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PONTIFICIA UNIVERSITAS LATERANENSIS
INSTITUTUM PATRISTICUM AUGUSTINIANUM
REV. D. ZORAN DJUROVIC
LA PROTOLOGIA E L’ESCATOLOGIA
NEL DE GENESI AD LITTERAM
DI SANT’AGOSTINO
ANALISI ESEGETICO-TEOLOGICA
Excerpta ex dissertatione
ad Doctoratum in Theologia et Scientiis Patristicis
Romae 2010
Vidimus et approbavimus
iuxta statuta (XIV, III) et Ordinationes (V 28c)
Instituti Patristici Augustinianum incorporati
Pontificiae Universitati Lateranensi.
Prof. Vittorino Grossi, OSA
Prof. Robert J. Dodaro, OSA
Prof. Nello Cipriani, OSA
Imprimi potest
S.E.R. Enrico dal Covolo, SDB
Rector Magnificus Pontificiae Universitatis Lateranensis.
Romae, ex Pontificia Universitate Lateranense
die 20 mensis Septembris A.D. 2010
© Augustinianum 2010
PREMESSA
Il cristianesimo nascente si trovava nella condizione di porsi tutte quelle
domande basilari che tormentavano l‘uomo sin dall‘acquisizione dell‘intelligenza e
del linguaggio articolato. Clemente Alessandrino, per esempio, scriveva che tutto il
problema della gnosi – sistema concorrente del giovane cristianesimo – si riassume
in una breve serie di domande:
Chi siamo, che cosa siamo diventati; dove siamo, dove siamo stati gettati;
dove tendiamo in fretta, come siamo stati liberati; cos‘è la generazione, cos‘è
la rigenerazione?1
Chi è l‘uomo, qual è la sua natura, da dove proviene, qual è il suo destino?
La stessa domanda si può porre anche in modo da coinvolgere il soggetto pensante
in maniera più intima: chi sono io? Qual è il mio destino? Questo das Ding,
pensato nei secoli dai creatori dei racconti biblici sull‘origine dell‘uomo, è stato in
un determinato tempo canonizzato nei primi tre capitoli della Genesi a noi nota.
Non ci stupisce quindi che proprio questi capitoli, come una quintessenza
dell‘antropologia e della cosmologia biblica, abbiano costituito del materiale su cui
i Padri hanno riflettuto molto di più rispetto agli altri. Il loro fine era duplice: da
una parte si doveva polemizzare con il mondo pagano in possesso di una propria
visione antropologica e i movimenti non riconosciuti come ortodossi dentro il
medesimo cristianesimo, dall‘altra parte si doveva offrire un insegnamento
convincente ai principianti, e infine era necessario illuminare la comprensione dei
progredientes.
Tale impresa aveva come pioniere Filone d‘Alessandria, il primo pensatore
che provò a conciliare la mentalità semitica con quella greco-occidentale.2 Può
1 exc. ex Theod. 78, 2, SC 23, p. 202: ti,nej h=men( ti, gego,namen\ pou/ h=men( pou/
evneblh,qhmen\ pou/ speu,domen( po,qen lutrou,meqa\ ti, ge,nnhsij( ti, avnage,nnhsij) 2 Hegel non lo riconosce come un autentico filosofo, ma come un semita che prova
ad occuparsi di filosofia. Cf. G. W. F. HEGEL, Vorlesungen über die Geschichte der
2 Z. DJUROVIC
darsi che proprio per questa ragione i primi filosofi cristiani lo riconobbero come
uno di loro. Tra le opere di Filone che riguardano questi temi sono da nominare:
De opificio mundi, Legum allegoriae, Quaestiones in Genesim di cui abbiamo
soltanto dei frammenti e De aeternitate mundi. Tra gli autori cristiani vanno
menzionati: Teofilo di Antiochia con il suo Ad Autolycum; Lattanzio, De opificio
Dei; Origene, Homeliae in Genesim; Didimo il Cieco, In Genesim; Efrem il Siro,
In Genesim et in Exodum commentarii, De paradiso; Basilio il Grande, Homiliae
in hexaemeron; Gregorio di Nissa, De opificio hominis; Girolamo, Quaestiones
hebraicae in Genesim; Zenone di Verona, Tractatus; Ambrogio di Milano,
Hexaemeron e De paradiso; Ilario, Tractatus super psalmos, Giovanni Crisostomo,
In Genesim (homiliae 1-67) ed In Genesim (sermones 1-9). Cirillo di Gerusalemme
tocca quest‘argomento nelle sue Catechesi; degli Antiocheni sono rimasti
solamente i frammenti dei commenti sulla Genesi di Diodoro e di Teodoro, loro
sommo esegeta. C‘erano sull‘Exameron anche le opere, purtroppo andate perdute,
di Ippolito, di Rodone, di Candido e di Apione.3
Tale pluralità di commenti sulla Genesi rende difficile l‘identificazione
delle fonti agostiniane. Per queste ragioni non possiamo neanche precisare a chi
Agostino, che è solito ad esprimersi genericamente, fa riferimento. Infine, tutti
questi elementi hanno contribuito alle diverse piste che Agostino intraprese e che
sono state valutate con la Scrittura, che rimarrà la misura somma nella sua
riflessione matura. Malgrado tutte le complessità che offuscano le fonti
agostiniane, la natura di una ricerca dottorale esige l‘individuazione delle fonti che
un autore ha probabilmente letto. Non si può decontestualizzare il suo pensiero.4
Philosophie, Dritter Band, hrsg. KARL LUDWIG MICHELET (G. W. F. HEGEL, Werke,
Fünfzehnter Band), Berlin 1836. Cf. il paragrafo dedicato a Filone (pp. 18-26),
particolarmente quando dice: ―Diese Auffassungsweise ist noch nicht im reinen Gedanken;
Gestalten der Einbildungskraft sind noch darin verwoben‖, p. 24. 3 Cf. L‘introduzione di L. CARROZZI, in NBA IX/1, p. LI. 4 Nello Cipriani ―pienamente condivide‖ le osservazioni metodologiche fatte da P.
HADOT, Porphyre et Victorinus [Collection des études augustiniennes. Série antiquité 32-
33], Paris, Institut d‘Etudes augustiniennes, 1968 (= Porfirio e Vittorino, tr. it. GIRGENTI,
Milano 1993), dove si constata che ―ci sono studiosi che non solo non ritengono utile la
ricerca delle fonti, ma addirittura temono ‗che ricercando le fonti di un autore, si riduca
questo autore alle sue fonti. Si distruggerebbe così la sua originalità, si atomizzerebbe per
così dire l‘unità della sua opera, riducendola ad un mosaico di prestiti e di reminiscenze. Se
si tratta di un autore cristiano, non si rischia così di sminuire la novità del messaggio
cristiano, nel ritrovare alcuni elementi pagani integrati in un‘opera da esso ispirata?
Soprattutto, la ricostruzione delle fonti perdute non sfocia nelle più gratuite delle ipotesi?‘ P.
Hadot accoglie almeno in parte tali timori, perché ‗questi pericoli sono reali e sarebbe
temerario ignorarli‘. Nondimeno aggiunge: ‗Essi provengono da un cattivo uso di un metodo
che, se impiegato con prudenza, è assolutamente indispensabile per chiunque voglia
PREMESSA 3
Dall‘altro lato un approccio storico-ermeneutico corretto non si può ridurre ad uno
storicismo descrittivo o meramente dossografico, che di un autore sa dire soltanto:
―ha detto…‖ ma non sa spiegare il perché lo ha detto. Non si deve, inoltre,
ricorrere ad un filologismo che si occupa dei termini più che dei concetti la cui
l‘ultima risposta consista nel ritrovamento delle fonti, ossia nella Quellenforschung
positivistica. Dunque, il mio metodo, almeno in parte, segue il programma posto da
H. Marrou nel suo famoso discorso, Tristezza dello storico.5
Sulla primitiva e sull‘ultima condizione dell‘uomo Agostino ha riflettuto
dall‘inizio alla fine della sua vita intellettuale. Il mio studio, partendo dal De
Genesi ad litteram, l‘opera che rappresenta quasi l‘apice della riflessione
agostiniana – visto che Agostino progredì su certi punti – mira a individuare
proprio lo sviluppo del suo pensiero su questo problema. Lo studio proposto
vorrebbe presentare la prima e la successiva visione agostiniana circa la protologia
e l‘escatologia passando in rassegna le diverse fasi del suo pensiero, avendo
l'intenzione di ricomporre, in mancanza di uno studio complessivo,
un‘osservazione d‘insieme del mosaico sparso nel tempo e nello spazio
agostiniano. Esistono infatti studi particolari ma non quelli che approfondiscono
nel loro insieme i due modelli (rapporto protologia/escatologia nel giovane
Agostino e medesimo rapporto nel suo pensiero maturo) così chiaramente
evidenziabili. Nulla di questa sintesi sarebbe possibile senza le precedenti indagini
laboriose e preziose. Ogni salto di qualità nella lettura dei testi di Agostino è stato
seguito da polemiche molto aspre. Partendo da questo presupposto posso affermare
fin da ora che la mia valutazione è destinata a critiche dagli opposti schieramenti,
ma ugualmente ritengo che si dovrebbe prendere ciò che di buono esiste in
entrambi e presentare il pensiero di Agostino quanto più oggettivamente possibile
– e questa potrebbe essere una presunzione – anche se l‘assoluta oggettività è una
chimera. Se si vuole parlare di un contributo innovativo in questo campo da parte
mia, ciò si dovrebbe desumere nel tentativo di una riflessione comparativa, non
nelle conclusioni singolari o nei suggerimenti, anche se buona parte di questi,
comprendere un autore latino con pretese filosofiche alla fine dell‘antichità‘. È questo il
punto sul quale occorre insistere con Hadot: la ricerca delle fonti è assolutamente
indispensabile nello studio degli scrittori latini alla fine dell‘antichità, almeno in quelli che
hanno pretese filosofiche‖ (N. CIPRIANI, Introduzione generale e particolare nei Dialoghi di
Sant‟Agostino (in serbo), in SVETI AVGUSTIN, O blaženom životu (De beata vita). Testo
latino a fronte. Cura, trad., note e indici ZORAN DJUROVIC, Beograd: Hinaki, 2008, pp. 38-
39). 5 HENRI-IRÉNÉE MARROU, Tristesse de l‟historien, Esprit 7 (1939) 11-47, (rist.
Vingtième siècle. Revue d‘histoire 45 (1995) 109-131); tr. it. Tristezza dello storico,
Brescia: Morcelliana, 1999.
4 Z. DJUROVIC
poiché originali, meriterebbero di essere sviluppati in particolari studi. Dunque, il
fulcro di questa indagine è il medesimo processo riflessivo di Agostino, che
partendo da un punto, arriva ad un punto di ritrattazione nel significato di ri-trattare
cioè trattare di nuovo. Lo scopo è di esaminare in che cosa, quindi, consista la
ritrattazione di Agostino.
Il metodo naturale e l‘unico possibile, trattando un modello in sviluppo, è
quello storico-critico. Il pensiero si deve cogliere in un dato momento della sua
evoluzione. Credo che il procedimento contrario abbia ormai provocato
incomprensioni quasi insanabili tra i diversi studiosi di ottima preparazione.
L‘errore principale che si può fare è di leggere Agostino giovane alla luce del suo
pensiero maturo. Troviamo, infatti, degli studiosi che espongono un pensiero del
―primo‖ Agostino (lo chiamiamo così, anche se prendo tale attribuzione con
qualche riserva, ma la adopero per ragioni di comodità. Il lasso di tempo del
―primo‖ include il periodo compreso dal 386 al 396/7), tacendo pure sulle sue
esitazioni a proposito di certe opinioni e portando a conferma dell‘―ortodossia‖ del
primo Agostino dichiarazioni del ―secondo‖ Agostino. Applicando tale metodo
viene tradita l‘esplicita dichiarazione agostiniana: ―appartengo al numero di coloro
che scrivono facendo progressi e fanno progressi scrivendo‖.6 Agostino medesimo
conferma, dunque, che il suo pensiero era in continua evoluzione. Ciò significa che
se da un lato egli approfondiva le proprie intuizioni giovanili, d‘altro canto si
apriva di continuo a nuove prospettive.7
Per questo motivo ci si deve avvicinare il più possibile al suo pensiero da un
preciso punto di sviluppo e metterlo tra parentesi. Questo si ottiene analizzando i
concetti base, ossia i termini tecnici, nel loro contesto ben preciso. Egli già
possedeva un ragguardevole gruppo di termini tecnici. L‘abbandono o la modifica
di questi termini dovrebbe dirci qualcosa. Chi non vuole errare metodologicamente
deve comprendere esattamente i concetti principali e, d‘altra parte, tenere conto del
carattere progressivo del pensiero di Agostino. Dunque, non si possono trascurare
le espressioni e nello stesso tempo non si possono trarre conclusioni da una singola
opera.
6 ep. 143, 2. 7 Il carattere progressivo del pensiero di Agostino era trascurato fino alla metà del
ventesimo secolo. Si aveva paura di spulciare tra le sue opere per paura togliergli qualcosa
di santità. Pure il grande teologo francese, É. GILSON, The Christian Philosophy of Saint
Augustine, London 1961, p. 364 affermò che Agostino sin dall‘inizio della sua conversione
aveva tutte le idee principali chiare, che in seguito soltanto migliorava, arricchiva. Simile
procedimento si ebbe per quanto riguarda i Padri in generale, dove loro opere e i pensieri
venivano decontestualizzati per poterli unire in un sistema dogmatico implacabile.
PREMESSA 5
Per aiutare i lettori posteriori Agostino scrisse le Retractationes, un libro
singolare nell‘antichità, dove esprimeva un parere sulle sue opere, ora criticando,
ora modificando, ora proponendo la retta interpretazione. Sappiamo inoltre che le
revisoni fatte da Agostino sono sparse in vario modo in diverse sue opere: troppo
spesso si sente dire che Agostino non ha ritrattato certe idee, perché si pensa
soltanto ai due libri delle Ritrattazioni. Ci sono diverse modalità con cui Agostino
corregge se stesso: 1) Avverte che alcune espressioni sono state incautamente
usate. Possono indurre in errore il lettore se si prendono alla lettera, oppure
possono essere concepite in maniera esatta, spesso suggerita dallo stesso ―secondo‖
Agostino; 2) certe affermazioni sono completamente sbagliate e sono il risultato sia
della sua inesperienza in materia, sia dall‘inganno dei manoscritti che aveva a
disposizione o di altre cause; 3) alcune idee erano state formulate in modo
pericoloso e fanno sì che ormai suonino inaccettabili per Agostino. A questo punto
egli o nega che ha pensato in un determinato modo, o – pur ammettendo lo sbaglio
– propone una soluzione alternativa. Purtroppo Agostino spesso tace su che cosa
esattamente pensava a quell‘epoca. Il mio scopo quindi non è di presentare
Agostino in modo diverso rispetto a ciò che era, ma di scoprirlo. Il punto cruciale
nelle Ritrattazioni che si deve distinguere è proprio quello che Agostino in persona
suggerisce: ci sono gli errori materiali fatti da me, ma anche ci sono le persone
che in modo sbagliato intendono le mie parole.8 Sfortunatamente, l‘unico studio
specializzato su questa problematica, la tesi di dottorato: A. MANDOUZE,
Retractatio Retractationum sancti Augustini, Paris 1968, non è stato mai
pubblicata, ed io non posso disporne.
Occorre, dunque, stabilire precisamente quali siano i due elementi che
vengono esaminati nella presente tesi. Come il ―primo‖ Agostino immaginava la
condizione primitiva e quella finale dell‘uomo, come invece le considerava il
―secondo‖ Agostino, perché si ravvisano cambiamenti che riguardano il suo modo
di fare teologia come anche mutamenti della terminologia condizionati da uno
studio più approfondito della Scrittura e della tradizione ecclesiale. Dato che i
mutamenti nella riflessione agostiniana riguardano le idee e la terminologia, ho
cercato di interpretare in modo convincente quali siano state le idee di fondo che
hanno condizionato tali sviluppi. Per agevolare la lettura ho voluto trattare i
problemi principali in modo complessivo per avere un quadro globale dentro il
quale successivamente verranno discussi e approfonditi i problemi specifici. Non
tutti gli argomenti esaminati occupano lo stesso spazio. Sono messi in rilievo i temi
da me ritenuti utili: creazione, materia, corpo, lo stato primordiale e la condizione
8 Cf. ep. 143, 3.
6 Z. DJUROVIC
escatologica. Attraverso questi grandi temi, trattati in maniera non esaustiva, ma
nei punti cruciali, ho tentato di presentare il percorso della riflessione agostiniana.
Dunque, il mio interesse principale è presentare il rapporto tra la protologia e
l‘escatologia, sostenuto nelle due fasi del pensiero agostiniano e come tale rapporto
si ripercuota su certi temi importanti, come per esempio, l‘antropologia, la visione
del paradiso ecc. Viceversa, ho tentato di mettere in rilievo le soluzioni agostiniane
dei problemi particolari per rendere comprensibile proprio le sue posizioni di base,
definite dalla tensione protologia-escatologia.
Per quanto riguarda la struttura della tesi, nella parte introduttiva – che,
come il primo capitolo non viene riportata in questo estratto – vengono presentati
in modo sintetico i commentari di Agostino sulla Genesi, e per contestualizzare il
suo pensiero, ho elencato i commentari antichi sulla Genesi 1-3, dedicando
particolare attenzione al metodo interpretativo dei Padri, cioè alla tensione tra il
metodo allegorico e quello letterale. La pietra dello scandalo nel mondo
paleocristiano era l‘abuso del metodo allegorico, a volte impiegato in modo tale da
spogliare la Scrittura del suo fondamento storico. Ciò significherebbe che la Parola
di Dio non esprime una realtà ―effettiva‖, che Dio non si rivela nella storia, nello
spazio e nel tempo. Eliminando la dimensione storica agli eventi descritti dalla
Bibbia i personaggi e i fatti, una volta trasformati in simboli, diventano
inconsistenti, e Jahve diviene un dio impersonale qualcosa di non conciliabile con
la mentalità giudaico-cristiana. Sentendo questi problemi il nostro giovane autore
richiedeva più tempo per poter affrontare con maggior consapevolezza le scritture
cristiane.9 ―L‘ontologia‖ o meglio Weltanschauung semitica era qualcosa di
diverso rispetto a quella ellenistica ed egli da giovane, presto si rese conto di
questo fatto. Successivamente cambiò il metodo interpretativo assumendo sempre
di più fiducia nei confronti del testo semitico. Per questo voleva comprenderlo alla
lettera. Credette che Dio in persona fosse intervenuto nella storia. Anche i fatti
divini rientravano in quello che Agostino chiamava il senso letterale che, a
differenza della nostra concezione, riportava inevitabilmente all‘allegoria,
all‘etiologia ed all‘analogia.10
Tali sensi sono distinti ma non rigorosamente
separati. Neanche il primo Agostino autorizzava l‘uso dell‘allegorismo che avrebbe
soppresso il livello storico, ma a volte, in polemica con il letteralismo
ridicolizzante manicheo, la sua allegoria diventa proprio di questo tipo. Nel maturo
Agostino, malgrado la sua spiritualità rimanga sempre orientata verso l‘invisibile,
9 ep. 21, 3-4. 10 Gn. litt. impf. 1, 2, 5.
PREMESSA 7
l‘intera Genesi come anche gli episodi singolari vengono visti nell‘ottica ―storica‖,
ossia come qualcosa di reale.11
Il I capitolo si occupa della creazione e del problema del tempo su cui
Agostino ha riflettuto più di ogni altro scrittore della chiesa antica. Il rapporto tra
eterno e tempo, cioè tra l‘essere increato che è Dio e l‘essere creato, l‘Universo si
articola in tre momenti: 1) il Dio immutabile, muovendosi dentro di sé senza
mutarsi crea tutti gli esseri nelle loro ragioni causali o seminali; questa è la
cosiddetta creazione primordiale, che è a-temporale e viene definita anche
creazione simultanea; 2) da queste rationes seminales occulte e invisibili, le cose
create, sia invisibili sia visibili, si sono sviluppate nel tempo. Neanche questa
azione provvidenziale con cui Dio muove e fa crescere gli esseri contenuti
nell‘Universo compromette la sua immutabilità e semplicità. Qui ci avviciniamo
alla dottrina delle energie divine increate che sarà approfondita da Gregorio
Palamas; 3) Dio crea, Dio ordina e infine unisce la creatura a sé stesso. Egli è il
principio, il mezzo e lo scopo degli esseri creati ex nihilo, che proprio per questa
ragione non hanno essere in se stessi. Sono vacui; partecipando al vero Essere
ottengono il loro essere. Se uno osserva questi tre momenti come divisi e nota lo
scorrere del tempo, esiste immerso nel tempo, ma Dio e gli angeli, che partecipano
al livello extratemporale e si muovono nello spazio, galleggiano sopra questo
fiume e notano soltanto la freccia temporale. L‘Universo di Agostino somiglia un
po‘ alla proposta di Stephen Hawking che da parte sua inconsciamente aveva
seguito l‘intuizione di Parmenide.
Nel secondo capitolo vengono trattate le questioni antropologiche, cioè la
doppia creazione dell‘uomo (nelle sue ragioni causali e nel corso del tempo),
l‘origine dell‘anima e il suo rapporto con il corpo. Il terzo capitolo tratta proprio il
cuore di questa indagine, il rapporto tra protologia ed escatologia. La differenza
sostanziale nella risposta data alla questione: La protologia è uguale
all‟escatologia? da parte di Agostino consiste in un‘assoluta ritrattazione della sua
idea giovanile che uguagliava lo stato iniziale con quello finale. Agostino da solo è
riuscito a revocare quello che sarà condannato nel V concilio ecumenico del 535.
L‘idea che l‘inizio è uguale alla fine si può presentare con la figura geometrica del
cerchio, che è, come sappiamo simbolo di perfezione. La mia analisi ha messo in
evidenza le implicazioni della prima e della successiva impostazione di Agostino.
L‘estratto riporta secondo e terzo capitolo della tesi che rappresentano
l‘essenza del mio lavoro. Ritengo inutile e pericoloso riportare Alcune conclusioni
in uno sguardo d‟insieme, perché è facile fraintendere le brevi osservazioni
11 Cf. Gn. litt. 8, 1, 1.
8 Z. DJUROVIC
conclusive senza conoscere la precedente trattazione più ampia e dettagliata.
D‘altra parte volendo dare almeno un‘idea del contesto generale della tesi, ho
descritto il contenuto della parte introduttiva e del primo capitolo, anche se i punti
ivi messi in evidenza possono sempre essere meglio compresi leggendo l‘analisi
estesa.
CAPITOLO II
L‘UOMO
1. Le questioni antropologiche
1. 1. La doppia creazione dell‟uomo
Prima di proseguire sulla questione del posto occupato dal corpo umano nel
pensiero dell‘Agostino maturo, vorrei soffermarmi sulla narrazione biblica della
doppia creazione dell‘uomo, perché essa è importante ai fini di una megliore
comprensione della posizione del corpo in Agostino. La doppia creazione, infatti,
suggerirebbe che corpo ed anima sono realtà diverse, separate sino dall‘origine. Per
quanto concerne questo problema, O‘Connell scrive: ―He [Augustine] has further
dissociated body from soul by proposing that the body was created only through
the implantation of its ‗causal reasons‘, so that it ‗appears‘ on the temporal scene
only on the ‗sixth‘ day; and, even then, man‘s original ‗immortal‘ body has been
conceived of in quasi-angelic terms. All this comes dangerously close to attributing
to man a pre-embodied reality‖.12
12 O‘CONNELL, The Origin of the Soul, p. 211. Robert J. O‘Connell ha innescato una
forte controversia sull‘origine dell‘uomo e della sua anima, definendo l‘uomo come
―l‘anima caduta‖. In realtà, il primo che iniziò a suggerire che Agostino interpretò la Genesi
nella luce della filosofia plotiniana, o meglio, che lui interpretò Plotino per mezzo della
Genesi, fu J. NÖRREGAARD, Augustins Bekehrung, Tübingen 1923, p. 238. Un altro studioso
che esaminò la ricezione della preesistenza delle anime ma in primo luogo nel pensiero di
Mario Vittorino fu H. DE LEUSSE, Le Problème de la préexistence des âmes chez Marius
Victorinus Afer, RSR 29 (1939) 197-239. Agostino ha condannato, come dice Leusse, l‘idea
secondo la quale l‘anima ha peccato nella vita precedente e che in seguito è stata punita a
espiazione sulla terra, senza però condannare la dottrina della preesistenza in sé (p. 236, n.
1; 237, n. 1). Di questi due autori parla anche O‘Connell (St. Augustine‟s Early Theory, pp.
146-147), che su questo tema scrisse: St. Augustine‟s Confessions: The Odyssey of Soul,
Cambridge 1969; Augustine‟s Rejection of the Fall of the Soul, AugStud 4 (1973) 1-32; Art
10 Z. DJUROVIC
Agostino tratta in modo approfondito13
il problema delle due fonti bibliche,
narrazione jahvista e redazione sacerdotale, riguardanti l‘episodio della creazione
dell‘uomo, ma questa volta egli tende a comprendere queste due fonti come
descrizioni separate e non più la J come mera ricapitolazione della P.14
Secondo
and the Christian Intelligence in St. Augustine, Cambridge 1978; The Enneads and St.
Augustine‟s Image Of Happiness, Vig. Chr. 17 (1963) 129-164; The Human Being as
„Fallen Soul‟ in St. Augustine‟s De Trinitate, Mediaevalia 4 (1978) 33-58. Una revisione
assai riuscita del suo studio è quella di RICHARD PENASKOVIC, The Fall of the Soul in Saint
Augustine: A Quaestio Disputata, in AugStud 17 (1986) 135-146. Il più recente studio:
RONNIE J. ROMBS, Saint Augustine and the Fall of the Soul: Beyond O‟Connell and His
Critics, Washington, D.C.: The Catholic University of America Press, 2006. Tra gli studiosi
che sostengono la linea di O‘Connell vanno menzionati: J. PATOUT BURNS, St. Augustine:
The Original Condition of Humanity, StP 22 (1989) 219-222 e soprattutto R. J. TESKE, St.
Augustine‟s View of the Original Human Condition., e Spirituals and Spiritual
Interpretation. La reazione sulla caduta dell‘anima era molto sentita da una moderna
corrente storiografica. Contro O‘Connell scrivono: R. P. RUSSELL, Review of Robert J.
O‟Connell, S. J., St. Augustine‘s Early Theory of Man, A. D. 386-391, Thought 44 (1969);
G. J. P. O‘DALY, Did St. Augustine Ever Believe In The Soul‟s Pre-Existence? in AugStud 5
(1974) 227-235 e Augustine on the Origin of Souls, in Platonismus und Christentum, JACh,
supplement 10 (1983) 184-191; F. VAN FLETEREN, A Reply to O‟Connell, AugStud 21 (1990)
127-137, che ha cercato di convincerci che O‘Connell, con il tema della caduta dell‘anima
ha fatto entrare gli studiosi in un cul de sac (p. 135). Tra gli studiosi italiani si distingue
particolarmente NELLO CIPRIANI, Il tema agostiniano dell‘actio-contemplatio nel suo quadro
antropologico, Aug. 47 (2007) 145-169. 13 Gn. litt. 6, 1-11. 14 Gn. litt. 6, 1, 2-3, 4. Gn. litt. 6, 1, 2-3, 4. Il primo interprete della cosiddetta
―doppia creazione‖ dell‘uomo fondata sui rapporti di Gen. 1, 26-27 e 2, 7, fu Filone
Alessandrino, che influenzò Origene. Questi da parte sua, condizionò questo tipo di
interpretazione in ambito cristiano, però non incise sui padri dell‘Asia Minore che
interpretarono le due creazioni come una sola. Il secondo racconto genesiaco, secondo loro,
sarebbe solamente un complemento del primo. La “doppia creazione” dell‟uomo negli
Alessandrini, nei Cappadoci e nella Gnosi, (saggi) a cura di U. BIANCHI, Roma 1979; G.
LETTIERI, Origene e l‟incarnazione eterna di Cristo, in Gesù Cristo. Speranza del mondo, a
cura di I. SANNA, Milano 2000, 111-133; C. KANNENGIESSER, Philon et les Pères sur la
double création de l‟homme in Philon d‟Alexandrie, Actes du Colloque National, Lyon 11-
15 September 1966, éds. par R. ARNALDEZ-J. POUILLOUX-CL. MONDÉSERT, Paris 1967; M.
SIMONETTI, Alcune osservazioni sull‟interpretazione origeniana di Genesi 2, 7 e 3, 21, in
Origene e l‟esegesi biblica nei Padri della Chiesa, Brescia 2004, 111-122; C. SPUNTARELLI,
„Uomo a immagine‟ in Filone: assimilazione della Legge e immortalità dell‟albero dei
virtuosi, in Il Commento al Vangelo di Giovanni di Origene: il testo e i suoi contesti. Atti
dell‘VIII Convegno di Studi del Gruppo Italiano di Ricerca su Origene e la Tradizione
Alessandrina (Roma 28-30 settembre 2004), Biblioteca di Adamantius, vol. 3, Torino 2005,
a cura di E. PRINZIVALLI, 381-411. Per la doppia creazione in Filone cf. opif. 46, COHN I,
134-135, pp. 46-47; leg. all. 1, 12, 31, COHN I, pp. 68-69. Filone insiste che ―c‘è gran
differenza tra l‘uomo che ora viene plasmato [Gen. 2, 7] e l‘uomo che era stato fatto
secondo l‘immagine di Dio; l‘uomo ora plasmato è l‘uomo percepibile dai sensi, che ha
L‘UOMO 11
Agostino esse non sono conciliabili perché descrivono diversi momenti della
creazione, e secondo i biblisti moderni si tratta di due fonti che hanno origini
diverse, e che quindi sono cose tra loro ben distinte. La fonte P, come ci assicura
Agostino, descrive la creazione primordiale; la fonte J, quella temporale. La J,
dunque, non è più, come invece lo era per il primo Agostino, solamente un
riassunto del P.15
Il racconto jahvista non permette la creazione simultanea. Per
esempio, in che modo la donna fu creata per l‘uomo quando questi era già nel
paradiso?
