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PONTIFICIA UNIVERSITAS LATERANENSIS INSTITUTUM PATRISTICUM AUGUSTINIANUM REV. D. ZORAN DJUROVIC LA PROTOLOGIA E LESCATOLOGIA NEL DE GENESI AD LITTERAM DI SANT’AGOSTINO ANALISI ESEGETICO-TEOLOGICA Excerpta ex dissertatione ad Doctoratum in Theologia et Scientiis Patristicis Romae 2010

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PONTIFICIA UNIVERSITAS LATERANENSIS

INSTITUTUM PATRISTICUM AUGUSTINIANUM

REV. D. ZORAN DJUROVIC

LA PROTOLOGIA E L’ESCATOLOGIA

NEL DE GENESI AD LITTERAM

DI SANT’AGOSTINO

ANALISI ESEGETICO-TEOLOGICA

Excerpta ex dissertatione

ad Doctoratum in Theologia et Scientiis Patristicis

Romae 2010

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Vidimus et approbavimus

iuxta statuta (XIV, III) et Ordinationes (V 28c)

Instituti Patristici Augustinianum incorporati

Pontificiae Universitati Lateranensi.

Prof. Vittorino Grossi, OSA

Prof. Robert J. Dodaro, OSA

Prof. Nello Cipriani, OSA

Imprimi potest

S.E.R. Enrico dal Covolo, SDB

Rector Magnificus Pontificiae Universitatis Lateranensis.

Romae, ex Pontificia Universitate Lateranense

die 20 mensis Septembris A.D. 2010

© Augustinianum 2010

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PREMESSA

Il cristianesimo nascente si trovava nella condizione di porsi tutte quelle

domande basilari che tormentavano l‘uomo sin dall‘acquisizione dell‘intelligenza e

del linguaggio articolato. Clemente Alessandrino, per esempio, scriveva che tutto il

problema della gnosi – sistema concorrente del giovane cristianesimo – si riassume

in una breve serie di domande:

Chi siamo, che cosa siamo diventati; dove siamo, dove siamo stati gettati;

dove tendiamo in fretta, come siamo stati liberati; cos‘è la generazione, cos‘è

la rigenerazione?1

Chi è l‘uomo, qual è la sua natura, da dove proviene, qual è il suo destino?

La stessa domanda si può porre anche in modo da coinvolgere il soggetto pensante

in maniera più intima: chi sono io? Qual è il mio destino? Questo das Ding,

pensato nei secoli dai creatori dei racconti biblici sull‘origine dell‘uomo, è stato in

un determinato tempo canonizzato nei primi tre capitoli della Genesi a noi nota.

Non ci stupisce quindi che proprio questi capitoli, come una quintessenza

dell‘antropologia e della cosmologia biblica, abbiano costituito del materiale su cui

i Padri hanno riflettuto molto di più rispetto agli altri. Il loro fine era duplice: da

una parte si doveva polemizzare con il mondo pagano in possesso di una propria

visione antropologica e i movimenti non riconosciuti come ortodossi dentro il

medesimo cristianesimo, dall‘altra parte si doveva offrire un insegnamento

convincente ai principianti, e infine era necessario illuminare la comprensione dei

progredientes.

Tale impresa aveva come pioniere Filone d‘Alessandria, il primo pensatore

che provò a conciliare la mentalità semitica con quella greco-occidentale.2 Può

1 exc. ex Theod. 78, 2, SC 23, p. 202: ti,nej h=men( ti, gego,namen\ pou/ h=men( pou/

evneblh,qhmen\ pou/ speu,domen( po,qen lutrou,meqa\ ti, ge,nnhsij( ti, avnage,nnhsij) 2 Hegel non lo riconosce come un autentico filosofo, ma come un semita che prova

ad occuparsi di filosofia. Cf. G. W. F. HEGEL, Vorlesungen über die Geschichte der

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2 Z. DJUROVIC

darsi che proprio per questa ragione i primi filosofi cristiani lo riconobbero come

uno di loro. Tra le opere di Filone che riguardano questi temi sono da nominare:

De opificio mundi, Legum allegoriae, Quaestiones in Genesim di cui abbiamo

soltanto dei frammenti e De aeternitate mundi. Tra gli autori cristiani vanno

menzionati: Teofilo di Antiochia con il suo Ad Autolycum; Lattanzio, De opificio

Dei; Origene, Homeliae in Genesim; Didimo il Cieco, In Genesim; Efrem il Siro,

In Genesim et in Exodum commentarii, De paradiso; Basilio il Grande, Homiliae

in hexaemeron; Gregorio di Nissa, De opificio hominis; Girolamo, Quaestiones

hebraicae in Genesim; Zenone di Verona, Tractatus; Ambrogio di Milano,

Hexaemeron e De paradiso; Ilario, Tractatus super psalmos, Giovanni Crisostomo,

In Genesim (homiliae 1-67) ed In Genesim (sermones 1-9). Cirillo di Gerusalemme

tocca quest‘argomento nelle sue Catechesi; degli Antiocheni sono rimasti

solamente i frammenti dei commenti sulla Genesi di Diodoro e di Teodoro, loro

sommo esegeta. C‘erano sull‘Exameron anche le opere, purtroppo andate perdute,

di Ippolito, di Rodone, di Candido e di Apione.3

Tale pluralità di commenti sulla Genesi rende difficile l‘identificazione

delle fonti agostiniane. Per queste ragioni non possiamo neanche precisare a chi

Agostino, che è solito ad esprimersi genericamente, fa riferimento. Infine, tutti

questi elementi hanno contribuito alle diverse piste che Agostino intraprese e che

sono state valutate con la Scrittura, che rimarrà la misura somma nella sua

riflessione matura. Malgrado tutte le complessità che offuscano le fonti

agostiniane, la natura di una ricerca dottorale esige l‘individuazione delle fonti che

un autore ha probabilmente letto. Non si può decontestualizzare il suo pensiero.4

Philosophie, Dritter Band, hrsg. KARL LUDWIG MICHELET (G. W. F. HEGEL, Werke,

Fünfzehnter Band), Berlin 1836. Cf. il paragrafo dedicato a Filone (pp. 18-26),

particolarmente quando dice: ―Diese Auffassungsweise ist noch nicht im reinen Gedanken;

Gestalten der Einbildungskraft sind noch darin verwoben‖, p. 24. 3 Cf. L‘introduzione di L. CARROZZI, in NBA IX/1, p. LI. 4 Nello Cipriani ―pienamente condivide‖ le osservazioni metodologiche fatte da P.

HADOT, Porphyre et Victorinus [Collection des études augustiniennes. Série antiquité 32-

33], Paris, Institut d‘Etudes augustiniennes, 1968 (= Porfirio e Vittorino, tr. it. GIRGENTI,

Milano 1993), dove si constata che ―ci sono studiosi che non solo non ritengono utile la

ricerca delle fonti, ma addirittura temono ‗che ricercando le fonti di un autore, si riduca

questo autore alle sue fonti. Si distruggerebbe così la sua originalità, si atomizzerebbe per

così dire l‘unità della sua opera, riducendola ad un mosaico di prestiti e di reminiscenze. Se

si tratta di un autore cristiano, non si rischia così di sminuire la novità del messaggio

cristiano, nel ritrovare alcuni elementi pagani integrati in un‘opera da esso ispirata?

Soprattutto, la ricostruzione delle fonti perdute non sfocia nelle più gratuite delle ipotesi?‘ P.

Hadot accoglie almeno in parte tali timori, perché ‗questi pericoli sono reali e sarebbe

temerario ignorarli‘. Nondimeno aggiunge: ‗Essi provengono da un cattivo uso di un metodo

che, se impiegato con prudenza, è assolutamente indispensabile per chiunque voglia

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PREMESSA 3

Dall‘altro lato un approccio storico-ermeneutico corretto non si può ridurre ad uno

storicismo descrittivo o meramente dossografico, che di un autore sa dire soltanto:

―ha detto…‖ ma non sa spiegare il perché lo ha detto. Non si deve, inoltre,

ricorrere ad un filologismo che si occupa dei termini più che dei concetti la cui

l‘ultima risposta consista nel ritrovamento delle fonti, ossia nella Quellenforschung

positivistica. Dunque, il mio metodo, almeno in parte, segue il programma posto da

H. Marrou nel suo famoso discorso, Tristezza dello storico.5

Sulla primitiva e sull‘ultima condizione dell‘uomo Agostino ha riflettuto

dall‘inizio alla fine della sua vita intellettuale. Il mio studio, partendo dal De

Genesi ad litteram, l‘opera che rappresenta quasi l‘apice della riflessione

agostiniana – visto che Agostino progredì su certi punti – mira a individuare

proprio lo sviluppo del suo pensiero su questo problema. Lo studio proposto

vorrebbe presentare la prima e la successiva visione agostiniana circa la protologia

e l‘escatologia passando in rassegna le diverse fasi del suo pensiero, avendo

l'intenzione di ricomporre, in mancanza di uno studio complessivo,

un‘osservazione d‘insieme del mosaico sparso nel tempo e nello spazio

agostiniano. Esistono infatti studi particolari ma non quelli che approfondiscono

nel loro insieme i due modelli (rapporto protologia/escatologia nel giovane

Agostino e medesimo rapporto nel suo pensiero maturo) così chiaramente

evidenziabili. Nulla di questa sintesi sarebbe possibile senza le precedenti indagini

laboriose e preziose. Ogni salto di qualità nella lettura dei testi di Agostino è stato

seguito da polemiche molto aspre. Partendo da questo presupposto posso affermare

fin da ora che la mia valutazione è destinata a critiche dagli opposti schieramenti,

ma ugualmente ritengo che si dovrebbe prendere ciò che di buono esiste in

entrambi e presentare il pensiero di Agostino quanto più oggettivamente possibile

– e questa potrebbe essere una presunzione – anche se l‘assoluta oggettività è una

chimera. Se si vuole parlare di un contributo innovativo in questo campo da parte

mia, ciò si dovrebbe desumere nel tentativo di una riflessione comparativa, non

nelle conclusioni singolari o nei suggerimenti, anche se buona parte di questi,

comprendere un autore latino con pretese filosofiche alla fine dell‘antichità‘. È questo il

punto sul quale occorre insistere con Hadot: la ricerca delle fonti è assolutamente

indispensabile nello studio degli scrittori latini alla fine dell‘antichità, almeno in quelli che

hanno pretese filosofiche‖ (N. CIPRIANI, Introduzione generale e particolare nei Dialoghi di

Sant‟Agostino (in serbo), in SVETI AVGUSTIN, O blaženom životu (De beata vita). Testo

latino a fronte. Cura, trad., note e indici ZORAN DJUROVIC, Beograd: Hinaki, 2008, pp. 38-

39). 5 HENRI-IRÉNÉE MARROU, Tristesse de l‟historien, Esprit 7 (1939) 11-47, (rist.

Vingtième siècle. Revue d‘histoire 45 (1995) 109-131); tr. it. Tristezza dello storico,

Brescia: Morcelliana, 1999.

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4 Z. DJUROVIC

poiché originali, meriterebbero di essere sviluppati in particolari studi. Dunque, il

fulcro di questa indagine è il medesimo processo riflessivo di Agostino, che

partendo da un punto, arriva ad un punto di ritrattazione nel significato di ri-trattare

cioè trattare di nuovo. Lo scopo è di esaminare in che cosa, quindi, consista la

ritrattazione di Agostino.

Il metodo naturale e l‘unico possibile, trattando un modello in sviluppo, è

quello storico-critico. Il pensiero si deve cogliere in un dato momento della sua

evoluzione. Credo che il procedimento contrario abbia ormai provocato

incomprensioni quasi insanabili tra i diversi studiosi di ottima preparazione.

L‘errore principale che si può fare è di leggere Agostino giovane alla luce del suo

pensiero maturo. Troviamo, infatti, degli studiosi che espongono un pensiero del

―primo‖ Agostino (lo chiamiamo così, anche se prendo tale attribuzione con

qualche riserva, ma la adopero per ragioni di comodità. Il lasso di tempo del

―primo‖ include il periodo compreso dal 386 al 396/7), tacendo pure sulle sue

esitazioni a proposito di certe opinioni e portando a conferma dell‘―ortodossia‖ del

primo Agostino dichiarazioni del ―secondo‖ Agostino. Applicando tale metodo

viene tradita l‘esplicita dichiarazione agostiniana: ―appartengo al numero di coloro

che scrivono facendo progressi e fanno progressi scrivendo‖.6 Agostino medesimo

conferma, dunque, che il suo pensiero era in continua evoluzione. Ciò significa che

se da un lato egli approfondiva le proprie intuizioni giovanili, d‘altro canto si

apriva di continuo a nuove prospettive.7

Per questo motivo ci si deve avvicinare il più possibile al suo pensiero da un

preciso punto di sviluppo e metterlo tra parentesi. Questo si ottiene analizzando i

concetti base, ossia i termini tecnici, nel loro contesto ben preciso. Egli già

possedeva un ragguardevole gruppo di termini tecnici. L‘abbandono o la modifica

di questi termini dovrebbe dirci qualcosa. Chi non vuole errare metodologicamente

deve comprendere esattamente i concetti principali e, d‘altra parte, tenere conto del

carattere progressivo del pensiero di Agostino. Dunque, non si possono trascurare

le espressioni e nello stesso tempo non si possono trarre conclusioni da una singola

opera.

6 ep. 143, 2. 7 Il carattere progressivo del pensiero di Agostino era trascurato fino alla metà del

ventesimo secolo. Si aveva paura di spulciare tra le sue opere per paura togliergli qualcosa

di santità. Pure il grande teologo francese, É. GILSON, The Christian Philosophy of Saint

Augustine, London 1961, p. 364 affermò che Agostino sin dall‘inizio della sua conversione

aveva tutte le idee principali chiare, che in seguito soltanto migliorava, arricchiva. Simile

procedimento si ebbe per quanto riguarda i Padri in generale, dove loro opere e i pensieri

venivano decontestualizzati per poterli unire in un sistema dogmatico implacabile.

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PREMESSA 5

Per aiutare i lettori posteriori Agostino scrisse le Retractationes, un libro

singolare nell‘antichità, dove esprimeva un parere sulle sue opere, ora criticando,

ora modificando, ora proponendo la retta interpretazione. Sappiamo inoltre che le

revisoni fatte da Agostino sono sparse in vario modo in diverse sue opere: troppo

spesso si sente dire che Agostino non ha ritrattato certe idee, perché si pensa

soltanto ai due libri delle Ritrattazioni. Ci sono diverse modalità con cui Agostino

corregge se stesso: 1) Avverte che alcune espressioni sono state incautamente

usate. Possono indurre in errore il lettore se si prendono alla lettera, oppure

possono essere concepite in maniera esatta, spesso suggerita dallo stesso ―secondo‖

Agostino; 2) certe affermazioni sono completamente sbagliate e sono il risultato sia

della sua inesperienza in materia, sia dall‘inganno dei manoscritti che aveva a

disposizione o di altre cause; 3) alcune idee erano state formulate in modo

pericoloso e fanno sì che ormai suonino inaccettabili per Agostino. A questo punto

egli o nega che ha pensato in un determinato modo, o – pur ammettendo lo sbaglio

– propone una soluzione alternativa. Purtroppo Agostino spesso tace su che cosa

esattamente pensava a quell‘epoca. Il mio scopo quindi non è di presentare

Agostino in modo diverso rispetto a ciò che era, ma di scoprirlo. Il punto cruciale

nelle Ritrattazioni che si deve distinguere è proprio quello che Agostino in persona

suggerisce: ci sono gli errori materiali fatti da me, ma anche ci sono le persone

che in modo sbagliato intendono le mie parole.8 Sfortunatamente, l‘unico studio

specializzato su questa problematica, la tesi di dottorato: A. MANDOUZE,

Retractatio Retractationum sancti Augustini, Paris 1968, non è stato mai

pubblicata, ed io non posso disporne.

Occorre, dunque, stabilire precisamente quali siano i due elementi che

vengono esaminati nella presente tesi. Come il ―primo‖ Agostino immaginava la

condizione primitiva e quella finale dell‘uomo, come invece le considerava il

―secondo‖ Agostino, perché si ravvisano cambiamenti che riguardano il suo modo

di fare teologia come anche mutamenti della terminologia condizionati da uno

studio più approfondito della Scrittura e della tradizione ecclesiale. Dato che i

mutamenti nella riflessione agostiniana riguardano le idee e la terminologia, ho

cercato di interpretare in modo convincente quali siano state le idee di fondo che

hanno condizionato tali sviluppi. Per agevolare la lettura ho voluto trattare i

problemi principali in modo complessivo per avere un quadro globale dentro il

quale successivamente verranno discussi e approfonditi i problemi specifici. Non

tutti gli argomenti esaminati occupano lo stesso spazio. Sono messi in rilievo i temi

da me ritenuti utili: creazione, materia, corpo, lo stato primordiale e la condizione

8 Cf. ep. 143, 3.

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6 Z. DJUROVIC

escatologica. Attraverso questi grandi temi, trattati in maniera non esaustiva, ma

nei punti cruciali, ho tentato di presentare il percorso della riflessione agostiniana.

Dunque, il mio interesse principale è presentare il rapporto tra la protologia e

l‘escatologia, sostenuto nelle due fasi del pensiero agostiniano e come tale rapporto

si ripercuota su certi temi importanti, come per esempio, l‘antropologia, la visione

del paradiso ecc. Viceversa, ho tentato di mettere in rilievo le soluzioni agostiniane

dei problemi particolari per rendere comprensibile proprio le sue posizioni di base,

definite dalla tensione protologia-escatologia.

Per quanto riguarda la struttura della tesi, nella parte introduttiva – che,

come il primo capitolo non viene riportata in questo estratto – vengono presentati

in modo sintetico i commentari di Agostino sulla Genesi, e per contestualizzare il

suo pensiero, ho elencato i commentari antichi sulla Genesi 1-3, dedicando

particolare attenzione al metodo interpretativo dei Padri, cioè alla tensione tra il

metodo allegorico e quello letterale. La pietra dello scandalo nel mondo

paleocristiano era l‘abuso del metodo allegorico, a volte impiegato in modo tale da

spogliare la Scrittura del suo fondamento storico. Ciò significherebbe che la Parola

di Dio non esprime una realtà ―effettiva‖, che Dio non si rivela nella storia, nello

spazio e nel tempo. Eliminando la dimensione storica agli eventi descritti dalla

Bibbia i personaggi e i fatti, una volta trasformati in simboli, diventano

inconsistenti, e Jahve diviene un dio impersonale qualcosa di non conciliabile con

la mentalità giudaico-cristiana. Sentendo questi problemi il nostro giovane autore

richiedeva più tempo per poter affrontare con maggior consapevolezza le scritture

cristiane.9 ―L‘ontologia‖ o meglio Weltanschauung semitica era qualcosa di

diverso rispetto a quella ellenistica ed egli da giovane, presto si rese conto di

questo fatto. Successivamente cambiò il metodo interpretativo assumendo sempre

di più fiducia nei confronti del testo semitico. Per questo voleva comprenderlo alla

lettera. Credette che Dio in persona fosse intervenuto nella storia. Anche i fatti

divini rientravano in quello che Agostino chiamava il senso letterale che, a

differenza della nostra concezione, riportava inevitabilmente all‘allegoria,

all‘etiologia ed all‘analogia.10

Tali sensi sono distinti ma non rigorosamente

separati. Neanche il primo Agostino autorizzava l‘uso dell‘allegorismo che avrebbe

soppresso il livello storico, ma a volte, in polemica con il letteralismo

ridicolizzante manicheo, la sua allegoria diventa proprio di questo tipo. Nel maturo

Agostino, malgrado la sua spiritualità rimanga sempre orientata verso l‘invisibile,

9 ep. 21, 3-4. 10 Gn. litt. impf. 1, 2, 5.

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PREMESSA 7

l‘intera Genesi come anche gli episodi singolari vengono visti nell‘ottica ―storica‖,

ossia come qualcosa di reale.11

Il I capitolo si occupa della creazione e del problema del tempo su cui

Agostino ha riflettuto più di ogni altro scrittore della chiesa antica. Il rapporto tra

eterno e tempo, cioè tra l‘essere increato che è Dio e l‘essere creato, l‘Universo si

articola in tre momenti: 1) il Dio immutabile, muovendosi dentro di sé senza

mutarsi crea tutti gli esseri nelle loro ragioni causali o seminali; questa è la

cosiddetta creazione primordiale, che è a-temporale e viene definita anche

creazione simultanea; 2) da queste rationes seminales occulte e invisibili, le cose

create, sia invisibili sia visibili, si sono sviluppate nel tempo. Neanche questa

azione provvidenziale con cui Dio muove e fa crescere gli esseri contenuti

nell‘Universo compromette la sua immutabilità e semplicità. Qui ci avviciniamo

alla dottrina delle energie divine increate che sarà approfondita da Gregorio

Palamas; 3) Dio crea, Dio ordina e infine unisce la creatura a sé stesso. Egli è il

principio, il mezzo e lo scopo degli esseri creati ex nihilo, che proprio per questa

ragione non hanno essere in se stessi. Sono vacui; partecipando al vero Essere

ottengono il loro essere. Se uno osserva questi tre momenti come divisi e nota lo

scorrere del tempo, esiste immerso nel tempo, ma Dio e gli angeli, che partecipano

al livello extratemporale e si muovono nello spazio, galleggiano sopra questo

fiume e notano soltanto la freccia temporale. L‘Universo di Agostino somiglia un

po‘ alla proposta di Stephen Hawking che da parte sua inconsciamente aveva

seguito l‘intuizione di Parmenide.

Nel secondo capitolo vengono trattate le questioni antropologiche, cioè la

doppia creazione dell‘uomo (nelle sue ragioni causali e nel corso del tempo),

l‘origine dell‘anima e il suo rapporto con il corpo. Il terzo capitolo tratta proprio il

cuore di questa indagine, il rapporto tra protologia ed escatologia. La differenza

sostanziale nella risposta data alla questione: La protologia è uguale

all‟escatologia? da parte di Agostino consiste in un‘assoluta ritrattazione della sua

idea giovanile che uguagliava lo stato iniziale con quello finale. Agostino da solo è

riuscito a revocare quello che sarà condannato nel V concilio ecumenico del 535.

L‘idea che l‘inizio è uguale alla fine si può presentare con la figura geometrica del

cerchio, che è, come sappiamo simbolo di perfezione. La mia analisi ha messo in

evidenza le implicazioni della prima e della successiva impostazione di Agostino.

L‘estratto riporta secondo e terzo capitolo della tesi che rappresentano

l‘essenza del mio lavoro. Ritengo inutile e pericoloso riportare Alcune conclusioni

in uno sguardo d‟insieme, perché è facile fraintendere le brevi osservazioni

11 Cf. Gn. litt. 8, 1, 1.

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8 Z. DJUROVIC

conclusive senza conoscere la precedente trattazione più ampia e dettagliata.

D‘altra parte volendo dare almeno un‘idea del contesto generale della tesi, ho

descritto il contenuto della parte introduttiva e del primo capitolo, anche se i punti

ivi messi in evidenza possono sempre essere meglio compresi leggendo l‘analisi

estesa.

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CAPITOLO II

L‘UOMO

1. Le questioni antropologiche

1. 1. La doppia creazione dell‟uomo

Prima di proseguire sulla questione del posto occupato dal corpo umano nel

pensiero dell‘Agostino maturo, vorrei soffermarmi sulla narrazione biblica della

doppia creazione dell‘uomo, perché essa è importante ai fini di una megliore

comprensione della posizione del corpo in Agostino. La doppia creazione, infatti,

suggerirebbe che corpo ed anima sono realtà diverse, separate sino dall‘origine. Per

quanto concerne questo problema, O‘Connell scrive: ―He [Augustine] has further

dissociated body from soul by proposing that the body was created only through

the implantation of its ‗causal reasons‘, so that it ‗appears‘ on the temporal scene

only on the ‗sixth‘ day; and, even then, man‘s original ‗immortal‘ body has been

conceived of in quasi-angelic terms. All this comes dangerously close to attributing

to man a pre-embodied reality‖.12

12 O‘CONNELL, The Origin of the Soul, p. 211. Robert J. O‘Connell ha innescato una

forte controversia sull‘origine dell‘uomo e della sua anima, definendo l‘uomo come

―l‘anima caduta‖. In realtà, il primo che iniziò a suggerire che Agostino interpretò la Genesi

nella luce della filosofia plotiniana, o meglio, che lui interpretò Plotino per mezzo della

Genesi, fu J. NÖRREGAARD, Augustins Bekehrung, Tübingen 1923, p. 238. Un altro studioso

che esaminò la ricezione della preesistenza delle anime ma in primo luogo nel pensiero di

Mario Vittorino fu H. DE LEUSSE, Le Problème de la préexistence des âmes chez Marius

Victorinus Afer, RSR 29 (1939) 197-239. Agostino ha condannato, come dice Leusse, l‘idea

secondo la quale l‘anima ha peccato nella vita precedente e che in seguito è stata punita a

espiazione sulla terra, senza però condannare la dottrina della preesistenza in sé (p. 236, n.

1; 237, n. 1). Di questi due autori parla anche O‘Connell (St. Augustine‟s Early Theory, pp.

146-147), che su questo tema scrisse: St. Augustine‟s Confessions: The Odyssey of Soul,

Cambridge 1969; Augustine‟s Rejection of the Fall of the Soul, AugStud 4 (1973) 1-32; Art

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10 Z. DJUROVIC

Agostino tratta in modo approfondito13

il problema delle due fonti bibliche,

narrazione jahvista e redazione sacerdotale, riguardanti l‘episodio della creazione

dell‘uomo, ma questa volta egli tende a comprendere queste due fonti come

descrizioni separate e non più la J come mera ricapitolazione della P.14

Secondo

and the Christian Intelligence in St. Augustine, Cambridge 1978; The Enneads and St.

Augustine‟s Image Of Happiness, Vig. Chr. 17 (1963) 129-164; The Human Being as

„Fallen Soul‟ in St. Augustine‟s De Trinitate, Mediaevalia 4 (1978) 33-58. Una revisione

assai riuscita del suo studio è quella di RICHARD PENASKOVIC, The Fall of the Soul in Saint

Augustine: A Quaestio Disputata, in AugStud 17 (1986) 135-146. Il più recente studio:

RONNIE J. ROMBS, Saint Augustine and the Fall of the Soul: Beyond O‟Connell and His

Critics, Washington, D.C.: The Catholic University of America Press, 2006. Tra gli studiosi

che sostengono la linea di O‘Connell vanno menzionati: J. PATOUT BURNS, St. Augustine:

The Original Condition of Humanity, StP 22 (1989) 219-222 e soprattutto R. J. TESKE, St.

Augustine‟s View of the Original Human Condition., e Spirituals and Spiritual

Interpretation. La reazione sulla caduta dell‘anima era molto sentita da una moderna

corrente storiografica. Contro O‘Connell scrivono: R. P. RUSSELL, Review of Robert J.

O‟Connell, S. J., St. Augustine‘s Early Theory of Man, A. D. 386-391, Thought 44 (1969);

G. J. P. O‘DALY, Did St. Augustine Ever Believe In The Soul‟s Pre-Existence? in AugStud 5

(1974) 227-235 e Augustine on the Origin of Souls, in Platonismus und Christentum, JACh,

supplement 10 (1983) 184-191; F. VAN FLETEREN, A Reply to O‟Connell, AugStud 21 (1990)

127-137, che ha cercato di convincerci che O‘Connell, con il tema della caduta dell‘anima

ha fatto entrare gli studiosi in un cul de sac (p. 135). Tra gli studiosi italiani si distingue

particolarmente NELLO CIPRIANI, Il tema agostiniano dell‘actio-contemplatio nel suo quadro

antropologico, Aug. 47 (2007) 145-169. 13 Gn. litt. 6, 1-11. 14 Gn. litt. 6, 1, 2-3, 4. Gn. litt. 6, 1, 2-3, 4. Il primo interprete della cosiddetta

―doppia creazione‖ dell‘uomo fondata sui rapporti di Gen. 1, 26-27 e 2, 7, fu Filone

Alessandrino, che influenzò Origene. Questi da parte sua, condizionò questo tipo di

interpretazione in ambito cristiano, però non incise sui padri dell‘Asia Minore che

interpretarono le due creazioni come una sola. Il secondo racconto genesiaco, secondo loro,

sarebbe solamente un complemento del primo. La “doppia creazione” dell‟uomo negli

Alessandrini, nei Cappadoci e nella Gnosi, (saggi) a cura di U. BIANCHI, Roma 1979; G.

LETTIERI, Origene e l‟incarnazione eterna di Cristo, in Gesù Cristo. Speranza del mondo, a

cura di I. SANNA, Milano 2000, 111-133; C. KANNENGIESSER, Philon et les Pères sur la

double création de l‟homme in Philon d‟Alexandrie, Actes du Colloque National, Lyon 11-

15 September 1966, éds. par R. ARNALDEZ-J. POUILLOUX-CL. MONDÉSERT, Paris 1967; M.

SIMONETTI, Alcune osservazioni sull‟interpretazione origeniana di Genesi 2, 7 e 3, 21, in

Origene e l‟esegesi biblica nei Padri della Chiesa, Brescia 2004, 111-122; C. SPUNTARELLI,

„Uomo a immagine‟ in Filone: assimilazione della Legge e immortalità dell‟albero dei

virtuosi, in Il Commento al Vangelo di Giovanni di Origene: il testo e i suoi contesti. Atti

dell‘VIII Convegno di Studi del Gruppo Italiano di Ricerca su Origene e la Tradizione

Alessandrina (Roma 28-30 settembre 2004), Biblioteca di Adamantius, vol. 3, Torino 2005,

a cura di E. PRINZIVALLI, 381-411. Per la doppia creazione in Filone cf. opif. 46, COHN I,

134-135, pp. 46-47; leg. all. 1, 12, 31, COHN I, pp. 68-69. Filone insiste che ―c‘è gran

differenza tra l‘uomo che ora viene plasmato [Gen. 2, 7] e l‘uomo che era stato fatto

secondo l‘immagine di Dio; l‘uomo ora plasmato è l‘uomo percepibile dai sensi, che ha

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L‘UOMO 11

Agostino esse non sono conciliabili perché descrivono diversi momenti della

creazione, e secondo i biblisti moderni si tratta di due fonti che hanno origini

diverse, e che quindi sono cose tra loro ben distinte. La fonte P, come ci assicura

Agostino, descrive la creazione primordiale; la fonte J, quella temporale. La J,

dunque, non è più, come invece lo era per il primo Agostino, solamente un

riassunto del P.15

Il racconto jahvista non permette la creazione simultanea. Per

esempio, in che modo la donna fu creata per l‘uomo quando questi era già nel

paradiso?

Forse che la Scrittura ricorda anche questo particolare che essa aveva

tralasciato? Anche il paradiso infatti fu piantato il sesto giorno e vi fu

collocato l‘uomo che cadde in un sonno profondo in modo che poté essere

formata Eva e, dopo che Eva fu formata, egli si svegliò e le pose il nome. Ma

questi eventi si sarebbero potuti compiere solo nel corso del tempo. Essi

qualità, composto di anima e di corpo, maschio o femmina, mortale secondo natura. Ma,

l‘uomo secondo l‘immagine di Dio era un‘idea, un genere o un sigillo, percepibile solo con

l‘intelletto, incorporeo, né maschio né femmina, indistruttibile per natura‖ (opif. 46, 134,

COHN I, p. 46). Questa distinzione fu seguita da Origene: l‘uomo secondo l‘immagine non è

l‘uomo corporale, e ―d‘altra parte dell‘uomo corporale non si dice che è stato fatto, bensì

plasmato (neque factus esse corporalis homo dicitur, sed plasmatus... [ad imaginem Dei]

factus est, interior homo noster est, invisibilis et incorporalis et incorruptus atque

immortalis)‖. Se si ammette che l‘uomo corporale è secondo l‘immagine [di Dio]

significherebbe che ―Dio ha corpo e figura umana. Credere questo di Dio è cosa

assolutamente empia‖ (hom. in Gen. 1, 13-14, GCS VI, pp. 17-18). Origene individua bensì

le tre creazioni: a) Gen. 1, 27 creazione dell‘anima; b) Gen. 2, 7 creazione dell‘uomo dalla

polvere sottile che gli permetteva la vita paradisiaca; c) Gen. 3, 21 trasformazione di questo

corpo immortale e luminoso, in seguito al peccato, in un corpo mortale, costituito di carne e

di ossa (cf. M. SIMONETTI, Alcune osservazioni, pp. 115-118; per la ricostruzione del

pensiero origeniano si confronti: PROCOPIO DI GAZA, comm. in Gen. PG 87, 221). 15 Il primo Agostino, come uno studioso moderno, vedeva la spaccatura tra le fonti P

e J. Il racconto J comincia con liber creaturae coeli et terrae, che dovrebbe ripetere, o

meglio, spiegare la ristretta cronaca della P. La J è brevis imago dei fatti, la P è più puntuale

spiegazione di essi: ―Dopo l‘enumerazione e l‘esposizione dei fatti dei sette giorni la

Scrittura inserisce una specie di conclusione e chiama Libro della creazione del cielo e della

terra tutto ciò che aveva detto prima, pur essendo una piccola parte del libro, che però ha

potuto giustamente esser chiamato così poiché in questi sette giorni è rappresentata, per così

dire, una piccola immagine (quasi brevis quaedam imago) di tutto quanto il mondo, dal

principio alla fine della sua creazione. In seguito comincia un racconto più puntuale

(diligentius narrari) relativo all‘uomo; tutto questo racconto però non viene esposto

apertamente, ma in senso figurato (non aperte, sed figurate) al fine di esercitare coloro che

ricercano la verità e distoglierli dalle realtà carnali, per rivolgerli a quelle spirituali‖ (Gn. c.

man. 2, 1, 1).

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12 Z. DJUROVIC

perciò non furono compiuti allo stesso modo quando furono create

simultaneamente tutte le cose (creata sunt omnia simul).16

Poi la Scrittura descrive come Dio piantò il paradiso, come fece spuntare

dal suolo ogni sorta d‘alberi, come condusse gli animali all‘uomo e come formò

per lui la donna con la costola che gli prelevò. Tutti questi particolari sono una

prova assai chiara che essi non sono da ascrivere alla primordiale attività creatrice

di Dio, ma piuttosto a quella con cui opera fino al presente.17

Agostino, dunque,

rifiuta l‘idea che l‘uomo sia stato fatto al sesto giorno con il fango nella forma

attuale ben distinta e visibile. Il problema, purtroppo, è che

la Scrittura non ci consente né d‘interpretarla nel senso che [l‘uomo e la

donna] furono creati in questo modo al sesto giorno né tuttavia nel senso che

non furono creati nel sesto giorno.18

L‘uomo fu fatto ad immagine di Dio il sesto giorno come maschio e

femmina; la donna fu fatta all‘infuori di quei sei ―giorni‖, poiché fu fatta quando

Dio con la terra formò ―ancora‖ gli animali, cioè quelli non primordiali. Eva

dunque fu creata durante i giorni che risultano dal corso circolare del sole.

Agostino sottolinea la contraddizione dicendo:

Però non si può neppure dire che il maschio fu creato il sesto giorno e la

femmina, al contrario, nel corso dei giorni posteriori, poiché è detto in modo

assai chiaro che lo stesso sesto giorno li fece maschio e femmina e li

benedisse, con tutto il resto che dice di entrambi e ad entrambi.19

Quindi, nella creazione primordiale l‘uomo fu fatto maschio e femmina,

―invisibilmente, potenzialmente, nelle loro cause, come sono fatti gli esseri

destinati ad esser fatti ma non ancora fatti (invisibiliter, potentialiter, causaliter,

quomodo fiunt futura non facta)‖; e in un altro modo dopo, cioè: ―visibilmente,

nella forma della struttura umana che noi conosciamo‖.20

16 Gn. litt. 6, 2, 3. 17 Gn. litt. 6, 3, 5. 18 Gn. litt. 6, 6, 11: ―Nam nec isto modo eos illo sexto die factos, nec tamen eos illo

sexto die non factos intellegere Scriptura permittit‖. 19 Gn. litt. 6, 5, 7. 8. 20 Gn. litt. 6, 6, 10.

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L‘UOMO 13

In questa sede è opportuno correggere l‘affermazione di O‘Connell,

secondo cui il corpo entra in scena nel sesto giorno. Agostino in realtà sostiene

che:

la creazione primordiale di tutti e due fu dunque diversa da quella

posteriore: nella primordiale essi furono creati per mezzo del Verbo di Dio

in potenza (secundum potentiam per verbum Dei), insita – per così dire –

come un germe nel mondo allorché Dio creò simultaneamente tutte le

cose... nella creazione posteriore invece essi sono creati secondo l‘attività

creatrice che svolge la sua opera attraverso il corso del tempo senza alcuna

interruzione e in base alla quale era stabilito che in seguito, al tempo

opportuno, fosse creato Adamo col fango della terra e sua moglie dal fianco

del marito.21

O‘Connell, quindi, ha ragione quando ritiene che Agostino ha dissociato la

creazione primordiale da quella posteriore, ma erra affermando la preesistenza

plausibile dell‘anima quando ritiene che il corpo ―vero‖ appare nel sesto giorno.

Agostino non esprime per nulla tale idea. Il sesto giorno appartiene ai ―giorni‖

invisibili in cui Dio creò tutte le cose contemporaneamente, e agli altri giorni

cosiddetti ―normali‖ appartiene la creazione tanto del corpo quanto dell‘anima.

Il corpo si sviluppa nel tempo dall‘involucro primordiale. Per la difficoltà di

comprendere tali argomenti, Agostino era preoccupato che qualcuno pensasse

qualcosa di diverso a proposito di quanto egli né pensava né affermava. Era

tuttavia convinto che parecchi sostenevano che egli pensasse che l‘uomo,

esistesse già dotato d‘una certa forma di vita con cui potesse capire, credere e

comprendere... Chi dunque immagina ciò, sappia che io non ho né pensato né

affermato una simile cosa (noverit ergo qui hoc putat, non hoc me sensisse,

neque dixisse).22

D‘altronde, se nella creazione primordiale l‘essere umano non era tale come

è attualmente, non si deve credere che l‘uomo non esistesse affatto.23

Esisteva

solamente nelle ―ragioni causali‖ (rationes causales). Per questo Agostino non

accetta come possibile la soluzione di coloro che sulla scia origenista sostenevano

21 Gn. litt. 6, 5, 8. 22 Gn. litt. 6, 6, 9. 23 Gn. litt. 6, 6, 10.

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14 Z. DJUROVIC

che nel sesto giorno erano state create le anime secondo l‘immagine di Dio, mentre

il corpo sarebbe stato formato in seguito. Una tale interpretazione non è plausibile

perché la creazione era stata conclusa e perché il sesso maschile e femminile

possono esistere solo in rapporto ai corpi.24

Però questi corpi non esistevano in una

forma tale di poter percepire o funzionare come i corpi attuali.25

Le cose create, sia

invisibili sia visibili, si sono sviluppate nel tempo da rationes occulte e invisibili,

latenti nella creazione sotto forma di semi causali (rationes seminales).26

In un

certo senso sono state portate a perfezione e in un altro senso sono state abbozzate

le medesime cose che Dio creò tutte nello stesso tempo. Erano perfette, ma d‘altra

parte erano state solamente accennate, poiché in esse vi erano i semi degli esseri

futuri che dovevano evolversi a tempo debito. La Scrittura, per questa ragione,

insegna che le opere di Dio da una parte furono portate a perfezione e dall‘altra

furono abbozzate.27

Quindi, l‘uomo fu creato a suo tempo, visibilmente quanto al

corpo, invisibilmente quanto all‘anima, essendo composto d‘anima e di corpo

(creatus in tempore suo, visibiliter in corpore, invisibiliter in anima, constans ex

anima et corpore).28

Tale ragionamento non permette affatto la tesi origeniana

sulla preesistenza degli esseri intellettuali: la creazione simultanea si riferisce tanto

al corpo quanto all‘anima.

Il corpo e l‘anima creati nel sesto giorno, dunque, non si dovrebbero

confondere con quelli creati nel corso del tempo. La creazione simultanea non è

naturalmente misurabile nel tempo. Tutto è stato creato in un attimo. Quindi,

quando Agostino afferma che il corpo si doveva nutrire di frutti materiali,29

non si

deve pensare che nella creazione originale Adamo si nutrisse veramente. Perché?

Perché ci vuole del tempo per tale azione, direi seguendo il ragionamento di

Agostino. Il motivo per cui Agostino collega il nutrimento con dei corpi è di

24 Gn. litt. 6, 7, 12. 25 Gn. litt. 6, 8, 13. 26 Gn. litt. 6, 10, 17. O‘Connell ha già notato che Agostino è propenso ad utilizzare

l‘espressione rationes causales più che rationes seminales. Non ritengo che Agostino preferì

usare la prima espressione perché la seconda era stata usata dagli Stoici. Qualcuno potrebbe

pensare che Agostino volle evitare il pericolo del materialismo, ma è da supporre che la

ragione si può ritrovare nel seme che una volta impiantato nel terreno adatto non è più sotto

il controllo o l‘influenza del seminatore. L‘idea delle rationes causales mette meglio in

evidenza il ruolo di Dio che non solamente crea ma fa anche crescere. Il concetto di causa è

più conforme al primato divino sulla creatura, ed è strettamente legato alla Sua volontà. Il

seme significherebbe qualcosa che se inserito nel suo ricettacolo perde ogni relazione con la

sua origine. 27 Gn. litt. 6, 11, 18. 28 Gn. litt. 6, 11, 19. 29 Gn. litt. 6, 7, 12.

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L‘UOMO 15

mostrare che l‘anima non fu creata prima del corpo. È interessante un altro fatto:

egli ora respinge con decisione la posizione che aveva assunto nel De Genesi

contra Manichaeos (1, 25, 43), senza però nominarla come propria:

Se invece uno penserà che i due sessi sono in certo qual modo l‘intelletto e

l‘azione in un‘unica anima (Quod si quisquam secundum intellectum et

actionem tamquam utrumque sexum in una anima accipiendum putaverit),

che cosa farà dei frutti degli alberi dati da Dio come alimento nello stesso

giorno, dal momento che l‘alimento è certamente necessario solo a un uomo

dotato di corpo? Poiché, se uno vorrà prendere anche questo alimento in

senso figurato, si allontanerà dal senso vero e proprio dei fatti, che

innanzitutto e con ogni scrupolo deve essere messo alla base per quanto

riguarda narrazioni di tal genere.30

―Uno penserà‖ è il primo Agostino.31

Questa è la prova decisiva che la sua

riflessione precedente era suscettibile di una interpretazione di stampo origenista

che ora nega fermamente,32

ma di cui certamente non si era scordato. Ci sono altre

ragioni plausibili che lo conducevano in siffatta direzione. L‘eventuale soluzione

della preesistenza dell‘anima viene oramai letta e riformulata alla luce della teoria

della doppia creazione. La fonte P nella teologia alessandrina fu letta come la

creazione del mondo spirituale e Agostino aveva aderito a tale interpretazione. Ora

invece egli contesta che la prima creazione abbracciasse soltanto l‘anima e il

mondo spirituale, ed ammette che il principio del movimento e dello sviluppo del

mondo conosciuto è insito in esso, nella sua essenza. Non è che Agostino soltanto

neghi una parte dell‘insegnamento alessandrino (preesistenza dell‘anima), ma

30 Ib. 31 Questo è in nesso con Gn. litt. 6, 6, 9 che ho già riportato: l‘uomo non esisteva

come essere consapevole: ―io non ho né pensato né affermato una simile cosa‖. Però ciò si

riferisce al secondo Agostino, non al primo. Infatti, il primo Agostino nel Gn. c. man. 1, 25,

43 scriveva: ―In tal modo deve diventare a immagine e a somiglianza di Dio anche l‘uomo,

maschio e femmina, cioè intelligenza e azione (intellectus et actio), mediante l‘unione dei

quali si riempia la terra di frutti spirituali‖. 32 Anche Gregorio di Nissa, pur sostenendo la teoria della doppia creazione, non

accetta la preesistenza dell‘anima, cioè che Gen. 1, 27 parlasse della creazione dell‘anima

(immagine di Dio) prima della creazione del corpo e Gen. 2, 7 come riferimento all‘uomo

terreno. Né le anime esistevano prima dei corpi, né, al contrario, i corpi furono costruiti

prima delle anime, né, infine, si può sostenere ―favolosa dottrina‖ della trasmigrazione delle

anime (opif. 28, PG 44, 229-233). Nisseno infatti vedeva un nesso stretto tra le dottrine

pagane della migrazione delle anime con l‘idea della preesistenza dell‘anima (opif. 28, PG

44, 232a).

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16 Z. DJUROVIC

propone un modello concorrenziale, modello che unisce in sé la componente

spirituale e quella materiale.33

Dal germe già fornito di una forma e potenza

nascono tutti i soggetti dell‘universo. In questo seme si celano insieme materia e

forma dell‘essere. Dunque, sembra che Agostino abbia approfondito l‘idea

giovanile sul mondo creato in forma embrionale,34

e sembra vero che, come ci

assicura, non abbia sostenuto mai l‘idea della preesistenza dell‘anima. Altamente

spiritualizzata la visione alessandrina colloca l‘intelletto al posto della causa

movente, la soluzione agostiniana invece tenta di unire tutta la creazione in un

unico momento. L‘unità e la molteplicità diventa qualcosa di voluto da Dio. Questa

nuova impostazione, dunque, modificò o, se qualcuno vuole, rese esplicite le

posizioni giovanili di Agostino.

1. 2. L‟origine dell‟anima

Poiché la Scrittura non contiene alcun insegnamento decisivo sull‘origine

dell‘anima, né gli autori ecclesiastici sono riusciti a spiegare in modo convincente

la sua origine, è necessario per Agostino che ci si occupi con tutte le forze e serietà

di rivalutare questo problema aperto.35

Per risolvere la questione assai ardua

relativa all‘anima

si sono affaticati molti interpreti e hanno lasciato anche a noi materia in cui

affaticarci. A questo proposito non mi è stato possibile leggere tutti gli scritti

di tutti coloro che su questo argomento sono potuti arrivare a una conclusione

chiara e del tutto sicura, conforme alla verità delle nostre Scritture; la

questione inoltre è così difficile che neanche gli scrittori, che ne danno una

soluzione esatta, sono facilmente capiti da persone come me; confesso perciò

che finora nessuno mi ha convinto di pensare che non sia necessario fare

ulteriori ricerche sulla questione dell‘anima.36

La giovanile visione di Agostino sul problema dell‘origine dell‘anima –

sebbene in Gn. litt. non tolleri l‘anteriorità dell‘anima rispetto al corpo – gli

33 Le ragioni seminali, secondo gli studiosi moderni, avevano nel pensiero di

Agostino una reale esistenza fisica (C. BOYER, L‟idée de la vérité dans la philosophie de

Saint Augustin, Paris: Beauchesne et ses Fils, 1940, p. 149; CARROZZI, Introduzione, NBA

IX/2, p. 299, n. 16). 34 Gn. c. man. 1, 7, 11. 35 Cf. Gn. litt. 10, 10, 17. Le cose circa l‘anima ―la Scrittura non esprime con

chiarezza‖ (cf. Gn. litt. 7, 28, 43). 36 Gn. litt. 6, 29, 40. Simile idea ripete nell‘ep. 140, 12, 32 scritta fra il 411 e 412.

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L‘UOMO 17

consentiva, almeno sul piano ipotetico, nel De beata vita 1, 1, 1 di porsi

l‘interrogativo sui diversi motivi per cui l‘anima è stata messa in relazione con il

corpo:

siamo stati gettati in questo mondo, come in un alto mare tempestoso, o da

Dio, o dalla natura, o dalla necessità o dalla nostra scelta (sive Deus, sive

natura, sive necessitas, sive voluntas nostra).

L‘esistenza dell‘anima nel mondo sensibile è stata segnata da motivi

positivi, negativi o misti, ma qualunque sia la ragione di questa situazione, essa

risulta multum obscura. Dato che la Scrittura non contiene alcun insegnamento

sull‘origine dell‘anima, spetta alla ricerca scoprirne i presupposti sulla base di

ragionamenti logico-deduttivi. A tale scopo Agostino avanza quattro ipotesi nel

terzo libro del De libero arbitrio:37

1) l‟ipotesi traducianista: da una sola anima, quella di Adamo, derivano le

anime di tutti i suoi discendenti (anima facta… ex qua omnium hominum animae

trahuntur nascentium);

2) l‟ipotesi creazionista: le anime sono create singolarmente in ogni

individuo nascituro (singillatim fiunt in unoquoque nascentium);

3) l‟incarnazione, ad opera di Dio, di anime preesistenti: esse sono mandate

con il compito di animare e dar forma ai corpi dei singoli individui (in Dei aliquo

secreto iam existentes animae mittuntur ad inspiranda et regenda corpora

singulorum quorumque nascentium);

4) l‟incarnazione deliberata di anime già esistenti: le anime viventi fuori

del corpo non sono mandate da Dio, ma spontaneamente vengono ad abitare nei

corpi (alibi animae constitutae… sua sponte ad inhabitanda corpora veniunt).

Sebbene il primo Agostino tratti queste ipotesi in maniera molto estesa e le

abbia riesaminate anche più tardi,38

rimase scettico riguardo a una precisa e

decisiva risposta:

Di queste quattro teorie sull‘anima… non si deve affermare nessuna

pregiudizialmente. Infatti o il problema non è stato ancora chiaramente

trattato a causa della sua oscurità e incertezza dagli interpreti cattolici dei

37 Cf. lib. arb. 3, 20, 56 - 21, 59. 38 ep. 143, 166, 190 ed in Gn. litt.

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18 Z. DJUROVIC

Libri sacri, ovvero se è stato già fatto, testi simili non sono ancora giunti

nelle mie mani.39

L‘origine dell‘anima è un problema non ancora trattato, ripete Agostino, pro

merito suae obscuritatis. Le fonti agostiniane di questo enigma non possono

essere, dunque, i tractatores catholici, ma i filosofi che sostenevano l‘immortalità

dell‘anima, cioè i neoplatonici. I dubbi rimangono, ma si dovrebbero ―analizzare

sulla base delle Scritture‖ da parte di chi è capace,40

ma, come abbiamo già visto

(Gn. litt. 6, 29, 40), sebbene ora Agostino avesse letto i tractatores catholici, e

avesse studiato le Scritture, nessuno lo aveva convinto di non fare ulteriori ricerche

di approfondimento sulla questione dell‘anima.41

L‘ipotetica preesistenza dell‘anima si trova in Gn. c. man. 2, 8, 10:

Per quanto riguarda lo scritto: Dio allora infuse in lui il soffio vitale e l‟uomo

divenne un‟anima vivente (Gen. 2, 7), se il corpo era ancora solo, in questo

passo dobbiamo intendere che l‘anima fu unita al corpo. Essa era forse già

stata creata, ma era ancora nella bocca di Dio (sed tamquam in ore Dei erat),

cioè nella verità e sapienza di lui, da cui tuttavia non si allontanò come se

fosse stata separata da un luogo, poiché Dio non è racchiuso in un luogo ma è

dappertutto presente.

Questa ipotesi – come afferma Cipriani – ―non si può in nessun modo

intendere come la preesistenza di una pluralità di anime e tanto meno come di

anime che spontaneamente o no sarebbero cadute nei corpi. Parla di un‘unica

anima che, creata prima o al momento dell‘infusione nel corpo, è stata data

comunque da Dio al corpo di Adamo‖.42

È fuori dubbio che questa frase non dice

nulla di quello che Cipriani giustamente rammenta. Eppure qui Agostino in chiare

lettere esprime l‘idea della preesistenza dell‘anima, che però ―era ancora nella

bocca di Dio, cioè nella sua Verità e Sapienza‖. Dio ha ispirato l‘anima. Per questo

Agostino menziona la bocca di Dio (ore Dei) e subito dopo spiega che cosa è

questa bocca: la Verità, ossia la Sapienza (veritate vel sapientia). L‘anima era

dunque nel Verbo di Dio. Questo richiama la soluzione di Mario Vittorino per cui

le anime preesistevano nel Logos divino, cioè nel Verbo che è receptaculum

39 lib. arb. 3, 21, 59. 40 lib. arb. 3, 21, 62. 41 Cf. ep. 143, 8-11. 42 N. CIPRIANI, La dottrina del peccato negli scritti di S. Agostino fino all‘Ad

Simplicianum, SEA 59 (1997) pp. 28-29, n. 23; id., Il tema agostiniano, p. 149.

