la parola ai giovani n.1 - anno 2014

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SUPPLEMENTO A LA VOCE DEI BERICI NUMERO 1 DEL 12 GENNAIO 2014 La Parola ai giovani “Chi ha orecchi ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese”. Sette volte viene ripetuta questa frase nei primi ca- pitoli dell’Apocalisse. Vi sembra realistico immaginare che anche adesso, in questo frangente della storia, lo Spirito Santo vo- glia comunicare qualcosa alle Chiese e agli uomini di buona volontà? Io credo di sì! E mi commuove pensare che lo Spi- rito ci possa parlare oggi attraverso la testimonianza di una sedicenne, una giovanissima ragazza paki- stana di religione islamica, candidata al premio Nobel per la pace. Mi è sembrato di sentire la voce dello Spi- rito risuonare con la forza dirompente di una profe- zia, quando il 12 luglio 2013 ho acceso distrattamente la TV. Malala Yousafzai compiva sedici anni; era stata salvata miracolosamente dopo aver subito un attentato rivendicato dai talebani. La causa di quella aggressione era il suo impegno in favore dell’istruzione femminile, bandita dal fondamentali- smo islamico. Nel giorno del suo compleanno Malala parla a New York, nel palazzo delle Nazioni Unite, da- vanti alle telecamere di tutto il mondo. «Cari amici, il 9 ottobre 2012, i talebani mi hanno sparato sul lato sinistro della fronte. Hanno sparato ai miei amici, anche. Pensavano che i proiettili ci avrebbero messi a tacere, ma hanno fallito. Anzi, dal silenzio sono spuntate migliaia di voci. I terroristi pensavano di cambiare i miei obiettivi e fermare le mie ambizioni. Ma nulla è cambiato nella mia vita, tranne questo: debolezza, paura e disperazione sono morte; forza, energia e coraggio sono nati. (…) Cari fratelli e sorelle, io non sono contro nessuno. (…) Non odio nemmeno il talebano che mi ha sparato». «Anche se avessi una pistola in mano e lui fosse in piedi di fronte a me, non gli sparerei. Questo è il sen- timento di compassione che ho imparato da Mao- metto, il profeta della misericordia, da Gesù Cristo e Buddha. Questa è la spinta al cambiamento che ho ereditato da Martin Luther King, Nelson Mandela e Mohammed Ali Jinnah. Questa è la filosofia della non violenza che ho imparato da Gandhi, Bacha Khan e Madre Teresa. E questo è il perdono che ho imparato da mio padre e da mia madre. Questo è ciò che la mia anima mi dice: stai in pace e ama tutti». Nelle parole di questa ragazza così giovane respiro il profumo del vangelo, ricevo l’energia di una carica profetica inaudita. La forza della sua testimonianza mi ricorda la grande visione di Giovanni Paolo II: “Vedo in voi le sentinelle del mattino, in quest’alba del terzo millennio”. Ilvo Diamanti aveva coniato un’espressione geniale e triste per fotografare il mondo giovanile: “genera- zione invisibile”, costretta a vivere nei “ghetti”, in esi- lio, perché non c’è spazio per i giovani in questa società. Più di dieci anni fa, in un’intervista rilasciata al Corriere della Sera, il sociologo affermava: “La so- cietà attuale ha isolato i giovani, li ha chiusi nelle ri- serve come gli indiani, ha smesso di dialogare con loro. Li conosciamo pochissimo”. Malala è diventata un simbolo per me. Nella sua voce avverto l’eco di tante parole scambiate in questi anni con adolescenti e giovani; colloqui personali, momenti di confronto in gruppo, esperienze condi- vise, chiacchiere informali… occasioni preziose per intuire la ricchezza seminata nel cuore di queste nuove generazioni, che attendono con ansia di in- contrare adulti disposti a lasciarsi sorprendere da loro. Malala è un “segno dei tempi”. È tempo di ascoltare “ciò che lo Spirito dice alle Chiese”. Ai giovani non mancano le parole. Forse è agli adulti che mancano gli orecchi! Andrea Guglielmi Dinamiche di gruppo pag. 2 Primo passo costruire relazioni Non solo psicologia pag. 3 Quando un’intuizione s’accende La voce dell’arte pag. 5 Arcabas ci fa sognare la vita Community pag. 6 Un laboratorio per parlare di omosessualità In God we tunes pag. 4 Canzoni come radar di emozioni #ascolto #prossimità #annuncio #parola #eucarestia #comunità #racconti #testimonianze Direttore responsabile: Lauro Paoletto Testi a cura di: Ufficio Diocesano per i Giovani Piazza Duomo n. 2 - 36100 Vicenza telefono: 0444-226556 sito web: www.vigiova.it Impaginazione a cura di: la Voce dei Berici Settimanale di informazione della Diocesi di Vicenza Generazione invisibile o sentinelle del mattino?

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SUPPLEMENTO A LA VOCE DEI BERICI NUMERO 1 DEL 12 GENNAIO 2014

La Parola ai giovani

“Chi ha orecchi ascolti ciò che loSpirito dice alle Chiese”.

Sette volte viene ripetuta questa frase nei primi ca-pitoli dell’Apocalisse.

Vi sembra realistico immaginare che anche adesso,in questo frangente della storia, lo Spirito Santo vo-glia comunicare qualcosa alle Chiese e agli uomini dibuona volontà?

Io credo di sì! E mi commuove pensare che lo Spi-rito ci possa parlare oggi attraverso la testimonianzadi una sedicenne, una giovanissima ragazza paki-stana di religione islamica, candidata al premio Nobelper la pace. Mi è sembrato di sentire la voce dello Spi-rito risuonare con la forza dirompente di una profe-zia, quando il 12 luglio 2013 ho accesodistrattamente la TV. Malala Yousafzai compiva sedicianni; era stata salvata miracolosamente dopo aversubito un attentato rivendicato dai talebani. La causadi quella aggressione era il suo impegno in favoredell’istruzione femminile, bandita dal fondamentali-smo islamico. Nel giorno del suo compleanno Malalaparla a New York, nel palazzo delle Nazioni Unite, da-

vanti alle telecamere di tutto il mondo. «Cari amici, il 9 ottobre 2012, i talebani mi hanno

sparato sul lato sinistro della fronte. Hanno sparatoai miei amici, anche. Pensavano che i proiettili ciavrebbero messi a tacere, ma hanno fallito. Anzi, dalsilenzio sono spuntate migliaia di voci. I terroristipensavano di cambiare i miei obiettivi e fermare lemie ambizioni. Ma nulla è cambiato nella mia vita,tranne questo: debolezza, paura e disperazione sonomorte; forza, energia e coraggio sono nati. (…) Carifratelli e sorelle, io non sono contro nessuno. (…) Nonodio nemmeno il talebano che mi ha sparato».

«Anche se avessi una pistola in mano e lui fosse inpiedi di fronte a me, non gli sparerei. Questo è il sen-timento di compassione che ho imparato da Mao-metto, il profeta della misericordia, da Gesù Cristo eBuddha. Questa è la spinta al cambiamento che hoereditato da Martin Luther King, Nelson Mandela eMohammed Ali Jinnah. Questa è la filosofia della nonviolenza che ho imparato da Gandhi, Bacha Khan eMadre Teresa. E questo è il perdono che ho imparatoda mio padre e da mia madre. Questo è ciò che la miaanima mi dice: stai in pace e ama tutti».

Nelle parole di questa ragazza così giovane respiroil profumo del vangelo, ricevo l’energia di una caricaprofetica inaudita. La forza della sua testimonianza

mi ricorda la grande visione di Giovanni Paolo II:“Vedo in voi le sentinelle del mattino, in quest’albadel terzo millennio”.