Forse che la Scrittura ricorda anche questo particolare che essa aveva
tralasciato? Anche il paradiso infatti fu piantato il sesto giorno e vi fu
collocato l‘uomo che cadde in un sonno profondo in modo che poté essere
formata Eva e, dopo che Eva fu formata, egli si svegliò e le pose il nome. Ma
questi eventi si sarebbero potuti compiere solo nel corso del tempo. Essi
qualità, composto di anima e di corpo, maschio o femmina, mortale secondo natura. Ma,
l‘uomo secondo l‘immagine di Dio era un‘idea, un genere o un sigillo, percepibile solo con
l‘intelletto, incorporeo, né maschio né femmina, indistruttibile per natura‖ (opif. 46, 134,
COHN I, p. 46). Questa distinzione fu seguita da Origene: l‘uomo secondo l‘immagine non è
l‘uomo corporale, e ―d‘altra parte dell‘uomo corporale non si dice che è stato fatto, bensì
plasmato (neque factus esse corporalis homo dicitur, sed plasmatus... [ad imaginem Dei]
factus est, interior homo noster est, invisibilis et incorporalis et incorruptus atque
immortalis)‖. Se si ammette che l‘uomo corporale è secondo l‘immagine [di Dio]
significherebbe che ―Dio ha corpo e figura umana. Credere questo di Dio è cosa
assolutamente empia‖ (hom. in Gen. 1, 13-14, GCS VI, pp. 17-18). Origene individua bensì
le tre creazioni: a) Gen. 1, 27 creazione dell‘anima; b) Gen. 2, 7 creazione dell‘uomo dalla
polvere sottile che gli permetteva la vita paradisiaca; c) Gen. 3, 21 trasformazione di questo
corpo immortale e luminoso, in seguito al peccato, in un corpo mortale, costituito di carne e
di ossa (cf. M. SIMONETTI, Alcune osservazioni, pp. 115-118; per la ricostruzione del
pensiero origeniano si confronti: PROCOPIO DI GAZA, comm. in Gen. PG 87, 221). 15 Il primo Agostino, come uno studioso moderno, vedeva la spaccatura tra le fonti P
e J. Il racconto J comincia con liber creaturae coeli et terrae, che dovrebbe ripetere, o
meglio, spiegare la ristretta cronaca della P. La J è brevis imago dei fatti, la P è più puntuale
spiegazione di essi: ―Dopo l‘enumerazione e l‘esposizione dei fatti dei sette giorni la
Scrittura inserisce una specie di conclusione e chiama Libro della creazione del cielo e della
terra tutto ciò che aveva detto prima, pur essendo una piccola parte del libro, che però ha
potuto giustamente esser chiamato così poiché in questi sette giorni è rappresentata, per così
dire, una piccola immagine (quasi brevis quaedam imago) di tutto quanto il mondo, dal
principio alla fine della sua creazione. In seguito comincia un racconto più puntuale
(diligentius narrari) relativo all‘uomo; tutto questo racconto però non viene esposto
apertamente, ma in senso figurato (non aperte, sed figurate) al fine di esercitare coloro che
ricercano la verità e distoglierli dalle realtà carnali, per rivolgerli a quelle spirituali‖ (Gn. c.
man. 2, 1, 1).
12 Z. DJUROVIC
perciò non furono compiuti allo stesso modo quando furono create
simultaneamente tutte le cose (creata sunt omnia simul).16
Poi la Scrittura descrive come Dio piantò il paradiso, come fece spuntare
dal suolo ogni sorta d‘alberi, come condusse gli animali all‘uomo e come formò
per lui la donna con la costola che gli prelevò. Tutti questi particolari sono una
prova assai chiara che essi non sono da ascrivere alla primordiale attività creatrice
di Dio, ma piuttosto a quella con cui opera fino al presente.17
Agostino, dunque,
rifiuta l‘idea che l‘uomo sia stato fatto al sesto giorno con il fango nella forma
attuale ben distinta e visibile. Il problema, purtroppo, è che
la Scrittura non ci consente né d‘interpretarla nel senso che [l‘uomo e la
donna] furono creati in questo modo al sesto giorno né tuttavia nel senso che
non furono creati nel sesto giorno.18
L‘uomo fu fatto ad immagine di Dio il sesto giorno come maschio e
femmina; la donna fu fatta all‘infuori di quei sei ―giorni‖, poiché fu fatta quando
Dio con la terra formò ―ancora‖ gli animali, cioè quelli non primordiali. Eva
dunque fu creata durante i giorni che risultano dal corso circolare del sole.
Agostino sottolinea la contraddizione dicendo:
Però non si può neppure dire che il maschio fu creato il sesto giorno e la
femmina, al contrario, nel corso dei giorni posteriori, poiché è detto in modo
assai chiaro che lo stesso sesto giorno li fece maschio e femmina e li
benedisse, con tutto il resto che dice di entrambi e ad entrambi.19
Quindi, nella creazione primordiale l‘uomo fu fatto maschio e femmina,
―invisibilmente, potenzialmente, nelle loro cause, come sono fatti gli esseri
destinati ad esser fatti ma non ancora fatti (invisibiliter, potentialiter, causaliter,
quomodo fiunt futura non facta)‖; e in un altro modo dopo, cioè: ―visibilmente,
nella forma della struttura umana che noi conosciamo‖.20
16 Gn. litt. 6, 2, 3. 17 Gn. litt. 6, 3, 5. 18 Gn. litt. 6, 6, 11: ―Nam nec isto modo eos illo sexto die factos, nec tamen eos illo
sexto die non factos intellegere Scriptura permittit‖. 19 Gn. litt. 6, 5, 7. 8. 20 Gn. litt. 6, 6, 10.
L‘UOMO 13
In questa sede è opportuno correggere l‘affermazione di O‘Connell,
secondo cui il corpo entra in scena nel sesto giorno. Agostino in realtà sostiene
che:
la creazione primordiale di tutti e due fu dunque diversa da quella
posteriore: nella primordiale essi furono creati per mezzo del Verbo di Dio
in potenza (secundum potentiam per verbum Dei), insita – per così dire –
come un germe nel mondo allorché Dio creò simultaneamente tutte le
cose... nella creazione posteriore invece essi sono creati secondo l‘attività
creatrice che svolge la sua opera attraverso il corso del tempo senza alcuna
interruzione e in base alla quale era stabilito che in seguito, al tempo
opportuno, fosse creato Adamo col fango della terra e sua moglie dal fianco
del marito.21
O‘Connell, quindi, ha ragione quando ritiene che Agostino ha dissociato la
creazione primordiale da quella posteriore, ma erra affermando la preesistenza
plausibile dell‘anima quando ritiene che il corpo ―vero‖ appare nel sesto giorno.
Agostino non esprime per nulla tale idea. Il sesto giorno appartiene ai ―giorni‖
invisibili in cui Dio creò tutte le cose contemporaneamente, e agli altri giorni
cosiddetti ―normali‖ appartiene la creazione tanto del corpo quanto dell‘anima.
Il corpo si sviluppa nel tempo dall‘involucro primordiale. Per la difficoltà di
comprendere tali argomenti, Agostino era preoccupato che qualcuno pensasse
qualcosa di diverso a proposito di quanto egli né pensava né affermava. Era
tuttavia convinto che parecchi sostenevano che egli pensasse che l‘uomo,
esistesse già dotato d‘una certa forma di vita con cui potesse capire, credere e
comprendere... Chi dunque immagina ciò, sappia che io non ho né pensato né
affermato una simile cosa (noverit ergo qui hoc putat, non hoc me sensisse,
neque dixisse).22
D‘altronde, se nella creazione primordiale l‘essere umano non era tale come
è attualmente, non si deve credere che l‘uomo non esistesse affatto.23
Esisteva
solamente nelle ―ragioni causali‖ (rationes causales). Per questo Agostino non
accetta come possibile la soluzione di coloro che sulla scia origenista sostenevano
21 Gn. litt. 6, 5, 8. 22 Gn. litt. 6, 6, 9. 23 Gn. litt. 6, 6, 10.
14 Z. DJUROVIC
che nel sesto giorno erano state create le anime secondo l‘immagine di Dio, mentre
il corpo sarebbe stato formato in seguito. Una tale interpretazione non è plausibile
perché la creazione era stata conclusa e perché il sesso maschile e femminile
possono esistere solo in rapporto ai corpi.24
Però questi corpi non esistevano in una
forma tale di poter percepire o funzionare come i corpi attuali.25
Le cose create, sia
invisibili sia visibili, si sono sviluppate nel tempo da rationes occulte e invisibili,
latenti nella creazione sotto forma di semi causali (rationes seminales).26
In un
certo senso sono state portate a perfezione e in un altro senso sono state abbozzate
le medesime cose che Dio creò tutte nello stesso tempo. Erano perfette, ma d‘altra
parte erano state solamente accennate, poiché in esse vi erano i semi degli esseri
futuri che dovevano evolversi a tempo debito. La Scrittura, per questa ragione,
insegna che le opere di Dio da una parte furono portate a perfezione e dall‘altra
furono abbozzate.27
Quindi, l‘uomo fu creato a suo tempo, visibilmente quanto al
corpo, invisibilmente quanto all‘anima, essendo composto d‘anima e di corpo
(creatus in tempore suo, visibiliter in corpore, invisibiliter in anima, constans ex
anima et corpore).28
Tale ragionamento non permette affatto la tesi origeniana
sulla preesistenza degli esseri intellettuali: la creazione simultanea si riferisce tanto
al corpo quanto all‘anima.
Il corpo e l‘anima creati nel sesto giorno, dunque, non si dovrebbero
confondere con quelli creati nel corso del tempo. La creazione simultanea non è
naturalmente misurabile nel tempo. Tutto è stato creato in un attimo. Quindi,
quando Agostino afferma che il corpo si doveva nutrire di frutti materiali,29
non si
deve pensare che nella creazione originale Adamo si nutrisse veramente. Perché?
Perché ci vuole del tempo per tale azione, direi seguendo il ragionamento di
Agostino. Il motivo per cui Agostino collega il nutrimento con dei corpi è di
24 Gn. litt. 6, 7, 12. 25 Gn. litt. 6, 8, 13. 26 Gn. litt. 6, 10, 17. O‘Connell ha già notato che Agostino è propenso ad utilizzare
l‘espressione rationes causales più che rationes seminales. Non ritengo che Agostino preferì
usare la prima espressione perché la seconda era stata usata dagli Stoici. Qualcuno potrebbe
pensare che Agostino volle evitare il pericolo del materialismo, ma è da supporre che la
ragione si può ritrovare nel seme che una volta impiantato nel terreno adatto non è più sotto
il controllo o l‘influenza del seminatore. L‘idea delle rationes causales mette meglio in
evidenza il ruolo di Dio che non solamente crea ma fa anche crescere. Il concetto di causa è
più conforme al primato divino sulla creatura, ed è strettamente legato alla Sua volontà. Il
seme significherebbe qualcosa che se inserito nel suo ricettacolo perde ogni relazione con la
sua origine. 27 Gn. litt. 6, 11, 18. 28 Gn. litt. 6, 11, 19. 29 Gn. litt. 6, 7, 12.
L‘UOMO 15
mostrare che l‘anima non fu creata prima del corpo. È interessante un altro fatto:
egli ora respinge con decisione la posizione che aveva assunto nel De Genesi
contra Manichaeos (1, 25, 43), senza però nominarla come propria:
Se invece uno penserà che i due sessi sono in certo qual modo l‘intelletto e
l‘azione in un‘unica anima (Quod si quisquam secundum intellectum et
actionem tamquam utrumque sexum in una anima accipiendum putaverit),
che cosa farà dei frutti degli alberi dati da Dio come alimento nello stesso
giorno, dal momento che l‘alimento è certamente necessario solo a un uomo
dotato di corpo? Poiché, se uno vorrà prendere anche questo alimento in
senso figurato, si allontanerà dal senso vero e proprio dei fatti, che
innanzitutto e con ogni scrupolo deve essere messo alla base per quanto
riguarda narrazioni di tal genere.30
―Uno penserà‖ è il primo Agostino.31
Questa è la prova decisiva che la sua
riflessione precedente era suscettibile di una interpretazione di stampo origenista
che ora nega fermamente,32
ma di cui certamente non si era scordato. Ci sono altre
ragioni plausibili che lo conducevano in siffatta direzione. L‘eventuale soluzione
della preesistenza dell‘anima viene oramai letta e riformulata alla luce della teoria
della doppia creazione. La fonte P nella teologia alessandrina fu letta come la
creazione del mondo spirituale e Agostino aveva aderito a tale interpretazione. Ora
invece egli contesta che la prima creazione abbracciasse soltanto l‘anima e il
mondo spirituale, ed ammette che il principio del movimento e dello sviluppo del
mondo conosciuto è insito in esso, nella sua essenza. Non è che Agostino soltanto
neghi una parte dell‘insegnamento alessandrino (preesistenza dell‘anima), ma
30 Ib. 31 Questo è in nesso con Gn. litt. 6, 6, 9 che ho già riportato: l‘uomo non esisteva
come essere consapevole: ―io non ho né pensato né affermato una simile cosa‖. Però ciò si
riferisce al secondo Agostino, non al primo. Infatti, il primo Agostino nel Gn. c. man. 1, 25,
43 scriveva: ―In tal modo deve diventare a immagine e a somiglianza di Dio anche l‘uomo,
maschio e femmina, cioè intelligenza e azione (intellectus et actio), mediante l‘unione dei
quali si riempia la terra di frutti spirituali‖. 32 Anche Gregorio di Nissa, pur sostenendo la teoria della doppia creazione, non
accetta la preesistenza dell‘anima, cioè che Gen. 1, 27 parlasse della creazione dell‘anima
(immagine di Dio) prima della creazione del corpo e Gen. 2, 7 come riferimento all‘uomo
terreno. Né le anime esistevano prima dei corpi, né, al contrario, i corpi furono costruiti
prima delle anime, né, infine, si può sostenere ―favolosa dottrina‖ della trasmigrazione delle
anime (opif. 28, PG 44, 229-233). Nisseno infatti vedeva un nesso stretto tra le dottrine
pagane della migrazione delle anime con l‘idea della preesistenza dell‘anima (opif. 28, PG
44, 232a).
16 Z. DJUROVIC
propone un modello concorrenziale, modello che unisce in sé la componente
spirituale e quella materiale.33
Dal germe già fornito di una forma e potenza
nascono tutti i soggetti dell‘universo. In questo seme si celano insieme materia e
forma dell‘essere. Dunque, sembra che Agostino abbia approfondito l‘idea
giovanile sul mondo creato in forma embrionale,34
e sembra vero che, come ci
assicura, non abbia sostenuto mai l‘idea della preesistenza dell‘anima. Altamente
spiritualizzata la visione alessandrina colloca l‘intelletto al posto della causa
movente, la soluzione agostiniana invece tenta di unire tutta la creazione in un
unico momento. L‘unità e la molteplicità diventa qualcosa di voluto da Dio. Questa
nuova impostazione, dunque, modificò o, se qualcuno vuole, rese esplicite le
posizioni giovanili di Agostino.
1. 2. L‟origine dell‟anima
Poiché la Scrittura non contiene alcun insegnamento decisivo sull‘origine
dell‘anima, né gli autori ecclesiastici sono riusciti a spiegare in modo convincente
la sua origine, è necessario per Agostino che ci si occupi con tutte le forze e serietà
di rivalutare questo problema aperto.35
Per risolvere la questione assai ardua
relativa all‘anima
si sono affaticati molti interpreti e hanno lasciato anche a noi materia in cui
affaticarci. A questo proposito non mi è stato possibile leggere tutti gli scritti
di tutti coloro che su questo argomento sono potuti arrivare a una conclusione
chiara e del tutto sicura, conforme alla verità delle nostre Scritture; la
questione inoltre è così difficile che neanche gli scrittori, che ne danno una
soluzione esatta, sono facilmente capiti da persone come me; confesso perciò
che finora nessuno mi ha convinto di pensare che non sia necessario fare
ulteriori ricerche sulla questione dell‘anima.36
La giovanile visione di Agostino sul problema dell‘origine dell‘anima –
sebbene in Gn. litt. non tolleri l‘anteriorità dell‘anima rispetto al corpo – gli
33 Le ragioni seminali, secondo gli studiosi moderni, avevano nel pensiero di
Agostino una reale esistenza fisica (C. BOYER, L‟idée de la vérité dans la philosophie de
Saint Augustin, Paris: Beauchesne et ses Fils, 1940, p. 149; CARROZZI, Introduzione, NBA
IX/2, p. 299, n. 16). 34 Gn. c. man. 1, 7, 11. 35 Cf. Gn. litt. 10, 10, 17. Le cose circa l‘anima ―la Scrittura non esprime con
chiarezza‖ (cf. Gn. litt. 7, 28, 43). 36 Gn. litt. 6, 29, 40. Simile idea ripete nell‘ep. 140, 12, 32 scritta fra il 411 e 412.
L‘UOMO 17
consentiva, almeno sul piano ipotetico, nel De beata vita 1, 1, 1 di porsi
l‘interrogativo sui diversi motivi per cui l‘anima è stata messa in relazione con il
corpo:
siamo stati gettati in questo mondo, come in un alto mare tempestoso, o da
Dio, o dalla natura, o dalla necessità o dalla nostra scelta (sive Deus, sive
natura, sive necessitas, sive voluntas nostra).
L‘esistenza dell‘anima nel mondo sensibile è stata segnata da motivi
positivi, negativi o misti, ma qualunque sia la ragione di questa situazione, essa
risulta multum obscura. Dato che la Scrittura non contiene alcun insegnamento
sull‘origine dell‘anima, spetta alla ricerca scoprirne i presupposti sulla base di
ragionamenti logico-deduttivi. A tale scopo Agostino avanza quattro ipotesi nel
terzo libro del De libero arbitrio:37
1) l‟ipotesi traducianista: da una sola anima, quella di Adamo, derivano le
anime di tutti i suoi discendenti (anima facta… ex qua omnium hominum animae
trahuntur nascentium);
2) l‟ipotesi creazionista: le anime sono create singolarmente in ogni
individuo nascituro (singillatim fiunt in unoquoque nascentium);
3) l‟incarnazione, ad opera di Dio, di anime preesistenti: esse sono mandate
con il compito di animare e dar forma ai corpi dei singoli individui (in Dei aliquo
secreto iam existentes animae mittuntur ad inspiranda et regenda corpora
singulorum quorumque nascentium);
4) l‟incarnazione deliberata di anime già esistenti: le anime viventi fuori
del corpo non sono mandate da Dio, ma spontaneamente vengono ad abitare nei
corpi (alibi animae constitutae… sua sponte ad inhabitanda corpora veniunt).
Sebbene il primo Agostino tratti queste ipotesi in maniera molto estesa e le
abbia riesaminate anche più tardi,38
rimase scettico riguardo a una precisa e
decisiva risposta:
Di queste quattro teorie sull‘anima… non si deve affermare nessuna
pregiudizialmente. Infatti o il problema non è stato ancora chiaramente
trattato a causa della sua oscurità e incertezza dagli interpreti cattolici dei
37 Cf. lib. arb. 3, 20, 56 - 21, 59. 38 ep. 143, 166, 190 ed in Gn. litt.
18 Z. DJUROVIC
Libri sacri, ovvero se è stato già fatto, testi simili non sono ancora giunti
nelle mie mani.39
L‘origine dell‘anima è un problema non ancora trattato, ripete Agostino, pro
merito suae obscuritatis. Le fonti agostiniane di questo enigma non possono
essere, dunque, i tractatores catholici, ma i filosofi che sostenevano l‘immortalità
dell‘anima, cioè i neoplatonici. I dubbi rimangono, ma si dovrebbero ―analizzare
sulla base delle Scritture‖ da parte di chi è capace,40
ma, come abbiamo già visto
(Gn. litt. 6, 29, 40), sebbene ora Agostino avesse letto i tractatores catholici, e
avesse studiato le Scritture, nessuno lo aveva convinto di non fare ulteriori ricerche
di approfondimento sulla questione dell‘anima.41
L‘ipotetica preesistenza dell‘anima si trova in Gn. c. man. 2, 8, 10:
Per quanto riguarda lo scritto: Dio allora infuse in lui il soffio vitale e l‟uomo
divenne un‟anima vivente (Gen. 2, 7), se il corpo era ancora solo, in questo
passo dobbiamo intendere che l‘anima fu unita al corpo. Essa era forse già
stata creata, ma era ancora nella bocca di Dio (sed tamquam in ore Dei erat),
cioè nella verità e sapienza di lui, da cui tuttavia non si allontanò come se
fosse stata separata da un luogo, poiché Dio non è racchiuso in un luogo ma è
dappertutto presente.
Questa ipotesi – come afferma Cipriani – ―non si può in nessun modo
intendere come la preesistenza di una pluralità di anime e tanto meno come di
anime che spontaneamente o no sarebbero cadute nei corpi. Parla di un‘unica
anima che, creata prima o al momento dell‘infusione nel corpo, è stata data
comunque da Dio al corpo di Adamo‖.42
È fuori dubbio che questa frase non dice
nulla di quello che Cipriani giustamente rammenta. Eppure qui Agostino in chiare
lettere esprime l‘idea della preesistenza dell‘anima, che però ―era ancora nella
bocca di Dio, cioè nella sua Verità e Sapienza‖. Dio ha ispirato l‘anima. Per questo
Agostino menziona la bocca di Dio (ore Dei) e subito dopo spiega che cosa è
questa bocca: la Verità, ossia la Sapienza (veritate vel sapientia). L‘anima era
dunque nel Verbo di Dio. Questo richiama la soluzione di Mario Vittorino per cui
le anime preesistevano nel Logos divino, cioè nel Verbo che è receptaculum
39 lib. arb. 3, 21, 59. 40 lib. arb. 3, 21, 62. 41 Cf. ep. 143, 8-11. 42 N. CIPRIANI, La dottrina del peccato negli scritti di S. Agostino fino all‘Ad
Simplicianum, SEA 59 (1997) pp. 28-29, n. 23; id., Il tema agostiniano, p. 149.
L‘UOMO 19
eorum,43
e in cui (in Cristo) spiritales fuimus.44
Muovendosi comunque in ambito
alessandrino Agostino afferma che l‘anima non è caduta nel corpo. L‘anima ―non
si allontanò da Dio come se fosse stata separata da un luogo‖. Essa è partecipe
della mente divina anche se svolge oramai un‘altra funzione, quella di guidare un
corpo mortale e di dargli vita. È creata, dotata dell‘intelligenza, l‘elemento
eccellente, con cui contempla la mente divina, e la cui visione la rende del tutto
beata (visione fit beatissima).45
Tutto ciò è possibile dal momento che ―Dio non è
incluso in un luogo ma è presente ovunque (ubique praesens est)‖.
Da quanto precede si desume che Agostino seguiva l‘idea degli alessandrini
secondo cui l‘anima è fatta a immagine dell‘immagine divina, ma non li segue
nell‘affermazione che l‘incorporazione è effetto del peccato. Nei testi citati non c‘è
prova che riguardi la preesistenza dell‘anima in Agostino, nel senso che tale tesi
fosse da lui intesa come una verità; c‘è chiaramente come ipotesi l‘idea della
preesistenza dell‘anima, senza però alcun nesso con la ―caduta‖ nel corpo. Dunque,
non si dice nulla del motivo dell‘infusione dell‘anima nel corpo. Tuttavia, l‘ipotesi
della preesistenza dell‘anima apre diversi problemi che Agostino doveva
conoscere: la preesistenza dell‘anima, per esempio, sottintende una sua vita propria
e consapevole? Se questa anima fosse irrazionale, quando è diventata razionale?
L‘anima irrazionale ubicata nella Sapienza divina sarebbe un sacrilegio per
Agostino?
Osserviamo ora nel De Genesi ad litteram il procedimento agostiniano.
Abbiamo visto che il nostro autore discuteva su quattro ipotesi circa l‘origine
dell‘anima, di esse rimangono ormai le due principali: l‟ipotesi traducianista e
quella creazionista. Molti studiosi pensano che preferisse l‘ipotesi traducianista
perché questa si adattava meglio alla sua a questo punto già sviluppata dottrina sul
peccato originale.
L‘uomo primordiale non si sarebbe mosso durante il sesto giorno perché era
stato creato in un recesso o luogo occulto della natura (in secreto quodam naturae);
poi, con il passare del tempo, egli sarebbe diventato conforme alla natura visibile
(perspicua forma), quella che noi conosciamo.46
In altri termini: inizialmente
l‘uomo fu fatto nella potenzialità di quel che era destinato ad essere, non nella sua
condizione attuale. Per questo è inutile cercare un merito o demerito nell‘uomo
ancora allo stato di rationes seminales, dato che lui non viveva una vita personale o
43 adv. Ar. 1, 24, PL 8, 1058bc. Per ulteriori riferimenti si veda: H. DE LEUSSE, Le
Problème de la préexistence, pp. 199-203. 44 in Eph. 1, 1, 4, PL 8, 123ab. 45 div. qu. 46, 2. 46 Gn. litt. 6, 1, 1.
20 Z. DJUROVIC
propria (vita propria).47
Ė stato l‘Apostolo Paolo, e precisamente un passo della
lettera ai Romani (9, 11) a spingere Agostino ad abbandonare l‘ipotetica
concezione della preesistenza dell‘anima, perché l‘asserzione di Paolo relativa ―ai
gemelli che nel seno di Rebecca non facevano ancora nulla di bene o di male
(geminis in Rebeccae utero nondum agentibus aliquid boni aut mali), non lascia
alcuna esitazione in proposito‖.48
Quindi, nessuno può compiere qualcosa di bene o
di male prima d‘esser nato:
L‘opinione poi secondo la quale alcuni pensano che le anime hanno
commesso peccati più o meno gravi (nonnulli putant alibi peccasse magis
minusque animas) in un altro mondo e sono state precipitate in corpi diversi
secondo la gravità dei peccati non è conforme all‘asserzione dell‘Apostolo,
poiché questi dice assai chiaramente che quelli non ancora nati non hanno
fatto nulla di bene o di male.49
Si noti che Agostino parla di ―peccati più o meno gravi‖, il che è conforme
alla teoria plotiniana della caduta parziale dell‘anima ed a quella origeniana che
sosteneva la diversa gravità dei peccati commessi dagli esseri muniti di intelletto.
Più avanti Agostino confuta in vari modi la possibilità che l‘anima possa avere
avuto una sua preesistenza. Si chiede anzitutto se l‘anima sia fatta di materia
spirituale: c‘è un‘anima generale dalla cui sostanza sono fatte le anime; e qual è la
sua funzione nell‘opera della creazione? Quindi, vive o non vive: se vive, che cosa
fa? Conduce una vita felice o miserabile? Dà la vita o rimane inerte? Se non è vita,
come potrebbe generare gli esseri viventi?50
Infine: se l‘anima razionale fu fatta
47 Gn. litt. 6, 9, 16. 48 Gn. litt. 6, 9, 14. 49 Gn. litt. 6, 9, 15. Ivi Agostino rifiuta apertamente la soluzione origeniana. Origene
spiega il destino diverso degli uomini con la diversa gravità del peccato che hanno
commesso quando ancora erano puri intelletti ed avevano la stessa identica potenzialità (per
una ricostruzione puntuale si veda G. S. GASPARRO, Caduta, in Origene, pp. 50-53). 50 Cf. Gn. litt. 7, 8, 11: ―O questa ipotesi è falsa o è un mistero troppo profondo! Se,
al contrario, quella materia viveva già né felicemente né miseramente, in qual modo era
razionale? Se invece fu fatta razionale quando da essa fu tratta la natura dell‘anima umana,
allora era vita irrazionale la materia dell‘anima razionale, cioè umana? Quale differenza
c‘era allora tra essa e quella di un animale bruto? Era forse già razionale in potenza ma non
ancora in atto? Noi infatti vediamo che l‘anima di un bambino, senza dubbio già anima
umana, non ha cominciato ancora a far uso della ragione e tuttavia noi diciamo che è già
un‘anima razionale. Perché mai, allora, non dovremmo credere che allo stesso modo nella
materia, da cui sarebbe stata tratta l‘anima, l‘attività della coscienza era non operante, come
nell‘anima del bambino, che senza dubbio è già un‘anima umana, non è ancora operante
L‘UOMO 21
dall‘anima, di che cosa è fatta l‘anima irrazionale? Questa anima dovrebbe essere
un corpo, ―ma nessuno, ch‘io sappia, ha mai osato affacciare una simile opinione,
tranne chi sostiene che l‘anima non è altro che una specie di corpo‖.51
Ulteriori analoghe difficoltà sono prese in esame poco più avanti nella
stessa opera: se si ipotizza che l‘anima preesisteva, non si può trovare una
spiegazione convincente su che cosa l‘avrebbe spinta a introdursi nel corpo. Tutte
le supposizioni sono in aperto contrasto con l‘affermazione dell‘Apostolo che
quelli che non sono ancora nati non hanno fatto nulla né di bene né di male. Sia
nell‘ipotesi che l‘anima è incline per sua spontanea volontà verso il corpo per
governarlo, sia che l‘anima sia venuta nel corpo per ordine di Dio, ciò significa una
precedente capacità deliberativa, il che è in conflitto con l‘affermazione di Paolo.
Per l‘anima, inoltre, non sarebbe stato meglio restare là dove si trovava?52
Le incertezze su quale sia l‘origine dell‘anima rimangono senza una risposta
definitiva. Agostino può affermare solamente che l‘anima è stata creata o da una
sostanza spirituale oppure è stata creata interamente dal nulla. Malgrado ciò, non si
deve assolutamente dubitare che essa fu fatta da Dio per divenire anima vivente.