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L‘UOMO 19

eorum,43

e in cui (in Cristo) spiritales fuimus.44

Muovendosi comunque in ambito

alessandrino Agostino afferma che l‘anima non è caduta nel corpo. L‘anima ―non

si allontanò da Dio come se fosse stata separata da un luogo‖. Essa è partecipe

della mente divina anche se svolge oramai un‘altra funzione, quella di guidare un

corpo mortale e di dargli vita. È creata, dotata dell‘intelligenza, l‘elemento

eccellente, con cui contempla la mente divina, e la cui visione la rende del tutto

beata (visione fit beatissima).45

Tutto ciò è possibile dal momento che ―Dio non è

incluso in un luogo ma è presente ovunque (ubique praesens est)‖.

Da quanto precede si desume che Agostino seguiva l‘idea degli alessandrini

secondo cui l‘anima è fatta a immagine dell‘immagine divina, ma non li segue

nell‘affermazione che l‘incorporazione è effetto del peccato. Nei testi citati non c‘è

prova che riguardi la preesistenza dell‘anima in Agostino, nel senso che tale tesi

fosse da lui intesa come una verità; c‘è chiaramente come ipotesi l‘idea della

preesistenza dell‘anima, senza però alcun nesso con la ―caduta‖ nel corpo. Dunque,

non si dice nulla del motivo dell‘infusione dell‘anima nel corpo. Tuttavia, l‘ipotesi

della preesistenza dell‘anima apre diversi problemi che Agostino doveva

conoscere: la preesistenza dell‘anima, per esempio, sottintende una sua vita propria

e consapevole? Se questa anima fosse irrazionale, quando è diventata razionale?

L‘anima irrazionale ubicata nella Sapienza divina sarebbe un sacrilegio per

Agostino?

Osserviamo ora nel De Genesi ad litteram il procedimento agostiniano.

Abbiamo visto che il nostro autore discuteva su quattro ipotesi circa l‘origine

dell‘anima, di esse rimangono ormai le due principali: l‟ipotesi traducianista e

quella creazionista. Molti studiosi pensano che preferisse l‘ipotesi traducianista

perché questa si adattava meglio alla sua a questo punto già sviluppata dottrina sul

peccato originale.

L‘uomo primordiale non si sarebbe mosso durante il sesto giorno perché era

stato creato in un recesso o luogo occulto della natura (in secreto quodam naturae);

poi, con il passare del tempo, egli sarebbe diventato conforme alla natura visibile

(perspicua forma), quella che noi conosciamo.46

In altri termini: inizialmente

l‘uomo fu fatto nella potenzialità di quel che era destinato ad essere, non nella sua

condizione attuale. Per questo è inutile cercare un merito o demerito nell‘uomo

ancora allo stato di rationes seminales, dato che lui non viveva una vita personale o

43 adv. Ar. 1, 24, PL 8, 1058bc. Per ulteriori riferimenti si veda: H. DE LEUSSE, Le

Problème de la préexistence, pp. 199-203. 44 in Eph. 1, 1, 4, PL 8, 123ab. 45 div. qu. 46, 2. 46 Gn. litt. 6, 1, 1.

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20 Z. DJUROVIC

propria (vita propria).47

Ė stato l‘Apostolo Paolo, e precisamente un passo della

lettera ai Romani (9, 11) a spingere Agostino ad abbandonare l‘ipotetica

concezione della preesistenza dell‘anima, perché l‘asserzione di Paolo relativa ―ai

gemelli che nel seno di Rebecca non facevano ancora nulla di bene o di male

(geminis in Rebeccae utero nondum agentibus aliquid boni aut mali), non lascia

alcuna esitazione in proposito‖.48

Quindi, nessuno può compiere qualcosa di bene o

di male prima d‘esser nato:

L‘opinione poi secondo la quale alcuni pensano che le anime hanno

commesso peccati più o meno gravi (nonnulli putant alibi peccasse magis

minusque animas) in un altro mondo e sono state precipitate in corpi diversi

secondo la gravità dei peccati non è conforme all‘asserzione dell‘Apostolo,

poiché questi dice assai chiaramente che quelli non ancora nati non hanno

fatto nulla di bene o di male.49

Si noti che Agostino parla di ―peccati più o meno gravi‖, il che è conforme

alla teoria plotiniana della caduta parziale dell‘anima ed a quella origeniana che

sosteneva la diversa gravità dei peccati commessi dagli esseri muniti di intelletto.

Più avanti Agostino confuta in vari modi la possibilità che l‘anima possa avere

avuto una sua preesistenza. Si chiede anzitutto se l‘anima sia fatta di materia

spirituale: c‘è un‘anima generale dalla cui sostanza sono fatte le anime; e qual è la

sua funzione nell‘opera della creazione? Quindi, vive o non vive: se vive, che cosa

fa? Conduce una vita felice o miserabile? Dà la vita o rimane inerte? Se non è vita,

come potrebbe generare gli esseri viventi?50

Infine: se l‘anima razionale fu fatta

47 Gn. litt. 6, 9, 16. 48 Gn. litt. 6, 9, 14. 49 Gn. litt. 6, 9, 15. Ivi Agostino rifiuta apertamente la soluzione origeniana. Origene

spiega il destino diverso degli uomini con la diversa gravità del peccato che hanno

commesso quando ancora erano puri intelletti ed avevano la stessa identica potenzialità (per

una ricostruzione puntuale si veda G. S. GASPARRO, Caduta, in Origene, pp. 50-53). 50 Cf. Gn. litt. 7, 8, 11: ―O questa ipotesi è falsa o è un mistero troppo profondo! Se,

al contrario, quella materia viveva già né felicemente né miseramente, in qual modo era

razionale? Se invece fu fatta razionale quando da essa fu tratta la natura dell‘anima umana,

allora era vita irrazionale la materia dell‘anima razionale, cioè umana? Quale differenza

c‘era allora tra essa e quella di un animale bruto? Era forse già razionale in potenza ma non

ancora in atto? Noi infatti vediamo che l‘anima di un bambino, senza dubbio già anima

umana, non ha cominciato ancora a far uso della ragione e tuttavia noi diciamo che è già

un‘anima razionale. Perché mai, allora, non dovremmo credere che allo stesso modo nella

materia, da cui sarebbe stata tratta l‘anima, l‘attività della coscienza era non operante, come

nell‘anima del bambino, che senza dubbio è già un‘anima umana, non è ancora operante

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L‘UOMO 21

dall‘anima, di che cosa è fatta l‘anima irrazionale? Questa anima dovrebbe essere

un corpo, ―ma nessuno, ch‘io sappia, ha mai osato affacciare una simile opinione,

tranne chi sostiene che l‘anima non è altro che una specie di corpo‖.51

Ulteriori analoghe difficoltà sono prese in esame poco più avanti nella

stessa opera: se si ipotizza che l‘anima preesisteva, non si può trovare una

spiegazione convincente su che cosa l‘avrebbe spinta a introdursi nel corpo. Tutte

le supposizioni sono in aperto contrasto con l‘affermazione dell‘Apostolo che

quelli che non sono ancora nati non hanno fatto nulla né di bene né di male. Sia

nell‘ipotesi che l‘anima è incline per sua spontanea volontà verso il corpo per

governarlo, sia che l‘anima sia venuta nel corpo per ordine di Dio, ciò significa una

precedente capacità deliberativa, il che è in conflitto con l‘affermazione di Paolo.

Per l‘anima, inoltre, non sarebbe stato meglio restare là dove si trovava?52

Le incertezze su quale sia l‘origine dell‘anima rimangono senza una risposta

definitiva. Agostino può affermare solamente che l‘anima è stata creata o da una

sostanza spirituale oppure è stata creata interamente dal nulla. Malgrado ciò, non si

deve assolutamente dubitare che essa fu fatta da Dio per divenire anima vivente.

Infatti, o non era nulla in precedenza, o non era ciò che è adesso: in entrambi i casi

è creatura di Dio.53

La più importante conclusione del problema dell‘anima è che,

in ogni caso, essa non ha una precedenza temporale rispetto al corpo.54

Perfino nel

caso in cui l‘ipotesi traducianista fosse quella veritiera, l‘anima non potrebbe avere

la capacità cognitiva in actu, come ci testimonia il brano riportato di Gn. litt. 7, 8,

11. Dunque, l‘ipotesi dell‘anima caduta venne scartata da Agostino una volta per

tutte.

l‘attività della ragione? Poiché, se la vita con cui fu fatta l‘anima umana, era già felice,

allora ha subito un deterioramento e per conseguenza non è più la materia dell‘anima e

questa è un‘emanazione di quella… Ma anche se l‘anima umana potesse considerarsi come

l‘emanazione d‘una vita creata da Dio in un certo stato di felicità, neppure in questo caso si

potrebbe pensare ch‘essa cominci ad esistere in virtù d‘un atto dovuto ai suoi meriti se non

dal momento in cui cominciò a vivere una vita propria, quando fu fatta anima vivificante la

carne servendosi dei sensi del corpo come messaggeri ed essendo cosciente della propria

vita individuale con la volontà, l‘intelligenza e la memoria. Poiché, se c‘è qualche essere da

cui Dio trasse questa emanazione per infonderla nella carne già formata da lui creando

l‘anima con una sorta di soffio, e, se questo essere si trova in uno stato di felicità, non si

muove in alcun modo né si muta né perde nulla allorché da esso emana ciò con cui è fatta

l‘anima‖. 51 Gn. litt. 7, 9, 12. 52 Gn. litt. 7, 25, 36. 53 Gn. litt. 7, 21, 31. 54 Cf. anche civ. 13, 24. 1. 2.

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22 Z. DJUROVIC

1. 3. Il rapporto tra anima e corpo

Il problema della provenienza dell‘anima è strettamente collegato a quello

della relazione tra corpo ed anima. Se il primo Agostino poteva consentire la

creazione indipendente dell‘anima e del corpo, e il secondo Agostino invece non lo

condivideva, c‘è da aspettarsi che questi due modelli abbiano anche differenti

conseguenze per ciò che riguarda il concetto antropologico, che vorrei ora

evidenziare.

All‘inizio della sua riflessione antropologica, Agostino accettò la ben

conosciuta definizione filosofica55

secondo la quale ―l‘uomo è un animale

ragionevole mortale‖ (homo est animal rationale mortale).56

In questo modo

l‘uomo si differenzia da una parte dagli animali e dall‘altra da Dio: l‘animale è

mortale, ma non pensa; Dio pensa, ma non è mortale.57

In altre parole, l‘uomo è

composto da anima e corpo.58

Tale distinzione comunque non salda il composto

55 ARISTOTELE, top. 132b 2; SESTO EMPIRICO, Pyrr. Hyp. 2, 25, MUTSCHMANN, p. 70;

CICERONE, Acad. post. 7, 21, RACKHAM, p. 494; QUINTILIANO, instit. orat. 5, 10, 56, BUTLER

II p. 230; 7, 3, 15, BUTLER III p. 90; PORFIRIO, isag. CAG 4.1, p. 10, 10-15. Intorno la

definizione della specie ―uomo‖ come ―animale razionale mortale‖ (zw|o.n logiko.n qnhto.n)

ruota l‘intero opuscolo porfiriano, e su essa ha costruito l‘albero logico. Che questa

definizione e le successive possano essere di provenienza varroniana, cf. N. CIPRIANI,

L‟influsso di Varrone sul pensiero antropologico di S. Agostino, in L‟etica cristiana nei

secoli III e IV: eredità e confronti, Roma 1996, pp. 369-400; simile atteggiamento: V.

PACIONI, Agostino d‟Ippona, pp. 65-69. 56 ord. 2, 11, 31; 2, 19, 50; quant. an. 25, 47-49; mor. 1, 27, 52; mag. 8, 24; trin. 15,

7, 11. 57 In ord. 2, 11, 31 Agostino scrive: ―L‟uomo è un animale ragionevole mortale.

Vediamo che nella definizione, posto il genere qual è determinato in animale, vengono

aggiunte due differenze specifiche. E con queste, come penso, si doveva ammonire l‘uomo

dove deve ritornare e da dove deve fuggire. Infatti, come l‘allontanamento dell‘anima ha

raggiunto la soggezione alla morte, così il ritorno deve essere verso la ragione. L‘uomo, in

quanto ragionevole, si differenzia dalle bestie; in quanto mortale, dai valori. Se non

conserverà il primo, diverrà bestia, se non si allontanerà dall‘altro, non diverrà valore. E

poiché i dotti sogliono con acume e perspicacia determinare la distinzione che esiste fra

ragionevole e razionale, la distinzione non può essere trascurata ai sensi dei risultati che

intendiamo raggiungere. Essi hanno detto che ragionevole è l‘essere che usa la ragione o la

può, usare e che razionale è un prodotto della ragione nell‘ordine dell‘azione e del

linguaggio. Possiamo quindi denominare razionali questi termini e il nostro discorso;

ragionevoli il loro costruttore e noi che stiamo parlando. Quindi la ragione si produce

dall‘anima ragionevole nell‘ordine dell‘azione e del linguaggio‖. 58 beata v. 2, 7; 2, 9; sol. 1, 12, 21; ep. 3, 4; ord. 2, 7; quant. an. 1, 2; mor. 1, 4, 6;

div. qu. 7.

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L‘UOMO 23

―essere umano‖, ma lo divide. L‘uomo deve tendere verso l‘intelletto (quello

immortale) e liberarsi dal corpo animalesco (quello mortale). Tuttavia, per definire

che cosa è l‘uomo si devono considerare entrambe le sue parti:

l‘anima e il corpo sono due e nessuno dei due si chiama uomo in assenza

dell‘altro, infatti né il corpo è un uomo se manca l‘anima, né l‘anima a sua

volta è un uomo se essa non dà vita al corpo.59

Secondo un‘altra definizione di Agostino,

[L‘animo] è una certa sostanza partecipe di ragione, capace a governare il

corpo (Nam mihi videtur esse substantia quaedam rationis particeps,

regendo corpori accommodata).60

Il termine substantia significherebbe qui ente per sé sussistente,

―sostanziale‖ anche se immateriale. La ―sostanza‖ dell‘animo è una natura ultima,

un elemento dotato di proprie caratteristiche non scambiabili, come per esempio,

l‘elemento terra è sempre terra e non può diventare fuoco o qualcos‘altro.

Agostino, cosa certa, non accetta rigorosamente una impostazione dualistica; in

sintonia con i neoplatonici non sostiene l‘ilemorfismo, né l‘idea di Aristotele di

anima come forma del corpo, perché questo esporrebbe a rischio l‘immortalità

dell‘anima: questa scomparirebbe insieme con il corpo a cui dà la forma.61

Di

Aristotele accettò solo l‘idea che l‘anima sia il principio di esistenza, di essere, di

movimento del corpo.

La definizione: substantia regendo corpori accommodata esse, è molto

importante ed è stata oggetto di diverse interpretazioni. Il nodo è l‘aggettivo

59 mor. 1, 4, 6. 60 quant. an. 13, 22. 61 Cf. V. PACIONI, Agostino d‟Ippona, p. 66. Anche se Pacioni non menziona la

possibile fonte che Agostino abbia potuto usare per la sua negazione che l‘anima è

entelechia del corpo, quella è facilmente rintracciabile – basta infatti consultare enn. 4, 85.

Dall‘altra parte, illuminante è il seguente brano di Ambrogio: ―Dunque, l‘anima non è il

sangue, poiché il sangue appartiene alla carne; l‘anima non è un‘armonia (harmonia), perché

anche un‘armonia di questo genere appartiene alla carne; l‘anima non è un soffio d‘aria

(aer), poiché il vento che soffia è una cosa, un‘altra è l‘anima; l‘anima non è fuoco (ignis),

l‘anima non è un‘entelechia (evntele,ceia); l‘anima è l‘essere vivente, perché Adamo fu

plasmato come anima vivente, in quanto il corpo è insensibile e privo di vita, ma è l‘anima

che lo vivifica e lo governa‖ (Isaac. 2, 4, CSEL 32/1, II, pp. 644-645). Tutti questi concetti

sono stati usati continuamente da Agostino.

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24 Z. DJUROVIC

accommodatus, a, um che significa acconcio, appropriato, idoneo, capace. Inoltre,

si potrebbe tradurre con commisurato, aggiustato in (a) modo. Pacioni traduce:

―ordinata a governare il corpo‖. Ordinato ivi significherebbe predisposto o

apparecchiato a un fine.62

Tale interpretazione sembrerebbe dire che Dio ha creato

l‘anima (esclusivamente) per muovere un ente inferiore a essa; il prof. Pacioni, ha

voluto certamente polemizzare con coloro che sostengono il pensiero del giovane

Agostino prettamente dualistico.63

La traduzione di Cipriani supera decisamente ogni interpretazione

dualistica: ―Per Agostino l‘anima non è una natura estranea al corpo, perché è

creata da Dio adatta (accomodata) a governare il corpo, fatto di cui nessuno può

giustamente lamentarsi, perché ne risulta tantus et tam divinus ordo (quant. an. 36,

81). Sono affermazioni che si oppongono chiaramente a Plotino, per il quale

l‘anima non solo è incorporea ma è una sostanza che non deve il suo essere al fatto

che sia insediata in un corpo (enn. 4, 7, 85, 40-47) e riteneva insopportabile

l‘unione dell‘anima con il corpo, perché esso è di ostacolo al pensare, e perché

riempie l‟anima di piaceri, di brame e di dolori (enn. 4, 8, 2)‖.64

Tutto ciò induce

62 PACIONI, Agostino d‟Ippona, p. 66. La stessa traduzione: D. GENTILI, NBA III/2.

GIOVANNI CATAPANO, in Aurelio Agostino, Tutti i dialoghi, introduzione generale,

presentazioni ai dialoghi e note di G. CATAPANO; traduzioni di M. BETTETINI, G. CATAPANO,

G. REALE, Milano: Bompiani, Il pensiero occidentale, 2006, p. 739 traduce con addetta.

ÉTIENNE GILSON, L‟esprit de la philosophie médiévale, ÉPhM 1998, p. 181, traduce con

apte. 63 Se uno vuole leggere la definizione agostiniana in una visione olistica dovrebbe

chiedersi perché questa formulazione non si troverà mai più nel suo opus che, con passare

del tempo, tenderà sempre più a mettere in relazione naturale l‘anima col corpo. D‘altra

parte, se si afferma che l‘anima è stata creata da Dio per governare il corpo, risveglieremo

l‘antica dilemma che cosa è stato creato prima: corpo o anima? Sappiamo infatti che

Tertulliano, aderendo alla lettera della Scrittura, affermava che il polvere della terra fu

trasformato nella carne umana che per prima ottenne il nome dell‘uomo (cf. res. carn. 5, 8,

SPCK, p. 16). Tale opinione non era accettabile per Gregorio di Nissa: l‘ uomo non è stato

creato prima come una immagine scolpita di argilla per cui in seguito è stata creata l‘anima.

―Perché in questo caso, la natura intelligente sarebbe inferiore di una creatura transitoria‖

(opif. 28, PG 44, 233c). Gli oppositori di Nisseno sostenevano che una volta creato il corpo

materiale, sarebbe ingiusto che fosse immobile, e per questa fine gli fu data l‘anima, che è di

valore più basso, perché tutto ciò che viene fatto per un scopo ha meno valore che la fine per

cui serve. Loro, e non Tertulliano – che era estraneo a tele ragionamento – si richiamavano

pure a Mt. 6, 25: la vita forse non vale più del cibo e il corpo più del vestito? (opif. 28, PG

44, 229cd). Tertulliano soltanto in caso di Adamo permetteva la precedenza temporale del

corpo, ma nel tempo attuale il corpo nasce insieme coll‘anima: ―caro atque anima simul

fiunt sine calculo temporis, ut quae simul in utero seminantur,‖ (res. carn. 45, 4, SPCK, p.

124). 64

N. CIPRIANI, Il tema agostiniano, p. 148.

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L‘UOMO 25

Cipriani a concludere: ―l‘anima, poi, è creata da Dio adatta a governare il corpo, e

da lui data al corpo a questo scopo‖.65

Ivi faccio una digressione che reputo

importante.

Anche se è possibile che Agostino nel quant. an. 36, 81 poteva aver in

mente Plotino, ciò non è esplicito detto, e d‘altra parte ci sono come più probabili

interessati i manichei. Proprio Plotino, infatti, ha disapprovato le lamentele e i

biasimi degli gnostici circa il legame dell‘anima con il corpo.66

Il filosofo di

Licopoli, dopo aver esposto in breve la dottrina delle tre principali ipostasi, nega

come assurda l‘idea gnostica che ―l‘Anima ha creato perdendo le sue ali‖,67

quando

essa invece genera il mondo sensibile per sua propria natura e non si può dire che

questo mondo è qualcosa di cattivo perché vi sono in esso molte cose poco

gradevoli.68

[Gli gnostici] biasimano (memfo,menoi) questo universo, considerando una

colpa la comunione69 dell‘anima col corpo (th.n pro.j to. sw/ma koinwni,an th|/

yuch|/ aivtiw,menoi), criticando Colui che governa il nostro mondo...70 Chi

disapprova questo mondo non sa ciò che fa, né sin dove arriva la sua

audacia.71

Gli gnostici, in realtà, non conoscono la struttura piramidale degli esseri, e

per questo biasimano gli esseri che occupano i gradi più bassi (la dottrina che

Agostino, seguendo Plotino, fa sua).72

Non sanno, poi, che il nostro mondo non

65 Ib. p. 150. 66 Su questo tema Plotino scrisse, all‘apice della sua potenza speculativa, il

paragrafo 9 del libro II delle enn. Lui critica i gnostici come coloro che non hanno capito

nulla della dottrina di Platone e degli altri uomini divini (cf. enn. 2, 9, 6). 67 PLAT. Phaedr. 264c. 68 enn. 2, 9, 4. 69 Mi pare tropo forte la traduzione di Giuseppe Faggin (in PLOTINO, Enneadi;

PORFIRIO, Vita di Plotino; trad., intr., note e bibl. di G. FAGGIN; presentazione e iconografia

plotiniana di GIOVANNI REALE; revisione finale dei testi, appendici e indici di ROBERTO

RADICE. Milano: Bompiani, 2002, p. 297), che usa ―l‘unione‖ per koinwni,an. Io darei la

preferenza alla partecipazione, relazione, comunanza, perché l‘unione può significare un

nesso necessario, indissolubile, naturale, o una fusione tra due soggetti, cosa che Plotino non

potrebbe mai accettare. Marsilio Ficino (Plotini Enneades cum Marsilii Ficini

interpretatione castigata, edd. F. CREUZER, G. H. MOSER, Paris 1855, p. 98) invece adopera

un‘espressione meno impegnativa: commercium. 70 enn. 2, 9, 6. 71 enn. 2, 9, 13. 72 enn. 2, 9, 12.

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26 Z. DJUROVIC

potrebbe esistere se lo si tagliasse fuori dal mondo noetico; il mondo, quindi, è

partecipe di Dio.73

Odiano (misei/n) la natura corporea, continua Plotino, perché

interpretano male le affermazioni di Platone, secondo le quali il corpo è un

ostacolo per l‘anima.74

Per tale motivo e perché pensano che la provvidenza divina

sia ristretta solo a loro – esseri di natura ―elevata‖ e che si sentono in questo mondo

come in una terra straniera (gh/ xe,nh)75

– e non a tutti gli esseri corporei che

completano l‘Universo, ordinano ai suoi seguaci di ―fuggire la società degli altri

uomini e pensare solo al proprio interesse‖.76

La dottrina degli gnostici è più

temeraria di quella epicurea, perché isola completamente un individuo e così costui

non ha bisogno di nessun sistema etico. La virtù ci lega a Dio e al prossimo; senza

di essa Dio non è che un nome vuoto.77

Plotino è cosciente che gli gnostici

potranno dire che la loro dottrina allontana dal corpo miserevole, e che la sua,

invece, legherebbe l‘anima al corpo. Malgrado ciò,

è necessario per noi, finché abbiamo un corpo, abitare in case costruite da

un‘Anima buona e sorella che ha il potere di creare senza fatica.78

Il dualismo plotiniano, in ultima analisi, non è equiparabile a un dualismo di

stampo gnostico-manicheo (uno che scrisse il trattato sulla Bellezza non può essere

considerato dualista nel senso vero e proprio del termine). Esso risulta tale – cioè

classificabile in un sistema dualistico – piuttosto per la sua sopravvalutazione

dell‘anima. Il lato positivo e negativo della sua dottrina coesistono pacificamente.

Lui tenta di conciliare diverse formulazioni ellenistiche riguardanti questo

problema. Plotino, infatti, raccoglie differenti spiegazioni sulla caduta dell‘anima,

che – come lui pensa – non sono in contraddizione tra di loro:

la semina delle anime nel divenire; la loro discesa destinata al

perfezionamento dell‘universo; la punizione; la caverna; la necessità e la

73 enn. 2, 9, 16. 74 enn. 2, 9, 17. 75 enn. 2, 9, 11. 76 enn. 2, 9, 15. Plotino, dunque, non richiede l‘abbandono delle virtù politiche, ma

in realtà dice che rassomigliamo a Dio (anche se prima abbia negato che lo stesso Dio

possiede le virtù sia noetiche sia politiche) pure con le virtù civili e non soltanto con quelle

superiori (enn. 1, 2-3). 77 enn. 2, 9, 15. Quello che conta, secondo i gnostici è la natura divina che per

necessita si riunirà con se stessa. Per questo loro, come dice Plotino, non hanno mai

formulato una dottrina della virtù. 78 enn. 2, 9, 18.

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L‘UOMO 27

libertà... la dimora nel corpo come in una cosa cattiva; e poi, l‘esilio dal Dio,

di cui parla Empedocle; il vagabondaggio; la colpa cui segue il castigo... il

riposo nella fuga, di cui parla Eraclito... la discesa volontaria e la discesa

involontaria. Tutto ciò che va verso il peggio è involontario, ma poiché ci si

muove con azione propria, si può dire che il male è il castigo per le azioni

compiute. Ma poiché questo patire e questo agire sono ineluttabili per

l‘anima secondo una legge eterna della natura (fu,sewj no,mow|), poiché ogni

evento che le accada in questa sua discesa finisce per essere utile a qualche

altro essere in quanto discese da una regione superiore, chi dicesse che è Dio

che l‘ha inviata giù non sarebbe in contrasto... Anche le ultime conseguenze

devono risalire tutte a un primo Principio, anche se gli esseri intermedi sono

molti.79

Dunque, il negativo avviene quando abbiamo un sistema inverso della

valutazione: il sensibile infatti dovrebbe occupare l‘ultimo posto nell‘essere.

Quando l‘anima s‘incatena al corporeo viene definita ―caduta‖. Quando invece

dirige il corporeo con giusta ragione si dice che viene seminata, cioè che Dio parla,

ordina l‘Universo.80

L‘ordine naturale richiede che l‘anima domini la realtà

sensibile. Ivi allora è improntato tutto il problema dualistico. Per il pensiero

plotiniano queste formulazioni soltanto danno una luce particolare sui diversi

aspetti del fenomeno in cui ci imbattiamo.

Non era necessario neanche ricorrere al trattato plotiniano contro gli

gnostici, ma bastava soltanto osservare più attentamente il passo tratto da enn. 4, 8,

2 da cui Cipriani ha citato la frase che il corpo è di ostacolo al pensare, e perché

riempie l‟anima di piaceri, di brame e di dolori. Introducendo l‘argomento, Plotino

si chiede se l‘anima abiti nel corpo volontariamente, o costretta, o per altre ragioni

e afferma che di qualsiasi motivo si trattasse non è male (ouv kako.n) per essa donare

al corpo in qualche modo la potenza di partecipare (pare,cein) al bene ed all‘essere.

A questo punto, per commentare la definizione di Agostino: animus est substantia

quaedam rationis particeps, regendo corpori accomodata, si dovrebbe dedurre che

l‘anima è naturalmente legata al corpo. Agostino, siamo cauti, parla di animus, non

di anima, anche se questi termini quasi sempre coincidono nel suo pensiero.

L‘anima non partecipa alla ratio, l‘animus invece sì. L‘anima vivifica un corpo, ma

79 enn. 4, 8, 5. Questo trattato appartiene a gruppo dei ―perfetti‖ (cf. PORFIRIO, vita

Pl. 6, HENRY/SCHWYZER I, p. 11). 80 Cf. enn. 4, 8, 4. Uno studio approfondito di questo tema: WERNER BEIERWALTES,

Eternità e tempo: Plotino, Enneade III, 7. Saggio introduttivo, testo con tradizione e

commentario. Intr. G. REALE, trad. A. TROTTA, Milano 1995, pp. 244-250.

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28 Z. DJUROVIC

l‘animo, specificum dell‘essere ragionevole, regge un corpo attraverso l‘anima.

L‘espressione animus non viene mai adoperata nei riguardi degli animali. Esso è

spesso identificato con la mens, la parte più elevata dell‘anima.81

L‘animo è il

nucleo della volontà e dell‘emozionalità dell‘uomo, ma sempre legato alla

razionalità. Mens invece può essere identificato con la capacità giudiziale (scientia)

e infine con la contemplazione della Sapientia.82

Gli animali viceversa sono privati

di tutto ciò. Essi possiedono soltanto l‘anima vegetativa che è sede di appetito, di

percezione e di memoria. Qualcosa (animus) che partecipa alla ratio, non è

necessariamente legato al corpo. Esso viene definito animus intellectualis,83

o

animus rationalis,84

o più spesso anima rationalis. Essendo una ―sostanza‖

immateriale, se concepito come attività sovrasensibile, e quindi non prodotto dei

processi fisici, solo sotto questo profilo si può concludere che l‘animus non può

avere un legame naturale con il corporeo.

L‘idea agostiniana del primato dell‘anima rispetto al corpo sembrerebbe

realizzarsi nella visione del corpo come strumento dell‘anima: ―L‘uomo… è

un‘anima razionale che si serve di un corpo mortale e terreno‖.85

Questa

definizione potrebbe sembrare puramente platonica, ma in termini molto simili

ricorre anche in Aristotele.86

Anche qui abbiamo una assiologia indubbia: anima

rationalis homo est. Quello che conta è anima. L‘anima razionale che usa un corpo

mortale si denomina uomo.87

Tuttavia, soprattutto nel quant. an. Agostino ci

assicura che la natura umana include non soltanto l‘anima razionale, ma anche

quella sensitiva o irrazionale.88

Le nature dell‘anima e del corpo sono, comunque,

eterogenee. L‘anima infatti è incorporea. Dicendo più precisamente, l‘anima non è

81 c. acad. 1, 5. 82 Su questo argomento confronta: R. INNES, Integrating the Self through the desire

of God, AugStud 28:1 (1997) 67-109, ivi p. 70. 83 ep. 6, 2; vera rel. 44, 82. 84 c. Faust. 22, 53. 85 mor. 1, 27, 52: ―Homo igitur, ut homini apparet, anima rationalis est mortali atque

terreno utens corpore‖. 86 anim. 415b, 17-19. 87 Una simile interpretazione è rintracciabile in TINA MANFERDINI, Comunicazione

ed estetica in Sant‟Agostino, Edizioni Studio Domenicano [Philosophia 17] 1995, p. 262,

però mi dissocio da quello che ella scrive in pagina 263: ―Agostino in un primo tempo

aderisce alla posizione platonica, secondo la quale il corpo è male e negativo, in quanto

deriva dalla materia che è il principio di tutti i mali‖. Questa conclusione sarebbe

inaccettabile anche per GILSON, L‟esprit, pp. 180-182, che ammette che Agostino affermava

l‘unione dell‘anime col corpo, ma non sapeva giustificare come questo avviene. Lo studioso

francese nota che il platonismo ha introdotto un problema latente e non superato nella

filosofia cristiana. 88 ord. 2, 2, 6. Cf. N. CIPRIANI, Il tema agostiniano, pp. 148. 154-156.

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L‘UOMO 29

composta di terra, di acqua, di aria, di fuoco, o dall‘unione di alcuni di questi

elementi. Perciò Agostino non può definire la sua essenza. Basta sapere che essa è

qualche cosa di semplice e dotata d‘una propria sussistenza, ossia d‘una propria

natura.89

In conseguenza, l‘anima è una sostanza immateriale, ma allo stesso tempo

è reale. È immateriale perché non esiste nello spazio. Non ha una estensione, non

occupa uno spazio, né è spazialmente unita al corpo, e per questo non è possibile

che divenga un corpo.90

In questo l‘anima è simile a Dio: come Dio intero è

presente simultaneamente non solo nella totale estensione del mondo ma anche in

ogni sua particella, così l‘anima è presente nel corpo. Come, invece, questo

funziona nel caso dell‘anima, Agostino ammette di non averne cognizione, e può

confermare solamente che il discorso sull‘anima non rientra nei parametri che

descrivono il corporeo.91

L‘anima è indivisibile92

e immortale,93

perché non composta, né soggetta

alle leggi del corporeo. Essa non si disgrega con il deterioramento degli elementi

materiali. Nei dialoghi di Cassiciaco e nell‘imm. an. la preoccupazione di Agostino

mirava a salvaguardare l‘immortalità dell‘anima. Essa non è legata ad un organo

specifico e così non è ―contaminata‖ dalla corruttibilità (=spazialità). Il

neoconvertito sentiva fortemente il problema di come mai Dio avesse potuto creare

qualcosa d‘immortale, perché immortale significherebbe non aver inizio. Malgrado

ciò, Agostino lo saltava con discreta leggerezza.94

Il primato è attributo specifico

dell‘anima. Essa è autocosciente, automovente, la causa del corporeo: l‘anima crea

il corpo e ha cura di esso. Tutto ciò significa che le sue più nobili funzioni e scopi

non sono sostanzialmente, o naturalmente legati al mondo corporeo. Dal corpo non

riceve nulla. Parole che potrebbe sottoscrivere anche Plotino.95

Cosa portò in sé l‘idea della predominanza dell‘anima? Il primo risultato fu

una visione della sensibilità come di qualcosa ontologicamente imperfetto. Un

89 quant. an. 1, 2. 90 imm. an. 16, 25. 91 imm. an. 16, 25; quant. an. 3, 4; ep. 166, 4. 92 quant. an. 32, 62. 68. 93 ord. 2, 5, 17; 2, 15, 43; sol. 2, 3, 4. 4, 5. 19, 33 e l‘intera opera, imm. an. 94 Cf. quant. an. 1, 2. 95 imm. an. 13, 20. Proprio Plotino afferma che l‘anima crea (pla,ssw) il corpo e il

mondo corporeo (enn. 2, 3, 8; 4, 3, 6; 6, 4, 4) e che lo amministra (enn. 4, 8, 2. 4, 10).

Agostino ritratterà questa idea: ―Attraverso l‟anima da parte della Somma Essenza vien data

una forma al corpo, in virtù della quale è tutto ciò che è. In virtù dell‟anima dunque il corpo

sussiste ed acquista esistenza, per il principio stesso da cui è animato sia in generale come

il mondo sia in particolare come un qualsiasi essere fornito d‟anima che è nel mondo. Tutto

ciò è stato detto con estrema sconsideratezza‖ (retr. 1, 5, 3).

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30 Z. DJUROVIC

corpo non può essere semplice: è caratterizzato da quantità, molteplicità, immerso

nel divenire.96

Abbiamo già riportato un binomio peculiare di Agostino

(immutabile-mutabile), ma ora, approfondendo il rapporto tra lo spirito e il corpo

ne incontriamo un altro, cioè semplice-molteplice. L‘anima che si colloca nella

variabilità non può neanche contemplare l‘uno, dice Agostino nel De ordine,

perché questo si può superare soltanto

con il distacco dalla molteplicità. Per molteplicità non intendo una

moltitudine di uomini, ma tutto il mondo sensibile. E non devi meravigliarti

che tanto maggiormente l‘anima sente la privazione quanto più desidera di

raggiungere il molteplice... lo spirito collocatosi fuori di sé si frantuma in

infinite parti e si degrada ad una genuina mendicità perché la sua natura lo

stimola a cercare l‘unità, ma la molteplicità glielo impedisce.97

È ovvio che qui non si tratta del mondo sensibile in quanto caduco, ma in

quanto tale. L‘errore dell‘anima consiste nel considerarlo valore in sé, ma in realtà

tutto l‘Universo con l‘insieme degli esseri dovrebbe relazionarsi con il primo

principio e rivelare tale unità. In questo senso Agostino richiede la fuga dal

sensibile e il ritorno dell‘anima, cioè della sua parte cospicua, la mente, a se stessa.

Grazie alla mente preparata con l‘esercizio nelle arti liberali e purificata con

l‘attuazione delle virtù l‘anima si allontana dalla molteplicità e ritorna alla

semplicità.

Nel preludio del c. acad. 1, 1, emerge l‘ambiguità nel considerare il mondo

sensibile, il molteplice. Agostino parte dal fatto che lo spirito immortale è calato

nelle cose mortali ma è incerto sul fatto del perché è stato così disposto; per motivi

dipendenti da noi o per condizioni naturali? In altre parole, se siamo discesi per

colpa nostra, ciò vuol dire che il sensibile è ―male‖ in sé, se invece dipende dalla

natura, il corporeo è bene in sé. Comunque sia, non siamo nel porto della filosofia

e ci rimane di pregare Dio perché ―ci restituisca a noi stessi‖, e permetta che la

―nobile nostra mente‖ si levi nelle auree della vera libertà. Le ―anime nobili‖,

anche se divine, si sono addormentate in un profondo sonno e per questo motivo

96 Soltanto per dare un esempio mi richiamo a passo dell‘imm. an. 3, 3: Il corpo non

può essere completamente uno perché può essere diviso in parti ed è assurdo un corpo senza

parti. Tutte le cose, che non possono essere simultaneamente in un attimo di tempo sono di

necessità nel divenire.

Gli attributi del corpo, qui esposti, sono tutti quanti, naturalmente, presenti in

Plotino (cf. enn. 5, 4, 1; 4, 7, 8; 4, 1, 2. 7, 1, 2). 97 ord. 1, 2.

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L‘UOMO 31

non disprezzano ciò che si percepisce con gli occhi mortali.98

Quello che è vero

(Dio Pensante) forse l‘intelligenza raramente può raggiungerlo, un senso mai.99

I

sensi possono percepire solamente il sensibile, e, dunque, l‘anima sola può

superare gli ostacoli del ―mondo delle apparenze‖, e tornare nel luogo della sua

origine, in cielo.100

Per questo, ―il bene sommo dell‘uomo è nella mente‖.101

Il primo Agostino, come si è già evidenziato,102

faceva sua la posizione

platonico-aristotelica quando uguagliava la visione negativa platonica del mondo

sensibile con quella scritturistica.103

Rimane un punto fermo che il mondo sensibile

era concepito nella sua matrice negativa, ma non in senso etico. Tutto il corporeo

per necessità è mortale, incostante. L‘immortalità invece abita nell‘intelligibile. Da

queste diversificazioni nasce la primitiva tensione nel pensiero di Agostino:

l‘immortale infatti è legato al mortale. Il vero io è disperso nella molteplicità che

minaccia di ingoiarlo. Esso ha gravi difficoltà di ricuperarsi. Tende verso l‘unità e

stabilità, ma la pluralità gli nasconde la via. Il mondo dell‘apparizione gli occulta il

vero mondo:

L‘amore di questo mondo è più faticoso. L‘anima non trova in esso quel che

cerca, cioè l‘immutabilità e l‘eternità, poiché la Bellezza infima ha la sua

compiutezza nel movimento dei sensibili e ciò che in essa è imitazione

dell‘essere posto fuori del movimento le viene partecipato da Dio sommo

mediante l‘anima.104

98 c. acad. 1, 3. 99 c. acad. 1, 8, 22. 100 c. acad. 2, 9, 22. 101 c. acad. 3, 12, 27. 102 c. acad. 3, 19, 42. 103 Può darsi che il più lampante esempio del dualismo giovanile di Agostino

l‘abbiamo in quant. an. 3, 4: ―Non è assolutamente possibile rappresentarsi l‘anima o lunga

o larga o dotata di resistenza. Per quanto ne capisco io, queste son proprietà sensibili e sulla

base dell‘esperienza sensibile ci raffiguriamo con esse l‘anima. E per tal motivo giustamente

anche nei riti religiosi si insegna a chiunque intende rendersi tale quale è stato creato, cioè

simile a Dio, di disprezzare le cose sensibili e di rinunciare a tutto questo mondo che, come

esperimentiamo, è sensibile. Non v‘è infatti altra salvezza per l‘anima o rinnovamento o

riconciliazione col proprio Creatore‖.

L‘uomo fatto ad immagine di Dio non è sensibile, si evince da questo brano. Questa

immagine (l‘anima) deve di nuovo aderire al suo prototipo. La salvezza, il ritorno allo stato

primordiale, non ha nulla a che fare con il sensibile. 104 mus. 6, 14, 44.

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32 Z. DJUROVIC

Con questi pensieri Agostino dà avvio ai due grandi temi della filosofia

occidentale: a) ―essere gettati nel mondo‖, b) la frammentazione dell‘Io. L‘uomo si

trova gettato nell‘inautenticità e in un posto minaccioso:

siamo stati gettati in questo mondo come in un alto mare tempestoso, in

modo avventuroso e casuale (Cum enim in hunc mundum… veluti in

quoddam procellosum salum nos quasi temere passimque proiecerit).105

Tutto ciò crea nell‘essere umano gravi distorsioni e inquietudini. Il mondo

non può rendere beato l‘uomo: ―il nostro cuore è inquieto finché non riposa in

Dio‖.106

L‘uomo di conseguenza è un grande abisso,107

mai conoscibile da se stesso

e dagli altri.108

Il suo Self, vero Io, come direbbe Agostino, è difficilmente

scopribile perché è frammentato. Tale frammentazione si evince, secondo l‘analisi

di Robert Innes da tre depravazioni: 1) della memoria (la ragione si è scordata di

Dio; a volte appaiono involontariamente le immagini dimenticate; la memoria non

è capace di riunire insieme tutta la storia vissuta dell‘Io), 2) l‘Io non riconosce più

se stesso e 3) il libero arbitrio dell‘Io si è indebolito a tal punto che non può dire: Io

sono, o Io voglio.109

La linea del pensiero agostiniano che avvicina le due componenti

dell‘essere umano, sarà in seguito sempre di più approfondita. Per chiarire l‘unione

del corpo e dell‘anima, Agostino utilizza spesso l‘immagine del cavaliere e del

cavallo (mantenuta da Varrone)110

con l‘intenzione di mettere in rilievo il fatto che

tra cavaliere e cavallo si stabilisce, come pensano alcuni studiosi, un rapporto

necessario111

e che il cavaliere è ordinato a governare il cavallo, come appunto

l‘anima il corpo. Abbiamo visto che il primo Agostino non parlava di un rapporto

necessario tra l‘anima e il corpo. È oltre ogni ragionevole dubbio che Agostino

abbia ripreso questa immagine da Varrone, come si desume dagli studi del

Cipriani. Però, l‘ord. 2, 6, 18 genericamente si rifà alla soluzione varroniana. Di

rilevante importanza è invece mor. 1, 4, 6 dove Agostino conferma che siamo

composti di anima e di corpo, ma piuttosto si chiede che cosa è l‘uomo in se stesso:

105 beata v. 1, 1, 1. 106 conf. 1, 1, 1. 107 conf. 4, 12, 22. 108 conf. 10 8, 15. 109 R. INNES, Integrating the Self, 81-93. 110 Cf. ord. 2, 6, 18; mor. 1, 4, 6. Questo motivo era elaborato dapprima da

PLATONE, Prot. 357b-361b; Men. 87d-89c. 111 Cf. V. PACIONI, Agostino d‟Ippona, p. 66-67; id. L‟ unità teoretica del De Ordine

di s. Agostino, Roma 1996, p. 220.

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L‘UOMO 33

se il solo corpo o la sola anima. Quantunque l‘anima e il corpo siano due e nessuno

dei due si chiamerebbe uomo in assenza dell‘altro, ciò nonostante può capitare che

uno dei due si possa considerare l‘uomo. È difficile decidere (difficile est istam

controversiam diiudicare), ci convince Agostino in questo paragrafo, come stanno

le cose a proposito della soluzione varroniana. Preferisce perciò evitare

l‘argomento. Dunque, egli non afferma che il legame tra anima e corpo sia

essenziale, ossia naturale. Soltanto il maturo Agostino si muoverà in tale senso:

Varrone... prima di tutto ritiene che si deve esaminare che cos‘è l‘uomo...

Ritiene infatti come certo che i due principi sono nella sua natura, il corpo e

l‘anima, e non pone in discussione che dei due l‘anima sia più perfetta e di

gran lunga più elevata. Ipotizza invece se l‘uomo sia soltanto l‘anima in

modo che il corpo sia come il cavallo per il cavaliere, poiché cavaliere non è

l‘uomo e il cavallo, ma soltanto l‘uomo, e si chiama appunto cavaliere perché

in qualche modo è in rapporto col cavallo... e ancora che non l‘anima o il

corpo soltanto ma che l‘una e l‘altro insieme sono l‘uomo e che una parte

sono tanto l‘anima che il corpo ed egli, per essere uomo come un tutto, risulti

delle due parti, allo stesso modo che consideriamo biga due cavalli

accoppiati, di cui sia quello di destra che quello di sinistra è parte della biga e

non consideriamo biga uno solo di loro, comunque sia rapportato all‘altro,

ma l‘uno e l‘altro assieme. Delle tre ipotesi ha scelto la terza e ritiene che

l‘uomo non è soltanto anima o soltanto corpo, ma unitamente anima e corpo

(hominemque nec animam solam nec solum corpus, sed animam simul et

corpus esse arbitratur). Quindi afferma che il sommo bene dell‘uomo, con

cui diviene felice, risulta dall‘una e dall‘altra componente, dall‘anima cioè e

dal corpo.112

Se nel mor. 1, 4, 6 Agostino è indeciso, l‘unica cosa che possiamo fare,

prendendo in considerazione civ. 19, 3, 1, è di constatare che egli abbia

approfondito alcune intuizioni, ossia che abbia preso una posizione a proposito di

tale questione: il secondo Agostino, come ci testimonia civ. 19, 3, 1, sosteneva il

nesso naturale, il primo invece no. Egli aveva tentato di superare un dualismo

crudo affermando che l‘anima ha una naturale tendenza (appetitus) verso il corpo

per dargli vita e armonia, tenerlo unito e muoverlo. Tuttavia, l‘appetitus non è

legato alla mens. L‘appetito verso il corpo è insito come un codice in ogni specie di

anima. Tale tendenza come pure la memoria e il senso possiedono, in realtà, anche

112 civ. 19, 3, 1.

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34 Z. DJUROVIC

le anime degli animali.113

Il desiderio appartiene alla natura dell‘anima, perché Dio

in persona l‘ha inserito in essa.114

Tuttavia, l‘unione tra l‘anima e il corpo non si può spiegare secondo il

criterio assoluto della relazione naturale in senso assoluto, perché questa potrebbe

essere solamente tra entità della stessa natura. L‘anima e il corpo, infatti, sono

sostanze ontologicamente diverse.115

Dall‘altro lato, la mente non ha una

necessaria tendenza verso il corpo, perché certe anime godono di una vita felice

senza il corpo e gli angeli, che sono esseri razionali, non hanno un corpo, o se ce

l‘hanno, esso è altamente spirituale.116

Per queste ragioni Agostino parla di

misteriosa fusione (ineffabili permixtione),117

concetto che equivarrebbe all‘unione

non confusa (avsu,gcutoj e[vnwsij) di Porfirio.118

Questa era l‘alternativa di Porfirio

ad una irreversibile fusione (kra/sij) che Agostino ha adottato in forma

semplificata, perché a differenza di Porfirio, ritieneva che nessuna legge di natura

fosse stata stravolta.119

Gli elementi che compongono l‘essere umano, non sono

fusi, afferma Agostino seguendo un‘immagine addotta da Plotino: la luce si

mescola senza alterarsi con l‟aria.120

Si può parlare, dunque, solamente di una

mixtura, nella quale gli elementi mantengono le loro proprietà.121

Nel libro settimo del De Genesi ad litteram si legge che l‘anima, che non è

identificabile con alcuno degli elementi corporei122

nemmeno con l‘etere,123

governa le membra del proprio corpo mediante gli elementi più sottili, cioè l‘aria e

la luce. Poiché senza questi due sottilissimi elementi non può esserci sotto la

113 civ. 5, 11. Agostino asserisce la facoltà della memoria pure ai pesci non

condividendo la posizione di Basilio (hex. 8, 1, DE MENDIETA/RUDBERG, pp. 127-128)

secondo cui i pesci sono stati chiamati non anime viventi ma rettili d‟anime viventi perché

sono privi di memoria (Gn. litt. 3, 8, 12). 114 civ. 22, 4. 115 ep. 137, 3, 11: ―L‘unione di due sostanze incorporee si doveva credere più

facilmente che non quella di una incorporea e di un‘altra corporea‖. 116 Per il corpo degli angeli cf. civ. 10, 9, 2 dove si parla di un corpo etereo, al

momento quando, invece, nel Gn. litt. 1, 9, 17; 2, 8, 16; 3, 20, 31; 5, 2, 4 si afferma che sono

incorporei e spirituali come l‘anima. 117 Gn. litt. 3, 16, 25. 118 In NEMESIO, nat. hom. 3, 22, MORANI, p. 42. Cf. H. DÖRRIE, Porphyrios‟

‗Symmikta zetemata‘. Ihre Stellung in System und Geschichte des Neuplatonismus nebst

einem Kommentar zu den Fragmenten, München 1959, pp. 63-68. 119 H. DÖRRIE, Porphyrios‟ Symmikta zetemata, p. 173sq.; AL p. 332. 120 ep. 137, 3, 11. PLOTINO, enn. 4, 5, 7. 121 serm. 186, 1; Io. ev. tr. 19, 15. Tra i padri latini questo concetto in contesto

cristologico lo troviamo in TERTULLIANO, adv. Prax. 27, PL 2, 189. 122 Gn. litt. 7, 11, 18. 123 Gn. litt. 7, 21, 27.