Ilvo Diamanti aveva coniato un’espressione genialee triste per fotografare il mondo giovanile: “genera-zione invisibile”, costretta a vivere nei “ghetti”, in esi-lio, perché non c’è spazio per i giovani in questasocietà. Più di dieci anni fa, in un’intervista rilasciataal Corriere della Sera, il sociologo a!ermava: “La so-cietà attuale ha isolato i giovani, li ha chiusi nelle ri-serve come gli indiani, ha smesso di dialogare conloro. Li conosciamo pochissimo”.

Malala è diventata un simbolo per me. Nella suavoce avverto l’eco di tante parole scambiate in questianni con adolescenti e giovani; colloqui personali,momenti di confronto in gruppo, esperienze condi-vise, chiacchiere informali… occasioni preziose perintuire la ricchezza seminata nel cuore di questenuove generazioni, che attendono con ansia di in-contrare adulti disposti a lasciarsi sorprendere daloro.

Malala è un “segno dei tempi”. È tempo di ascoltare“ciò che lo Spirito dice alle Chiese”. Ai giovani nonmancano le parole. Forse è agli adulti che mancanogli orecchi!

Andrea Guglielmi

Dinamiche di gruppo

pag. 2

Primo passocostruire relazioni

Non solo psicologia

pag. 3

Quandoun’intuiziones’accende

La voce dell’arte

pag. 5

Arcabasci fa sognarela vita

Community

pag. 6

Un laboratorioper parlaredi omosessualità

In God we tunes

pag. 4

Canzonicome radardi emozioni

#ascolto #prossimità #annuncio #parola #eucarestia #comunità #racconti #testimonianze

Direttore responsabile:Lauro Paoletto

Testi a cura di: U!cio Diocesano per i GiovaniPiazza Duomo n. 2 - 36100 Vicenzatelefono: 0444-226556sito web: www.vigiova.it

Impaginazione a cura di:la Voce dei Berici

Settimanale di informazione della Diocesi di Vicenza

Generazione invisibileo sentinelle del mattino?

La Parola ai giovani 2

#ascolto #prossimità #annuncio #parola#eucarestia #comunità #racconti #testimonianze

Il tema del gruppo attraversa mol-tissimi momenti della nostra vita;siamo infatti multiappartenenti agruppi sociali come ad esempio lafamiglia, la classe, il team di lavoro,il gruppo degli amici, la squadra.

In alcune culture o subculturela parola “io” non esiste, vieneutilizzato prevalentemente il“noi”. Come a dire che la dimen-sione “gruppale” è prevalente nellavita delle persone. Nella nostra cul-tura l’”io” assume invece una va-lenza centrale, a volte prevaricanterispetto alla istanza sociale. Indivi-dualità e collettività dovrebbero in-vece essere intesi come aspetticomplementari del vivere umano enon antagonisti.

Anche nell’animazione in par-rocchia si “utilizzano i gruppi” perpoter formare ed educare giovani eadulti, a volte con una parziale con-sapevolezza che si ha a che fare conil dualismo individuo-gruppo.

Come l’individuo nasconde die-tro l’immediata apparenza unagrande complessità e mistero,anche il gruppo cela dimensioniprofonde oltre le visibili parvenze.Possiamo parlare di dinamiche digruppo, di processi di gruppo.

Chi si occupa di animazione ededucazione deve acquisire dellecompetenze per poter leggere, in-travedere cosa muove un gruppo,come interpretare alcuni compor-tamenti e programmare attivitàadeguate.

Il primo concetto fondamentaleche trattiamo durante i corsi di for-mazione per animatori è quello chein gruppo ci sono due aspetti in-terconnessi: il “compito” e la “re-lazione”. Per un gruppo giovanileparrocchiale di quattordicenni, adesempio, il compito è quello di ri-trovarsi settimanalmente per trat-tare il tema dell’amicizia. Larelazione, ovviamente, è quella chesi instaura con i coetanei e con glianimatori. È molto probabile che sechiediamo ad un adolescente ilmotivo per cui frequenta i gruppigiovanili, ci risponda “perché cisono gli amici”. Allora se un’equipedi animatori fonda la propria pro-grammazione esclusivamente suicontenuti, non incrocia il bisogno el’appartenenza al gruppo di moltiadolescenti, creando incompren-sioni, malumori e talvolta disgrega-zione del gruppo stesso. Curare lerelazioni vuol dire chiedersi: qual

è il clima del gruppo? Come inte-ragiscono i ragazzi tra loro, con glianimatori e tra maschi e femmine?Ci sono ragazzi esclusi, che non in-tervengono? Sono presenti delleconflittualità tra i ragazzi? Le rispo-ste a queste domande dovrannodiventare parte integrante delleprogrammazioni successive.

Laddove il clima di un gruppo sirivela sereno e “caldo” allora si puòdare molta più attenzione ai conte-nuti da trattare, non dimenticandocomunque di curare gli aspetti re-lazionali. Dove invece il clima digruppo è disturbato, caotico, con-flittuale è necessario programmaredelle attività per portare il gruppoad uno stato di benessere. Quali at-tività fare? Dipende dall’obiettivospecifico che ci si pone e poi ci puòavvalere di molti testi che spieganole attività per animazione deigruppi.

Leggere la tecnica di un’attivitàpuò non essere su!ciente se l’ani-matore non ha anche competenzedi lettura e conduzione di gruppo.Ma questo lo vedremo nel pros-simo numero.

[email protected]

Dinamiche di Gruppo a cura di Marcello Manea - Centro Studi Ce.I.S.

Curare le relazioniPianificare i compiti

Imparare a chiedersi:

Com’è il clima nel gruppo?

Come interagiscono i ragazzi tra loro?

Ci sono esclusi?

Sono presenti conflittualità?

“Mamma, li forconi!”. Sono stati, permolte settimane,la notizia da primapagina dei giornali. E l’oggetto delleingiurie degli automobilisti. Non ditutti, in realtà, perché i “forconi” (èsemplicistico chiamarli così, ma an-diamo più veloci), con la loro prote-sta eclatante, hanno messo sotto iriflettori un’esasperazione che si fa-tica a non comprendere. Più di!cileè stato decifrare cosa il movimentovuole (“tutti i politici a casa”… sì, mapoi?) e più complicato ancora è ca-pire chi sono questi forconi, perchéc’è dentro di tutto. Ora, non è que-sto lo spazio per un analisi seria. Qui

ci occupiamo di “dots”, di puntini, di“minuzie”. E c’è un puntino, in parti-colare, sul quale vorrei concen-trarmi.

Prima di Natale, sul web, ha ri-scosso un certo successo un arti-colo intitolato “Sciopero del 9/12:lettera aperta all’italiano medio”. Inestrema sintesi, l’articolo passa inrassegna gli ultimi dieci anni di sto-ria italiana, mettendo a confrontochi si interessava ai problemi delPaese e l’italiano “medio” che, in-vece, era più preoccupato del calcioo del Grande fratello. A questi, la let-tera rimprovera il fatto che la sua in-

dignazione sarebbe fuori tempomassimo (era appena iniziata laprotesta dei “forconi”) e che bloc-care strade, lanciare molotov o ti-rare sassi non serve a niente. “Ipolitici possono anche andare tuttia casa - scrive l’autore -, ma finchétu non inizierai a sbattere la testacontro i libri il Paese continuerà adandare a rotoli”.

Parole sacrosante, senza dubbio,però c’è qualcosa, in questa lettera,che non mi convince. E che non mifa essere d’accordo. Non lo sono perun vizio di fondo che serpeggia neltesto, una specie di “visione del

mondo”. Questa: «Sai, italianomedio, in fondo in fondo, io, sonomigliore di te. E la colpa è solo tuase oggi tutto va male».