Infatti, o non era nulla in precedenza, o non era ciò che è adesso: in entrambi i casi
è creatura di Dio.53
La più importante conclusione del problema dell‘anima è che,
in ogni caso, essa non ha una precedenza temporale rispetto al corpo.54
Perfino nel
caso in cui l‘ipotesi traducianista fosse quella veritiera, l‘anima non potrebbe avere
la capacità cognitiva in actu, come ci testimonia il brano riportato di Gn. litt. 7, 8,
11. Dunque, l‘ipotesi dell‘anima caduta venne scartata da Agostino una volta per
tutte.
l‘attività della ragione? Poiché, se la vita con cui fu fatta l‘anima umana, era già felice,
allora ha subito un deterioramento e per conseguenza non è più la materia dell‘anima e
questa è un‘emanazione di quella… Ma anche se l‘anima umana potesse considerarsi come
l‘emanazione d‘una vita creata da Dio in un certo stato di felicità, neppure in questo caso si
potrebbe pensare ch‘essa cominci ad esistere in virtù d‘un atto dovuto ai suoi meriti se non
dal momento in cui cominciò a vivere una vita propria, quando fu fatta anima vivificante la
carne servendosi dei sensi del corpo come messaggeri ed essendo cosciente della propria
vita individuale con la volontà, l‘intelligenza e la memoria. Poiché, se c‘è qualche essere da
cui Dio trasse questa emanazione per infonderla nella carne già formata da lui creando
l‘anima con una sorta di soffio, e, se questo essere si trova in uno stato di felicità, non si
muove in alcun modo né si muta né perde nulla allorché da esso emana ciò con cui è fatta
l‘anima‖. 51 Gn. litt. 7, 9, 12. 52 Gn. litt. 7, 25, 36. 53 Gn. litt. 7, 21, 31. 54 Cf. anche civ. 13, 24. 1. 2.
22 Z. DJUROVIC
1. 3. Il rapporto tra anima e corpo
Il problema della provenienza dell‘anima è strettamente collegato a quello
della relazione tra corpo ed anima. Se il primo Agostino poteva consentire la
creazione indipendente dell‘anima e del corpo, e il secondo Agostino invece non lo
condivideva, c‘è da aspettarsi che questi due modelli abbiano anche differenti
conseguenze per ciò che riguarda il concetto antropologico, che vorrei ora
evidenziare.
All‘inizio della sua riflessione antropologica, Agostino accettò la ben
conosciuta definizione filosofica55
secondo la quale ―l‘uomo è un animale
ragionevole mortale‖ (homo est animal rationale mortale).56
In questo modo
l‘uomo si differenzia da una parte dagli animali e dall‘altra da Dio: l‘animale è
mortale, ma non pensa; Dio pensa, ma non è mortale.57
In altre parole, l‘uomo è
composto da anima e corpo.58
Tale distinzione comunque non salda il composto
55 ARISTOTELE, top. 132b 2; SESTO EMPIRICO, Pyrr. Hyp. 2, 25, MUTSCHMANN, p. 70;
CICERONE, Acad. post. 7, 21, RACKHAM, p. 494; QUINTILIANO, instit. orat. 5, 10, 56, BUTLER
II p. 230; 7, 3, 15, BUTLER III p. 90; PORFIRIO, isag. CAG 4.1, p. 10, 10-15. Intorno la
definizione della specie ―uomo‖ come ―animale razionale mortale‖ (zw|o.n logiko.n qnhto.n)
ruota l‘intero opuscolo porfiriano, e su essa ha costruito l‘albero logico. Che questa
definizione e le successive possano essere di provenienza varroniana, cf. N. CIPRIANI,
L‟influsso di Varrone sul pensiero antropologico di S. Agostino, in L‟etica cristiana nei
secoli III e IV: eredità e confronti, Roma 1996, pp. 369-400; simile atteggiamento: V.
PACIONI, Agostino d‟Ippona, pp. 65-69. 56 ord. 2, 11, 31; 2, 19, 50; quant. an. 25, 47-49; mor. 1, 27, 52; mag. 8, 24; trin. 15,
7, 11. 57 In ord. 2, 11, 31 Agostino scrive: ―L‟uomo è un animale ragionevole mortale.
Vediamo che nella definizione, posto il genere qual è determinato in animale, vengono
aggiunte due differenze specifiche. E con queste, come penso, si doveva ammonire l‘uomo
dove deve ritornare e da dove deve fuggire. Infatti, come l‘allontanamento dell‘anima ha
raggiunto la soggezione alla morte, così il ritorno deve essere verso la ragione. L‘uomo, in
quanto ragionevole, si differenzia dalle bestie; in quanto mortale, dai valori. Se non
conserverà il primo, diverrà bestia, se non si allontanerà dall‘altro, non diverrà valore. E
poiché i dotti sogliono con acume e perspicacia determinare la distinzione che esiste fra
ragionevole e razionale, la distinzione non può essere trascurata ai sensi dei risultati che
intendiamo raggiungere. Essi hanno detto che ragionevole è l‘essere che usa la ragione o la
può, usare e che razionale è un prodotto della ragione nell‘ordine dell‘azione e del
linguaggio. Possiamo quindi denominare razionali questi termini e il nostro discorso;
ragionevoli il loro costruttore e noi che stiamo parlando. Quindi la ragione si produce
dall‘anima ragionevole nell‘ordine dell‘azione e del linguaggio‖. 58 beata v. 2, 7; 2, 9; sol. 1, 12, 21; ep. 3, 4; ord. 2, 7; quant. an. 1, 2; mor. 1, 4, 6;
div. qu. 7.
L‘UOMO 23
―essere umano‖, ma lo divide. L‘uomo deve tendere verso l‘intelletto (quello
immortale) e liberarsi dal corpo animalesco (quello mortale). Tuttavia, per definire
che cosa è l‘uomo si devono considerare entrambe le sue parti:
l‘anima e il corpo sono due e nessuno dei due si chiama uomo in assenza
dell‘altro, infatti né il corpo è un uomo se manca l‘anima, né l‘anima a sua
volta è un uomo se essa non dà vita al corpo.59
Secondo un‘altra definizione di Agostino,
[L‘animo] è una certa sostanza partecipe di ragione, capace a governare il
corpo (Nam mihi videtur esse substantia quaedam rationis particeps,
regendo corpori accommodata).60
Il termine substantia significherebbe qui ente per sé sussistente,
―sostanziale‖ anche se immateriale. La ―sostanza‖ dell‘animo è una natura ultima,
un elemento dotato di proprie caratteristiche non scambiabili, come per esempio,
l‘elemento terra è sempre terra e non può diventare fuoco o qualcos‘altro.
Agostino, cosa certa, non accetta rigorosamente una impostazione dualistica; in
sintonia con i neoplatonici non sostiene l‘ilemorfismo, né l‘idea di Aristotele di
anima come forma del corpo, perché questo esporrebbe a rischio l‘immortalità
dell‘anima: questa scomparirebbe insieme con il corpo a cui dà la forma.61
Di
Aristotele accettò solo l‘idea che l‘anima sia il principio di esistenza, di essere, di
movimento del corpo.
La definizione: substantia regendo corpori accommodata esse, è molto
importante ed è stata oggetto di diverse interpretazioni. Il nodo è l‘aggettivo
59 mor. 1, 4, 6. 60 quant. an. 13, 22. 61 Cf. V. PACIONI, Agostino d‟Ippona, p. 66. Anche se Pacioni non menziona la
possibile fonte che Agostino abbia potuto usare per la sua negazione che l‘anima è
entelechia del corpo, quella è facilmente rintracciabile – basta infatti consultare enn. 4, 85.
Dall‘altra parte, illuminante è il seguente brano di Ambrogio: ―Dunque, l‘anima non è il
sangue, poiché il sangue appartiene alla carne; l‘anima non è un‘armonia (harmonia), perché
anche un‘armonia di questo genere appartiene alla carne; l‘anima non è un soffio d‘aria
(aer), poiché il vento che soffia è una cosa, un‘altra è l‘anima; l‘anima non è fuoco (ignis),
l‘anima non è un‘entelechia (evntele,ceia); l‘anima è l‘essere vivente, perché Adamo fu
plasmato come anima vivente, in quanto il corpo è insensibile e privo di vita, ma è l‘anima
che lo vivifica e lo governa‖ (Isaac. 2, 4, CSEL 32/1, II, pp. 644-645). Tutti questi concetti
sono stati usati continuamente da Agostino.
24 Z. DJUROVIC
accommodatus, a, um che significa acconcio, appropriato, idoneo, capace. Inoltre,
si potrebbe tradurre con commisurato, aggiustato in (a) modo. Pacioni traduce:
―ordinata a governare il corpo‖. Ordinato ivi significherebbe predisposto o
apparecchiato a un fine.62
Tale interpretazione sembrerebbe dire che Dio ha creato
l‘anima (esclusivamente) per muovere un ente inferiore a essa; il prof. Pacioni, ha
voluto certamente polemizzare con coloro che sostengono il pensiero del giovane
Agostino prettamente dualistico.63
La traduzione di Cipriani supera decisamente ogni interpretazione
dualistica: ―Per Agostino l‘anima non è una natura estranea al corpo, perché è
creata da Dio adatta (accomodata) a governare il corpo, fatto di cui nessuno può
giustamente lamentarsi, perché ne risulta tantus et tam divinus ordo (quant. an. 36,
81). Sono affermazioni che si oppongono chiaramente a Plotino, per il quale
l‘anima non solo è incorporea ma è una sostanza che non deve il suo essere al fatto
che sia insediata in un corpo (enn. 4, 7, 85, 40-47) e riteneva insopportabile
l‘unione dell‘anima con il corpo, perché esso è di ostacolo al pensare, e perché
riempie l‟anima di piaceri, di brame e di dolori (enn. 4, 8, 2)‖.64
Tutto ciò induce
62 PACIONI, Agostino d‟Ippona, p. 66. La stessa traduzione: D. GENTILI, NBA III/2.
GIOVANNI CATAPANO, in Aurelio Agostino, Tutti i dialoghi, introduzione generale,
presentazioni ai dialoghi e note di G. CATAPANO; traduzioni di M. BETTETINI, G. CATAPANO,
G. REALE, Milano: Bompiani, Il pensiero occidentale, 2006, p. 739 traduce con addetta.
ÉTIENNE GILSON, L‟esprit de la philosophie médiévale, ÉPhM 1998, p. 181, traduce con
apte. 63 Se uno vuole leggere la definizione agostiniana in una visione olistica dovrebbe
chiedersi perché questa formulazione non si troverà mai più nel suo opus che, con passare
del tempo, tenderà sempre più a mettere in relazione naturale l‘anima col corpo. D‘altra
parte, se si afferma che l‘anima è stata creata da Dio per governare il corpo, risveglieremo
l‘antica dilemma che cosa è stato creato prima: corpo o anima? Sappiamo infatti che
Tertulliano, aderendo alla lettera della Scrittura, affermava che il polvere della terra fu
trasformato nella carne umana che per prima ottenne il nome dell‘uomo (cf. res. carn. 5, 8,
SPCK, p. 16). Tale opinione non era accettabile per Gregorio di Nissa: l‘ uomo non è stato
creato prima come una immagine scolpita di argilla per cui in seguito è stata creata l‘anima.
―Perché in questo caso, la natura intelligente sarebbe inferiore di una creatura transitoria‖
(opif. 28, PG 44, 233c). Gli oppositori di Nisseno sostenevano che una volta creato il corpo
materiale, sarebbe ingiusto che fosse immobile, e per questa fine gli fu data l‘anima, che è di
valore più basso, perché tutto ciò che viene fatto per un scopo ha meno valore che la fine per
cui serve. Loro, e non Tertulliano – che era estraneo a tele ragionamento – si richiamavano
pure a Mt. 6, 25: la vita forse non vale più del cibo e il corpo più del vestito? (opif. 28, PG
44, 229cd). Tertulliano soltanto in caso di Adamo permetteva la precedenza temporale del
corpo, ma nel tempo attuale il corpo nasce insieme coll‘anima: ―caro atque anima simul
fiunt sine calculo temporis, ut quae simul in utero seminantur,‖ (res. carn. 45, 4, SPCK, p.
124). 64
N. CIPRIANI, Il tema agostiniano, p. 148.
L‘UOMO 25
Cipriani a concludere: ―l‘anima, poi, è creata da Dio adatta a governare il corpo, e
da lui data al corpo a questo scopo‖.65
Ivi faccio una digressione che reputo
importante.
Anche se è possibile che Agostino nel quant. an. 36, 81 poteva aver in
mente Plotino, ciò non è esplicito detto, e d‘altra parte ci sono come più probabili
interessati i manichei. Proprio Plotino, infatti, ha disapprovato le lamentele e i
biasimi degli gnostici circa il legame dell‘anima con il corpo.66
Il filosofo di
Licopoli, dopo aver esposto in breve la dottrina delle tre principali ipostasi, nega
come assurda l‘idea gnostica che ―l‘Anima ha creato perdendo le sue ali‖,67
quando
essa invece genera il mondo sensibile per sua propria natura e non si può dire che
questo mondo è qualcosa di cattivo perché vi sono in esso molte cose poco
gradevoli.68
[Gli gnostici] biasimano (memfo,menoi) questo universo, considerando una
colpa la comunione69 dell‘anima col corpo (th.n pro.j to. sw/ma koinwni,an th|/
yuch|/ aivtiw,menoi), criticando Colui che governa il nostro mondo...70 Chi
disapprova questo mondo non sa ciò che fa, né sin dove arriva la sua
audacia.71
Gli gnostici, in realtà, non conoscono la struttura piramidale degli esseri, e
per questo biasimano gli esseri che occupano i gradi più bassi (la dottrina che
Agostino, seguendo Plotino, fa sua).72
Non sanno, poi, che il nostro mondo non
65 Ib. p. 150. 66 Su questo tema Plotino scrisse, all‘apice della sua potenza speculativa, il
paragrafo 9 del libro II delle enn. Lui critica i gnostici come coloro che non hanno capito
nulla della dottrina di Platone e degli altri uomini divini (cf. enn. 2, 9, 6). 67 PLAT. Phaedr. 264c. 68 enn. 2, 9, 4. 69 Mi pare tropo forte la traduzione di Giuseppe Faggin (in PLOTINO, Enneadi;
PORFIRIO, Vita di Plotino; trad., intr., note e bibl. di G. FAGGIN; presentazione e iconografia
plotiniana di GIOVANNI REALE; revisione finale dei testi, appendici e indici di ROBERTO
RADICE. Milano: Bompiani, 2002, p. 297), che usa ―l‘unione‖ per koinwni,an. Io darei la
preferenza alla partecipazione, relazione, comunanza, perché l‘unione può significare un
nesso necessario, indissolubile, naturale, o una fusione tra due soggetti, cosa che Plotino non
potrebbe mai accettare. Marsilio Ficino (Plotini Enneades cum Marsilii Ficini
interpretatione castigata, edd. F. CREUZER, G. H. MOSER, Paris 1855, p. 98) invece adopera
un‘espressione meno impegnativa: commercium. 70 enn. 2, 9, 6. 71 enn. 2, 9, 13. 72 enn. 2, 9, 12.
26 Z. DJUROVIC
potrebbe esistere se lo si tagliasse fuori dal mondo noetico; il mondo, quindi, è
partecipe di Dio.73
Odiano (misei/n) la natura corporea, continua Plotino, perché
interpretano male le affermazioni di Platone, secondo le quali il corpo è un
ostacolo per l‘anima.74
Per tale motivo e perché pensano che la provvidenza divina
sia ristretta solo a loro – esseri di natura ―elevata‖ e che si sentono in questo mondo
come in una terra straniera (gh/ xe,nh)75
– e non a tutti gli esseri corporei che
completano l‘Universo, ordinano ai suoi seguaci di ―fuggire la società degli altri
uomini e pensare solo al proprio interesse‖.76
La dottrina degli gnostici è più
temeraria di quella epicurea, perché isola completamente un individuo e così costui
non ha bisogno di nessun sistema etico. La virtù ci lega a Dio e al prossimo; senza
di essa Dio non è che un nome vuoto.77
Plotino è cosciente che gli gnostici
potranno dire che la loro dottrina allontana dal corpo miserevole, e che la sua,
invece, legherebbe l‘anima al corpo. Malgrado ciò,
è necessario per noi, finché abbiamo un corpo, abitare in case costruite da
un‘Anima buona e sorella che ha il potere di creare senza fatica.78
Il dualismo plotiniano, in ultima analisi, non è equiparabile a un dualismo di
stampo gnostico-manicheo (uno che scrisse il trattato sulla Bellezza non può essere
considerato dualista nel senso vero e proprio del termine). Esso risulta tale – cioè
classificabile in un sistema dualistico – piuttosto per la sua sopravvalutazione
dell‘anima. Il lato positivo e negativo della sua dottrina coesistono pacificamente.
Lui tenta di conciliare diverse formulazioni ellenistiche riguardanti questo
problema. Plotino, infatti, raccoglie differenti spiegazioni sulla caduta dell‘anima,
che – come lui pensa – non sono in contraddizione tra di loro:
la semina delle anime nel divenire; la loro discesa destinata al
perfezionamento dell‘universo; la punizione; la caverna; la necessità e la
73 enn. 2, 9, 16. 74 enn. 2, 9, 17. 75 enn. 2, 9, 11. 76 enn. 2, 9, 15. Plotino, dunque, non richiede l‘abbandono delle virtù politiche, ma
in realtà dice che rassomigliamo a Dio (anche se prima abbia negato che lo stesso Dio
possiede le virtù sia noetiche sia politiche) pure con le virtù civili e non soltanto con quelle
superiori (enn. 1, 2-3). 77 enn. 2, 9, 15. Quello che conta, secondo i gnostici è la natura divina che per
necessita si riunirà con se stessa. Per questo loro, come dice Plotino, non hanno mai
formulato una dottrina della virtù. 78 enn. 2, 9, 18.
L‘UOMO 27
libertà... la dimora nel corpo come in una cosa cattiva; e poi, l‘esilio dal Dio,
di cui parla Empedocle; il vagabondaggio; la colpa cui segue il castigo... il
riposo nella fuga, di cui parla Eraclito... la discesa volontaria e la discesa
involontaria. Tutto ciò che va verso il peggio è involontario, ma poiché ci si
muove con azione propria, si può dire che il male è il castigo per le azioni
compiute. Ma poiché questo patire e questo agire sono ineluttabili per
l‘anima secondo una legge eterna della natura (fu,sewj no,mow|), poiché ogni
evento che le accada in questa sua discesa finisce per essere utile a qualche
altro essere in quanto discese da una regione superiore, chi dicesse che è Dio
che l‘ha inviata giù non sarebbe in contrasto... Anche le ultime conseguenze
devono risalire tutte a un primo Principio, anche se gli esseri intermedi sono
molti.79
Dunque, il negativo avviene quando abbiamo un sistema inverso della
valutazione: il sensibile infatti dovrebbe occupare l‘ultimo posto nell‘essere.
Quando l‘anima s‘incatena al corporeo viene definita ―caduta‖. Quando invece
dirige il corporeo con giusta ragione si dice che viene seminata, cioè che Dio parla,
ordina l‘Universo.80
L‘ordine naturale richiede che l‘anima domini la realtà
sensibile. Ivi allora è improntato tutto il problema dualistico. Per il pensiero
plotiniano queste formulazioni soltanto danno una luce particolare sui diversi
aspetti del fenomeno in cui ci imbattiamo.
Non era necessario neanche ricorrere al trattato plotiniano contro gli
gnostici, ma bastava soltanto osservare più attentamente il passo tratto da enn. 4, 8,
2 da cui Cipriani ha citato la frase che il corpo è di ostacolo al pensare, e perché
riempie l‟anima di piaceri, di brame e di dolori. Introducendo l‘argomento, Plotino
si chiede se l‘anima abiti nel corpo volontariamente, o costretta, o per altre ragioni
e afferma che di qualsiasi motivo si trattasse non è male (ouv kako.n) per essa donare
al corpo in qualche modo la potenza di partecipare (pare,cein) al bene ed all‘essere.
A questo punto, per commentare la definizione di Agostino: animus est substantia
quaedam rationis particeps, regendo corpori accomodata, si dovrebbe dedurre che
l‘anima è naturalmente legata al corpo. Agostino, siamo cauti, parla di animus, non
di anima, anche se questi termini quasi sempre coincidono nel suo pensiero.
L‘anima non partecipa alla ratio, l‘animus invece sì. L‘anima vivifica un corpo, ma
79 enn. 4, 8, 5. Questo trattato appartiene a gruppo dei ―perfetti‖ (cf. PORFIRIO, vita
Pl. 6, HENRY/SCHWYZER I, p. 11). 80 Cf. enn. 4, 8, 4. Uno studio approfondito di questo tema: WERNER BEIERWALTES,
Eternità e tempo: Plotino, Enneade III, 7. Saggio introduttivo, testo con tradizione e
commentario. Intr. G. REALE, trad. A. TROTTA, Milano 1995, pp. 244-250.
28 Z. DJUROVIC
l‘animo, specificum dell‘essere ragionevole, regge un corpo attraverso l‘anima.
L‘espressione animus non viene mai adoperata nei riguardi degli animali. Esso è
spesso identificato con la mens, la parte più elevata dell‘anima.81
L‘animo è il
nucleo della volontà e dell‘emozionalità dell‘uomo, ma sempre legato alla
razionalità. Mens invece può essere identificato con la capacità giudiziale (scientia)
e infine con la contemplazione della Sapientia.82
Gli animali viceversa sono privati
di tutto ciò. Essi possiedono soltanto l‘anima vegetativa che è sede di appetito, di
percezione e di memoria. Qualcosa (animus) che partecipa alla ratio, non è
necessariamente legato al corpo. Esso viene definito animus intellectualis,83
o
animus rationalis,84
o più spesso anima rationalis. Essendo una ―sostanza‖
immateriale, se concepito come attività sovrasensibile, e quindi non prodotto dei
processi fisici, solo sotto questo profilo si può concludere che l‘animus non può
avere un legame naturale con il corporeo.
L‘idea agostiniana del primato dell‘anima rispetto al corpo sembrerebbe
realizzarsi nella visione del corpo come strumento dell‘anima: ―L‘uomo… è
un‘anima razionale che si serve di un corpo mortale e terreno‖.85
Questa
definizione potrebbe sembrare puramente platonica, ma in termini molto simili
ricorre anche in Aristotele.86
Anche qui abbiamo una assiologia indubbia: anima
rationalis homo est. Quello che conta è anima. L‘anima razionale che usa un corpo
mortale si denomina uomo.87
Tuttavia, soprattutto nel quant. an. Agostino ci
assicura che la natura umana include non soltanto l‘anima razionale, ma anche
quella sensitiva o irrazionale.88
Le nature dell‘anima e del corpo sono, comunque,
eterogenee. L‘anima infatti è incorporea. Dicendo più precisamente, l‘anima non è
81 c. acad. 1, 5. 82 Su questo argomento confronta: R. INNES, Integrating the Self through the desire
of God, AugStud 28:1 (1997) 67-109, ivi p. 70. 83 ep. 6, 2; vera rel. 44, 82. 84 c. Faust. 22, 53. 85 mor. 1, 27, 52: ―Homo igitur, ut homini apparet, anima rationalis est mortali atque
terreno utens corpore‖. 86 anim. 415b, 17-19. 87 Una simile interpretazione è rintracciabile in TINA MANFERDINI, Comunicazione
ed estetica in Sant‟Agostino, Edizioni Studio Domenicano [Philosophia 17] 1995, p. 262,
però mi dissocio da quello che ella scrive in pagina 263: ―Agostino in un primo tempo
aderisce alla posizione platonica, secondo la quale il corpo è male e negativo, in quanto
deriva dalla materia che è il principio di tutti i mali‖. Questa conclusione sarebbe
inaccettabile anche per GILSON, L‟esprit, pp. 180-182, che ammette che Agostino affermava
l‘unione dell‘anime col corpo, ma non sapeva giustificare come questo avviene. Lo studioso
francese nota che il platonismo ha introdotto un problema latente e non superato nella
filosofia cristiana. 88 ord. 2, 2, 6. Cf. N. CIPRIANI, Il tema agostiniano, pp. 148. 154-156.
L‘UOMO 29
composta di terra, di acqua, di aria, di fuoco, o dall‘unione di alcuni di questi
elementi. Perciò Agostino non può definire la sua essenza. Basta sapere che essa è
qualche cosa di semplice e dotata d‘una propria sussistenza, ossia d‘una propria
natura.89
In conseguenza, l‘anima è una sostanza immateriale, ma allo stesso tempo
è reale. È immateriale perché non esiste nello spazio. Non ha una estensione, non
occupa uno spazio, né è spazialmente unita al corpo, e per questo non è possibile
che divenga un corpo.90
In questo l‘anima è simile a Dio: come Dio intero è
presente simultaneamente non solo nella totale estensione del mondo ma anche in
ogni sua particella, così l‘anima è presente nel corpo. Come, invece, questo
funziona nel caso dell‘anima, Agostino ammette di non averne cognizione, e può
confermare solamente che il discorso sull‘anima non rientra nei parametri che
descrivono il corporeo.91
L‘anima è indivisibile92
e immortale,93
perché non composta, né soggetta
alle leggi del corporeo. Essa non si disgrega con il deterioramento degli elementi
materiali. Nei dialoghi di Cassiciaco e nell‘imm. an. la preoccupazione di Agostino
mirava a salvaguardare l‘immortalità dell‘anima. Essa non è legata ad un organo
specifico e così non è ―contaminata‖ dalla corruttibilità (=spazialità). Il
neoconvertito sentiva fortemente il problema di come mai Dio avesse potuto creare
qualcosa d‘immortale, perché immortale significherebbe non aver inizio. Malgrado
ciò, Agostino lo saltava con discreta leggerezza.94
Il primato è attributo specifico
dell‘anima. Essa è autocosciente, automovente, la causa del corporeo: l‘anima crea
il corpo e ha cura di esso. Tutto ciò significa che le sue più nobili funzioni e scopi
non sono sostanzialmente, o naturalmente legati al mondo corporeo. Dal corpo non
riceve nulla. Parole che potrebbe sottoscrivere anche Plotino.95
Cosa portò in sé l‘idea della predominanza dell‘anima? Il primo risultato fu
una visione della sensibilità come di qualcosa ontologicamente imperfetto. Un
89 quant. an. 1, 2. 90 imm. an. 16, 25. 91 imm. an. 16, 25; quant. an. 3, 4; ep. 166, 4. 92 quant. an. 32, 62. 68. 93 ord. 2, 5, 17; 2, 15, 43; sol. 2, 3, 4. 4, 5. 19, 33 e l‘intera opera, imm. an. 94 Cf. quant. an. 1, 2. 95 imm. an. 13, 20. Proprio Plotino afferma che l‘anima crea (pla,ssw) il corpo e il
mondo corporeo (enn. 2, 3, 8; 4, 3, 6; 6, 4, 4) e che lo amministra (enn. 4, 8, 2. 4, 10).
Agostino ritratterà questa idea: ―Attraverso l‟anima da parte della Somma Essenza vien data
una forma al corpo, in virtù della quale è tutto ciò che è. In virtù dell‟anima dunque il corpo
sussiste ed acquista esistenza, per il principio stesso da cui è animato sia in generale come
il mondo sia in particolare come un qualsiasi essere fornito d‟anima che è nel mondo. Tutto
ciò è stato detto con estrema sconsideratezza‖ (retr. 1, 5, 3).
30 Z. DJUROVIC
corpo non può essere semplice: è caratterizzato da quantità, molteplicità, immerso
nel divenire.96
Abbiamo già riportato un binomio peculiare di Agostino
(immutabile-mutabile), ma ora, approfondendo il rapporto tra lo spirito e il corpo
ne incontriamo un altro, cioè semplice-molteplice. L‘anima che si colloca nella
variabilità non può neanche contemplare l‘uno, dice Agostino nel De ordine,
perché questo si può superare soltanto
con il distacco dalla molteplicità. Per molteplicità non intendo una
moltitudine di uomini, ma tutto il mondo sensibile. E non devi meravigliarti
che tanto maggiormente l‘anima sente la privazione quanto più desidera di
raggiungere il molteplice... lo spirito collocatosi fuori di sé si frantuma in
infinite parti e si degrada ad una genuina mendicità perché la sua natura lo
stimola a cercare l‘unità, ma la molteplicità glielo impedisce.97
È ovvio che qui non si tratta del mondo sensibile in quanto caduco, ma in
quanto tale. L‘errore dell‘anima consiste nel considerarlo valore in sé, ma in realtà
tutto l‘Universo con l‘insieme degli esseri dovrebbe relazionarsi con il primo
principio e rivelare tale unità. In questo senso Agostino richiede la fuga dal
sensibile e il ritorno dell‘anima, cioè della sua parte cospicua, la mente, a se stessa.
Grazie alla mente preparata con l‘esercizio nelle arti liberali e purificata con
l‘attuazione delle virtù l‘anima si allontana dalla molteplicità e ritorna alla
semplicità.
Nel preludio del c. acad. 1, 1, emerge l‘ambiguità nel considerare il mondo
sensibile, il molteplice. Agostino parte dal fatto che lo spirito immortale è calato
nelle cose mortali ma è incerto sul fatto del perché è stato così disposto; per motivi
dipendenti da noi o per condizioni naturali? In altre parole, se siamo discesi per
colpa nostra, ciò vuol dire che il sensibile è ―male‖ in sé, se invece dipende dalla
natura, il corporeo è bene in sé. Comunque sia, non siamo nel porto della filosofia
e ci rimane di pregare Dio perché ―ci restituisca a noi stessi‖, e permetta che la
―nobile nostra mente‖ si levi nelle auree della vera libertà. Le ―anime nobili‖,
anche se divine, si sono addormentate in un profondo sonno e per questo motivo
96 Soltanto per dare un esempio mi richiamo a passo dell‘imm. an. 3, 3: Il corpo non
può essere completamente uno perché può essere diviso in parti ed è assurdo un corpo senza
parti. Tutte le cose, che non possono essere simultaneamente in un attimo di tempo sono di
necessità nel divenire.