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L‘UOMO 35

direzione dell‘anima né sensazione fisica né movimento fisico spontaneo.124

Dunque, l‘anima non viene legata al corpo direttamente, ma per mezzo di

mediatori sottili, gli elementi che in sé racchiudono nature diverse. In conseguenza

di ciò Agostino può dire che il legame tra anima e corpo è naturale e che non viene

violata nessuna legge di natura. Il fulcro del contatto tra l‘anima e il corpo è il

cervello paragonato al timone:

L‘anima tuttavia agisce sulle zone del cervello come su propri strumenti

senza identificarsi con alcuno di essi (nihil horum est ipsa); al contrario essa

li guida tutti e, per mezzo di essi, provvede ai bisogni del corpo e della vita,

poiché in virtù di essa l‘uomo è divenuto un essere vivente.125

Poiché il legame tra l‘anima e il corpo non è del tutto naturale, ossia

inevitabile, l‘anima ha una certa indipendenza, e come non è composta da elementi

corporei così non è identificata con le funzioni degli organi corporei. Agostino

dedica buona parte (non a caso) del settimo libro del Gn. litt. alle teorie dei medici

(non nominati) che riducevano l‘anima a mera funzione del corpo e così ne

compromettevano la sua presunta immortalità. Secondo questi medici l‘esistenza

dei tre ventricoli del cervello ―è dimostrata da segni sicuri, in casi in cui quelle

rispettive zone del cervello sono state affette da una malattia o da un difetto

patologico‖.126

Questo argomento (medico) è molto forte. Si adopera nell‘AT ed è

rintracciabile nei Padri, sopratutto siri. Così, per esempio, Efrem il Siro conclude

che l‘anima non può esistere senza il corpo o fuori da esso perché quando i suoi

organi non funzionano non funziona neanche essa.127

A questo punto Agostino

adopera la teoria ―dell‘ostacolo‖: l‘anima che è una sostanza talmente diversa

rispetto al corpo, che può comprendere sia le realtà divine, sia se stessa, non deve

124 Gn. litt. 7, 15, 21; 3, 5, 1. Cf. Gn. litt. 7, 19, 25: ―Infatti, così come Dio trascende

ogni creatura, così l‘anima per l‘eccellenza della sua natura è superiore (dignitate praecellit)

a ogni specie di creatura corporea. Essa tuttavia governa il corpo per mezzo della luce e

dell‘aria che sono anch‘essi corpi superiori agli altri corpi di questo mondo in quanto hanno

più affinità con la sostanza spirituale (spiritui similiora sunt) e hanno più la capacità di agire

che di ricevono le modifiche, come invece succede nel caso dell‘umido e della terra‖. 125 Gn. litt. 7, 18, 24. Nel Gn. litt 7, 21, 30 Agostino chiama l‘anima ―spirito vitale‖. 126 Gn. litt. 7, 18, 24. 127 Nell‘ottavo inno del parad. Efrem sviluppa la sua argomentazione: ―Quel‘âme

sans le corps / Soit impuissante à voir, / Le corps même le prouve; / Lorsqu‘il devient

aveugle, / [L‘âme] de par son fait le devient elle aussi... / Si le corps devient sourd, / L‘âme

est sourde avec lui...‖ (parad. 7, 4-5, SC 137, pp. 114-115). Il saggio persiano Afraate

similmente ad Efrem sosteneva che le anime dormivano nelle loro tombe (cf. Г. В.

ФЛОРОВСКИЙ, Восточные Отцы IV века, Париж 1931, cap. 9, 3).

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36 Z. DJUROVIC

ricorrere a strumenti materiali che possono costituire in quel caso un ostacolo.128

Riporto un brano di Agostino stesso:

Quando poi l‘anima si sente vincolata dalle malattie del corpo, è infastidita

dal dispiacere che la propria attività intenta a governare il corpo è impedita

dal turbamento del suo equilibrio (eius temperamento), e questo dispiacere si

chiama dolore… Infine, quando queste funzioni – che sono, per così dire, a

servizio dell‘anima – a causa di un difetto o turbamento qualunque vengono a

cessare completamente poiché non agiscono più i messaggeri delle sensazioni

e gli agenti del movimento, si ha l‘impressione che l‘anima non ha più

motivo d‘essere presente [al corpo] e se ne allontana.129

In altre parole, Agostino non accetta la possibilità che le funzioni noetiche

dell‘anima possano essere il risultato di un processo materiale.130

Egli trova un

altro sostegno nella conoscenza di sé: l‘anima conosce se stessa nell‘intero suo

essere, poiché a conoscersi tutta intera non è un altro essere ma è lei stessa.131

Agostino conclude, ma non in modo assai convincente, che l‘anima è una entità

diversa dal corpo, ed è quindi in una certa misura indipendente da esso. L‘anima è

immortale secondo un certo modo di vita ch‘essa non può perdere affatto; tuttavia,

a causa dalla sua mutabilità, si ritiene altresì che è mortale, poiché la vera

immortalità la possiede solo Dio.132

In ultima analisi, da una parte, l‘unione del corpo e dell‘anima si può

immaginare come un rapporto necessario (formulazione varroniana). Anzi,

128 Gn. litt. 7, 14, 1. 129 Gn. litt. 7, 19, 25. 130 Tertulliano, invece, volendo unire più stretto le due componenti dell‘essere

umano, l‘anima e il corpo, sosteneva che tutte le funzioni dell‘anima sono legate al corpo

come organo: ―Artes per carnem, studia ingenia per carnem, opera negotia officia per

carnem, atque adeo vivere totum animae carnis est ut non vivere aliud non sit animae quam

a carne divertere. Sic etiam ipsum mori carnis est, cuius et vivere‖ (res. carn. 7, 12-13,

SPCK, p. 24), e che infine il pensiero non si può dividere dal corpo: ―Adeo autem non sola

anima transigit vitam ut nec cogitatus, licet solos, licet non ad effectum per carnem

deductos, auferamus a collegio carnis, siquidem in carne et cum carne et per carnem agitur

ab anima quod agitur in corde‖. Se il principale organo sensoriale si trova nel cervello la

medesima carne sarà la sede (organo) del pensiero (caro erit omne animae cogitatorium) (ib.

15, 3-5, pp. 38-40). 131 Gn. litt. 7, 21, 28. 132 Gn. litt. 7, 28, 43.

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L‘UOMO 37

Agostino preferisce vedere il legame tra di loro proveniente anche dalla volontà,133

cioè che l‘anima si trova a suo agio situata nel corpo. E come culmine di questa

impostazione egli dirà qualcosa che pochi si potrebbero aspettare: l‘anima dopo la

morte del corpo non è capace ancora

di vedere l‘essenza immutabile (incommutabilem substantiam) di Dio, come

la vedono gli angeli santi. Senza escludere una ragione più profonda, ciò può

avvenire perché è innata nell‘anima una specie di brama naturale di

governare il corpo (inest ei naturalis quidam appetitus corpus

administrandi). Questa brama raffrena in qualche modo l‘anima dal tendere

con tutte le sue forze verso quel sommo cielo (illud summum coelum) fino a

quando non sarà riunita al corpo in modo che quella sua brama rimanga

soddisfatta nel governare il corpo.134

D‘altra parte, tutto ciò non significa che l‘anima è ontologicamente sullo

stesso piano del corpo: di fatto, si trova ad essere su un piano di netta superiorità,135

malgrado la sua unione con il corpo,136

che da parte sua condiziona l‘anima, ma

non cancella la sua predominanza.137

Grazie proprio a questa sorta di unione, ma

non fusione, l‘anima salvaguarda la sua immortalità anche dopo la morte del suo

compagno. Dunque, esiste un appetitus animae verso il corpo,138

―per possederlo,

133 Gn. litt. 7, 27, 38: ―Ma se l‘anima viene creata per esser mandata nel corpo,

possiamo domandarci se vi sia costretta contro la sua volontà. È però preferibile supporre

ch‘essa abbia questa volontà per sua stessa natura (hoc naturaliter velle), cioè che la natura

in cui viene creata è tale ch‘essa lo vuole, come per noi è naturale il desiderio di vivere;

vivere male, al contrario, non appartiene di certo alla natura come una sua proprietà, ma alla

volontà perversa (perversae voluntatis)‖. 134 Gn. litt. 12, 35, 68. 135 Gn. litt. 5, 22, 43; civ. 19, 3. 1. 136 Gn. litt. 7, 12, 18-21, 30. 137 Gn. litt. 7, 20, 26. 138 Questo lato dell‘antropologia agostiniana l‘ha sviluppato soprattutto Nello

Cipriani. Lui insiste sui testi di Agostino che parlano sul coniugium dell‘anima con i sensi e

del legame tra ragione e contemplazione con l‘azione (Il tema agostiniano, pp. 150-165).

Nella sua Introduzione, p. 139 egli sintetizza e conclude: ―I Neoplatonici non attribuirono

all‘anima un vero appetitus ad corpus né accolsero la teoria della oikéiosis, insegnata invece

dagli Stoici, da Antioco d‘Ascalona e da questi appresa da Varrone. Risale ugualmente allo

stesso modello antropologico la triplice distinzione aristotelica dei beni: i beni dell‘animo, i

beni del corpo e i beni esterni, che traspare nei Soliloquia (1, 9, 16-10,17; 11, 19-12, 21),

con una forte accentuazione finale della vita corporis, la quies animi e l‘amicizia (ib. 1, 13,

22). Anche nell‘unico caso in cui si appella esplicitamente all‘autorità del filosofo Cornelio

Celso Agostino ribadisce di concordare con lui nel ritenere l‘uomo composto di due parti,

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38 Z. DJUROVIC

dargli vita, in qualche modo per fabbricarlo e provvedere in ogni modo alle sue

necessità‖.139

Gli elementi stoici,140

aristotelici – e plotiniani, come si evince dalla

precedente analisi – dell‘antropologia varroniana hanno portato Agostino ad

apprezzare i beni dell‘anima, del corpo e della vita sociale a conferma del suo

distacco dall‘antropologia di stampo rigorosamente dualistico.141

* * *

Questa breve presentazione della dottrina antropologica di Agostino, basata

dapprima sui suoi testi giovanili e i cui elementi si sono poi allargati nel corso della

sua successiva riflessione, vuole evidenziare in quale modo Agostino ha tentato di

superare un dualismo ad litteram. L‘unico problema che rimane è che questa

visione olistica è riferibile soltanto all‘hic homo, l‘uomo attuale, non all‘uomo

cioè di anima e corpo, e nell‘identificare il sommo bene con la sapienza e il sommo male

con il dolore del corpo (ib. 1, 12, 21). A inclinare il neoconvertito verso questo modello

antropologico, che considera il corpo una parte integrante dell‘uomo e apprezza in una certa

misura i beni ad esso legati, fu certamente la fede cristiana‖. È assolutamente vero che la

teoria dell‘oikeiosis è stoica ed è presente nel pensiero di Agostino. Tuttavia, è difficile

sostenere che essa fu estranea a Plotino, da cui Agostino abbia potuto attingere. HANS

KRÄMER in La noesis noeseos e la sua posizione nella Metafisica di Aristotele, RFN 85

(1993) 309-323 [wiederabdruckt in: Aristotele: Perche la Metafisica, a cura di A. BAUSOLA

e di G. REALE, Milano (1994) 171-185], a p. 183 dice che Plotino la dottrina del

conservazione di sé ―applica all‘Uno in via ipotetica e analogica nel trattato VI, 8. In questo

trattato, la conservazione di sé viene radicalizzata fino a diventare posizione di sé e

costituzione di sé; in tal modo Plotino prelude in certo senso all‘idealismo post-kantiano‖.

Inoltre, Plotino sarà benevolo alla soddisfazione delle passioni che conservano i bisogni

naturali, ma questi non dovrebbero essere fraintesi con i beni in sé (enn. 4, 4, 44). Finché le

passioni sono temperanti, il loro attaccamento alle bellezze infime non si possono

considerare un peccato (enn. 3, 5, 1). In questa direzione non andrà invece il suo allievo

Porfirio, che radicalizzerà la posizione plotiniana, come testimonia il suo libro De

abstinentia. Basta vedere per es. abst. 1, 30, NAUCK, pp. 61-62. 139 imm. an. 13, 20. 140 V. PACIONI, Agostino d‟Ippona, p. 66 riassume: ―Il termine intentio significa

tensione, impulso positivo, che proviene dalla volontà di vivificare e governare il corpo.

Come hanno messo bene in evidenza A. Dihle e G. O‘Daly, la dottrina che ha ispirato la

nozione agostiniana di intentio è probabilmente quella di origine stoica di tónos, tensione

dell‘anima, in cui vengono presi in considerazione sia la coesione dell‘ anima, sia le sue

facoltà intellettuali, anche se, diversamente dalla visione agostiniana, il tónos non sembra

avere alcun rapporto con l‘energia della volizione che muove, verso l‘azione‖. 141 Cf. N. CIPRIANI, Lo schema dei tria vitia (voluptas, superbia, curisositas) nel De

vera religione: antropologia soggiacente e fonti, Aug. 38 (1998) 157-195; lo stesso

nell‘articolo sopra menzionato, L‟influsso di Varrone. Cipriani vede in realtà qui un distacco

dall‘antropologia plotiniana.

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L‘UOMO 39

primordiale.142

Dicendo per esempio che homo est animal rationale mortale,

significherebbe che Adamo fosse mortale per natura, e in conseguenza sive

peccaret, sive non peccaret, fuisset moriturus, come affermò Celestio e per questo

fu anatemizzato.143

Questa affermazione darebbe ad intendere che l‘uomo

primordiale avesse questo corpo che appesantisce l‘anima e che inevitabilmente lo

avrebbe indotto a commettere il peccato. È improbabile che Agostino avesse potuto

sottoscrivere che l‘anima potrebbe essere stata felice e pronta a governare un corpo

come questo. Infine, Agostino dice palesemente che l‘uomo primordiale fu

immortale.144

Confondere le affermazioni che si riferiscono al primo uomo con

quelle riferite al secondo può procurarci soltanto maggiore caos nell‘indagine. Ciò

significa che dobbiamo concentrarci sull‘uomo primordiale, perché lo stato

presente dell‘uomo non combacia con quello originario.

2. Il corpo primordiale

2. 1. Il corpo primordiale in Agostino prima del Contra Faustum

Manichaeum (397/8)

Nel testo cruciale (Gn. c. man. 2, 8, 10)145

per comprendere la visione

iniziale di Agostino sulla primordiale condizione o origine dell‘uomo si risponde

142 È bene notare, scrive CIPRIANI, Introduzione, p. 110 come nei dialoghi di

Cassiciacum ogni qualvolta Agostino vuole distinguere il corpo corruttibile, proprio della

condizione successiva al peccato, dal corpo quale fu creato da Dio, aggiunge sempre

l‘aggettivo dimostrativo hoc: ―dum hoc corpus agimus‖ (sol. 1, 14, 24). 143 I canoni (109-116) del concilio di Cartagine del 1 maggio 418 che si trovano

nella raccolta Codex canonum ecclesiae Africanae, condannano le posizioni pelagiane.

Questa collezione fu riconosciuta da parte dell‘Oriente nel concilio di Trullo del 692 nel

can. 2. Per il testo dei canoni cf. (PL 67 217-219; http://theol.uibk.ac.at/itl/250-9.html).

Invece, Mario Mercatore ci riporta la notizia di questo sinodo (Commonitorium de Coelestio

1) del quale il testo si trova nella Dissertationes de historia Pelagiana (PL 48 322-323).

Agostino cita le tesi di Celestio due volte nei termini seguenti: ―Adam mortalem factum, qui

sive peccaret, sive non peccaret, moriturus esset. Quoniam peccatum Adae ipsum solum

laeserit, et non genus humanum. Quoniam lex sic mittat ad regnum, quemadmodum et

Evangelium. Quoniam ante adventum Christi fuerint homines sine peccato. Quoniam

infantes nuper nati in eo statu sint, in quo Adam fuit ante praevaricationem. Quoniam neque

per mortem vel praevaricationem Adae omne genus hominum moriatur, neque per

resurrectionem Christi omne genus hominum resurgat‖ (gest. Pel. 11, 23; gr. et pecc. or. 2,

11, 12). 144 Gn. c. man. 2, 21, 32. 145 Le proposte di Agostino si possono dividere in due ipotesi con le apposite sotto

ipotesi (le integrazioni delle parafe nel testo citato sono mie): ―Quod autem scriptum est: Et

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dapprima (Gn. c. man. 2, 7, 8) all‘obiezione concreta dei manichei che riguarda la

materia con cui il corpo di Adamo è stato composto. All‘obiezione manichea:

―Perché mai Dio fece l‘uomo col fango? Gli mancava forse una materia più nobile

e celeste, per formarlo tanto fragile e mortale con la sozzura della terra?‖ Agostino

replica:

Costoro non capiscono innanzitutto in quanti sensi il termine ‗terra‘ o ‗acqua‘

è usato nelle Scritture;146 il fango infatti è una miscela di acqua e di terra

(limus enim aquae et terrae commixtio est). Orbene, noi diciamo che il corpo

umano divenne fiacco, fragile e destinato alla morte solo dopo il peccato.

Costoro infatti, riguardo al nostro corpo, hanno in orrore soltanto la

condizione per cui esso è soggetto alla morte, da noi meritata per castigo.147

Agostino parte dal senso letterale: il corpo dell‘uomo è plasmato con

l‘argilla. Ma come è possibile che siffatta natura persista? L‘apologia agostiniana a

questo punto è costretta a richiamarsi alla onnipotenza divina. La sua posizione

secondo la quale la carne è in sé mortale e destinata alla corruzione, come abbiamo

insufflavit in eum spiritum vitae, et factus est homo in animam viventem (Gen. 2, 7): A1) si

adhuc corpus solum erat, animam adiunctam corpori hoc loco intellegere debemus; sive

quae iam facta erat, sed tamquam in ore Dei erat, id est in eius veritate vel sapientia, unde

tamen non recessit quasi locis separata, quando insufflata est - non enim Deus loco

continetur, sed ubique praesens est – A2) sive tunc anima facta est, quando in illud

figmentum Deus insufflavit spiritum vitae, ut illa insufflatio ipsam operationem Dei

significet, qua fecit animam in homine Spiritu potentiae suae. B1) Si autem homo ille qui

factus erat, iam corpus et anima erat; ipsi animae sensus est additus ista insufflatione, cum

factus est homo in animam viventem: non quia illa insufflatio conversa est in animam

viventem, sed operata est in animam viventem. Nondum tamen spiritalem hominem

debemus intellegere, qui factus est in animam viventem, sed adhuc animalem. B2) Tunc

enim spiritalis effectus est, cum in paradiso, hoc est in beata vita constitutus, praeceptum

etiam perfectionis accepit, ut verbo Dei consummaretur. Itaque postquam peccavit, recedens

a praecepto Dei, et dimissus est de paradiso, in hoc remansit ut animalis esset. Et ideo

animalem hominem prius agimus omnes, qui de illo post peccatum nati sumus, donec

assequamur spiritalem Adam, id est Dominum nostrum Iesum Christum, qui peccatum non

fecit (cf. 1 Pt. 2, 22); et ab illo recreati et vivificati, restituamur in paradisum, ubi latro ille

cum ipso eo die meruit esse, quo vitam istam finivit (cf. Lc. 23, 43). Sic enim Apostolus

dicit: Sed non prius quod spiritale est, sed quod animale, sicut scriptum est: Factus est

primus Adam in animam viventem, novissimus Adam in spiritum vivificantem (1Cor. 15,

46)‖. 146 Agostino, come Origene, avverte i manichei sulla natura polisemica del

linguaggio biblico. Il fango è fango in senso letterale, ma successivamente può ottenere altri

significati, come vedremmo in seguito. 147 Gn. c. man. 2, 7, 8.

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L‘UOMO 41

già visto esaminando la natura degli animali, vieta di accettare l‘idea della carne

incorruttibile. Un‘idea del genere non si può difendere con la ragione, poiché

l‘esperienza della realtà è in forte contrasto con una astratta concezione della carne

incorruttibile. Per questa ragione Agostino, come inoltre Attico, Severo, Plutarco

ecc.,148

ed i numerosi scrittori cristiani,149

doveva appellarsi all‘onnipotenza divina,

ma aggiungerei, ricorrere a tale argomento è sempre segno di debolezza:

Ora, anche se Dio fece l‘uomo col fango di questa terra, quale cosa

straordinaria tuttavia o difficile sarebbe stata per lui rendere il corpo

dell‘uomo tale da non esser soggetto alla corruzione (tale tamen corpus eius

efficere, quod corruptioni non subiaceret), qualora l‘uomo, osservando il

precetto di Dio, non avesse voluto peccare?... che c‘è allora di strano se il

corpo, fatto dall‘Artefice onnipotente in modo che nessuna molestia, nessuna

indigenza tormentasse l‘uomo prima del peccato e non si decomponesse per

causa di alcuna corruzione?150

Tuttavia, la risposta: de limo Deus hominem finxit, sarebbe soltanto una

delle ipotesi ed è stata condizionata dalla concreta obbiezione dei manichei. L‘altra

tesi parte dal presupposto che Gen. 2, 7 parli dell‘uomo che fu fatto di corpo e di

anima, e che dunque non

è illogico che la stessa mistione ricevesse il nome di fango. Poiché, allo

stesso modo che l‘acqua unisce insieme, cementa e tiene unita la terra

quando, dalla mescolanza con questa, viene formato il suo fango, così

l‘anima, vivificando la materia del corpo, la conforma in un‘unità armonica e

non permette che si corrompa e si dissolva.151

148 Nel medio platonismo era diffusa l‘idea secondo cui Dio mantiene in esistenza il

mondo che per sé è mortale: ―Vediamo se le opere di per sé soggette alla dissoluzione sono

indistruttibili conformemente al volere del padre, come sono soliti dire Severo, Attico e

Plutarco‖ (E. DES PLACES, Atticus, Fragments, [Les belles Lettres], Paris 1977, fr. 32, p. 78,

1-3. Trad. S. LILLA, Introduzione al Medio platonismo, pp. 66 e 69). 149 Tanto per dare un esempio, Tertulliano afferma che la natura mortale diventerà

immortale grazie alla potenza divina e non per mezzo delle leggi della natura (a divinis

viribus, non a naturalibus legibus. In res. carn. 42, 10, SPCK, p. 118). 150 Gn. c. man. 2, 7, 8. 151 Gn. c. man. 2, 7, 9.

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42 Z. DJUROVIC

Agostino è quindi cosciente che la prima soluzione, quella letterale, era

alquanto debole.152

La seconda è più coerente perché il corpo in tal caso non è

necessariamente fatto di fango, cioè potrebbe essere tratto da una natura celeste o

da una sostanza spirituale, ma per ragioni polemiche, ciò non viene detto

espressamente: Itaque superflue quaeritur unde hominis corpus Deus fecerit,153

taglia corto Agostino.

In ogni caso, continua lui, la Scrittura in questo luogo parla della creazione

del corpo. Ciò non esclude che qui si potrebbe trattare della creazione dell‘uomo

intero. In questo caso non si parla dell‘inizio di una nuova creazione, ma si

riprende il discorso con più attenzione (diligentior retractatio) rispetto a quello

precedente. Agostino menziona ―alcuni nostri‖ esegeti che invece ritengono che la

frase Dio plasmò l‟uomo col fango della terra (Gen. 2, 7) sia riferita solo alla

formazione del corpo perché in questo contesto non si menziona la frase ―a propria

immagine e somiglianza‖. Questa invece la troviamo nell‘altro racconto genesiaco

– Dio fece l‟uomo a propria immagine e somiglianza (Gen. 1, 27) – dove è indicato

l‘uomo interiore (homo interior).154

Matrice comune a nonnulli nostri interpreti

sembra essere Filone di Alessandria, che vede in Gen. 2, 7 la rappresentazione

della creazione dell‘uomo terrestre (gh,i?noj a;nqrwpoj), e in Gen. 1, 27 narrazione

che fa riferimento all‘uomo celeste (ouvra,nioj a;nqrwpoj).155 In Filone, l‘uomo del

fango corrisponderebbe al corpo e l‘anima o la mente che sono mortali; l‘uomo

interiore equivarrebbe al principio spirituale, perché solo lo spirito, secondo Filone,

proviene direttamente da Dio e di conseguenza è immortale. Teske suggerisce che

―nostri‖ include Origene.156

Questo non sorprende se è vero che Origene dipende

da Filone.

152 Tuttavia, non ci sono mancati gli autori cristiani che sostenevano la tesi secondo

cui il corpo primordiale, composto dalla carne, dalle ossa e dal sangue, fu secondo propria

natura incorruttibile. Non è che Dio con la sua potenza manteneva in vita un corpo in sé

mortale, ma che questo fu per natura immortale. Il più grande teorico di tale corrente era

Metodio di Olimpo. Partendo dal presupposto che Dio è immortale, pure l‘uomo, sua

creatura deve essere immortale (res.15, JAHN, p. 72). Mentre gli altri animali vengono

vivificati dall‘aria, l‘uomo è diventato vivo e immortale grazie infusione dello soffio vitale

(res. 16, JAHN, p. 72). 153 Gn. c. man. 2, 7, 9. 154 Gn. c. man. 2, 7, 9. 155 leg. all. 1, 12, 31-33, COHN I, pp. 68-69. 156 Cf. R. J. TESKE, St. Augustine‟s View, p. 154; inoltre, dello stesso autore, si veda:

Origen and St. Augustine‟s First Commentaries on Genesis, Origeniana Quinta, Lovanio

(1992) 180-186. Il commentatore di PL 34, 201 suggerisce: ―Sic intelligunt Tertullianus

resurrect. carnis, cap. 5, et Hilarius in Psal. CXVIII‖. Anche Heidl (Origen‟s Influence on

the Young Augustine: A Chapter in the History of Origenism [Gorgias Eastern Christian

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L‘UOMO 43

Agostino segue fedelmente l‘impostazione alessandrina, secondo cui

l‘uomo fatto ad immagine di Dio riguarda

l‘interiorità dell‘uomo dove è la ragione e l‘intelligenza (secundum

interiorem hominem dici, ubi est ratio et intellectus). Grazie a queste facoltà

l‘uomo esercita anche il suo dominio [sugli animali]… La Scrittura afferma

che l‘uomo è fatto a immagine di Dio non a causa del corpo, ma del potere

per il quale è superiore a tutte le bestie (non propter corpus dici hominem

factum ad imaginem Dei, sed propter eam potestatem qua omnia pecora

superat)… sebbene anche il nostro corpo sia stato formato in modo da

mostrare che noi siamo superiori alle bestie e perciò simili a Dio; poiché il

corpo di tutti gli animali… è proclive verso la terra e non eretto (erecta)

come il corpo dell‘uomo. Questa caratteristica ci fa intendere che anche la

Studies 19, vol. 3], Piscataway 2003, pp. 273-289) in modo convincente mostra che Ilario

aveva attinto da Origene e che questi sia stato la fonte di Agostino. Ilario infatti scrive:

―Ergo omne, ex quo vel in quo mundi totius corpus creatum est, originem sumit ex dicto, et

subsistere in id quod est ex verbo Dei coepit. Verum de homine ita Deus locutus est:

Faciamus hominem ad imaginem et similitudinem nostram. Differt itaque natura et origo

hominis ab institutione universae creationis... Privilegium aliud, quod manibus Dei

condatur... Non enim manus Domini pecora et aquatilia et volatilia fecerunt... Ergo

exaequatur operationi hominis istud elementum, cum idipsum manu Dei firmatum esse

memoratur? Sed quamquam coelum manu; homo tamen manibus. Praestat ergo officio unius

manus, duarum operatio: et id quod ad confirmationem coeli satis est, in hominis conditione

non sufficit... Homo vero, cum internam et externam in se naturam dissonantem aliam ab

alia contineat, et ex duobus generibus in unum sit animal rationis particeps constitutus,

duplici est institutus exordio. Primum enim dictum est: Faciamus hominem ad imaginem et

similitudinem nostram; dehinc secundo, Et accepit Deus pulverem de terra, et finxit

hominem... Scit in se duplicem beatus Paulus esse naturam, cum secundum interiorem

hominem delectatur in lege, et cum aliam in memsuis videt legem quae se captivum ducat in

lege peccati ‖ (in Psal. 118, litt. 10, 4-7, PL 9, 565-567a). Qui non ci sono dubbi che

Agostino conoscesse Ilario: sono menzionati entrambi i versetti della Scrittura (Gen. 1, 26 e

2, 7), si parla della doppia origine, dell‘uomo interiore, e del suo nesso con la materia celeste

(nella scia filoniana).

Oltre Ilario, grande promotore della dottrina della doppia creazione in Occidente fu

Ambrogio di Milano (cf. parad. 3, 4, 24, CSEL 32/1, pp. 280-281). Soltanto l‘uomo

interiore è a immagine di Dio, quello esteriore non somiglia per nulla al suo Creatore:

―Anima igitur nostra ad imaginem Dei est. In hac totus es, homo; quia sine hac nihil es, sed

es terra, et in terram resolveris... Quid igitur in carne praesumis, qui nihil amittis, si carnem

amiseris?... haec est ad imaginem Dei, corpus autem ad speciem bestiarum. In hac pium

divinae imitationis insigne; in illo cum feris ac belluis vile consortium‖ (hex. 9, 7, 43, CSEL

32/1, pp. 234). Cf. anche cc. 44-46 sviluppati secondo argomentazione origeniana. Le

parole, Facciamo l‟uomo, per Ambrogio significano, Facciamo l‟anima! (ib. c. 46, pp. 236-

237).

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44 Z. DJUROVIC

nostra anima deve essere protesa in alto verso le realtà celesti, che sono

soltanto un bene suo, cioè quelle eterne, spirituali (animum nostrum in

superna sua, id est in aeterna spiritalia, erectum esse debere). Di

conseguenza si capisce che l‘uomo è fatto ad immagine di Dio soprattutto per

via dell‘anima, come lo attesta anche la forma eretta del corpo.157

Sebbene il corpo abbia, in senso figurativo, una somiglianza con Dio, quello

che conta è la mente, l‘uomo interiore. Agostino anche in questo punto segue la

linea degli alessandrini che distinguevano l‘immagine dalla somiglianza e allo

stesso tempo confermavano la parentela tra di loro. L‘anima razionale è stata creata

a immagine di Dio, ma questo non le bastava per essere spirituale. L‘uomo, ci

convince Agostino, era ancora animale e divenne spirituale quando, collocato nel

paradiso (nella felicità), ricevette anche il precetto della perfezione,158

perché

diventasse completo, ovvero simile a Dio (homiosis). Non basta essere dotato della

facoltà di pensare, essere a immagine, cosa che hanno anche i peccatori, ma l‘uomo

deve conformare questa immagine al suo prototipo e diventare simile a Dio.

L‘immagine, quindi, era in qualche senso solo abbozzata.159

Il risultato logico è che dopo la caduta e l‘espulsione dal paradiso, l‘uomo

rimane nello stato animale. Per questo, tutti noi che siamo nati da Adamo portiamo

dentro prima l‘uomo animale. Questo corpo è come quello che abbiamo noi e lo

157 Gn. c. man. 1, 17, 28. Che anche per il corpo si può ben dire che è stato creato a

somiglianza di Dio cf. div. qu. 51, 3. Però, stiamo attenti a non confondere la versione

agostiniana con quella di Ireneo, per cui il corpo dell‘uomo è stato creato tenendo conto del

corpo del Cristo incarnato. Il modello, infatti, per la creazione di Adamo fu il Verbo, ma non

il Verbo preesistente, bensì il Verbo incarnato: ―Questo si mostrò vero quando il Verbo di

Dio si fece uomo, rendendo se stesso simile all‘uomo e l‘uomo simile a sé… Nel passato si

diceva piuttosto che l‘uomo è stato fatto a immagine di Dio, ma non appariva tale, perché

ancora era invisibile il Verbo, a immagine del quale l‘uomo fu fatto… Ma quando il Verbo

di Dio si fece carne, confermò l‘una e l‘altra cosa: mostrò veramente l‘immagine diventando

egli stesso ciò che era la sua immagine… ― (haer. 5, 16, 1, HARVEY II, p. 368; cf. et 5, 6, 1,

ib. p. 334). In Agostino ciò non lo troviamo. Non è la forma del corpo ad immagine di Dio,

ma la sua forma eretta. In tale senso, Agostino afferma che anche i corpi degli animali sono

ad immagine di Dio, non in quanto forma ma in quanto riflettono una certa bontà del primo

Bene (div. qu. 51, 2). 158 Gn. c. man. 2, 8, 10. 159 Agostino segue una ipotesi presente in Origene. L‘Alessandrino si chiedeva:

perché si invoca nel battesimo non solo il Padre e il Figlio, ma anche lo Spirito Santo?

(princ.1, 3, 5-8, GCS V, pp. 54-63). Nella sua risposta Origene mette in risalto che l‘uomo

credente, creato nel suo essere da Dio e reso razionale dal Logos, viene santificato dallo

Spirito Santo. Distingue allora le tre funzioni delle tre Persone: il Padre dà l‘essere; il Figlio

dà l‘essere razionale e lo Spirito Santo lo santifica. In realtà per Origene l‘uomo è perfetto

solo quando è santificato. In Agostino questo concetto non è esplicitato fino a tal punto.

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L‘UOMO 45

condividiamo con gli animali. La teoria del corpo animale spiega bene il legame tra

il progenitore e la sua prole. Tale impostazione sarà preferita e perfezionata da

Agostino durante la polemica pelagiana, però senza la seconda parte, cioè che

l‘uomo divenne spirituale dopo essere collocato nel paradiso. L‘esito ovvio delle

ipotesi esposte nel Gn. c. man. 2, 8, 10 è che l‟uomo, di carne e ossa, ha peccato e

non l‘anima. La più plausibile esegesi dovrebbe vedere nel totus homo l‘uomo

attuale, senza però la debolezza della carne. Il fatto è rafforzato dall‘affermazioni

di Agostino che il Secondo Adamo, l‘Adamo Spirituale, ha assunto proprio una

carne mortale.160

Tuttavia, il primo Agostino sviluppa di più l‘ipotesi secondo cui Adamo

aveva un corpo spirituale. Il corpo primitivo era invisibile, trasparente. L‘attività

più sublime dell‘anima, ossia il pensiero, non si poteva celare. Il pensiero è

invisibile per i sensi, ma è visibile per la mente. Dentro invece un corpo animale i

pensieri si nascondono.161

Agostino immaginava un corpo spirituale, se posso

esprimermi in senso improprio, come una bolla di sapone. Lo paragonava al corpo

angelico che per noi è invisibile e che è costituito da una ―materia‖ eterea.162

Di

notevole importanza su cosa Agostino abbia pensato a proposito del corpo

spirituale è il seguente brano di div. qu. 47:

160 lib. arb. 3, 9, 28. Durante la difesa di questa tesi dottorale, prof. Nello Cipriani ha

obbiettato perché io non ho messo in rilievo questa soluzione agostiniana, cioè che pure il

primo Agostino parlava della creazione dell‘uomo animale che in seguito diventò un essere

spirituale. Io, afferma prof. Cipriani, quasi ho messo in disparte questa prima fase della

creazione e ho cominciato subito a parlare della creazione dell‘uomo spirituale. A mio

parere, questa ipotesi era soltanto una tra le plausibili proposte di Agostino, e perciò lo

avevo lasciato da parte perché non compatibile con la mia ricostruzione generale del

modello giovanile di Agostino. Per Cipriani è difficile che qui si parlasse soltanto di una tra

le ipotesi perché il tono del discorso ciò non permette: ―ipsi animae sensus est additus ista

insufflatione, cum factus est homo in animam viventem… Nondum tamen spiritalem

hominem debemus intellegere, qui factus est in animam viventem, sed adhuc animalem.

Tunc enim spiritalis effectus est, cum in paradiso, hoc est in beata vita constitutus,

praeceptum etiam perfectionis accepit, ut verbo Dei consummaretur‖. Su questo problema

tornerò di nuovo. 161 Cf. Gn. c. man. 2, 21, 32. 162 Ib. Il corpo primordiale era simplex. Non essere composto indicherebbe non

avere le parti del corpo, non avere colore, perciò essere trasparente (perspicuum). Perspicio

significa vedere attraverso ma anche capire, riconoscere. In una frase Agostino sintetizza la

sua idea: in illa perspicuitate ac simplicitate coelestium corporum omnes omnino motus

animi latere non arbitror (I due paragrafi fondamentali per questo tema sono: Gn. c. man. 2,

14, 23 e 21, 32). Tale corpo è tutt‘uno con l‘anima. Sulla sua ―superficie‖ si vede l‘attività

dell‘anima, i suoi pensieri. Questo è possibile grazie alla sua trasparenza.

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46 Z. DJUROVIC

Si domanda abitualmente in che modo potremo vedere i nostri pensieri dopo

la risurrezione e la trasformazione del corpo… L‘argomentazione deve

ricavarsi da quella parte del nostro corpo che è più luminosa. È infatti

doveroso credere che i corpi angelici, che speriamo di avere un giorno, siano

lucentissimi ed eterei (quoniam angelica corpora… lucidissima atque

aetherea esse). Se dunque al presente molti movimenti del nostro animo si

rivelano dagli occhi, è probabile che nessun moto dell‘animo resterà

nascosto, quando tutto il corpo sarà etereo: al suo confronto questi occhi sono

carne.

Le espressioni che il primo Agostino usa per descrivere il corpo risorto sono

uguali a quelle che descrivono il corpo primitivo. Tutti e due corpi si chiamano

corpo spirituale. Gli spiriti che popolano lo spazio del mondo agiscono per mezzo

d‘un corpo aereo o etereo (aerio vel aethereo corpore) sui corpi in cui penetrano

senza violare l‘ordine naturale e si muovono con grande facilità.163

Tali esseri,

dunque, possono abitare nelle zone ―immateriali‖ e muoversi secondo la propria

volontà. Essi infatti non seguono le leggi della fisica. Di conseguenza, non hanno

bisogno di cibo materiale. Il loro pane è il Verbo di Dio.164

Non è un caso che

Agostino nel Gn. c. man. non affermi mai che Adamo ed Eva abbiano mangiato o

che avessero bisogno di cibarsi. Essi avevano bisogno soltanto del cibo celeste che

è il Cristo.165

Uno che è costituito di sostanza celeste non ha bisogno di rinnovarla

cibandosi.

Un essere spirituale non ha rapporti sessuali. La divisione primitiva

maschio-femmina non era caratterizzata dalla differenza attraverso gli organi

riproduttivi. Agostino non spiega mai la forma dei corpi umani, si accontenta di

assicurarci che, secondo l‘originario disegno divino, gli organi genitali (neanche

questi menzionati) non avrebbero avuto alcun ruolo nella propagazione della specie

umana:

Quanto a quest‘altra frase della Scrittura: Li creò maschio e femmina e Dio li

benedisse dicendo: Crescete, moltiplicatevi, procreate e riempite la terra

(Gen. 1, 27-28), si pone del tutto giustamente la questione in qual senso

debba intendersi l‘unione del maschio e della femmina prima del peccato e

prima di questa benedizione... È da intendersi in senso carnale o in senso

spirituale? Senza dubbio ci è lecito intenderla anche in senso spirituale in

163 ep. 9, 3. 164 lib. arb. 3, 10, 30. 165 Gn. c. man. 2, 27, 41; 1, 9, 12.

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L‘UOMO 47

modo da ritenere che dopo il peccato fu, molto verosimilmente, trasformata

in fecondità carnale (in carnalem fecunditatem post peccatum conversa esse).

In precedenza infatti l‘unione del maschio e della femmina era casta,

corrispondente al fine dell‘uomo che è quello di dirigere, e a quello della

donna ch‘è quello di ubbidire (erat enim prius casta coniunctio masculi et

feminae; huius ad regendum, illius ad obtemperandum accommodata); oltre

a ciò la procreazione spirituale di gioie intelligibili e immortali riempiva la

terra, cioè dava vita al corpo e lo dominava, lo teneva talmente sottomesso

che l‘uomo non aveva a soffrire da parte di esso alcuna opposizione e alcuna

molestia. Si deve credere così per il fatto che non erano ancora nati i figli di

questo mondo prima che i progenitori peccassero.166

Il testo del giovane Agostino non parla di rapporti sessuali, ma solo di quelli

spirituali. Si afferma che ut in carnalem fecunditatem post peccatum conversa esse

credatur. Quindi, i rapporti sessuali non avrebbero avuto nessun senso prima del

peccato e il corpo paradisiaco era libero da passioni e conflitti. Una posteriore

ritrattazione rivela che cosa il primo Agostino veramente pensava riguardo alla

coppia primordiale:

Noi non avremmo questo tipo di relazioni che ci riguarda in conseguenza

della nascita o della morte se la nostra natura si fosse conservata ligia ai

precetti e coerente con l‟immagine di Dio e non fosse caduta nel presente

stato di corruzione.167 Per parte mia disapprovo del tutto questa posizione

come ho già fatto a proposito del primo libro della Genesi difesa contro i

Manichei. Essa conduce alla conclusione che quella prima coppia non

avrebbe generato altri uomini se non avesse peccato, quasi che dall‘unione di

un uomo e di una donna dovessero nascere di necessità creature destinate a

morire. Non avevo ancora considerato la possibilità che da creature immortali

potessero nascere altre creature immortali, ove la natura umana non si fosse

corrotta in conseguenza di quel grave peccato.168

Agostino allora (389-391) non ha immaginato la molteplicità della primitiva

creatura spirituale. Prima della caduta l‘anima si rispecchiava in Dio e come

conseguenza dell‘unione con Lui, era semplice. Non sentiva nessuna confusione o

166 Gn. c. man. 1, 19, 30. 167 vera rel. 46, 88. 168 retr. 1, 13, 8.

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48 Z. DJUROVIC

molteplicità.169

Questa semplicità non era compromessa neanche dalla differenza

tra i sessi poiché questa doveva essere intesa in senso figurato: alla coppia

maschio-femmina corrisponde il binomio Cristo-Chiesa.170

Secondo un‘altra

spiegazione, come già abbiamo visto, maschio e femmina sono l‘intelletto e

l‘azione: masculus et femina, id est intellectus et actio, quorum copulatione

spiritalis fetus terram impleat.171

Notiamo dunque che Agostino vede nella prima

coppia una monade articolata in due momenti: intelletto e processo del pensare.

L‘immagine di Dio è dotata di intelletto che somigliando a Lui si muove verso il

suo archetipo. L‘intelletto è vivo, attivo.172

Tutta questa dinamica si svolge dentro quello che il nostro autore chiama

paradiso. Egli preferisce parlare del paradiso e della vita lassù in modo allegorico.

Il paradiso non è un luogo ma uno stato.173

Anche il lavoro dell‘uomo nel paradiso

non è paragonabile al lavoro che noi conosciamo. Anzi, sarebbe assurdo ritenerlo

uguale, perché il lavoro faticoso costituisce una pena per i mortali.174

La differenza

169 Gn. c. man. 2, 13, 19: ―Quanto al fatto che Adamo e sua moglie erano nudi e non

ne provavano vergogna, è simbolo della semplicità (simplicitatem animae) e purezza

dell‘anima‖. 170 Gn. c. man. 1, 23, 40; 2, 13, 19. In altro luogo aggiunge: ―La stessa Scrittura

espone come fu fatta la donna e dice che fu fatta per aiuto dell‘uomo, perché grazie

all‘unione spirituale producesse frutti spirituali, vale a dire le opere buone compiute a gloria

di Dio quando l‘uomo dirige e la donna ubbidisce, l‘uomo è guidato dalla sapienza e la

donna dall‘uomo. Capo dell‘uomo è infatti Cristo e capo della donna è l‘uomo‖ (Gn. c. man.

1, 11, 15). 171 Gn. c. man. 1, 25, 43. Per quanto riguarda un contesto ideologico, ma non

terminologico, Agostino sta vicino a Origene (cf. hom. in Gen. 1, 15, GCS VI, p.19). 172 La creazione del maschio e della femmina non fu una divisione dell‘essere

originario, ma la sua diversificazione. L‘intelletto non è inerte ma in movimento. Da lui

nasce l‘azione. Questo accoppiamento produce i frutti spirituali. L‘intelletto muovendosi

produce i pensieri, e questi, essendo i suoi effetti sono somiglianti a lui. Sono infatti il

pensiero esteriorizzato e moltiplicato. Il binomio agostiniano intellectus-actio è diverso

rispetto a quello di Filone e di Ambrogio (nou/j e ai;sqhsij). Agostino non dice: l‘intelletto e

il senso, perché – se posso avanzare una proposta – il senso è troppo divisivo ed è quello

esteriore. La primitiva comprensione non era mediata attraverso la percezione. La soluzione

agostiniana è originale, non ha precedenti fra i Padri Latini o Orientali. Tuttavia non è

originale se si prende in considerazione la speculazione plotiniana: l‘intelletto come l‘unica

attività per pensare ha se stesso (enn. 5, 3, 6) perché è attività contemplante (enn. 5, 5, 8).

L‘intelletto è tutto in atto (enn. 4, 4, 1), è atto in sé (enn. 5, 3, 7) ed, infine, è identico nel suo

atto (enn. 2, 9, 1). 173 Gn. c. man. 2, 9, 12; 2, 10, 13-14. 174 Il lavoro non suscitava entusiasmo negli antichi. Esiodo cantava che la stirpe

aurea non conosceva il lavoro (cf. op. dies. 115-120, EVELYN-WHITE, p. 11). Secondo una

tra le più antiche narrazione, quella babilonese, l‘uomo è creato per essere servo degli dei,

allo scopo di sostituirli nel lavoro e procurare loro il pane quotidiano (cf. SAMUEL NOAH

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L‘UOMO 49

è segnata dalle parole: per custodirlo.175

L‘uomo doveva custodire i doni ricevuti, e

questi certamente non erano materiali. Là dove ―non c‘è la morte, tutta l‘attività

consiste nel mantenere ciò che si possiede‖.176

Là dove c‘è la morte, uno deve

lavorare per sopravvivere e ricongiungersi con la fonte della sua vita. Con tutte

queste immagini Agostino ha tentato di spiegare il rapporto tra Dio intelligibile e la

sua creatura razionale. Il corpo, quale noi intendiamo, non aveva nessun ruolo in

questo rapporto, e neanche lo aveva nel corso della tentazione.177

Lo stesso si

ricava dall‘episodio sulla tentazione di Eva. Il diavolo simboleggiato dal serpente

non si poteva trovare nel paradiso.178

In tal modo Agostino si distaccò dalla tradizione che quasi unanime

interpretava questo episodio come un avvenimento storico, per cui il serpente si

sarebbe avvicinato a Eva;179

diavolo certo la tentò ma per mezzo del rettile. Siffatta

ermeneutica finì nel pensiero di Agostino per cancellare del tutto il serpente reale,

salvaguardando il simbolo. Quasi tre secoli dopo, il Corano tacerà assolutamente

del serpente. Viene menzionato soltanto il diavolo (Iblis, gr. dia,boloj), o satana

KRAMER, Sumerian Mithology. A Study of Spiritual and Literary Achievement in the Third

Millennium B.C., Philadelphia 1944, revised 1961, pp. 69-70). 175 Gn. c. man. 2, 11, 15. 176 Gn. c. man. 2, 26, 39. 177 J. P. BURNS, St. Augustine, p. 221. 178 Gn. c. man. 2, 14, 20: ―Il paradiso infatti... simboleggiava la vita beata (beatam

vitam) di cui era privo il serpente perché era già il diavolo... Non dobbiamo nemmeno

stupirci che potè parlare alla donna quando costei si trovava nel paradiso, mentre egli non

c‘era. Essa infatti non era nel paradiso per quanto riguarda la località ma piuttosto per

quanto si riferisce al sentimento della felicità (non enim aut illa secundum locum erat in

paradiso, sed potius secundum beatitudinis affectum). Oppure, anche se c‘è una località

siffatta, chiamata paradiso, in cui abitavano Adamo e sua moglie con il loro corpo,

dobbiamo forse pensare che il diavolo si avvicinasse fisicamente alla donna? No di certo,

ma le si avvicinò con lo spirito (spiritaliter)... Appare dunque forse visibilmente oppure si

avvicina, per così dire, attraverso lo spazio fisico a coloro nei quali egli agisce? No di certo,

ma… per mezzo d‘immaginazioni (sed miris modis per cogitationes suggerit quidquid

potest)... Orbene, in qual modo si avvicinò a Giuda, quando lo persuase a tradire il

Signore?... L‘uomo tuttavia lo respinge se custodisce il paradiso‖. 179 È interessante che secondo Efrem il Siro esiste la possibilità che il serpente da

solo, senza l‘aiuto di Satana, poteva ingannare i progenitori: ―Per quanto riguarda le parole

del serpente, o Adamo comprendeva la voce del serpente, o Satana parlò per mezzo di esso,

o lo stesso serpente chiese e gli fu data la capacità di parlare, o Satana ottenne da Dio che la

facoltà di parlare fosse data al serpente per un breve lasso di tempo‖ (comm. Gen. 2, 16,

CSCO 153, p. 25).

Anche in questa interpretazione Agostino si discostò da Ambrogio, che sapendo

bene per le interpretazioni allegoriche, che destoricizzavano il racconto su Adamo ed Eva, e

che poi spostavano questo avvenimento dal giardino terreno alla sfera celeste, insistette sulla

reale presenza del diavolo in paradiso (parad. 2, 10, CSEL 32/1, p. 270).

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50 Z. DJUROVIC

(Šaytan) che cadde perché non volle inchinarsi davanti ad Adamo, dicendo: Io

sono del fuoco e lui della terra.180

Il discorso sul corpo vero e proprio, come ho accennato, si introduce solo

con le tuniche di pelle (in tunicis pelliceis). Il corpo reale di Adamo fu riconosciuto

soltanto dopo la sua caduta nel regno animale:

La morte era dunque simboleggiata nelle tuniche di pelle (illa ergo mors in

tunicis pelliceis figurata est). I progenitori infatti si fecero delle cinture di

fico attorno ai fianchi, e Dio fece loro tuniche di pelle, il che vuol dire ch‘essi

avevano desiderato il piacere di mentire abbandonando la bellezza della

verità, e Dio cambiò i loro corpi nell‘attuale natura mortale della carne ove si

nascondono cuori menzogneri... I progenitori poi restarono nel paradiso –

sebbene soggetti alla sentenza di Dio che li aveva condannati – finché non si

giunse alle tuniche di pelle, cioè alla condizione mortale di questa vita

(Tamdiu autem in paradiso fuerunt isti, quamvis iam sub sententia damnantis

Dei, donec ventum esset ad pelliceas tunicas, id est ad huius vitae

mortalitatem). Con qual altro segno più efficace poteva esser simboleggiata

la morte che proviamo nel corpo se non con le pelli (Quo enim maiore

indicio potuit significari mors quam sentimus in corpore, quam pellibus) che

si è soliti staccare dagli animali morti? Quando pertanto l‘uomo brama

d‘esser Dio… non per mezzo d‘una legittima imitazione… viene abbassato

fino alla condizione mortale delle bestie.181

Prima della caduta l‘uomo era spirituale, cioè era separato dal mondo

sensibile, come testimonia la condanna a morte corporale. Questi corpi, se è

permesso chiamarli corpi, furono cambiati in corpi pesanti, mortali. Prima furono

qualcosa di etereo, highly spiritualized,182

come propone Teske. Il corpo primitivo

era del tutto immortale. L‘idea asiatica che l‘uomo primitivo era stato creato come

un qualcosa di intermedio: né mortale né immortale,183

è ben lontana dal pensiero

180 Sura 7, Al-A‟râf, 11-13. 181 Gn. c. man. 2, 21, 32. 182 R. J. TESKE, St. Augustine‟s View, 148-149. 183 Teofilo di Antiochia per es. scrive nell‘ad Autol. 2, 24, MARCOVICH II, p. 73:

―Avendo Dio posto l‘uomo nel paradiso... per coltivarlo e custodirlo, gli permise di nutrirsi

di tutte le piante, e naturalmente anche di quella della vita... Dio o trasse dalla terra, da cui

ha avuto origine, nel paradiso, dandogli i mezzi di miglioramento affinché, progredendo e

diventando perfetto, innalzato anche a divinità, salisse così fin al cielo. L‘uomo, dunque, è

stato creato con sorte media, né del tutto mortale, né del tutto immortale (me,soj ga.r o a’;vqrwpoj evgego,nei( ou;te qnhto.j ovloscerw/j ou;te avqa,natoj to. kaqo,lou), essendo partecipe

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L‘UOMO 51

del nostro autore. Questa concezione fa dell‘uomo il solo responsabile

dell‘introduzione della morte. Egli aveva due possibilità: o seguire Dio e diventare

immortale o voltargli le spalle e cadere in preda alla morte. Il presupposto

dell‘immortalità originaria invece fa di Dio un esecutore della pena capitale, che è

una visione non molto consolatoria. Agostino esprime ciò a chiare lettere: Deus

corpora eorum in istam mortalitatem carnis mutavit. Dio ha mutato l‘immortale in

mortale, perché l‘immortale non si poteva mutare da solo.184

In Oriente questo

problema era molto sentito. Riporto in proposito un brano di Origene:

dell‘una e dell‘altra sorte‖. In questo modo Teofilo evita di far responsabile Dio per la morte

dell‘uomo: essa entrò nel mondo con il peccato: ―Io invece affermo che l‘uomo, per natura,

non fu né mortale, né immortale. Se infatti lo avesse fatto dall‘inizio immortale, l‘avrebbe

così creato Dio. Se l‘avesse fatto mortale sarebbe sembrato Dio causa della di lui morte‖ (ad

Autol. 2, 27, MARCOVICH II, p. 77). Ė nota un‘altra spiegazione di Teofilo secondo la quale

la morte è in realtà un dono. Dio elargì un grande beneficio ad Adamo perché non giacesse

nel peccato in eterno (ad Autol. 2, 26, MARCOVICH II, p. 76).