Forse, in mezzo al movimentodei forconi c’era proprio l’italianomedio a protestare. Quello che nonsi è sbattuto sui libri e che, oggi,non ha parole da dare alla sua rab-bia e alla sua disperazione. Non hastrumenti per trasformarle in formedi lotta e!caci, significative, che la-sciano il segno. Con un rischio,grande come una casa: di non es-sere padroni della protesta, di ve-nire strumentalizzati se non,

addirittura, manovrati.Ora, mi chiedo. È giusto? È giusto

che i disperati non abbiano parolee strumenti di partecipazione elotta? Ma soprattutto: è giusto rite-nersi su!cientemente “sopra lamedia” da guardare l’italiano mediodall’alto in basso? No, non è giusto.Sarà semplicistico, ma dove un ita-liano medio non si sbatte sui libri,c’è anche un italiano “sopra lamedia” che lascia le cose così comestanno. Tanto, che gliene frega dichi è sotto la media? Sarà anche unaminuzia, un “puntino”, ma per menon lo è.

Connecting the dots a cura di Andrea Frison

Lettera a un italiano “sopra la media”

La Parola ai giovani

Capita nella vita che un fatto, un’im-magine, una battuta, una lettura ciapra improvvisamente gli occhi.“Non ci avevo mai pensato, ma oracapisco! Come ho fatto a non pen-sarci prima...”.

È qualcosa che ha il gusto di unascoperta, di una novità che era lì,dietro l’angolo, ma che per un qual-che motivo ci era nascosta e che poiimprovvisamente ci appare comeovvia. Non è ancora la chiarezza dichi sa mettere tutte le cose al loroposto ma una traccia, un sentieroche apre vie nuove cercate, speratee che ora si possono provare a per-correre. È il sapore di un’emozioneche rallegra il cuore, che allarga losguardo, che mette in moto il pen-siero, superando quel girare su sestessi di chi è incapace di trovareuna via d’uscita.

È come quando entri in una rota-toria e non sai che uscita prendere.

Ti trovi così a girare a vuoto una,due, tre volte in modo ridicolo. Poidecidi di uscire in quella che ti sem-bra la strada migliore: procedi lenta-mente cercando i punti diriferimento che l’amico ti aveva in-dicato; senti che dovrebbe esserequella la strada, finché quella cheera solo un’intuizione diventa cer-tezza.

Così procede spesso la vita, perintuizioni che via via diventano cer-tezze; così anche la ricerca vocazio-nale, la ricerca della verità di sestessi. Un’idea che dà gioia e ansiaallo stesso tempo e che un po’ allavolta si chiarisce.

Qualcuno ha scritto che l’intui-zione è come un lampo. Una scin-tilla. Uno squarcio nella foschiadel nulla. Ma non arriva da sola,l’intuizione, no. È come l’ispira-zione, l’estro, il momento creativo.Non arriva da sola! Si sembra pro-

prio che sia così nel senso che cideve essere un clima, una disposi-zione interiore che la rende possi-bile. Mi spiego. L’intuizione è semprelegata ad un aspetto della vita che tista a cuore, ad una consapevolezzache si traduce in domanda, in un’in-quietudine, in un desiderio di capireche al momento ti sembra negato. Èquesto il clima dal quale può arri-vare l’intuizione come scintilla,come squarcio nella foschia.

Questo livello più profondo dellavita deve essere risvegliato, educatoe sviluppato. Non si tratta allora,come di solito si pensa, di qualcosadi casuale che capita nella manierapiù spontanea e inaspettata. Tutt’al-tro. C’è un percorso che porta ad en-trare in contatto con livelli piùprofondi della vita, in una capacitàdi ascolto di se stessi alla quale nonsiamo troppo abituati. L’intuizione che va certamente col-

tivata e cercata, non sarà solo ilfrutto di un lavoro personale sulleproprie doti e qualità ma l’esito di unincontro profondo, l’intreccio disguardi premonitori di novità. E’ unvedersi e scoprirsi ri-conosciuticome mai prima di quel momento.

L’intuizione non è allora un purofatto cognitivo; il capire nuovo dacui siamo partiti non è solo un in-sieme di concetti o di ragiona-menti. Questi ci sono mal’intuizione è qualcosa di globalesulla propria vita che tocca anche ilivelli emotivi e che ci aiuta a sen-tirci parte di una realtà più grande,sensata che stimola anche il rischiodi scelte importanti. Ma atten-zione non sarà l’intuizione a fartiscegliere. Essa si pone come ilpunto di svolta in un cammino di ri-cerca che ha un prima e un dopo eche ha bisogno di interagire contanti altri aspetti della vita.

Non solo psicologia a cura di don Andrea Peru!o

3

Stiamo assieme da un anno. La miaragazza studia e vive a Modena daqualche mese. Un giorno parto daPadova e la raggiungo per trascor-rere con lei il fine settimana. Du-rante il viaggio mi faccio il mio “film”,mi immagino quali potrebbero es-sere i particolari di questo fine setti-mana speciale. Noi maschi siamopiù bravi di Stanley Kubrik quandosi tratta di immaginare la sceneg-giatura di un incontro amoroso.

È la prima volta che abbiamol'occasione di trascorrere la notteassieme, tutti soli, lei ed io.Quando apre la porta mi trova così:zaino in spalla e tre gerbere da ria-nimare in mano. Dalla sua espres-sione capisco che Kubrik non è il suoregista preferito. Nello zaino hotutto quello che mi serve: sono unoscout! «Dove dormo?» Le chiedo. Ilfatto che io mi preoccupi di questoparticolare alle dieci del mattino ladice lunga. «Ho portato il sacco apelo - dico - potrei dormire sul di-vano o sopra i pensili della cucina sefosse necessario». Ci ridiamo su e cifa bene ridere, sprigiona la luce deinostri volti, quella luce che è provainconfondibile di felicità.

Trascorriamo una bella giornata ea mezzanotte srotolo il mio sacco apelo e le chiedo di nuovo: «Dovedormo?». «Sul letto, con me!» dice leiridendo. Poi si ritira nel religioso si-lenzio della toilette. Ne esce solodopo aver indossato il suo pigia-mone intero, medievale, inespugna-bile, ignifugo e idrorepellente.

Tocca a me. Mi lavo i denti coldito. Tolgo il superfluo e resto solo

con il mio slip d’assalto, quello rossocon stampigliata sul davanti lascritta “premo e fremo”.

È la nostra prima notte assieme.Immobile, coperta dal piumone finoal mento, lei mi dice: «Buona notte».

Buona notte? Nonostante siapieno inverno, io ho caldo. Muoiodal caldo. «Ma non hai caldo?» Lechiedo. No, dice, sono freddolosa. Iomi giro e mi rigiro. Sono agitato.Una voce dentro di me dice: «Mache fai? Non ci provi?» Un’altravoce mi chiede: «Cosa penserà leise non le mostro il mio interesse?Penserà di non piacerti. Penseràche sei un buono a nulla. Penseràche si un “mezzo uomo”». Unmezzo uomo? Questa voce la rico-nosco: è quella del mio papà. «Papà,cosa ci fai qui? Ma quanti siete?».

Dai e dai a un certo punto mi de-cido. Mando la mia mano in avan-scoperta... «Dove corri?» dice lei.

«Sono un esploratore!» dico io.«Sono contenta per te - risponde -Ma prima di arrivare in cima allamontagna la strada è lunga, esiamo solo all'inizio. Buona notte!».

In quel preciso istante mi rendoconto che è inverno, che fa unfreddo insopportabile e mi sentosolo. Solo e stupido. Mi rannicchio epenso che non dovevo dar retta amio padre, ai miei amici e a tutti imiei modelli di uomo “vero”. Miporto il piumone fin sotto agli occhie respiro piano per non far rumore,più piano del più piccolo grandeamore. Vorrei sparire. Ma strana-mente inizio a provare un imprevi-sto sentimento di sollievo.

Non capisco, è come se quel “no”mi stesse facendo bene. Le voci tac-ciono. Sono sprofondate nella miavergogna. Ora sono davvero solo.Sono davvero io. È come se mi ac-corgessi soltanto ora che accanto ame c'è lei, sotto lo stesso piumone,respirando lo stesso freddo umidobuio di una indimenticabile notte digennaio. È la nostra prima volta. Laprima volta che dormiamo assieme.La prima volta che mettiamo allaprova la nostra intimità. L’io fa spa-zio al tu e finalmente cominciamoad avvicinarci.