Gli attributi del corpo, qui esposti, sono tutti quanti, naturalmente, presenti in
Plotino (cf. enn. 5, 4, 1; 4, 7, 8; 4, 1, 2. 7, 1, 2). 97 ord. 1, 2.
L‘UOMO 31
non disprezzano ciò che si percepisce con gli occhi mortali.98
Quello che è vero
(Dio Pensante) forse l‘intelligenza raramente può raggiungerlo, un senso mai.99
I
sensi possono percepire solamente il sensibile, e, dunque, l‘anima sola può
superare gli ostacoli del ―mondo delle apparenze‖, e tornare nel luogo della sua
origine, in cielo.100
Per questo, ―il bene sommo dell‘uomo è nella mente‖.101
Il primo Agostino, come si è già evidenziato,102
faceva sua la posizione
platonico-aristotelica quando uguagliava la visione negativa platonica del mondo
sensibile con quella scritturistica.103
Rimane un punto fermo che il mondo sensibile
era concepito nella sua matrice negativa, ma non in senso etico. Tutto il corporeo
per necessità è mortale, incostante. L‘immortalità invece abita nell‘intelligibile. Da
queste diversificazioni nasce la primitiva tensione nel pensiero di Agostino:
l‘immortale infatti è legato al mortale. Il vero io è disperso nella molteplicità che
minaccia di ingoiarlo. Esso ha gravi difficoltà di ricuperarsi. Tende verso l‘unità e
stabilità, ma la pluralità gli nasconde la via. Il mondo dell‘apparizione gli occulta il
vero mondo:
L‘amore di questo mondo è più faticoso. L‘anima non trova in esso quel che
cerca, cioè l‘immutabilità e l‘eternità, poiché la Bellezza infima ha la sua
compiutezza nel movimento dei sensibili e ciò che in essa è imitazione
dell‘essere posto fuori del movimento le viene partecipato da Dio sommo
mediante l‘anima.104
98 c. acad. 1, 3. 99 c. acad. 1, 8, 22. 100 c. acad. 2, 9, 22. 101 c. acad. 3, 12, 27. 102 c. acad. 3, 19, 42. 103 Può darsi che il più lampante esempio del dualismo giovanile di Agostino
l‘abbiamo in quant. an. 3, 4: ―Non è assolutamente possibile rappresentarsi l‘anima o lunga
o larga o dotata di resistenza. Per quanto ne capisco io, queste son proprietà sensibili e sulla
base dell‘esperienza sensibile ci raffiguriamo con esse l‘anima. E per tal motivo giustamente
anche nei riti religiosi si insegna a chiunque intende rendersi tale quale è stato creato, cioè
simile a Dio, di disprezzare le cose sensibili e di rinunciare a tutto questo mondo che, come
esperimentiamo, è sensibile. Non v‘è infatti altra salvezza per l‘anima o rinnovamento o
riconciliazione col proprio Creatore‖.
L‘uomo fatto ad immagine di Dio non è sensibile, si evince da questo brano. Questa
immagine (l‘anima) deve di nuovo aderire al suo prototipo. La salvezza, il ritorno allo stato
primordiale, non ha nulla a che fare con il sensibile. 104 mus. 6, 14, 44.
32 Z. DJUROVIC
Con questi pensieri Agostino dà avvio ai due grandi temi della filosofia
occidentale: a) ―essere gettati nel mondo‖, b) la frammentazione dell‘Io. L‘uomo si
trova gettato nell‘inautenticità e in un posto minaccioso:
siamo stati gettati in questo mondo come in un alto mare tempestoso, in
modo avventuroso e casuale (Cum enim in hunc mundum… veluti in
quoddam procellosum salum nos quasi temere passimque proiecerit).105
Tutto ciò crea nell‘essere umano gravi distorsioni e inquietudini. Il mondo
non può rendere beato l‘uomo: ―il nostro cuore è inquieto finché non riposa in
Dio‖.106
L‘uomo di conseguenza è un grande abisso,107
mai conoscibile da se stesso
e dagli altri.108
Il suo Self, vero Io, come direbbe Agostino, è difficilmente
scopribile perché è frammentato. Tale frammentazione si evince, secondo l‘analisi
di Robert Innes da tre depravazioni: 1) della memoria (la ragione si è scordata di
Dio; a volte appaiono involontariamente le immagini dimenticate; la memoria non
è capace di riunire insieme tutta la storia vissuta dell‘Io), 2) l‘Io non riconosce più
se stesso e 3) il libero arbitrio dell‘Io si è indebolito a tal punto che non può dire: Io
sono, o Io voglio.109
La linea del pensiero agostiniano che avvicina le due componenti
dell‘essere umano, sarà in seguito sempre di più approfondita. Per chiarire l‘unione
del corpo e dell‘anima, Agostino utilizza spesso l‘immagine del cavaliere e del
cavallo (mantenuta da Varrone)110
con l‘intenzione di mettere in rilievo il fatto che
tra cavaliere e cavallo si stabilisce, come pensano alcuni studiosi, un rapporto
necessario111
e che il cavaliere è ordinato a governare il cavallo, come appunto
l‘anima il corpo. Abbiamo visto che il primo Agostino non parlava di un rapporto
necessario tra l‘anima e il corpo. È oltre ogni ragionevole dubbio che Agostino
abbia ripreso questa immagine da Varrone, come si desume dagli studi del
Cipriani. Però, l‘ord. 2, 6, 18 genericamente si rifà alla soluzione varroniana. Di
rilevante importanza è invece mor. 1, 4, 6 dove Agostino conferma che siamo
composti di anima e di corpo, ma piuttosto si chiede che cosa è l‘uomo in se stesso:
105 beata v. 1, 1, 1. 106 conf. 1, 1, 1. 107 conf. 4, 12, 22. 108 conf. 10 8, 15. 109 R. INNES, Integrating the Self, 81-93. 110 Cf. ord. 2, 6, 18; mor. 1, 4, 6. Questo motivo era elaborato dapprima da
PLATONE, Prot. 357b-361b; Men. 87d-89c. 111 Cf. V. PACIONI, Agostino d‟Ippona, p. 66-67; id. L‟ unità teoretica del De Ordine
di s. Agostino, Roma 1996, p. 220.
L‘UOMO 33
se il solo corpo o la sola anima. Quantunque l‘anima e il corpo siano due e nessuno
dei due si chiamerebbe uomo in assenza dell‘altro, ciò nonostante può capitare che
uno dei due si possa considerare l‘uomo. È difficile decidere (difficile est istam
controversiam diiudicare), ci convince Agostino in questo paragrafo, come stanno
le cose a proposito della soluzione varroniana. Preferisce perciò evitare
l‘argomento. Dunque, egli non afferma che il legame tra anima e corpo sia
essenziale, ossia naturale. Soltanto il maturo Agostino si muoverà in tale senso:
Varrone... prima di tutto ritiene che si deve esaminare che cos‘è l‘uomo...
Ritiene infatti come certo che i due principi sono nella sua natura, il corpo e
l‘anima, e non pone in discussione che dei due l‘anima sia più perfetta e di
gran lunga più elevata. Ipotizza invece se l‘uomo sia soltanto l‘anima in
modo che il corpo sia come il cavallo per il cavaliere, poiché cavaliere non è
l‘uomo e il cavallo, ma soltanto l‘uomo, e si chiama appunto cavaliere perché
in qualche modo è in rapporto col cavallo... e ancora che non l‘anima o il
corpo soltanto ma che l‘una e l‘altro insieme sono l‘uomo e che una parte
sono tanto l‘anima che il corpo ed egli, per essere uomo come un tutto, risulti
delle due parti, allo stesso modo che consideriamo biga due cavalli
accoppiati, di cui sia quello di destra che quello di sinistra è parte della biga e
non consideriamo biga uno solo di loro, comunque sia rapportato all‘altro,
ma l‘uno e l‘altro assieme. Delle tre ipotesi ha scelto la terza e ritiene che
l‘uomo non è soltanto anima o soltanto corpo, ma unitamente anima e corpo
(hominemque nec animam solam nec solum corpus, sed animam simul et
corpus esse arbitratur). Quindi afferma che il sommo bene dell‘uomo, con
cui diviene felice, risulta dall‘una e dall‘altra componente, dall‘anima cioè e
dal corpo.112
Se nel mor. 1, 4, 6 Agostino è indeciso, l‘unica cosa che possiamo fare,
prendendo in considerazione civ. 19, 3, 1, è di constatare che egli abbia
approfondito alcune intuizioni, ossia che abbia preso una posizione a proposito di
tale questione: il secondo Agostino, come ci testimonia civ. 19, 3, 1, sosteneva il
nesso naturale, il primo invece no. Egli aveva tentato di superare un dualismo
crudo affermando che l‘anima ha una naturale tendenza (appetitus) verso il corpo
per dargli vita e armonia, tenerlo unito e muoverlo. Tuttavia, l‘appetitus non è
legato alla mens. L‘appetito verso il corpo è insito come un codice in ogni specie di
anima. Tale tendenza come pure la memoria e il senso possiedono, in realtà, anche
112 civ. 19, 3, 1.
34 Z. DJUROVIC
le anime degli animali.113
Il desiderio appartiene alla natura dell‘anima, perché Dio
in persona l‘ha inserito in essa.114
Tuttavia, l‘unione tra l‘anima e il corpo non si può spiegare secondo il
criterio assoluto della relazione naturale in senso assoluto, perché questa potrebbe
essere solamente tra entità della stessa natura. L‘anima e il corpo, infatti, sono
sostanze ontologicamente diverse.115
Dall‘altro lato, la mente non ha una
necessaria tendenza verso il corpo, perché certe anime godono di una vita felice
senza il corpo e gli angeli, che sono esseri razionali, non hanno un corpo, o se ce
l‘hanno, esso è altamente spirituale.116
Per queste ragioni Agostino parla di
misteriosa fusione (ineffabili permixtione),117
concetto che equivarrebbe all‘unione
non confusa (avsu,gcutoj e[vnwsij) di Porfirio.118
Questa era l‘alternativa di Porfirio
ad una irreversibile fusione (kra/sij) che Agostino ha adottato in forma
semplificata, perché a differenza di Porfirio, ritieneva che nessuna legge di natura
fosse stata stravolta.119
Gli elementi che compongono l‘essere umano, non sono
fusi, afferma Agostino seguendo un‘immagine addotta da Plotino: la luce si
mescola senza alterarsi con l‟aria.120
Si può parlare, dunque, solamente di una
mixtura, nella quale gli elementi mantengono le loro proprietà.121
Nel libro settimo del De Genesi ad litteram si legge che l‘anima, che non è
identificabile con alcuno degli elementi corporei122
nemmeno con l‘etere,123
governa le membra del proprio corpo mediante gli elementi più sottili, cioè l‘aria e
la luce. Poiché senza questi due sottilissimi elementi non può esserci sotto la
113 civ. 5, 11. Agostino asserisce la facoltà della memoria pure ai pesci non
condividendo la posizione di Basilio (hex. 8, 1, DE MENDIETA/RUDBERG, pp. 127-128)
secondo cui i pesci sono stati chiamati non anime viventi ma rettili d‟anime viventi perché
sono privi di memoria (Gn. litt. 3, 8, 12). 114 civ. 22, 4. 115 ep. 137, 3, 11: ―L‘unione di due sostanze incorporee si doveva credere più
facilmente che non quella di una incorporea e di un‘altra corporea‖. 116 Per il corpo degli angeli cf. civ. 10, 9, 2 dove si parla di un corpo etereo, al
momento quando, invece, nel Gn. litt. 1, 9, 17; 2, 8, 16; 3, 20, 31; 5, 2, 4 si afferma che sono
incorporei e spirituali come l‘anima. 117 Gn. litt. 3, 16, 25. 118 In NEMESIO, nat. hom. 3, 22, MORANI, p. 42. Cf. H. DÖRRIE, Porphyrios‟
‗Symmikta zetemata‘. Ihre Stellung in System und Geschichte des Neuplatonismus nebst
einem Kommentar zu den Fragmenten, München 1959, pp. 63-68. 119 H. DÖRRIE, Porphyrios‟ Symmikta zetemata, p. 173sq.; AL p. 332. 120 ep. 137, 3, 11. PLOTINO, enn. 4, 5, 7. 121 serm. 186, 1; Io. ev. tr. 19, 15. Tra i padri latini questo concetto in contesto
cristologico lo troviamo in TERTULLIANO, adv. Prax. 27, PL 2, 189. 122 Gn. litt. 7, 11, 18. 123 Gn. litt. 7, 21, 27.
L‘UOMO 35
direzione dell‘anima né sensazione fisica né movimento fisico spontaneo.124
Dunque, l‘anima non viene legata al corpo direttamente, ma per mezzo di
mediatori sottili, gli elementi che in sé racchiudono nature diverse. In conseguenza
di ciò Agostino può dire che il legame tra anima e corpo è naturale e che non viene
violata nessuna legge di natura. Il fulcro del contatto tra l‘anima e il corpo è il
cervello paragonato al timone:
L‘anima tuttavia agisce sulle zone del cervello come su propri strumenti
senza identificarsi con alcuno di essi (nihil horum est ipsa); al contrario essa
li guida tutti e, per mezzo di essi, provvede ai bisogni del corpo e della vita,
poiché in virtù di essa l‘uomo è divenuto un essere vivente.125
Poiché il legame tra l‘anima e il corpo non è del tutto naturale, ossia
inevitabile, l‘anima ha una certa indipendenza, e come non è composta da elementi
corporei così non è identificata con le funzioni degli organi corporei. Agostino
dedica buona parte (non a caso) del settimo libro del Gn. litt. alle teorie dei medici
(non nominati) che riducevano l‘anima a mera funzione del corpo e così ne
compromettevano la sua presunta immortalità. Secondo questi medici l‘esistenza
dei tre ventricoli del cervello ―è dimostrata da segni sicuri, in casi in cui quelle
rispettive zone del cervello sono state affette da una malattia o da un difetto
patologico‖.126
Questo argomento (medico) è molto forte. Si adopera nell‘AT ed è
rintracciabile nei Padri, sopratutto siri. Così, per esempio, Efrem il Siro conclude
che l‘anima non può esistere senza il corpo o fuori da esso perché quando i suoi
organi non funzionano non funziona neanche essa.127
A questo punto Agostino
adopera la teoria ―dell‘ostacolo‖: l‘anima che è una sostanza talmente diversa
rispetto al corpo, che può comprendere sia le realtà divine, sia se stessa, non deve
124 Gn. litt. 7, 15, 21; 3, 5, 1. Cf. Gn. litt. 7, 19, 25: ―Infatti, così come Dio trascende
ogni creatura, così l‘anima per l‘eccellenza della sua natura è superiore (dignitate praecellit)
a ogni specie di creatura corporea. Essa tuttavia governa il corpo per mezzo della luce e
dell‘aria che sono anch‘essi corpi superiori agli altri corpi di questo mondo in quanto hanno
più affinità con la sostanza spirituale (spiritui similiora sunt) e hanno più la capacità di agire
che di ricevono le modifiche, come invece succede nel caso dell‘umido e della terra‖. 125 Gn. litt. 7, 18, 24. Nel Gn. litt 7, 21, 30 Agostino chiama l‘anima ―spirito vitale‖. 126 Gn. litt. 7, 18, 24. 127 Nell‘ottavo inno del parad. Efrem sviluppa la sua argomentazione: ―Quel‘âme
sans le corps / Soit impuissante à voir, / Le corps même le prouve; / Lorsqu‘il devient
aveugle, / [L‘âme] de par son fait le devient elle aussi... / Si le corps devient sourd, / L‘âme
est sourde avec lui...‖ (parad. 7, 4-5, SC 137, pp. 114-115). Il saggio persiano Afraate
similmente ad Efrem sosteneva che le anime dormivano nelle loro tombe (cf. Г. В.
ФЛОРОВСКИЙ, Восточные Отцы IV века, Париж 1931, cap. 9, 3).
36 Z. DJUROVIC
ricorrere a strumenti materiali che possono costituire in quel caso un ostacolo.128
Riporto un brano di Agostino stesso:
Quando poi l‘anima si sente vincolata dalle malattie del corpo, è infastidita
dal dispiacere che la propria attività intenta a governare il corpo è impedita
dal turbamento del suo equilibrio (eius temperamento), e questo dispiacere si
chiama dolore… Infine, quando queste funzioni – che sono, per così dire, a
servizio dell‘anima – a causa di un difetto o turbamento qualunque vengono a
cessare completamente poiché non agiscono più i messaggeri delle sensazioni
e gli agenti del movimento, si ha l‘impressione che l‘anima non ha più
motivo d‘essere presente [al corpo] e se ne allontana.129
In altre parole, Agostino non accetta la possibilità che le funzioni noetiche
dell‘anima possano essere il risultato di un processo materiale.130
Egli trova un
altro sostegno nella conoscenza di sé: l‘anima conosce se stessa nell‘intero suo
essere, poiché a conoscersi tutta intera non è un altro essere ma è lei stessa.131
Agostino conclude, ma non in modo assai convincente, che l‘anima è una entità
diversa dal corpo, ed è quindi in una certa misura indipendente da esso. L‘anima è
immortale secondo un certo modo di vita ch‘essa non può perdere affatto; tuttavia,
a causa dalla sua mutabilità, si ritiene altresì che è mortale, poiché la vera
immortalità la possiede solo Dio.132
In ultima analisi, da una parte, l‘unione del corpo e dell‘anima si può
immaginare come un rapporto necessario (formulazione varroniana). Anzi,
128 Gn. litt. 7, 14, 1. 129 Gn. litt. 7, 19, 25. 130 Tertulliano, invece, volendo unire più stretto le due componenti dell‘essere
umano, l‘anima e il corpo, sosteneva che tutte le funzioni dell‘anima sono legate al corpo
come organo: ―Artes per carnem, studia ingenia per carnem, opera negotia officia per
carnem, atque adeo vivere totum animae carnis est ut non vivere aliud non sit animae quam
a carne divertere. Sic etiam ipsum mori carnis est, cuius et vivere‖ (res. carn. 7, 12-13,
SPCK, p. 24), e che infine il pensiero non si può dividere dal corpo: ―Adeo autem non sola
anima transigit vitam ut nec cogitatus, licet solos, licet non ad effectum per carnem
deductos, auferamus a collegio carnis, siquidem in carne et cum carne et per carnem agitur
ab anima quod agitur in corde‖. Se il principale organo sensoriale si trova nel cervello la
medesima carne sarà la sede (organo) del pensiero (caro erit omne animae cogitatorium) (ib.
15, 3-5, pp. 38-40). 131 Gn. litt. 7, 21, 28. 132 Gn. litt. 7, 28, 43.
L‘UOMO 37
Agostino preferisce vedere il legame tra di loro proveniente anche dalla volontà,133
cioè che l‘anima si trova a suo agio situata nel corpo. E come culmine di questa
impostazione egli dirà qualcosa che pochi si potrebbero aspettare: l‘anima dopo la
morte del corpo non è capace ancora
di vedere l‘essenza immutabile (incommutabilem substantiam) di Dio, come
la vedono gli angeli santi. Senza escludere una ragione più profonda, ciò può
avvenire perché è innata nell‘anima una specie di brama naturale di
governare il corpo (inest ei naturalis quidam appetitus corpus
administrandi). Questa brama raffrena in qualche modo l‘anima dal tendere
con tutte le sue forze verso quel sommo cielo (illud summum coelum) fino a
quando non sarà riunita al corpo in modo che quella sua brama rimanga
soddisfatta nel governare il corpo.134
D‘altra parte, tutto ciò non significa che l‘anima è ontologicamente sullo
stesso piano del corpo: di fatto, si trova ad essere su un piano di netta superiorità,135
malgrado la sua unione con il corpo,136
che da parte sua condiziona l‘anima, ma
non cancella la sua predominanza.137
Grazie proprio a questa sorta di unione, ma
non fusione, l‘anima salvaguarda la sua immortalità anche dopo la morte del suo
compagno. Dunque, esiste un appetitus animae verso il corpo,138
―per possederlo,
133 Gn. litt. 7, 27, 38: ―Ma se l‘anima viene creata per esser mandata nel corpo,
possiamo domandarci se vi sia costretta contro la sua volontà. È però preferibile supporre
ch‘essa abbia questa volontà per sua stessa natura (hoc naturaliter velle), cioè che la natura
in cui viene creata è tale ch‘essa lo vuole, come per noi è naturale il desiderio di vivere;
vivere male, al contrario, non appartiene di certo alla natura come una sua proprietà, ma alla
volontà perversa (perversae voluntatis)‖. 134 Gn. litt. 12, 35, 68. 135 Gn. litt. 5, 22, 43; civ. 19, 3. 1. 136 Gn. litt. 7, 12, 18-21, 30. 137 Gn. litt. 7, 20, 26. 138 Questo lato dell‘antropologia agostiniana l‘ha sviluppato soprattutto Nello
Cipriani. Lui insiste sui testi di Agostino che parlano sul coniugium dell‘anima con i sensi e
del legame tra ragione e contemplazione con l‘azione (Il tema agostiniano, pp. 150-165).
Nella sua Introduzione, p. 139 egli sintetizza e conclude: ―I Neoplatonici non attribuirono
all‘anima un vero appetitus ad corpus né accolsero la teoria della oikéiosis, insegnata invece
dagli Stoici, da Antioco d‘Ascalona e da questi appresa da Varrone. Risale ugualmente allo
stesso modello antropologico la triplice distinzione aristotelica dei beni: i beni dell‘animo, i
beni del corpo e i beni esterni, che traspare nei Soliloquia (1, 9, 16-10,17; 11, 19-12, 21),
con una forte accentuazione finale della vita corporis, la quies animi e l‘amicizia (ib. 1, 13,
22). Anche nell‘unico caso in cui si appella esplicitamente all‘autorità del filosofo Cornelio
Celso Agostino ribadisce di concordare con lui nel ritenere l‘uomo composto di due parti,
38 Z. DJUROVIC
dargli vita, in qualche modo per fabbricarlo e provvedere in ogni modo alle sue
necessità‖.139
Gli elementi stoici,140
aristotelici – e plotiniani, come si evince dalla
precedente analisi – dell‘antropologia varroniana hanno portato Agostino ad
apprezzare i beni dell‘anima, del corpo e della vita sociale a conferma del suo
distacco dall‘antropologia di stampo rigorosamente dualistico.141
* * *
Questa breve presentazione della dottrina antropologica di Agostino, basata
dapprima sui suoi testi giovanili e i cui elementi si sono poi allargati nel corso della
sua successiva riflessione, vuole evidenziare in quale modo Agostino ha tentato di
superare un dualismo ad litteram. L‘unico problema che rimane è che questa
visione olistica è riferibile soltanto all‘hic homo, l‘uomo attuale, non all‘uomo
cioè di anima e corpo, e nell‘identificare il sommo bene con la sapienza e il sommo male
con il dolore del corpo (ib. 1, 12, 21). A inclinare il neoconvertito verso questo modello
antropologico, che considera il corpo una parte integrante dell‘uomo e apprezza in una certa
misura i beni ad esso legati, fu certamente la fede cristiana‖. È assolutamente vero che la
teoria dell‘oikeiosis è stoica ed è presente nel pensiero di Agostino. Tuttavia, è difficile
sostenere che essa fu estranea a Plotino, da cui Agostino abbia potuto attingere. HANS
KRÄMER in La noesis noeseos e la sua posizione nella Metafisica di Aristotele, RFN 85
(1993) 309-323 [wiederabdruckt in: Aristotele: Perche la Metafisica, a cura di A. BAUSOLA
e di G. REALE, Milano (1994) 171-185], a p. 183 dice che Plotino la dottrina del
conservazione di sé ―applica all‘Uno in via ipotetica e analogica nel trattato VI, 8. In questo
trattato, la conservazione di sé viene radicalizzata fino a diventare posizione di sé e
costituzione di sé; in tal modo Plotino prelude in certo senso all‘idealismo post-kantiano‖.
Inoltre, Plotino sarà benevolo alla soddisfazione delle passioni che conservano i bisogni
naturali, ma questi non dovrebbero essere fraintesi con i beni in sé (enn. 4, 4, 44). Finché le
passioni sono temperanti, il loro attaccamento alle bellezze infime non si possono
considerare un peccato (enn. 3, 5, 1). In questa direzione non andrà invece il suo allievo
Porfirio, che radicalizzerà la posizione plotiniana, come testimonia il suo libro De
abstinentia. Basta vedere per es. abst. 1, 30, NAUCK, pp. 61-62. 139 imm. an. 13, 20. 140 V. PACIONI, Agostino d‟Ippona, p. 66 riassume: ―Il termine intentio significa
tensione, impulso positivo, che proviene dalla volontà di vivificare e governare il corpo.
Come hanno messo bene in evidenza A. Dihle e G. O‘Daly, la dottrina che ha ispirato la
nozione agostiniana di intentio è probabilmente quella di origine stoica di tónos, tensione
dell‘anima, in cui vengono presi in considerazione sia la coesione dell‘ anima, sia le sue
facoltà intellettuali, anche se, diversamente dalla visione agostiniana, il tónos non sembra
avere alcun rapporto con l‘energia della volizione che muove, verso l‘azione‖. 141 Cf. N. CIPRIANI, Lo schema dei tria vitia (voluptas, superbia, curisositas) nel De
vera religione: antropologia soggiacente e fonti, Aug. 38 (1998) 157-195; lo stesso
nell‘articolo sopra menzionato, L‟influsso di Varrone. Cipriani vede in realtà qui un distacco
dall‘antropologia plotiniana.
L‘UOMO 39
primordiale.142
Dicendo per esempio che homo est animal rationale mortale,
significherebbe che Adamo fosse mortale per natura, e in conseguenza sive
peccaret, sive non peccaret, fuisset moriturus, come affermò Celestio e per questo
fu anatemizzato.143
Questa affermazione darebbe ad intendere che l‘uomo
primordiale avesse questo corpo che appesantisce l‘anima e che inevitabilmente lo
avrebbe indotto a commettere il peccato. È improbabile che Agostino avesse potuto
sottoscrivere che l‘anima potrebbe essere stata felice e pronta a governare un corpo
come questo. Infine, Agostino dice palesemente che l‘uomo primordiale fu
immortale.144
Confondere le affermazioni che si riferiscono al primo uomo con
quelle riferite al secondo può procurarci soltanto maggiore caos nell‘indagine. Ciò
significa che dobbiamo concentrarci sull‘uomo primordiale, perché lo stato
presente dell‘uomo non combacia con quello originario.
2. Il corpo primordiale
2. 1. Il corpo primordiale in Agostino prima del Contra Faustum
Manichaeum (397/8)
Nel testo cruciale (Gn. c. man. 2, 8, 10)145
per comprendere la visione
iniziale di Agostino sulla primordiale condizione o origine dell‘uomo si risponde
142 È bene notare, scrive CIPRIANI, Introduzione, p. 110 come nei dialoghi di
Cassiciacum ogni qualvolta Agostino vuole distinguere il corpo corruttibile, proprio della
condizione successiva al peccato, dal corpo quale fu creato da Dio, aggiunge sempre
l‘aggettivo dimostrativo hoc: ―dum hoc corpus agimus‖ (sol. 1, 14, 24). 143 I canoni (109-116) del concilio di Cartagine del 1 maggio 418 che si trovano
nella raccolta Codex canonum ecclesiae Africanae, condannano le posizioni pelagiane.
Questa collezione fu riconosciuta da parte dell‘Oriente nel concilio di Trullo del 692 nel
can. 2. Per il testo dei canoni cf. (PL 67 217-219; http://theol.uibk.ac.at/itl/250-9.html).
Invece, Mario Mercatore ci riporta la notizia di questo sinodo (Commonitorium de Coelestio
1) del quale il testo si trova nella Dissertationes de historia Pelagiana (PL 48 322-323).
Agostino cita le tesi di Celestio due volte nei termini seguenti: ―Adam mortalem factum, qui
sive peccaret, sive non peccaret, moriturus esset. Quoniam peccatum Adae ipsum solum
laeserit, et non genus humanum. Quoniam lex sic mittat ad regnum, quemadmodum et
Evangelium. Quoniam ante adventum Christi fuerint homines sine peccato. Quoniam
infantes nuper nati in eo statu sint, in quo Adam fuit ante praevaricationem. Quoniam neque
per mortem vel praevaricationem Adae omne genus hominum moriatur, neque per
resurrectionem Christi omne genus hominum resurgat‖ (gest. Pel. 11, 23; gr. et pecc. or. 2,
11, 12). 144 Gn. c. man. 2, 21, 32. 145 Le proposte di Agostino si possono dividere in due ipotesi con le apposite sotto
ipotesi (le integrazioni delle parafe nel testo citato sono mie): ―Quod autem scriptum est: Et
40 Z. DJUROVIC
dapprima (Gn. c. man. 2, 7, 8) all‘obiezione concreta dei manichei che riguarda la
materia con cui il corpo di Adamo è stato composto. All‘obiezione manichea:
―Perché mai Dio fece l‘uomo col fango? Gli mancava forse una materia più nobile
e celeste, per formarlo tanto fragile e mortale con la sozzura della terra?‖ Agostino
replica:
Costoro non capiscono innanzitutto in quanti sensi il termine ‗terra‘ o ‗acqua‘
è usato nelle Scritture;146 il fango infatti è una miscela di acqua e di terra
(limus enim aquae et terrae commixtio est). Orbene, noi diciamo che il corpo
umano divenne fiacco, fragile e destinato alla morte solo dopo il peccato.