Certi autori ortodossi moderni (per es. J. РОМАНИДИС, Прародитељски грех, Нови

Сад: Беседа, 2001; (id.) J. S. ROMANIDES, Original Sin according to St. Paul, SVTQ IV, 1-

2, 1955-1956) insistono sulla tesi asiatica, e criticando Agostino, dicono che lui, sostenendo

la primitiva immortalità dell‘uomo, ha fatto Dio responsabile della morte, e che quindi, i

cristiani occidentali nutrono odio e ribellione contro un tale Dio. Tuttavia, loro dimenticano

che per es. proprio il Crisostomo sosteneva fino alla fine della sua riflessione la tesi

dell‘iniziale immortalità dell‘uomo, dicendo che il primo uomo fu del tutto (di vo[lou)

immortale (hom. in Gen. 15, 4, PG 53, 123), e non conosceva la concupiscenza (evpiqumi,a)

avendo un corpo incorruttibile (in Rom. 11, 2, PG 60, 486). Su questo tema si veda, S.

ZINCONE, Studi sulla visione dell‟uomo in ambito antiocheno (Diodoro, Crisostomo,

Teodoro, Teodoreto), Roma: Japadre editore, 1988, pp. 35-36. Tra gli altri Padri già

nominati, che parlavano dell‘originaria immortalità dell‘uomo ci sono anche Ippolito e

Novaziano (cf. ZINCONE, Studi, p. 31. n. 12). 184 Come l‘anima da sé non può annientarsi, così neanche il corpo etereo può

cambiarsi da sé. Soltanto Dio ha potuto cambiare l‘immortale in mortale. Si tratta di un

mutamento essenziale dove l‘etere si trasforma in terra, l‘elemento capace di subire. Come

per gli antichi l‘etere, l‘elemento di cui è costituito il cielo – chiamato così perché sempre in

movimento e non perché brucia – era diverso da tutti gli altri, in quanto puro e divino, non

soggetto ad alcuna mutazione, eccetto il movimento circolare, poteva essere trasformato in

qualcos‘altro soltanto con un intervento diretto da parte di Dio. Per l‘etere Cf. PSEUDO-

ARISTOTELE, mund. 2, 392a 5-9. Agostino dice che etere è l‘elemento posto più in alto, e

riporta l‘opinione altrui secondo cui etere è un fuoco liquido e puro con cui sono formate le

stelle (cf. serm. 242, 3, 5). Pure Aristotele in persona (cael. 270b, 24) obiettava ad

Anassagora che aveva identificato l‘etere con il fuoco. Non posso dimostrare che

Anassagora abbia fatto questa identificazione leggendo Eraclito, per cui il fuoco era

quell‘elemento base, eterno (DK 22 B 64), sempre vivo (DK 22 B 30) e l‘unico che non

poteva cambiarsi in un altro. Empedocle chiamava l‘etere (aivqh,r) la radice di tutte le cose.

Non adoperava avh,r, perché questo nome segnava l‟aria sottostante o la nebbia, invece,

l‘etere indicava l‟aria soprastante, il cielo (Agostino ha imparato da Varrone che il cielo è

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52 Z. DJUROVIC

Affermare che le tuniche di pelle non sono altro che i corpi è persuasivo e

tale da poter trarre all‘assenso, ma non è chiaro come possa esser vero. Se

infatti le tuniche di pelle sono le carni e le ossa, come mai prima di questo

Adamo dice: Questo ora è ossa dalle mie ossa e carne dalla mia carne (Gen.

2, 23)? Perciò alcuni, cercando di evitare queste difficoltà, hanno sostenuto

che le tuniche di pelle sono la condizione mortale, di cui Adamo ed Eva sono

stati rivestiti, una volta destinati alla morte a causa del peccato. Ma costoro

non possono agevolmente dimostrare come mai Dio e non il peccato abbia

provocato la mortalità a colui che aveva peccato. Inoltre essi debbono

sostenere che la carne e le ossa per propria natura non sono corruttibili, dato

che i nostri progenitori hanno ricevuto la condizione mortale in un secondo

tempo a causa del peccato.185

Origene vorrebbe identificare le tuniche di pelle con il corpo attuale, ma

trova difficoltà nel conciliarle con Gen. 2, 23. Trova altrettanto inaccettabile

l‘interpretazione che sostiene l‘immortalità naturale della carne e che, d‘altro lato,

considera Dio responsabile della morte. Agostino, se consideriamo la sua soluzione

nel contesto di quella esposizione origeniana, ritiene correttamente che se un ente è

immortale, Dio è colui che lo altera (rende mortale).186

Egli poi, come i suoi

diviso in due parti, etere e aria. Cf. civ. 7, 6). L‘etere era, dunque, qualcosa d‘immortale ed

essenziale. Tutti gli altri elementi erano rinchiusi nel ciclo della generazione (ku,kloj gene,sewj). È interessante sentire l‘interpretazione filoniana (aet. mundi, 111, ed. L. COHN

VI, p. 106) della morte degli elementi di Eraclito (DK 22 B 36, 76), che secondo lui, non

significa annichilazione degli elementi, ma la loro mutazione in un altro elemento (eivj e[teron stoicei/on metabolh,n). Su questi temi cf. SIJAKOVIC, Mythos, Physis, Psyche, pp.

211-234. 185 sel. in Gen. PG 12, 101. 186 Lo stesso ragionamento inevitabilmente si trova in tutti gli autori che ideavano

l‘immortalità originaria dell‘uomo. Così Metodio afferma che Dio, dopo aver visto l‘uomo,

creato immortale e ingannato dal diavolo, non gli ha permesso di mangiare dell‘albero della

vita, ma ha fatto le vesti in pelle con cui ha rivestito Adamo e sua moglie Eva, e infine ―li

cacciò dal paradiso e li condannò a morte‖ (res. 19, JAHN, p. 74). In altre parole, Dio ha

inserito la morte in un essere immortale. Per attenuare la gravità di questa azione divina,

Metodio, ed in seguito Crisostomo (cf. hom. in Gen. 18, 1-4, PG 53, 148-156), spiega il

motivo di tale agire: Dio non voleva che il male diventasse immortale (res. 20, JAHN, p. 75),

cioè per distruggere il peccato Dio ha inventato (avneu,rato) la morte per noi (res. 49, JAHN,

89). Anche Ambrogio affermava che l‘uomo è stato causa della propria morte, e perciò non

dobbiamo incolpare Dio come se fosse stato crudele nella sua sentenza, ma piuttosto Egli si

rivela come un buon medico, vietando in anticipo ad Adamo di mangiare ciò che lo avrebbe

danneggiato (cf. parad. 7, 35, CSEL 32/1, p. 292).

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L‘UOMO 53

predecessori platonici, ritiene la corruttibilità inerente alla natura della carne.

Sembra, dunque, che Agostino condivida l‘idea secondo la quale le tuniche di pelle

sono il corpo attuale. Il primo corpo è etereo; è difficile immaginare carne e ossa

come incorruttibili e situate in cielo. Una volta sola Agostino ha detto (Gn. c. man.

2, 7, 9) ipoteticamente e polemizzando con i manichei, che Dio ha creato il corpo

umano di fango. Tutte le altre volte lo ha descritto come un corpo angelico o

celeste. Dio ha cambiato il corpo in carne. Il corpo può essere angelico, la carne

mai.

Non è, comunque, del tutto chiaro come Agostino abbia immaginato la

trasformazione di una natura. Se il mutamento indica il cambiamento della stessa

natura si può concludere che un corpo celeste ha subito il mutamento in modo tale

da acquisire sia la carne quanto le ossa. Una prova che Agostino aveva in mente

questo processo è la sua esplicita affermazione che carne e ossa saranno trasformati

in natura angelica (commutationem in angelicam formam).187

Un mortale potrà

diventare essere celeste o angelico. Pure nell‘anno 401 Agostino ragionava in

questo modo: gli angeli prima del peccato avevano un corpo celeste che in seguito

venne trasformato in un corpo di aria.188

Nel caso dell‘uomo, abbiamo un

cambiamento dal celeste al terrestre. La morte è riservata solamente al corpo:

mortem sentimus in corpore; la morte abita nel corpo e l‘uomo viene degradato al

grado bestiale (homo… ad belluarum mortalitatem deiectus est). La morte tocca

l‘animalesco in noi, la carne e le ossa. In altre parole, siamo diventati animali, i

nostri corpi sono diventati mortali. L‘uomo non è diventato animale in senso

traslato ma si è conformato al corpo animalesco che è mortale per sua stessa

natura.

Tre volte nelle Retractationes189

Agostino ribadisce che il suo discorso sul

corpo angelico o celeste o spirituale non vuole sostenere che la sostanza carnosa e

ossea sarà annichilita. Fa queste annotazioni dalla posizione ormai maturata

riguardo alla futura risurrezione. Osservando però da vicino i suoi testi, si impone

la conclusione che il primo Agostino ha negato la presenza della carne nei corpi

celesti, negazione che invece il secondo Agostino condivide. Il primo testo è del

De fide et symbolo 10, 24 dell‘anno 393:

187 Gn. c. man. 2, 21, 32. 188 Gn. litt. 3, 10, 15: ―Si autem transgressores illi antequam transgrederentur,

coelestia corpora gerebant, neque hoc mirum est, si conversa sunt ex poena in aeriam

qualitatem‖. 189 retr. 1, 17; 1, 22, 3; 2, 3.

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54 Z. DJUROVIC

Secondo la fede cristiana… il corpo risorgerà. E se a qualcuno la cosa sembra

incredibile, vuol dire che pone attenzione alla condizione attuale della carne e

non considera invece quella futura; infatti, nel tempo della trasformazione

angelica, essa non sarà più carne e sangue, ma soltanto corpo (quia illo

tempore immutationis angelicae non iam caro erit et sanguis, sed tantum

corpus). Nel parlare della carne, in effetti, l‘Apostolo dice: Altra è la carne

degli animali, altra quella degli uccelli, altra quella dei pesci, altra quella

dei serpenti. Vi sono corpi celesti e corpi terrestri (1Cor. 15, 39-40). In

verità, non ha detto: ‗carne celeste‘, ma: corpi celesti e corpi terrestri; ogni

carne, infatti, è anche corpo, ma non ogni corpo è anche carne… invece il

corpo dell‘uomo o dell‘animale è sia corpo che carne. Nelle realtà celesti,

invero, non c‘è affatto carne, ma corpi semplici e lucidi, che l‘Apostolo

chiama spirituali e che altri invece chiamano eterei… La carne e il sangue

non possederanno il regno di Dio (Caro et sanguis regnum Dei non

possidebunt. 1Cor. 15, 50) preannuncia quale sarà in futuro ciò che ora è

carne e sangue. Chiunque non crede che questa carne possa trasformarsi

(converti) nella natura descritta, dovrà esser condotto alla fede per gradi. Se,

infatti, gli chiedi se la terra può trasformarsi (converti) in acqua, data la

vicinanza che c‘è tra i due elementi, la cosa non gli sembrerà incredibile… E

se gli si chiede se l‘aria può trasformarsi in un corpo etereo, cioè celeste, sarà

la vicinanza stessa tra gli elementi che lo indurrà ad assentire… possa

avvenire che la terra si trasformi (convertatur) in un corpo etereo… La nostra

carne in effetti viene certamente dalla terra; i filosofi… asseriscono che non

vi può essere nessun corpo terreno in cielo, ma ammettono che qualsiasi

corpo può trasformarsi e mutarsi (converti et mutari) in qualsiasi altro. Una

volta avvenuta questa resurrezione del corpo, noi, liberati dalla condizione

del tempo, godremo di una vita eterna.

La carne umana non sarà carne celeste ma corpo celeste. Come nessun

corpo terreno può stare in cielo è necessario che la sostanza carnosa si trasformi in

sostanza eterea. In altre parole, la sostanza eterea una volta già è stata trasformata

in sostanza carnosa. Tale dovrebbe essere, secondo me, il risultato della sintesi

agostiniana tra fede e ragione. La fede insegna la risurrezione, la filosofia con la

dottrina della trasmutazione degli elementi fornisce i mezzi teorici per spiegare

questo fenomeno.190

Il maturo Agostino, tuttavia non vorrebbe che qualcuno

190 Forse ci aiuta una distinzione terminologica di Ambrogio per comprendere

meglio la chiave di lettura di Agostino. Il vescovo di Milano incita gli interlocutori

immaginari pagani a credere nella risurrezione quando ormai sostengono la teoria della

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L‘UOMO 55

intendesse tale espressione nel senso che il corpo terreno si trasformerà in corpo

celeste ―e non avrà più né le membra attuali né consistenza carnale‖. A questo

punto Agostino non forza le proprie parole, ma aggiunge che il corpo del Signore,

dopo la risurrezione era palpabile e aveva le membra. In seguito – ciò non lo fece

in f. et symb. – spiega il pensiero dell‘Apostolo: Lui infatti

non ha negato che nel regno di Dio vi sarà la sostanza carnale (non carnis

substantiam negasse): ha solo designato con i vocaboli sangue e carne o gli

uomini che vivono secondo la carne o la corruzione stessa della carne che a

quel tempo non avrà più ragione di esistere.191

È interessante che Agostino faccia queste precisazioni parlando del corpo

risorto e mai di quello originario. La fede maturata lo costringeva a confermare la

salvezza della carne stessa, ma non lo obbligava a fare un uguale ragionamento per

quanto riguarda il corpo paradisiaco.

La seconda ritrattazione riguarda l‘opuscolo Contra Adimantum Manichaei

discipulum, 12, 5 scritto un anno dopo f. et symb. (394). Il c. Adim. recita:

È chiaro a questo punto perché la carne e il sangue non possederanno il regno

di Dio; infatti quando il corpo si sarà vestito di incorruttibilità e di

immortalità non sarà più carne e sangue, ma sarà mutato in corpo celeste (sed

in corpus coeleste mutabitur).

trasmutazione degli elementi: ―Potestis ergo, gentiles, reformationem negare naturae, qui

mutationem potestis asserere?‖ (Satyr. 2, 70, PL 16, 1335b). La mutazione per Ambrogio e

per ―gli antichi saggi‖ significa cambiamento (conversio, cf. Satyr. 2, 85, PL 16, 1339c)

delle proprietà naturali di un elemento-seme che ora produce un altra cosa. La reformatio

invece è la ri-creazione, restaurazione di quello una volta esistito. La filosofia e Agostino

suggeriscono un passaggio (mutatio, conversio) da uno stato all‘altro consentito dalla

naturale vicinanza degli elementi. In questo caso non si viola il corso ordinario della natura.

La risurrezione intesa come reformatio piuttosto lo sconvolge. Essa è fondata sulla voluntas

dei, e per questa ragione gli apologeti cristiani riportavano diversi esempi del cambio ciclico

della natura (le stagioni, giorno-notte, seme-pianta-frutto, nascita-morte, la Fenice ecc.). Dal

lato opposto abbiamo Zenone di Verona, per cui è più sostenibile il concetto di

riformazione: ―Etenim, fratres, facilius est reformari quod fuerit, quam institui quod ante

non fuit‖ (tract. C, 16, 7, PL 11, 379b). 191 retr. 1, 17. La stessa spiegazione troviamo in retr. 1, 22, 3 e 2, 3 dove aggiunge

un altra possibilità: ―Potremmo intendere che l‘Apostolo abbia chiamato carne e sangue le

opere della carne e del sangue e che non possederanno il Regno di Dio coloro che ameranno

con ostinazione tali opere‖.

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56 Z. DJUROVIC

La ritrattazione 1, 22, 3 spiega:

Ciò significa che non ci sarà più carne in considerazione della sua

corruttibilità, non della sua sostanza.

La revoca, tacendo proprio il dilemma cruciale (la carne si muterà in

materia celeste), tenta di mascherare il problema. Il c. Adim. identifica carne con

corruttibilità, corpo celeste con incorruttibilità. La spiegazione delle retr. 1, 22, 3

vorrebbe suggerire che dobbiamo pensare ad un cambiamento accidentale e non

sostanziale, ma la struttura del c. Adim. 12, 5 non lo permette. Troviamo la stessa

logica nel De agone cristiano 32, 34 dell‘anno 396:

non sarà più carne e sangue, ma corpo celeste… gli uomini diventeranno

uguali agli angeli. La carne e il sangue saranno cambiati (immutabitur ergo

caro et sanguis) e diventeranno corpo celeste e angelico. E i morti

risusciteranno incorruttibili e anche noi saremo cambiati (1Cor. 15, 52), in

modo che è vero il fatto che la carne risorgerà, ed è anche vero il fatto che la

carne e il sangue non possederanno il regno di Dio.

Dalla presente analisi risulta che Agostino tra gli anni 393-396 sosteneva la

tesi della sparizione, cioè del mutamento sostanziale della carne in materia eterea.

Il primo testo che nega esplicitamente tale posizione è il Contra Faustum

Manichaeum del 397-398. Agostino parte dalla distinzione di Paolo tra il corpo

animale e quello spirituale e spiega che la carne e il sangue che non possederanno

il regno di Dio, non significa che ―la carne non possa risorgere col suo aspetto e la

sua sostanza‖, e che nel linguaggio paolino ciò indica corruzione, che verrà

eliminata nella risurrezione.192

Paolo, secondo Agostino, ―chiama carne non la

sostanza del corpo ma la corruzione propria della mortalità‖. Non ci sarà più la

carne poiché non avrà più la mortalità. Per quanto attiene alla sostanza della carne,

essa resterà la stessa poiché risorgerà e sarà mutata. Quello accidentale sarà tolto,

cioè mutato. Rimarrà la sostanza carnosa, ma con nuove qualità – non carnose, cioè

non corruttibili.193

* * *

192 c. Faust. 11, 3. 193 c. Faust. 11, 7, 1.

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L‘UOMO 57

Tra gli autori cristiani d‘Oriente il padre della teoria dell‘annichilazione

della sostanza carnosa nel corpo spirituale fu Origene.194

A parte le controversie

legate alla dottrina origeniana, troviamo almeno un testo autentico che conferma

tale teologumeno.

Che cosa c‘è da meravigliarsi se la qualità che riguarda il corpo mortale di

Gesù si cambia in qualità eterea e divina per intervento della provvidenza

voluta da Dio? (ti, qaumasto.n th.n poio,thta tou/ qnhtou/ kata. to. tou/ vIhsou/

sw/ma pronoi,a| qeou/ boulhqe,ntoj metabalei/n eivj aivqe,rion kai. qei,an

poio,thta*)195.

La fine ufficiale di questa visione la pose il II Concilio di Costantinopoli del

553, con il X anatema inflitto agli origeniani:

Se qualcuno dirà che dopo la risurrezione il corpo del Signore era etereo

avendo una forma sferica, e che tali saranno i corpi di tutti dopo la

risurrezione, e che il Signore stesso ha ripudiato il suo vero corpo e che gli

altri che si rialzeranno respingeranno i loro corpi, e che la natura dei loro

corpi sarà annientata: sia anatema.196

194 La Noce riassume bene la posizione di Origene: ―La trasformazione da corpo

terrestre a corpo risorto, segnata dal mutamento di dimora, non avviene attraverso la

deposizione del primo, ma mediante l‘assunzione, da parte del sostrato materiale amorfo,

delle qualità spirituali: la veste non si identifica, quindi, con il corpo, ma con tali qualità, che

sono quelle cui si fa riferimento in 1Cor. 15, 42-44. I giusti di conseguenza, che conoscono

la felicità che li attende, gemono, non in quanto vogliono spogliarsi completamente del

corpo, ma perché desiderano ricevere la veste incorruttibile che indosseranno dopo la

resurrezione‖ (CARLA NOCE, Vestis varia: L‟immagine della veste nell‟opera di Origene,

SEA 79 (2002) pp. 208-209). Origene, interpreta – continua la studiosa italiana in nota 27

delle stesse pagine – ―in senso letterale l‘affermazione paolina di 1Cor. 15, 50 ‗la carne e il

sangue non possono ereditare il regno di Dio‘, come facevano, d‘altra parte, anche gnostici e

mariocinti: in proposito vd. E. Pietrella, ‗Caro et sangius regnum Dei possidere non possunt

(1Cor. 15, 50)‘, in Aevum 49 (1975), pp. 36-76… Mi sembra che una differenza tra gli

gnostici e Origene si possa cogliere nel fatto che essi presuppongono sempre una

spoliazione del corpo terrestre prima dell‘assunzione dell‘abito celeste, mentre Origene

predilige l‘immagine paolina del sopravvestire‖. 195 Cels. 3, 41, GCS I , p. 237. Come la seconda ipotesi delle tre proposte da parte di

Origene riguardo la fine del mondo creato abbiamo quella della risurrezione nello stato

etereo: ―tunc… substantia corporalis… in aetherium statum permutata‖ (princ. 2, 3, 7, GCS

V, p. 125). L‘interpretazione di Girolamo recita: ―ita omnis substantia redigetur in optimam

qualitatem, et dissolvetur in aetherem quod purioris sempliciorisque naturae est‖ (PG 11,

197b). 196

Msi, IX, p. 400.

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Tuttavia, prima – ma anche in seguito – non sono mancati i sostenitori della

tesi del corpo etereo. Così in Occidente – sempre erede della tradizione origeniana

– troviamo Ilario. Dio sarà tutto in tutti (1Cor. 15, 28) spiega egli, quando quello

che è carnale in naturam spiritus devoratur… e noi ad Creatoris imaginem

reformabimur.197

Dopo la mortuorum resurrectio… in divinam naturam humanae

assumptionis absorbeatur infirmitas... et coelesti habitu a corpore transfiguratis.198

Un‘altra fonte latina di Agostino potrebbe essere Zenone di Verona che

parla del corpo spirituale, etereo, celeste, angelico:

Non ergo carnale hoc domicilium imaginem Dei debemus accipere, sed

coelestis hominis spiritalem, quam in se credentibus Dominus aetherea

nativitate renovatis plenitudinis suae pio de fonte largitur per Dominum

nostrum Jesum Christum.199

Per smaterializzare il corporeo quanto più possibile Zenone, come Origene

e Agostino, si serve del versetto di Paolo: corpora sunt coelestia, sunt et terrestria

(1Cor. 15, 40) inteso come la risurrezione del corpo e non della sostanza della

carne,200

e subito dopo si appella al Poeta sapientissimus, cioè a Varrone, che parla

dei semi ignei (allacciamento a 1Cor. 15, 42-44) e l‘origine celeste della razza

umana, fortemente in contrasto con i corpi nocivi e organi di terra e membra che

devono morire.201

Il discorso di Zenone si conclude con l‘affermazione che l‘uomo

è un angelo caduto (protoplastos ex angelis in homines derivavit).202

Infine, merita di essere notata la versione latina citata (1Cor. 15, 50) da

Agostino a conferma della teoria del corpo etereo/spirituale: caro et sanguis

regnum Dei non possidebunt. Il verbo possidere che il primo Agostino adopera è al

tempo futuro : la carne e il sangue non possederanno… Al contrario, il secondo

Agostino che non seguiva più questa pista, cominciando proprio da c. Faust. 11, 3,

usa quasi sempre un‘altra versione: caro et sanguis regnum Dei possidere non

197 trin. 11, 49, PL 10, 432bc. 198 in Psal. 9, 4, PL 9, 293c. 199 tract. C, 19, PL 11, 456cd. Cf. anche tract. C, 35, PL 11, 481d. 200 tract. C, 16, 12, PL 11, 383ab. 201 Aen. 6, 728-734: Inde hominum pecudumque genus, vitaeque volantum, / et quae

marmoreo fert monstra sub aequore pontus. / Igneus est ollis vigor et caelestis origo /

seminibus, quantum non noxia corpora tardant, / terrenique hebetant artus moribundaque

membra. / Hinc metuunt cupiuntque, dolent gaudentque, neque auras / dispiciunt clausae

tenebris et carcere caeco. 202 Cf. tract. C, 16, 12, PL 11, 384a.

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possunt.203

Qui abbiamo un presente. Azzardando un‘ipotesi, direi che la forma

futura è meno adatta all‘idea che la sostanza della carne rimarrà. Quando si dice

che la carne non rimarrà (possederà), le cose sono chiare. Invece, affermando che

la carne non possiede, si apre la possibilità che questa carne con le determinate

qualità non sia adatta al regno di Dio. Non si nega la sua natura. Tale versione

(possidere non possunt) si trova nella Vulgata e nell‘Ambrosiaster.204

2. 2. Il corpo primordiale in Agostino dopo il 397/8

Agostino accolse come assioma esplicito l‘affermazione scritturale che

Adamo diventò mortale dopo che ebbe mangiato il frutto proibito. Dunque, prima

che mangiasse il frutto, Adamo condizionatamente era immortale. Tuttavia, due

gravi problemi compromettono tale visione, quantomeno necessitano di

precisazioni: 1) i primi uomini si cibavano, 2) avrebbero procreato figli. In altre

parole, che bisogno c‘è per un essere immortale di nutrirsi? E perché generare la

prole quando non c‘è bisogno di mantenere la specie – come nel caso della flora e

della fauna – in questo modo?205

Ma sentiamo il ragionamento che ci propone

Agostino:

203 Per es., opus imp. 6, 40. 204 Questo autore potrebbe aver influenzato l‘Ipponate: ―Carnem perfidiam vult

intelligi, sanguinem turpem et luxuriosam vitam, quia cupiditas haec a fervore sanguinis

generatur; ut ostenderet non solum incredulum dignam resurrectionem non habere, verum

etiam illum qui desideriis et vitiis carnis obtemperat. Commonet ergo et instruit, qua ratione

regnum coelorum consequi mereamur‖ (comm. in Corint. I, PL 17, 270b). Tuttavia, la logica

e le espressioni di Agostino sono più vicine a quelle di Tertulliano: ―non substantiam

damnans, sed opera ejus: quae, quia possunt non admitti a nobis in carne adhuc positis, non

ad reatum substantiae, sed ad conversationis pertinebunt‖ (adv. Marc. 5, 14, PL 2, 506bc). 205 Gn. litt. 3, 21, 33. Anche per Gregorio Nisseno la mortalità è causa della nascita

degli uomini. Senza l‘entrata della morte, il genere umano sarebbe rimasto alla prima

coppia. Grazie al male il genere umano si è ingrandito: ―Il primo uomo, Adamo, è stato la

prima spiga (sta,cuj), ma con l‘arrivo del male (th/j kaki,aj eivso,dw|) natura umana è stata

ridotta in una moltitudine mera (eivj plh/qoj h fu,sij katemeri,sqh), e, come succede al grano

maturo, ogni singolo uomo è stato spogliato della bellezza di questa spiga primordiale ed è

stato sgretolato in terra: ma nella risurrezione nasciamo di nuovo nel nostro splendore

originale, solo che invece di spiga unica primitiva diventiamo le miriadi innumerevoli

spighe nei campi di grano‖ (anima et res. PG 46, 157ab). Tuttavia, egli critica questa

posizione in homin. opif. 17, PG 44, 188b definendone in seguenti termini: ;Emeine ga.r a;n en th|/ tw/n prwtopla,stwn dua,dito. avnqrw,pinon ge,noj, mh. tou/ kata. to.n qa,naton fo,bou pro.j diadoch.n th.n fu,sin avnakinh,santoj, anche se non permetterà mai la propagazione del

genere umano via sesso. Gli uomini si sarebbero propagati come gli angeli.

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60 Z. DJUROVIC

Come mai però l‘uomo, sebbene fosse stato creato immortale (immortalis

factus sit), ricevette ciononostante per alimento, come gli altri animali, l‘erba

dei campi produttrice di seme, i frutti degli alberi e l‘erba verdeggiante, è

difficile a dirsi. Se infatti l‘uomo divenne mortale a causa del peccato, non

aveva certamente bisogno di cibi siffatti prima del peccato, poiché il suo

corpo non sarebbe potuto morire di fame. In realtà, benché sembri che

l‘ordine: Crescete e moltiplicatevi e riempite la terra (Gen. 1, 22), supponga

che ciò non potesse avvenire senza l‘amplesso coniugale del maschio e della

femmina – cosa che sarebbe un altro indizio che i corpi erano mortali – si

potrebbe tuttavia affermare che ci potesse essere un altro modo d‘unione nei

corpi mortali. In tal caso i figli sarebbero nati da un fervido sentimento

d‘amore di benevolenza (piae caritatis affectu), privo di qualsiasi

concupiscenza del corpo corruttibile, e i genitori, senza morire, avrebbero

avuto come successori i figli non destinati neppure essi a morire, fino a

quando la terra non sarebbe stata ripiena d‘uomini immortali: in tal modo,

dopo essersi formato un popolo giusto e santo, come quello che speriamo

sarà dopo la risurrezione, sarebbe stato messo anche un termine alle nascite.

Una simile ipotesi potrebbe essere avanzata, ma in qual modo possa essere

sostenuta è tutt‘altra faccenda. Nessuno però oserà affermare neppure che

soltanto i corpi mortali hanno bisogno di mangiare per rinvigorire le loro

forze.206

La prima cosa da notare è l‘onestà intellettuale di Agostino, quando afferma

che una tale ipotesi potrebbe essere proposta, ma non verificata. Sulla base del

ragionamento non si può dimostrare che il corpo di Adamo fosse immortale,

benché si nutrisse. Ė più verosimile la seconda ipotesi (che il corpo fosse mortale),

malgrado anch‘essa non si possa dimostrare. Siamo in una posizione di stallo. In

questo caso Agostino sceglie la prima ipotesi poiché essa è compatibile con l‘idea

che Adamo diventò mortale dopo il peccato. Sembra che la Scrittura, nella sua

descrizione, non sia conforme a se stessa, almeno a livello logico. Oggi, credo,

nessuno richiederebbe la logica indiscussa di un linguaggio mitico, però i cristiani

di allora non avrebbero potuto accettare il carattere contraddittorio della Scrittura.

Agostino era consapevole di arrampicarsi sugli specchi. La prima ipotesi non era

accettabile a livello logico, e per questo doveva essere sostenuta con l‘aiuto della

Scrittura. Naturalmente, così il buon senso veniva negato. Adamo, di conseguenza,

non avrebbe mangiato dei cibi ma sarebbe stato dotato della capacità di mangiare:

206 Gn. litt. 3, 21, 33.

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L‘UOMO 61

E Dio vide tutto ciò che aveva fatto, ed ecco era una cosa molto buona (Gen.

1, 30-31). Con questa frase ci fa capire che Dio diede alla materia umana il

potere e la facoltà stessa (potestas et facultas) di prendere per cibo l‘erba dei

campi e i frutti degli alberi. Per questo l‘espressione: E così fu è in relazione

con ciò che aveva narrato a cominciare dal passo ove dice: E Dio disse:

Ecco: vi ho dato l‟erba che porta il seme (Gen. 1, 29), ecc.; se infatti

l‘espressione: E così fu la riferissimo a tutto ciò ch‘è detto prima, dovremmo

ammettere anche, per conseguenza, che gli uomini erano già cresciuti e

s‘erano moltiplicati riempiendo la terra nel medesimo sesto giorno, mentre

ciò, per attestazione della stessa Scrittura, si avverò solo dopo molti anni. Per

questo motivo, dopo che gli fu data la facoltà di mangiare quegli alimenti, e

l‘uomo ne ebbe conoscenza mediante la parola di Dio, la Scrittura dice: E

così fu, nel senso che l‘uomo n‘ebbe conoscenza per mezzo della parola di

Dio. Poiché, se anche allora avesse compiuto quell‘azione, se cioè avesse

preso e mangiato quegli alimenti datigli per cibo, la Scrittura avrebbe

continuato a esprimersi secondo il suo solito formulario e, per conseguenza,

dopo aver detto: E così fu – che mira ad indicare la suddetta conoscenza –

avrebbe ricordato l‘azione stessa e avrebbe detto: Ne presero e ne

mangiarono.207

Anche questo ragionamento è solamente un‘ipotesi, perché nel sesto libro

Agostino suggerisce che Adamo comunque aveva bisogno di nutrirsi.208

Secondo

lui, Adamo non ebbe la piena immortalità (plenam immortalitatem) e il suo corpo,

anche se molto migliore di quello nostro, alla stessa maniera doveva nutrirsi per

esistere. Però, non ha senso parlare di una parziale immortalità: o si è immortali o

si è mortali. Per questo, è preferibile sostenere che Adamo non si nutrisse. Solo un

corpo mortale ha bisogno di essere nutrito. Questa conclusione logica viene

rafforzata dalla mancanza dell‘esplicita conferma che i progenitori mangiassero –

non è detto: e così fu. In ogni caso, da questa palude non si vede una via di uscita.

Giovanni Crisostomo questo procedimento chiamava ―senso profetico‖.

Egli per esempio evita di confermare che il matrimonio fosse consumato nel

paradiso ma che le parole: Dio li benedisse dicendo: Crescete, moltiplicatevi,

procreate e riempite la terra (Gen. 1, 27-28) si riferiscono agli eventi postlapsari,

207 Gn. litt. 3, 23, 35. 208 Gn. litt. 6, 26, 37: ―Quamvis enim restabat adhuc ut immutaretur, et spiritale

factum plenam immortalitatem perciperet, ubi cibo corruptibili non egeret‖.

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62 Z. DJUROVIC

perché la donna ancora non era stata plasmata.209

Quindi, l‘uomo acquisisce la

predisposizione a moltiplicarsi in questo modo, ma non la usò prima della caduta.

La soluzione agostiniana segue indipendentemente questa scia. Egli era tormentato

dalla procreazione per mezzo degli organi sessuali e, come abbiamo visto, nel De

Genesi contra manichaeos 210

rifiutò di accettare che il genere umano si sarebbe

propagato per mezzo degli organi sessuali. Questo suo rigetto lo spiegherei non

solamente con il suo disdegno neoplatonico della sensualità,211

ma con la tesi

espressa nell‘opera di cui ci occupiamo: la sessualità indica mortalità.212

Gli

animali e le piante sono mortali secondo la loro natura e per questo sono costretti a

rinnovarsi mediante il seme che li sostituisce. Gli esseri soggetti alla morte

209 Cf. hom. in Gen. 10, 4, PG 53, 85-86; 15, 4, PG 53, 123. Sembra che Crisostomo

seguisse qui l‘interpretazione origeniana secondo la quale quando Dio aveva benedetto

l‘uomo e donna ―anticipò ciò che sarebbe accaduto... in questo modo l‘uomo capì che il

crescere e il moltiplicarsi era una conseguenza del fatto che a lui sarebbe stata data la

femmina; così, la sua speranza che la benedizione divina si attuasse, fu più salda‖ (hom. in

Gen. 1, 14, GCS VI, p. 18). 210 Gn. c. man. 1, 19, 30. 211 Alcuni tra gli studiosi estremisti sostengono (come i pelagiani d‘allora) che

Agostino in realtà non ha mai abbandonato nell‘antropologia il suo manicheismo giovanile

(P. G. GRASSO, B. HEARING, L. PICCA, Dove va la famiglia, Roma 1966; G. LETTIERI, L‟altro

Agostino. Ermeneutica e retorica della grazia dalla crisi alla metamorfosi del De doctrina

christiana, Brescia 2001). Gli altri richiamano l‘attenzione alla sua infelice esperienza

sessuale: J. T. NOONAN, Contraception. A history of its Treatment by Catholic Theologians

and Canonists, Cambridge 1966, sostiene che Agostino superò quel problema accettando la

concezione stoica; Jostein Gaarder, nel suo romanzo sensazionalistico Vita Brevis, Milano

1998, accusa Agostino di un comportamento assolutamente meschino nei confronti della sua

convivente, che perde la propria fede nel ―dio‖ di Agostino, ma la studiosa KIM POWER, Sed

unam tamen: Augustine and His Concubine, AugStud 24 (1993) 49-77, legge una grande

storia d‘amore tra Agostino e la sua concubina. Un‘ipotesi più convincente, poiché fondata

sui testi di Agostino, fu avanzata da N. CIPRIANI, Una teoria neoplatonica alla base

dell‟etica sessuale di S. Agostino, Aug. 14 (1974) 351-361: ―Secondo questa teoria

[neoplatonica] soltanto il piacere legato alle sensazioni della vista e dell‘udito può avere in

se stesso il segno della razionalità‖, p. 353. Queste sensazioni avevano la priorità per i

neoplatonici perché sono più vicine all‘anima, sono interiorizzate. Il tatto per esempio tocca

le cose esterne, la vista e l‘udito, al contrario, elaborano le sensazioni per mezzo della luce

con la quale l‘anima opera. D‘altra parte, le altre sensazioni non sono razionali perché non

sono ordinate. Cipriani cita PLOTINO, enn. 1, 6 (1), 1: ―La bellezza, nel suo più alto grado, è

nell‘ambito della vista; è anche nell‘udito,‖ e PLATONE, Hipp. maior 229ab, per cui il bello

viene tramite gli occhi e gli orecchi, e non attraverso gli altri sensi. 212 Gn. litt. 3, 21, 33: ―Nam illud quod dictum est: Crescite et multiplicamini, et

implete terram, quamquam nisi per concubitum maris et feminae fieri non posse videatur;

unde hinc quoque mortalium corporum existit indicium: potest tamen dici, alium modum

esse potuisse in corporibus immortalibus, ut solo piae caritatis affectu, nulla corruptionis

concupiscentia filii nascerentur, nec mortuis parentibus successuri, nec ipsi morituri‖.

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L‘UOMO 63

conserverebbero la propria specie attraverso nuove nascite. Per questo la

generazione segnerebbe la mortalità dei capostipiti. Ciò è rafforzato dal fatto che

gli esseri immortali, come gli angeli, non conoscono la nascita. Solamente dopo il

peccato l‘uomo divenne simile agli animali privi di ragione, che grazie alla

generazione possono sussistere come specie attraverso la loro discendenza. Però, la

benedizione (Crescete e moltiplicatevi, riempite la terra) è pronunciata prima della

caduta, e non può significare niente altro che la generazione.213

La vaga e iniziale riflessione del terzo libro di Gn. litt. si conclude con

l‘affermazione che nella funzione di generare i figli, e quindi nell‘atto sessuale,

non c‘è alcun peccato. Anzi, Agostino trae illazioni sorprendenti: la benedizione di

Dio si riferisce al desiderio (la passione, l‘affetto innato) di procreare. Sebbene i

vegetali avessero la capacità di riprodursi, non ottennero la benedizione, perché

questa è riservata per gli esseri che hanno desiderio di propagare la prole e

concepiscono con la coscienza (sensus). Allora l‘affectio e il sensus sono

intimamente connessi e vengono positivamente valutati. Il peccato esiste solo nella

passione carnale della fornicazione e nell‘uso smodato dello stesso matrimonio.214

La differenza tra i sessi è originaria e non causale. Unico motivo

ragionevole per cui è stata creata la donna come l‟aiuto, è solamente quello della

procreazione dei figli:

Questo motivo era già stato indicato anche nella creazione originaria delle

cose: Dio li creò maschio e femmina e li benedisse dicendo: Crescete e

moltiplicatevi, riempite la terra e assoggettatela (Gen. 1, 27-28). Questa

ragione della creazione e dell‘unione del maschio e della femmina, come

pure la benedizione (benedictio), non fu abrogata neppure dopo il peccato

213 Gn. litt. 3, 12, 20. 214 Gn. litt. 3, 12, 21: ―Item quaeritur quid tantum aquarum animalia de Creatore

meruerint, ut sola benedicerentur, sicut homines. Nam et ipsa benedixit Deus, dicens:

Crescite et multiplicamini, et implete aquas maris, et volatilia multiplicentur super terram

(Gen. 1, 22). An in uno creaturae genere dicendum fuit, ut in caeteris consequenter

intellegeretur, quae generationibus crescunt? Prius ergo diceretur in eo quod primum tale

creatum est, in herba scilicet atque ligno. An forte quae nullum haberent propagandae prolis

affectum, ac sine ullo sensu generarent, indigna iudicavit illis benedictionis verbis: Crescite

et multiplicamini: ubi autem talis inesset affectus, ibi primum hoc dixit, ut in terrenis

animalibus etiam non dictum intellegeretur? Necessarium autem fuit hoc in homine repetere,

ne quisquam diceret in officio gignendi filios ullum esse peccatum, sicut est in libidine, sive

fornicandi, sive ipso coniugio immoderatius abutendi‖.

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64 Z. DJUROVIC

dell‘uomo e dopo il suo castigo. Proprio in virtù di quella benedizione la terra

è ora piena di uomini che l‘assoggettano.215

Di conseguenza, Agostino non vede alcun impedimento al fatto che i nostri

progenitori avessero rapporti sessuali anche nel paradiso terrestre. Essi avrebbero

generato figli con il loro seme ma senza l‘ardore disordinato della concupiscenza

(sine ullo inquieto ardore libidinis), senza la fatica e il dolore del parto:

In tal caso non si sarebbe trattato di raggiungere lo scopo di avere figli che

succedessero ai genitori alla loro morte. Si sarebbe ottenuto piuttosto il

risultato che coloro, i quali avessero generato dei figli, sarebbero rimasti nel

fiore degli anni e avrebbero mantenuto il loro vigore fisico mangiando i frutti

dell‘albero della vita piantato nel paradiso e i loro figli sarebbero giunti al

medesimo stato.216

Ė da notare che Agostino con sottigliezza tenta di risolvere il problema del

collegamento tra la sessualità e la morte. La procreazione non è necessariamente

intelligibile come superamento della morte attraverso il prolungamento della

specie, ma ha la funzione di portare nell‘essere tutti coloro che saranno gli abitanti

della Gerusalemme celeste. Dato che questo argomento è assai convincente,

Agostino subito introduce la debole soluzione del nutrimento per rafforzarla.

Accanto ad un argomento forte anche uno debole sembra solido: il corpo ha

necessità di essere nutrito non solo per sopravvivere, ma per mantenere costante il

proprio vigore. Per questo Agostino usa il sostantivo maschile vigor. Questo

215 Gn. litt. 9, 3, 5. Nel Gn. litt. 9, 5, 9 Agostino scrive frasi che le odierne

femministe senza dubbio contesterebbero: ―Ora, se la donna non fu fatta per esser d‘aiuto

all‘uomo al fine di generare figli, per aiutarlo a fare cos‘altro fu creata? Nell‘ipotesi che

fosse stata creata per coltivare la terra insieme con lui, non esisteva ancora il lavoro che

esigeva l‘aiuto d‘un altro e, se ce ne fosse stato bisogno, sarebbe stato migliore l‘aiuto d‘un

maschio. Lo stesso potrebbe dirsi del conforto [di un altro], se per caso [Adamo] si fosse

tediato della solitudine. Quanto più conveniente sarebbe stato che, per vivere e conversare

insieme, abitassero sotto lo stesso tetto due amici anziché un uomo e una donna!... Non

vedo, per conseguenza, in qual senso la donna fu creata come aiuto per l‘uomo, se si toglie il

motivo di generare figli‖. Di nuovo, nel Gn. litt. 9, 11, 19 si esprime nel seguente modo:

―Quando perciò mi si domanda per quale aiuto dell‘uomo fu creata la donna, io considero

con tutta l‘attenzione di cui sono capace tutte le ipotesi possibili, ma non mi viene in mente

nessun altro motivo se non quello di procreare figli affinché la terra fosse riempita dalla loro

discendenza‖. Le stesse idee ne troviamo in AMBROGIO, parad. 10, 47-48, CSEL 32/1, pp.

304-306. 216 Gn. litt. 9, 3, 6; 9, 9, 14.

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L‘UOMO 65

sostantivo significa actio, energia, vigore, vitalità, esercizio. La sfumatura indica

un‘azione, non lo stato. Il corpo è immortale, ma deve nutrirsi dei frutti dell‘albero

della vita per continuare ad essere energeticamente attivo e vitale. Tuttavia,

sviluppando la presente impostazione, Agostino nelle successive opere scriverà

senza poter essere frainteso che Adamo era bisognoso di cibo materiale per

mantenersi in vita. Adamo e Eva, avendo corpi animali, usavano i medesimi

alimenti di cui si servivano anche gli altri animali, e grazie all‘albero della vita non

giungevano a morte per vecchiaia.217

Passando per queste vie tortuose, impegnandosi di riflettere fino a fondo,

Agostino arrivò alla posizione dell‘Ambrosiaster:

Animale corpus est, dum cibis sustentatur, ut vivat: spiritale autem, cum

horum nihil indigebit, conversum in vitam. Omnia supradicta hoc sensu

clauduntur; non enim aliud continetur in superioribus, nisi quod animale

corpus moritur, et resurget spiritale, quod neque jam manducet, nec bibat, nec

infirmetur, nec sit fetidum, nec tetrum natura... officium enim spiritus

animare est corpus, ita tamen ut continuam vitam non habeat, nisi cibis et

potus auxilio utatur. Novissimus autem Adam in spiritum vivificantem: hoc

est, ut jam qui ante fuerat factus in animam, factus est in spiritum per

resurrectionem; ut mori non possit, quia fiet totus vivens.218

In una parola, l‘uomo animale ha bisogno del cibo e della procreazione per

conservare la sua natura. L‘uomo spirituale non necessita di tali rimedi. Anche

Ambrogio condivideva questa soluzione. L‘uomo primordiale, secondo egli, era

nell‘ombra della vita (umbra uitae): grazie al possesso del soffio divino aveva il

217 civ. 13, 20: I progenitori anche se non sarebbero morti se non avessero peccato,

―si nutrivano tuttavia come tutti gli uomini, perché avevano un corpo di terra (alimentis

tamen ut homines utebantur, nondum spiritalia, sed adhuc animalia corpora terrena

gestantes)... Certamente non invecchiavano in modo da essere inevitabilmente condotti a

morire. Questo privilegio con straordinario favore divino (mirabili Dei gratia) era loro

accordato dall‘albero della vita… Si tirava avanti dunque con altri cibi che adoperavano

affinché il corpo non sperimentasse lo stento con la fame e la sete. Si assaggiava poi

qualcosa dall‘albero della vita affinché la morte non sopraggiungesse improvvisa per

qualche malanno o essi non morissero sfiniti dalla vecchiaia col trascorrere del tempo‖. Si

veda anche c. Iul. 4, 14, 69; opus imp. 6, 39. 218 comm. in Corint. I, PL 17, 269bc.

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66 Z. DJUROVIC

pegno dell‘immortalità e una certa garanzia della vita, ma ancora non possedeva

incorruptae inuiolabilisque naturae.219

È logico che Gregorio di Nissa, un origeniano autentico, immaginando

l‘uomo primordiale come un essere spirituale, stia sul fronte opposto affermando

che il cibo paradisiaco non era un alimento materiale. Il regno di Dio non è cibo o

bevanda (Rm. 14, 17), e come nella risurrezione diventeremo uguali agli angeli – e

questi non hanno cibo – quindi, ci libereremo dalla schiavitù materiale.220

Gli

oppositori del Nisseno potevano ammettere tale condizione per l‘età escatologica,

ma non per i primordi umani, perché la Scrittura afferma che i progenitori si

alimentavano. Questi nutrimenti, ci suggerisce Gregorio, devono essere intesi nel

senso allegorico: l‘uomo spirituale gode del Signore (Sal. 36, 4), e la sapienza

stessa, che è il Signore, si chiama l‘albero della vita (Prov. 3, 18).221

Ora – tornando ad Agostino – si pone la domanda: Perché i progenitori non

ebbero rapporti sessuali prima del peccato? Si potrebbe rispondere facilmente, che

essi, come ci assicura Agostino, subito dopo la creazione della donna e prima di

aver rapporti sessuali commisero la trasgressione. In effetti, la Scrittura non

specifica quanto tempo sia passato tra la loro creazione e la nascita di Caino. Dio

prevedeva la loro caduta, per effetto della quale si sarebbe dovuto propagare il

genere umano come una stirpe destinata ormai alla morte, e per questo stabilì il

loro coito post lapsum.222

La differenziazione dei sessi non è stata istituita a causa della caduta, ma il

loro reciproco ―riconoscimento‖ fu rimandato ad un momento più opportuno. I

progenitori avrebbero potuto procreare nel paradiso terrestre. Così facendo,

avrebbero collaborato con Dio nella sua economia. La donna, infatti, fu creata per

procreare anche se l‘uomo non avesse dovuto morire.223

Questo momento è di

219 Cf. parad. 5, 29, CSEL 32/1, pp. 285-286. Si veda anche il commento del

SINISCALCO, Il paradiso terrestre, p. 81, n. 13: ―La condizione di Adamo nel paradiso era

quella di chi godeva della perfezione, della felicità, della grazia, però non ancora

confermate, di chi aveva una partecipazione iniziale alla vita divina che avrebbe dovuto

subire uno sviluppo‖. 220 opif. 18, PG 44, 196ab. 221 opif. 19, PG 44, 196c-197b. 222 Gn. litt. 9, 4, 8. 223 Gn. litt. 9, 9, 14. Cf. civ. 14, 22: ―Noi non dubitiamo per niente che il prolificare,

l‘aumentare di numero e il riempire la terra secondo la benedizione di Dio è un dono del

matrimonio che Dio istituì dal principio (ab initio constituit), prima del peccato dell‘uomo,

creando il maschio e la femmina. La diversità del sesso si manifesta anche nel fisico.

All‘atto creativo di Dio seguì la sua benedizione... È stabilito dunque che maschio e

femmina sono stati ordinati in principio come al presente, e cioè che si vedono e si

riconoscono due individui di sesso diverso e che si considerano uno solo o a causa

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L‘UOMO 67

grande importanza perché nella letteratura cristiana era diffusa l‘idea che la

distinzione dei sessi era condizionata dal fatto che Dio aveva previsto la caduta

dell‘uomo. Idee del genere trovavano sostegno nell‘affermazione dell‘apostolo

Paolo che in Cristo Gesù non vi è né maschio né femmina (Gal. 3, 28). Se pertanto

non vi sarà distinzione sessuale alla fine, dunque non ci fu neanche all‘inizio. Il

primo uomo era androgino, come racconta il mito di Platone che servì ai Padri

come matrice di lettura per diversi passi della Scrittura in questo senso.224

Per

dell‘accoppiamento o dell‘origine della femmina che è stata tratta dal fianco del marito‖.

Agostino decisamente critica l‘opinione di Gregorio Nisseno secondo cui senza il peccato

non vi sarebbe stata alcuna moltiplicazione del genere umano: ―Chi afferma che i

progenitori non si sarebbero accoppiati e non avrebbero generato se non avessero peccato, in

definitiva afferma che fu indispensabile il peccato dell‘uomo per ottenere un gran numero di

eletti. Non peccando sarebbero rimasti soli – giacché, come alcuni sostengono, se non

peccavano, non potevano generare – il peccato fu necessario affinché di giusti non

rimanessero soltanto due ma un gran numero. È assurdo pensarlo‖ (civ. 14, 23, 1). Ma

Agostino coregge anche se stesso: ―Nel mio scritto [Gn. c. man. 1, 19, 30] si legge altresì

che la benedizione del Signore espressa con le parole: Crescete e moltiplicatevi, si

trasformò, dopo il peccato, in fecondità carnale. Non sono però assolutamente d‘accordo se

si intendono queste mie parole unicamente nel senso che gli uomini non avrebbero avuto

figli se non avessero peccato‖ (retr. 1, 10, 2). 224 Cf. PLATONE, symp. 190b-191e: Un tempo gli esseri umani, che avevano forma

sferica, erano divisi in 3 sessi, uomini, donne e androgini. Ogni individuo aveva 4 braccia e

4 gambe, due volti sul collo cilindrico rivolti in senso opposto e due organi genitali

(maschili gli uomini, femminili le donne, uno maschile e uno femminile gli androgini). Ma

un giorno Zeus, per punirli, li spaccò in due, come sogliole, e da quel momento ognuno

cercò la propria metà. Chi veniva dall‘uomo cercava un altro uomo, chi da una donna

cercava l‘altra donna, chi dall‘androgino cercava persone dell‘altro sesso e con queste si

riproduceva. Cosa nuova, questa: prima, dice Platone, non generavano gli uni con gli altri,

ma sorgevano spontaneamente dalla terra, come le cicale. Idee del genere furono seguite

dagli scrittori cristiani. Per es. GREGORIO NISSENO nel homin. opif. 17, PG 44, 188cd-189d

afferma che la divisione dei sessi si ebbe come risultato della previsione della caduta e

avvenne dopo la medesima. Egli trova sostegno a questa tesi nella futura condizione

angelica dell‘uomo (cf. Lc. 20, 34-36) che, secondo Origene, è il ripristino del primitivo

modo di essere. Cf. anche GIOVANNI CRISOSTOMO, hom. in Gen. 18, 4 (PG, 53, 153);

PSEUDO-ATANASIO, quaest. ad Antioch. duc. 51, PG 28, 629bc; GIOVANNI DAMASCENO, fid.