La abbraccio. Sento nella panciatutta l’emozione del mondo. Con ilmio abbraccio voglio dirle che ho ilcoraggio e la forza di sopravvivere atutti i no che servono per arrivarenella terra del sì. Voglio dirle che ho

paura di perderla. Voglio dirle che lesono grato. Voglio dirle «Ti amo». Ilbello degli abbracci è che diconomolto più di ciò che noi vorremmodicessero e lo fanno molto meglio dicome lo faremmo a parole.

È la prima volta che le paretidella mia intimità si aprono aquelle dell’intimità di qualcunaltro e formano uno spazio solo.Quel “no” mi ha messo di fronte a leisenza mediazioni. Senza i falsi mitidel come dovrebbe essere. Quel“no”, è solo un no apparente. Dietroquel no, ho sentito il desiderio di vi-vere un’intimità solo nostra, doveciò che succede non si può raccon-tare, perché non ci sono parole perfarlo.

Quel “no” è stato il miglior “no”della nostra vita.

Educare alla sessualità a cura di Manola e Giampietro

La prima volta vista da lui

#ascolto #prossimità #annuncio #parola#eucarestia #comunità #racconti #testimonianze

Quando si accendela lampadina

La Parola ai giovani

Diamo alle canzoni la possibilità diattraversare i territori dell’anima. Aquel punto la musica diventa spec-chio della nostra interiorità, unaspecie di “radar” che legge le nostreemozioni, le esperienze che ab-biamo vissuto e i ricordi che ci por-tiamo dentro. E ancora una volta cichiediamo, da credenti o da cerca-tori di infinito: il testo di una can-zone può entrare in dialogo con iltesto biblico, quella “Scrittura” in cuitroviamo le tracce della Parola diDio? Radio Vigiova ci sta provando.

La conosciamo bene questa can-zone dei Coldplay; un successo pla-netario!

Io avrei alcune domande da farea questa ragazza. Vorrei chiederleche idea ha del paradiso, qualierano i suoi sogni, quali attese sonoandate in frantumi. Cosa significaquesta frase: “She expected theworld”? Si aspettava di “avere ilmondo ai suoi piedi”? Era un ado-lescenziale delirio di onnipotenza,crollato al sopraggiungere delle dif-ficoltà, quando ti arrivano in facciai primi proiettili (the bullets catchingthe teeth), quando ogni lacrima di-venta una cascata (Every tear a wa-terfall)? Che cosa significava per leisognare il paradiso? Era la fuga daun mondo divenuto ostile, fuoridalla sua portata (it flew away fromher reach)? Era un modo per eva-dere dalla vita reale, quando la vitadiventa pesante (Life goes on it getsso heavy)?

Mi chiedo se alla fine questa ra-gazza sia riuscita a cogliere il sensodella vita. Forse avrà capito che ilparadiso non arriva da solo, cheè necessario agire qui ed ora dapersone responsabili, generose, af-fidabili, audaci.

Mi viene spontaneo connettereun testo come questo ad altri testi,come la frase illuminante che trovoin una canzone dei The Sun: “Senon muoviamo un passo verso ilparadiso lui non verrà da noi”(L’alba che vuoi).

Italo Calvino conclude così Lecittà invisibili: “L'inferno dei viventinon è qualcosa che sarà; se ce n'èuno, è quello che è già qui, l'infernoche abitiamo tutti i giorni, che for-miamo stando insieme. Due modici sono per non so!rirne. Il primoriesce facile a molti: accettare l'in-ferno e diventarne parte fino alpunto di non vederlo più. Il se-condo è rischioso ed esige atten-zione e apprendimento continui:cercare e saper riconoscere chi ecosa, in mezzo all'inferno, non è in-

ferno, e farlo durare, e dargli spa-zio”.

Nell’ottica cristiana, il paradisoè un intreccio di presente e fu-turo, è simultaneamente dono eimpegno. È frutto dell’amore diDio e conseguenza del nostro cam-mino, del nostro lavoro, di una lottacontinua contro le forze infernali edemoniache che corrodono ilcuore dell’uomo, che rovinano irapporti tra le persone.

“The sun’s set to rise”. Il sole è de-stinato a sorgere ancora. Si con-clude con questo sguardo disperanza la canzone dei Coldplay.A me vengono in mente le paroledi Gesù: “Se il chicco di grano, ca-duto in terra, non muore, rimanesolo; se invece muore, producemolto frutto” (Gv 12,24). Credo siaquesta la porta del paradiso: nellostile di vita di Gesù si apre perognuno di noi il cammino versouna felicità piena.

È a!ascinante lo spazio che abi-tiamo, il mondo che ci ospita, la“terra degli uomini”. È a!ascinantenon solo per noi, ma anche per Dio!È proprio questa la grande scom-messa della fede cristiana: nellaterra degli uomini Dio stesso haposto la sua dimora, la sua tenda.Ha scelto di essere il nostro co-in-quilino, il partner di un’alleanza, ilnostro compagno di viaggio e diavventure.

Proprio qui, “dove suona la mu-sica e governa la tecnica”, “dove sisperimenta la pratica e si forma lalacrima”, “dove ridono i salici” e“piangono i comici”. Questa mondoè teatro di contraddizioni assurde:trovi arbitri indi!erenti che si limi-tano a “leggere i monitor con lefacce impassibili”, ma fuori “c’è sem-pre un gran sole a sorprenderci”.

“Sotto ai miei piedi c'è un bara-

tro, e sulla mia testa c'ho gli angeli,e qui siamo proprio nel mezzo,nella terra degli uomini”.

Mi lascio cullare dal testo magni-fico di questa canzone e dalla me-lodia vellutata che lo accompagna;sento che mi arriva l’eco semprepiù chiaro di quella “Parola” cheproprio qui - nella terra degli uo-mini - ha edificato la sua dimora: “Eil verbo si fece carne e venne adabitare in mezzo a noi” (Gv 1,14). Civiene detto che la Parola di Dio hascelto di vivere “in mezzo a noi”,proprio nel mezzo, nella terra degliuomini, tra il pozzo e il cielo, tra ilbaratro e gli angeli.

E quale sarebbe lo scopo di que-sta incarnazione? Detto in modopiù semplice: qual è il senso dellavita e della missione di Gesù? Ce lodice indirettamente il buon ‘Jova’,alla fine della canzone: aiutarci ascoprire l’amore vero, quello chenon è “una trappola”, l’amore che

“ti libera”, che ti fa stare in pacenella terra degli uomini; e proprioperché stai bene “ti senti una fa-vola” e capisci che “tutta la vita nonè solamente retorica, ma sostanzapurissima che ti nutre le cellule”.

È quell’amore che sprigiona letue migliori energie e “ti fa venir vo-glia di vivere, fino all’ultimo attimo”.I cristiani si mettono in ascolto diGesù, Parola diventata carne nellaterra degli uomini, perché è graziea lui che impariamo a fare di que-sta terra un luogo ospitale; impa-riamo a trovare “un posto per chi cisorride da un angolo”. Leggere ilvangelo significa apprendere l’artedella fraternità, creare non trap-pole, ma legami, come insegna lavolpe al piccolo principe. “Che cosavuol dire addomesticare?”. “È unacosa da molto dimenticata. Vuoldire creare dei legami…”.

E anche Dio - così fortemente at-tratto dalla terra degli uomini - havoluto creare con noi questo le-game: “Io sono con voi tutti i giorni,fino alla fine del mondo”. Per dirlaancora con le parole del caro Lo-renzo, “Io sono con voi tutti i giorni,fino all’ultimo attimo... fino all’ul-timo attimo”.