Costoro infatti, riguardo al nostro corpo, hanno in orrore soltanto la
condizione per cui esso è soggetto alla morte, da noi meritata per castigo.147
Agostino parte dal senso letterale: il corpo dell‘uomo è plasmato con
l‘argilla. Ma come è possibile che siffatta natura persista? L‘apologia agostiniana a
questo punto è costretta a richiamarsi alla onnipotenza divina. La sua posizione
secondo la quale la carne è in sé mortale e destinata alla corruzione, come abbiamo
insufflavit in eum spiritum vitae, et factus est homo in animam viventem (Gen. 2, 7): A1) si
adhuc corpus solum erat, animam adiunctam corpori hoc loco intellegere debemus; sive
quae iam facta erat, sed tamquam in ore Dei erat, id est in eius veritate vel sapientia, unde
tamen non recessit quasi locis separata, quando insufflata est - non enim Deus loco
continetur, sed ubique praesens est – A2) sive tunc anima facta est, quando in illud
figmentum Deus insufflavit spiritum vitae, ut illa insufflatio ipsam operationem Dei
significet, qua fecit animam in homine Spiritu potentiae suae. B1) Si autem homo ille qui
factus erat, iam corpus et anima erat; ipsi animae sensus est additus ista insufflatione, cum
factus est homo in animam viventem: non quia illa insufflatio conversa est in animam
viventem, sed operata est in animam viventem. Nondum tamen spiritalem hominem
debemus intellegere, qui factus est in animam viventem, sed adhuc animalem. B2) Tunc
enim spiritalis effectus est, cum in paradiso, hoc est in beata vita constitutus, praeceptum
etiam perfectionis accepit, ut verbo Dei consummaretur. Itaque postquam peccavit, recedens
a praecepto Dei, et dimissus est de paradiso, in hoc remansit ut animalis esset. Et ideo
animalem hominem prius agimus omnes, qui de illo post peccatum nati sumus, donec
assequamur spiritalem Adam, id est Dominum nostrum Iesum Christum, qui peccatum non
fecit (cf. 1 Pt. 2, 22); et ab illo recreati et vivificati, restituamur in paradisum, ubi latro ille
cum ipso eo die meruit esse, quo vitam istam finivit (cf. Lc. 23, 43). Sic enim Apostolus
dicit: Sed non prius quod spiritale est, sed quod animale, sicut scriptum est: Factus est
primus Adam in animam viventem, novissimus Adam in spiritum vivificantem (1Cor. 15,
46)‖. 146 Agostino, come Origene, avverte i manichei sulla natura polisemica del
linguaggio biblico. Il fango è fango in senso letterale, ma successivamente può ottenere altri
significati, come vedremmo in seguito. 147 Gn. c. man. 2, 7, 8.
L‘UOMO 41
già visto esaminando la natura degli animali, vieta di accettare l‘idea della carne
incorruttibile. Un‘idea del genere non si può difendere con la ragione, poiché
l‘esperienza della realtà è in forte contrasto con una astratta concezione della carne
incorruttibile. Per questa ragione Agostino, come inoltre Attico, Severo, Plutarco
ecc.,148
ed i numerosi scrittori cristiani,149
doveva appellarsi all‘onnipotenza divina,
ma aggiungerei, ricorrere a tale argomento è sempre segno di debolezza:
Ora, anche se Dio fece l‘uomo col fango di questa terra, quale cosa
straordinaria tuttavia o difficile sarebbe stata per lui rendere il corpo
dell‘uomo tale da non esser soggetto alla corruzione (tale tamen corpus eius
efficere, quod corruptioni non subiaceret), qualora l‘uomo, osservando il
precetto di Dio, non avesse voluto peccare?... che c‘è allora di strano se il
corpo, fatto dall‘Artefice onnipotente in modo che nessuna molestia, nessuna
indigenza tormentasse l‘uomo prima del peccato e non si decomponesse per
causa di alcuna corruzione?150
Tuttavia, la risposta: de limo Deus hominem finxit, sarebbe soltanto una
delle ipotesi ed è stata condizionata dalla concreta obbiezione dei manichei. L‘altra
tesi parte dal presupposto che Gen. 2, 7 parli dell‘uomo che fu fatto di corpo e di
anima, e che dunque non
è illogico che la stessa mistione ricevesse il nome di fango. Poiché, allo
stesso modo che l‘acqua unisce insieme, cementa e tiene unita la terra
quando, dalla mescolanza con questa, viene formato il suo fango, così
l‘anima, vivificando la materia del corpo, la conforma in un‘unità armonica e
non permette che si corrompa e si dissolva.151
148 Nel medio platonismo era diffusa l‘idea secondo cui Dio mantiene in esistenza il
mondo che per sé è mortale: ―Vediamo se le opere di per sé soggette alla dissoluzione sono
indistruttibili conformemente al volere del padre, come sono soliti dire Severo, Attico e
Plutarco‖ (E. DES PLACES, Atticus, Fragments, [Les belles Lettres], Paris 1977, fr. 32, p. 78,
1-3. Trad. S. LILLA, Introduzione al Medio platonismo, pp. 66 e 69). 149 Tanto per dare un esempio, Tertulliano afferma che la natura mortale diventerà
immortale grazie alla potenza divina e non per mezzo delle leggi della natura (a divinis
viribus, non a naturalibus legibus. In res. carn. 42, 10, SPCK, p. 118). 150 Gn. c. man. 2, 7, 8. 151 Gn. c. man. 2, 7, 9.
42 Z. DJUROVIC
Agostino è quindi cosciente che la prima soluzione, quella letterale, era
alquanto debole.152
La seconda è più coerente perché il corpo in tal caso non è
necessariamente fatto di fango, cioè potrebbe essere tratto da una natura celeste o
da una sostanza spirituale, ma per ragioni polemiche, ciò non viene detto
espressamente: Itaque superflue quaeritur unde hominis corpus Deus fecerit,153
taglia corto Agostino.
In ogni caso, continua lui, la Scrittura in questo luogo parla della creazione
del corpo. Ciò non esclude che qui si potrebbe trattare della creazione dell‘uomo
intero. In questo caso non si parla dell‘inizio di una nuova creazione, ma si
riprende il discorso con più attenzione (diligentior retractatio) rispetto a quello
precedente. Agostino menziona ―alcuni nostri‖ esegeti che invece ritengono che la
frase Dio plasmò l‟uomo col fango della terra (Gen. 2, 7) sia riferita solo alla
formazione del corpo perché in questo contesto non si menziona la frase ―a propria
immagine e somiglianza‖. Questa invece la troviamo nell‘altro racconto genesiaco
– Dio fece l‟uomo a propria immagine e somiglianza (Gen. 1, 27) – dove è indicato
l‘uomo interiore (homo interior).154
Matrice comune a nonnulli nostri interpreti
sembra essere Filone di Alessandria, che vede in Gen. 2, 7 la rappresentazione
della creazione dell‘uomo terrestre (gh,i?noj a;nqrwpoj), e in Gen. 1, 27 narrazione
che fa riferimento all‘uomo celeste (ouvra,nioj a;nqrwpoj).155 In Filone, l‘uomo del
fango corrisponderebbe al corpo e l‘anima o la mente che sono mortali; l‘uomo
interiore equivarrebbe al principio spirituale, perché solo lo spirito, secondo Filone,
proviene direttamente da Dio e di conseguenza è immortale. Teske suggerisce che
―nostri‖ include Origene.156
Questo non sorprende se è vero che Origene dipende
da Filone.
152 Tuttavia, non ci sono mancati gli autori cristiani che sostenevano la tesi secondo
cui il corpo primordiale, composto dalla carne, dalle ossa e dal sangue, fu secondo propria
natura incorruttibile. Non è che Dio con la sua potenza manteneva in vita un corpo in sé
mortale, ma che questo fu per natura immortale. Il più grande teorico di tale corrente era
Metodio di Olimpo. Partendo dal presupposto che Dio è immortale, pure l‘uomo, sua
creatura deve essere immortale (res.15, JAHN, p. 72). Mentre gli altri animali vengono
vivificati dall‘aria, l‘uomo è diventato vivo e immortale grazie infusione dello soffio vitale
(res. 16, JAHN, p. 72). 153 Gn. c. man. 2, 7, 9. 154 Gn. c. man. 2, 7, 9. 155 leg. all. 1, 12, 31-33, COHN I, pp. 68-69. 156 Cf. R. J. TESKE, St. Augustine‟s View, p. 154; inoltre, dello stesso autore, si veda:
Origen and St. Augustine‟s First Commentaries on Genesis, Origeniana Quinta, Lovanio
(1992) 180-186. Il commentatore di PL 34, 201 suggerisce: ―Sic intelligunt Tertullianus
resurrect. carnis, cap. 5, et Hilarius in Psal. CXVIII‖. Anche Heidl (Origen‟s Influence on
the Young Augustine: A Chapter in the History of Origenism [Gorgias Eastern Christian
L‘UOMO 43
Agostino segue fedelmente l‘impostazione alessandrina, secondo cui
l‘uomo fatto ad immagine di Dio riguarda
l‘interiorità dell‘uomo dove è la ragione e l‘intelligenza (secundum
interiorem hominem dici, ubi est ratio et intellectus). Grazie a queste facoltà
l‘uomo esercita anche il suo dominio [sugli animali]… La Scrittura afferma
che l‘uomo è fatto a immagine di Dio non a causa del corpo, ma del potere
per il quale è superiore a tutte le bestie (non propter corpus dici hominem
factum ad imaginem Dei, sed propter eam potestatem qua omnia pecora
superat)… sebbene anche il nostro corpo sia stato formato in modo da
mostrare che noi siamo superiori alle bestie e perciò simili a Dio; poiché il
corpo di tutti gli animali… è proclive verso la terra e non eretto (erecta)
come il corpo dell‘uomo. Questa caratteristica ci fa intendere che anche la
Studies 19, vol. 3], Piscataway 2003, pp. 273-289) in modo convincente mostra che Ilario
aveva attinto da Origene e che questi sia stato la fonte di Agostino. Ilario infatti scrive:
―Ergo omne, ex quo vel in quo mundi totius corpus creatum est, originem sumit ex dicto, et
subsistere in id quod est ex verbo Dei coepit. Verum de homine ita Deus locutus est:
Faciamus hominem ad imaginem et similitudinem nostram. Differt itaque natura et origo
hominis ab institutione universae creationis... Privilegium aliud, quod manibus Dei
condatur... Non enim manus Domini pecora et aquatilia et volatilia fecerunt... Ergo
exaequatur operationi hominis istud elementum, cum idipsum manu Dei firmatum esse
memoratur? Sed quamquam coelum manu; homo tamen manibus. Praestat ergo officio unius
manus, duarum operatio: et id quod ad confirmationem coeli satis est, in hominis conditione
non sufficit... Homo vero, cum internam et externam in se naturam dissonantem aliam ab
alia contineat, et ex duobus generibus in unum sit animal rationis particeps constitutus,
duplici est institutus exordio. Primum enim dictum est: Faciamus hominem ad imaginem et
similitudinem nostram; dehinc secundo, Et accepit Deus pulverem de terra, et finxit
hominem... Scit in se duplicem beatus Paulus esse naturam, cum secundum interiorem
hominem delectatur in lege, et cum aliam in memsuis videt legem quae se captivum ducat in
lege peccati ‖ (in Psal. 118, litt. 10, 4-7, PL 9, 565-567a). Qui non ci sono dubbi che
Agostino conoscesse Ilario: sono menzionati entrambi i versetti della Scrittura (Gen. 1, 26 e
2, 7), si parla della doppia origine, dell‘uomo interiore, e del suo nesso con la materia celeste
(nella scia filoniana).
Oltre Ilario, grande promotore della dottrina della doppia creazione in Occidente fu
Ambrogio di Milano (cf. parad. 3, 4, 24, CSEL 32/1, pp. 280-281). Soltanto l‘uomo
interiore è a immagine di Dio, quello esteriore non somiglia per nulla al suo Creatore:
―Anima igitur nostra ad imaginem Dei est. In hac totus es, homo; quia sine hac nihil es, sed
es terra, et in terram resolveris... Quid igitur in carne praesumis, qui nihil amittis, si carnem
amiseris?... haec est ad imaginem Dei, corpus autem ad speciem bestiarum. In hac pium
divinae imitationis insigne; in illo cum feris ac belluis vile consortium‖ (hex. 9, 7, 43, CSEL
32/1, pp. 234). Cf. anche cc. 44-46 sviluppati secondo argomentazione origeniana. Le
parole, Facciamo l‟uomo, per Ambrogio significano, Facciamo l‟anima! (ib. c. 46, pp. 236-
237).
44 Z. DJUROVIC
nostra anima deve essere protesa in alto verso le realtà celesti, che sono
soltanto un bene suo, cioè quelle eterne, spirituali (animum nostrum in
superna sua, id est in aeterna spiritalia, erectum esse debere). Di
conseguenza si capisce che l‘uomo è fatto ad immagine di Dio soprattutto per
via dell‘anima, come lo attesta anche la forma eretta del corpo.157
Sebbene il corpo abbia, in senso figurativo, una somiglianza con Dio, quello
che conta è la mente, l‘uomo interiore. Agostino anche in questo punto segue la
linea degli alessandrini che distinguevano l‘immagine dalla somiglianza e allo
stesso tempo confermavano la parentela tra di loro. L‘anima razionale è stata creata
a immagine di Dio, ma questo non le bastava per essere spirituale. L‘uomo, ci
convince Agostino, era ancora animale e divenne spirituale quando, collocato nel
paradiso (nella felicità), ricevette anche il precetto della perfezione,158
perché
diventasse completo, ovvero simile a Dio (homiosis). Non basta essere dotato della
facoltà di pensare, essere a immagine, cosa che hanno anche i peccatori, ma l‘uomo
deve conformare questa immagine al suo prototipo e diventare simile a Dio.
L‘immagine, quindi, era in qualche senso solo abbozzata.159
Il risultato logico è che dopo la caduta e l‘espulsione dal paradiso, l‘uomo
rimane nello stato animale. Per questo, tutti noi che siamo nati da Adamo portiamo
dentro prima l‘uomo animale. Questo corpo è come quello che abbiamo noi e lo
157 Gn. c. man. 1, 17, 28. Che anche per il corpo si può ben dire che è stato creato a
somiglianza di Dio cf. div. qu. 51, 3. Però, stiamo attenti a non confondere la versione
agostiniana con quella di Ireneo, per cui il corpo dell‘uomo è stato creato tenendo conto del
corpo del Cristo incarnato. Il modello, infatti, per la creazione di Adamo fu il Verbo, ma non
il Verbo preesistente, bensì il Verbo incarnato: ―Questo si mostrò vero quando il Verbo di
Dio si fece uomo, rendendo se stesso simile all‘uomo e l‘uomo simile a sé… Nel passato si
diceva piuttosto che l‘uomo è stato fatto a immagine di Dio, ma non appariva tale, perché
ancora era invisibile il Verbo, a immagine del quale l‘uomo fu fatto… Ma quando il Verbo
di Dio si fece carne, confermò l‘una e l‘altra cosa: mostrò veramente l‘immagine diventando
egli stesso ciò che era la sua immagine… ― (haer. 5, 16, 1, HARVEY II, p. 368; cf. et 5, 6, 1,
ib. p. 334). In Agostino ciò non lo troviamo. Non è la forma del corpo ad immagine di Dio,
ma la sua forma eretta. In tale senso, Agostino afferma che anche i corpi degli animali sono
ad immagine di Dio, non in quanto forma ma in quanto riflettono una certa bontà del primo
Bene (div. qu. 51, 2). 158 Gn. c. man. 2, 8, 10. 159 Agostino segue una ipotesi presente in Origene. L‘Alessandrino si chiedeva:
perché si invoca nel battesimo non solo il Padre e il Figlio, ma anche lo Spirito Santo?
(princ.1, 3, 5-8, GCS V, pp. 54-63). Nella sua risposta Origene mette in risalto che l‘uomo
credente, creato nel suo essere da Dio e reso razionale dal Logos, viene santificato dallo
Spirito Santo. Distingue allora le tre funzioni delle tre Persone: il Padre dà l‘essere; il Figlio
dà l‘essere razionale e lo Spirito Santo lo santifica. In realtà per Origene l‘uomo è perfetto
solo quando è santificato. In Agostino questo concetto non è esplicitato fino a tal punto.
L‘UOMO 45
condividiamo con gli animali. La teoria del corpo animale spiega bene il legame tra
il progenitore e la sua prole. Tale impostazione sarà preferita e perfezionata da
Agostino durante la polemica pelagiana, però senza la seconda parte, cioè che
l‘uomo divenne spirituale dopo essere collocato nel paradiso. L‘esito ovvio delle
ipotesi esposte nel Gn. c. man. 2, 8, 10 è che l‟uomo, di carne e ossa, ha peccato e
non l‘anima. La più plausibile esegesi dovrebbe vedere nel totus homo l‘uomo
attuale, senza però la debolezza della carne. Il fatto è rafforzato dall‘affermazioni
di Agostino che il Secondo Adamo, l‘Adamo Spirituale, ha assunto proprio una
carne mortale.160
Tuttavia, il primo Agostino sviluppa di più l‘ipotesi secondo cui Adamo
aveva un corpo spirituale. Il corpo primitivo era invisibile, trasparente. L‘attività
più sublime dell‘anima, ossia il pensiero, non si poteva celare. Il pensiero è
invisibile per i sensi, ma è visibile per la mente. Dentro invece un corpo animale i
pensieri si nascondono.161
Agostino immaginava un corpo spirituale, se posso
esprimermi in senso improprio, come una bolla di sapone. Lo paragonava al corpo
angelico che per noi è invisibile e che è costituito da una ―materia‖ eterea.162
Di
notevole importanza su cosa Agostino abbia pensato a proposito del corpo
spirituale è il seguente brano di div. qu. 47:
160 lib. arb. 3, 9, 28. Durante la difesa di questa tesi dottorale, prof. Nello Cipriani ha
obbiettato perché io non ho messo in rilievo questa soluzione agostiniana, cioè che pure il
primo Agostino parlava della creazione dell‘uomo animale che in seguito diventò un essere
spirituale. Io, afferma prof. Cipriani, quasi ho messo in disparte questa prima fase della
creazione e ho cominciato subito a parlare della creazione dell‘uomo spirituale. A mio
parere, questa ipotesi era soltanto una tra le plausibili proposte di Agostino, e perciò lo
avevo lasciato da parte perché non compatibile con la mia ricostruzione generale del
modello giovanile di Agostino. Per Cipriani è difficile che qui si parlasse soltanto di una tra
le ipotesi perché il tono del discorso ciò non permette: ―ipsi animae sensus est additus ista
insufflatione, cum factus est homo in animam viventem… Nondum tamen spiritalem
hominem debemus intellegere, qui factus est in animam viventem, sed adhuc animalem.
Tunc enim spiritalis effectus est, cum in paradiso, hoc est in beata vita constitutus,
praeceptum etiam perfectionis accepit, ut verbo Dei consummaretur‖. Su questo problema
tornerò di nuovo. 161 Cf. Gn. c. man. 2, 21, 32. 162 Ib. Il corpo primordiale era simplex. Non essere composto indicherebbe non
avere le parti del corpo, non avere colore, perciò essere trasparente (perspicuum). Perspicio
significa vedere attraverso ma anche capire, riconoscere. In una frase Agostino sintetizza la
sua idea: in illa perspicuitate ac simplicitate coelestium corporum omnes omnino motus
animi latere non arbitror (I due paragrafi fondamentali per questo tema sono: Gn. c. man. 2,
14, 23 e 21, 32). Tale corpo è tutt‘uno con l‘anima. Sulla sua ―superficie‖ si vede l‘attività
dell‘anima, i suoi pensieri. Questo è possibile grazie alla sua trasparenza.
46 Z. DJUROVIC
Si domanda abitualmente in che modo potremo vedere i nostri pensieri dopo
la risurrezione e la trasformazione del corpo… L‘argomentazione deve
ricavarsi da quella parte del nostro corpo che è più luminosa. È infatti
doveroso credere che i corpi angelici, che speriamo di avere un giorno, siano
lucentissimi ed eterei (quoniam angelica corpora… lucidissima atque
aetherea esse). Se dunque al presente molti movimenti del nostro animo si
rivelano dagli occhi, è probabile che nessun moto dell‘animo resterà
nascosto, quando tutto il corpo sarà etereo: al suo confronto questi occhi sono
carne.
Le espressioni che il primo Agostino usa per descrivere il corpo risorto sono
uguali a quelle che descrivono il corpo primitivo. Tutti e due corpi si chiamano
corpo spirituale. Gli spiriti che popolano lo spazio del mondo agiscono per mezzo
d‘un corpo aereo o etereo (aerio vel aethereo corpore) sui corpi in cui penetrano
senza violare l‘ordine naturale e si muovono con grande facilità.163
Tali esseri,
dunque, possono abitare nelle zone ―immateriali‖ e muoversi secondo la propria
volontà. Essi infatti non seguono le leggi della fisica. Di conseguenza, non hanno
bisogno di cibo materiale. Il loro pane è il Verbo di Dio.164
Non è un caso che
Agostino nel Gn. c. man. non affermi mai che Adamo ed Eva abbiano mangiato o
che avessero bisogno di cibarsi. Essi avevano bisogno soltanto del cibo celeste che
è il Cristo.165
Uno che è costituito di sostanza celeste non ha bisogno di rinnovarla
cibandosi.
Un essere spirituale non ha rapporti sessuali. La divisione primitiva
maschio-femmina non era caratterizzata dalla differenza attraverso gli organi
riproduttivi. Agostino non spiega mai la forma dei corpi umani, si accontenta di
assicurarci che, secondo l‘originario disegno divino, gli organi genitali (neanche
questi menzionati) non avrebbero avuto alcun ruolo nella propagazione della specie
umana:
Quanto a quest‘altra frase della Scrittura: Li creò maschio e femmina e Dio li
benedisse dicendo: Crescete, moltiplicatevi, procreate e riempite la terra
(Gen. 1, 27-28), si pone del tutto giustamente la questione in qual senso
debba intendersi l‘unione del maschio e della femmina prima del peccato e
prima di questa benedizione... È da intendersi in senso carnale o in senso
spirituale? Senza dubbio ci è lecito intenderla anche in senso spirituale in
163 ep. 9, 3. 164 lib. arb. 3, 10, 30. 165 Gn. c. man. 2, 27, 41; 1, 9, 12.
L‘UOMO 47
modo da ritenere che dopo il peccato fu, molto verosimilmente, trasformata
in fecondità carnale (in carnalem fecunditatem post peccatum conversa esse).
In precedenza infatti l‘unione del maschio e della femmina era casta,
corrispondente al fine dell‘uomo che è quello di dirigere, e a quello della
donna ch‘è quello di ubbidire (erat enim prius casta coniunctio masculi et
feminae; huius ad regendum, illius ad obtemperandum accommodata); oltre
a ciò la procreazione spirituale di gioie intelligibili e immortali riempiva la
terra, cioè dava vita al corpo e lo dominava, lo teneva talmente sottomesso
che l‘uomo non aveva a soffrire da parte di esso alcuna opposizione e alcuna
molestia. Si deve credere così per il fatto che non erano ancora nati i figli di
questo mondo prima che i progenitori peccassero.166
Il testo del giovane Agostino non parla di rapporti sessuali, ma solo di quelli
spirituali. Si afferma che ut in carnalem fecunditatem post peccatum conversa esse
credatur. Quindi, i rapporti sessuali non avrebbero avuto nessun senso prima del
peccato e il corpo paradisiaco era libero da passioni e conflitti. Una posteriore
ritrattazione rivela che cosa il primo Agostino veramente pensava riguardo alla
coppia primordiale:
Noi non avremmo questo tipo di relazioni che ci riguarda in conseguenza
della nascita o della morte se la nostra natura si fosse conservata ligia ai
precetti e coerente con l‟immagine di Dio e non fosse caduta nel presente
stato di corruzione.167 Per parte mia disapprovo del tutto questa posizione
come ho già fatto a proposito del primo libro della Genesi difesa contro i
Manichei. Essa conduce alla conclusione che quella prima coppia non
avrebbe generato altri uomini se non avesse peccato, quasi che dall‘unione di
un uomo e di una donna dovessero nascere di necessità creature destinate a
morire. Non avevo ancora considerato la possibilità che da creature immortali
potessero nascere altre creature immortali, ove la natura umana non si fosse
corrotta in conseguenza di quel grave peccato.168
Agostino allora (389-391) non ha immaginato la molteplicità della primitiva
creatura spirituale. Prima della caduta l‘anima si rispecchiava in Dio e come
conseguenza dell‘unione con Lui, era semplice. Non sentiva nessuna confusione o
166 Gn. c. man. 1, 19, 30. 167 vera rel. 46, 88. 168 retr. 1, 13, 8.
48 Z. DJUROVIC
molteplicità.169
Questa semplicità non era compromessa neanche dalla differenza
tra i sessi poiché questa doveva essere intesa in senso figurato: alla coppia
maschio-femmina corrisponde il binomio Cristo-Chiesa.170
Secondo un‘altra
spiegazione, come già abbiamo visto, maschio e femmina sono l‘intelletto e
l‘azione: masculus et femina, id est intellectus et actio, quorum copulatione
spiritalis fetus terram impleat.171
Notiamo dunque che Agostino vede nella prima
coppia una monade articolata in due momenti: intelletto e processo del pensare.
L‘immagine di Dio è dotata di intelletto che somigliando a Lui si muove verso il
suo archetipo. L‘intelletto è vivo, attivo.172
Tutta questa dinamica si svolge dentro quello che il nostro autore chiama
paradiso. Egli preferisce parlare del paradiso e della vita lassù in modo allegorico.
Il paradiso non è un luogo ma uno stato.173
Anche il lavoro dell‘uomo nel paradiso
non è paragonabile al lavoro che noi conosciamo. Anzi, sarebbe assurdo ritenerlo
uguale, perché il lavoro faticoso costituisce una pena per i mortali.174
La differenza
169 Gn. c. man. 2, 13, 19: ―Quanto al fatto che Adamo e sua moglie erano nudi e non
ne provavano vergogna, è simbolo della semplicità (simplicitatem animae) e purezza
dell‘anima‖. 170 Gn. c. man. 1, 23, 40; 2, 13, 19. In altro luogo aggiunge: ―La stessa Scrittura
espone come fu fatta la donna e dice che fu fatta per aiuto dell‘uomo, perché grazie
all‘unione spirituale producesse frutti spirituali, vale a dire le opere buone compiute a gloria
di Dio quando l‘uomo dirige e la donna ubbidisce, l‘uomo è guidato dalla sapienza e la
donna dall‘uomo. Capo dell‘uomo è infatti Cristo e capo della donna è l‘uomo‖ (Gn. c. man.
1, 11, 15). 171 Gn. c. man. 1, 25, 43. Per quanto riguarda un contesto ideologico, ma non
terminologico, Agostino sta vicino a Origene (cf. hom. in Gen. 1, 15, GCS VI, p.19). 172 La creazione del maschio e della femmina non fu una divisione dell‘essere
originario, ma la sua diversificazione. L‘intelletto non è inerte ma in movimento. Da lui
nasce l‘azione. Questo accoppiamento produce i frutti spirituali. L‘intelletto muovendosi
produce i pensieri, e questi, essendo i suoi effetti sono somiglianti a lui. Sono infatti il
pensiero esteriorizzato e moltiplicato. Il binomio agostiniano intellectus-actio è diverso
rispetto a quello di Filone e di Ambrogio (nou/j e ai;sqhsij). Agostino non dice: l‘intelletto e
il senso, perché – se posso avanzare una proposta – il senso è troppo divisivo ed è quello
esteriore. La primitiva comprensione non era mediata attraverso la percezione. La soluzione
agostiniana è originale, non ha precedenti fra i Padri Latini o Orientali. Tuttavia non è
originale se si prende in considerazione la speculazione plotiniana: l‘intelletto come l‘unica
attività per pensare ha se stesso (enn. 5, 3, 6) perché è attività contemplante (enn. 5, 5, 8).
L‘intelletto è tutto in atto (enn. 4, 4, 1), è atto in sé (enn. 5, 3, 7) ed, infine, è identico nel suo
atto (enn. 2, 9, 1). 173 Gn. c. man. 2, 9, 12; 2, 10, 13-14. 174 Il lavoro non suscitava entusiasmo negli antichi. Esiodo cantava che la stirpe
aurea non conosceva il lavoro (cf. op. dies. 115-120, EVELYN-WHITE, p. 11). Secondo una
tra le più antiche narrazione, quella babilonese, l‘uomo è creato per essere servo degli dei,
allo scopo di sostituirli nel lavoro e procurare loro il pane quotidiano (cf. SAMUEL NOAH
L‘UOMO 49
è segnata dalle parole: per custodirlo.175
L‘uomo doveva custodire i doni ricevuti, e
questi certamente non erano materiali. Là dove ―non c‘è la morte, tutta l‘attività
consiste nel mantenere ciò che si possiede‖.176
Là dove c‘è la morte, uno deve
lavorare per sopravvivere e ricongiungersi con la fonte della sua vita. Con tutte
queste immagini Agostino ha tentato di spiegare il rapporto tra Dio intelligibile e la
sua creatura razionale. Il corpo, quale noi intendiamo, non aveva nessun ruolo in
questo rapporto, e neanche lo aveva nel corso della tentazione.177
Lo stesso si
ricava dall‘episodio sulla tentazione di Eva. Il diavolo simboleggiato dal serpente
non si poteva trovare nel paradiso.178
In tal modo Agostino si distaccò dalla tradizione che quasi unanime
interpretava questo episodio come un avvenimento storico, per cui il serpente si
sarebbe avvicinato a Eva;179
diavolo certo la tentò ma per mezzo del rettile. Siffatta
ermeneutica finì nel pensiero di Agostino per cancellare del tutto il serpente reale,
salvaguardando il simbolo. Quasi tre secoli dopo, il Corano tacerà assolutamente
del serpente. Viene menzionato soltanto il diavolo (Iblis, gr. dia,boloj), o satana
KRAMER, Sumerian Mithology. A Study of Spiritual and Literary Achievement in the Third
Millennium B.C., Philadelphia 1944, revised 1961, pp. 69-70). 175 Gn. c. man. 2, 11, 15. 176 Gn. c. man. 2, 26, 39. 177 J. P. BURNS, St. Augustine, p. 221. 178 Gn. c. man. 2, 14, 20: ―Il paradiso infatti... simboleggiava la vita beata (beatam
vitam) di cui era privo il serpente perché era già il diavolo... Non dobbiamo nemmeno
stupirci che potè parlare alla donna quando costei si trovava nel paradiso, mentre egli non
c‘era. Essa infatti non era nel paradiso per quanto riguarda la località ma piuttosto per
quanto si riferisce al sentimento della felicità (non enim aut illa secundum locum erat in
paradiso, sed potius secundum beatitudinis affectum). Oppure, anche se c‘è una località
siffatta, chiamata paradiso, in cui abitavano Adamo e sua moglie con il loro corpo,
dobbiamo forse pensare che il diavolo si avvicinasse fisicamente alla donna? No di certo,
ma le si avvicinò con lo spirito (spiritaliter)... Appare dunque forse visibilmente oppure si
avvicina, per così dire, attraverso lo spazio fisico a coloro nei quali egli agisce? No di certo,
ma… per mezzo d‘immaginazioni (sed miris modis per cogitationes suggerit quidquid
potest)... Orbene, in qual modo si avvicinò a Giuda, quando lo persuase a tradire il
Signore?... L‘uomo tuttavia lo respinge se custodisce il paradiso‖. 179 È interessante che secondo Efrem il Siro esiste la possibilità che il serpente da
solo, senza l‘aiuto di Satana, poteva ingannare i progenitori: ―Per quanto riguarda le parole
del serpente, o Adamo comprendeva la voce del serpente, o Satana parlò per mezzo di esso,
o lo stesso serpente chiese e gli fu data la capacità di parlare, o Satana ottenne da Dio che la
facoltà di parlare fosse data al serpente per un breve lasso di tempo‖ (comm. Gen. 2, 16,
CSCO 153, p. 25).