2, 30, KOTTER, p. 104: ―Inoltre Dio il Preconoscente, sapendo che questi sarebbe stato nella

trasgressione e sarebbe soggiaciuto alla corruzione, formò da lui l‘essere femminile... aiuto

per la successiva generazione... generazione è la successione degli uni dopo gli altri

proveniente dalla condanna della morte‖. Similmente MASSIMO IL CONFESSORE, amb. 41, PG

91, 1308d-1309a (trad. C. MORESCHINI, p. 458): ―Dio diviene uomo per salvare l‘uomo che

era perito e unisce in sé le parti della natura totale che per colpa sua erano state spezzate...

Vi era forse anche un altro modo, deciso da Dio precedentemente, perché gli uomini

crescessero e si moltiplicassero: vale a dire, se il primo uomo avesse osservato il

comandamento e non si fosse abbandonato alla condizione bestiale... e se avesse respinto la

differenziazione e la distinzione della natura in maschio e femmina, della quale non aveva

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68 Z. DJUROVIC

Agostino tale posizione è inammissibile. La sessualità è conforme all‘originaria

intenzione di Dio. Nonostante la verginità sia lodevole, il matrimonio contempla

tre beni: la fedeltà, la prole e il sacramento (fides, proles, sacramentum):

La fedeltà esige di non aver rapporti sessuali con un altro o con un‘altra; la

prole esige d‘essere accolta con amore, allevata con bontà, educata

religiosamente; il sacramento esige l‘indissolubilità del matrimonio.225

Questo argomento è trattato abbastanza a lungo nel De bono coniugali (401)

che Agostino pubblicò poco tempo prima di scrivere il IX libro del Gn. litt. Anche

qui egli timidamente assegna alla concupiscenza carnale un certo valore:

Si frappone infatti una specie di dignità nell‘ardore del piacere, se nel

momento in cui l‘uomo e la donna sono congiunti l‘uno con l‘altro, pensano

di essere padre e madre (Intercedit enim quaedam gravitas fervidae

voluptatis, cum in eo, quod sibi vir et mulier adhaerescunt, pater et mater

esse meditantur).226

Commettono grave errore coloro che pensano che sia peccato ogni

accoppiamento carnale. Ciò avviene per l‘ignoranza del fatto che la condanna

riguarda solamente l‘adulterio o la fornicazione, non ai rapporti sessuali tra coniugi

fatti allo scopo di procreare.227

La posizione di Agostino rimane però un poco

ambigua, poiché egli non considera mai la medesima concupiscenza, intesa in

senso ben preciso come un movimento disordinato dell‘anima (quindi non è

ristretta alla sfera sessuale), inerente alla visione dell‘originaria condizione

umana.228

Agostino piuttosto ipotizza

bisogno... per nascere uomo, e senza i quali, cioè senza maschio e femmina, forse è possibile

essere. Che essi durino per sempre, non è necessario. In Cristo Gesù, dice infatti l‘apostolo,

non vi è né maschio né femmina (Gal. 3, 28)‖. In poche parole, la divisione a maschio e

femmina non rientra a quello creato a immagine di Dio (cf. ARISTIDE, apol. HARNACK, p.

110: Eius naturae nulla inest maris et feminae distinctio; GREGORIO DI NISSA, homin. opif.

16, PG 44, 181a-183d; GIROLAMO, apol. 1, 29, PL 23, 420a-421a; ), perché ad similitudinem

Dei non corporis sit imago, sed spiritus (AMBROGIO, Satyr. 2, 130, PL 16, 1353b). 225 Gn. litt. 9, 7, 12. 226 b. coniug. 3, 3. 227 Gn. litt. 9, 8, 13; 9, 9, 15. Non si deve confondere la libidine con la sensazione:

―Aliud est vis sentiendi, aliud vitium concupiscenti‖ (opus imp. 4, 29). 228 Cf. N. CIPRIANI, Una teoria neoplatonica, p. 356. Cf. civ. 14, 20.

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L‘UOMO 69

che i nostri progenitori prima del peccato potessero comandare agli organi

genitali per procreare figli come comandavano alle altre membra che l‘anima

è solita eccitare senza alcun prurito della concupiscenza (sine ulla molestia,

et quasi pruritu voluptatis movet) per compiere qualsiasi altro atto... loro

avrebbero comandato agli organi da cui è generata la prole, allo stesso modo

che si comanda ai piedi quando si cammina. In tal modo avrebbero compiuto

l‘unione sessuale senza ardore passionale e avrebbero partorito senza dolore

(neque cum ardore seminaretur, neque cum dolore pareretur).229

Su questo problema si svilupperà l‘aspra polemica tra Agostino e Giuliano

di Eclano. A tale proposito Cipriani scrive: ―Tuttavia, di fronte alla reazione

contraria e persino sarcastica di Giuliano, si dice [Agostino] disposto ad ammettere

nel paradiso una certa concupiscenza, diversa dall‘attuale, tale cioè che non

suscitasse movimenti contrari alla volontà, che non sollecitasse o muovesse i

genitali con il suo impulso irrazionale, in maniera da doversene vergognare‖.230

Va rivelato che il maturo Agostino non avrà nessun dubbio riguardo alla

natura del corpo primordiale. Molti esegeti – come egli ci ricorda – pensavano che

all‘origine Adamo avesse un corpo naturale, cambiato poi in corpo spirituale o

229 Gn. litt. 9, 10, 18. Su questo argomento Agostino torna nel civ. 14, 16 dove

scrisse che sarebbe stato più opportuno se i progenitori avessero procreato figli senza

libidine. Gli organi creati allo scopo di generare la prole si conformerebbero alla coscienza,

come tutti gli altri, perché mossi dal consenso della volontà e non dalla libidine: ―Ma

neanche coloro che si dilettano di questo piacere sono eccitati, quando vogliono, agli

accoppiamenti coniugali o agli atti disonesti della lussuria. Talora l‘impulso reca disagio

perché non desiderato, talora delude chi spasima e mentre la sensualità ribolle nella

coscienza rimane fredda nel corpo. In tal modo con strano risultato la libidine non solo non è

in funzione del desiderio di aver figli ma neanche della libidine di soddisfare i sensi‖. La

libidine infatti produce vergogna nel piacere lecito come anche nell‘illecito (civ. 14, 17-18).

Poi, anche i filosofi hanno sostenuto che l‘ira e la concupiscenza sono inclinazioni viziose

perché si muovono con disordinata agitazione senza essere controllate dalla ragione (civ. 14,

19). Come sostegno della tesi che la libidine si sarebbe potuta sottoporre alla volontà e in tal

modo l‘organo genitale avrebbe sparso il seme come fa la mano del seminatore quando

sparge la sementa sul terreno, Agostino riporta alcuni esempi sulla base cui si evidenzia che

certe funzioni involontarie si possono tenere sotto controllo. Così ci sono alcune persone che

muovono le orecchie, una sola o ambedue. Egli stesso ha conosciuto un tale che poteva

sudare quando voleva. Un prete di nome Restituto poteva cadere volontariamente in

catalessi, tanto da non sentire minimamente se alcuni lo pizzicavano o lo pungevano. Se

quindi, esistono oggi persone capaci di sottoporsi a parecchi movimenti fuori del normale,

non v‘è ragione per non credere che anche il primo uomo avrebbe potuto procreare senza

libidine (civ. 14, 24, 1-2). 230 opus imp. 5, 16. N. CIPRIANI, La controversia tra Giuliano d‟Eclano e s. Agostino

nell‟Opus imperfectum, Roma 1992, p. LXXI.

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70 Z. DJUROVIC

etereo quando egli fu messo nel paradiso, trovano difficoltà perché questo

cambiamento non viene menzionato nella Genesi.231

Tale opinione viene rigettata:

il corpo primordiale si può chiamare mortale perché poteva morire, e anche

immortale perché poteva non morire.

Una cosa è infatti non poter morire, come è il caso di certe nature create

immortali da Dio; un‘altra cosa è invece poter non morire, nel senso in cui fu

creato immortale il primo uomo; questa immortalità gli era data non dalla

costituzione della sua natura (non de constitutione naturae) ma dall‘albero

della vita. Dopo ch‘ebbe peccato, Adamo fu allontanato dall‘albero della vita

con la conseguenza di poter morire... Mortale era dunque Adamo per la

costituzione del suo corpo naturale (mortalis ergo erat conditione corporis

animalis), immortale per un dono (beneficio) concessogli dal Creatore. Se

infatti il corpo era naturale, era certamente mortale poiché poteva anche

morire, sebbene fosse nello stesso tempo immortale poiché poteva anche non

morire. In realtà solo un essere spirituale è immortale per il fatto che non

potrà assolutamente morire, e questa qualità ci è promessa solo per il futuro,

vale a dire nella risurrezione.232

Il corpo primordiale è, dunque, questo naturale (mortale) come tale creato

direttamente da Dio.233

Nelle retr. Agostino spesso corregge proprio le

affermazioni che disprezzano il corpo in quanto tale, e non in quanto corruttibile,

cioè condizionato dalla caduta dell‘uomo:

Non si deve tenere in alcun conto e deve essere totalmente rifiutato tutto ciò

che è visto da occhi mortali, tutto ciò che è raggiunto dal senso [c. acad. 1, 1,

3], andava così integrato: tutto ciò che è raggiunto dal senso del corpo

mortale…234 Anche nell‘affermazione che bisogna del tutto fuggire da

codeste realtà sensibili [sol. 1, 14, 24], si sarebbe dovuto evitare il sospetto

che facessimo nostra la posizione dello pseudofilosofo Porfirio, secondo il

231 Gn. litt. 6, 21, 31. 232 Gn. litt. 6, 25, 36. 233 Nella stessa posizione sta Atanasio Alessandrino: Gli uomini, ―sono divenuti

causa della propria corruzione nella morte: erano bensì corruttibili per natura… ma in grazia

della partecipazione del Verbo avrebbero evitato questa conseguenza della loro natura, se

fossero rimasti virtuosi. Infatti, a causa del Verbo che era in loro, la corruzione propria della

loro natura non li avrebbe intaccati…‖ (incarn. 1, 5, PG 25b, 104d-105a). 234 retr. 1, 1, 2.

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L‘UOMO 71

quale si deve fuggire da ogni realtà corporea.235 Non ho detto da tutte le

realtà sensibili, ma solo da quelle di questo mondo soggette a corruzione.

Avrei dovuto piuttosto dire: non ci saranno più realtà sensibili come queste

nel cielo nuovo e nella terra nuova del mondo che verrà.236

Più di una volta Agostino si rammaricherà per aver citato la sentenza di

Porfirio: omne corpus esse fugiendum. Porfirio, secondo lui, avrebbe detto bene se

non avesse scritto ogni corpo: si deve stare, ci suggerisce Agostino, lontano dal

corpo corruttibile che appesantisce l‘anima, ma non anche dal corpo che non la

soffoca, cioè dal corpo incorruttibile. Ci infastidisce – continua egli – la

corruttibilità, la mortalità, ma non il corpo in quanto corpo.237

Può sembrare

sorprendente ma questa valutazione positiva del corpo e il discorso sul corpo

incorruttibile, anche se è vicina ad una corrente del pensiero cristiano, proviene da

Plotino. A tale conclusione può portare il confronto tra il pensiero plotiniano e

quello agostiniano in cui appaiono queste distinzioni. Torniamo alla frase di

Plotino già citata: il corpo è di ostacolo al pensare, e perché riempie l‟anima di

piaceri, di brame e di dolori. Tutte e due le frasi su cui Plotino riflette sono riprese

da Platone (Phaedo, 65a e 66c). Plotino nel paragrafo 8, 2 del IV libro delle enn.

vuole spiegare come l‘anima infonde ordine e bellezza nel mondo sensibile e

risponde all‘obbiezione che è un male per l‘anima abitare in un corpo. I toni

negativi dell‘uomo divino, ossia Platone, si trovano in contesto specifico e Plotino,

prima di citarli, comincia con una presentazione ottimistica di Platone:

Dicendo che le anime degli astri hanno coi loro corpi lo stesso rapporto che

l‘Anima universale ha col tutto, [Platone] colloca anche i corpi degli astri

all‘interno del movimento circolare dell‘Anima238 e salva così anche la

beatitudine che ad essi conviene. Sono due le ragioni, per le quali l‘unione

dell‘anima col corpo appare insopportabile: perché essa è di ostacolo al

pensare, e perché riempie l‘anima di piaceri, di brame e di dolori. Ora, nulla

di tutto ciò accade ad un‘anima che non s‘immerge nell‘interno del corpo e

non appartiene a nessuno: essa non sottostà al corpo, ma il corpo ad essa; e

235 Motivo ricorrente in Porfirio: cf. es. sent. 7-10, LAMPERZ, pp. 3-4; ad Marc. 8,

NAUCK, pp. 197-198, 32 (ib. p. 210), 34 (ib. p. 210); fr. 11, 5 ex reg. an. BIDEZ, p. 41. Il

medesimo Agostino lo esamina anche in civ. 10, 29; 22, 12, 26-28. 236 retr. 1, 4, 3. Ci sono altre avvertenze: retr. 1, 3, 2 per ord. 1, 1, 3; retr. 1, 4, 2 per

sol. 1, 1, 3. 237 serm. 242A, 3. 238 PLAT. Tim. 38c.

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72 Z. DJUROVIC

questo corpo è tale da non aver bisogno di nulla e di non mancare di nulla, e

perciò nemmeno l‘anima si riempie di desideri e di timori.

Plotino dunque fa una chiara distinzione tra il corpo corruttibile e quello

incorruttibile. Il primo crea problemi all‘anima, il secondo no. Un corpo che non ha

bisogno di cibo, di sesso, non teme la morte essendo immortale, non può mettere

l‘anima in ansia. Vediamo ora il cambiamento di Agostino. I medesimi filosofi

asseriscono, spiega Agostino, che l‘intero mondo fisico è animato. Se quindi lo

stesso mondo è eterno, ne consegue che l‘anima così concepita sarà trattenuta per

sempre all‘interno di esso.

Perché si dovrebbe – in tal caso – fuggire ogni sorta di corpo? Io piuttosto

direi: Beate quelle anime che possiederanno per sempre corpi

incorruttibili.239

Anche Platone, ci avverte Agostino, non concorda con Porfirio. Dio infatti

costruì gli altri dèi, cioè le divinità celesti, stelle, sole e luna.240

Ciascuna di queste

divinità astrali possedeva una anima intellettiva e un proprio corpo.241

Il dio di

Platone dice agli dèi creati:

Avendo voi avuto un‟origine, non potete essere immortali ed esenti da

dissolvimento. Però non sarete dissolti né ci sarà destino mortale che vi

annienti. Nulla infatti prevarrà sulla mia decisione, anzi il legame che da

parte mia vi garantisce la perpetuità è più grande di tutti gli altri vincoli da

cui siete astretti.242

Se dunque questi non abbandonarono i loro corpi, perché noi dobbiamo

rifuggire da ogni corpo?243

È da notare che Agostino condivide in pieno

l‘asserzione di Platone che tutto ciò che ha inizio non può essere immortale per sua

natura ma solamente per l‘azione reggitrice di Dio. La più importante annotazione

è che il contesto ideologico delle affermazioni di Plotino e di Agostino è lo stesso.

Entrambi pensatori partono dai testi di Platone che confermano l‘esistenza dei

239 serm. 241, 7. 240 Tim. 38c-40b. 241 Tim. 41b. 242 Tim. 41b. Cf. AGOSTINO, civ. 13, 16; 22, 26; serm. 242, 5. 7. 243 serm. 241, 8.

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L‘UOMO 73

corpi incorruttibili, e infine condividono la stessa conclusione: il corpo corruttibile

appesantisce l‟anima, il corpo incorruttibile non porta alcun danno all‟anima.

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CAPITOLO III

INIZIO E FINE

1. La protologia

1. 1. Il rinnovamento dell‟uomo

Secondo Agostino, il corpo dei capostipiti era come quello dei bruta

animalia.244

Per questo, la superiorità dell‘uomo sta nel fatto che Dio creò l‘uomo a

propria immagine, poiché gli diede l‘anima spirituale e l‘intelligenza.245

Già nel De

Genesi contra manichaeos Agostino poneva l‘interrogativo se il corpo degli

antenati fosse un corpo naturale, come quello che abbiamo adesso, oppure

spirituale, come quello che avremo nella risurrezione, interrogativo che esamina a

fondo nel De Genesi ad litteram, laddove si chiede se il corpo originale fu creato

come un corpo naturale, in tal caso noi avremmo ricevuto non solo quanto

avevamo perduto in Adamo, ma una qualità superiore perché il corpo spirituale è

migliore di quello naturale. Agostino, richiamandosi all‘autorità dell‘Apostolo

Paolo (1Cor. 15, 44-49), afferma che ora noi portiamo l‘immagine dell‘uomo

celeste in virtù della fede; l‘immagine dell‘uomo terrestre invece l‘abbiamo

indossata sin dall‘origine del genere umano.246

Il problema tuttavia viene creato

dalla terminologia della Scrittura. Essa afferma che l‘uomo sarà rinnovato

(innovare, renovare, reparare, redintegrare, reficere, regenerare); ciò però non

quadra con l‘idea del corpo risorto, che non potrà mai morire; quello di Adamo

invece poteva morire. D‘altra parte, come poté Adamo perdere l‘immortalità, se

aveva un corpo naturale? Il corpo risorto non sarà più naturale ma spirituale, cioè

incorruttibile. A questo proposito Agostino scrive:

Numerosi esegeti, messi alle strette da queste difficoltà, hanno cercato, da

una parte, di sostenere la verità dell‘asserzione dell‘Apostolo in cui porta

244 Gn. litt. 6, 12, 21. 245 Ib. 246 Gn. litt. 6, 19, 30.

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INIZIO E FINE 75

l‘esempio del corpo naturale (animali corpore) a proposito di questo

argomento dicendo: Il primo uomo, Adamo, fu fatto una creatura vivente

(1Cor. 15, 45), e da un‘altra parte hanno cercato di mostrare che non è

illogico affermare che l‘uomo sarà rinnovato e riavrà l‘immortalità allo stato

originario, cioè in quello perduto da Adamo. Costoro perciò hanno pensato

che all‘origine l‘uomo avesse un corpo naturale, ma fu cambiato quando egli

fu messo nel paradiso, come saremo cambiati anche noi nella risurrezione.247

Ma se è valida la suddetta conclusione, si perde inevitabilmente il senso

storico: come potevano essere necessari i frutti paradisiaci ai corpi immortali e

spirituali? Tuttavia, non potendosi trovare un‘altra soluzione, Agostino preferisce

intendere il paradiso in senso spirituale anziché pensare che l‘uomo non si

rinnovi (melius eligimus paradisum spiritaliter intellegere, quam vel putare

non renovari hominem), poiché il suo rinnovamento è ricordato tante volte

dalla Scrittura, o credere che riceverà uno stato che non si può dimostrare

essere stato perduto da lui.248

Se quindi, il corpo era immortale, noi ci rinnoviamo secondo il modello di

Adamo, però non ha senso parlare di un corpo immortale che può morire; se d‘altra

parte il corpo era mortale, come ci rinnoviamo in immortalità?

Ecco perché, scrive Agostino, alcuni interpreti pensano che l‘uomo meritò,

per causa del peccato, non la morte del corpo ma quella dell‘anima (non

mortem corporis, sed mortem animae), procurata dal suo peccato.249 Costoro

247 Gn. litt. 6, 20, 31. 248 Gn. litt. 6, 21, 32. 249 Questa tesi fu sostenuta nei circoli pelagiani, come anche tra alcuni antiocheni.

Teodoro di Mopsuestia, per es., sosteneva la teoria delle due kata,stasij, cioé dei due

periodi o delle due condizioni dell‘uomo: la prima sarebbe una condizione di mortalità

originale, vale a dire di mortalità non condizionata dalla trasgressione; la seconda una

condizione di incorruttibilità, immortalità e impeccabilità instaurata da Cristo con la sua

resurrezione: ―A Dio piacque dividere la creazione in due catastasi (in duos status divisit

Deus creaturam): una che è quella presente, in cui ha fatto tutte le cose mutevoli; la

seconda, che sarà quella futura, quando rinnovando tutte le cose, le renderà immutabili‖ (in

Gen. PG 66, 633). Secondo la sintesi di Teodoreto di Ciro, Dio creò Adamo mortale

prevedendo la sua caduta, dalla cui sanzione sarebbe derivata la morte. Per questo Dio creò

sia il maschio che la femmina, quale chiaro segno della mortalità, perché la natura

immortale non ha bisogno del sesso femminile. Altra indicazione della mortalità primordiale

sarebbe la necessità di nutrirsi. La sentenza di morte è stata proferita dopo la prevaricazione,

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76 Z. DJUROVIC

infatti credono che l‘uomo, poiché aveva un corpo naturale (corpus animale),

sarebbe uscito da questo corpo per giungere alla pace che adesso godono i

fedeli servi di Dio già morti e, alla fine del mondo, avrebbe riavuto le

medesime membra rivestite d‘immortalità. In tal modo la morte del corpo

sembrerebbe non un effetto del peccato, ma un fatto naturale (naturaliter)

come la morte degli altri animali. A costoro però si oppone un‘altra

affermazione dell‘Apostolo che dice: Il corpo è, sì, una cosa morta a causa

del peccato (corpus quidem mortuum est propter peccatum), ma lo Spirito è

vita a causa della giustificazione (Rm. 8, 10-11)... Per conseguenza anche la

morte del corpo deriva dal peccato. Se dunque Adamo non avesse peccato,

non sarebbe stato soggetto neppure alla morte del corpo e perciò avrebbe

avuto anche un corpo immortale. Come dunque quel corpo sarebbe potuto

essere immortale se era un corpo naturale (Quomodo ergo immortale, si

animale)?250

Questa ambiguità viene risolta così: noi non accogliamo l‘immortalità di un

corpo spirituale che l‘uomo non aveva ancora, ma riceviamo la giustizia originaria.

La nostra natura sarà rinnovata nella sua primitiva innocenza, nello stato ancora

non spezzato.251

Saremmo dunque rinnovati nello spirito della nostra mente

conforme all‘immagine divina che Adamo danneggiò. Danneggiò, non distrusse,

come vorrebbero certuni.252

Infatti neppure il corpo naturale era fuori dalla

perché l‘uomo provasse avversione verso il peccato. Inoltre tutta la natura fu creata come

corruttibile in prospettiva della caduta dell‘uomo. Ha ragione Sergio Zincone quando scrive:

―Da tutto il complesso del discorso di Teodoreto si evince che quando egli, qui e altrove,

dice che l‘uomo è divenuto mortale, corruttibile a causa del peccato, non pensa ad

un‘originaria immortalità perduta, ma al fatto che l‘uomo fu concretamente sottoposto alla

sentenza di morte, estesasi poi a tutta l‘umanità in conseguenza del peccato‖ (ZINCONE,

Studi, p. 47). 250 Gn. litt. 6, 22, 33. 251 Gn. litt. 6, 27, 38: ―Proinde illa stola prima, aut ipsa iustitia est unde lapsus est;

aut, si indumentum corporalis immortalitatis significat, etiam hanc ille sic amisit, cum

propter peccatum ad eam pervenire non potuit‖. Sarà Ambrogio a dire: imago Dei justitia est

(hex. 9, 7, 41, CSEL 32/1, p. 232). 252 In ambito protestante e ortodosso spesso si legge che Agostino sosteneva che in

Adamo l‘uomo perse completamente l‘immagine divina (cfr. per es. l‘analisi del grande

teologo serbo JUSTIN POPOVIC nella sua Dogmatica della Chiesa Ortodossa [Догматика

Православне цркве], vol. I, Belgrado 1932, pp. 301-306). Dal fatto che Agostino

continuamente ripete che l‘uomo per sé non può fare o desiderare il bene, loro concludono

che l‘immagine divina è interamente annientata. Però le parole dello stesso Agostino

contestano ciò: ―Coloro che... si convertono al Signore, sono da lui riformati (reformantur

ex illo) da quella difformità per cui le passioni mondane li conformavano a questo mondo,

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INIZIO E FINE 77

comunione con Dio.253

Pertanto, il nostro corpo non sarà trasformato nel corpo

primitivo, ma in uno migliore, ossia in un corpo spirituale, quando ci trasferiremo

nella casa celeste, ove non ci sarà più bisogno di un cibo corruttibile:254

In hoc ergo renovamur, secundum id quod amisit Adam, id est secundum

spiritum mentis nostrae: secundum autem corpus quod seminatur animale, et

resurget spiritale, in melius renovabimur, quod nondum fuit Adam.255

udendo la parola dell‘Apostolo che dice: Non conformatevi a questo mondo, ma riformatevi

rinnovando il vostro spirito (Rm. 12, 2), cosicché quell‘immagine incomincia ad essere

riformata da Colui che l‘ha formata. Infatti non può riformarsi essa stessa, come ha potuto

deformarsi: dice infatti l‘Apostolo in un altro passo: Rinnovatevi nello spirito della vostra

anima e rivestitevi dell‟uomo nuovo, che è stato creato ad immagine di Dio, nella vera

giustizia e santità (Ef. 4, 23-24)... Ma peccando ha perso la vera giustizia e santità; perciò

quest‘immagine è divenuta deforme e sbiadita (haec imago deformis et decolor facta est); la

recupera quando è rinnovato e riformato (hanc recipit, cum reformatur et renovatur)‖ (trin.

14, 16, 22). Dunque, Agostino parla d‘immagine offuscata che non viene creata nuovamente

dal nulla, ma ripulita, restaurata nella sua primitiva bellezza. Nelle retr. 2, 24, 2 Agostino

avverte: ―Quanto ho detto nel sesto libro [Gn. litt. 6, 27, 28], che cioè Adamo aveva perso

col peccato l‟immagine di Dio in base alla quale era stato creato, non va inteso nel senso

che di quell‘immagine non fosse rimasto nulla, bensì che s‘era talmente deformata da

richiedere una restaurazione‖. 253 Per mezzo dell‘immortalità del corpo ―saremo simili a Dio, ma soltanto al Figlio,

perché egli è l‘unico nella Trinità che ha assunto un corpo che, morto, è risuscitato ed ha

condotto al Cielo. Perché si dice pure che questa è immagine del Figlio di Dio, immagine

secondo la quale come lui avremo un corpo immortale, resi conformi sotto quest‘aspetto non

all‘immagine del Padre o dello Spirito Santo, ma soltanto del Figlio, perché di lui solo

leggiamo... Il Verbo si è fatto carne (Gn. 1, 4). Ecco perché l‘Apostolo dice: Coloro infatti

che preconobbe li ha pure predestinati conformi all‟immagine del suo Figlio, affinché egli

sia il primogenito fra molti fratelli (Rm. 8, 29). Primogenito, certamente, tra i morti (Col. 1,

18)... per quella morte per cui è stata sotterrata la sua carne come un seme nell‘ignominia, ed

è risuscitata nella gloria. Secondo quest‘immagine del Figlio, al quale per l‘immortalità noi

ci conformeremo nel corpo, compiamo anche ciò che similmente dice lo stesso Apostolo:

Come abbiamo portato l‟immagine dell‟uomo terrestre, così rivestiremo pure l‟immagine di

quello celeste (1Cor. 15, 49); parole scritte perché teniamo con una fede sincera ed una

speranza ferma e sicura che, noi, dopo essere stati mortali secondo Adamo, saremo

immortali secondo Cristo. Così infatti noi possiamo portare ora quest‘immagine, non ancora

nella visione, ma nella fede; non ancora nella realtà, ma nella speranza. È della risurrezione

del corpo che parlava l‘Apostolo, quando diceva queste parole‖ (trin. 14, 18, 24). 254 Gn. litt. 6, 24, 35. 255 Gn. litt. 6, 27. In questo punto Agostino corregge l‘interpretazione di Vittorino

non ammettendo che Adamo fu spirituale: ―Ut dixi, novus homo est, qui secundum spiritum

sapit… Ita anima melior, pura, integra; mens vero fortior spiritus est. Renovamini ergo,

inquit, spiritu mentis vestrae; et induite novum hominem, ut jam secundum ipsum vivatis;

qui spiritalis est, cum ex spiritu sapit; qui ipse ille homo spiritalis secundum Deum creatus

est, id est juxta Deum: quomodo dictum est, faciamus hominem ad imaginem et

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78 Z. DJUROVIC

Quindi, il corpo di Adamo era insieme animale e condizionatamente

immortale. Adamo era spirituale per la mente, ma animale per il corpo anche nel

paradiso. Il suo corpo, come abbiamo già visto, poteva morire, e la sua immortalità

non era basata sulla costituzione della sua natura ma sull‘albero della vita che è

simbolo del Figlio di Dio:

Così anche la Sapienza, cioè lo stesso Cristo, è l‘albero di vita nel paradiso

spirituale (lignum vitae est in paradiso spiritali), ove il Signore inviò dalla

croce il buon ladrone, ma nel paradiso corporeo (in paradiso corporali) fu

creato anche un albero di vita che avrebbe simboleggiato la Sapienza.256

La comunione con Dio rendeva immortali i progenitori. Allora Adamo era

mortale per la costituzione del suo corpo naturale, immortale per il dono divino.257

Solo nella risurrezione i corpi umani non saranno più in grado di morire:

similitudinem nostram. Non autem vultum Deus habet aut faciem: sed quemadmodum Deus

spiritus est, ita et nos secundum Deum creati sumus, ut secundum spiritum sapiamus; id est

nihil carnaliter, nihil in mundo. Denique quid est secundum Domini creatum esse hominem,

ipse dixit in sanctitate et justitia et veritate: id est, ut sit justus, ut sit sanctus, sit et verus…

Ergo quoniam spiritus sanctificat, spiritus vivificat et justificat, spiritus qui vere est, et

semper est, et magis solus est, ipse est veritas. Haec igitur omnia sic intelligentes, novum

hominem induunt, renovati in spiritu mentis suae‖ (MARIO VITTORINO, in Eph. IV, 23-24,

PL 8, 1279ac). 256 Gn. litt. 8, 5, 9. 257 In questo punto Agostino appare vero erede della concezione giudaica, secondo

la quale il creato non può avere l‘immortalità secondo la costituzione della sua natura.

Abbiamo visto che secondo lui, ogni essere scomparirebbe se Dio anche per un attimo

cessasse di mantenerlo in esistenza. Tra i primi pensatori cristiani (Taziano, Teofilo

Antiocheno, Arnobio etc.) è variamente attestata l‘idea che l‘anima non è immortale per

natura, perché è incorporale. Questa opinione era condivisa dai valentiniani ed Eracleone.

Come testimonia Origene (com. Io. 13, 60, SC 222, pp. 262), Eracleone ritiene che ―sono

confutate le opinioni di quanti suppongono che l‘anima sia immortale, opinando che allo

stesso modo vada interpretato il passo secondo cui l‘anima e il corpo periscono nella Geenna

(cf. Mt. 10, 28). Infatti Eracleone ritiene che l‘anima non sia immortale ma abbia attitudine

alla salvezza, affermando che essa è l‘elemento corruttibile che riveste l‘immortalità‖ (cf.

1Cor. 15, 53 sg.; Is. 25, 8). Continuando, Origene riduce all‘assurdo la posizione eracleonea

affermando che una natura corruttibile può diventare incorruttibile: ―Ma se per morte

dell‘anima intende la dissoluzione totale e la sua scomparsa, noi non saremmo d‘accordo,

perché non ci riesce neppure di concepire una sostanza mortale che si trasforma in

immortale e una natura corruttibile che si trasforma in incorruttibile. Sarebbe come dire che

un essere da corporeo si trasforma in incorporeo, quasi che ci fosse un substrato comune alle

due nature, corporea e incorporea, il quale permane... Ma altro è dire che la natura

corruttibile riveste incorruttibilità, altro è dire che una natura corruttibile si trasforma in

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INIZIO E FINE 79

Per conseguenza il corpo naturale, e perciò mortale di Adamo – che in virtù

della giustizia sarebbe divenuto spirituale e perciò del tutto immortale – non

divenne mortale a causa del peccato essendo tale anche prima, ma una cosa

morta (factum est propter peccatum non mortale, quod et antea erat, sed

mortuum); ciò sarebbe potuto non accadere, se l‘uomo non avesse peccato.258

Il nostro corpo naturale è diverso da quello di Adamo perché il nostro corpo

non può sfuggire alla morte, mentre quello di Adamo poteva evitarla. Infatti, il

corpo di Adamo sarebbe stato trasformato in corpo spirituale.259

Il corpo non era

perfetto perché si sarebbe dovuto tramutare.

Agostino, inoltre, ipotizza una trasformazione intermedia, nel caso fosse

stato necessario che i genitori cedessero il posto ai figli, di passare a una vita

migliore non più attraverso la morte ma in virtù di un cambiamento; il che, in un

certo senso comporta l‘abbandono del corpo naturale, ossia la morte. Questo

mutamento in uno stato migliore, secondo lui, sarebbe potuto essere quello finale,

oppure sarebbe stato un diverso mutamento, di poco inferiore a quello della

risurrezione.260

Questa trasformazione intermedia potrebbe somigliare al

―rapimento‖ di Elia, che non avvenne attraverso la morte (cf. 2Re. 2, 11). Di

conseguenza Elia è già in uno stato migliore rispetto a quello nostro o di Adamo,

incorruttibile. Lo stesso si deve dire per quanto riguarda la natura mortale, che non si

trasforma in immortale, ma riveste l‘immortalità‖ (com. Io. 13, 61, SC 222, pp. 266-268). La

carne e le ossa per propria natura non sono incorruttibili e non possono diventare tali. Quello

che per Origene conta è la configurazione della natura. Quello che è in sé, la sostanza, lo

strato sottostante che fa esistere. Così era stato insegnato ad Origene dalla filosofia stoica

(cf. C. NOCE, Vestis varia, pp. 205-206). Una natura non si può cambiare ma solamente

modificare. Però la Noce non ha notato che Origene abbandonò questa posizione,

avvicinandosi a quella sostenuta in seguito da Agostino. Difatti, Origene affermò che la

carne di Cristo si ricoprì di una nuova qualità voluta dal Creatore: la natura mortale è stata

mutata in una qualità eterea, divina che è in sintonia con le teorie dei fisici greci, che

sostengono, come afferma Origene, che la materia non ha qualità definitive ma le cambia

secondo la volontà del Creatore (Cels. 3, 41-42, GCS I, pp. 237-238. Contra Celsum infatti

viene scritto 2-3 anni prima che l‘autore finisse in prigione). La Prinzivalli è stata più attenta

osservando che in questo caso difficilmente si può verificare l‘identità fisica tra il corpo

risorto e quello terreno, perché essi sono forniti di una fisicità dissonante (cf. E.

PRINZIVALLI, Aspetti esegetico-dottrinali del dibattito nel IV secolo sulle tesi origeniane in

materia escatologica, in Annali di storia dell‟Esegesi 12/2 (1995) 279-325, in particolare

pp. 296-297). 258 Gn. litt. 6, 25, 36. 259 Gn. litt. 6, 26, 37. 260 Gn. litt. 9, 6, 10.

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80 Z. DJUROVIC

sebbene non possegga ancora lo stato in cui sarà alla fine del mondo. Un altro

esempio è Enoch, che era anzi sposato (questo fatto è messo in rilievo da Agostino

che vuole applicarlo alla prima coppia), e non morì ma fu preso e portato in un

altro soggiorno (cf. Gen. 5, 24). È ancora più verosimile che sarebbe stato concesso

ai primi uomini d‘esser trasferiti in una vita migliore e di lì, alla fine del mondo,

essere cambiati in una condizione più felice (come quella degli angeli), non

attraverso la morte ma grazie alla potenza di Dio.261

In ultima analisi sembra che Agostino non vedesse nello stato originario la

vera condizione dell‘essere umano, ma in quello futuro, escatologico. Di nuovo

dobbiamo notare che Agostino si allontana dalla sua posizione giovanile quando

afferma che Adamo in paradiso era già spirituale.262

La lettura medievale, mettendo

in evidenza le descrizioni agostiniane di un paradiso quasi da favola, ha imposto

una prospettiva contraria rispetto a quella fin qui proposta. Per questa ragione,

ancora oggi alcuni studiosi criticano aspramente le riflessioni di Agostino sulla

condizione originaria dell‘uomo come un racconto fiabesco, una conseguenza

dell‘ideale stoico del sapiens263

e danno la preferenza alla ―più realistica‖ visione

antiochena. Tuttavia, sulla base delle testimonianze qui riportate, non esiste, come

se fosse uno dei punti fondamentali della teologia agostiniana, la perfezione

immediata del primo uomo creato, quel che si chiama, in teologia, la teoria della

perfezione adamitica. Il noto teologo greco Ioannis Romanidis sbaglia gravemente

quando ascrive ad Agostino la dottrina secondo la quale l‘uomo fu creato come un

essere perfetto e completamente beato.264

L‘opinione di Romanidis è in aperto

contrasto con i testi agostiniani che ho esaminato. Egli afferma che, secondo la

sana dottrina degli ortodossi, Adamo fu creato come relativamente perfetto e la

261 Gn. litt. 9, 6, 11. Qui Agostino sta molto vicino al ragionamento espresso in

presunta opera di RUFINO IL SIRO, fide. 30, PL 21, 1139bc: ―Probatum est sufficienter, ut

reor, hominem secundum carnem creatum esse mortalem, aperte Domino docente, mortales

esse eos qui coitu tali nuptiisque laetantur. Unde Enoch qui placuit Deo, postquam diversis

ex uxoribus liberos procreavit, translatus est, ut mortem penitus non videret... nam ante

translationem Deo placuisse perhibetur. Sic igitur possumus dicere etiam de Adam et Eva,

quod si praeceptum Dei mandatumque servassent, etiam post liberorum procreationem,

gustato ligno vitae, immortales jugiter permansissent, non egentes in posterum victus, et

incrementi vel nuptiarum‖. 262 Gn. c. man. 2, 8, 10. 263 A.-M. DUBARLE, Il peccato originale. Prospetive teologiche, Bologna 1984, pp.

36-37. 264

J. ROMANIDIS, Il peccato dei progenitori, pp. 232-233.

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INIZIO E FINE 81

mette in contrasto con l‘insegnamento di Agostino. Da dove abbia tratto tali

conclusioni non saprei dirlo.265

I critici potrebbero aver ragione qualora si riferiscano all‘iniziale visione

agostiniana. Il più importante concetto soteriologico del primo Agostino è

―ritorno‖ (reditus, recursus), ―rinnovamento‖ (reformatio, renovatio). Le creature

intellettuali ritornano al punto di partenza,266

si restituiscono a se stesse.267

L‘uomo, dunque, viene rinnovato alla ―perfezione con cui era stato creato a

immagine di Dio‖.268

In questa sede vorrei attirare l‘attenzione sul recente studio di Fredrick Van

Fleteren.269

Riguardo al corpo spirituale, nota cinque distinti periodi nel pensiero di

Agostino: 1) Cassiciaco-Milano (386-387); 2) Roma-Tagaste-Ippona (388-392); 3)

Ippona (393-396); 4) Ippona (397-426) e 5) Ippona (426-430).270

Vediamo ora

alcuni punti della sua ricerca.

Nel primo periodo la soteriologia agostiniana verte sul concetto

dell‘immortalità dell‘anima. Non esisterebbe alcuna idea della risurrezione, perché

il manicheismo non aveva tale dottrina, e dall‘altro lato, la rinascita viene

concepita secondo i libri Platonicorum. La salvezza consisterebbe nella liberazione

del corpo (omne corpus fugiendum), e in conseguenza il saggio la può raggiungere

ancora in questa vita, perché le condizioni del corpo sono indifferenti.271

Nel secondo periodo Agostino introduce la contrapposizione paolina (1Cor.

15, 22) tra Adamo in cui l‘umanità muore e Cristo in cui risorge, ma allo stesso

tempo continua a seguire la matrice porfirina mettendo la risurrezione nel contesto

dell‘ascesa dell‘anima. La novità è che incomincia a parlare della rinascita del

corpo, ma nulla dice sulla sua natura, aggiungendo soltanto che esso torna alla

precedente condizione (pristinae stabilitati) paradisiaca.272

265 Si trovano tantissimi errori nel libro di Romanidis. Per esempio, egli afferma che

nella Chiesa cattolica non si praticano esorcismi (p. 102); poi, pur mettendo sempre Giovani

Crisostomo ad un livello teologico molto più elevato rispetto ad Agostino, dice che Agostino

fondò la sua dottrina del peccato originale addirittura sull‘insegnamento del Crisostomo (p.

252)! Sarebbe lungo enumerare simili letture di quest‘autore. 266 mor. 2, 7, 9. 267 quant. an. 28, 55. Gli altri riferimenti del genere: c. acad. 1, 1, 1; 2, 1, 2; 2, 2, 5;

2, 9, 22; beata v. 4, 36; ord. 1, 2; sol. 1, 1, 5. Per non prolungare, finisco con una citazione:

―Liberati dall‘ombra del tuo essere fisico, ritorna in te stesso‖ (sol. 2, 19, 33). 268 Gn. c. man. 1, 18, 29. 269 Augustine and Corpus Spirituale, AugStud 38.2 (2007) 333-352. 270 FLETEREN, Augustine, p. 335. 271 FLETEREN, Augustine, pp. 335-336. 272 FLETEREN, Augustine, pp. 337-340. In proposito riporto un testo di Agostino:

―Inde iam erit consequens ut post mortem corporalem, quam debemus primo peccato,

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82 Z. DJUROVIC

Nel secondo periodo Agostino non cambia ancora l‘idea che la visione e la

beatitudine si possono ottenere in questa vita; la carne non può nuocere all‘uomo

sub gratia. L‘uomo possederà un corpo spirituale, immortale ma non sprovvisto di

carne e di sangue, come testimoniano, secondo Van Fleteren, Contra Adimantum e

De fide et symbolo. Nell‘anno 394, a Cartagine, scrivendo Expositio quarumdam

propositionum ex epistola ad Romanos, per la prima volta dice che anche l‘uomo

sub gratia soffre l‘ostinazione forte da parte della carne, e che soltanto nella quarta

stagione, dopo la risurrezione, godrà della pace. Il corpo sarà angelico, etereo,

celeste, avrà le membra nella forma umana, ma il corpo del Cristo risorto non è

ancora il paradigma della risurrezione finale. Nel agon. il corpo risorto ancora non

possiede carne, ossa e sangue.273

Soltanto con il c. Faust. risorgono carne e ossa.274

Se il ripristino alla condizione originaria è il concetto chiave per la

soteriologia del primo Agostino, Van Fleteren conferma persino la tesi forte di

O‘Connell sulla caduta dell‘anima. Egli infatti afferma che per Agostino degli anni

386-387 la salvezza è ristretta alla sola anima. Secondo me l‘argumentum ex

silentio non significa che Agostino non era a conoscenza della credenza cristiana

nella risurrezione: ciò è assolutamente improbabile perché gli stessi manichei nelle

dispute si opponevano a questa dottrina, ma preferibilmente che Agostino univa

insieme la soteriologia cristiana con le dottrine neoplatoniche.

* * *

Trovo doveroso fare qualche osservazione per quanto riguarda i due testi

agostiniani che sono stati riportati spesso in questa analisi: Gn. c. man. 2, 8, 10 e

Gn. litt. 6, 20, 31. Per maggior chiarezza aggiungo anche civ. 13, 23, 3.275

Dunque:

tempore suo atque ordine suo hoc corpus restituatur pristinae stabilitati, quam non per se

habebit, sed per animam stabilitam in Deo‖ (vera rel. 12, 25). 273 FLETEREN, Augustine, pp. 340-344. 274 FLETEREN, Augustine, pp. 344-345. 275 A) Gn. c. man. 2, 8, 10: ―Nondum tamen spiritalem hominem debemus

intellegere, qui factus est in animam viventem, sed adhuc animalem. Tunc enim spiritalis

effectus est, cum in paradiso, hoc est in beata vita constitutus, praeceptum etiam perfectionis

accepit, ut verbo Dei consummaretur‖.

B) Gn. litt. 6, 20, 31: ―putaverunt prius quidem hominem fuisse corporis animalis;

sed dum in paradiso constitutus est, eum fuisse mutatum, sicut nos quoque resurrectione

mutabimur‖.

C) civ. 13, 23, 3: ―Non enim existimandum est eum prius, quam peccasset, spiritale

corpus habuisse et peccati merito in animale mutatum. Ut enim hoc putetur, parum

attenduntur tanti verba doctoris, qui ait: Si est corpus animale, est et spiritale; sicut scriptum

est: Factus est primus homo Adam in animam viventem (1Cor. 15, 44-45). Numquid hoc

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INIZIO E FINE 83

A) Gn. c. man. 2, 8, 10 afferma che Adamo aveva un corpo animale, che

divenne spirituale quando egli fu collocato nel paradiso.

B) Gn. litt. 6, 20, 31 ripete questa affermazione negando però (Gn. litt. 6,

21, 32-24, 35) che Adamo fu trasformato in un essere spirituale dopo l‘entrata nel

paradiso.

C) civ. 13, 23, 3 afferma che Adamo non aveva il corpo spirituale mutato in

animale per colpa del peccato.

Tutte e tre tesi hanno in comune la domanda: Adamo aveva un corpo

spirituale? La A permette ciò, la B e la C lo negano. Dunque, le tre ipotesi

sostengono che il corpo di Adamo inizialmente fu naturale. Le tesi A e B parlano

della creazione articolata in due momenti: 1) creazione del corpo animale, 2)

trasformazione di questo corpo in spirituale con il collocamento nel paradiso.

L‘espressione effectus est (A) corrisponde a muto (B): l‘uomo naturale diventa

spirituale.

Tuttavia, l‘ipotesi A-B non è un‘escogitazione di Agostino ma è

un‘opinione assunta. Questa proviene dall‘interpretazione di 1Cor. 15, 44-45 che è

riportata in tutti e tre testi. Lo stesso Agostino si rammaricherà perché non ha

inteso esattamente il senso di 1Cor. 15, 44-45 quando scrisse Gn. c. man. 2, 8,

10.276

Invece, nelle tesi B e C, egli afferma che alcuni dei commentatori non

intendono bene la 1Cor. 15, 44-45. Per questa ragione ho ritenuto che la tesi A era

un po‘ campata in aria e non coincideva bene con il pensiero del nostro giovane

autore. Ciò nonostante, gli poteva andare bene l‘idea che un essere spirituale sia

caduto in un corpo terreno.277

Rimane comunque inspiegabile o superfluo (novacula Occami) il primo atto

creativo dove Dio porta ad esistenza un animale che in seguito diventi spirituale, e,

infine, di nuovo animale. Non saprei indicare gli scrittori che Agostino aveva letto.

La teoria della caduta di un essere spirituale richiamerebbe l‘ambito alessandrino,

ma qui ci manca l‘inizio dalla posizione animale; piuttosto vale il contrario, come

trapela pure dalla C. Che si tratti di una ben precisa lettura, lo prova il ripetuto

richiamo di Agostino all‘interpretazione della 1Cor. 15, 44-45 di questi autori, ma i

loro testi, come risulta dalle mie indagini, non esistono. Questa è la prima opzione.

post peccatum factum est, cum sit ista hominis prima conditio, de qua beatissimus Paulus ad

corpus animale monstrandum hoc testimonium legis assumpsit?‖. 276 Cf. retr. 1, 10, 3. 277 Per questo ritengo che l‘interpretazione di Cipriani, che qui si tratti di una

convinzione e non soltanto di un‘ipotesi, cioè che Agostino parlava della creazione in un

primo momento del corpo materiale che dopo diventa spirituale, sia legittima (cf. n. 160).

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84 Z. DJUROVIC

L‘altra possibilità – anche se la ritengo meno probabile – è che Agostino

abbia identificato spirituale con immortale, un procedimento attestato dai testi dei

diversi autori che seguono il binomio paolino: corpo animale (corruttibile), corpo

spirituale (incorruttibile).278

In tale caso troveremmo gli autori che sostenevano la

creazione dell‘uomo naturale che più tardi diventa spirituale/immortale. Per

esempio, Teofilo di Alessandria, nella Lettera pasquale 96, c.18, dell‘anno 401.,

trascritta e diffusa da Girolamo tratta della creazione di Adamo animale che dopo

l‘insufflazione dello spirito di vita diventa anima vivente, id est, immortalem.279

L‘esempio più convincente, ma sempre non determinante, lo troviamo in

Ambrogio:

Vedi dunque che è preso colui che [Adamo animale] già esisteva; era infatti

nella terra in cui era stato plasmato. Lo prese dunque la potenza divina,

infondendogli sviluppo e crescita di virtù umana. Quindi lo pose nel

paradiso: questo perché si comprenda che l‘uomo è stato preso e come

ispirato dalla potenza divina (adprehendit ergo eum uirtus dei inspirans lo

processus et incrementa uirtutis. denique in paradiso eum conlocauit, ut

scias adprehensum quasi adflatum diuina esse uirtute).280

Sì, il testo ambrosiano parla dell‘uomo terreno che con collocamento nel

paradiso viene investito dalla potenza di Dio; ideologicamente rispecchia il

rapporto di Agostino, ma vi manca una concordanza indiscutibile.

1. 2. Il rapporto tra Dio e Adamo nel paradiso

Nella sua fase matura, Agostino difficilmente poteva accettare un paradiso

concepito solo in senso traslato, e non anche come figura di un‘altra realtà.281

Così

come l‘albero della vita era reale ma anche simbolo della sapienza, ossia indicava

che per mezzo di esso l‘uomo partecipava alla vita della vera Sapienza. Il corpo

animale non era abbandonato a se stesso ma era rinvigorito dal frutto dell‘albero

278 ORIGENE, princ. 2, 10, 1, GCS V, p. 175: ―E se è vero che i corpi risorgono, e

risorgono spirituali, non c‘è dubbio che essi risorgono dalla morte avendo deposto

corruttibilità e mortalità: altrimenti sarebbe vano che uno risorga dalla morte per morire una

seconda volta‖. Anche Ambrogio dichiara che il corpo spirituale è incorruttibile (cf. exp. Ev.

Lc. 4, 12, CSEL 32/4, p. 145). Cf. anche METODIO, res. 6, JAHN, pp. 66-67; RUFINO, apol. 1,

7, PL 21, 546b; AMBROSIASTER, comm. in Corint. I, PL 17, 269bc. 279 PL 22, 788. 280 parad. 3, 4, 24, CSEL 32/1, p. 280. 281 Gn. litt. 8, 5, 10.