Era da un po’ di anni che non miemozionavo così fortemente al-l’ascolto di una canzone di Elisa.L’anima vola è una magnifica foto-grafia dell’interiorità umana, coltanel suo essere in movimento, nellasua apertura al mondo, alle rela-zioni.

Proprio questa visione dinamicadell’anima mi fa pensare a tantepossibili connessioni con una pa-rola biblica: “spirito”. C’è lo spiritoumano e lo Spirito di Dio, ma credosia questo il termine più adatto pertradurre l’idea di anima che la can-zone descrive.

Lo spirito nella bibbia è vento,forza, energia... al tempo stesso è

alito, respiro, intimità. “Un bacio ècome il vento; quando so"a pianoperò muove tutto quanto”. È sug-gestivo pensare che questo inne-sto di forza e dolcezza sia ilregalo più grande che Dio abbiafatto all’uomo: “Allora il SignoreDio plasmò l'uomo con polvere delsuolo e so"ò nelle sue narici unalito di vita” (Genesi 2,7). Nel testodella canzone si dice che “l’anima èforte”. È intrigante pensare che ilnostro spirito diventi ancora più ro-busto e grintoso quando incontra ilSanto Spirito di Dio: “Venne all'im-provviso dal cielo un fragore, quasiun vento che si abbatte impetuoso”(Atti 2,2).

Bella l’idea di un’anima capace divolare. la Genesi inizia così: “lo spi-rito di Dio aleggiava sulle acque”(Gn 1,2). Lo Spirito appare più volte,nei testi biblici, in forma di co-lomba.

I passaggi più intensi nel testo diElisa riguardano la dimensione re-lazionale, quella sete di autenticità,di verità, di profondità nei rapportidi amicizia e di amore “Se mi guardinegli occhi cercami il cuore, nonperderti nei suoi riflessi. Non micomprare niente; sorriderò se ti ac-corgi di me fra la gente. Sì che è im-portante che io sia per te in ogniposto, in ogni caso quella di sem-pre. L’Anima osa (...) e come ballaquando si accorge che sei lì a guar-darla. Non mi portare niente; mibasta fermare insieme a te unistante, e se mi riesce poi ti saprò ri-conoscere anche tra mille tempe-ste”. Lo Spirito rompe le barriere, ab-batte i muri, e crea la comunione, larelazione, la comunità. Paolo scrive:“camminate secondo lo Spirito”(Galati 5,16). Camminare secondolo spirito significa superare l’egoi-smo e andare incontro all’altro, peressere artefici di amore, di cura, ditenerezza, di responsabilità verso lapersona che ami... verso ogni fra-tello.

Lo Spirito nel giorno di Penteco-ste è fuoco che scende dal cielo,quel fuoco che nella bibbia evocasempre l’amore, il coraggio, la pas-sione e l’entusiasmo. “Le grandiacque non possono spegnerel’amore”. Così si conclude il grandepoema amoroso, il Cantico dei Can-tici. E proprio così si conclude lacanzone di Elisa: l’anima vola…mica si spegne.

Volete un piccolo suggeri-mento? Ascoltate la canzone diElisa e poi rileggete la famosa pre-ghiera di don Tonino Bello DammiSignore un’ala di riserva: “Ho lettoda qualche parte che gli uominisono angeli con un'ala soltanto:possono volare solo rimanendoabbracciati...”.

In God we tunes a cura di don Andrea Guglielmi

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ParadiseColdplay

L’anima volaElisa

Nella terra degli uominiJovanotti

#ascolto #prossimità #annuncio #parola#eucarestia #comunità #racconti #testimonianze

Canzoni come radarColdplayJovanottiElisa

Seguila rubrica “In God we tunes”

ascoltando online o sca-

ricando il podcast delle

puntate di Radio Vigiova: www.radiovigiova.it

La Parola ai giovani

La bicicletta verde è un piccolo gran-de sogno di libertà. Wadjda è unabambina di dieci anni che vive nel-la periferia di Riyadh, capitale del-l’Arabia Saudita. Per molti aspettiassomiglia ai preadolescenti di ognialtro luogo della terra: preferisce le

scarpe da ginnastica e la musicarock, assiste pensosa ai litigi deigenitori, non sempre ama andare ascuola. Ma il suo desiderio di indi-pendenza deve scontrarsi con unsistema culturale e religioso che ini-bisce fortemente la donna e le sueaspirazioni. Dopo una sfida lancia-tale da Abdullah, inseparabile com-pagno di giochi, Wadjda inizia asognare un oggetto proibito algenere femminile: la bicicletta. Perpoterla comprare arriva addiritturaad iscriversi ad una gara di culturacoranica, la cui vincita in denaro lepermetterebbe - paradossalmente -l’acquisto di ciò che la stessa reli-gione le proibisce.

Il film (il primo girato in ArabiaSaudita grazie ad una coproduzionearabo-tedesca e presentato allaMostra del Cinema di Venezia nel2012) a!ronta, senza mai esseresuperficiale, tematiche diverse lega-te al ruolo della donna nel mondoarabo, alla religione e al rapportotra Islam e modernità, all’adole-

scenza con le sue contraddizioni e isuoi sogni di libertà.

Gli oggetti in questo film (la bici-cletta, ma anche le scarpe o unvestito alla moda, la radio e le cu"eper ascoltare la musica) acquistanoevidentemente una forte valenzasimbolica. Fuori da un contesto diconsumismo esasperato in cui lecose materiali sfumano fino a per-dere il proprio valore, la contrap-posizione tra avere ed essere vienemeno e la reale possibilità di a!er-mare un’identità diversa passaanche attraverso il possesso, anzi laconquista di alcuni beni capaci diesprimere emancipazione e liber-tà. Wadjda - con il candore dell’in-fanzia e la tenacia dell’adolescenza- sfida apertamente un sistemachiuso e maschilista, in cui le donnesembrano assumere valore sempree soltanto in funzione dell’uomo,delle loro funzioni di mogli e dimadri. L’abbraccio con la madre e lacorsa spensierata con Abdullah allafine del film divengono il segno che

forse gli a!etti piùsemplici e veri posso-no fare breccia eaprire spazi di vitaanche all’internodei sistemi più rigi-di e oppressivi.Wadjda, senzaparticolari riven-dicazioni, riescea tracciarel’idea che unfuturo diver-so per i gio-vani è possi-bile e chegli sforzi e is a c r i fi c inon sonomai vani.

La bicicletta verde eun delicato inno alla speranza. Unfilm da vedere per capire le diversi-tà culturali e religiose, ma forseanche per capire meglio noi stessi eridare valore a quanto ogni giornorischiamo di dare per scontato.

Buio in sala a cura di don Alessio Graziani

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La bicicletta verdeUn desiderio di libertà

Con una piccola tela ad olio, l’artistafrancese Arcabas (pseudonimo diJean-Marie Pirot, nato a Trémery nel1926) ci parla di vita. E di molto altroancora...

Apparentemente innocua, silen-ziosa, l’opera ha in se un messaggioche urla in modo dirompente. Ladonna che si presenta ai nostriocchi nuda, con i seni accennati dasemplici tratti di pennello, dritta estabile come una colonna, ci fissamuta negli occhi. Non riusciamo avedere con chiarezza i tratti del vol-to perché si trova in una luminosaatmosfera. Le tonalità sono quelledell’azzurro e del violetto. Il montealle sue spalle la protegge comeun mantello. È serena e le labbrarosee accennano un sorriso. Cisono anche delle colombe che levolano attorno, ma il suo sguar-do è solo su di noi perché vuolecondurci a guardare il tesoro cheprotegge con le mani. E come nonnotarlo? Il suo ventre gonfio si tro-va proprio al centro della compo-sizione: un sole raggiante che illu-mina ogni cosa. Persino nelle pro-fonde oscurità, nella parte bassadel quadro, sono presenti piccolescintille dorate che vibrano con laluce.