Anche in questa interpretazione Agostino si discostò da Ambrogio, che sapendo
bene per le interpretazioni allegoriche, che destoricizzavano il racconto su Adamo ed Eva, e
che poi spostavano questo avvenimento dal giardino terreno alla sfera celeste, insistette sulla
reale presenza del diavolo in paradiso (parad. 2, 10, CSEL 32/1, p. 270).
50 Z. DJUROVIC
(Šaytan) che cadde perché non volle inchinarsi davanti ad Adamo, dicendo: Io
sono del fuoco e lui della terra.180
Il discorso sul corpo vero e proprio, come ho accennato, si introduce solo
con le tuniche di pelle (in tunicis pelliceis). Il corpo reale di Adamo fu riconosciuto
soltanto dopo la sua caduta nel regno animale:
La morte era dunque simboleggiata nelle tuniche di pelle (illa ergo mors in
tunicis pelliceis figurata est). I progenitori infatti si fecero delle cinture di
fico attorno ai fianchi, e Dio fece loro tuniche di pelle, il che vuol dire ch‘essi
avevano desiderato il piacere di mentire abbandonando la bellezza della
verità, e Dio cambiò i loro corpi nell‘attuale natura mortale della carne ove si
nascondono cuori menzogneri... I progenitori poi restarono nel paradiso –
sebbene soggetti alla sentenza di Dio che li aveva condannati – finché non si
giunse alle tuniche di pelle, cioè alla condizione mortale di questa vita
(Tamdiu autem in paradiso fuerunt isti, quamvis iam sub sententia damnantis
Dei, donec ventum esset ad pelliceas tunicas, id est ad huius vitae
mortalitatem). Con qual altro segno più efficace poteva esser simboleggiata
la morte che proviamo nel corpo se non con le pelli (Quo enim maiore
indicio potuit significari mors quam sentimus in corpore, quam pellibus) che
si è soliti staccare dagli animali morti? Quando pertanto l‘uomo brama
d‘esser Dio… non per mezzo d‘una legittima imitazione… viene abbassato
fino alla condizione mortale delle bestie.181
Prima della caduta l‘uomo era spirituale, cioè era separato dal mondo
sensibile, come testimonia la condanna a morte corporale. Questi corpi, se è
permesso chiamarli corpi, furono cambiati in corpi pesanti, mortali. Prima furono
qualcosa di etereo, highly spiritualized,182
come propone Teske. Il corpo primitivo
era del tutto immortale. L‘idea asiatica che l‘uomo primitivo era stato creato come
un qualcosa di intermedio: né mortale né immortale,183
è ben lontana dal pensiero
180 Sura 7, Al-A‟râf, 11-13. 181 Gn. c. man. 2, 21, 32. 182 R. J. TESKE, St. Augustine‟s View, 148-149. 183 Teofilo di Antiochia per es. scrive nell‘ad Autol. 2, 24, MARCOVICH II, p. 73:
―Avendo Dio posto l‘uomo nel paradiso... per coltivarlo e custodirlo, gli permise di nutrirsi
di tutte le piante, e naturalmente anche di quella della vita... Dio o trasse dalla terra, da cui
ha avuto origine, nel paradiso, dandogli i mezzi di miglioramento affinché, progredendo e
diventando perfetto, innalzato anche a divinità, salisse così fin al cielo. L‘uomo, dunque, è
stato creato con sorte media, né del tutto mortale, né del tutto immortale (me,soj ga.r o a’;vqrwpoj evgego,nei( ou;te qnhto.j ovloscerw/j ou;te avqa,natoj to. kaqo,lou), essendo partecipe
L‘UOMO 51
del nostro autore. Questa concezione fa dell‘uomo il solo responsabile
dell‘introduzione della morte. Egli aveva due possibilità: o seguire Dio e diventare
immortale o voltargli le spalle e cadere in preda alla morte. Il presupposto
dell‘immortalità originaria invece fa di Dio un esecutore della pena capitale, che è
una visione non molto consolatoria. Agostino esprime ciò a chiare lettere: Deus
corpora eorum in istam mortalitatem carnis mutavit. Dio ha mutato l‘immortale in
mortale, perché l‘immortale non si poteva mutare da solo.184
In Oriente questo
problema era molto sentito. Riporto in proposito un brano di Origene:
dell‘una e dell‘altra sorte‖. In questo modo Teofilo evita di far responsabile Dio per la morte
dell‘uomo: essa entrò nel mondo con il peccato: ―Io invece affermo che l‘uomo, per natura,
non fu né mortale, né immortale. Se infatti lo avesse fatto dall‘inizio immortale, l‘avrebbe
così creato Dio. Se l‘avesse fatto mortale sarebbe sembrato Dio causa della di lui morte‖ (ad
Autol. 2, 27, MARCOVICH II, p. 77). Ė nota un‘altra spiegazione di Teofilo secondo la quale
la morte è in realtà un dono. Dio elargì un grande beneficio ad Adamo perché non giacesse
nel peccato in eterno (ad Autol. 2, 26, MARCOVICH II, p. 76).
Certi autori ortodossi moderni (per es. J. РОМАНИДИС, Прародитељски грех, Нови
Сад: Беседа, 2001; (id.) J. S. ROMANIDES, Original Sin according to St. Paul, SVTQ IV, 1-
2, 1955-1956) insistono sulla tesi asiatica, e criticando Agostino, dicono che lui, sostenendo
la primitiva immortalità dell‘uomo, ha fatto Dio responsabile della morte, e che quindi, i
cristiani occidentali nutrono odio e ribellione contro un tale Dio. Tuttavia, loro dimenticano
che per es. proprio il Crisostomo sosteneva fino alla fine della sua riflessione la tesi
dell‘iniziale immortalità dell‘uomo, dicendo che il primo uomo fu del tutto (di vo[lou)
immortale (hom. in Gen. 15, 4, PG 53, 123), e non conosceva la concupiscenza (evpiqumi,a)
avendo un corpo incorruttibile (in Rom. 11, 2, PG 60, 486). Su questo tema si veda, S.
ZINCONE, Studi sulla visione dell‟uomo in ambito antiocheno (Diodoro, Crisostomo,
Teodoro, Teodoreto), Roma: Japadre editore, 1988, pp. 35-36. Tra gli altri Padri già
nominati, che parlavano dell‘originaria immortalità dell‘uomo ci sono anche Ippolito e
Novaziano (cf. ZINCONE, Studi, p. 31. n. 12). 184 Come l‘anima da sé non può annientarsi, così neanche il corpo etereo può
cambiarsi da sé. Soltanto Dio ha potuto cambiare l‘immortale in mortale. Si tratta di un
mutamento essenziale dove l‘etere si trasforma in terra, l‘elemento capace di subire. Come
per gli antichi l‘etere, l‘elemento di cui è costituito il cielo – chiamato così perché sempre in
movimento e non perché brucia – era diverso da tutti gli altri, in quanto puro e divino, non
soggetto ad alcuna mutazione, eccetto il movimento circolare, poteva essere trasformato in
qualcos‘altro soltanto con un intervento diretto da parte di Dio. Per l‘etere Cf. PSEUDO-
ARISTOTELE, mund. 2, 392a 5-9. Agostino dice che etere è l‘elemento posto più in alto, e
riporta l‘opinione altrui secondo cui etere è un fuoco liquido e puro con cui sono formate le
stelle (cf. serm. 242, 3, 5). Pure Aristotele in persona (cael. 270b, 24) obiettava ad
Anassagora che aveva identificato l‘etere con il fuoco. Non posso dimostrare che
Anassagora abbia fatto questa identificazione leggendo Eraclito, per cui il fuoco era
quell‘elemento base, eterno (DK 22 B 64), sempre vivo (DK 22 B 30) e l‘unico che non
poteva cambiarsi in un altro. Empedocle chiamava l‘etere (aivqh,r) la radice di tutte le cose.
Non adoperava avh,r, perché questo nome segnava l‟aria sottostante o la nebbia, invece,
l‘etere indicava l‟aria soprastante, il cielo (Agostino ha imparato da Varrone che il cielo è
52 Z. DJUROVIC
Affermare che le tuniche di pelle non sono altro che i corpi è persuasivo e
tale da poter trarre all‘assenso, ma non è chiaro come possa esser vero. Se
infatti le tuniche di pelle sono le carni e le ossa, come mai prima di questo
Adamo dice: Questo ora è ossa dalle mie ossa e carne dalla mia carne (Gen.
2, 23)? Perciò alcuni, cercando di evitare queste difficoltà, hanno sostenuto
che le tuniche di pelle sono la condizione mortale, di cui Adamo ed Eva sono
stati rivestiti, una volta destinati alla morte a causa del peccato. Ma costoro
non possono agevolmente dimostrare come mai Dio e non il peccato abbia
provocato la mortalità a colui che aveva peccato. Inoltre essi debbono
sostenere che la carne e le ossa per propria natura non sono corruttibili, dato
che i nostri progenitori hanno ricevuto la condizione mortale in un secondo
tempo a causa del peccato.185
Origene vorrebbe identificare le tuniche di pelle con il corpo attuale, ma
trova difficoltà nel conciliarle con Gen. 2, 23. Trova altrettanto inaccettabile
l‘interpretazione che sostiene l‘immortalità naturale della carne e che, d‘altro lato,
considera Dio responsabile della morte. Agostino, se consideriamo la sua soluzione
nel contesto di quella esposizione origeniana, ritiene correttamente che se un ente è
immortale, Dio è colui che lo altera (rende mortale).186
Egli poi, come i suoi
diviso in due parti, etere e aria. Cf. civ. 7, 6). L‘etere era, dunque, qualcosa d‘immortale ed
essenziale. Tutti gli altri elementi erano rinchiusi nel ciclo della generazione (ku,kloj gene,sewj). È interessante sentire l‘interpretazione filoniana (aet. mundi, 111, ed. L. COHN
VI, p. 106) della morte degli elementi di Eraclito (DK 22 B 36, 76), che secondo lui, non
significa annichilazione degli elementi, ma la loro mutazione in un altro elemento (eivj e[teron stoicei/on metabolh,n). Su questi temi cf. SIJAKOVIC, Mythos, Physis, Psyche, pp.
211-234. 185 sel. in Gen. PG 12, 101. 186 Lo stesso ragionamento inevitabilmente si trova in tutti gli autori che ideavano
l‘immortalità originaria dell‘uomo. Così Metodio afferma che Dio, dopo aver visto l‘uomo,
creato immortale e ingannato dal diavolo, non gli ha permesso di mangiare dell‘albero della
vita, ma ha fatto le vesti in pelle con cui ha rivestito Adamo e sua moglie Eva, e infine ―li
cacciò dal paradiso e li condannò a morte‖ (res. 19, JAHN, p. 74). In altre parole, Dio ha
inserito la morte in un essere immortale. Per attenuare la gravità di questa azione divina,
Metodio, ed in seguito Crisostomo (cf. hom. in Gen. 18, 1-4, PG 53, 148-156), spiega il
motivo di tale agire: Dio non voleva che il male diventasse immortale (res. 20, JAHN, p. 75),
cioè per distruggere il peccato Dio ha inventato (avneu,rato) la morte per noi (res. 49, JAHN,
89). Anche Ambrogio affermava che l‘uomo è stato causa della propria morte, e perciò non
dobbiamo incolpare Dio come se fosse stato crudele nella sua sentenza, ma piuttosto Egli si
rivela come un buon medico, vietando in anticipo ad Adamo di mangiare ciò che lo avrebbe
danneggiato (cf. parad. 7, 35, CSEL 32/1, p. 292).
L‘UOMO 53
predecessori platonici, ritiene la corruttibilità inerente alla natura della carne.
Sembra, dunque, che Agostino condivida l‘idea secondo la quale le tuniche di pelle
sono il corpo attuale. Il primo corpo è etereo; è difficile immaginare carne e ossa
come incorruttibili e situate in cielo. Una volta sola Agostino ha detto (Gn. c. man.
2, 7, 9) ipoteticamente e polemizzando con i manichei, che Dio ha creato il corpo
umano di fango. Tutte le altre volte lo ha descritto come un corpo angelico o
celeste. Dio ha cambiato il corpo in carne. Il corpo può essere angelico, la carne
mai.
Non è, comunque, del tutto chiaro come Agostino abbia immaginato la
trasformazione di una natura. Se il mutamento indica il cambiamento della stessa
natura si può concludere che un corpo celeste ha subito il mutamento in modo tale
da acquisire sia la carne quanto le ossa. Una prova che Agostino aveva in mente
questo processo è la sua esplicita affermazione che carne e ossa saranno trasformati
in natura angelica (commutationem in angelicam formam).187
Un mortale potrà
diventare essere celeste o angelico. Pure nell‘anno 401 Agostino ragionava in
questo modo: gli angeli prima del peccato avevano un corpo celeste che in seguito
venne trasformato in un corpo di aria.188
Nel caso dell‘uomo, abbiamo un
cambiamento dal celeste al terrestre. La morte è riservata solamente al corpo:
mortem sentimus in corpore; la morte abita nel corpo e l‘uomo viene degradato al
grado bestiale (homo… ad belluarum mortalitatem deiectus est). La morte tocca
l‘animalesco in noi, la carne e le ossa. In altre parole, siamo diventati animali, i
nostri corpi sono diventati mortali. L‘uomo non è diventato animale in senso
traslato ma si è conformato al corpo animalesco che è mortale per sua stessa
natura.
Tre volte nelle Retractationes189
Agostino ribadisce che il suo discorso sul
corpo angelico o celeste o spirituale non vuole sostenere che la sostanza carnosa e
ossea sarà annichilita. Fa queste annotazioni dalla posizione ormai maturata
riguardo alla futura risurrezione. Osservando però da vicino i suoi testi, si impone
la conclusione che il primo Agostino ha negato la presenza della carne nei corpi
celesti, negazione che invece il secondo Agostino condivide. Il primo testo è del
De fide et symbolo 10, 24 dell‘anno 393:
187 Gn. c. man. 2, 21, 32. 188 Gn. litt. 3, 10, 15: ―Si autem transgressores illi antequam transgrederentur,
coelestia corpora gerebant, neque hoc mirum est, si conversa sunt ex poena in aeriam
qualitatem‖. 189 retr. 1, 17; 1, 22, 3; 2, 3.
54 Z. DJUROVIC
Secondo la fede cristiana… il corpo risorgerà. E se a qualcuno la cosa sembra
incredibile, vuol dire che pone attenzione alla condizione attuale della carne e
non considera invece quella futura; infatti, nel tempo della trasformazione
angelica, essa non sarà più carne e sangue, ma soltanto corpo (quia illo
tempore immutationis angelicae non iam caro erit et sanguis, sed tantum
corpus). Nel parlare della carne, in effetti, l‘Apostolo dice: Altra è la carne
degli animali, altra quella degli uccelli, altra quella dei pesci, altra quella
dei serpenti. Vi sono corpi celesti e corpi terrestri (1Cor. 15, 39-40). In
verità, non ha detto: ‗carne celeste‘, ma: corpi celesti e corpi terrestri; ogni
carne, infatti, è anche corpo, ma non ogni corpo è anche carne… invece il
corpo dell‘uomo o dell‘animale è sia corpo che carne. Nelle realtà celesti,
invero, non c‘è affatto carne, ma corpi semplici e lucidi, che l‘Apostolo
chiama spirituali e che altri invece chiamano eterei… La carne e il sangue
non possederanno il regno di Dio (Caro et sanguis regnum Dei non
possidebunt. 1Cor. 15, 50) preannuncia quale sarà in futuro ciò che ora è
carne e sangue. Chiunque non crede che questa carne possa trasformarsi
(converti) nella natura descritta, dovrà esser condotto alla fede per gradi. Se,
infatti, gli chiedi se la terra può trasformarsi (converti) in acqua, data la
vicinanza che c‘è tra i due elementi, la cosa non gli sembrerà incredibile… E
se gli si chiede se l‘aria può trasformarsi in un corpo etereo, cioè celeste, sarà
la vicinanza stessa tra gli elementi che lo indurrà ad assentire… possa
avvenire che la terra si trasformi (convertatur) in un corpo etereo… La nostra
carne in effetti viene certamente dalla terra; i filosofi… asseriscono che non
vi può essere nessun corpo terreno in cielo, ma ammettono che qualsiasi
corpo può trasformarsi e mutarsi (converti et mutari) in qualsiasi altro. Una
volta avvenuta questa resurrezione del corpo, noi, liberati dalla condizione
del tempo, godremo di una vita eterna.
La carne umana non sarà carne celeste ma corpo celeste. Come nessun
corpo terreno può stare in cielo è necessario che la sostanza carnosa si trasformi in
sostanza eterea. In altre parole, la sostanza eterea una volta già è stata trasformata
in sostanza carnosa. Tale dovrebbe essere, secondo me, il risultato della sintesi
agostiniana tra fede e ragione. La fede insegna la risurrezione, la filosofia con la
dottrina della trasmutazione degli elementi fornisce i mezzi teorici per spiegare
questo fenomeno.190
Il maturo Agostino, tuttavia non vorrebbe che qualcuno
190 Forse ci aiuta una distinzione terminologica di Ambrogio per comprendere
meglio la chiave di lettura di Agostino. Il vescovo di Milano incita gli interlocutori
immaginari pagani a credere nella risurrezione quando ormai sostengono la teoria della
L‘UOMO 55
intendesse tale espressione nel senso che il corpo terreno si trasformerà in corpo
celeste ―e non avrà più né le membra attuali né consistenza carnale‖. A questo
punto Agostino non forza le proprie parole, ma aggiunge che il corpo del Signore,
dopo la risurrezione era palpabile e aveva le membra. In seguito – ciò non lo fece
in f. et symb. – spiega il pensiero dell‘Apostolo: Lui infatti
non ha negato che nel regno di Dio vi sarà la sostanza carnale (non carnis
substantiam negasse): ha solo designato con i vocaboli sangue e carne o gli
uomini che vivono secondo la carne o la corruzione stessa della carne che a
quel tempo non avrà più ragione di esistere.191
È interessante che Agostino faccia queste precisazioni parlando del corpo
risorto e mai di quello originario. La fede maturata lo costringeva a confermare la
salvezza della carne stessa, ma non lo obbligava a fare un uguale ragionamento per
quanto riguarda il corpo paradisiaco.
La seconda ritrattazione riguarda l‘opuscolo Contra Adimantum Manichaei
discipulum, 12, 5 scritto un anno dopo f. et symb. (394). Il c. Adim. recita:
È chiaro a questo punto perché la carne e il sangue non possederanno il regno
di Dio; infatti quando il corpo si sarà vestito di incorruttibilità e di
immortalità non sarà più carne e sangue, ma sarà mutato in corpo celeste (sed
in corpus coeleste mutabitur).
trasmutazione degli elementi: ―Potestis ergo, gentiles, reformationem negare naturae, qui
mutationem potestis asserere?‖ (Satyr. 2, 70, PL 16, 1335b). La mutazione per Ambrogio e
per ―gli antichi saggi‖ significa cambiamento (conversio, cf. Satyr. 2, 85, PL 16, 1339c)
delle proprietà naturali di un elemento-seme che ora produce un altra cosa. La reformatio
invece è la ri-creazione, restaurazione di quello una volta esistito. La filosofia e Agostino
suggeriscono un passaggio (mutatio, conversio) da uno stato all‘altro consentito dalla
naturale vicinanza degli elementi. In questo caso non si viola il corso ordinario della natura.
La risurrezione intesa come reformatio piuttosto lo sconvolge. Essa è fondata sulla voluntas
dei, e per questa ragione gli apologeti cristiani riportavano diversi esempi del cambio ciclico
della natura (le stagioni, giorno-notte, seme-pianta-frutto, nascita-morte, la Fenice ecc.). Dal
lato opposto abbiamo Zenone di Verona, per cui è più sostenibile il concetto di
riformazione: ―Etenim, fratres, facilius est reformari quod fuerit, quam institui quod ante
non fuit‖ (tract. C, 16, 7, PL 11, 379b). 191 retr. 1, 17. La stessa spiegazione troviamo in retr. 1, 22, 3 e 2, 3 dove aggiunge
un altra possibilità: ―Potremmo intendere che l‘Apostolo abbia chiamato carne e sangue le
opere della carne e del sangue e che non possederanno il Regno di Dio coloro che ameranno
con ostinazione tali opere‖.
56 Z. DJUROVIC
La ritrattazione 1, 22, 3 spiega:
Ciò significa che non ci sarà più carne in considerazione della sua
corruttibilità, non della sua sostanza.
La revoca, tacendo proprio il dilemma cruciale (la carne si muterà in
materia celeste), tenta di mascherare il problema. Il c. Adim. identifica carne con
corruttibilità, corpo celeste con incorruttibilità. La spiegazione delle retr. 1, 22, 3
vorrebbe suggerire che dobbiamo pensare ad un cambiamento accidentale e non
sostanziale, ma la struttura del c. Adim. 12, 5 non lo permette. Troviamo la stessa
logica nel De agone cristiano 32, 34 dell‘anno 396:
non sarà più carne e sangue, ma corpo celeste… gli uomini diventeranno
uguali agli angeli. La carne e il sangue saranno cambiati (immutabitur ergo
caro et sanguis) e diventeranno corpo celeste e angelico. E i morti
risusciteranno incorruttibili e anche noi saremo cambiati (1Cor. 15, 52), in
modo che è vero il fatto che la carne risorgerà, ed è anche vero il fatto che la
carne e il sangue non possederanno il regno di Dio.
Dalla presente analisi risulta che Agostino tra gli anni 393-396 sosteneva la
tesi della sparizione, cioè del mutamento sostanziale della carne in materia eterea.
Il primo testo che nega esplicitamente tale posizione è il Contra Faustum
Manichaeum del 397-398. Agostino parte dalla distinzione di Paolo tra il corpo
animale e quello spirituale e spiega che la carne e il sangue che non possederanno
il regno di Dio, non significa che ―la carne non possa risorgere col suo aspetto e la
sua sostanza‖, e che nel linguaggio paolino ciò indica corruzione, che verrà
eliminata nella risurrezione.192
Paolo, secondo Agostino, ―chiama carne non la
sostanza del corpo ma la corruzione propria della mortalità‖. Non ci sarà più la
carne poiché non avrà più la mortalità. Per quanto attiene alla sostanza della carne,
essa resterà la stessa poiché risorgerà e sarà mutata. Quello accidentale sarà tolto,
cioè mutato. Rimarrà la sostanza carnosa, ma con nuove qualità – non carnose, cioè
non corruttibili.193
* * *
192 c. Faust. 11, 3. 193 c. Faust. 11, 7, 1.
L‘UOMO 57
Tra gli autori cristiani d‘Oriente il padre della teoria dell‘annichilazione
della sostanza carnosa nel corpo spirituale fu Origene.194
A parte le controversie
legate alla dottrina origeniana, troviamo almeno un testo autentico che conferma
tale teologumeno.
Che cosa c‘è da meravigliarsi se la qualità che riguarda il corpo mortale di
Gesù si cambia in qualità eterea e divina per intervento della provvidenza
voluta da Dio? (ti, qaumasto.n th.n poio,thta tou/ qnhtou/ kata. to. tou/ vIhsou/
sw/ma pronoi,a| qeou/ boulhqe,ntoj metabalei/n eivj aivqe,rion kai. qei,an
poio,thta*)195.
La fine ufficiale di questa visione la pose il II Concilio di Costantinopoli del
553, con il X anatema inflitto agli origeniani:
Se qualcuno dirà che dopo la risurrezione il corpo del Signore era etereo
avendo una forma sferica, e che tali saranno i corpi di tutti dopo la
risurrezione, e che il Signore stesso ha ripudiato il suo vero corpo e che gli
altri che si rialzeranno respingeranno i loro corpi, e che la natura dei loro
corpi sarà annientata: sia anatema.196
194 La Noce riassume bene la posizione di Origene: ―La trasformazione da corpo
terrestre a corpo risorto, segnata dal mutamento di dimora, non avviene attraverso la
deposizione del primo, ma mediante l‘assunzione, da parte del sostrato materiale amorfo,
delle qualità spirituali: la veste non si identifica, quindi, con il corpo, ma con tali qualità, che
sono quelle cui si fa riferimento in 1Cor. 15, 42-44. I giusti di conseguenza, che conoscono
la felicità che li attende, gemono, non in quanto vogliono spogliarsi completamente del
corpo, ma perché desiderano ricevere la veste incorruttibile che indosseranno dopo la
resurrezione‖ (CARLA NOCE, Vestis varia: L‟immagine della veste nell‟opera di Origene,
SEA 79 (2002) pp. 208-209). Origene, interpreta – continua la studiosa italiana in nota 27
delle stesse pagine – ―in senso letterale l‘affermazione paolina di 1Cor. 15, 50 ‗la carne e il
sangue non possono ereditare il regno di Dio‘, come facevano, d‘altra parte, anche gnostici e
mariocinti: in proposito vd. E. Pietrella, ‗Caro et sangius regnum Dei possidere non possunt
(1Cor. 15, 50)‘, in Aevum 49 (1975), pp. 36-76… Mi sembra che una differenza tra gli
gnostici e Origene si possa cogliere nel fatto che essi presuppongono sempre una
spoliazione del corpo terrestre prima dell‘assunzione dell‘abito celeste, mentre Origene
predilige l‘immagine paolina del sopravvestire‖. 195 Cels. 3, 41, GCS I , p. 237. Come la seconda ipotesi delle tre proposte da parte di
Origene riguardo la fine del mondo creato abbiamo quella della risurrezione nello stato
etereo: ―tunc… substantia corporalis… in aetherium statum permutata‖ (princ. 2, 3, 7, GCS
V, p. 125). L‘interpretazione di Girolamo recita: ―ita omnis substantia redigetur in optimam
qualitatem, et dissolvetur in aetherem quod purioris sempliciorisque naturae est‖ (PG 11,
197b). 196
Msi, IX, p. 400.
58 Z. DJUROVIC
Tuttavia, prima – ma anche in seguito – non sono mancati i sostenitori della
tesi del corpo etereo. Così in Occidente – sempre erede della tradizione origeniana
– troviamo Ilario. Dio sarà tutto in tutti (1Cor. 15, 28) spiega egli, quando quello
che è carnale in naturam spiritus devoratur… e noi ad Creatoris imaginem
reformabimur.197
Dopo la mortuorum resurrectio… in divinam naturam humanae
assumptionis absorbeatur infirmitas... et coelesti habitu a corpore transfiguratis.198
Un‘altra fonte latina di Agostino potrebbe essere Zenone di Verona che
parla del corpo spirituale, etereo, celeste, angelico:
Non ergo carnale hoc domicilium imaginem Dei debemus accipere, sed
coelestis hominis spiritalem, quam in se credentibus Dominus aetherea
nativitate renovatis plenitudinis suae pio de fonte largitur per Dominum
nostrum Jesum Christum.199
Per smaterializzare il corporeo quanto più possibile Zenone, come Origene
e Agostino, si serve del versetto di Paolo: corpora sunt coelestia, sunt et terrestria
(1Cor. 15, 40) inteso come la risurrezione del corpo e non della sostanza della
carne,200
e subito dopo si appella al Poeta sapientissimus, cioè a Varrone, che parla
dei semi ignei (allacciamento a 1Cor. 15, 42-44) e l‘origine celeste della razza
umana, fortemente in contrasto con i corpi nocivi e organi di terra e membra che
devono morire.201
Il discorso di Zenone si conclude con l‘affermazione che l‘uomo
è un angelo caduto (protoplastos ex angelis in homines derivavit).202
Infine, merita di essere notata la versione latina citata (1Cor. 15, 50) da
Agostino a conferma della teoria del corpo etereo/spirituale: caro et sanguis
regnum Dei non possidebunt. Il verbo possidere che il primo Agostino adopera è al
tempo futuro : la carne e il sangue non possederanno… Al contrario, il secondo
Agostino che non seguiva più questa pista, cominciando proprio da c. Faust. 11, 3,
usa quasi sempre un‘altra versione: caro et sanguis regnum Dei possidere non
197 trin. 11, 49, PL 10, 432bc. 198 in Psal. 9, 4, PL 9, 293c. 199 tract. C, 19, PL 11, 456cd. Cf. anche tract. C, 35, PL 11, 481d. 200 tract. C, 16, 12, PL 11, 383ab. 201 Aen. 6, 728-734: Inde hominum pecudumque genus, vitaeque volantum, / et quae
marmoreo fert monstra sub aequore pontus. / Igneus est ollis vigor et caelestis origo /
seminibus, quantum non noxia corpora tardant, / terrenique hebetant artus moribundaque
membra. / Hinc metuunt cupiuntque, dolent gaudentque, neque auras / dispiciunt clausae
tenebris et carcere caeco. 202 Cf. tract. C, 16, 12, PL 11, 384a.