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INIZIO E FINE 85

della vita. Esso forniva il corpo di una sanità duratura, grazie ad un influsso

misterioso che lo conservava sano.282

Dunque, il mantenimento delle forze umane

non era dovuto semplicemente al cibo materiale, perché questo non potrebbe tenere

saldo un corpo naturale. Nello stesso modo l‘agricoltura è considerata in senso

figurativo: l‘uomo che non era ancora costretto ad un lavoro servile era felice

meditando sui valori spirituali.283

In realtà Dio lavorava e conservava l‘uomo in

persona (ipsum hominem operaretur Deus et custodiret):

Poiché, allo stesso modo che l‘uomo coltiva la terra non per far sì che sia

terra, ma per renderla con il suo lavoro tale da portar frutto, così Dio in un

modo più efficace coltiva l‘uomo, creato da lui stesso, perché possa essere

reso giusto, purché non si allontani da lui per superbia... Dio è il Bene

immutabile, l‘uomo al contrario è un essere mutevole non solo quanto

all‘anima ma anche quanto al corpo (Deus est incommutabile bonum, homo

autem et secundum animam et secundum corpus mutabilis res est); egli

quindi non può essere formato per essere giusto e felice se non si volgerà e

resterà stretto al Bene immutabile che è Dio.284

Non è infatti Dio che ha bisogno del lavoro umano, ma è l‘uomo che ha

bisogno della sua sovranità, affinché Egli lo coltivi e lo custodisca.285

Qui siamo nel cuore del pensiero agostiniano: non solo la conoscenza

umana è legata alla partecipazione al divino ma anche tutti gli altri elementi

282 Gn. litt. 8, 5, 11. A questo proposito Agostino scrive (Gn. litt. 11, 32, 42) che la

mortalità fu introdotta con la trasgressione. I progenitori ―persero la loro condizione

privilegiata conservata anche grazie al nutrimento dell‘albero della vita, che avrebbe potuto

preservarli dalle malattie e dal processo d‘invecchiamento. Nel loro corpo infatti – sebbene

fosse ancora un corpo naturale ma destinato a trasformarsi in seguito in uno stato più

perfetto – tuttavia nell‘alimento dell‘albero della vita veniva già simboleggiato il mistero

che si attua negli angeli grazie al nutrimento spirituale fornito dalla Sapienza. L‘albero della

vita era infatti il simbolo di quel nutrimento che nutre gli angeli e mediante la loro

partecipazione all‘eternità li preserva dalla corruzione‖. Quindi, neanche gli angeli sono

immortali secondo la loro natura. 283 Gn. litt. 8, 9, 18. 284 Gn. litt. 8, 10, 23. 285 Gn. litt. 8, 11, 24. ―È dunque Dio – che è immutabilmente buono – colui che

colloca e custodisce l‘uomo per renderlo e conservarlo buono. Da lui noi dobbiamo essere

continuamente fatti e continuamente resi perfetti, restando uniti a lui e rivolti verso di lui,

del quale la Scrittura dice: Bene è per me restare unito a Dio (Sal. 58, 10), e al quale viene

detto: Io conserverò la mia forza rivolto verso di te (Ef. 2, 10). Prese dunque Dio l‟uomo da

lui creato e lo mise nel paradiso per lavorarlo – cioè perché lavorasse in esso – e

custodirlo‖ (Gn. litt. 8, 12, 27).

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86 Z. DJUROVIC

dell‘essere umano sono radicati in questo modello verticale. Agostino si muove

nelle contrapposizioni: creato-increato; pieno-vuoto, essere-non-essere;

indipendente-dipendente ecc. Dio è pienezza dell‘essere, è perfetto, integro. Egli

non si muove: è immutabile. L‘ente che si debba auto-riconoscere trova se stesso

nel riflesso che brilla dal volto divino. Si riconosce nell‘Altro. Per questo, fin

dall‘inizio era necessario che l‘uomo si nutrisse dall‘albero della vita.286

Ė vero che

l‘uomo poteva ―durare‖ o esistere come una pietra, ma esistere come un essere

consapevole senza volgersi a Dio non era possibile. Anche le sue azioni indicano

un‘interazione personale: il movimento dall‘uno è riconosciuto nell‘altro. Per

questa ragione l‘azione umana non può essere valutata in se stessa, cioè avere un

valore indipendente. Ma essa, come movimento verso l‘esterno, verso l‘Altro, deve

necessariamente avere la sua eco: fuori di se stessa viene confermata. A questo

proposito Agostino scrive:

L‘uomo non è un essere costituito in modo che, una volta creato, possa

compiere alcuna buona azione come se potesse farla da se stesso (ex seipso),

qualora venisse abbandonato dal suo Creatore. Tutta la sua azione buona

consiste invece nel volgersi verso il proprio Creatore e per opera di lui

divenire giusto, pio, saggio e sempre felice... L‘uomo dunque non deve

volgersi a Dio in modo che, una volta reso giusto, se ne allontani, ma in

modo da ricevere sempre la giustificazione da lui. Poiché proprio per il fatto

che non si allontana da Dio che non cessa di coltivarlo e custodirlo, viene

giustificato da lui che gli è presente, viene illuminato e reso felice finché

286 La chiave di comprensione del pensiero di Agostino sarebbe nella differenza

ontologica che egli fece tra il Creatore e la creatura. La natura divina è completa, al

contrario, quella della creatura è incompleta. L‘ordine richiede che le creature essendo

incomplete siano completate dall‘essere completo. Dio voleva, come pensa Agostino, che le

creature imperfette sarebbero state più perfette se fossero unite a Lui, essere perfettissimo,

ma esse anteponendosi a lui, scelsero di essere meno perfette. ―Questo è l‘iniziale

disfacimento, l‘iniziale impoverimento, l‘iniziale imperfezione di quell‘essere che non fu

creato per essere perfettissimo ma per beatificarsi nell‘essere perfettissimo e così ottenere la

felicità. Essendosi da lui distolto, non ha cessato di essere, ma è regredito nella perfezione e

per questo è divenuto infelice‖ (civ. 12, 6). Dunque, per la creatura l‘imperfezione è non

unirsi a Dio. ―Ma l‘imperfezione danneggia l‘essere e perciò si oppone all‘essere. Quindi

quello che non è unito a Dio differisce da quello che gli è unito non nell‘essere ma a causa

dell‘imperfezione... Allo stesso modo quando si dice che imperfezione della creatura

angelica è il non essere unita a Dio, si dichiara apertamente che l‘essere uniti a Dio è

formale al suo essere‖ (civ. 12, 3).

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INIZIO E FINE 87

resta ubbidiente e sottomesso ai suoi precetti (eius sibi praesentia iustificatur,

et illuminatur, et beatificatur, operante et custodiente Deo).287

Il linguaggio di Agostino, oggi come ieri, potrebbe creare problemi di

comprensione: egli si serve di termini tecnici del diritto, che tuttavia possono

essere trasformati in ogni altro linguaggio. Inoltre non si devono ignorare altri

concetti che Agostino ripetutamente propone: l‘uomo è giustificato, ma pure

illuminato e beatificato. Ritengo che letture come quella di Baio non hanno in

Agostino alcun fondamento effettivo.288

Ho già messo in evidenza l‘importanza

della teoria della partecipazione in Agostino. Questa lettura potrebbe sembrare

stravagante, ma penso che tale impressione derivi da un approccio prevalentemente

―essenzialistico‖ della teologia occidentale dal XII secolo in poi. Di conseguenza,

ora si dubita della proposta di leggere i testi di Agostino in ottica

―personalistica‖.289

Per esempio, egli suggerisce che il rapporto con Dio era

stabilito dall‘interazione volontaria, in altre parole, dai due esseri coscienti:

287 Gn. litt. 8, 12, 25. 288 Agostino spesso sottolinea l‘idea di gratuità della grazia. La grazia non viene data

in ricompensa alle opere, ma viene conferita gratuitamente. I concetti di merito o di

ricompensa non sono compatibili con la nozione stessa di ―grazia‖. Innumerevoli volte

Agostino torna a ripetere le parole dell‘Apostolo Paolo: ma se è per grazia, allora non è per

le opere; altrimenti la grazia non è più grazia. Neanche la primitiva giustizia di Adamo era

autonoma, come scrive V. Grossi: ―Tuttavia, secondo s. Agostino, la vita eterna per Adamo,

se avesse perseverato, sarebbe stata ricompensa di merito; mentre a noi, redenti da Cristo, è

data per grazia. La vita eterna quindi, secondo Agostino, prima del peccato originale era

merces e non grazia, secondo la conclusione di Baio… In relazione al libero arbitrio

d‘Adamo che era sano, la vita eterna era merito. Ma in nessuno stato dell‘uomo, si può

meritare la vita eterna, senza la grazia… il Bellarmino infine, nella questione del merito per

la vita eterna, intuisce bene il principio di s. Agostino, che senza la grazia non esiste merito

buono per la vita eterna, sia prima che dopo il peccato originale‖ (Cf. V. GROSSI, Baio e

Bellarmino interpreti di s. Agostino nelle questioni del soprannaturale, SEA 3 (1968), pp.

223-226). 289 Tra i primi che cambiarono il procedimento in questo senso fu P. HENRY,

Augustine on Personality, SAugLS 1959. Quanto poco valeva la semplice esistenza, quella

secondo natura, non qualificata, non personale, l‘illustrano le seguenti frasi di Agostino:

―Chi invece, a motivo della beatitudine sempiterna e della pace perpetua promessa ai santi

dopo questa vita, ha intenzione di diventare cristiano, per non andare nel fuoco eterno con il

diavolo, ma per entrare nel regno eterno con Cristo, questi è realmente cristiano. Chi inoltre

col progredire giunga a possedere una tale disposizione d‘animo tanto da avere un amore per

Dio più grande del timore della gehenna, se anche Dio gli dicesse: Godi per sempre dei

piaceri della carne e pecca quanto puoi; non morrai, né sarai mandato nella gehenna, ma

semplicemente non sarai con me, rabbrividirebbe e si asterrebbe del tutto dal commettere

peccato, non già per non incorrere in ciò che temeva, ma per non offendere Colui che egli

tanto ama‖ (cat. rud. 17, 27).

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Così l‘uomo viene illuminato da Dio se Dio è presente a lui ma, se Dio è

assente, piomba subito nelle tenebre. Da Dio però ci si allontana non a causa

di distanze spaziali tra noi e lui, ma a causa dell‘avversione della volontà

umana che si volge via da lui.290

In questa sede vorrei mettere in rilievo un altro cambiamento operato da

Agostino rispetto alla sua prima elaborazione dell‘idea della partecipazione. In un

primo tempo egli parlava della comunicazione interiore tra Dio e Adamo. Si tratta

dell‘illuminazione della mente. Ma, in questo modo, Adamo sarebbe già deificato.

Se la mente umana fosse stata partecipe della mente divina, sarebbe stata

indissolubilmente unita con essa. Intuendo tale pericolo, il nostro autore ora

ridiscute l‘affermazione precedente: irrigabat eam fonte interiore, loquens in

intellectum eius.291

Richiamandosi a questa frase Agostino ricomincia con una

domanda:

290 Gn. litt. 8, 12, 26. 291 Gn. c. man. 2, 4, 5. L‘anima primordiale abita in paradiso, cioè in voluptate, in

gaudio (Gn. c. man. 2, 9, 12). La sua letizia è immediata, completa. Non c‘è nulla di

intermediario tra essa e Dio, essa è infatti l‘unica mediatrice. Essa è pensiero, l‘immagine di

Dio pensante. Pensiero e pensiero combaciano perfettamente. La sorgente interiore irrigava

la sua creatura invisibile (invisibilem creaturam); essa riceveva le parole dall‘acqua

sgorgante dalla sua propria sorgente, ossia dall‘intimità del proprio spirito (loquens in

intellectum eius). Non aveva bisogno di una parola pronunciata, o scritta, o del Vangelo, o

dell‘insomatizzazione della Sapienza. Le nubi (Gn. c. man. 2, 4, 5) sono spazialmente divise

dalla terra e la pioggia impiega tempo per arrivare alla superficie. Il pensiero, essendo

immateriale arriva subito a destinazione. La primordiale comunicazione si potrebbe

esprimere con il termine moderno di intuizione. Per conseguenza, il mondo sensibile non

aiuta in nulla l‘anima per la sua interazione con Dio. Il mondo sensibile può contribuire alla

contemplazione delle idee divine da parte dell‘anima soltanto nel caso dell‘uomo decaduto.

L‘anima ormai è accecata e sorda; ha bisogno di vedere la bontà del primo bene riflesso

nelle creature corporali e di sentire la voce di Dio per bocca di un profeta.

Ivi si riavvisa il pericolo di quello che JOHN D. ZIZIOULAS chiama the monist

ontology o ―l‘ontologia chiusa‖ che è conseguenza di una visione di Dio poco

individualizzante. Cf. il suo studio fondamentale: Being as Communion: Studies in

Personhood and the Church, NY 1985, pp. 67-78. Anche se il primo Agostino insiste che il

bene dell‘uomo e il vero uomo siano situati nella sua razionalità, e in tale modo ci trascina

quasi inevitabilmente nell‘individualismo, o solipsismo, come direbbe Zizioulas, dobbiamo

prendere atto che Agostino non identificava decisivamente l‘uomo con ratio; scriveva,

infatti: ―È certamente arduo problema quello del giovamento che ricevono i bimbi della

prima infanzia con l‘uso dei sacramenti. Per fede si deve ammettere che se ne ha un certo

giovamento. La ragione lo troverà, quando si renderà indispensabile la ricerca‖ (ord. 2, 36,

80).

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Forse Dio parlò all‘uomo nell‘intimo dell‘anima sua, in un modo confacente

alla sua intelligenza (in mente secundum intellectum), in modo cioè che

l‘uomo capisse con la sua sapienza la volontà e il comando di Dio, senza

bisogno d‘alcun suono fisico o d‘alcuna immagine di realtà fisiche? Ma io

non credo, risponde immediatamente Agostino, che Dio parlasse così al

primo uomo, poiché il racconto della Scrittura ha tali caratteristiche da

indurci a credere piuttosto che Dio parlò all‘uomo come anche in seguito

parlò ai Patriarchi, ad Abramo, a Mosè, vale a dire prendendo un aspetto

corporeo (in aliqua specie corporali). Ecco perché i progenitori udirono la

voce di Dio che verso sera passeggiava nel paradiso e si nascosero.292

Dio comunica con gli esseri razionali in due modi: 1) mediante la propria

sostanza, 2) mediante una creatura. Mediante la propria sostanza parla alle nature

spirituali e intelligenti per illuminarle: gli esseri spirituali sono capaci d‘intendere

la sua parola che è nel Verbo. Agli altri esseri parla mediante una creatura sia

materiale sia spirituale.293

In questo modo Egli parlò ai progenitori, e nessuno, che

è nella fede cattolica – afferma Agostino – può dubitare di ciò.294

Questo

cambiamento del pensiero agostiniano non è stato condizionato soltanto da una

nuova lettura della Scrittura, ma anche da una visione filosofica radicalmente

cambiata. Agostino in fondo abbandonò il procedimento platonico.

L‘illuminazione interiore comporterebbe l‘unità, che non potrà mai essere

compromessa. Questa unione è riservata alla fine: non si trova all‘inizio. Il

rapporto tra Dio e i nostri progenitori, come con tutti gli altri uomini, era fin

dall‘inizio mediato. Quindi, tra Dio e l‘uomo c‘è qualcosa che li divide. Il terzo

elemento indica, senza ombra di dubbio, che tra loro non esisteva l‘unione.

L‘uomo era ―fuori‖ di Dio, anche se non in senso assoluto.295

Questo spiega bene

come la caduta dell‘uomo fosse possibile.

Per conoscere in breve le obiezioni da parte dei teologi ortodossi (ma sopratutto

mosse al primo Agostino, e non riconosciute come tali!), si veda il riassunto di G. E.

DEMACOPOULOS & A. PAPANIKOLAOU, Augustine and the Ortodox: „The West‟ in the East, in

Orthodox Readings. 292 Gn. litt. 8, 18, 37. 293 Gn. litt. 8, 27, 49. 294 Gn. litt. 8, 27, 50. 295 Riporto un brano (Gn. litt. 11, 33, 43) da cui si può evidenziare come il pensiero

di Agostino passi attraverso diversi percorsi: ―Iddio era forse solito in precedenza

conversare con loro [Adamo ed Eva] interiormente in modi esprimibili o piuttosto

inesprimibili, come parla anche agli angeli illuminando le loro menti con la sua verità

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90 Z. DJUROVIC

1. 3. La caduta degli esseri intellettuali

Ora resta da esaminare un‘altra caduta, quella dell‘angelo, che comporta

forse problemi più gravi, perché l‘angelo appartiene alla classe degli esseri

razionali che dovrebbero godere della beatitudine completa, cioè non mediata.

Può sembrare strano che Agostino in primo luogo non si chieda cosa avesse

causato la caduta degli angeli, ma indaga quando avvenne la caduta: se all‘origine

stesso del mondo, ossia all‘inizio del tempo, o dopo qualche tempo, mentre gli

angeli ribelli erano ancora nella comunità degli angeli beati. Al perché si risponde

abbastanza facilmente, e su questo punto Agostino corregge la tesi (che già

abbiamo visto sopra) che il diavolo sia precipitato dal cielo a causa dell‘invidia nei

confronti dell‘uomo.296

L‘invidia è conseguenza della superbia, non la precede. La

superbia è l‘amore della propria eccellenza, ―amore egoistico‖, a causa del quale si

cerca il bene individuale e non quello comune. Perciò l‘amore perverso di se stessi

impedisce la comunione. L‘invidia invece è l‘odio della felicità altrui, e ha origine

nella superbia.297

Rimane da rispondere alla domanda più difficile: quando avvenne

esattamente la caduta del demonio? Agostino ritiene probabile che questa caduta

sia avvenuta all‘inizio della creazione:

Si può anche supporre non senza fondamento che il diavolo cadde a causa

della superbia all‘origine del tempo (ab initio temporis diabolum superbia

cecidisse) e che prima non ci fu alcun tempo in cui visse tranquillo e felice

immutabile, in cui la loro intelligenza conosce simultaneamente tutto ciò che avviene non

simultaneamente nel corso del tempo. Forse, dico, Dio parlava con loro allo stesso modo,

sebbene non partecipassero della Sapienza divina nella stessa misura che la partecipano gli

angeli, ma tuttavia nella misura consentita all‘uomo e in proporzione, quanto si voglia

minore ma sempre nella stessa maniera, Dio li visitava e conversava con loro‖. 296 Ireneo racconta dell‘angelo che, provando invidia perché l‘uomo era oggetto di

gratificazioni straordinarie, decise di sedurlo (demonstr. 16, SC 406, p. 104). In tal modo

coincidono la caduta dell‘angelo e quella dell‘uomo. Alcuni degli autori cristiani che

affermavano che la caduta dell‘angelo si deve all‘invidia sono: TERTULLIANO, patient. 5, 5-

6, PL 1, 1367; CIPRIANO, zelo. 4, PL 4, 641a; METODIO, res. 17, JAHN, p. 73; ZENONE, tract.

C, 16, 12, PL 11, 384a; AMBROGIO, parad. 12, 54, CSEL 32/1, p. 311; RUFINO IL SIRO, fide.

22, PL 21, 1139bc. Questi testi vengono ispirati da Sap. 2, 24: inuidia diaboli mors introiuit

in orbem terrarum. 297 Gn. litt. 11, 14, 18; 15, 19.

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INIZIO E FINE 91

con gli angeli santi ma che si allontanò dal suo Creatore fin dall‘inizio della

sua creazione.298

Il problema è il seguente: l‘angelo godeva più o meno dell‘unione con Dio?

Se ne godeva, di conseguenza avrebbe dovuto esserne felice. Ma come potrebbe

esser felice un essere che non ha la sicurezza della sua stessa felicità? La sicurezza

proviene dalla conoscenza del proprio destino, e questo risulta dalla partecipazione

alla Sapienza divina. In questa comunione spariscono le frontiere temporali. Lo

spirito unito con Dio non ha dubbi o incertezze.299

Per questo, come dice Agostino,

alcuni hanno pensato che il diavolo non appartenesse agli angeli sublimi che sono

al di sopra dei cieli, ma a quelli che furono creati di poco inferiori ai primi e

destinati a funzioni particolari legati al nostro mondo. Gli angeli di questa

categoria avrebbero forse potuto provare attrazione per qualcosa che non è

indirizzato verso Dio, come nel caso del primo uomo.300

Quindi, Agostino propone

che Lucifero sia caduto immediatamente dopo essere stato creato301

perché non

vuol classificare gli angeli in gerarchie alte e basse, negando che le schiere

angeliche siano divise in classi, come invece avevano fatto i neoplatonici e i

298 Gn. litt. 11, 16, 21. 299 Discutendo quattro ipotesi sulla caduta degli angeli, Agostino afferma che ―nella

beatitudine celeste degli angeli santi non è incerta la loro vita eterna, e questa non sarà

incerta neppure per noi, conforme alla... grazia e alla promessa assolutamente fedele di Dio,

quando saremo uniti a loro dopo la risurrezione e la trasformazione del nostro corpo terreno

(post resurrectionem et istorum mutationem corporum)‖ (Gn. litt. 11, 26, 33).

Agostino, tormentato da tale quesito, si rivolgerà nell‘anno 404 (ep. 73, 3, 7) pure ad

Girolamo chiedendogli l‘opinione: ―Ma c‘è ancora un altro problema di cui non so farmi

alcuna idea chiara: se gli Angeli santi e beati hanno non solo la conoscenza di quel che

ciascuno di loro è attualmente ma pure la prescienza di quel che diverrà, com‘è stato mai

possibile al diavolo essere felice al tempo in cui era ancora buono, se prevedeva la sua colpa

futura e il suo eterno supplizio? Su questo problema vorrei sentire la tua opinione, se pure è

necessario averne un‘idea precisa‖. La risposta purtroppo non arriverà mai. 300 Gn. litt. 11, 17, 22. 301 Gn. litt. 11, 23, 30: ―Non si potrebbe dire che il diavolo cadde fin dalla sua

origine; egli infatti non poteva ‗cadere‘ se fosse stato creato cattivo; egli invece si allontanò

dalla luce della verità subito dopo essere stato creato, poiché era gonfio di superbia e

corrotto, avendo provato compiacimento del proprio potere. Ecco perché non poté godere la

dolcezza della vita beata e angelica, non perché non l‘avesse ricevuta e poi l‘avesse

disdegnata, ma perché se ne allontanò e la perse rifiutando di riceverla. Per questo motivo

non poté avere nemmeno la previsione della propria caduta (proinde nec sui casus praescius

esse potuit), poiché la sapienza è frutto del timore di Dio‖. Ancora in civ. 11, 13 Agostino

mantiene questa tesi, trovando appoggio nel NT, dove si afferma che dall‟inizio il diavolo

pecca (1Gn. 3, 8). Questo non va però interpretato in chiave manichea, come egli

ammonisce, cioè che dall‘inizio ci sono due principi distinti per natura.

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teologi cristiani influenzati da loro.302

Questa tesi sulla caduta immediata

dell‘angelo, e anche la più coerente tra quelle ipotizzabili, viene in seguito rifiutata

dallo stesso Agostino, sempre meno convinto del presupposto platonico che

l‘inizio sia uguale alla fine. Quindi, fin dall‘inizio esiste una distanza incolmabile

tra Dio e le sue creature. Ciò vale tanto per gli angeli quanto per gli uomini.

Di nuovo, Agostino si chiede quale poteva essere la felicità dell‘uomo nel

paradiso. Due sono le possibilità: o l‘uomo era incerto della sua felicità – e allora

come poteva essere veramente felice? – o la sua certezza si fondava su di una falsa

speranza, ed allora egli sarebbe stato stolto, il che è un chiaro segno della

condizione postlapsaria.303

Come soluzione viene proposta la gradazione degli stati

di beatitudine, i quali, nel caso degli angeli, non sono tuttavia accettati come un

modello utilizzabile per lo stesso chiarimento. In tal modo Adamo aveva una vita

felice solo in una certa misura, anche se non poteva prevedere la sua caduta:

Sebbene egli non fosse sicuro, in base a una vana presunzione, d‘una realtà

incerta come uno stolto, ma restando fedele in virtù della speranza, prima di

ottenere la vita in cui sarebbe stato del tutto sicuro della sua stessa vita

eterna, avrebbe potuto rallegrarsi, come dice la Scrittura, con tremore (Sal.

2, 11), e con questa gioia godere nel paradiso di una felicità molto maggiore

di quella che hanno i fedeli servi di Dio quaggiù sulla terra, anche se, in

qualche misura, minore di quella degli angeli santi (beatus esse, modo

quodam inferiore quam in illa vita aeterna) che vivono al di sopra dei cieli

nella vita eterna, ma nondimeno reale.304

Agostino introduce dunque l‘ignoranza non più come conseguenza del

peccato, ma come indicazione dell‘imperfezione, che non ha un valore etico.305

Questa soluzione viene più tardi, in uno tra i suoi magistrali libri, il De correptione

et gratia (426/7), ed è applicata alla caduta del diavolo. Per questa ragione la

discrepanza fra le due diverse soluzioni, proposte nel De Genesi ad litteram, viene

così superata:

302 La distinzione tra gli angeli superiori e inferiori che era sostenuta per es. da

MARIO VITTORINO, in Eph. 1, 21, PL 8, 1249c-1252d, Agostino ne ha rifiutato in retr. 1, 26,

2. 303 Gn. litt. 11, 18, 23. 304 Gn. litt. 11, 18, 24. 305 Nel lib. arb. 3, 71-74 (387/8 391/5) l‘ignoranza, ossia stultitia è vitium, non fa

parte dell‘originaria natura umana. Cf. O‘CONNELL, The Origin of the Soul, pp. 50-52.

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INIZIO E FINE 93

Ma anche il diavolo e i suoi angeli erano beati prima che cadessero, e non

sapevano che sarebbero piombati nella miseria; c‘era tuttavia ancora qualcosa

che poteva essere aggiunta alla loro beatitudine, se per mezzo del libero

arbitrio fossero restati saldi nella verità fino a ricevere quella pienezza della

più alta beatitudine come premio della loro perseveranza. Cioè, dopo aver

avuto dallo Spirito Santo grande abbondanza dell‘amore di Dio, essi non

avrebbero più potuto assolutamente cadere e lo avrebbero saputo con assoluta

certezza. Non avevano questa pienezza della beatitudine, ma poiché

ignoravano la loro futura miseria, godevano di una beatitudine minore, ma

tuttavia senza difetto. Infatti se avessero conosciuto la loro futura caduta e la

condanna eterna, certo non avrebbero potuto essere beati perché il timore di

un male tanto grande li avrebbe ridotti ad essere infelici fin da allora.306

Tutto questo ci fa intendere che Agostino introdusse, per così dire, dalla

porta di servizio l‘idea di evoluzione in luogo della statica visione platonica.307

Lo

schema origeniano-evagriano: sta,sij - ki,nhsj - ge,nesij è lasciato da parte. Da

adesso in poi il primo posto è occupato dalla creazione, seguita dal movimento, che

a sua volta finisce nell‘immutabilità ossia immortalità.

2. L‟escatologia

2. 1. Il paradiso di Paolo

Nel dodicesimo libro del De Genesi ad litteram Agostino tratta il tema del

paradiso di cui parla l‘Apostolo Paolo, del paradiso che è situato al terzo cielo

306 corrept. 10, 27. Lo stesso si riferisce ad Adamo: ―Infatti egli non sarebbe potuto

essere beato neppure nel paradiso terrestre, anzi non avrebbe potuto nemmeno starci, lì dove

non si conviene essere infelici, se la prescienza della sua caduta con il timore di un male

tanto grande lo avesse afflitto‖ (corrept. 10, 28). Un‘altra testimonianza di questo

cambiamento del pensiero di Agostino lo troviamo in un‘opera che scrisse prima di corrept.

Si tratta dell‘Enchiridion ad Laurentium de fide et spe et caritate (422) 9, 28: ―Ma dopo

l‘atto di superbia di colui che fu trasformato in diavolo, commesso con complici di empietà,

tutti gli altri con pia obbedienza si unirono al Signore, ricevendo anche una scienza certa,

che non ebbero i primi, grazie alla quale poter essere sicuri di una saldezza eterna e

assolutamente incrollabile‖. 307 ROMANIDIS, Peccato, p. 185, n. 1 cita un brano dell‘Aquinate (summa Th. I, 94,

11) dove lui afferma che uno che contempla l‘essenza divina non può liberamente

distaccarsi da essa. Secondo Romanidis Tommaso volle correggere l‘idea agostiniana

dell‘inizio perfetto. È vero che il primo Agostino sosteneva un‘idea del genere, ma il

secondo l‘abbandonò, così che Tommaso, seguendo fedelmente Agostino conferma che

l‘unione escatologica sarà quella perfetta.

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(2Cor. 12, 2-4). Il terzo cielo è forse identico al paradiso?308

In realtà, non si chiede

se solamente il terzo cielo sia equivalente al paradiso, ma anche se vi siano altre

cose indicate con questo nome. Come possono queste diverse realtà essere una e

medesima cosa se, per esempio, il paradiso di Adamo fosse stato un luogo ricco

d‘alberi, e nessuno, eccetto i pittori surrealisti, avrebbe visto gli alberi che volano

attraverso il cielo? Inoltre non è chiaro ―neppure se lo stesso ‗terzo cielo‘ è da

considerarsi come un luogo materiale o forse come una condizione spirituale‖.309

Per questo Agostino prima indaga quale poteva essere la natura della percezione,

cioè quanti tipi di visione esistono. Sono passate in rassegna le visioni dei sogni,

quelle dell‘estasi, e quelle riferite dalla Scrittura.310

Ė difficile comprendere di quale natura fosse la visione dell‘Apostolo,

perché lui non dice come poté vedere quanto vide.311

Agostino prima dimostra che

il terzo cielo non può essere un simbolo di una realtà materiale, neppure sarebbe

un‘immagine spirituale, perché il terzo cielo non apparve a Paolo come immagine,

ma lo vide nella sua realtà e non come una figura.312

Vi sono, secondo lui, tre

specie di visioni: c‘è una ―visione corporea‖ (corporale), che è percepita dal corpo

ed è presentata ai sensi del corpo; una ―visione spirituale‖ (spiritale), che non è

corpo e tuttavia è qualcosa, spirito, e la figura simile ad un corpo assente; infine,

una ―visione intellettuale‖ (intellectuale), che proviene dall‘intelletto.313

Nelle

visioni corporee e spirituali si percepiscono delle immagini. Non è necessario che

queste visioni siano anche comprese. Per questo fatto anche la visione spirituale è

inferiore a quella intellettuale.314

Per esempio, Giuseppe, che comprese il

308 Gn. litt. 12, 1, 2. Agostino scrisse anche un breve ―libro‖ (così egli stesso chiama

questo suo opuscolo nelle retr. 2, 41) sulla visione di Dio oppure sulla natura del corpo

spirituale, che noi conosciamo come la lettera 147, dove tratta il tema della visione di Paolo

e quella di Mosè. 309 Ib. 310 Gn. litt. 12, 2, 2-5. 311 Cf. Gn. litt. 12, 3, 6. Nel paragrafo seguente (3, 7) si esprime così: ―Se dunque

egli sapeva che per mezzo del corpo non possono affatto vedersi le realtà spirituali né fuori

del corpo possono vedersi quelli corporali, per qual motivo non precisò in qual modo poté

vederle quando si riferisce proprio alle realtà vedute? Se, infatti, era sicuro che erano realtà

spirituali, perché non era ugualmente sicuro d‘averle viste fuori del corpo? Se invece sapeva

che erano realtà corporali, come mai non sapeva anche che non avrebbe potuto vederle se

non per mezzo del corpo? Perché dunque dubita se le vide con il corpo o fuori del corpo, se

non forse perché dubita ugualmente se quelle realtà fossero corpi o somiglianze di corpi?‖. 312 Cf. Gn. litt. 12, 4, 9-11; 12, 5, 14. 313 Gn. litt. 12, 6, 15. 7, 16. 314 Nel Gn. litt. 12, 8, 19 Agostino riporta la distinzione tra lo spirito e la mente

evidenziata in 1Cor. 14, 14: Se infatti pregherò in una lingua, il mio spirito prega ma la mia

intelligenza resta senza frutto.

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significato delle sette spighe e delle sette vacche, fu più profeta del Faraone, che le

aveva viste in sogno (cf. Gen. 41, 1-32). Lo stesso vale per il dono delle lingue, che

richiede la sua spiegazione, l‘interpretazione delle figure.

[Quindi] è più profeta chi è dotato solo della capacità di comprenderle, ma

sommamente profeta è chi è superiore agli altri per il fatto di possedere

entrambe le doti: cioè non solo quella di vedere nello spirito le immagini

rappresentative degli oggetti materiali ma anche quella di comprenderle con

la vivacità dell‘intelligenza. Tale era Daniele.315

In questo consiste la differenza tra ―spirito‖ e ―anima intellettiva‖.316

Un‘altra ragione per cui la visione spirituale si trova posta in un gradino più in

basso rispetto a quella mentale è che essa può essere ingannevole. Lo spirito

umano può essere rapito fuori dei sensi come nel caso dell‘estasi, fenomeno

straordinario che può accadere mediante l‘unione con un altro spirito.317

Però,

l‘anima, non avendo la facoltà divinatoria in se stessa,318

può essere influenzata o

dallo spirito buono, sia angelico sia divino, o dall‘angelo malvagio,319

e solamente

grazie a uno speciale dono di Dio è capace di discernere il demonio che si

maschera da angelo di luce (2Cor. 11, 14) da quello buono (1Cor. 12, 10):

La visione intellettuale al contrario non inganna poiché o non la comprende

chi l‘interpreta diversamente da quello che è oppure, se la comprende, ne

scopre immediatamente la verità.320

315 Gn. litt. 12, 9, 20. 316 Ib. Agostino menziona le visioni del re Baldassarre e dell‘Apostolo Pietro che

dimostrano che la visione corporale è ordinata a quella spirituale e quest‘ultima a quella

intellettuale (cf. Gn. litt. 12, 11, 23-24). 317 Gn. litt. 12, 12, 26. 318 Gn. litt. 12, 13, 27: ―Alcuni – è vero – sostengono che l‘anima umana ha in se

stessa una facoltà divinatoria (animam humanam habere vim quamdam divinationis in

seipsa). Ma se è così, come mai l‘anima non è in grado di esercitarla ogni volta che lo

vuole?‖ Nello stesso tempo non si può negare che esiste nell‘uomo una natura spirituale in

cui si formano le immagini degli oggetti materiali (Gn. litt. 12, 23, 49). Vi sono poi altre

visioni, come quelle in sogno più frequenti e umane che traggono origine dal nostro spirito

in molte maniere o sono in qualche modo fornite allo spirito dal corpo a seconda che siano

disposti nel corpo o nella mente (Gn. litt. 12, 30, 58). 319 Gn. litt. 12, 13, 28. 17, 34. 26, 53. 320 Gn. litt. 12, 14, 29. 26, 52.

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Anche se nelle visioni spirituali il corpo ha un suo ruolo, esso non le

presenta, perché il corpo non ha il potere di formare alcunché di spirituale, ma può

solamente ostacolare una chiara visione. L‘errore non può risiedere nell‘anima ma

solamente in una disfunzione del corpo.321

La strutturazione gerarchica dell‘essere

riflette anche l‘ordine gerarchico delle visioni. La visione spirituale è superiore a

quella corporale; a sua volta la visione intellettuale è superiore a quella spirituale

(Praestantior est enim visio spiritalis quam corporalis, et rursus praestantior

intellectualis quam spiritalis). Infatti, non può esserci visione corporale senza

quella spirituale, perché nel momento in cui un oggetto materiale è percepito, si

produce anche nell‘anima qualcosa di simile all‘oggetto percepito. Non è infatti il

corpo ad avere le percezioni ma è l‘anima per mezzo del corpo. La visione

corporale è inferiore a quella spirituale ma tutte e due sono inferiori a quella

intellettuale.322

A questo punto è abbastanza difficile interpretare cosa Agostino intendesse

con ―visione intellettiva‖. Era una visione mistica, cioè apofatica, o una profonda

riflessione filosofica che si muoveva intorno a concetti puri, come per esempio

intenderà Hegel? Sarebbe preferibile intendere l‘obiettivo agostiniano secondo la

prima ipotesi perché questa aveva i suoi sostenitori tra i primi mistici cristiani –

che si possono chiamare ―mistici inconsapevoli‖ o ―mistici casuali‖ – e fra i

filosofi neoplatonici; tale mistica, tuttavia, non deve mai essere divisa

rigorosamente da quella filosofica. Esse, infatti, non si escludono a vicenda – o,

almeno, Agostino non le separava del tutto – e si deve sottolineare la esclusività

dell‘esperienza mistica.323

Egli si esprime nel modo seguente:

Così nelle visioni intellettuali (intellectualium visorum) alcune cose sono

viste nella stessa anima, come, per esempio, le virtù sia quelle destinate a

rimanere come la pietà, sia quelle utili in questa vita ma destinate a cessare,

321 Gn. litt. 12, 20, 42-43. 322 Gn. litt. 12, 24, 51. 323 Porfirio descrive l‘esperienza mistica di Plotino: ―Egli era sempre vigilante e la

sua anima era pura e sempre anelante al divino, che amava con tutto il suo cuore. Egli fece

di tutto per liberarsi e per fuggire ai flutti amari di questa vita avida di sangue‘. E così

specialmente per mezzo di questa luce demoniaca che sale col pensiero sino al primo Dio

che è al di là, seguendo la via additata da Platone nel Simposio, egli contemplò quel Dio che

non ha né forma né essenza, poiché si trova sopra l‘Intelligenza e l‘intelligibile. A questo

Dio, lo confesso, io Porfirio, mi sono accostato e con esso mi sono unito una sola volta: ed

ora io ho sessantotto anni. A Plotino apparve la visione del fine vicino. Questo fine e questo

scopo era per lui l‘unione intima con Dio che è sopra tutte le cose. Finché io fui con lui, egli

raggiunse questo fine quattro volte con un atto ineffabile e non potenzialmente‖ (vita plot.

23, HENRY/SCHWYZER I, p. 34).

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come la fede, grazie alla quale crediamo le realtà che ancora non vediamo,

come anche la speranza per cui aspettiamo con pazienza i beni futuri, e come

la pazienza con cui sopportiamo tutte le avversità finché non arriveremo alla

mèta dei nostri desideri. Una cosa diversa è però la Luce, dalla quale è

illuminata l‘anima (illustratur anima) perché possa vedere, comprendendole

conforme alla verità, le cose sia in se stessa sia in questa Luce. Questa Luce

infatti è Dio stesso, mentre l‘anima è una creatura la quale, benché razionale

e intellettuale, fatta ad immagine di lui, quando si sforza di contemplare

quella Luce, batte le palpebre a causa della sua debolezza e non riesce a

vederla interamente. Eppure è per mezzo della Luce ch‘essa comprende ogni

cosa per quanto ne è capace. Quando dunque l‘anima è rapita là e, per essere

stata sottratta ai sensi carnali, è resa presente in modo più distinto di fronte a

quella visione – non per il fatto d‘esserle più vicina nello spazio fisico, ma

per un certo modo che è proprio della sua natura – e al di sopra di sé vede la

Luce, mediante la cui illuminazione vede tutto ciò che vede anche in sé con

l‘intelletto (in se intellegendo videt).324

Ciò fa intendere che la visione intellettuale non è prodotta da un sforzo

puramente naturale. Nella visione intellettuale la verità appare trasparente

senz‘alcuna immagine corporale e non è offuscata da nessuna nube di false

opinioni:

lì le virtù dell‘anima non sono più penose né fastidiose; lì la concupiscenza

non è più frenata con lo sforzo della temperanza, l‘avversità non è più

tollerata con la fortezza, l‘iniquità non è più punita con la giustizia, il male

non è più evitato con la prudenza. Lì l‘unica e perfetta virtù è amare ciò che

si vede, e la somma felicità avere ciò che si ama (Una ibi et tota virtus est

amare quod videas, et summa felicitas habere quod amas). Lì infatti la

felicità si beve alla sua stessa sorgente dalla quale si sparge per la nostra vita

qualche spruzzo al fine di vivere con temperanza, con fortezza, con giustizia

e prudenza tra le prove di questo mondo... Lì si vede la gloria del Signore,

non mediante una visione simbolica o corporale (non per visionem

significantem, sive corporalem), come fu vista sul monte Sinai (cf. Es. 19,

18), né mediante una visione spirituale come la vide Isaia (cf. Is. 6, 1) o

Giovanni nell‘Apocalisse (cf. 1, 10 ss.), ma per mezzo d‘una visione diretta,

nella misura ch‘è capace di percepirla l‘anima umana mediante la grazia di

324 Gn. litt. 12, 31, 59.

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Dio che la eleva a sé (sed per speciem, non per aenigmata, quantum eam

capere mens humana potest, secundum assumentis Dei gratiam), per parlare

da bocca a bocca a colui ch‘egli ha reso degno d‘un siffatto colloquio

parlandogli non con la bocca del corpo ma con la bocca della mente.325

La filosofia invece opera con i concetti che in fondo sono le parole, e il suo

ambito rimane quasi sempre dentro la potenzialità naturale; rimane sempre richiusa

in sé. La visione intellettuale è il risultato dell‘interazione tra Dio e la creatura

razionale. La grazia dell‘intervento divino è al primo posto; di fatto, non esiste

nella natura nessuna capacità di riceverla. Se ci fosse, non sarebbe più una grazia,

ma l‘attuazione di una potenzialità naturale. Il colloquio con Dio non si può

realizzare secondo la potenzialità delle cose che appartiene alle creature in modo

naturale. Se fosse un effetto consequenziale alla natura, la divinizzazione non

sarebbe più un dono di Dio.326

Agostino riporta la visione di Mosè, che desiderava vedere Dio non come

l‘aveva visto sul monte, ma nella sua essenza divina, per quanto può percepirla una

creatura intellettuale. Mosè chiede a Dio di mostrarsi a lui così che lo possa vedere

chiaramente (Es. 33, 13), sebbene prima si legga che Dio parlava a Mosè faccia a

faccia (Es. 11, 17). Mosè, dunque, desidera vedere ciò che non poteva vedere, la

gloria divina (Es. 33, 12-13). Dio risponde a Mosè che egli non può vedere il suo

volto e restare in vita, ma può vedere un luogo vicino a lui quando passerà la sua

gloria, lo vedrà di spalle, ma non vedrà il suo volto (Es. 33, 21-23).

La Scrittura però nei passi seguenti non racconta che questa visione sia

avvenuta anche in modo che Mosè vedesse Dio in persona e ciò dimostra

assai chiaramente che le espressioni della Scrittura sono soltanto figurate per

325 Gn. litt. 12, 26, 54. 326 Agostino, come anche i Padri Orientali conosce il concetto della divinizzazione.

Infatti, egli afferma che il Figlio di Dio incarnandosi, cioè fattosi partecipe della nostra

mortalità, ci ha reso partecipi della sua divinità (trin. 4, 2, 4). ―Se in virtù della parola di Dio

gli uomini diventano dèi, dèi per partecipazione, non sarà Dio colui del quale essi sono

partecipi? Se le luci illuminate sono dèi, non sarà Dio la luce che illumina? Se al calore di

questo fuoco salutare gli uomini diventano dèi, non sarà Dio la sorgente del loro calore?

Avvicinati alla luce e sarai illuminato e annoverato tra i figli di Dio; se ti allontani dalla

luce, entri nell‘oscurità e ti avvolgono le tenebre‖ (Io. ev. tr. 48, 9). Nell‘ench. 15, 56 scrive

che la Chiesa è costituita di dèi creati da Dio increato. Il vero Dio rende dèi i suoi adoratori

(civ. 10, 1, 3). Se la creatura si rende fine a se stessa, piomba nel non essere. Essa diventa

dio unendosi mediante l‘obbedienza al vero e sommo principio. ―Gli dèi creati non sono dèi

per una loro verità essenziale ma nella partecipazione al Dio vero (Dii enim creati non sua

veritate, sed Dei veri participatione sunt dii)‖(civ. 14, 13, 2).

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simboleggiare la Chiesa. È infatti la Chiesa il luogo vicino al Signore poiché

è il suo tempio ed è costruita sulla roccia.327

Mosè tuttavia ha veduto la gloria di Dio come è scritto nel libro dei Numeri:

Se ci sarà un vostro profeta, io, il Signore, mi farò conoscere da lui in visione e gli

parlerò per mezzo di sogni. Non così farò con il mio servo Mosè, che è l‟uomo di

fiducia in tutta la mia casa: io parlerò con lui da bocca a bocca in visione diretta e

non per enigmi ed egli ha visto la gloria del Signore (Nm. 12, 6-8).

Ė chiaro che queste espressioni non indicano qualcosa di corporeo, poiché

Dio parlava con Mosè faccia a faccia, a tu per tu. In quella maniera Dio parlava in

modo di gran lunga più arcano:

in un colloquio ineffabile in cui nessuno potrà vederlo mentre vive in questa

vita mortale nei sensi del corpo, ma è concesso solo a chi in certo qual modo

muore a questa vita dopo aver abbandonato interamente il corpo oppure

quando si estrania e viene rapito fuori dei sensi del corpo al punto di non

sapere più, con ragione, come dice l‘Apostolo, se si trova ancora nel suo

corpo o fuori del corpo.328

327 Gn. litt. 12, 27, 55. 328 Ib. Vedere il viso di Dio non significa possederlo. Dio non può mai essere un

oggetto della nostra ―indagine‖. Proprio per questo Louth aveva messo Agostino sotto

sospetto, dicendo che lui ha fatto dalla Trinità un oggetto di speculazione (Love and the

Trinity, pp. 13-15). Agostino invece afferma esplicitamente (nella lettera 147 intitolata: La

visione di Dio) che: ―Non che alcuno abbia potuto o possa mai abbracciare Dio nella sua

pienezza, non solo con gli occhi del corpo, ma con la mente stessa‖ (ep. 147, 8, 21).

Agostino, spiegando il pensiero di Ambrogio sulla futura visione di Dio (exp. Ev. Lc. 1, 24-

27, CSEL 32/4, pp. 25-28), nega che questa contemplazione possa partire dall‘essere creato;

quindi esso è ―oggetto‖ e non Dio. Soltanto i puri di cuore, vedranno Dio (Mt. 5, 8). È Dio

colui che si rivela alla sua creatura. Gli empi e i demoni non potranno mai vedere Dio

perché questa visione manifesta la comunione amorosa con Lui. Ironizzando sull‘opinione

contraria, Agostino scrive: ―Sarei assai curioso di sapere se coloro che credono che gli empi

vedranno Dio e che Dio è stato visto dal diavolo, si spingano fino ad asserire che essi sono

anche puri di cuore e che vanno in cerca della pace con tutti e della santità‖! (ep. 147, 5, 15).

Infine, Agostino esprime il suo disdegno verso coloro che di Dio fanno la sua proprietà,

interpretando le parole dell‘Apostolo: Affinché siate capaci di conoscere anche l‟amore di

Dio, che sorpassa ogni comprensione, sicché siate ripieni di tutta la pienezza di Dio (Ef. 3,

19), nel senso che noi saremo in tutto e per tutto uguali a Dio. ―Come potremo essere ripieni

di tutta la pienezza di Dio, dicono tali esegeti, se avremo qualche cosa di meno di Dio e

saremo inferiori a Lui in qualche cosa? Ma poiché – soggiungono essi – ne saremo ripieni,

senza dubbio saremo uguali a Dio. Tu senti avversione e riprovazione per quest‘errore

dell‘intelligenza umana; lo so, e fai bene! (ep. 147, 15, 36)... Beati infatti i puri di cuore,

poiché vedranno Dio non quando apparirà ad essi come un corpo da qualche luogo dello

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100 Z. DJUROVIC

Nella terza specie di visione che Paolo chiama ―terzo cielo‖, la gloria di Dio

è vista da coloro che hanno i cuori purificati, perché la Scrittura dice: Beati i puri

di cuore perché vedranno Dio (Mt. 5, 8), non per mezzo di qualche simbolo, ma

faccia a faccia (cf. 1Cor. 13, 12),

o – come dice la Scrittura a proposito di Mosè – da bocca a bocca, cioè

mediante una visione dell‘essenza di Dio (per speciem scilicet qua est Deus

quidquid est) sia pur nella misura quanto si voglia limitata di cui è capace di

percepirla l‘anima umana, che ha una natura diversa da quella di Dio, anche

se purificata da ogni sozzura terrestre ed estraniata da tutti i sensi del corpo e

rapita fuori d‘ogni immaginazione corporale. Lontani da Dio noi siamo in

esilio, appesantiti dal peso [del corpo] mortale e corruttibile per tutto il tempo

in cui camminiamo nella fede e non ancora nella visione (cf. 2Cor. 5, 6-7),

anche quando in questo mondo noi viviamo santamente... Dio al grande

Apostolo... volle mostrare la vita in cui dovremo vivere in eterno dopo questa

vita terrena. E perché non dovrebbe chiamarsi ‗paradiso‘ quello, senza

confonderlo con quello in cui visse corporalmente Adamo tra alberi fronzuti

e carichi di frutti? Poiché anche la Chiesa che ci raduna nel seno della carità è

chiamata paradiso con alberi carichi di frutti (Ct. 4, 13). Ma questa

espressione ha un senso figurato per il fatto che il paradiso, ove visse

realmente Adamo, era simbolo della Chiesa mediante una figura di ciò che

doveva venire... Potremo forse pensare che il paradiso sensibile, in cui visse

Adamo con il suo corpo, era il simbolo non solo della vita che i fedeli servi di

Dio trascorrono quaggiù nella Chiesa, ma anche della vita che dopo questa

durerà in eterno. Così Gerusalemme... è simbolo della Gerusalemme celeste,

che è la nostra madre eterna nei cieli. Quest‘ultimo senso... può applicarsi

anche agli stessi angeli santi mediante la Chiesa della multiforme sapienza di

Dio (multiformis sapientiae Dei, cf. Ef. 3, 10), con i quali dopo questo

pellegrinaggio terrestre dobbiamo vivere senza alcuna pena e senza fine.329

spazio, ma quando si recherà da loro e fisserà in loro la sua dimora, poiché in tal modo

saranno ripieni di tutta la pienezza di Dio, non diventando anch‘essi Dio in tutta la sua

pienezza, ma diventando perfettamente pieni di Dio‖ (ep. 147, 23, 53). Agostino manterrà la

distinzione tra la creatura e il Creatore anche dopo la risurrezione: ―Anche se avessimo il

cuore del tutto puro e l‘anima del tutto limpida e fossimo già uguali agli angeli santi,

sicuramente non conosceremmo l‘essenza di Dio com‘essa conosce se medesima (non

utique nobis ita nota esset divina substantia sicut ipsa sibi)‖ (Gn. litt. 4, 6, 13). 329 Gn. litt. 12, 28, 56.

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INIZIO E FINE 101

Qui la speculazione agostiniana finisce. Egli si accontenta di stabilire i punti

di riferimento e non vuole entrare nella minuziosa classificazione; afferma che non

sa se ci siano altri cieli oltre il terzo e altri tipi di visione.330

Il paradiso è qui un

termine generico che indica di volta in volta il paradiso di Adamo, la Chiesa, la

Gerusalemme celeste, il terzo cielo e lo stato dopo la resurrezione.

2. 2. La resurrezione dei corpi

Si pone un‘ulteriore domanda: dove va l‘anima all‘uscita dal corpo?

L‘anima, come afferma Agostino, non può essere trasportata in un luogo materiale

se non con un ―corpo‖, oppure non è portata in nessun luogo materiale. Essendo

immateriale essa non può partecipare alle cose materiali. Ma anche gli oggetti

solamente somiglianti a cose materiali sono reali, producendo gioia o dolore

spirituale. Ciò avviene nei sogni, dove si verifica una grande differenza tra gioia e

incubo. Secondo Agostino, l‘inferno esiste, ma la sua natura è spirituale, non

materiale.331

La convinzione che l‘anima sia un‘entità indipendente dal corpo

spinse Agostino a presupporre che essa potesse partecipare alla felicità o alla

miseria dopo la morte. Lo stato di beatitudine si chiama ―seno di Abramo‖,

quell‘altro ―inferno‖. Agostino rifiuta l‘opinione che i santi veterotestamentari

riposino nell‘inferno, cioè nello Sheol, non trovando un passo delle Scritture in cui

il termine ―inferno‖ sia preso in senso positivo.332

D‘altra parte, si trova una

330 Gn. litt. 12, 29, 57: ―Può anche darsi che qualcuno sostenga o dimostri, se ne è

capace, che anche nelle visioni spirituali o intellettuali vi siano molti gradi... Ora, comunque

stiano le cose e vengano interpretate e qualunque sia, tra le diverse opinioni, quella che a

ciascuno piacerà adottare, io fino a questo momento non posso conoscere o mostrare se non

queste tre specie di rappresentazioni d‘oggetti visti in sogno o di visioni e cioè: quelle

percepite dal corpo, dallo spirito e dall‘intelligenza. Ma stabilire quale sia il numero e i gradi

di differenza di ciascuna specie di visioni e determinare il relativo grado di superiorità di

ciascuna di esse rispetto alle altre confesso d‘ignorarlo‖. 331 Gn. litt. 12, 32, 60. I tormenti infernali consistono nella tristezza che prova

l‘anima (Gn. litt. 12, 33, 64). L‘inferno in latino si chiama così poiché è situato sotto terra.

