen Dialog

folgender Art: „Hab ich es doch gewusst! Es sind einfach zu viele

Spiele. Ich fühl mich miserabel mit einem Knoten im Hals das ich

beinahe nicht atmen kann und das alles genau heute am Spieltag.

Auf der anderen Seite, jedes Mal wenn ich vor einem wichtigen

Spiel stehe bin ich zu angespannt, es ist zum Kotzen. Aus meinen

Erfahrungen habe ich wirklich nichts gelernt“.

3. Positive Reaktion auf eine negative Ursache. Der Sportler

entwickelt einen internen Dialog folgender Art: “Ich bin sehr

nervös, bin atemlos, hab 110 Pulsschlage in der Minute und es fehlt

noch mehr als eine Stunde. Wenn ich so weitermache komme ich

schon erschöpft zum Startpfiff. Ich weiß was mir in solchen Fällen

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hilft: tief durchatmen und sich das letzte gelungene Spiel

vorzustellen. Auch jetzt geht es mir so. Ich hab mich gut auf dieses

Spiel vorbereitet und hab alles getan was nötig ist. Das Herz ist in

Ordnung, es schlägt schnell aber das muss so sein, ich bin

angespannt aber nicht mehr besorgt. Jetzt werde ich mich auf meine

Leistung konzentrieren und ich stelle mir genau das vor was ich

machen muss. Meine Aktionen sind flüssig, koordiniert und

sicher“.

Zusammenfassend stellt sich sehr klar dar, Optimist zu sein heißt nicht

ein oberflächliches und draufgängerisches Verhalten zu entwickeln. Es

geht darum sich einzusetzen und ein Verhalten zu entwickeln, das die

persönlichen Möglichkeiten fördert und verbessert mit Hilfe von

psychologischen Vorbereitungsprogrammen, die dazu entwickelt

wurden, Lösungen für die vielen problematischen Situationen zu

finden, die jeder Athlet während seiner sportlichen Laufbahn

bewältigen muss.

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