L‘UOMO 59
possunt.203
Qui abbiamo un presente. Azzardando un‘ipotesi, direi che la forma
futura è meno adatta all‘idea che la sostanza della carne rimarrà. Quando si dice
che la carne non rimarrà (possederà), le cose sono chiare. Invece, affermando che
la carne non possiede, si apre la possibilità che questa carne con le determinate
qualità non sia adatta al regno di Dio. Non si nega la sua natura. Tale versione
(possidere non possunt) si trova nella Vulgata e nell‘Ambrosiaster.204
2. 2. Il corpo primordiale in Agostino dopo il 397/8
Agostino accolse come assioma esplicito l‘affermazione scritturale che
Adamo diventò mortale dopo che ebbe mangiato il frutto proibito. Dunque, prima
che mangiasse il frutto, Adamo condizionatamente era immortale. Tuttavia, due
gravi problemi compromettono tale visione, quantomeno necessitano di
precisazioni: 1) i primi uomini si cibavano, 2) avrebbero procreato figli. In altre
parole, che bisogno c‘è per un essere immortale di nutrirsi? E perché generare la
prole quando non c‘è bisogno di mantenere la specie – come nel caso della flora e
della fauna – in questo modo?205
Ma sentiamo il ragionamento che ci propone
Agostino:
203 Per es., opus imp. 6, 40. 204 Questo autore potrebbe aver influenzato l‘Ipponate: ―Carnem perfidiam vult
intelligi, sanguinem turpem et luxuriosam vitam, quia cupiditas haec a fervore sanguinis
generatur; ut ostenderet non solum incredulum dignam resurrectionem non habere, verum
etiam illum qui desideriis et vitiis carnis obtemperat. Commonet ergo et instruit, qua ratione
regnum coelorum consequi mereamur‖ (comm. in Corint. I, PL 17, 270b). Tuttavia, la logica
e le espressioni di Agostino sono più vicine a quelle di Tertulliano: ―non substantiam
damnans, sed opera ejus: quae, quia possunt non admitti a nobis in carne adhuc positis, non
ad reatum substantiae, sed ad conversationis pertinebunt‖ (adv. Marc. 5, 14, PL 2, 506bc). 205 Gn. litt. 3, 21, 33. Anche per Gregorio Nisseno la mortalità è causa della nascita
degli uomini. Senza l‘entrata della morte, il genere umano sarebbe rimasto alla prima
coppia. Grazie al male il genere umano si è ingrandito: ―Il primo uomo, Adamo, è stato la
prima spiga (sta,cuj), ma con l‘arrivo del male (th/j kaki,aj eivso,dw|) natura umana è stata
ridotta in una moltitudine mera (eivj plh/qoj h fu,sij katemeri,sqh), e, come succede al grano
maturo, ogni singolo uomo è stato spogliato della bellezza di questa spiga primordiale ed è
stato sgretolato in terra: ma nella risurrezione nasciamo di nuovo nel nostro splendore
originale, solo che invece di spiga unica primitiva diventiamo le miriadi innumerevoli
spighe nei campi di grano‖ (anima et res. PG 46, 157ab). Tuttavia, egli critica questa
posizione in homin. opif. 17, PG 44, 188b definendone in seguenti termini: ;Emeine ga.r a;n en th|/ tw/n prwtopla,stwn dua,dito. avnqrw,pinon ge,noj, mh. tou/ kata. to.n qa,naton fo,bou pro.j diadoch.n th.n fu,sin avnakinh,santoj, anche se non permetterà mai la propagazione del
genere umano via sesso. Gli uomini si sarebbero propagati come gli angeli.
60 Z. DJUROVIC
Come mai però l‘uomo, sebbene fosse stato creato immortale (immortalis
factus sit), ricevette ciononostante per alimento, come gli altri animali, l‘erba
dei campi produttrice di seme, i frutti degli alberi e l‘erba verdeggiante, è
difficile a dirsi. Se infatti l‘uomo divenne mortale a causa del peccato, non
aveva certamente bisogno di cibi siffatti prima del peccato, poiché il suo
corpo non sarebbe potuto morire di fame. In realtà, benché sembri che
l‘ordine: Crescete e moltiplicatevi e riempite la terra (Gen. 1, 22), supponga
che ciò non potesse avvenire senza l‘amplesso coniugale del maschio e della
femmina – cosa che sarebbe un altro indizio che i corpi erano mortali – si
potrebbe tuttavia affermare che ci potesse essere un altro modo d‘unione nei
corpi mortali. In tal caso i figli sarebbero nati da un fervido sentimento
d‘amore di benevolenza (piae caritatis affectu), privo di qualsiasi
concupiscenza del corpo corruttibile, e i genitori, senza morire, avrebbero
avuto come successori i figli non destinati neppure essi a morire, fino a
quando la terra non sarebbe stata ripiena d‘uomini immortali: in tal modo,
dopo essersi formato un popolo giusto e santo, come quello che speriamo
sarà dopo la risurrezione, sarebbe stato messo anche un termine alle nascite.
Una simile ipotesi potrebbe essere avanzata, ma in qual modo possa essere
sostenuta è tutt‘altra faccenda. Nessuno però oserà affermare neppure che
soltanto i corpi mortali hanno bisogno di mangiare per rinvigorire le loro
forze.206
La prima cosa da notare è l‘onestà intellettuale di Agostino, quando afferma
che una tale ipotesi potrebbe essere proposta, ma non verificata. Sulla base del
ragionamento non si può dimostrare che il corpo di Adamo fosse immortale,
benché si nutrisse. Ė più verosimile la seconda ipotesi (che il corpo fosse mortale),
malgrado anch‘essa non si possa dimostrare. Siamo in una posizione di stallo. In
questo caso Agostino sceglie la prima ipotesi poiché essa è compatibile con l‘idea
che Adamo diventò mortale dopo il peccato. Sembra che la Scrittura, nella sua
descrizione, non sia conforme a se stessa, almeno a livello logico. Oggi, credo,
nessuno richiederebbe la logica indiscussa di un linguaggio mitico, però i cristiani
di allora non avrebbero potuto accettare il carattere contraddittorio della Scrittura.
Agostino era consapevole di arrampicarsi sugli specchi. La prima ipotesi non era
accettabile a livello logico, e per questo doveva essere sostenuta con l‘aiuto della
Scrittura. Naturalmente, così il buon senso veniva negato. Adamo, di conseguenza,
non avrebbe mangiato dei cibi ma sarebbe stato dotato della capacità di mangiare:
206 Gn. litt. 3, 21, 33.
L‘UOMO 61
E Dio vide tutto ciò che aveva fatto, ed ecco era una cosa molto buona (Gen.
1, 30-31). Con questa frase ci fa capire che Dio diede alla materia umana il
potere e la facoltà stessa (potestas et facultas) di prendere per cibo l‘erba dei
campi e i frutti degli alberi. Per questo l‘espressione: E così fu è in relazione
con ciò che aveva narrato a cominciare dal passo ove dice: E Dio disse:
Ecco: vi ho dato l‟erba che porta il seme (Gen. 1, 29), ecc.; se infatti
l‘espressione: E così fu la riferissimo a tutto ciò ch‘è detto prima, dovremmo
ammettere anche, per conseguenza, che gli uomini erano già cresciuti e
s‘erano moltiplicati riempiendo la terra nel medesimo sesto giorno, mentre
ciò, per attestazione della stessa Scrittura, si avverò solo dopo molti anni. Per
questo motivo, dopo che gli fu data la facoltà di mangiare quegli alimenti, e
l‘uomo ne ebbe conoscenza mediante la parola di Dio, la Scrittura dice: E
così fu, nel senso che l‘uomo n‘ebbe conoscenza per mezzo della parola di
Dio. Poiché, se anche allora avesse compiuto quell‘azione, se cioè avesse
preso e mangiato quegli alimenti datigli per cibo, la Scrittura avrebbe
continuato a esprimersi secondo il suo solito formulario e, per conseguenza,
dopo aver detto: E così fu – che mira ad indicare la suddetta conoscenza –
avrebbe ricordato l‘azione stessa e avrebbe detto: Ne presero e ne
mangiarono.207
Anche questo ragionamento è solamente un‘ipotesi, perché nel sesto libro
Agostino suggerisce che Adamo comunque aveva bisogno di nutrirsi.208
Secondo
lui, Adamo non ebbe la piena immortalità (plenam immortalitatem) e il suo corpo,
anche se molto migliore di quello nostro, alla stessa maniera doveva nutrirsi per
esistere. Però, non ha senso parlare di una parziale immortalità: o si è immortali o
si è mortali. Per questo, è preferibile sostenere che Adamo non si nutrisse. Solo un
corpo mortale ha bisogno di essere nutrito. Questa conclusione logica viene
rafforzata dalla mancanza dell‘esplicita conferma che i progenitori mangiassero –
non è detto: e così fu. In ogni caso, da questa palude non si vede una via di uscita.
Giovanni Crisostomo questo procedimento chiamava ―senso profetico‖.
Egli per esempio evita di confermare che il matrimonio fosse consumato nel
paradiso ma che le parole: Dio li benedisse dicendo: Crescete, moltiplicatevi,
procreate e riempite la terra (Gen. 1, 27-28) si riferiscono agli eventi postlapsari,
207 Gn. litt. 3, 23, 35. 208 Gn. litt. 6, 26, 37: ―Quamvis enim restabat adhuc ut immutaretur, et spiritale
factum plenam immortalitatem perciperet, ubi cibo corruptibili non egeret‖.
62 Z. DJUROVIC
perché la donna ancora non era stata plasmata.209
Quindi, l‘uomo acquisisce la
predisposizione a moltiplicarsi in questo modo, ma non la usò prima della caduta.
La soluzione agostiniana segue indipendentemente questa scia. Egli era tormentato
dalla procreazione per mezzo degli organi sessuali e, come abbiamo visto, nel De
Genesi contra manichaeos 210
rifiutò di accettare che il genere umano si sarebbe
propagato per mezzo degli organi sessuali. Questo suo rigetto lo spiegherei non
solamente con il suo disdegno neoplatonico della sensualità,211
ma con la tesi
espressa nell‘opera di cui ci occupiamo: la sessualità indica mortalità.212
Gli
animali e le piante sono mortali secondo la loro natura e per questo sono costretti a
rinnovarsi mediante il seme che li sostituisce. Gli esseri soggetti alla morte
209 Cf. hom. in Gen. 10, 4, PG 53, 85-86; 15, 4, PG 53, 123. Sembra che Crisostomo
seguisse qui l‘interpretazione origeniana secondo la quale quando Dio aveva benedetto
l‘uomo e donna ―anticipò ciò che sarebbe accaduto... in questo modo l‘uomo capì che il
crescere e il moltiplicarsi era una conseguenza del fatto che a lui sarebbe stata data la
femmina; così, la sua speranza che la benedizione divina si attuasse, fu più salda‖ (hom. in
Gen. 1, 14, GCS VI, p. 18). 210 Gn. c. man. 1, 19, 30. 211 Alcuni tra gli studiosi estremisti sostengono (come i pelagiani d‘allora) che
Agostino in realtà non ha mai abbandonato nell‘antropologia il suo manicheismo giovanile
(P. G. GRASSO, B. HEARING, L. PICCA, Dove va la famiglia, Roma 1966; G. LETTIERI, L‟altro
Agostino. Ermeneutica e retorica della grazia dalla crisi alla metamorfosi del De doctrina
christiana, Brescia 2001). Gli altri richiamano l‘attenzione alla sua infelice esperienza
sessuale: J. T. NOONAN, Contraception. A history of its Treatment by Catholic Theologians
and Canonists, Cambridge 1966, sostiene che Agostino superò quel problema accettando la
concezione stoica; Jostein Gaarder, nel suo romanzo sensazionalistico Vita Brevis, Milano
1998, accusa Agostino di un comportamento assolutamente meschino nei confronti della sua
convivente, che perde la propria fede nel ―dio‖ di Agostino, ma la studiosa KIM POWER, Sed
unam tamen: Augustine and His Concubine, AugStud 24 (1993) 49-77, legge una grande
storia d‘amore tra Agostino e la sua concubina. Un‘ipotesi più convincente, poiché fondata
sui testi di Agostino, fu avanzata da N. CIPRIANI, Una teoria neoplatonica alla base
dell‟etica sessuale di S. Agostino, Aug. 14 (1974) 351-361: ―Secondo questa teoria
[neoplatonica] soltanto il piacere legato alle sensazioni della vista e dell‘udito può avere in
se stesso il segno della razionalità‖, p. 353. Queste sensazioni avevano la priorità per i
neoplatonici perché sono più vicine all‘anima, sono interiorizzate. Il tatto per esempio tocca
le cose esterne, la vista e l‘udito, al contrario, elaborano le sensazioni per mezzo della luce
con la quale l‘anima opera. D‘altra parte, le altre sensazioni non sono razionali perché non
sono ordinate. Cipriani cita PLOTINO, enn. 1, 6 (1), 1: ―La bellezza, nel suo più alto grado, è
nell‘ambito della vista; è anche nell‘udito,‖ e PLATONE, Hipp. maior 229ab, per cui il bello
viene tramite gli occhi e gli orecchi, e non attraverso gli altri sensi. 212 Gn. litt. 3, 21, 33: ―Nam illud quod dictum est: Crescite et multiplicamini, et
implete terram, quamquam nisi per concubitum maris et feminae fieri non posse videatur;
unde hinc quoque mortalium corporum existit indicium: potest tamen dici, alium modum
esse potuisse in corporibus immortalibus, ut solo piae caritatis affectu, nulla corruptionis
concupiscentia filii nascerentur, nec mortuis parentibus successuri, nec ipsi morituri‖.
L‘UOMO 63
conserverebbero la propria specie attraverso nuove nascite. Per questo la
generazione segnerebbe la mortalità dei capostipiti. Ciò è rafforzato dal fatto che
gli esseri immortali, come gli angeli, non conoscono la nascita. Solamente dopo il
peccato l‘uomo divenne simile agli animali privi di ragione, che grazie alla
generazione possono sussistere come specie attraverso la loro discendenza. Però, la
benedizione (Crescete e moltiplicatevi, riempite la terra) è pronunciata prima della
caduta, e non può significare niente altro che la generazione.213
La vaga e iniziale riflessione del terzo libro di Gn. litt. si conclude con
l‘affermazione che nella funzione di generare i figli, e quindi nell‘atto sessuale,
non c‘è alcun peccato. Anzi, Agostino trae illazioni sorprendenti: la benedizione di
Dio si riferisce al desiderio (la passione, l‘affetto innato) di procreare. Sebbene i
vegetali avessero la capacità di riprodursi, non ottennero la benedizione, perché
questa è riservata per gli esseri che hanno desiderio di propagare la prole e
concepiscono con la coscienza (sensus). Allora l‘affectio e il sensus sono
intimamente connessi e vengono positivamente valutati. Il peccato esiste solo nella
passione carnale della fornicazione e nell‘uso smodato dello stesso matrimonio.214
La differenza tra i sessi è originaria e non causale. Unico motivo
ragionevole per cui è stata creata la donna come l‟aiuto, è solamente quello della
procreazione dei figli:
Questo motivo era già stato indicato anche nella creazione originaria delle
cose: Dio li creò maschio e femmina e li benedisse dicendo: Crescete e
moltiplicatevi, riempite la terra e assoggettatela (Gen. 1, 27-28). Questa
ragione della creazione e dell‘unione del maschio e della femmina, come
pure la benedizione (benedictio), non fu abrogata neppure dopo il peccato
213 Gn. litt. 3, 12, 20. 214 Gn. litt. 3, 12, 21: ―Item quaeritur quid tantum aquarum animalia de Creatore
meruerint, ut sola benedicerentur, sicut homines. Nam et ipsa benedixit Deus, dicens:
Crescite et multiplicamini, et implete aquas maris, et volatilia multiplicentur super terram
(Gen. 1, 22). An in uno creaturae genere dicendum fuit, ut in caeteris consequenter
intellegeretur, quae generationibus crescunt? Prius ergo diceretur in eo quod primum tale
creatum est, in herba scilicet atque ligno. An forte quae nullum haberent propagandae prolis
affectum, ac sine ullo sensu generarent, indigna iudicavit illis benedictionis verbis: Crescite
et multiplicamini: ubi autem talis inesset affectus, ibi primum hoc dixit, ut in terrenis
animalibus etiam non dictum intellegeretur? Necessarium autem fuit hoc in homine repetere,
ne quisquam diceret in officio gignendi filios ullum esse peccatum, sicut est in libidine, sive
fornicandi, sive ipso coniugio immoderatius abutendi‖.
64 Z. DJUROVIC
dell‘uomo e dopo il suo castigo. Proprio in virtù di quella benedizione la terra
è ora piena di uomini che l‘assoggettano.215
Di conseguenza, Agostino non vede alcun impedimento al fatto che i nostri
progenitori avessero rapporti sessuali anche nel paradiso terrestre. Essi avrebbero
generato figli con il loro seme ma senza l‘ardore disordinato della concupiscenza
(sine ullo inquieto ardore libidinis), senza la fatica e il dolore del parto:
In tal caso non si sarebbe trattato di raggiungere lo scopo di avere figli che
succedessero ai genitori alla loro morte. Si sarebbe ottenuto piuttosto il
risultato che coloro, i quali avessero generato dei figli, sarebbero rimasti nel
fiore degli anni e avrebbero mantenuto il loro vigore fisico mangiando i frutti
dell‘albero della vita piantato nel paradiso e i loro figli sarebbero giunti al
medesimo stato.216
Ė da notare che Agostino con sottigliezza tenta di risolvere il problema del
collegamento tra la sessualità e la morte. La procreazione non è necessariamente
intelligibile come superamento della morte attraverso il prolungamento della
specie, ma ha la funzione di portare nell‘essere tutti coloro che saranno gli abitanti
della Gerusalemme celeste. Dato che questo argomento è assai convincente,
Agostino subito introduce la debole soluzione del nutrimento per rafforzarla.
Accanto ad un argomento forte anche uno debole sembra solido: il corpo ha
necessità di essere nutrito non solo per sopravvivere, ma per mantenere costante il
proprio vigore. Per questo Agostino usa il sostantivo maschile vigor. Questo
215 Gn. litt. 9, 3, 5. Nel Gn. litt. 9, 5, 9 Agostino scrive frasi che le odierne
femministe senza dubbio contesterebbero: ―Ora, se la donna non fu fatta per esser d‘aiuto
all‘uomo al fine di generare figli, per aiutarlo a fare cos‘altro fu creata? Nell‘ipotesi che
fosse stata creata per coltivare la terra insieme con lui, non esisteva ancora il lavoro che
esigeva l‘aiuto d‘un altro e, se ce ne fosse stato bisogno, sarebbe stato migliore l‘aiuto d‘un
maschio. Lo stesso potrebbe dirsi del conforto [di un altro], se per caso [Adamo] si fosse
tediato della solitudine. Quanto più conveniente sarebbe stato che, per vivere e conversare
insieme, abitassero sotto lo stesso tetto due amici anziché un uomo e una donna!... Non
vedo, per conseguenza, in qual senso la donna fu creata come aiuto per l‘uomo, se si toglie il
motivo di generare figli‖. Di nuovo, nel Gn. litt. 9, 11, 19 si esprime nel seguente modo:
―Quando perciò mi si domanda per quale aiuto dell‘uomo fu creata la donna, io considero
con tutta l‘attenzione di cui sono capace tutte le ipotesi possibili, ma non mi viene in mente
nessun altro motivo se non quello di procreare figli affinché la terra fosse riempita dalla loro
discendenza‖. Le stesse idee ne troviamo in AMBROGIO, parad. 10, 47-48, CSEL 32/1, pp.
304-306. 216 Gn. litt. 9, 3, 6; 9, 9, 14.
L‘UOMO 65
sostantivo significa actio, energia, vigore, vitalità, esercizio. La sfumatura indica
un‘azione, non lo stato. Il corpo è immortale, ma deve nutrirsi dei frutti dell‘albero
della vita per continuare ad essere energeticamente attivo e vitale. Tuttavia,
sviluppando la presente impostazione, Agostino nelle successive opere scriverà
senza poter essere frainteso che Adamo era bisognoso di cibo materiale per
mantenersi in vita. Adamo e Eva, avendo corpi animali, usavano i medesimi
alimenti di cui si servivano anche gli altri animali, e grazie all‘albero della vita non
giungevano a morte per vecchiaia.217
Passando per queste vie tortuose, impegnandosi di riflettere fino a fondo,
Agostino arrivò alla posizione dell‘Ambrosiaster:
Animale corpus est, dum cibis sustentatur, ut vivat: spiritale autem, cum
horum nihil indigebit, conversum in vitam. Omnia supradicta hoc sensu
clauduntur; non enim aliud continetur in superioribus, nisi quod animale
corpus moritur, et resurget spiritale, quod neque jam manducet, nec bibat, nec
infirmetur, nec sit fetidum, nec tetrum natura... officium enim spiritus
animare est corpus, ita tamen ut continuam vitam non habeat, nisi cibis et
potus auxilio utatur. Novissimus autem Adam in spiritum vivificantem: hoc
est, ut jam qui ante fuerat factus in animam, factus est in spiritum per
resurrectionem; ut mori non possit, quia fiet totus vivens.218
In una parola, l‘uomo animale ha bisogno del cibo e della procreazione per
conservare la sua natura. L‘uomo spirituale non necessita di tali rimedi. Anche
Ambrogio condivideva questa soluzione. L‘uomo primordiale, secondo egli, era
nell‘ombra della vita (umbra uitae): grazie al possesso del soffio divino aveva il
217 civ. 13, 20: I progenitori anche se non sarebbero morti se non avessero peccato,
―si nutrivano tuttavia come tutti gli uomini, perché avevano un corpo di terra (alimentis
tamen ut homines utebantur, nondum spiritalia, sed adhuc animalia corpora terrena
gestantes)... Certamente non invecchiavano in modo da essere inevitabilmente condotti a
morire. Questo privilegio con straordinario favore divino (mirabili Dei gratia) era loro
accordato dall‘albero della vita… Si tirava avanti dunque con altri cibi che adoperavano
affinché il corpo non sperimentasse lo stento con la fame e la sete. Si assaggiava poi
qualcosa dall‘albero della vita affinché la morte non sopraggiungesse improvvisa per
qualche malanno o essi non morissero sfiniti dalla vecchiaia col trascorrere del tempo‖. Si
veda anche c. Iul. 4, 14, 69; opus imp. 6, 39. 218 comm. in Corint. I, PL 17, 269bc.
66 Z. DJUROVIC
pegno dell‘immortalità e una certa garanzia della vita, ma ancora non possedeva
incorruptae inuiolabilisque naturae.219
È logico che Gregorio di Nissa, un origeniano autentico, immaginando
l‘uomo primordiale come un essere spirituale, stia sul fronte opposto affermando
che il cibo paradisiaco non era un alimento materiale. Il regno di Dio non è cibo o
bevanda (Rm. 14, 17), e come nella risurrezione diventeremo uguali agli angeli – e
questi non hanno cibo – quindi, ci libereremo dalla schiavitù materiale.220
Gli
oppositori del Nisseno potevano ammettere tale condizione per l‘età escatologica,
ma non per i primordi umani, perché la Scrittura afferma che i progenitori si
alimentavano. Questi nutrimenti, ci suggerisce Gregorio, devono essere intesi nel
senso allegorico: l‘uomo spirituale gode del Signore (Sal. 36, 4), e la sapienza
stessa, che è il Signore, si chiama l‘albero della vita (Prov. 3, 18).221
Ora – tornando ad Agostino – si pone la domanda: Perché i progenitori non
ebbero rapporti sessuali prima del peccato? Si potrebbe rispondere facilmente, che
essi, come ci assicura Agostino, subito dopo la creazione della donna e prima di
aver rapporti sessuali commisero la trasgressione. In effetti, la Scrittura non
specifica quanto tempo sia passato tra la loro creazione e la nascita di Caino. Dio
prevedeva la loro caduta, per effetto della quale si sarebbe dovuto propagare il
genere umano come una stirpe destinata ormai alla morte, e per questo stabilì il
loro coito post lapsum.222
La differenziazione dei sessi non è stata istituita a causa della caduta, ma il
loro reciproco ―riconoscimento‖ fu rimandato ad un momento più opportuno. I
progenitori avrebbero potuto procreare nel paradiso terrestre. Così facendo,
avrebbero collaborato con Dio nella sua economia. La donna, infatti, fu creata per
procreare anche se l‘uomo non avesse dovuto morire.223
Questo momento è di
219 Cf. parad. 5, 29, CSEL 32/1, pp. 285-286. Si veda anche il commento del
SINISCALCO, Il paradiso terrestre, p. 81, n. 13: ―La condizione di Adamo nel paradiso era
quella di chi godeva della perfezione, della felicità, della grazia, però non ancora
confermate, di chi aveva una partecipazione iniziale alla vita divina che avrebbe dovuto
subire uno sviluppo‖. 220 opif. 18, PG 44, 196ab. 221 opif. 19, PG 44, 196c-197b. 222 Gn. litt. 9, 4, 8. 223 Gn. litt. 9, 9, 14. Cf. civ. 14, 22: ―Noi non dubitiamo per niente che il prolificare,
l‘aumentare di numero e il riempire la terra secondo la benedizione di Dio è un dono del
matrimonio che Dio istituì dal principio (ab initio constituit), prima del peccato dell‘uomo,
creando il maschio e la femmina. La diversità del sesso si manifesta anche nel fisico.
All‘atto creativo di Dio seguì la sua benedizione... È stabilito dunque che maschio e
femmina sono stati ordinati in principio come al presente, e cioè che si vedono e si
riconoscono due individui di sesso diverso e che si considerano uno solo o a causa
L‘UOMO 67
grande importanza perché nella letteratura cristiana era diffusa l‘idea che la
distinzione dei sessi era condizionata dal fatto che Dio aveva previsto la caduta
dell‘uomo. Idee del genere trovavano sostegno nell‘affermazione dell‘apostolo
Paolo che in Cristo Gesù non vi è né maschio né femmina (Gal. 3, 28). Se pertanto
non vi sarà distinzione sessuale alla fine, dunque non ci fu neanche all‘inizio. Il
primo uomo era androgino, come racconta il mito di Platone che servì ai Padri
come matrice di lettura per diversi passi della Scrittura in questo senso.224
Per
dell‘accoppiamento o dell‘origine della femmina che è stata tratta dal fianco del marito‖.
Agostino decisamente critica l‘opinione di Gregorio Nisseno secondo cui senza il peccato
non vi sarebbe stata alcuna moltiplicazione del genere umano: ―Chi afferma che i
progenitori non si sarebbero accoppiati e non avrebbero generato se non avessero peccato, in
definitiva afferma che fu indispensabile il peccato dell‘uomo per ottenere un gran numero di
eletti. Non peccando sarebbero rimasti soli – giacché, come alcuni sostengono, se non
peccavano, non potevano generare – il peccato fu necessario affinché di giusti non
rimanessero soltanto due ma un gran numero. È assurdo pensarlo‖ (civ. 14, 23, 1). Ma
Agostino coregge anche se stesso: ―Nel mio scritto [Gn. c. man. 1, 19, 30] si legge altresì
che la benedizione del Signore espressa con le parole: Crescete e moltiplicatevi, si
trasformò, dopo il peccato, in fecondità carnale. Non sono però assolutamente d‘accordo se
si intendono queste mie parole unicamente nel senso che gli uomini non avrebbero avuto
figli se non avessero peccato‖ (retr. 1, 10, 2). 224 Cf. PLATONE, symp. 190b-191e: Un tempo gli esseri umani, che avevano forma
sferica, erano divisi in 3 sessi, uomini, donne e androgini. Ogni individuo aveva 4 braccia e
4 gambe, due volti sul collo cilindrico rivolti in senso opposto e due organi genitali
(maschili gli uomini, femminili le donne, uno maschile e uno femminile gli androgini). Ma
un giorno Zeus, per punirli, li spaccò in due, come sogliole, e da quel momento ognuno
cercò la propria metà. Chi veniva dall‘uomo cercava un altro uomo, chi da una donna
cercava l‘altra donna, chi dall‘androgino cercava persone dell‘altro sesso e con queste si
riproduceva. Cosa nuova, questa: prima, dice Platone, non generavano gli uni con gli altri,
ma sorgevano spontaneamente dalla terra, come le cicale. Idee del genere furono seguite
dagli scrittori cristiani. Per es. GREGORIO NISSENO nel homin. opif. 17, PG 44, 188cd-189d
afferma che la divisione dei sessi si ebbe come risultato della previsione della caduta e
avvenne dopo la medesima. Egli trova sostegno a questa tesi nella futura condizione
angelica dell‘uomo (cf. Lc. 20, 34-36) che, secondo Origene, è il ripristino del primitivo
modo di essere. Cf. anche GIOVANNI CRISOSTOMO, hom. in Gen. 18, 4 (PG, 53, 153);
PSEUDO-ATANASIO, quaest. ad Antioch. duc. 51, PG 28, 629bc; GIOVANNI DAMASCENO, fid.
2, 30, KOTTER, p. 104: ―Inoltre Dio il Preconoscente, sapendo che questi sarebbe stato nella
trasgressione e sarebbe soggiaciuto alla corruzione, formò da lui l‘essere femminile... aiuto
per la successiva generazione... generazione è la successione degli uni dopo gli altri
proveniente dalla condanna della morte‖. Similmente MASSIMO IL CONFESSORE, amb. 41, PG
91, 1308d-1309a (trad. C. MORESCHINI, p. 458): ―Dio diviene uomo per salvare l‘uomo che
era perito e unisce in sé le parti della natura totale che per colpa sua erano state spezzate...