Come i corpi più pesanti sono più in basso, così si trovano più in basso gli spiriti più tristi.

―Ecco perché si dice che anche nella lingua greca l‘etimologia del nome con cui è denotato

l‘inferno esprime il significato di ciò che non ha nulla di piacevole‖ (Gn. litt. 12, 34, 66).

Ade ({Adhj) è nome di sconosciuta origine. Non si può sapere se forse proviene da

―dispiacevole‖ (a privativo ed h`du,j, piacevole), come vuole Agostino o da ―invisibile‖ (a privativo e tema ivd, o`ra,w, vedo). Con questo nome era indicato originariamente, nella

mitologia greca, il dio dei morti. 332 Agostino qui ed anche nella lettera ad Evodio (ep. 164) critica l‘opinione di

Girolamo che interpretando Qo. 3, 18, afferma che l‘Ecclesiaste non dice che l‘anima muore

insieme con il corpo, ma che prima della venuta finale di Cristo tutti scendono agli Inferi,

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testimonianza secondo la quale il ―seno di Abramo‖ è inteso in senso buono.333

Si

può dunque chiamare ―paradiso‖ anche il seno di Abramo in cui non ci sarà più

alcuna tentazione ma un beato riposo.334

Per questo Cristo promise al buon ladrone

(Lc. 23, 43) non l‘inferno, ma il seno di Abramo –

oppure promise il paradiso, sia ch‘esso si trovi nel terzo cielo o in qualsiasi

altro luogo in cui fu rapito l‘Apostolo dopo essere stato al terzo cielo, se pur

è vero che l‘unica dimora, in cui sono le anime dei beati, non è l‘unica e

medesima cosa denominata con nomi diversi (si tamen non aliquid unum est

diversis nominibus appellatum).335

Agostino era costretto a non ammettere la presenza delle anime giuste nello

Sheol perché sosteneva l‘idea dell‘immortalità naturale dell‘anima, l‘idea ereditata

dal platonismo, ma ormai impadronitasi della cultura cristiana, secondo la quale

l‘anima, essendo un‘entità autonoma, mantiene stabili tutte le sue funzioni, esclusa

quella di vivificare il corpo. Di conseguenza, essa può godere la felicità paradisiaca

valendosi della domanda successiva (3, 21): Chi sa se il soffio vitale dell‟uomo salga in alto

e se quello della bestia scenda in basso nella terra?: ―Si autem videtur haec esse distantia,

quod spiritus hominis ascendat in caelum, et spiritus pecoris descendat in terram, quo istud

certo auctore cognovimus? Quis potest nosse, utrum verum an falsum sit quod speratur? Hoc

autem dicit, non quod animam putet perire cum corpore, vel unum bestiis et homini

praeparari locum, sed quod ante adventum Christi omnia ad inferos pariter ducerentur... non

inter pecudes et hominem secundum animae dignitatem nihil interesse contendit, sed

adjiciendo quis, difficultatem rei voluit demonstrare... Inter homines igitur et bestias haec

sola est differentia, quod spiritus hominis ascendit in caelum, et spiritus jumenti descendit in

terram, et cum carne dissolvitur: si tamen hujus rei vir aliquis Ecclesiasticus et disciplinis

caelestibus eruditus, et quasi dubiae rei certus assertor sit‖ (in Eccl. PL 23, 1041b-1042c).

Vedi anche M. SIMONETTI, L‟interpretazione patristica dell‟Ecclesiaste, in La bibbia nei

Padri della Chiesa, a cura di M. NALDINI, Bologna 1999, p. 121-124). Per Girolamo Sheol

ebraico è lo stesso Inferno greco, perché l‘AT non parla di un posto dove felicemente

riposano le anime. Pian piano il demonio veterotestamentario assume anche il nome di

Beelzebub (signore delle mosche), una divinità Fenicia, e Hinnom (Gehenna) diviene il

nome dell‘Inferno al posto di Sheol (posto dei morti sottoterra). Hinnom era il nome del

posto dove veniva adorato Moloch, dove in una fornace ardente venivano sacrificati uomini.

L‘inferno passa, dunque, da semplice luogo ―sottoterra‖ a fornace ardente dove i malvagi

soffrono bruciando. 333 Gn. litt. 12, 33, 63-64. La denominazione fatta da Gesù (cf. Lc. 16, 22) ebbe

fortuna in un testo che oggi attribuiamo ad Ippolito (Fozio lo ascriveva a Giuseppe Flavio, e

altri a Caio, presbitero romano, Ireneo o Giustino), che la riprende alla lettera: i giusti

riposano nel seno di Abramo aspettando la resurrezione dei corpi. Là sono divisi da coloro

che subiscono le pene infernali (or. c. Graec. 2-3, PG, 800a-801c). 334 Gn. litt. 12, 34, 65. 335 Gn. litt. 12, 34, 66.

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INIZIO E FINE 103

oppure soffrire dei tormenti infernali. Però, secondo il Qoelet, tutti, senza

eccezione, scendono nello Sheol. Là non vi sono pensieri né azioni per una ragione

piuttosto semplice: sono morti. Allo stesso modo muoiono il saggio e lo stolto (Qo.

2, 16). Ė meglio essere un cane vivo che un leone morto, perché il vivo sa che

morirà, ma il morto non sa nulla (cf. Qo. 9, 4-5; gli altri versetti di ambigua

intelligibilità sarebbero: 3, 19-20; 5, 14; 8, 15; 11, 8).336

Gli ebrei non avevano la

dottrina dell‘immortalità dell‘anima,337

perciò non credevano nell‘immortalità

336 Sulla difficoltà dei primi interpreti cristiani (Gregorio Nisseno, Girolamo etc.) di

spiegare le chiare affermazioni di Qoelet che l‘anima muore con il corpo, si veda il mio

saggio: Ranohrišćanska Paideia, Teološki pogledi 1-4 (1995) 121-177. Qoelet è un

osservatore insolito della realtà e non si lascia sedurre dalle soluzioni facili. Il problema

della morte è sempre aperto. Il Qoelet non lo chiude richiamandosi, come qualcuno potrebbe

aspettare, a Dio. La morte rimane morte, nonostante la presenza di Dio. È inutile che l‘uomo

si occupi delle cose che lo oltrepassano. Per come i commentatori cristiani superavano le

difficoltà dall‘Ecclesiaste (cf. SIMONETTI, L‟interpretazione patristica dell‟Ecclesiaste).

Secondo Origene Ecclesiaste ci insegna che le cose corruttibili si debbano disprezzare per

elevarsi alle realtà invisibili ed eterne. Origene usa il metodo allegorico e interpreta questo

libro in chiave cristologica (SIMONETTI, L‟interpretazione, pp. 110-112). Lo stesso

incontriamo in Dionigi d‘Alessandria e Didimo (ib. pp. 115-120). La Metaphr. di Gregorio

Taumaturgo è una parafrasi molto libera che tende ad eliminare le difficoltà difficilmente

armonizzabili con la dottrina o la morale cristiane, ―generalizzando la componente

sapienziale... e perciò piegando ad essa anche i passi di significato nuovo e polemico‖ (ib. p.

113). Così il Taumaturgo afferma che gli avversari dicono e non Qohelet, che un uguale

destino attende uomini e bestie (ib. p. 114). Gregorio di Nissa (in eccl. 5) interpretò il testo

fino a 3, 13 e si fermò, senza spiegare il motivo (ib. p. 116). Dall‘ambito Antiocheno

abbiamo un commento dello Pseudo-Crisostomo, che o spiritosamente interpreta Qo. 3, 21:

―Dice così a proposito di costoro che sono bestie‖ oppure, a proposito 4, 2 nella maniera del

Taumaturgo: ―Questo non è il giudizio suo ma di una mente turbata (depressa), perché

quando siamo preda dello scoraggiamento diciamo tante cose che non bisogna considerare

come verità di fede‖ (ib. p. 122). 337 Gli ebrei credevano nell‘immortalità attraverso la discendenza. Però

mantenevano anche la più antica idea, almeno a livello conscio, dell‘immortalità per mezzo

del nome celebre che rimarrà per sempre impresso nella memoria dei discendenti. L‘essere

viene equiparato al nome, e viceversa, non avere nome significa non esistere (cf. M. VIŠIĆ,

Zakonici drevne Mesopotamije, Beograd 1985, p. 29). Dio promise ad Abramo l‘immortalità

attraverso la prole e il grande nome (cf. Gen. 12, 1-3). Anche il Siracide 41, 1-4 e 11-13

sostiene tale idea. In questa sede non intendo entrare nella polemica se l‘AT credeva

nell‘immortalità dell‘anima o no, accenno solamente al fatto che condivido in linea generale

le idee espresse da O. CULLMANN, Immortality of the Soul or Resurrection of the Dead? NY

1964: ―Since Neoplatonism was the prevailing spiritual philosophy during the formative

period of Christian theology, it is not surprising that many of the Fathers identified the

Christian doctrine of eternal life with Platonic immortality… In the Fifth Lateran Council

(1512-17) the Roman church indeed proclaimed it to be an official dogma of the church. The

Reformers were content with the ancient creeds which teach the resurrection of the body,

not the immortality of the soul‖. Basta citare la testimonianza di Giuseppe Flavio che scrisse

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individuale, ma in una immortalità collettiva. La soluzione del problema della

morte l‘aspettavano dalla storia, come ha spiegato Berdjaev.338

Al contrario, i

greci, di fronte a questo tormentato dilemma inventarono l‘insegnamento

dell‘immortalità dell‘anima.339

I farisei accolsero la resurrezione dei corpi come

soluzione ortodossa, sebbene questa idea potesse avere origine straniera. Essa trova

la sua fondatezza nel fatto che in sé è pienamente coerente. L‘anima non può

esistere senza il corpo. Quindi, un ritorno alla vita corporale è l‘unica soluzione

positiva.

Agostino, erede della menzionata convinzione platonica, doveva cercare la

spiegazione in un‘altra direzione. Se la beatitudine finale significa partecipare alle

realtà incorporee, perché Dio è immateriale, che bisogno c‘è del corpo? Egli si

chiede apertamente:

Ma che bisogno hanno gli spiriti dei defunti di riprendere il proprio corpo

nella risurrezione, se possono avere la suprema felicità senza il loro corpo? È

un‘obiezione che potrebbe turbare qualcuno ma per verità è un problema

troppo difficile a essere trattato in modo esauriente in questo libro.340

Riuscire ad armonizzare la soluzione greca con quella giudaica

probabilmente non è possibile. Ė una semplice scusa da parte di Agostino

l‘affermazione che il libro dovesse avere una dimensione ragionevole. La riunione

con il corpo è spiegata da Agostino, sempre con un ―forse‖, attraverso l‘appetitus

dell‘anima verso il corpo e con intenti pedagogici:

Ciò può avvenire per qualche altra causa misteriosa o perché è innata

nell‘anima una specie di brama naturale (naturalis quidam appetitus) di

governare il corpo... Era dunque necessario che l‘anima fosse strappata ai

che gli Esseni con la loro dottrina dell‘immortalità dell‘anima in modo meraviglioso attirano

gli ascoltatori (bell. Iud. 2, 8, 11, BEKKER V, p. 152) e che lui stesso ha imparato dai Greci

che abbiamo dei corpi mortali e ―che l‘anima è immortale e parte del divino (qeou/ moi/ra)

che soggiorna nel corpo‖ (ib. 3, 8, 5, BEKKER V, p. 266). Idee del genere entrarono nel

mondo giudaico attraverso la letteratura apocalittica (cf. J. LE GOFF, La naissance du

purgatoire, Paris 1981, pp. 48-56). 338 N. BERDJAJEV, Iščekivanje Mesije, in Mesijanska svest i istorija, Beograd 1988,

63-104, qui pp. 66-67. 339 Potrebbe sembrare sorprendente, ma Ambrogio, neoplatonico di vocazione, tra le

cose con le cui i pagani si consolano, enumera la dottrina dell‘immortalità dell‘anima:

―Gentiles plerumque se consolantur viri, vel de communitate aerumnae, vel de jure naturae,

vel de immortalitate animae‖ (Satyr. 2, 50, PL 16, 1328b). 340 Gn. litt. 12, 35, 68.

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INIZIO E FINE 105

sensi della medesima carne perché le fosse mostrato come potesse

raggiungere quella visione [somma]. Quando perciò l‘anima, fatta uguale agli

angeli, riprenderà questo corpo non più quale corpo naturale ma, a causa

della futura trasformazione, divenuto corpo spirituale, raggiungerà la

perfezione della sua natura, obbediente e dirigente, vivificata e vivificante

con una facilità tanto ineffabile che tornerà a sua gloria il corpo che le era di

peso.341

Con questo argomento, che l‘anima potrà godere una più piena felicità

essendo riunita con il corpo, Agostino avrebbe avuto poca probabilità di

convincere i pagani riguardo a ciò che Paolo definisce il punto cruciale della fede

cristiana, cioè la resurrezione. Per i filosofi dell‘Areopago almeno per coloro che

credevano nell‘immortalità dell‘anima, la resurrezione era superflua. Questa, per

loro, era un‘idea insensata.

In un‘altra occasione Agostino riprende questo argomento. Durante il

periodo pasquale egli pronunciò tre o quattro discorsi sulla resurrezione (serm.

240, 241, 242, 242A), ma non si conosce esattamente l‘anno.342

Vediamo più da

vicino il contenuto di questi discorsi.343

Nel serm. 240, 2 Agostino risponde ad un‘antica obiezione dei pagani:

―Come mai è possibile che un morto risorga‖? facendo riferimento all‘onnipotenza

di Dio, che non è negata né dai giudei né dai pagani. Quindi, la resurrezione dei

corpi non è il risultato della finalizzazione di una potenza presente nella natura

creata, ma dell‘azione divina. Il Figlio di Dio, unendo nella sua persona la nostra

natura, ha assunto in sé la nostra pena che consiste nella corruttibilità del corpo

causata dal peccato originale, in tal modo elimina in noi la colpa perdonandoci i

peccati, e la pena risorgendo dai morti. Se lo seguiremo, la nostra carne risorgerà

incorruttibile e senza difetti. Quaggiù il corpo crea dei problemi, lassù sarà di

ornamento. È dunque un bene avere un corpo incorruttibile.344

Siccome l‘argomento del corpo come ornamento non è tanto convincente,

Agostino vuol mostrare come anche i grandi filosofi pagani che hanno creduto

341 Ib. 342 Secondo Lambot dopo il 409; secondo Poque dopo il 411; e secondo Beuron e

Kunzelmann tra 405-410 cf. Tavola cronologica dei discorsi, di M. Pellegrino nella sua

Introduzione, in NBA XXIX, p. CXXVII. 343 Per una dettagliata analisi cf. M. ALFECHE, Augustine‟s discussions with

philosophers on the resurrection of the body, Aug(L) 45 (1995) 95-140. Egli considera

anche i passi di civ. 10, 24, 30-32; 12, 27; 13, 16-20; 22, 25-28. 344 serm. 240, 3.

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nell‘immortalità dell‘anima siano rimasti a mezza strada, e che il problema rimane

arduo. Nei confronti dei filosofi che asseriscono che tutto termina con la morte, i

primi, anche se non perfetti, sono da preferire. Questi maestri, principalmente i

platonici e i pitagorici, ritenevano che i mali che l‘umanità sperimenta fossero

conseguenza di una o più vite anteriori, in cui quelle stesse anime avevano peccato

e quindi entravano in corpi-prigione: dopo la morte, l‘anima di chi è vissuto male

entra immediatamente in un altro corpo, dove dovrà scontrare la giusta pena. Le

anime dei buoni se ne tornano nell‘alto dei cieli, dove dimenticano tutti i mali

passati, trattenendosi nell‘imperturbabilità per lungo tempo, ma non per sempre,

perché ad un certo momento cederanno all‘attrattiva di unirsi al corpo. Questo,

secondo Agostino, è il punto debole dell‘argomentazione pagana: la nuova caduta è

difficilmente spiegabile. Secondo il cristianesimo ufficiale, che condannò

l‘origenismo, questa caduta non è considerata possibile perché l‘uomo sarà

indissolubilmente unito con Dio.345

Nel serm. 241 Agostino ritorna su questo tema. I filosofi salivano alla

conoscenza naturale di Dio attraverso la bellezza delle cose create. Ponevano al

primo posto la natura invisibile, cioè l‘anima, e al secondo la natura visibile,

ovvero il corpo, concludendo che entrambe le nature sono mutevoli, spingendosi

tuttavia oltre a cercare qualcosa che fosse immutabile.346

Però, quanto più s‘erano

spinti in alto con le loro ricerche, tanto più sprofondavano in basso, cadendo

nell‘idolatria.347

Per arrivare alla verità non bastano le congetture, è necessaria

anche la rivelazione divina. Per questo, essi non furono in grado di spiegare il

destino dell‘anima. Affermavano, come già abbiamo visto, che le anime

dimenticano completamente le miserie della vita precedente e cominciano a

desiderare il ritorno nel corpo. Il nostro vescovo enfaticamente dice:

Tornano a dimenticarsi di Dio o, magari, a bestemmiarlo; tornano a provare il

richiamo dei piaceri del corpo e a lottare contro le passioni disordinate. Ma

345 serm. 240, 4: ―Occorre però credere nel Mediatore posto a far da ponte fra Dio e

gli uomini. Fra Dio giusto e l‘uomo peccatore è stato collocato un uomo giusto, che ha preso

l‘umanità da chi era in basso, la giustizia da chi era in alto. Quindi a metà: una cosa presa da

un lato e un‘altra presa dall‘altro. Se infatti avesse preso tutt‘e due le cose da lassù, sarebbe

rimasto lassù; se avesse preso tutt‘e due le cose da quaggiù, sarebbe uno prostrato come noi

e non starebbe a metà. Orbene, se uno crede in questo Mediatore e vive con fede e

rettitudine, quando uscirà dal corpo sarà nel riposo. In un secondo momento poi riassumerà

anche il corpo, non per soffrire ma per ornarsene, e vivrà eternamente con Dio. Non ci

saranno motivi che l‘attraggano a tornare quaggiù, perché il suo corpo si sarà riunito a lui‖. 346 serm. 241, 1-2. 347 serm. 241, 3.

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INIZIO E FINE 107

da dove tornano a sobbarcarsi a queste miserie e con che scopo? Dimmelo!

Perché fanno così? Perché hanno dimenticato. Se hanno dimenticato tutti i

mali dimentichino anche i piaceri carnali! Questo solo, per loro disavventura,

ricordano, cioè quello che le ha rovinate... E tornano: ma perché? Perché

trovano piacevole abitare in un corpo come prima. Come provano un tal

piacere se non perché ricordano che un tempo hanno abitato nel corpo? Togli

via ogni ricordo, e forse otterrai che rimane la sapienza. Non rimanga

null‘altro che possa richiamare indietro.348

Continuando la polemica sullo stesso tema Agostino riporta un brano di

Virgilio, dove Enea agli inferi chiede a suo padre – che gli ha presentato le anime

di romani famosi che da lì salgono al cielo – come mai esse volevano tornare ad

abitare in un corpo? Enea chiama folle quel desiderio e sventurate quelle anime.349

Infatti esse non possono essere beate sapendo che avrebbero dovuto sperimentare

di nuovo lunghe miserie nella vita successiva. Non possono essere beate se ad esse

manca la sicurezza, ma se non conoscono il futuro, sono beate perché preda

dell‘errore; saranno beate non per l‘eternità ma per la falsità.350

I filosofi poi

(Pitagora, Platone, Porfirio etc.) intendono raggiungere la vita beata quaggiù, ma

essa si avrà dopo la morte. Lassù uno avrà la speranza di tornare alla vita misera?

Quindi la speranza d‘essere infelici ci dona la felicità, mentre la speranza della

felicità ci rende infelici. È illogico che le anime esenti da colpa, divenute sapienti e

pure, possano desiderare di ritornare nel corpo per amore di esso.351

Abbiamo già visto che Agostino corregge la sentenza di Porfirio: omne

corpus esse fugiendum, dicendo che si debba fuggire dal corpo corruttibile che

appesantisce l‘anima, ma non dal corpo incorruttibile. Trova la prova in Platone

che permette la beatitudine eterna degli dèi creati, cioè dei corpi celesti. Platone ha

riservato la loro incorruttibilità all‘azione reggitrice di Dio. Grazie a questa

onnipotente energia, aggiunge Agostino da parte sua, la possibilità della

resurrezione è credibile. ―Dio rapporta tutto alla sua volontà: egli può anche

l‘impossibile‖, dice Agostino a proposito del testo di Platone:

348 serm. 241, 4. 349 VERGILIO, Aen. 6, 719-721, ed. T. E. PAGE, p. 224: O pater, anne aliquas ad

caelum hinc ire putandum est / Sublimes animas iterumque ad tarda reverti Corpora? / Quae

lucis miseris tam dira cupido? 350 serm. 241, 5. 351 serm. 241, 6.

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108 Z. DJUROVIC

Totum ad voluntatem suam redegit Deus, qui potest et quod impossibile est.

Nam quid est aliud, Non potestis esse immortales, sed ut non moriamini ego

facio; nisi, et quod fieri non potest, ego facio?352

I corpi dei risorti sono chiamati corpi spirituali, ma non nel senso che

saranno spiriti e non più corpi, perché come i corpi attuali sono chiamati corpi

animati ma non sono anime, così anche i corpi spirituali non sono spiriti, ma corpi,

benché rivestiti di incorruttibilità. Si chiamano spirituali perché saranno a

disposizione dello spirito.353

In essi non ci sarà nulla che si ribelli.354

Anche se

spirituali, avranno carne, ossa e sangue, ma con le caratteristiche celesti. In tal

modo Agostino unisce la convinzione paolina che il corpo reale sarà risorto con il

―dualismo‖ positivo plotiniano secondo cui il corpo celeste è ad assoluta

disposizione dell‘anima e il fuggire da ogni corpo è un estremismo, sostenuto da

Porfirio e dal primo Agostino, che ora risulta inaccettabile.

L‘uomo primordiale come quello escatologico del primo Agostino aveva

poco a che fare con il mondo materiale. Il secondo Agostino, benché timidamente,

lo collocava nell‘Universo. Dico timidamente, perché l‘Adamo escatologico vive

in un mondo trasformato e questo ci può far pensare che il sostrato materiale sia

talmente cambiato da poter parlare a stento dell‘identità, ovvero successione tra

questo e il mondo in avvenire. Malgrado tutte le difficoltà riguardanti una

esposizione consona di tale idea, nel Agostino maturo troviamo accenni alla

trasformazione globale che incorpora l‘uomo e il mondo in cui una volta questi

abitava. Non avendo nulla da aggiungere, trascrivo le conclusioni dell‘ormai

classico articolo di Marrou: ―St. Augustine has particularly highlighted the

necessary connection between the resurrection of the body (and therefore of the

person) and the transfiguration of the cosmos. This point deserves attention

because it is a theme which does not appear very often in his writings. It has been

352 serm. 242, 5, 7. 353 Agostino, se posso esprimermi in modo improprio, arriva finalmente alla

soluzione di Tertulliano: ―Plane accepit hic spiritum caro, sed arrabonem, animae autem non

arrabonem sed plenitudinem. Itaque etiam propterea, substantiae nomine animale corpus

nuncupata est in qua seminatur, futura proinde per plenitudinem spiritus insuper spiritale, in

qua resuscitatur. Quid mirum si magis inde vocata est unde conferta est quam unde respersa

est?‖ (res. carn. 53, 66-71, SPCK, pp. 160-162, ma per avere un immagine più completa, si

veda l‘intero capitolo). 354 serm. 242, 8, 11. Lo stesso in Gn. litt. 12, 7, 18: ―[Il corpo spirituale] per la sua

completa prontezza e incorruttibilità, sarà sottomesso allo spirito e senza alcun bisogno

d‘alimenti corporali sarà vivificato solo dallo spirito, ma non perché avrà una sostanza

incorporea‖.

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INIZIO E FINE 109

many times repeated, and rightly, that St. Augustine is not much interested in what

might be called the cosmic component of salvation.355

In his first writings, which

were still too subservient to Neoplatonism, he ventured to sum up the whole

program of a philosophy in the simple binomial: de anima, de Deo. He had no

place, it seems, for a peri kosmou356

… However, attentive exegete that he was, he

could not neglect the formulae taken from Isaiah (65, 17-19; 66, 22), which the

Apocalypse mentions concerning ‗a new heaven and a new earth‘... The final

destiny of the world, and that of man, are intimately bound up with each other. The

end of the world will also be, mirabili mutatione, a transfiguration rather than

annihilation.357

Figura ergo praeterit, non natura:358

the face of the world will pass

away, but not its substance… As with man, so with the cosmos: everything,

corruptible in it will be destroyed... On the contrary, by means of that elimination it

will acquire new qualities, in accord with those of risen man. For it is necessary

that the universe also be renewed for the better, in melius innouatus, so as to be in

harmony with the body of man which also will be renewed [civ. 22, 29, 6]―.359

2. 3. Il Totus Christus

Abbiamo visto che, sebbene Adamo fosse terra secondo il corpo e portasse

il corpo animale, se non avesse peccato, il suo corpo sarebbe stato trasformato in

corpo spirituale. In altre parole, sarebbe diventato membro del Cristo escatologico.

Come nell‘uomo risorto tutto l‘universo si ricapitola e in un certo senso diviene

uno con lui, così tutti i predestinati e il mondo nuovo alla fine dei tempi vengono

raccolti e uniti in Cristo. Quasi a riassunto di tutto ciò, Agostino scrive nel De

civitate Dei:

Prima infatti si ha il corpo animale nello stato in cui lo ebbe il primo Adamo,

quantunque non destinato a morire se non peccava. Anche noi abbiamo un

simile corpo però col cambiamento per depravazione del suo essere, in

quanto in Adamo, dopo il suo peccato, si verificò una condizione da cui subì

355 Marrou si richama a TH. E. CLARKE, The eschatological Transformation of the

material World according to saint Augustine, Woodstock 1956 (tesi non pubblicata); id., St.

Augustine and Cosmic Redemption, ThSt 19 (1958) 133-164. 356 Ivi adopera la propria espressione dal suo libro: Saint Augustin et la fin de la

culture antique, Paris 1958, p. 233. 357 civ. 20, 16. 358 civ. 20, 14. 359 HENRI I. MARROU, The Resurrection and St. Augustine‟s Theology of Human

Values, SAugLS (1965) 1-50, qui pp. 29-31.

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110 Z. DJUROVIC

la soggezione a morire. Anche il Cristo nella prima esistenza si è degnato di

averlo in quello stato, e non per destino ineluttabile ma per libera scelta. Poi

il corpo spirituale, nello stato in cui si è avuto in Cristo in quanto nostro capo,

si avrà nei suoi seguaci nella finale risurrezione dei morti.360

Il fulcro della soteriologia agostiniana si trova nella unione della natura

umana (o, meglio, persona) con la Sapienza divina, il Figlio unigenito di Dio. Nella

sua persona, infatti, si uniscono divino e umano. Anzi, l‘unione tra Dio e l‘uomo

non significa una semplice societas. Siamo autorizzati a parlare di una sola persona

in due nature (unam personam in utraque natura).361

Una sola persona è la persona

del Verbo attraverso cui la natura creata si unisce con la Trinità, anche se è unita

personalmente soltanto al Figlio.362

Agostino fedelmente e inconsciamente segue la

breve, ma nota ai lippis et tonsoribus, formula di Gregorio di Nazianzo: quod non

assumptum non redemptum.363

L‘unione tra uomo e Verbo di Dio è fisica e

indissolubile. Abbiamo visto che il primo corpo di Adamo fu imperfetto, ovvero

mortale, animale o naturale, come lo nominava Agostino. Il Figlio di Dio assunse

proprio tale corpo e nella sua carne non trasferì solo il peccato, ma anche la morte,

perché nella carne, somigliante a quella del peccato, ci fosse la pena (morte) senza

la colpa.364

Ė interessante vedere un brano nel quale Agostino parla della qualità

della carne che è stata assunta:

360 civ. 13, 22. Cf. anche serm. 224A, 1. Nel capitolo 3 si legge: ―Concludendo,

abbiate il cuore pieno di fede nella resurrezione. Non soltanto le cose che si predicano già

realizzate in Cristo ma anche quelle che per l‘unione con lui si realizzeranno in noi sono

promesse ai cristiani‖. 361 c. s. arian. 7, 6. 362 trin. 2, 10, 18. Cf. una riuscita presentazione di questo problema di FRANCESCO

NERI, Cur verbum capax hominis: le ragioni dell‟incarnazione della seconda persona della

Trinità fra teologia scolastica e teologia contemporanea, PUG, Roma 1999, pp. 9-36. 363 Ciò viene detto nella Prima lettera a Cledonio (ep. 101, 7, 13-14, SC 208): to.

ga.r avpro,slhpton( avqera,peuton) 364 pecc. mer. 1, 32, 61. Nello stesso libro (2, 24, 38) Agostino scrive così: ―Quindi

noi siamo nati per morire a causa del peccato ed egli è nato senza peccato per morire per

noi. Inoltre come la sua inferiorità con la quale discese fino a noi non era alla pari in tutto

con la nostra inferiorità, nella quale ci ha trovati in terra, cosi la nostra superiorità con la

quale noi ascendiamo fino a lui non sarà pari alla sua superiorità nella quale lo troveremo in

cielo. Noi infatti diventeremo figli di Dio per sua grazia, egli era Figlio di Dio da sempre per

natura; noi, convertiti finalmente a Dio, aderiremo a Dio, ma non saremo pari a Dio; egli,

mai convertito ad altro contro Dio, rimane uguale a Dio. Noi saremo partecipi della vita

eterna; Egli infatti è la vita eterna‖.

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INIZIO E FINE 111

Tuttavia Gesù, poiché in lui c‘era la somiglianza della carne del peccato,

volle soffrire le mutazioni delle età cominciando dalla stessa infanzia e

sembra che avrebbe potuto quella sua carne raggiungere anche la morte per

vecchiaia, se non fosse stato ucciso da giovane (Sed quia erat in eo similitudo

carnis peccati, mutationes aetatum perpeti voluit ab ipsa exorsus infantia, ut

ad mortem videatur etiam senescendo illa caro pervenire potuisse, nisi

iuvenis fuisset occisus). Ecco però la differenza: nella carne del peccato la

morte è pagata per debito di disobbedienza, invece nella carne somigliante a

quella del peccato la morte è stata accolta per volontà d‘obbedienza.365

Dunque, il Salvatore assunse un corpo mortale ed è diventato uguale agli

altri uomini, oltre ad Adamo. Questa spiegazione significa che il Cristo generato

corrisponde all‘Adamo del paradiso. La nascita del Salvatore esprime solamente

l‘inizio della timida unione tra Dio e l‘uomo.366

Come per Adamo era possibile

morire, poiché aveva il corpo mortale, così avvenne per Cristo. Entrambe le morti,

d‘altra parte, furono volontarie: quella di Adamo condizionata dalla volontà

peccaminosa, quella di Cristo voluta liberamente per la salvezza dell‘umanità. Poi,

come era necessaria la trasformazione del corpo di Adamo nello stato spirituale,

così il corpo di Cristo doveva morire per risorgere, per diventare spirituale.

Soltanto quel grado di esistenza manifesta la piena unione tra Dio e l‘uomo, grazie

alla quale non vi sarà più posto per la morte.

Trovo utile aprire una lunga parentesi perché in questo passo Agostino

anticipò la crisi aftartodoceta.367

Il problema degli aftartodoceti non si riferisce

365 pecc. mer. 2, 29, 48. 366 Ricordiamoci che il cristianesimo dei primi secoli non festeggiava il Natale ma la

Teofania, cioè l‘apparizione di Dio. Nel IV secolo, sotto Giulio I, queste due feste furono

separate nella Chiesa Latina e tale separazione fu adottata al principio del V secolo nelle

Chiese di Siria e di Alessandria. Nel giorno dell‘Epifania il diacono annuncia il giorno in cui

dovrà cadere la Pasqua. Anticamente all‘Epifania (Teofania) precedeva un digiuno rigoroso

di un‘intera giornata (cf. H. KELLNER, Heortology: a history of the Christian festivals from

their origin to the present day, London 1908; F. X. WEISER, S.J., Handbook of Christian

Feasts and Customs, Orlando 1958, visibile su (www.neiu.edu/~history/Wei.htm); Л.

МИРКОВИЋ, Хеортологија или историјски развитак и богослужење празника

Православне источне цркве, Београд 1961). 367 L‘aftartodocetismo è dottrina che nacque al‘inizio del VI secolo dal

monofisismo. Suo corifeo fu il vescovo di Alicarnasso (nell‘attuale Turchia occidentale)

Giuliano, che proprio per la sua dottrina dell‘incorruttibilità del corpo di Cristo ruppe la sua

amicizia con Severo di Antiochia. Giuliano divenne vescovo durante il regno

dell‘imperatore Anastasio (491-518), monarca alquanto tollerante verso il monofisismo.

Tuttavia, alla salita al trono nel 518 dell‘ortodosso Giustino I (518-527), fu esiliato in Egitto

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112 Z. DJUROVIC

tanto alla cristologia quanto alla stessa natura umana, come notano Meyendorff e

R. Draguet.368

Gli aftartodoceti negavano che la natura umana assunta da parte del

Logos sia stata corruttibile, ossia mortale. Affermavano che con l‘incarnazione si

era realizzata la salvezza, perché questa natura, a causa dell‘unione con il Logos,

era divenuta incorruttibile. Come ci testimonia Leonzio di Bisanzio, nel suo

Dialogo contro gli aftartodoceti,369

questa posizione era assolutamente

inaccettabile. La forza della dimostrazione aftartodocetista era nella riconferma

dell‘affermazione ortodossa che la passione di Cristo è stata volontaria. Gli

aftartodoceti ponevano il quesito in termini di aut-aut: la carne soffriva non per

volontà del Logos o perché era soggetta alle leggi della natura? Se si afferma che il

corpo muore per volontà del Verbo, si dà ad intendere che esso per sua natura è

incorruttibile. Se si afferma che esso muore per sua costituzione naturale, significa

che non è morto per il peccato.370

Agostino risponde prima di Leonzio che il Verbo

permette al corpo, suscettibile per natura di soffrire, di subire quanto è naturale.371

dove fondò la corrente degli aftartodoceti o fantasiasti. Secondo questa dottrina, Cristo

aveva una natura umana incorruttibile, non solo dal momento della resurrezione, ma fin

dall‘incarnazione stessa. Quindi, Cristo non era normalmente soggetto ai desideri di fame,

sete, stanchezza, ecc. ma si sottoponeva volontariamente ad essi per amor nostro. Questa

sottomissione rappresenta un miracoloso intervento da parte del Logos. 368 Cf. J. MEYENDORFF, Byzantine Theology: Historical Trends and Doctrinal

Themes, London & Oxford 1975, pp. 157-158. 369 adv. Nestor. et Eutych. 2, PG 86, 1316-1357. Su Leonzio e gli aftartodoceti cf: F.

LOOFS, Leontius von Byzanz und die gleichnamigen Schriftsteller der griechischen Kirche, I:

Das Leben und die polemischen Werke des L. von Byzanz, Leipzig 1887 (=TU 3, 1-2); F.

DIEKAMP, Die origenistischen Streitigkeiten im sechsten Jahrhundert und das fünfte

allgemeine Konzil, Münster 1899; R. DEVREESSE, Le florilège de Léonce de Byzance, RSR

10 (1930) 545-576; M. RICHARD, Le traité De sectis et Léonce de Byzance, RHE 35 (1939)

695-723; E. SCHWARTZ, Kyrillos von Skythopolis, Leipzig 1939 (=TU 49, 2); S. REES, The

life and personality of Leontius of Byzantium, JThS 41 (1940) 263-280; M. RICHARD,

Léonce de Jérusalem et Léonce de Byzance, MSR 1 (1944) 35-88; B. ALTANER, Der

griechische Theologe Leontius von Byzanz und Leontius der skythische Mönch, ThQ 127

(1947) 147-165; C. MOELLER, Le chalcédonisme et le néochalcédonisme en Orient de 451 à

la fin du VIe siècle, in A. GRILLMEIER / H. BACHT (Hrsg.), Das Konzil von Chalkedon.

Geschichte und Gegenwart, Würzburg 1951, 637-720; J. MEYENDORFF, Christ in Eastern

Christian Thought, Washington, D.C. 1969; D. B. EVANS, Leontius of Byzantium: An

Origenist Christology, Washington D.C. 1970; L. PERRONE, La chiesa di Palestina e le

controversie cristologiche. Dal concilio di Efeso (431) al secondo concilio di

Constantinopoli (553), Brescia 1980; Il „Dialogo contro gli aftartodoceti‟ di Leonzio di

Bisanzio e Severo di Antiochia, Cristianesimo nella storia 1 (1980) 411-442. 370 PG 86, 1331. 371 Cf. Io. ev. tr. 3, 13; 41, 7: ―Sono diventato come un uomo indifeso, libero tra i

morti. Lui solo era libero, perché non aveva peccato. Ecco, sta per venire il principe di

questo mondo, ma in me non troverà nulla. Anche nei giusti che uccide trova qualche

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INIZIO E FINE 113

Il problema più difficile nasce dal parallelismo imperfetto tra Adamo e Cristo.

Secondo gli aftartodoceti, Cristo è stato chiamato il nuovo Adamo e quindi ha

preso il suo corpo prelapsario, che era incorruttibile, cioè senza peccato.372

Però, in

tal caso il corpo di Cristo non corrisponde a quello di tutti gli altri uomini. Leonzio

contesta la tesi che il corpo di Adamo fosse incorruttibile:

Infatti, [Adamo] non aveva nella sua costituzione l‘immortalità, né

incorruttibilità, altrimenti, credo, non avrebbe avuto bisogno dell‘albero della

vita, il cui uso gli fu interdetto dal peccato, come dicono i Padri, per divenire

immortale mangiando dei suoi frutti vitali; tuttavia non è il momento

opportuno di trattare tale argomento, poiché non stiamo parlando della

dottrina relativa ad Adamo... Il Signore unì ipostaticamente a se stesso una

carne come quella che ebbe Adamo dopo il peccato e noi tutti che

proveniamo dalla stessa materia.373

Leonzio infatti segue la scia origeniana dei Padri Orientali secondo i quali il

Protoplasto avrebbe dovuto avere un‘altra natura, perché quella materiale è

soggetta alla corruzione. Evita di parlare di Adamo perché la sua condizione

primitiva non si può includere nell‘economia della salvezza. L‘Adamo prelapsario

è distaccato dal resto dell‘umanità. D‘altra parte Leonzio, come Agostino, afferma

che Adamo aveva un corpo mortale, il che è in aperto conflitto con l‘impostazione

neoplatonica. Nella concezione agostiniana il passaggio dal primo Adamo agli altri

uomini è più leggero. Anche Adamo aveva un corpo mortale che doveva

trasformarsi. Paragonando Adamo e Cristo, quasi non si percepisce la differenza:

anche Cristo doveva essere trasformato. Trasformazione, cambiamento,

mutamento, passaggio drastico, in fondo non sono altro che diverse definizioni

della morte. Il soggetto mortale diventa immortale. Non si tratta, quindi, di una

piccola modifica del modo di essere. In ultima analisi, la primitiva comunione,

peccato, sia pure leggero, ma in me non troverà nulla. E come se gli si obiettasse: se in te

non troverà nulla, perché ti ucciderà?, egli subito aggiunge: Affinché tutti sappiano che io

faccio la volontà del Padre mio; levatevi, andiamo via di qui. Non sono costretto a morire,

dice, per pagare il prezzo del mio peccato, ma con la mia morte compio la volontà del Padre

mio: e con ciò non mi limito a patire, perché se non avessi voluto non avrei patito. Ho il

potere di dare la mia vita e ho il potere di riprenderla di nuovo. E così dimostra di essere

davvero libero tra i morti‖. 372 Con questa distinzione gli aftartodoceti volevano unire l‘affermazione che Cristo

aveva uno corpo incorruttibile con quelle della Scrittura (soprattutto Eb. 4, 15) dove si

afferma che il Salvatore prese tutto l‘umano eccetto il peccato. 373 PG 86, 1348.

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esistente fra Adamo e il Figlio dell‘uomo, indica che la perfetta unione tra Dio e

l‘uomo è cosa che riguarda un processo dinamico che si realizzerà nella futura

resurrezione dei corpi.

Mi sembra utile soffermarsi su questa differenza tra Agostino e i Padri

Orientali nel definire lo stato primordiale di Adamo. La posizione di Agostino è

chiara: Adamo aveva un corpo mortale. La posizione degli orientali si può

illustrare con un esempio dal commento di Teodoro Balsamono sul canone CIX del

concilio di Cartagine, dove si afferma che Adamo non è stato creato né mortale né

immortale, ma con il suo libero arbitrio poteva scegliere la mortalità o

l‘immortalità. Non fu come l‘uomo attuale, afferma Teodoro richiamandosi

all‘autorità di Gregorio Nazianzeno, secondo cui Adamo dopo il peccato prese un

corpo più consistente, mortale, cioè quello reale. Il suo corpo primitivo, dunque, fu

diverso dal nostro. Ecco come si esprime Teodoro:

Dio creò Adamo non mortale, né certamente immortale, ma intermedio tra la

sommità e la bassezza. Lo fece autonomo lasciandogli la libertà di scelta, sia

inclinandosi verso la virtù sia verso il male, venisse destinato o

all‘immortalità oppure alla mortalità, nonostante il fatto che allora l‘uomo

aveva la carne, ma non uguale a quella attuale. Ciò infatti disse Gregorio il

Teologo: ―[Adamo] si veste di tuniche di pelle, il che equivale (i;swj) a

questa carne più densa, mortale e resistente‖.374 Poiché prima della

trasgressione la carne di Adamo non era né densa, né mortale secondo la

natura. C‘erano infatti coloro che dicevano che [Adamo] sin dall‘inizio fu

creato mortale e che sarebbe morto anche se non avesse trasgredito il

precetto; che la morte non è entrata per il peccato, ma per la natura che

dall‘inizio fu tale. Costoro che pensavano in tale modo i Padri di questo

sinodo li hanno anatemizzato.375

374 or. 38, 12, PG 36, 324c. 375 PG 138, 368bc: To.n vAda.m o` Qeo.j ouv qnhto.n e;plasen, ouvde. me,ntoi avqa,naton,

me,son de. mege,qouj kai. tapeino,thtoj, kai. auvtexou,sion poih,saj auvto.n, ei;asen, w[ste o`pote,rwse neu,sei, ei;te pro.j avreth.n ei;te pro.j kaki.an, klhrw,sasqai auvto.n h ’ th.n avqanasi,an h ’ th.n qnhto,thta. Ka’n ga.r sa,rka ei[ce kai. to,te o` a;nqrwpoj, vall v ouvc oi[an nu/n. Kai. tou/to, fu,sin o` Qeolo,goj Grhgo,rioj, le,gwn\ Kai. tou.j dermati,nouj avmfie,nnutai citw/naj, i;swj th.n pacute,ran sa,rka kai. qnhth.n kai. avnti,tupon. [Wste pro. th/j paraba,sewj ou;te pacei,a h=n h` sa.rx tw|/ vAda.m, ou;te fu,sei qnhth,. =Hsan d v oi` le,gontej o;ti qnhto.j evx avrch/j evpla,sqh kai. qanei/n e;melle, ka’n mh. pare,bh th.n eutolh.n, kai. ouvci. di.a th.n avmarti,an evpeish/lqen o` qa,natoj, avlla. di.a th.n fu,sin toiau,thn gegonui/an avrch/qen. Tw/n ou=n tau/ta fronou,ntwn oi` th/j suno,dou tau,thj Pate,rej kateyhfi,santo to. avna,qema.

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INIZIO E FINE 115

Il grande commentatore dei canoni legge il testo di Gregorio senza

incertezze: le tuniche di pelle sono la carne attuale. Il corpo prima della caduta era

etereo. Perché dico che Teodoro legge la frase del Teologo senza insicurezze?

Perché gli interpreti, cominciando dal traduttore latino intendono l‘avverbio i;swj

nel senso di forse. Egli, infatti, traduce così: Pelliceas quoque vestes induit, forte

densiorem carnem et mortalem et resistentem. La medesima linea d‘interpretazione

seguono le versioni russa, inglese e quella italiana.376

Così Chiara Sani e Maria

Vincelli scrivono richiamandosi all‘autorità di Claudio Moreschini: ―Gregorio,

come già aveva fatto Origene, interpreta le tuniche di pelle di cui parla la Genesi

come il corpo umano di cui l‘uomo fu provvisto come conseguenza del primo

peccato. Questa stessa interpretazione, senza la sfumatura di incertezza che si trova

in questo passo, ricorre in Carm. I 1, 8, 115‖.377

Ė vero che l‘avverbio i;swj si può

tradurre come forse, probabilmente, con un significato che era prevalente nel

mondo bizantino, tuttavia, il suo significato classico è: ugualmente, giustamente da

dove nell‘epoca post-classica prese il senso affermativo: certamente. Dunque, io

non tradurrei la frase di Gregorio (Kai. tou.j dermati,nouj avmfie,nnutai citw/naj,

i;swj th.n pacute,ran sa,rka kai. qnhth.n kai. avnti,tupon) come si trova nella

traduzione italiana ―Allora si vestì di tuniche di pelle, che sono forse questa carne

più spessa che portiamo, che è mortale e resistente‖, ma: ―Si veste di tuniche di

pelle, il che equivale a questa carne più densa, mortale e resistente‖. In questo caso

il presente avmfie,nnutai si deve tradurre con il presente (come fece anche il

traduttore latino) e non con il passato remoto – nonostante che sia legittimo

tradurre il presente storico con uno dei tempi passati – perché lo richiede la logica

del discorso di Gregorio. Egli difatti collega la caduta di Adamo con quella nostra,

esclamando: ―Oh, quanto sono debole! Mia, infatti, è la debolezza del mio

progenitore‖. Inoltre, che Gregorio non fosse indeciso riguardo a questo problema,

lo testimoniano i suoi versi del Carm. I 1, 8, 115378

e la comprensione da parte di

376 Cf. Творения иже во святых отца нашего Григория Богослова,

архиепископа Константинопольского. Ч. 1. М. 1843, p. 528; GREGORY NAZIANZEN,

NPNF, Series II, Vol. VII, trad. P. SCHAFF, New York 1893, p. 631. 377 GREGORIO DI NAZIANZO, Tutte le orazioni, trad. con testo a fronte e note di C.

SANI e M. VINCELLI, a cura di C. MORESCHINI, Milano 2000, p. 1352. 378 Anche nel precedentemente citato carm. dogm. 8 Gregorio scrive in tal senso: ―Il

paradiso, secondo me, è la vita celeste (zwh. d v ouvrani,h)... L‘uomo si vestì di tuniche di

pelle, ossia di corpo pesante (sa,rka barei/an), che porta alla morte (nekrofo,roj), perché il

Cristo con la morte delimitò la trasgressione. Allora andò fuori dal bosco sacro (a;lseoj) sulla terra dalla quale aveva origine‖ (PG 37, 455). È interessante notare che Gregorio per

determinare il nostro corpo usa il termine nekrofo,roj che è il appellativo per l‘operaio o la

persona che porta i morti alla sepoltura.

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116 Z. DJUROVIC

Teodoro, che subito dopo aver citato Gregorio, continuò con w[ste quindi, perciò,

dunque. Sarebbe giusto orientarsi a leggere la frase di Gregorio in questo modo,

perché è più ragionevole, scorre infatti senza l‘ostacolo di questo forse.

Possiamo affermare che nel mondo bizantino la concezione più diffusa

riguardo allo stato primordiale dell‘uomo fu quella di Origene.379

Questo concetto

comporta due gravi dilemmi: 1) Non si capisce il ruolo del primitivo corpo di

Adamo. Esso, non essendo assunto dal Logos, non è stato neanche salvato. Come

mai, dunque, un ente desiderato da Dio si perde? 2) La materia che costituisce il

nuovo corpo non è positivamente valutata. Questa concezione si avvicina

pericolosamente alle idee gnostiche e manichee. Il corpo dell‘uomo attuale non fu

voluto come tale da Dio dall‘inizio. Tale impostazione il primo Agostino, che

sosteneva la tesi di un corpo etereo, la condivideva senza esitazioni. Il lato

persuasivo di questo concetto è che non permette che la materia in questo modo

(attuale) strutturata possa essere immortale. L‘Adamo mortale del posteriore

Agostino, secondo loro, non poteva essere neanche condizionatamente immortale.

D‘altra parte, la forza dell‘interpretazione agostiniana consiste nell‘avere evitato il

pericolo latente di manicheismo (disprezzo della carne) nell‘impostazione dei Padri

Orientali. La sua debolezza invece è nell‘avere tentato di spiegare in modo

persuasivo come qualcosa, deperibile in se stesso, possa continuare a durare.

Il Cristo completo ha preso tutta la sostanza umana con le proprie qualità

originali. Agostino fa chiara distinzione dei corpi (corpus mortale, moriturum,

mortuum),380

cioè del modo di essere: 1) corpo mortale, quello di Adamo prima del

peccato, 2) corpo morituro, quello che per necessità muore e 3) corpo che è morto

per causa del peccato. Tutti gli uomini hanno corpi mortali, morituri e morti.

Adamo prima del peccato non aveva il corpo morituro. Il Salvatore non aveva il

corpo morto, aveva quello mortale-morituro. La trasformazione invece che ci sarà

nella futura risurrezione escluderà non solo la morte, ma anche la mortalità che il

corpo animale aveva prima del peccato. Il corpo animale risorgerà come corpo

spirituale e questo corpo mortale si vestirà d‘immortalità.381

Dunque, la mortalità

che è la conseguenza inevitabile della creaturalità, poteva essere superata

solamente con l‘unione con Colui che non conosce la nascita.

Il corpo spirituale risorto non è un corpo fornito di una determinata qualità,

come se la spiritualità fosse una qualità specifica del corpo,382

ma è la qualità

379 Cf. J. N. D. KELLY, Early Christian Doctrines, London 51985, p. 348-351. 380 Cf. pecc. mer. 1, 2, 2. 381 Cf. pecc. mer. 1, 5, 5. 382 ―La fede cristiana non ha alcun dubbio sul Salvatore perché anche dopo la

risurrezione, quindi in una carne spirituale ma reale, consumò cibo e bevanda assieme ai

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INIZIO E FINE 117

particolare che risulta dall‘unione con Dio, quindi non condizionata dal peccato,

ma prestabilita dall‘inizio poiché il corpo di Adamo sarebbe stato trasformato in

corpo spirituale. Anche se esso non è spirito, perché mantiene carne e ossa, diventa

lucido, trasparente, leggero, simile all‘angelico, incorruttibile e non bisognoso di

cibarsi.383

Su questo Agostino riflette soprattutto nell‘ultimo libro del De civitate

Dei. Il corpo spirituale è quello a cui l‘uomo comincia a partecipare col

battesimo.384

Per mezzo di questo gli uomini diventano cristi: ―Possiamo

giustamente considerare cristi tutti gli unti col suo crisma e tutto questo corpo

assieme al suo Capo, l‘unico Cristo‖.385

Cristo risorto ha portato un altro modo di

esistere: vivere nel corpo spirituale. Il secondo Adamo ci ha trasformati in dèi; le

due nature, increata e creata, si scambiano le proprietà (communicatio idiomatum).