Evidentemente la donna staaspettando un figlio e tutta la crea-zione è con lei. Ma chi sarà questobambino? Che vuol dire questa

presenza? Con losguardo la donnacerca in noi unacomplicità, unappoggio, vuo-le essere rico-nosciuta nelsuo esseremadre. Provia-mo a chiedercicome poterlaaiutare. Checosa, nel mondodi oggi, può favori-re la sua creatura? Ecosa invece ne ostacole-rebbe la vita?

Ogni nascita è una benedizione,come l’inaspettata gravidanza diElisabetta, anziana e sterile (Lc 1,36)segno che Dio compie ciò che èimpossibile all’uomo. Vale a pro-posito il racconto del cantante cie-co Andrea Bocelli: “I dottori le dis-sero che avrebbe fatto meglio adabortire perché il bambino sarebbevenuto al mondo con qualche for-ma di disabilità. Ma la giovane spo-sa decise di non interrompere lagravidanza e il bambino nacque.Quella donna era mia madre e ilbambino ero io”. Ci siamo mai chie-sti cosa sarebbe successo se qual-cuno avesse provato ad abortirenoi, te? Per Dio ogni vita è preziosa:"Prima ch’io ti avessi formato nelseno di tua madre, io t’ho cono-sciuto”(Geremia 1,5). Papa France-

sco ce lo ricorda:“Guardiamo a

Dio come alDio della vita.Il Dio Viven-te ci fa libe-ri. Diciamosì all’amoree noall’egoismo,

diciamo sìalla vita e no

alla mor te,diciamo sì al la

l iber tà e no al laschiavitù dei tanti idoli

del nostro tempo”. Dobbiamoessere portatori di vita ogni gior-no.

“La fede è una mano che ti fapartorire, - scriveva Alda Merini -partorire un frutto buono! Quan-do Dio si avvicina, la vita diventafeconda e nessuno è più sterile”. Èlui che permette speranze nono-stante le macerie, frumento buo-no nonostante la erbe cattive delnostro campo. Dio viene nel cuoredella vita, nella passione e nellafedeltà d’amore, nella fame di giu-stizia, nella tenacia dell’onestà,quando mi impegno a ridurre ladistanza tra il sogno grande deiprofeti e il poco che abbiamo fra lemani. Perché il peccato non è tra-sgredire delle regole, ma trasgre-dire un sogno.

La voce dell’arte a cura di Francesca Rizzo

L’urlo della vitaArcabas2009, olio e foglia d’oro su tela

#ascolto #prossimità #annuncio #parola#eucarestia #comunità #racconti #testimonianze

L’artistaArcabas

La protagonistadel film

Vita da proteggere,vita da sognare

La Parola ai giovani 6

Nel rito della messa celebrato fino alVaticano II le prime parole pronun-ciate dal sacerdote dopo il segno del-la croce erano: Introibo ad altare Dei(«Verrò all'altare di Dio»). Se nella litur-gia il camminare è, da sempre, unodegli elementi più importanti, pre-sente in quasi tutte le celebrazioni, ilmotivo è proprio questo: è il segnopiù eloquente dell'uomo che avan-za, progredisce verso Dio.

Lo stesso Concilio Vaticano II, peresprimere l'identità della chiesa hascelto l’immagine del popolo ebreo incammino verso la terra promessa: icristiani non sono un popolo di per-sone 'sedute', simili ai custodi di unmuseo; sono un popolo in cammi-no, sulle orme del nomade Abramo edell'itinerante Gesù. Nel Vangelo, èautenticamente discepolo di Cristocolui che segue il maestro e cammi-na dietro a lui: «Chi ama padre omadre più di me, non è degno di me;

chi non prende la propria croce enon mi segue, non è degno di me»(Mt 10,37-38). Per questo, il Sinodocelebrato qualche anno fa dallaChiesa Vicentina, ha voluto cometitolo programmatico “la Chiesa diVicenza, in cammino sulla strada delRegno di Dio, incontra l’uomo e ilmondo”.

Fin dai primi secoli, i cristiani han-no privilegiato il gesto della proces-sione per esprimere celebrativa-mente la loro identità.

Le più antiche processioni sonoquella del 2 febbraio (presentazio-ne di Gesù al tempio) e della dome-nica delle palme (ingresso di Gesùin Gerusalemme). Purtroppo, in que-ste circostanze la preoccupazionedei cristiani è quella di portare a casala candela o il ramo di ulivo; in real-tà candele e ulivo sono prima di tut-to strumenti per la processione: laliturgia ci chiede la disponibilità a

muoverci processionalmente, perricordarci che la vita cristiana è uncammino continuo, dal battesimofino all’ultimo esodo.

La liturgia è il luogo in cuiandiamo incontro a Dio con ilnostro corpo. Per cui una liturgiacaratterizzata dall'immobilità deicorpi non meriterebbe questo nome.Purtroppo, invece, ancora troppospesso, i fedeli si comportano daascoltatori e oranti passivi...

Come l'Eucaristia ci fa tendere ver-so il Regno dei cieli «dove con tutte lecreature, liberate dalla corruzionedel peccato e della morte» potremoglorificare il Padre (Preghiera euca-ristica IV), il camminare fa desidera-re a noi, pellegrini su questa terra,la locanda dell'eternità, dove spe-riamo di essere colmati della gloriadel Padre, tutti insieme e per sem-pre, quando egli asciugherà ognilacrima dai nostri occhi.

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Celebrare insiemela fede e l’amore

La Voce dei Berici ha raccoltonel volume Glorificate Dio nelvostro corpo (isg edizioni), gliarticoli curati da don Pierange-lo Ruaro, direttore dell’U!cioliturgico diocesano, e apparsinella rubrica “I segni della litur-gia”. L’intento della rubrica eraquello di accompagnare i fede-li a riappropriarsi di segni, luo-ghi, gesti e canti che vengonovissuti nelle liturgie e nelle cele-brazioni.

Con La Parola ai giovani,ripubblichiamo gli interventidi don Pierangelo. Invitiamo glianimatori dei gruppi giovanili etutti coloro che hanno ruoli diresponsabilità nelle associa-zioni e nei movimenti, a favori-re nei ragazzi, negli adolescen-ti e nei giovani, la riscopertadei segni della liturgia e il gustodi celebrare insieme la fede el’amore di Dio.

Per acquistare o ordinarecopie de Glorificate Dio nelvostro corpo, contattare laredazione de La Voce deiBerici allo 0444.301.711.

La proposta di a"rontare in unincontro-laboratorio un tema spi-noso come il rapporto tra Chiesa eomosessualità, nasce dall’esperien-za della so"erenza e dei disagi(familiari, sociali, relazionali) chespesso si riscontrano nelle piccolerealtà del nostro territorio, dovetemi di questo tipo a volte non ven-gono a"rontati con la dovuta sere-nità e competenza. Nasce quasi percaso, dall’incontro delle nostre duesensibilità: quella di Beatrice Bro-gliato (psicoterapeuta, specializzatain Psicologia Clinica) e quella diDamiano Migliorini (filosofo, lau-reato in Scienze Religiose). Unincontro forse non poi così casuale,

per chi è abituato a vedere nellecose che accadono la manifestazio-ne di una Bontà che ci supera, met-tendo i semi nelle cose e lasciandoalla nostra libertà la capacità dicoglierli e di farli germogliare. Insie-me, attraverso strade diverse, macondivise nel dialogo, siamo giuntialla conclusione che la mentalitàcomune nelle nostre parrocchieriguardo l’omosessualità è ancorafortemente intrisa di pregiudizi, èche è un nostro dovere metterci incammino per aprire delle strade disperanza per le persone e le famigliecoinvolte. Come già scriveva Mons.Valter Danna: «La di!coltà dellepersone omosessuali a vivere nelle

comunità ecclesiali è accresciuta dauna pastorale che si trova normal-mente impreparata o presa allasprovvista di fronte alla presenza diun omosessuale nei gruppi giovani,nelle associazioni, nei movimenti.[...] Capire la diversità è sempredi!cile, ma favorirne l’accetta-zione per una convivenza piùserena è possibile e doveroso,soprattutto nelle famiglie e nellecomunità cristiane [...]. Si tratta diaccogliere, ascoltare, comprendereciò che agita il cuore dell’uomo con-temporaneo nelle svariate situazio-ni in cui si trova».