L‘uomo s‘identifica con il divino attraverso il Mediatore che trasferisce in sé i

propri seguaci e aggiudica a sé i loro naturali attributi creaturali, perché capo e

corpo sono il medesimo Cristo.386

Ecco, dice con enfasi Agostino davanti al

mistero del totus Christus,

qual è l‘uomo perfetto, Capo e Corpo, che è costituito da tutte le membra che

a suo tempo saranno una realtà compiuta, sebbene si aggiungono ogni giorno

mentre si edifica la Chiesa.387

discepoli. Ai corpi risorti dunque non sarà tolto il potere ma il bisogno di mangiare e bere

(non enim potestas, sed egestas edendi ac bibendi talibus corporibus auferetur). Saranno

anche spirituali non perché cessano di essere corpo, ma perché continueranno ad esistere

nello spirito che dà loro la vita‖ (civ.13, 22). 383 Cf. Gn. litt. 6, 24, 35; 9, 6, 10; civ. 13, 18-19; 13, 24, 6; 22, 24, 5; 22, 29, 26. 384 Cf. pecc. mer. 1, 16, 21: ―Ogni bambino dunque che viene generato

carnalmente... ha bisogno d‘essere rigenerato spiritualmente... I bambini quindi nascono

nella carne soggetti inseparabilmente al peccato e alla morte del primo uomo e rinascono nel

battesimo associati inseparabilmente alla giustizia e alla vita eterna del secondo uomo.‖ 385 civ. 17, 4, 9. 386 civ. 17, 18, 1. Oppure come scrive altrove: ―Quando il volto di Cristo ci sarà

svelato, ci trasformeremo in modo da riprodurre in noi la sua medesima immagine‖ (ep. 147,

25, 51). 387 civ. 22, 18. Per questo tema si possono consultare: T. J. VAN BAVEL, Recherches

sur la christologie de saint Augustin. L‟humain et le divin dans le Christ d‟après saint

Augustin, Fribourg 1954; BAVEL VAN T. J. / BRUNING B., Die Einheit des Totus Christus bei

Augustinus, in Scientia Augustiniana: Studien über Augustinus, den Augustinismus und den

Augustineorden, MAYER C. P. & ECKERMANN W., ed., Würzburg 1975, 43-75; R. BERNARD,

La prédestination du Christ total selon saint Augustin, in RecAug 3 (1965) 1-58; E. FRANZ,

Totus Christus. Studien über Christus und die Kirche bei Augustin, Diss., Bonn 1956; S. J.

GRABOWSKI, The Role of Charity in the Mystical Body of Christ according to Saint

Augustine, REAug 3 (1957) 29-63; G. MADEC, Christus, AL 1 (1986-1994) 845-908; J.

NIEWIADOMSKI, Gewaltfreiheit und die Konzeption des Totus Christus? Anmerkungen zum

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118 Z. DJUROVIC

Cristo risorto, Chiesa, corpo spirituale o incorruttibile sono, dunque, i

sinonimi. Grazie proprio alla communicatio idiomatum che si svolge in una

persona sola, quella del Verbo di Dio, noi possiamo parlare di Cristo Integrale con

cui, in cui e per cui tutto l‘universo è creato. Benché si tratta di un solo Cristo, il

Capo ha una precedenza rispetto al suo Corpo.388

È la persona, infatti, del Figlio di

Dio è colei che causa e costituisce il suo corpo, o, meglio, se stesso.389

Egli

raccoglie in sé non semplicemente una natura umana in abstracto, ma tutti i salvati

in ogni tempo esistiti:

Il Signore Gesù Cristo, uomo perfetto nella sua totalità, è capo e corpo.

Riconosciamo il capo in quell‘uomo che nacque da Maria Vergine, patì sotto

Ponzio Pilato, fu sepolto, risuscitò, ascese in cielo e siede alla destra del

Padre, donde attendiamo che venga come giudice dei vivi e dei morti. Egli è

il capo della Chiesa. Il corpo di questo capo è la Chiesa: non quella che si

trova in questo luogo, ma quella che è in questo luogo ed in tutto il mondo;

né soltanto quella che esiste ai nostri tempi, ma quella che è esistita dai tempi

di Abele e che esisterà fino a coloro che nasceranno alla fine e crederanno in

Cristo. Perché la Chiesa è tutto il popolo dei santi che appartengono ad una

stessa città; e questa città è il corpo di Cristo, il cui capo è Cristo.390

Problem einer augustinischen Einheitsvorstellung, Aug(L) 41 (1991) 567-574; G. PHILIPS,

L‟influence du Christ-Chef sur son Corps mystique suivant saint Augustin, AugMag 2, 805-

815; A. PIOLANTI, Il mistero del ―Cristo totale‖ in S. Agostino, AugMag 3, 453-469. 388 Cf. en. Ps. 40, 6. In altro luogo Agostino scrive: ―Ascoltiamo dunque il Cristo in

quanto è uno, ma tuttavia ascoltiamo il Capo come Capo, e il Corpo come Corpo. Non si

dividono le persone, ma si distingue la dignità; poiché il Capo salva, mentre il Corpo è

salvato. Manifesti il Capo la misericordia, pianga il Corpo la sua miseria. Al Capo spetta

purificare, al Corpo confessare i peccati; una sola tuttavia è la voce, quando non sta scritto

quando è il Corpo che parla, e quando il Capo; ma noi, nell‘ascoltare la voce, operiamo la

distinzione, mentre Egli parla come se fosse uno solo… Colui che disse a Saulo: Saulo,

Saulo, perché mi perseguiti? Eppure Egli in cielo non soffriva più alcuna persecuzione. Ma

allo stesso modo in cui là il Capo parlava per il Corpo, così anche qui il Capo dice le parole

del Corpo, mentre udite ancora la voce del Capo. Ebbene, anche quando udite le parole del

Corpo, non separatene il Capo; né quando udite le parole del Capo separate il Corpo; perché

non sono più due, ma una sola carne‖ (en. Ps. 37, 6). 389 Gn. litt. 10, 18, 32; en. Ps. 83, 5: ―Noi tutti che siamo i figli di Core e tutti siamo

un uomo solo, poiché unico è il corpo di Cristo. Come infatti non sarebbe un unico uomo se

ha una sola testa? E capo di noi tutti è Cristo; e noi tutti siamo il corpo di quel capo‖. 390 en. Ps. 90, II, 1.

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INIZIO E FINE 119

In Cristo Universale viene attuato il primitivo disegno di Dio, e tale disegno

includeva in sé al primo posto, o tempo, la creatura intellettuale. La creazione per il

primo Agostino era perfetta e la salvezza sottintende un ripristino delle creature

dotate di intelligenza. Agostino credeva che il numero degli uomini santi dovesse

sostituire le schiere angeliche cadute. In tal modo l‘intento divino doveva essere

restaurato. Maturando, Agostino abbandonerà l‘idea che i santi servono per

riempire i vuoti provocati dalla ribellione degli angeli. Gli uomini insieme agli

angeli creano il corpo mistico di Cristo.391

Il punto d‘incontro è il Capo che è salito

in Cielo, che è, come sappiamo bene, popolato dagli angeli santi. Gli uomini dopo

la risurrezione saranno uguali agli angeli con i quali godranno del Verbo, in cui gli

angeli sono i primi esseri creati seguiti poi dagli esseri materiali o temporali.392

Ci rimane un difficile problema da interpretare: dove è ora il Cristo

Universale? È forse diviso in due? ovvero il Capo non è collegato al Corpo?

Abbiamo due possibili soluzioni, entrambe presenti nei testi agostiniani, ma mai

uniti in un sistema globale.393

A) Capo e Corpo non sono uniti, perché il Capo sta

391 Gn. litt. 11, 24, 31. 392 Gn. litt. 4, 24, 41; civ. 9, 23. 2. Che gli uomini saranno simili a loro nella

immortalità e felicità, cioè che i giusti in cielo saranno uguali a loro cf. civ.: 22, 17, 20. 3;

11, 13; 7, 35; 8, 24. 3, 25; 10, 1, 1; 11, 4; 12, 1; 20, 14; 21, 6. 1. 2, 13; 22, 29, 1. 30, 2. 393 A. Trapè sostiene che le difficoltà che alcuni trovano nell‘interpretarne il

pensiero agostiniano nasce dalla realtà complessa e misteriosa della Chiesa stessa, una realtà

storica insieme ed escatologica, e non dal pensiero non chiaro di Agostino. Egli ―difese

l‘unità e l‘universalità, l‘apostolicità e la santità della Chiesa. Fu prima di tutto apostolo e

teologo dell‘unità, che suppone, quando è piena, la comunione di fede, di sacramenti e di

amore… Questa dottrina… si fonda su due altre… una cristologica, quella del Cristo totale,

per cui Cristo, come Capo, è sempre presente ed operante nella Chiesa, che è il suo corpo…

un‘altra pneumatologica, quella dello Spirito Santo anima del corpo mistico [cf. serm. 267,

4] per cui il principio ‗della comunione che costituisce l‘unità della Chiesa di Dio‘ è Colui

che in Dio è la ‗comunione del Padre e del Figlio‘ [serm. 71, 20, 30]. Perciò ‗solo la Chiesa

cattolica è corpo di Cristo... Fuori di questo corpo nessuno è vivificato dallo Spirito Santo‘

[ep. 185, 11, 50; cf. Io. ev. tr. 26, 13]… La Chiesa dunque è di natura essenzialmente

escatologica, anche se non esclusivamente… Come non si può dubitare che la Chiesa già qui

in terra sia il regno di Dio, anche se in modo non ancora perfetto: ‗dove ci sono le due

categorie (cattivi e buoni), è la Chiesa del presente; dove c‘è solo la seconda [categoria dei

predestinati], è la Chiesa del futuro... Dunque anche nel presente la Chiesa è il regno di

Cristo e il regno dei cieli‘ [cf. civ. 20, 9, 1]. Perciò due tempi della stessa Chiesa [cf. brevic.

9, 16], non due chiese [ib. 10, 20]‖ (A. TRAPÈ, la voce: Il Teologo, in Il Pensiero,

www.augustinus.it/pensiero/teologo/vpsa_5_06_testo.htm.).

In un‘altra introduzione, Trapè sottolinea la differenza tra gli studiosi cattolici e

protestanti, dove primi (cf. J. RATZINGER, Volk und Haus Gottes in Augustins Lehre von der

Kirche, München 1954; C. JOURNET, L‟ Eglise du Verbe incarné 2, Paris 1951) tendono a

identificare la Chiesa terrestre con quella escatologica, gli secondi invece hanno un altro

approccio e parlano di doppelter Kirchenbegriff (L‟introduzione generale, in A. AUGUSTIN,

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120 Z. DJUROVIC

in cielo, il Corpo sulla terra. La chiesa pellegrina deve ancora affaticarsi sulla via394

che la dovrà portare in cielo. La risurrezione di tutti gli uomini e la trasformazione

dell‘universo ancora non è avvenuta. B) Tuttavia, il Cristo terrestre ha pregato per

noi, ha sofferto per noi, noi eravamo in lui. Cristo ha una strettissima relazione con

il suo corpo, e rimarrà con noi fino alla consumazione dei tempi. Il suo Corpo, cioè

―la Chiesa, esiste originariamente là dove, dopo la risurrezione, deve essere riunita

anche la Chiesa di quaggiù‖.395

Qui è il problema: la Chiesa degli angeli è una

realtà extra temporale. La Chiesa, il Cristo Universale ―già‖ esiste. Non esiste

soltanto come un concetto, come una cosa predestinata, ma come una realtà libera

dai confini temporali. L‘immutabilità del piano divino, infatti, dovrebbe

sottintendere ciò. Di conseguenza, il mondo temporale viene sorretto non dal

mondo delle idee situato sopra quello storico, ma dal mondo escatologico, quello

che – come almeno i cristiani sperano – verrà. Agostino si rammarica di aver

sostenuto, da giovane, l‘esistenza di due mondi, l‘uno sensibile e l‘altro

intelligibile. Anche se non era sbagliata l‘idea platonica del mondo intelligibile, il

vocabolo ―nuovo mondo‖ nel linguaggio della Chiesa non assume più un

significato platonico.396

La verità di questo mondo sarà rivelata soltanto con la

storica composizione del Cristo Universale. Come l‘inizio del tempo aveva un

punto di partenza, così la fine dei tempi avrà un confine ben definito, dopo di che si

entrerà nell‘eternità. La visione agostiniana si potrebbe definire in questo modo:

O Državi Božjoj. De civitate dei, I, Zagreb 1982, pp. 74-75). Dopo le ricerche di GILSON

(Introduction à l‟étude de saint Augustin; id., Eglise et Cité de Dieu chez saint Augustin,

AHDL 28 (1953) 5-23), queste due letture ammorbidiscono i toni e provano di conciliarsi. 394 en. Ps. 30, II, 2, 3: ―Giacché senza di Lui noi siamo niente; ma in Lui siamo

Cristo e noi. Perché? Perché il Cristo integrale è Capo e Corpo. Il Capo è quel Salvatore del

Corpo che è già asceso in cielo; il Corpo è invece la Chiesa che si affatica in terra. Se questo

Corpo non fosse unito al suo Capo con il vincolo della carità, in modo da fare uno del Capo

e del Corpo, non avrebbe detto dal Cielo, rimproverando un certo persecutore: Saulo, Saulo,

perché mi perseguiti? Dal momento che Lui, già asceso in cielo, nessun uomo poteva più

toccare, in qual modo Saulo, che in terra incrudeliva contro i cristiani, avrebbe potuto

colpirlo con le sue offese? Non disse: perché perseguiti, i miei santi, perché perseguiti i miei

servi, ma perché mi perseguiti, cioè perché perseguiti le mie membra? Il Capo gridava a

nome delle membra, impersonandole in sé‖.

La chiesa pellegrina è una realtà non totalmente identica con quella escatologica,

perché è un corpus permixtum per volontà di Cristo stesso, come Agostino imparò da

Ticonio. L‘ottimismo trionfante di Eusebio di Cesarea, o di Ottato di Milevi, oppure le

tendenze puritane di Novaziano e di Donato, erano estranee al pensiero d‘Ipponate.

Condivido quanto scrive Michael J. Scanlon: ―This ‗City of God‘ is not identical with the

Church, but it is made manifest by the Church (an understanding similar to Vatican II‘s

‗Church as Sacrament‘)‖ (voce Eschatology, in AugE, p. 317). 395 Gn. litt. 5, 19, 38. 396 retr. 1, 3, 2.

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INIZIO E FINE 121

tutto l‘universo è stato creato in seme che si sviluppa col tempo e porta il frutto alla

fine. I limiti di questo processo, punti A e W, hanno le loro cause fuori di sè e,

quindi, non si possono spiegare partendo da essi. Anzi, come essi sono retti

dall‘esterno, così anche la crescita dell‘universo non può essere spiegata soltanto

richiamandosi alle leggi della fisica. Sappiamo che le leggi fisiche non valgono

nelle situazioni estreme: atomo primordiale e fine dell‘universo; e pure non siamo

ancora riusciti a raggiungere quella particella (campo?) che sta nel fondo del nostro

mondo fisico. Non abbiamo risposto alle domande che tormentavano il nostro

autore.

La speculazione agostiniana segue questi due canali per ragioni, secondo il

mio parere, di natura pratica. Egli, infatti, non vorrebbe che la sua teoria del corpo

mistico di Cristo portasse all‘abbandono della vita quotidiana e all‘indifferenza

riguardo al mondo in cui ci troviamo e in cui svolgiamo l‘attività pratico-religiosa.

La sua dottrina della predestinazione conduceva alcuni all‘apatia. Egli criticherà

tale lettura dei suoi scritti nel De correptione et gratia. I monaci di Adrumeto,

infatti, concludevano che, se è necessaria la grazia, è inutile la correzione. In

risposta Agostino approfondisce la dottrina della predestinazione e dell‘efficacia

della grazia, diversa prima e dopo il peccato originale, sostenendo che la grazia,

pur rendendo salutare la correzione, non toglie il libero arbitrio. Dall‘indifferenza

ci salva l‘ignoranza: noi non sappiamo chi mai sia o non sia predestinato, ossia

santo; non dobbiamo perciò fare alcuna eccezione e nessuna distinzione, ma volere

che siano salvi tutti gli uomini per i quali preghiamo.397

Osservando i

comandamenti divini mostreremo, anche se soltanto in speranza, nel miglior modo

che apparteniamo al corpo Universale di Cristo. Proprio tale beata ignoranza ci

dovrebbe aprire a Dio, non immobilizzarci. Sperare è scommettere, come

suggeriva una volta Pascal.

397 Cf. corrept. 15, 46. Un recente studio sulla predestinazione: J. WETZEL, Snares of

Truth: Augustine on Free will and Predestination, in ROBERT DODARO & GEORGE LAWLESS,

eds., Augustine and His Critics, NY 2000, 124-141.

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ABBREVIAZIONI DI COLLEZIONI E RIVISTE

ACO

AHDL

AL

ASE

AThA

Aug.

AugE

Aug(L)

AugMag

AugStud

BA

BBKL

CAG

CiAugXVI

CCG

CCL

CSCO

CSEL

CQ.NS

Dialeg.

DK

Acta Conciliorum Oecomenicorum, edd. E. SCHWARTZ &

J. STRAUB, Berlin 1914.

Archives d'Histoire doctrinale et littéraire du Moyen âge,

Paris.

Augustinus-Lexikon, ed. C. MAYER, red. K.H. CHELIUS.

Basel 1986-1994.

Annali di storia dell'esegesi, Bologna.

L'année théologique augustinienne, Paris.

Augustinianum, Roma.

Augustine Through the Ages: An Encyclopedia, ed. A. D.

FITZGERALD, Grand Rapids, Michigan 1999.

Augustiniana. Tijdschrift voor de studie van Sint

Augustinus ed de Augustijnenorde, Leuven.

Augustinus Magister, I-III, Paris 1954.

Augustinian Studies, Villanova.

Bibliothèque Augustinienne, Paris.

Biographisch-Bibliographisches Kirchenlexikon, Hamm.

Commentaria in Aristotelem Graeca, 23 voll. Berlin 1882-

1909.

Atti del Congresso internazionale su s. Agostino nel XVI

centenario della conversione, Roma 15-20 settembre

1986, 3 voll. SEA 24-26, Roma 1987.

Corpus Christianorum. Series Graeca, Tournhout-Paris.

Corpus Christianorum. Series Latina, Tournhout-Paris.

Corpus Scriptorum Christianorum Orientalium, Louvain.

Corpus Scriptorum Ecclesiasticorum Latinorum, Vienna.

The Classical Quarterly New Series, London.

Dialegesthai, Roma.

Die fragmente der Vorsokratiker, ed. DIELS H. & KRANZ

W., VII ed., 3 voll. Berlin 1951-1954.

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ABBREVIAZIONI DI COLLEZIONI E RIVISTE 123

DPAC

DSp

ÉPhM

ÉtudAug

ÉtB

Evh.

GCS

GCS NF

GiulHirp

GM

Greg.

GrNy

HSPh

HThR

IPQ

Irén.

JACh

JÖB

JThS

Koin.

LCL

Msi

ML

MSR

NBA

NDPAC

NDT

NPNF

Dizionario patristico e di antichità cristiane, A. DI

BERARDINO ed., 3 voll., Casale Monferrato 1983-1988.

Dictionnaire de Spiritualité ascétique et mystique, Paris.

Études de philosophie medieval, Paris.

Études augustiniènnes, Paris.

Études bibliques, Paris.

Evharisterion, Atene.

Griechischen Christlichen Schriftsteller, Leipzig-Berlin.

Die Griechischen Christlichen Schriftsteller der Ersten

Jahrhunderte, Neue Folge, Berlin.

Giuliano d‟Eclano e l‟Hirpinia christiana, Atti del

convegno 4-6 giugno 2003, a cura di ANTONIO V.

NAZZARO, Napoli 2004.

Giornale di Metafisica, Genova.

Gregorianum, Roma.

Gregorii Nysseni Opera, Leiden.

Harvard Studies in Classical Philology, Cambridge.

The Harvard Theological Review, Cambridge.

International Philosophical Quarterly, New York.

Irénikon, Chevetogne.

Jahrbuch für Antike und Christentum, Münster.

Jahrbuch der Österreichischen Byzantinistik, Wien.

Journal of Theological Studies, Oxford.

Koinonia, Napoli.

Loeb Classical Library, Cambridge, Massachusetts.

Sacrorum conaliorum nova et amplissima collectio, ed. J.

D. MANSI (cont. J. B. MARTIN & L. PETIT), 53 voll.,

Firenze-Venezia-Paris-Leipzig 1759-1927 (rist. anastatica

Graz 1960-1961).

Museum Lessianum, section théologique, Bruxelles.

Mélanges des Sciences Religieuses, Lille.

Nuova Biblioteca Agostiniana, Roma.

Nuovo Dizionario Patristico e di antichità cristiane, I-III a

cura di A. DI BERARDINO, Genova-Milano 2008.

The New Dictionary of Theology, ed. J. KOMANCHAK, et

al., Wilmington 1987.

Early Church Fathers Nicene and Post-Nicene, T&T

Clark, 1886-1900.

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124 Z. DJUROVIC

NS

Origene.

Orthodox

Readings

PA

PACS

PG

PhR

PL

PTS

QVetChr

RA

RAC

REAug

RecAug

RecThéol

REG

RFN

RHE

RIPh

RMet

RSLR

RSR

RThAM

SAugLS

SC

The new Scholasticism, ed., American Catholic

Philosophical Association.

Dizionario Origene. Dizionario, a cura di A. MONACI-

CASTAGNO, Roma 2000.

Orthodox Readings of Augustine, First International

Conference of the Orthodoxy in America Lecture Series,

co-sponsored by the Center for Medieval Studies,

Fordham University, June 14-16, 2007, at the Rose Hill

campus of Fordham University in The Bronx. Ed.

ARISTOTLE PAPANIKOLAOU & GEORGE E.

DEMACOPOULOS, New York 2008.

Philosophia Antiqua, Leiden.

Philo of Alexandria Commentary Series, Leiden.

Patrologiae cursus completus, series Graeca, J.-P. MIGNE,

Paris.

The Philosophical Review, Durham.

Patrologiae cursus completus, series Latina, J.-P. MIGNE,

Paris.

Patristische Texte und Studien, Berlin.

Quaderni di Vetera Christianorum, Bari.

Revue d‟Assyriologie et d‟Archéologie Orientale, Paris.

Reallexikon für Antike und Christentum, Stuttgart.

Revue des Études augustiniennes, Paris.

Recherches Augustiniennes, Paris.

Recherches de Théologie Ancienne et Médiévale, Leuven-

Paris.

Revue des Études Grecques, Paris.

Rivista di Filosopfia neo-scolastica.

Revue d‟Histoire Ecclesiastique, Leuven.

Revue Internationale de Philosophie, Brüssel.

The Review of Metaphysics, Washington.

Rivista di storia e letteratura religiosa, Torino.

Recherches de science religieuse, Paris.

Recherches de Théologie Ancienne et Médiévale, Leuven-

Paris.

The Saint Augustine lecture series: Saint Augustine and

the Augustinian tradition, Villanova.

Sources Chrétiennes, Paris.

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ABBREVIAZIONI DI COLLEZIONI E RIVISTE 125

SCJ

SEA

SKGG

SP

SPCK

StP

StPhA

SVF

SVTQ

ThQ

ThSt

TU

TV

Vig. Chr.

ZNW

The Second Century Journal, Abilene.

Studia Ephemeridis Augustinianum, Roma.

Schriften der Königsberger gelehrten Gesellschaft, Halle.

Sussidi Patristici, Roma.

The Society for Promoting Christian Knowledge, London.

Studia patristica. Texte und Untersuchungen zur

Geschichte der altchristlichen Literatur, Berlin.

The Studia Philonica Annual, Oxford.

Stoicorum Veterum Fragmenta, ed. H. VON ARNIM (voll.

1-3) & M. ADLER (vol. 4) Leipzig: Teubner, 1903-1905,

1924.

St. Vladimir‟s Seminary Quarterly, New York.

Theologische Quartalschrift, Tübingen-Stuttgart.

Theological Studies, Woodstock/Maryland.

Texte und Untersuchungen zur Geschichte der

altchristliche Literatur, Leipzig-Berlin.

Teologia y Vida, Chile.

Vigiliae Christianae, Amsterdam.

Zeitschrift für die Neutestamentliche Wissenschaft und die

Kunde der Alteren Kirche, Berlin.

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ABBREVIAZIONI DI OPERE DEGLI AUTORI ANTICHI

1. Agostino

agon. = De agone christiano

b. coniug. = De bono coniugali

beata v. = De beata vita

c. acad. = Contra academicos

c. Adim. = Contra Adimantum

c. Faust. = Contra Faustum manichaeum

c. Iul. = Contra Iulianum

c. prisc. et orig. = Contra Priscillianistas et Origenistas

c. s. arian. = Contra sermonem Arianorum

cat. rud. = De catechizandis rudibus

civ. = De civitate dei

conf. = Confessiones

cons. ev. = De consensu evangelistarum

corrept. = De correptione et gratia

div. qu. = De diversis quaestionibus octoginta tribus

div. qu. Simp. = De diversis quaestionibus VII ad Simplicianum

doctr. chr. = De doctrina christiana

en. Ps. = Enarrationes in Psalmos

ench. = Enchiridion ad Laurentium de fide et spe et caritate

ep. = Epistulae

f. et symb. = De fide et symbolo

gest. Pel. = De gestis Pelagii

Gn. c. man. = De Genesi contra manichaeos

Gn. litt. = De Genesi ad litteram

Gn. litt. imp. = De Genesi ad litteram imperfectus liber

gr. et pecc. or. = De gratia Christi et de peccato originali

imm. an. = De immortalitate animae

Io. ev. tr. = Tractatus in evangelium Iohannis

lib. arb. = De libero arbitrio

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ABBREVIAZIONI DI OPERE DEGLI AUTORI ANTICHI 127

mag. = De magistro

mor. = De moribus ecclesiae catholicae et de moribus manichaeorum

mus.= De musica

opus imp. = Opus imperfectum contra Iulianum

ord. = De ordine

pecc. mer. = De peccatorum meritis et remissione et de baptismo parvulorum ad

Marcellinum

quant. an. = De quantitate animae

retr. = Retractationes

serm. = Sermones

sol. = Soliloquia

trin. = De trinitate

vera rel. = De vera religione

2. Altri autori antichi

AMBROGIO DI MILANO

Cain = De Cain et Abel

ep. = Epistulae

exp. Ev. Lc. = Expositio evangelii secundum Lucam

hex. = Hexaemeron

in Ps. = Ennarationes in XII psalmos Davidicos

Isaac = De Isaac et anima

parad. = De paradiso

Satyr. = De excessu fratris sui Satyrus

AMBROSIASTER

comm. in Corint. I = Commentaria in Epistolam ad Corinthios Primam

ARISTIDE

apol. = Apologia

ARISTOTELE

anim. = De anima

cael. = De caelo

de gen. an. = De generatione animalium

de gen. corr. = De generatione et corruptione

met. = Metaphysica

Nic. = Ethica Nicomachea

phy. = Physica

top. = Topica

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128 Z. DJUROVIC

ATANASIO ALESSANDRINO

or. II c. Arian. = Orationes tres contra Arianos

incarn. = De incarnatione Verbi

BASILIO IL GRANDE

hex. = Homiliae in hexaemeron

CICERONE

Acad. post. = Academica posteriora

nat. deor. = De natura deorum

CIPRIANO

zelo. = De zelo et livore

CLEMENTE DI ALESSANDRIA

exc. ex Theod. = Excerpta ex Theodoto

strom. = Stromateis

DAMASCENO GIOVANNI

fid. = De fide ortodoxa

DAMASCIO

in Parm. = Dubitationes et solutiones de primis principiis in Platonis Parmenidem

DIOGENE

vit. = Vitae philosophorum

EFREM IL SIRO

comm. Gen. = Commentarii in Genesim

parad. = De paradiso

EPIFANIO

panar. = Panarion

ERODOTO

hyst. = hystoriae

ESIODO

Op. dies. = Opera et dies

EUSEBIO DI CESAREA

praep. Ev. = Praeparatio evangelica

hist. = Historia ecclesiastica

FILONE DI ALESSANDRIA

aet. mundi = De aeternitate mundi

leg. all. = Legum allegoriae

opif. = De opificio mundi

provid. = De providentia

quaest. = Quaestiones in Genesim

somn. = De somniis

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ABBREVIAZIONI DI OPERE DEGLI AUTORI ANTICHI 129

vita Mos.= De vita Mosis

GIOVANNI CRISOSTOMO

hom. in Gen. = In Genesim

GIROLAMO

apol. = Apologia adversus libros Rufini

in Eccl. = Commentaria in Ecclesiasten

in Mich. = Commentaria in Michaeam

lib. ps. = Liber Psalmorum

quaest. hebr.= Quaestiones hebraicae in Genesim

viris ill. = De viris illustribus

GIULIANO IMPERATORE

c. Galil. = Contra Galilaeos

GIUSEPPE FLAVIO

bell. Iud. = Bellum Iudaicum

GIUSTINO FILOSOFO

apol. = I apologia

GREGORIO NAZIANZENO

carm. dogm. = Carmina dogmatica

or. = Orationes

ep. = Epistulae

GREGORIO DI NISSA

Abl. = Ad Ablabium quod non sint tres dei

anima et res. = De anima et resurrectione dialogus

hex. = Apologia in hexaemeron

homin. opif. = De opificio hominis

in eccl. = In Ecclesiasten

GREGORIO TAUMATURGO

Metaphr. = Metaphrasis in Ecclesiasten Salamonis

ERMA

Past. = Pastor

ILARIO

in Psal. = Tractatus super psalmos

trin. = De trinitate

IPPOLITO

philos. = philosphumena

or. c. Graec. = Oratio contra Graecos

IRENEO

demonstr. = Demonstratio apostolicae praedicationis

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130 Z. DJUROVIC

haer. = Adversus haereses

LEONZIO

adv. Nestor. et Eutych. = Libri III adversus Nestorianos et Eutychianos

LUCREZIO

rer. nat. = De rerum natura

MARIO VITTORINO

adv. Ar. = Adversus Arium

in Eph. = In epistolam Pauli ad Ephesios

MASSIMO IL CONFESSORE

amb. = Ambigua

cap. theo. et oecon. = Capita theologiae et oeconomiae

METODIO DI OLIMPO

res. = De resurrectione

NEMESIO

nat. hom. = De natura hominis

OMERO

Il. = Ilias

Od. = Odyssea

ORIGENE

Cels. = Contra Celsum

com. Io. = Commentarii in Johannem

hom. in Gen. = Homiliae in Genesim

princ. = De principiis

sel. in Gen. = Capita selecta in Genesim (fragmenta e catenis)

PAUSANIA

Graec. descript. = Greciae descriptio

PINDARO

Pyth. =Pythia

Nem. = Nemea

PLATONE

ep. = epistulae

epin. = Epinomis

Hipp. maior = Hippias Maior

leg. = Leges

Men. = Meno

Parm. = Parmenides

Phaedo = Phaedo

Phaedr. = Phaedrus

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ABBREVIAZIONI DI OPERE DEGLI AUTORI ANTICHI 131

Prot. = Protagoras

rep. = Respublica

Soph. = Sophista

symp. = Symposium

Theaet. = Theaetetus

Tim. = Timaeus

PLOTINO

enn. = Enneades

PLUTARCO

commun. notitiis adv. Stoic. = De communibus notitiis adversus Stoicos

PORFIRIO

abst. = De abstinentia

ad Marc. = Ad Marcellam

isag. = Isagoge

reg. an. = De regressu animae

sent. = Sententia ad intelligibilia ducentes

vita Pl. = Vita Plotini

POSSIDIO

vita Ag. = Vita Augustini

PROCLO

comm. in Pl. Parme. = Commentarium in Platonis Parmenidem

elem. theol. = Elementatio theologica

PROCOPIO DI GAZA

comm. in Gen. = Commentarii in Genesim

PSEUDO-ARISTOTELE

mund.=De mundo

PSEUDO-ATANASIO

quaest. ad Antioch. duc. = Quaestiones ad Antiochum ducem

PSEUDO-CLEMENTE

hom. = Clementis De praedicationibus Petri inter peregrinandum epitome

QUINTILIANO

instit. orat. = Institutio oratoria

RUFINO DI AQUILEIA

apol. c. Hier. = Apologia in Sanctum Hieronymum

RUFINO IL SIRO,

fide. = Liber de fide

SESTO EMPIRICO

Pyrr. Hyp. = Pyrrhoniae hypotyposes

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132 Z. DJUROVIC

SIMPLICIO

cael. = In Aristotelis quattuor libros de caelo commentaria

phys. = In Aristotelis physicorum libros commentaria

SOCRATE SCOLASTICO

HE = Historia ecclesiastica

STROBEO

flor. = Florilegium

SUIDA

lex. = Lexicon

TAZIANO

or. = Oratio ad Graecos

TEODORETO DI CIRO

Graec. affection. = Graecarum affectionum curatio

TEOFILO DI ANTIOCHIA

ad Autol. = Apologia ad Autolycum

TERTULLIANO

adv. Marc. = Adversus Marcionem

adv. Prax. = Adversus Praxeam

res. carn. = De resurrectione carnis

VERGILIO

Aen. = Aeneis

ZENONE DI VERONA

tract. = Tractatus

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BIBLIOGRAFIA

1. Opere di Agostino in ordine cronologico

386 Contra academicos PL 32, 905-958; CSEL 63; CCL 29; BA 4; NBA III/1.

386 De beata vita PL 32, 959-976; CSEL 63; CCL 29; BA 4; NBA III/1.

386 De ordine PL 32, 977-1020; CSEL 63; CCL 29; BA 4.1; NBA III/1.

386/387 De immortalitate animae PL 32, 1021-1034; CSEL 89; BA 5; NBA III/1.

386/387 Soliloquia PL 32, 869-904; CSEL 89; BA 5; NBA III/1.

386/429 Epistulae PL 33, 61-1162; CSEL 34, 44, 57, 58; NBA XXI-XXIIIA.

387/388 De quantitate animae PL 32, 1035-1080; CSEL 89; BA 5; NBA III/2.

387/389 De moribus ecclesiae catholicae et de moribus manichaeorum PL 32,

1309-1378; CSEL 90; BA 1; NBA XIII/1.

387/391 De musica; PL 32, 1081-1194; BA 7; NBA III/2.

388/389 De Genesi contra manichaeos PL 34, 173-220; CSEL 91; NBA IX/1.

388/395 De libero arbitrio PL 32, 1221-1310; CSEL 74; CCL 29; BA 6; NBA

III/2.

388/395 De diversis quaestionibus octoginta tribus PL 40, 11-100; CCL 44A; BA

10; NBA VI/2.

389 De magistro PL 32, 1193-1220; CSEL 77.1; CCL 29; BA 6; NBA III/2.

389/391 De vera religione PL 34, 121-172; CSEL 77; CCL 32; BA 8; NBA VI/1.

393 De fide et symbolo PL 40, 181-196; CSEL 41; CCL 46; BA 9; NBA VI/1.

394 Contra Adimantum PL 42, 129-172; CSEL 25; BA 17; NBA XIII/2.

393/394 De Genesi ad litteram imperfectus liber PL 34, 219-246; CSEL 28.1;

NBA IX/1.

393/430 Sermones PL 38-39; CCL 41; NBA XXIX- XXXV/2.

396 De diversis quaestionibus VII ad Simplicianum PL 40, 101-148; CCL 44; BA

10; NBA VI/2.

396 De agone christiano PL 40, 284-310; CSEL 41; BA 1; NBA VII/2.

396/420 Enarrationes in Psalmos PL 36-37; CSEL 38-40; NBA XXV- XXVIII/2.

396/426 De doctrina christiana PL 34, 15-122; CSEL 80; CCL 32; BA 11; NBA

VIII.

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134 Z. DJUROVIC

397/398 Contra Faustum manichaeum PL 42, 207-518; CSEL 25; NBA XIV, 1-2.

397/401 Confessiones PL 32, 659-868; CSEL 33; CCL 27; BA 13-14; NBA I.

399/419 De trinitate PL 42, 819-1098; CCL 50/50A; BA 15-16; NBA IV.

400 De consensu evangelistarum PL 34, 1041-1230; CSEL 43; NBA X/1.

400 De catechizandis rudibus PL 40, 309-348; CCL 46; BA 11.1; NBA VII/2.

401 De bono coniugali PL 40, 373-396; CSEL 41; CCL 29; BA 2; NBA VII/1.

401/415 De Genesi ad litteram PL 34, 245-486; CSEL 28.1; BA 48-49; NBA IX/2.

406/430 Tractatus in evangelium Iohannis PL 35, 132-1976; CCL 36; BA 71-74A;

NBA XXIV, 1-2.

412 De peccatorum meritis et remissione et de baptismo parvulorum ad

Marcellinum PL 44, 109-200; CSEL 60; NBA XVII/1.

413/427 De civitate dei PL 41, 13-804; CSEL 40; CCL 47-48; BA 33-37; NBA V,

1-3.

415 Contra Priscillianistas et Origenistas PL 42, 669-678; CCL 49; NBA XII/1.

417 De gestis Pelagii PL 44, 319-360; CSEL 42; BA 21; NBA XVII/2.

418 De gratia Christi et de peccato originali PL 44, 359-410; CSEL 42; BA 22;

NBA XVII/2.

418/419 Contra sermonem Arianorum PL 42, 683-708; NBA XII/2.

421 Contra Iulianum PL 44, 641-874; NBA XVIII.

421/422 Enchiridion ad Laurentium de fide et spe et caritate PL 40, 231-290; CCL

46; BA 9; NBA VI/2.

426/427 De correptione et gratia PL 44, 915-946; BA 24; NBA XX.

426/427 Retractationes PL 32, 583-656; CSEL 36; CCL 57; NBA II.

429/430 Opus imperfectum contra Iulianum PL 45, 1049-1608; CSEL 85.1 (libri I-

III); NBA XIX, 1-2.

2. Altri autori antichi

AMBROGIO DI MILANO, De excessu fratris sui Satyrus, PL 16, 1289-1354.

—, De fide orthodoxa contra Arianos, PL 17, 0549-0568 (spuria).

—, Ennarationes in XII psalmos Davidicos, PL 14, 915-1180.

—, Epistolae, PL 16, 849-1286.

—, Expositio evangelii secundum Lucam, ed. C. SCHENKL, CSEL 32/4, 1902.

—, Hexameron, De paradiso, De Cain, De Noe, De Abraham, De Isaac, De bono

mortis, ed. C. SCHENKL, CSEL 32/1, 1896.

—, Il paradiso terrestre; Caino e Abele; introd., trad., note e indici di

P. SINISCALCO, Sant‘Ambrogio, Opere esegetiche 2/1, Milano/Roma 1984.

—, Esamerone, introd., trad. e note a cura di G. BANTERLE, Testi patristici 164,

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BIBLIOGRAFIA 135

Roma 2002.

AMBROSIASTER, Commentaria in epistolam ad Corinthios Primam, PL 17, 183-

276.

ANASSAGORA, Testimonia, in DK 46 A.

ARISTIDE, Apologia, in Die Überlieferung der griechischen Apologeten des zweiten

Jahrhunderts in der alten Kirche und im Mittelalter, ed. A. VON HARNACK,

(traduzione latina dall‘armeno) TU 1, Leipzig-Berlin 1991.

ARISTOTELE, Aristotelis Opera, 5 voll., edidit Academia Regia Borussica, ed. A. I.

BEKKER, Berolini 1831-1870.

—, De anima, ed. W. D. ROSS, Oxford 1961 (repr. 1967).

—, De caelo, in ARISTOTE, Du ciel, ed. P. MORAUX, Paris 1965.

—, De generatione animalium, ed. W. D. ROSS, Oxford 1912.

—, De generatione et corruptione, ed. W. D. ROSS, Oxford 1930.

—, Ethica Nicomachea, ed. W. D. ROSS, Oxford 1925 (revised by J. L. ACKRILL

and J. O. URMSON, Oxford 1998).

—, Metaphysica, ed. W. JAEGER, Oxford 1963.

—, Physica, ed. W. D. ROSS, Oxford 1950 (repr. 1966).

—, Topica et sophistici elenchi, ed. W. D. ROSS, Oxford 1958 (repr. 1970).

ATANASIO ALESSANDRINO, De incarnatione Verbi, PG 25b, 96-197.

—, Orationes tres contra Arianos, PG 26, 12-468.

BASILIO IL GRANDE, Homiliae in hexaemeron, in Homilien zum Hexaemeron, hrsg.

von E. A. DE MENDIETA und S.Y. RUDBERG, GCS NF 2, Berlin 1997.

CELSO, Der vAlhqh.j lo,goj des Kelsos, hrsg. R. BADER, Tübinger Beiträge zur

Altertumswissenschaft 33, Stuttgart 1940.

CICERONE, Academica posteriora (Academici libri), in CICERO, De Natura

Deorum. Academica, trans. H. RACKHAM, LCL 268, Cambridge 1933.

—, De Natura Deorum, in CICERO, De Natura Deorum. Academica, trans. H.

RACKHAM, LCL 268, Cambridge 1933.

—, De orator, in CICÉRON, L‟orateur, texte établi et traduit par A. YON, Les Belles

Lettres, Paris 1964.

CIPRIANO, De zelo et livore, PL 4, 637-652.

CLEANTE, Hymn to Zeus, in The fragments of Zeno and Cleanthes, ed. A. C.

PEARSON, London 1891 (rist. anast. New York 1973).

CLEMENTE DI ALESSANDRIA, Excerpta ex Theodoto, in CLÉMENT D‘ALEXANDRIE,

Extraits de Théodote, texte grec, introd. trad. et notes de F. SAGNARD, SC 23,

Paris 1948 (repr. 1970).

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136 Z. DJUROVIC

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—, CLEMENS ALEXANDRINUS, Stromata Buch I-VI, hrsg. L. FRÜCHTEL, O.

STÄHLIN & U. TREU, GCS 52 (15), 17, Berlin, 1:31960, 2:

21970.

DAMASCENO GIOVANNI, De fide ortodoxa, in Die Schriften des Johannes von

Damaskos, hrsg. P. B. KOTTER, PTS 12, Berlin 1973.

DAMASCIO, Dubitationes et solutiones de primis principiis in Platonis

Parmenidem, ed. C. É. RUELLE, 2 voll., Paris 1899 (repr. 1964).

DIOGENE, Vitae philosophorum, in Diogenis Laertii vitae philosophorum, ed. H. S.

LONG, 2 voll., Oxford 1964 (repr. 1966).

EFREM IL SIRO, De paradiso, in EPHREM DE NISIBE, Himnes sur le Paradis, trad.

par R. LAVENANT, introd. et notes par F. GRAFFIN, SC 137, Paris 1968.

—, Commentarii in Genesim, in Sancti Ephraem Syri in Genesim et in Exodum

Commentarii, ed. R. M. TONNEAU, CSCO 153, Louvain 1955.

EPIFANIO, Panarion, in EPIPHANIUS, Ancoratus und Panarion, hrsg. K. HOLL, GCS

25, Leipzig 1915.

ERACLITO, Peri physeos, in DK 22 B.

ERMA, Pastor, in Die apostolischen Väter I. Der Hirt des Hermas, hrsg. M.

WHITTAKER, GCS 48, Berlin 21967, 1-98.

ERODOTO, Hystoriae, in HERODOTE, Histoires, ed. PH.-E. LEGRAND, Les Belles

Lettres, 9 voll., Paris 1932-1954 (repr. 1960-1968).

ESIODO, Opera et dies, in HESIOD, The Homeric Hymns and Homerica, ed. H. G.

EVELYN-WHITE, London/NY 1914.

EUSEBIO DI CESAREA, Historia ecclesiastica, in EUSEBIUS, Kirchengeschichte,

hrsg. E. SCHWARTZ, Leipzig 1955.

—, Praeparatio evangelica, hrsg. K. MRAS, GCS 21, Berlin 1954.

EUSTAZIO, In hexaemeron sancti Basilii Latina metaphrasis, PL 53, 867-964.

FILONE DI ALESSANDRIA, De aeternitate mundi, ed. L. COHN & S. REITER, Philonis

Alexandrini opera quae supersunt 6, Berlin 1915 (repr. DE GRUYTER, 1962).

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Berlin 1896 (repr. DE GRUYTER, 1962).

—, De providentia, in PHILO, ed. F. H. COLSON, LCL 9, Cambridge 1941 (repr.

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—, De somniis, ed. P. WENDLAND, Philonis Alexandrini opera quae supersunt 3,

Berlin 1898 (repr. DE GRUYTER, 1962).

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Berlin 1896 (repr. DE GRUYTER, 1962).

—, Legum allegoriae, ed. L. COHN, Philonis Alexandrini opera quae supersunt 1,

Berlin 1896 (repr. DE GRUYTER, 1962).

—, Quaestiones in Genesim et in Exodum. Fragmenta Graeca, ed. F. PETIT, Les

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GIOVANNI CRISOSTOMO, In Genesim (homiliae 1-67), PG 53, 21-385; 54, 385-580.

GIROLAMO, Altercatio Luciferiani et Orthodoxi, PL 23, 153-182.

—, Apologia adversus libros Rufini, PL 23, 397-492.

—, Commentaria in Ecclesiasten, PL 23, 1009-1116.

—, Commentaria in Michaeam, PL 25, 1151-1230.

—, Contra Joannem Hierosolytitanum ad Pammachium, PL 23, 355-396.

—, De viris illustribus, PL 23, 601-722.

—, Liber Hebraicarum Quaestionum in Genesim, PL 23, 935-1009.

—, Liber Psalmorum, PL 29, 117-397.

GIULIANO IMPERATORE, Contra Galilaeos, testo critico e trad. a cura di E.

MASARACCHIA, Testi e Commenti 9, Roma 1990.

GIUSEPE FLAVIO, De Bello Judaico in Flavii Iosephi Opera omnia, post I.

BEKKERUM, recognovit S. A. NABER, 6 voll., Lipsiae 1888-1896.

GIUSTINO FILOSOFO, Apologia I, in Iustini Martyris Apologiae pro Christianis, ed.

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The Gospel according to Thomas, edd. A. GUILLAUMONT, H.-CH. PUECH, G.

QUISPEL, W. TILL & YASSAH ‗ABD AL-MASIH, Leiden-New York-London

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GREGORIO MAGNO, Homiliae in Hiezechielem prophetam, PL 76, 781-1072.

—, Moralia in Iob, PL 75-76.

GREGORIO NAZIANZENO, Carmina dogmatica, PG 37, 397-522.

—, Epistulae theologicae (CI, CII, CCII), in GRÉGOIRE DE NAZIANZE, Lettres

théologiques (101, 102, 202), introd. texte critique, trad. et notes par P.

GALLAY, SC 208, Paris 1974.

—, In theophania (or. 38), PG 36, 312-333.

—, GREGORIO DI NAZIANZO, Tutte le orazioni, trad. con testo a fronte e note di C.

SANI e M. VINCELLI, a cura di C. MORESCHINI, Milano 2000.

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INDICE GENERALE DELLA TESI

PREMESSA

INTRODUZIONE

1. I Commentari di Agostino sulla Genesi

1. 1. De Genesi contra manichaeos

1. 2. De Genesi ad litteram imperfectus liber

1. 3. De Genesi ad litteram

1. 4. Confessiones XI-XIII

1. 5. De civitate Dei XI

2. Il testo della Genesi 1-3 nei Padri e in Agostino

3. I commentari antichi sulla Genesi 1-3

3. 1. Gli scrittori orientali

3. 1. 1. Ireneo di Lione

3. 1. 2. Teofilo di Antiochia

3. 1. 3. Diodoro di Tarso

3. 1. 4. Teodoro di Mopsuestia

3. 1. 5. Giovanni Crisostomo

3. 1. 6. Severiano di Gabala

3. 1. 7. Efrem il Siro

3. 1. 8. Basilio di Cesarea

3. 1. 9. Gregorio di Nissa

3. 1. 10. Origene

3. 1. 11. Didimo il Cieco

3. 2. I tractatores latini

3. 2. 1. Lattanzio

3. 2. 2. Zenone di Verona

3. 2. 3. Gregorio di Elvira

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INDICE GENERALE DELLA TESI 159

3. 2. 4. Girolamo

3. 2. 5. Ambrogio

3. 3. L‟esegesi patristica della Genesi: sguardo conclusivo

4. Le fonti agostiniane

4. 1. Le fonti cristiane utilizzate da Agostino

4. 2. Il background scientifico-filosofico dei commenti genesiaci di

Agostino

5. La protologia è uguale all‟escatologia?

6. L‟esegesi di Agostino

6. 1. Il metodo esegetico nel De genesi contra manichaeos

6. 2. Il metodo esegetico nel De Genesi ad litteram imperfectus

liber

6. 3. Il metodo esegetico nel De Genesi ad litteram

CAPITOLO I: LA CREAZIONE E IL PROBLEMA DEL TEMPO

1. L‟essere increato e l‟essere creato: Dio e l‟Universo

1. 1. Creatio ex nihilo e sue implicazioni

2. L‟eterno e il tempo

2. 1. Il problema del rapporto tra eterno e tempo

2. 2. Vertigo temporis

2. 3. La creazione a-temporale e simultanea

3. La creatura spirituale e quella materiale

3. 1. La luce primordiale: gli angeli tra ragioni causali e

creazione continua

3. 2. Flora e fauna: il mondo materiale

CAPITOLO II: L‘UOMO

1. Le questioni antropologiche

1. 1. La doppia creazione dell‟uomo

1. 2. L‟origine dell‟anima

1. 3. Il rapporto tra anima e corpo

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160 Z. DJUROVIC

2. Il corpo primordiale

2. 1. Il corpo primordiale in Agostino prima del C. Faustum

Manichaeum (397/8)

2. 2. Il corpo primordiale in Agostino dopo il 397/8

CAPITOLO III: INIZIO E FINE

1. La protologia

1. 1. Il rinnovamento dell‟uomo

1. 2. Il rapporto tra Dio e Adamo nel paradiso

1. 3. La caduta degli esseri intellettuali

2. L‟escatologia

2. 1. Il paradiso di Paolo

2. 2. La resurrezione dei corpi

2. 3. Il Totus Christus

ALCUNE CONCLUSIONI IN UNO SGUARDO D‘INSIEME

1. La chiave interpretativa

2. La creazione

3. La struttura piramidale degli esseri

4. Immagine divina

5. Adamo

6. Paradiso

7. Caduta

8. Risurrezione del corpo

9. La condizione dell‟anima dopo la morte

10. L‟anima e lo stato primordiale

11. L‟inizio è uguale alla fine

ABBREVIAZIONI DI COLLEZIONI E RIVISTE

ABBREVIAZIONI DI OPERE DEGLI AUTORI ANTICHI

1. Agostino

2. Altri autori antichi

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INDICE GENERALE DELLA TESI 161

BIBLIOGRAFIA

1. Opere di Agostino in ordine cronologico

2. Altri autori antichi

3. Studi

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287

289

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INDICE GENERALE DELL‘ESTRATTO

PREMESSA

CAPITOLO II: L‘UOMO

1. Le questioni antropologiche

1. 1. La doppia creazione dell‟uomo

1. 2. L‟origine dell‟anima

1. 3. Il rapporto tra anima e corpo

2. Il corpo primordiale

2. 1. Il corpo primordiale in Agostino prima del C. Faustum

Manichaeum (397/8)

2. 2. Il corpo primordiale in Agostino dopo il 397/8

CAPITOLO III: INIZIO E FINE

1. La protologia

1. 1. Il rinnovamento dell‟uomo

1. 2. Il rapporto tra Dio e Adamo nel paradiso

1. 3. La caduta degli esseri intellettuali

2. L‟escatologia

2. 1. Il paradiso di Paolo

2. 2. La resurrezione dei corpi

2. 3. Il Totus Christus

ABBREVIAZIONI DI COLLEZIONI E RIVISTE

ABBREVIAZIONI DI OPERE DEGLI AUTORI ANTICHI

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9

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INDICE GENERALE DELL‘ESTRATTO 163

1. Agostino

2. Altri autori antichi

BIBLIOGRAFIA

1. Opere di Agostino in ordine cronologico

2. Altri autori antichi

3. Studi

INDICE GENERALE DELLA TESI

INDICE GENERALE DELL‘ESTRATTO

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