È maturata così la decisione dicominciare ad entrare nelle piccole

realtà parrocchiali a parlare deltema, attraverso contatti personali egrazie alla disponibilità di alcunisacerdoti.

Da un po’ di tempo, quindi, pro-poniamo dei momenti di riflessionee di scambio di opinioni nelle par-rocchie del vicentino. L’obiettivo checi prefiggiamo non è quello di risol-vere con una parola definitiva lecomplesse questioni che ruotanointorno a questa tematica, bensìquello di fornire alcune indicazioni(teoriche, pastorali e umane) chepossano limitare l’impatto spessosconvolgente che può suscitare loscoprirsi parte dei due mondi: cat-tolico e omosessuale. Gli incontrisono rivolti al singolo, giovane oadulto, che si scopre omosessuale,ma anche - soprattutto - alle fami-glie, al mondo degli a"etti e allacomunità, troppo spesso imprepa-rate ad accogliere una tale, dirom-pente, novità. Nessuna pretesa ideo-logica, quindi, ma un dialogo franco:un momento in cui parlare, parlarsi,porsi e porre delle domande accom-pagnati da chi ha avuto modo, nelsuo corso di studi e nella sua attivi-tà professionale, di approfondireproblematiche così complesse, e lacui soluzione - in fin dei conti - èancora tutta da scrivere.

L’idea che ci guida, nel mettereumilmente a servizio le nostre com-petenze, è che solo parlandosi, in undialogo aperto e rispettoso dellerispettive posizioni - spesso lontanee di!cilmente conciliabili - si possaarrivare a capirsi; il risultato di unconfronto serio può portare a con-fermare le proprie idee o ad addol-cirle, e - nel migliore dei casi - a con-vergere su azioni comuni che alleg-geriscano la so"erenza di chi si trovain situazioni di conflitto interiore.

Chiunque fosse interessato, puòscrivere a [email protected] a [email protected].

Community a cura di Beatrice Brogliato e Damiano Migliorini

Chiesa e OmosessualitàParlarsi per capirsi

I segni della liturgia a cura di don Pierangelo Ruaro

Quando comunichiamo, lo facciamosempre con tutto il corpo; non puòessere altrimenti. Eppure troppe vol-te lo dimentichiamo. Se ne può scor-dare il prete che durante la celebra-zione, a più riprese, si rivolge all’as-semblea; il lettore quando va all’am-bone; il coro, soprattutto ora che èchiamato a trovare il suo posto all’in-terno dell’assemblea (cf documentisulla progettazione di nuove chiese),visibile da essa, per poter svolgere ilsuo compito di guida e traino. La veri-tà o meno, di quello che diciamo, leg-giamo, o cantiamo, è data dal nostrocorpo, dal nostro modo di staredavanti agli altri. Perché anche leparole (dette o cantate) hanno uncorpo. Ne facciamo continuamenteesperienza nella nostra vita. La veritàespressa dalle parole non coincidesemplicemente con il concetto inesse contenuto. Per capire bene ilconcetto, abbiamo bisogno di ascol-tare il suono della voce e guardarel'espressione del viso di chi ci parla.

Quello che rende manifesto il sen-so autentico e vero delle parole ènormalmente nascosto nella lucedegli occhi, nei timbri della voce, nel-la mimica del volto, nei movimentidel corpo. Le parole dicono perché ilcorpo parla. Basta un tono, unainflessione, una piega delle labbra,un lampo negli occhi: e una fraseche pareva scortese si rivela un gio-co a"ettuoso, o, al contrario, quelche aveva tutta l'aria di essere uncomplimento può apparire in unistante una sottile malignità.

Per cui può capitare che il corponon sia in sintonia con le parole chesi dicono o si cantano. Così pure, daparte delle persone che formano l’as-semblea, si pronunciano testi di pre-ghiera, o si compiono i gesti dellaliturgia senza un supporto adeguatodel corpo. Non è raro, per esempio,vedere ragazzi mettersi in fila per lacomunione e camminare con le maniin tasca... Oppure, ancora in moltecomunità c’è l’abitudine di sedersial canto del gloria: le parole in unadirezione, il corpo da un’altra...

Il modo con cui le cose vengonodette, la maniera con cui ci si atteggiacon il corpo, appartengono in pro-fondità al contenuto che si intendeesprimere: è sempre l'uomo interoche parla, canta, celebra.

Camminare

Tutto il corpo comunica

Disegno di S. Erspamer Clip Sacra Ars, Elledici

Il progetto:Un momento di riflessione

e scambio di opinioni

nelle parrocchie

La Parola ai giovani

New York - 12 luglio 2013. Il discorso di Malala Yousafzai all’Onu

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#ascolto #prossimità #annuncio #parola#eucarestia #comunità #racconti #testimonianze

Onorevole Segretario Generale dellOnu BanKi-moon, spettabile presidente dell’AssembleaGenerale Vuk Jeremic, onorevole inviato spe-ciale delle Nazioni Unite per l’istruzione globaleGordon Brown, rispettati anziani rispettati emiei cari fratelli e sorelle: Assalamu alaikum (lapace sia con voi, n.d.t).

Oggi è un onore per me tornare a parlare dopoun lungo periodo di tempo. Essere qui conpersone così illustri è un grande momentonella mia vita ed è un onore per me che oggisto indossando uno scialle della defunta Bena-zir Bhutto. Non so da dove cominciare il miodiscorso. Non so cosa la gente si aspetti chedica, ma prima di tutto voglio ringraziareDio per il quale siamo tutti uguali e ringra-ziare tutti coloro che hanno pregato per unamia veloce guarigione e una nuova vita. Nonriesco a credere quanto amore le persone mihanno dimostrato. [...]

Cari fratelli e sorelle, ricordiamo una cosa: ilMalala Day non è il mio giorno. Oggi è il gior-no di ogni donna, ogni ragazzo e ogniragazza che hanno alzato la voce per i lorodiritti.

Ci sono centinaia di attivisti per i diritti umanie operatori sociali che non solo parlano per iloro diritti, ma che lottano per raggiungereun obiettivo di pace, educazione e uguaglian-za. Migliaia di persone sono state uccise dai ter-roristi e milioni sono stati feriti. Io sono solo unodi loro. Così eccomi qui, una ragazza cometante. Io non parlo per me stessa, ma per dareuna voce a coloro che meritano di essere ascol-tati. [...]

Cari amici, il 9 ottobre 2012, i talebani mihanno sparato sul lato sinistro della fronte.Hanno sparato ai miei amici, anche. Pensavanoche i proiettili ci avrebbero messi a tacere, mahanno fallito. Anzi, dal silenzio sono spuntatemigliaia di voci. I terroristi pensavano di cam-biare i miei obiettivi e fermare le mie ambi-zioni. Ma nulla è cambiato nella mia vita,tranne questo: debolezza, paura e disperazio-ne sono morte; forza, energia e coraggio sononati. Io sono la stessa Malala. Le mie ambizio-ni sono le stesse. Le mie speranze sono le stes-se. E i miei sogni sono gli stessi.

Cari fratelli e sorelle, io non sono contro nes-suno. Né sono qui a parlare in termini di ven-detta personale contro i talebani o qualsiasialtro gruppo terroristico. Sono qui a parlareper il diritto all'istruzione per tutti i bambi-ni. Voglio un’istruzione per i figli e le figlie deitalebani e di tutti i terroristi e gli estremisti.Non odio nemmeno il talebano che mi ha spa-rato.

Anche se avessi una pistola in mano e lui fos-se in piedi di fronte a me, non gli sparerei.Questa è il sentimento di compassione cheho imparato da Maometto, il profeta dellamisericordia, da Gesù Cristo e Buddha. Questaè la spinta al cambiamento che ho ereditato daMartin Luther King, Nelson Mandela e Moham-med Ali Jinnah. Questa è la filosofia della nonviolenza che ho imparato da Gandhi, BachaKhan e Madre Teresa. E questo è il perdonoche ho imparato da mio padre e da mia madre.Questo è ciò che la mia anima mi dice: stai inpace e ama tutti.

Cari fratelli e sorelle, ci rendiamo conto del-l’importanza della luce quando vediamo letenebre. Ci rendiamo conto dell'importanzadella nostra voce quando ci mettono a tacere.

Allo stesso modo, quando eravamo in Swat, nelNord del Pakistan, abbiamo capito l’impor-tanza delle penne e dei libri quando abbia-mo visto le armi. [...] Gli estremisti hanno pau-ra dei libri e delle penne. Il potere dell’educa-zione li spaventa. Hanno paura delle donne. Ilpotere della voce delle donne li spaventa. Que-sto è il motivo per cui hanno ucciso 14 stu-denti innocenti nel recente attentato a Quetta.Ed è per questo uccidono le insegnanti donne.Questo è il motivo per cui ogni giorno fannosaltare le scuole: perché hanno paura del cam-biamento e dell’uguaglianza che porteremonella nostra società. Ricordo che c’era un ragaz-zo della nostra scuola a cui un giornalista chie-

se: “Perché i talebani sono contro l’educazionedei ragazzi?”. Lui rispose molto semplicemen-te: indicò il suo libro e disse: “I talebani nonsanno che cosa c'è scritto in questo libro”.

Loro pensano che Dio sia un piccolo esseruccioconservatore che punterebbe la pistola allatesta delle persone solo per il fatto che vannoa scuola. Questi terroristi sfruttano il nomedell'islam per i propri interessi. Il Pakistan è unPaese democratico, amante della pace. IPashtun vogliono educazione per i loro figli efiglie. L’Islam è una religione di pace, umanitàe fratellanza. Che dice: è un preciso doverequello di dare un'educazione a ogni bambino.

La pace è necessaria per l’istruzione. In molteparti del mondo, in particolare il Pakistan el'Afghanistan, il terrorismo, la guerra e i conflittiimpediscono ai bambini di andare a scuola.Siamo veramente stanchi di queste guerre.Donne e bambini so!rono in molti modi inmolte parti del mondo.

In India, bambini innocenti e poveri sono vit-time del lavoro minorile. Molte scuole sonostate distrutte in Nigeria. La gente in Afghani-stan è colpita dall’estremismo. Le ragazze devo-no lavorare in casa e sono costrette a sposarsiin età precoce. La povertà, l’ignoranza, l’ingiu-stizia, il razzismo e la privazione dei diritti fon-damentali sono i principali problemi che uomi-ni e donne devono a!rontare.

Oggi, mi concentro sui diritti delle donne esull'istruzione delle ragazze, perché sono quel-le che so!rono di più. C’è stato un tempo incui le donne hanno chiesto agli uomini adifendere i loro diritti. Ma questa volta lofaremo da sole. Non sto dicendo che gli uomi-ni devono smetterla di parlare dei diritti delledonne, ma il mio obiettivo è che le donnediventino indipendenti e capaci di combatte-re per se stesse. Quindi, cari fratelli e sorelle, oraè il momento di alzare la voce. Oggi invitia-mo i leader mondiali a cambiare le loro politi-che a favore della pace e della prosperità. Chie-diamo ai leader mondiali che i loro accordiservano a proteggere i diritti delle donne edei bambini. Accordi che vadano contro i dirit-ti delle donne sono inaccettabile.

Facciamo appello a tutti i governi a!nchégarantiscano un’istruzione gratuita e obbli-gatoria in tutto il mondo per ogni bambino.[...] Invitiamo le nazioni sviluppate a favorirel’espansione delle opportunità di istruzioneper le ragazze nel mondo in via di sviluppo.Facciamo appello a tutte le comunità a"nchésiano tolleranti, a"nché rifiutino i pregiudizibasati sulle casta, la fede, la setta, il colore, egarantiscano invece libertà e uguaglianza perle donne in modo che esse possano fiorire.[...] Esortiamo le nostre sorelle di tutto il mon-do a essere coraggiose, a sentire la forza chehanno dentro e a esprimere il loro pieno poten-ziale.

Cari fratelli e sorelle, vogliamo scuole e istru-zione per il futuro luminoso di ogni bambi-no. Continueremo il nostro viaggio verso lanostra destinazione di pace e di educazione.Nessuno ci può fermare. Alzeremo la voce peri nostri diritti e la nostra voce porterà al cam-biamento. Noi crediamo nella forza delle nostreparole. Le nostre parole possono cambiare ilmondo, perché siamo tutti insieme, uniti per lacausa dell’istruzione. E se vogliamo raggiun-gere il nostro obiettivo, cerchiamo di armarcicon l’arma della conoscenza e di farci scudocon l’unità e la solidarietà.

Cari fratelli e sorelle, non dobbiamo dimen-ticare che milioni di persone so"rono lapovertà e l’ingiustizia e l’ignoranza. Nondobbiamo dimenticare che milioni di bambinisono fuori dalle loro scuole. Non dobbiamodimenticare che i nostri fratelli e sorelle sono inattesa di un luminoso futuro di pace.

Cerchiamo quindi di condurre una gloriosalotta contro l'analfabetismo, la povertà e il ter-rorismo, dobbiamo imbracciare i libri e le pen-ne, sono le armi più potenti. Un bambino, uninsegnante, un libro e una penna possonocambiare il mondo. L’istruzione è l’unica solu-zione. L'istruzione è la prima cosa. Grazie.

Un bambinoun insegnantee una penna

Per cambiareil mondo

Malala Yousafzai (nata a Mingora, Pakistan, il 12 luglio 1997) è una studentessa e attivistapakistana. All’età di tredici anni è diventata celebre per il blog, da lei curato per la BBC, nelquale documentava il regime dei talebani pakistani, contrari ai diritti delle donne, e la lorooccupazione militare del distretto dello Swat. Il 9 ottobre 2012 è stata gravemente ferita allatesta e al collo da uomini armati saliti a bordo del pullman scolastico su cui lei tornava a casada scuola. Ricoverata nell'ospedale militare di Peshawar, è sopravvissuta all’attentatodopo la rimozione chirurgica dei proiettili. Ihsanullah Ihsan, portavoce dei talebani paki-stani, ha rivendicato la responsabilità dell’attentato, sostenendo che la ragazza “è il simbolodegli infedeli e dell'oscenità”; il leader terrorista ha poi minacciato che, qualora sopravvissuta,sarebbe stata nuovamente oggetto di attentati. La ragazza è stata in seguito trasferita inun ospedale di Londra che si è o!erto di curarla. Il 12 luglio 2013, in occasione del suo sedi-cesimo compleanno, parla al palazzo delle nazioni unite a New York lanciando un appel-lo all’istruzione dei bambini di tutto il mondo.

La Parola ai giovani 8

#appuntamenti

Prosegue il cammino di...

Formazione per animatori e educatori

Per informazioni, visitare il sito www.acvicenza.it

Giornata Studio

educatori ACR

19 gennaio 2014

Seminario minore

inizio alle 8.30,

conclusione alle 12.30

con la Messa

All’interno del cammino an-

nuale “Non c’è gioco senza

te” approfondiremo il tema

della partecipazione dei ra-

gazzi nel gruppo, nella par-

rocchia, nella città, nella

liturgia, nell’associazione... e

molto altro! La giornata ini-

zierà con la relazione di Oscar

Mazzocchin, presidente della

cooperativa sociale “Adelante”

di Bassano del Grappa, e se-

guirà con laboratori tematici.

Vi aspettiamo!!!

:-) :-) :-)