Vi era forse anche un altro modo, deciso da Dio precedentemente, perché gli uomini
crescessero e si moltiplicassero: vale a dire, se il primo uomo avesse osservato il
comandamento e non si fosse abbandonato alla condizione bestiale... e se avesse respinto la
differenziazione e la distinzione della natura in maschio e femmina, della quale non aveva
68 Z. DJUROVIC
Agostino tale posizione è inammissibile. La sessualità è conforme all‘originaria
intenzione di Dio. Nonostante la verginità sia lodevole, il matrimonio contempla
tre beni: la fedeltà, la prole e il sacramento (fides, proles, sacramentum):
La fedeltà esige di non aver rapporti sessuali con un altro o con un‘altra; la
prole esige d‘essere accolta con amore, allevata con bontà, educata
religiosamente; il sacramento esige l‘indissolubilità del matrimonio.225
Questo argomento è trattato abbastanza a lungo nel De bono coniugali (401)
che Agostino pubblicò poco tempo prima di scrivere il IX libro del Gn. litt. Anche
qui egli timidamente assegna alla concupiscenza carnale un certo valore:
Si frappone infatti una specie di dignità nell‘ardore del piacere, se nel
momento in cui l‘uomo e la donna sono congiunti l‘uno con l‘altro, pensano
di essere padre e madre (Intercedit enim quaedam gravitas fervidae
voluptatis, cum in eo, quod sibi vir et mulier adhaerescunt, pater et mater
esse meditantur).226
Commettono grave errore coloro che pensano che sia peccato ogni
accoppiamento carnale. Ciò avviene per l‘ignoranza del fatto che la condanna
riguarda solamente l‘adulterio o la fornicazione, non ai rapporti sessuali tra coniugi
fatti allo scopo di procreare.227
La posizione di Agostino rimane però un poco
ambigua, poiché egli non considera mai la medesima concupiscenza, intesa in
senso ben preciso come un movimento disordinato dell‘anima (quindi non è
ristretta alla sfera sessuale), inerente alla visione dell‘originaria condizione
umana.228
Agostino piuttosto ipotizza
bisogno... per nascere uomo, e senza i quali, cioè senza maschio e femmina, forse è possibile
essere. Che essi durino per sempre, non è necessario. In Cristo Gesù, dice infatti l‘apostolo,
non vi è né maschio né femmina (Gal. 3, 28)‖. In poche parole, la divisione a maschio e
femmina non rientra a quello creato a immagine di Dio (cf. ARISTIDE, apol. HARNACK, p.
110: Eius naturae nulla inest maris et feminae distinctio; GREGORIO DI NISSA, homin. opif.
16, PG 44, 181a-183d; GIROLAMO, apol. 1, 29, PL 23, 420a-421a; ), perché ad similitudinem
Dei non corporis sit imago, sed spiritus (AMBROGIO, Satyr. 2, 130, PL 16, 1353b). 225 Gn. litt. 9, 7, 12. 226 b. coniug. 3, 3. 227 Gn. litt. 9, 8, 13; 9, 9, 15. Non si deve confondere la libidine con la sensazione:
―Aliud est vis sentiendi, aliud vitium concupiscenti‖ (opus imp. 4, 29). 228 Cf. N. CIPRIANI, Una teoria neoplatonica, p. 356. Cf. civ. 14, 20.
L‘UOMO 69
che i nostri progenitori prima del peccato potessero comandare agli organi
genitali per procreare figli come comandavano alle altre membra che l‘anima
è solita eccitare senza alcun prurito della concupiscenza (sine ulla molestia,
et quasi pruritu voluptatis movet) per compiere qualsiasi altro atto... loro
avrebbero comandato agli organi da cui è generata la prole, allo stesso modo
che si comanda ai piedi quando si cammina. In tal modo avrebbero compiuto
l‘unione sessuale senza ardore passionale e avrebbero partorito senza dolore
(neque cum ardore seminaretur, neque cum dolore pareretur).229
Su questo problema si svilupperà l‘aspra polemica tra Agostino e Giuliano
di Eclano. A tale proposito Cipriani scrive: ―Tuttavia, di fronte alla reazione
contraria e persino sarcastica di Giuliano, si dice [Agostino] disposto ad ammettere
nel paradiso una certa concupiscenza, diversa dall‘attuale, tale cioè che non
suscitasse movimenti contrari alla volontà, che non sollecitasse o muovesse i
genitali con il suo impulso irrazionale, in maniera da doversene vergognare‖.230
Va rivelato che il maturo Agostino non avrà nessun dubbio riguardo alla
natura del corpo primordiale. Molti esegeti – come egli ci ricorda – pensavano che
all‘origine Adamo avesse un corpo naturale, cambiato poi in corpo spirituale o
229 Gn. litt. 9, 10, 18. Su questo argomento Agostino torna nel civ. 14, 16 dove
scrisse che sarebbe stato più opportuno se i progenitori avessero procreato figli senza
libidine. Gli organi creati allo scopo di generare la prole si conformerebbero alla coscienza,
come tutti gli altri, perché mossi dal consenso della volontà e non dalla libidine: ―Ma
neanche coloro che si dilettano di questo piacere sono eccitati, quando vogliono, agli
accoppiamenti coniugali o agli atti disonesti della lussuria. Talora l‘impulso reca disagio
perché non desiderato, talora delude chi spasima e mentre la sensualità ribolle nella
coscienza rimane fredda nel corpo. In tal modo con strano risultato la libidine non solo non è
in funzione del desiderio di aver figli ma neanche della libidine di soddisfare i sensi‖. La
libidine infatti produce vergogna nel piacere lecito come anche nell‘illecito (civ. 14, 17-18).
Poi, anche i filosofi hanno sostenuto che l‘ira e la concupiscenza sono inclinazioni viziose
perché si muovono con disordinata agitazione senza essere controllate dalla ragione (civ. 14,
19). Come sostegno della tesi che la libidine si sarebbe potuta sottoporre alla volontà e in tal
modo l‘organo genitale avrebbe sparso il seme come fa la mano del seminatore quando
sparge la sementa sul terreno, Agostino riporta alcuni esempi sulla base cui si evidenzia che
certe funzioni involontarie si possono tenere sotto controllo. Così ci sono alcune persone che
muovono le orecchie, una sola o ambedue. Egli stesso ha conosciuto un tale che poteva
sudare quando voleva. Un prete di nome Restituto poteva cadere volontariamente in
catalessi, tanto da non sentire minimamente se alcuni lo pizzicavano o lo pungevano. Se
quindi, esistono oggi persone capaci di sottoporsi a parecchi movimenti fuori del normale,
non v‘è ragione per non credere che anche il primo uomo avrebbe potuto procreare senza
libidine (civ. 14, 24, 1-2). 230 opus imp. 5, 16. N. CIPRIANI, La controversia tra Giuliano d‟Eclano e s. Agostino
nell‟Opus imperfectum, Roma 1992, p. LXXI.
70 Z. DJUROVIC
etereo quando egli fu messo nel paradiso, trovano difficoltà perché questo
cambiamento non viene menzionato nella Genesi.231
Tale opinione viene rigettata:
il corpo primordiale si può chiamare mortale perché poteva morire, e anche
immortale perché poteva non morire.
Una cosa è infatti non poter morire, come è il caso di certe nature create
immortali da Dio; un‘altra cosa è invece poter non morire, nel senso in cui fu
creato immortale il primo uomo; questa immortalità gli era data non dalla
costituzione della sua natura (non de constitutione naturae) ma dall‘albero
della vita. Dopo ch‘ebbe peccato, Adamo fu allontanato dall‘albero della vita
con la conseguenza di poter morire... Mortale era dunque Adamo per la
costituzione del suo corpo naturale (mortalis ergo erat conditione corporis
animalis), immortale per un dono (beneficio) concessogli dal Creatore. Se
infatti il corpo era naturale, era certamente mortale poiché poteva anche
morire, sebbene fosse nello stesso tempo immortale poiché poteva anche non
morire. In realtà solo un essere spirituale è immortale per il fatto che non
potrà assolutamente morire, e questa qualità ci è promessa solo per il futuro,
vale a dire nella risurrezione.232
Il corpo primordiale è, dunque, questo naturale (mortale) come tale creato
direttamente da Dio.233
Nelle retr. Agostino spesso corregge proprio le
affermazioni che disprezzano il corpo in quanto tale, e non in quanto corruttibile,
cioè condizionato dalla caduta dell‘uomo:
Non si deve tenere in alcun conto e deve essere totalmente rifiutato tutto ciò
che è visto da occhi mortali, tutto ciò che è raggiunto dal senso [c. acad. 1, 1,
3], andava così integrato: tutto ciò che è raggiunto dal senso del corpo
mortale…234 Anche nell‘affermazione che bisogna del tutto fuggire da
codeste realtà sensibili [sol. 1, 14, 24], si sarebbe dovuto evitare il sospetto
che facessimo nostra la posizione dello pseudofilosofo Porfirio, secondo il
231 Gn. litt. 6, 21, 31. 232 Gn. litt. 6, 25, 36. 233 Nella stessa posizione sta Atanasio Alessandrino: Gli uomini, ―sono divenuti
causa della propria corruzione nella morte: erano bensì corruttibili per natura… ma in grazia
della partecipazione del Verbo avrebbero evitato questa conseguenza della loro natura, se
fossero rimasti virtuosi. Infatti, a causa del Verbo che era in loro, la corruzione propria della
loro natura non li avrebbe intaccati…‖ (incarn. 1, 5, PG 25b, 104d-105a). 234 retr. 1, 1, 2.
L‘UOMO 71
quale si deve fuggire da ogni realtà corporea.235 Non ho detto da tutte le
realtà sensibili, ma solo da quelle di questo mondo soggette a corruzione.
Avrei dovuto piuttosto dire: non ci saranno più realtà sensibili come queste
nel cielo nuovo e nella terra nuova del mondo che verrà.236
Più di una volta Agostino si rammaricherà per aver citato la sentenza di
Porfirio: omne corpus esse fugiendum. Porfirio, secondo lui, avrebbe detto bene se
non avesse scritto ogni corpo: si deve stare, ci suggerisce Agostino, lontano dal
corpo corruttibile che appesantisce l‘anima, ma non anche dal corpo che non la
soffoca, cioè dal corpo incorruttibile. Ci infastidisce – continua egli – la
corruttibilità, la mortalità, ma non il corpo in quanto corpo.237
Può sembrare
sorprendente ma questa valutazione positiva del corpo e il discorso sul corpo
incorruttibile, anche se è vicina ad una corrente del pensiero cristiano, proviene da
Plotino. A tale conclusione può portare il confronto tra il pensiero plotiniano e
quello agostiniano in cui appaiono queste distinzioni. Torniamo alla frase di
Plotino già citata: il corpo è di ostacolo al pensare, e perché riempie l‟anima di
piaceri, di brame e di dolori. Tutte e due le frasi su cui Plotino riflette sono riprese
da Platone (Phaedo, 65a e 66c). Plotino nel paragrafo 8, 2 del IV libro delle enn.
vuole spiegare come l‘anima infonde ordine e bellezza nel mondo sensibile e
risponde all‘obbiezione che è un male per l‘anima abitare in un corpo. I toni
negativi dell‘uomo divino, ossia Platone, si trovano in contesto specifico e Plotino,
prima di citarli, comincia con una presentazione ottimistica di Platone:
Dicendo che le anime degli astri hanno coi loro corpi lo stesso rapporto che
l‘Anima universale ha col tutto, [Platone] colloca anche i corpi degli astri
all‘interno del movimento circolare dell‘Anima238 e salva così anche la
beatitudine che ad essi conviene. Sono due le ragioni, per le quali l‘unione
dell‘anima col corpo appare insopportabile: perché essa è di ostacolo al
pensare, e perché riempie l‘anima di piaceri, di brame e di dolori. Ora, nulla
di tutto ciò accade ad un‘anima che non s‘immerge nell‘interno del corpo e
non appartiene a nessuno: essa non sottostà al corpo, ma il corpo ad essa; e
235 Motivo ricorrente in Porfirio: cf. es. sent. 7-10, LAMPERZ, pp. 3-4; ad Marc. 8,
NAUCK, pp. 197-198, 32 (ib. p. 210), 34 (ib. p. 210); fr. 11, 5 ex reg. an. BIDEZ, p. 41. Il
medesimo Agostino lo esamina anche in civ. 10, 29; 22, 12, 26-28. 236 retr. 1, 4, 3. Ci sono altre avvertenze: retr. 1, 3, 2 per ord. 1, 1, 3; retr. 1, 4, 2 per
sol. 1, 1, 3. 237 serm. 242A, 3. 238 PLAT. Tim. 38c.
72 Z. DJUROVIC
questo corpo è tale da non aver bisogno di nulla e di non mancare di nulla, e
perciò nemmeno l‘anima si riempie di desideri e di timori.
Plotino dunque fa una chiara distinzione tra il corpo corruttibile e quello
incorruttibile. Il primo crea problemi all‘anima, il secondo no. Un corpo che non ha
bisogno di cibo, di sesso, non teme la morte essendo immortale, non può mettere
l‘anima in ansia. Vediamo ora il cambiamento di Agostino. I medesimi filosofi
asseriscono, spiega Agostino, che l‘intero mondo fisico è animato. Se quindi lo
stesso mondo è eterno, ne consegue che l‘anima così concepita sarà trattenuta per
sempre all‘interno di esso.
Perché si dovrebbe – in tal caso – fuggire ogni sorta di corpo? Io piuttosto
direi: Beate quelle anime che possiederanno per sempre corpi
incorruttibili.239
Anche Platone, ci avverte Agostino, non concorda con Porfirio. Dio infatti
costruì gli altri dèi, cioè le divinità celesti, stelle, sole e luna.240
Ciascuna di queste
divinità astrali possedeva una anima intellettiva e un proprio corpo.241
Il dio di
Platone dice agli dèi creati:
Avendo voi avuto un‟origine, non potete essere immortali ed esenti da
dissolvimento. Però non sarete dissolti né ci sarà destino mortale che vi
annienti. Nulla infatti prevarrà sulla mia decisione, anzi il legame che da
parte mia vi garantisce la perpetuità è più grande di tutti gli altri vincoli da
cui siete astretti.242
Se dunque questi non abbandonarono i loro corpi, perché noi dobbiamo
rifuggire da ogni corpo?243
È da notare che Agostino condivide in pieno
l‘asserzione di Platone che tutto ciò che ha inizio non può essere immortale per sua
natura ma solamente per l‘azione reggitrice di Dio. La più importante annotazione
è che il contesto ideologico delle affermazioni di Plotino e di Agostino è lo stesso.
Entrambi pensatori partono dai testi di Platone che confermano l‘esistenza dei
239 serm. 241, 7. 240 Tim. 38c-40b. 241 Tim. 41b. 242 Tim. 41b. Cf. AGOSTINO, civ. 13, 16; 22, 26; serm. 242, 5. 7. 243 serm. 241, 8.
L‘UOMO 73
corpi incorruttibili, e infine condividono la stessa conclusione: il corpo corruttibile
appesantisce l‟anima, il corpo incorruttibile non porta alcun danno all‟anima.
CAPITOLO III
INIZIO E FINE
1. La protologia
1. 1. Il rinnovamento dell‟uomo
Secondo Agostino, il corpo dei capostipiti era come quello dei bruta
animalia.244
Per questo, la superiorità dell‘uomo sta nel fatto che Dio creò l‘uomo a
propria immagine, poiché gli diede l‘anima spirituale e l‘intelligenza.245
Già nel De
Genesi contra manichaeos Agostino poneva l‘interrogativo se il corpo degli
antenati fosse un corpo naturale, come quello che abbiamo adesso, oppure
spirituale, come quello che avremo nella risurrezione, interrogativo che esamina a
fondo nel De Genesi ad litteram, laddove si chiede se il corpo originale fu creato
come un corpo naturale, in tal caso noi avremmo ricevuto non solo quanto
avevamo perduto in Adamo, ma una qualità superiore perché il corpo spirituale è
migliore di quello naturale. Agostino, richiamandosi all‘autorità dell‘Apostolo
Paolo (1Cor. 15, 44-49), afferma che ora noi portiamo l‘immagine dell‘uomo
celeste in virtù della fede; l‘immagine dell‘uomo terrestre invece l‘abbiamo
indossata sin dall‘origine del genere umano.246
Il problema tuttavia viene creato
dalla terminologia della Scrittura. Essa afferma che l‘uomo sarà rinnovato
(innovare, renovare, reparare, redintegrare, reficere, regenerare); ciò però non
quadra con l‘idea del corpo risorto, che non potrà mai morire; quello di Adamo
invece poteva morire. D‘altra parte, come poté Adamo perdere l‘immortalità, se
aveva un corpo naturale? Il corpo risorto non sarà più naturale ma spirituale, cioè
incorruttibile. A questo proposito Agostino scrive:
Numerosi esegeti, messi alle strette da queste difficoltà, hanno cercato, da
una parte, di sostenere la verità dell‘asserzione dell‘Apostolo in cui porta
244 Gn. litt. 6, 12, 21. 245 Ib. 246 Gn. litt. 6, 19, 30.
INIZIO E FINE 75
l‘esempio del corpo naturale (animali corpore) a proposito di questo
argomento dicendo: Il primo uomo, Adamo, fu fatto una creatura vivente
(1Cor. 15, 45), e da un‘altra parte hanno cercato di mostrare che non è
illogico affermare che l‘uomo sarà rinnovato e riavrà l‘immortalità allo stato
originario, cioè in quello perduto da Adamo. Costoro perciò hanno pensato
che all‘origine l‘uomo avesse un corpo naturale, ma fu cambiato quando egli
fu messo nel paradiso, come saremo cambiati anche noi nella risurrezione.247
Ma se è valida la suddetta conclusione, si perde inevitabilmente il senso
storico: come potevano essere necessari i frutti paradisiaci ai corpi immortali e
spirituali? Tuttavia, non potendosi trovare un‘altra soluzione, Agostino preferisce
intendere il paradiso in senso spirituale anziché pensare che l‘uomo non si
rinnovi (melius eligimus paradisum spiritaliter intellegere, quam vel putare
non renovari hominem), poiché il suo rinnovamento è ricordato tante volte
dalla Scrittura, o credere che riceverà uno stato che non si può dimostrare
essere stato perduto da lui.248
Se quindi, il corpo era immortale, noi ci rinnoviamo secondo il modello di
Adamo, però non ha senso parlare di un corpo immortale che può morire; se d‘altra
parte il corpo era mortale, come ci rinnoviamo in immortalità?
Ecco perché, scrive Agostino, alcuni interpreti pensano che l‘uomo meritò,
per causa del peccato, non la morte del corpo ma quella dell‘anima (non
mortem corporis, sed mortem animae), procurata dal suo peccato.249 Costoro
247 Gn. litt. 6, 20, 31. 248 Gn. litt. 6, 21, 32. 249 Questa tesi fu sostenuta nei circoli pelagiani, come anche tra alcuni antiocheni.
Teodoro di Mopsuestia, per es., sosteneva la teoria delle due kata,stasij, cioé dei due
periodi o delle due condizioni dell‘uomo: la prima sarebbe una condizione di mortalità
originale, vale a dire di mortalità non condizionata dalla trasgressione; la seconda una
condizione di incorruttibilità, immortalità e impeccabilità instaurata da Cristo con la sua
resurrezione: ―A Dio piacque dividere la creazione in due catastasi (in duos status divisit
Deus creaturam): una che è quella presente, in cui ha fatto tutte le cose mutevoli; la
seconda, che sarà quella futura, quando rinnovando tutte le cose, le renderà immutabili‖ (in
Gen. PG 66, 633). Secondo la sintesi di Teodoreto di Ciro, Dio creò Adamo mortale
prevedendo la sua caduta, dalla cui sanzione sarebbe derivata la morte. Per questo Dio creò
sia il maschio che la femmina, quale chiaro segno della mortalità, perché la natura
immortale non ha bisogno del sesso femminile. Altra indicazione della mortalità primordiale
sarebbe la necessità di nutrirsi. La sentenza di morte è stata proferita dopo la prevaricazione,
76 Z. DJUROVIC
infatti credono che l‘uomo, poiché aveva un corpo naturale (corpus animale),
sarebbe uscito da questo corpo per giungere alla pace che adesso godono i
fedeli servi di Dio già morti e, alla fine del mondo, avrebbe riavuto le
medesime membra rivestite d‘immortalità. In tal modo la morte del corpo
sembrerebbe non un effetto del peccato, ma un fatto naturale (naturaliter)
come la morte degli altri animali. A costoro però si oppone un‘altra
affermazione dell‘Apostolo che dice: Il corpo è, sì, una cosa morta a causa
del peccato (corpus quidem mortuum est propter peccatum), ma lo Spirito è
vita a causa della giustificazione (Rm. 8, 10-11)... Per conseguenza anche la
morte del corpo deriva dal peccato. Se dunque Adamo non avesse peccato,
non sarebbe stato soggetto neppure alla morte del corpo e perciò avrebbe
avuto anche un corpo immortale. Come dunque quel corpo sarebbe potuto
essere immortale se era un corpo naturale (Quomodo ergo immortale, si
animale)?250
Questa ambiguità viene risolta così: noi non accogliamo l‘immortalità di un
corpo spirituale che l‘uomo non aveva ancora, ma riceviamo la giustizia originaria.
La nostra natura sarà rinnovata nella sua primitiva innocenza, nello stato ancora
non spezzato.251
Saremmo dunque rinnovati nello spirito della nostra mente
conforme all‘immagine divina che Adamo danneggiò. Danneggiò, non distrusse,
come vorrebbero certuni.252
Infatti neppure il corpo naturale era fuori dalla
perché l‘uomo provasse avversione verso il peccato. Inoltre tutta la natura fu creata come
corruttibile in prospettiva della caduta dell‘uomo. Ha ragione Sergio Zincone quando scrive:
―Da tutto il complesso del discorso di Teodoreto si evince che quando egli, qui e altrove,
dice che l‘uomo è divenuto mortale, corruttibile a causa del peccato, non pensa ad
un‘originaria immortalità perduta, ma al fatto che l‘uomo fu concretamente sottoposto alla
sentenza di morte, estesasi poi a tutta l‘umanità in conseguenza del peccato‖ (ZINCONE,
Studi, p. 47). 250 Gn. litt. 6, 22, 33. 251 Gn. litt. 6, 27, 38: ―Proinde illa stola prima, aut ipsa iustitia est unde lapsus est;
aut, si indumentum corporalis immortalitatis significat, etiam hanc ille sic amisit, cum
propter peccatum ad eam pervenire non potuit‖. Sarà Ambrogio a dire: imago Dei justitia est
(hex. 9, 7, 41, CSEL 32/1, p. 232). 252 In ambito protestante e ortodosso spesso si legge che Agostino sosteneva che in
Adamo l‘uomo perse completamente l‘immagine divina (cfr. per es. l‘analisi del grande
teologo serbo JUSTIN POPOVIC nella sua Dogmatica della Chiesa Ortodossa [Догматика
Православне цркве], vol. I, Belgrado 1932, pp. 301-306). Dal fatto che Agostino
continuamente ripete che l‘uomo per sé non può fare o desiderare il bene, loro concludono
che l‘immagine divina è interamente annientata. Però le parole dello stesso Agostino
contestano ciò: ―Coloro che... si convertono al Signore, sono da lui riformati (reformantur
ex illo) da quella difformità per cui le passioni mondane li conformavano a questo mondo,
INIZIO E FINE 77
comunione con Dio.253
Pertanto, il nostro corpo non sarà trasformato nel corpo
primitivo, ma in uno migliore, ossia in un corpo spirituale, quando ci trasferiremo
nella casa celeste, ove non ci sarà più bisogno di un cibo corruttibile:254
In hoc ergo renovamur, secundum id quod amisit Adam, id est secundum
spiritum mentis nostrae: secundum autem corpus quod seminatur animale, et
resurget spiritale, in melius renovabimur, quod nondum fuit Adam.255
udendo la parola dell‘Apostolo che dice: Non conformatevi a questo mondo, ma riformatevi
rinnovando il vostro spirito (Rm. 12, 2), cosicché quell‘immagine incomincia ad essere
riformata da Colui che l‘ha formata. Infatti non può riformarsi essa stessa, come ha potuto
deformarsi: dice infatti l‘Apostolo in un altro passo: Rinnovatevi nello spirito della vostra
anima e rivestitevi dell‟uomo nuovo, che è stato creato ad immagine di Dio, nella vera
giustizia e santità (Ef. 4, 23-24)... Ma peccando ha perso la vera giustizia e santità; perciò
quest‘immagine è divenuta deforme e sbiadita (haec imago deformis et decolor facta est); la
recupera quando è rinnovato e riformato (hanc recipit, cum reformatur et renovatur)‖ (trin.
14, 16, 22). Dunque, Agostino parla d‘immagine offuscata che non viene creata nuovamente
dal nulla, ma ripulita, restaurata nella sua primitiva bellezza. Nelle retr. 2, 24, 2 Agostino
avverte: ―Quanto ho detto nel sesto libro [Gn. litt. 6, 27, 28], che cioè Adamo aveva perso
col peccato l‟immagine di Dio in base alla quale era stato creato, non va inteso nel senso
che di quell‘immagine non fosse rimasto nulla, bensì che s‘era talmente deformata da
richiedere una restaurazione‖. 253 Per mezzo dell‘immortalità del corpo ―saremo simili a Dio, ma soltanto al Figlio,
perché egli è l‘unico nella Trinità che ha assunto un corpo che, morto, è risuscitato ed ha
condotto al Cielo. Perché si dice pure che questa è immagine del Figlio di Dio, immagine
secondo la quale come lui avremo un corpo immortale, resi conformi sotto quest‘aspetto non
all‘immagine del Padre o dello Spirito Santo, ma soltanto del Figlio, perché di lui solo
leggiamo... Il Verbo si è fatto carne (Gn. 1, 4). Ecco perché l‘Apostolo dice: Coloro infatti
che preconobbe li ha pure predestinati conformi all‟immagine del suo Figlio, affinché egli
sia il primogenito fra molti fratelli (Rm. 8, 29). Primogenito, certamente, tra i morti (Col. 1,
18)... per quella morte per cui è stata sotterrata la sua carne come un seme nell‘ignominia, ed
è risuscitata nella gloria. Secondo quest‘immagine del Figlio, al quale per l‘immortalità noi
ci conformeremo nel corpo, compiamo anche ciò che similmente dice lo stesso Apostolo:
Come abbiamo portato l‟immagine dell‟uomo terrestre, così rivestiremo pure l‟immagine di
quello celeste (1Cor. 15, 49); parole scritte perché teniamo con una fede sincera ed una
speranza ferma e sicura che, noi, dopo essere stati mortali secondo Adamo, saremo
immortali secondo Cristo. Così infatti noi possiamo portare ora quest‘immagine, non ancora
nella visione, ma nella fede; non ancora nella realtà, ma nella speranza. È della risurrezione
del corpo che parlava l‘Apostolo, quando diceva queste parole‖ (trin. 14, 18, 24). 254 Gn. litt. 6, 24, 35. 255 Gn. litt. 6, 27. In questo punto Agostino corregge l‘interpretazione di Vittorino
non ammettendo che Adamo fu spirituale: ―Ut dixi, novus homo est, qui secundum spiritum
sapit… Ita anima melior, pura, integra; mens vero fortior spiritus est. Renovamini ergo,
inquit, spiritu mentis vestrae; et induite novum hominem, ut jam secundum ipsum vivatis;
qui spiritalis est, cum ex spiritu sapit; qui ipse ille homo spiritalis secundum Deum creatus
est, id est juxta Deum: quomodo dictum est, faciamus hominem ad imaginem et
78 Z. DJUROVIC
Quindi, il corpo di Adamo era insieme animale e condizionatamente
immortale. Adamo era spirituale per la mente, ma animale per il corpo anche nel
paradiso. Il suo corpo, come abbiamo già visto, poteva morire, e la sua immortalità
non era basata sulla costituzione della sua natura ma sull‘albero della vita che è
simbolo del Figlio di Dio:
Così anche la Sapienza, cioè lo stesso Cristo, è l‘albero di vita nel paradiso
spirituale (lignum vitae est in paradiso spiritali), ove il Signore inviò dalla
croce il buon ladrone, ma nel paradiso corporeo (in paradiso corporali) fu
creato anche un albero di vita che avrebbe simboleggiato la Sapienza.256
La comunione con Dio rendeva immortali i progenitori. Allora Adamo era
mortale per la costituzione del suo corpo naturale, immortale per il dono divino.257
Solo nella risurrezione i corpi umani non saranno più in grado di morire:
similitudinem nostram. Non autem vultum Deus habet aut faciem: sed quemadmodum Deus
spiritus est, ita et nos secundum Deum creati sumus, ut secundum spiritum sapiamus; id est
nihil carnaliter, nihil in mundo. Denique quid est secundum Domini creatum esse hominem,
ipse dixit in sanctitate et justitia et veritate: id est, ut sit justus, ut sit sanctus, sit et verus…
Ergo quoniam spiritus sanctificat, spiritus vivificat et justificat, spiritus qui vere est, et
semper est, et magis solus est, ipse est veritas. Haec igitur omnia sic intelligentes, novum
hominem induunt, renovati in spiritu mentis suae‖ (MARIO VITTORINO, in Eph. IV, 23-24,
PL 8, 1279ac). 256 Gn. litt. 8, 5, 9. 257 In questo punto Agostino appare vero erede della concezione giudaica, secondo
la quale il creato non può avere l‘immortalità secondo la costituzione della sua natura.
Abbiamo visto che secondo lui, ogni essere scomparirebbe se Dio anche per un attimo
cessasse di mantenerlo in esistenza. Tra i primi pensatori cristiani (Taziano, Teofilo
Antiocheno, Arnobio etc.) è variamente attestata l‘idea che l‘anima non è immortale per
natura, perché è incorporale. Questa opinione era condivisa dai valentiniani ed Eracleone.
Come testimonia Origene (com. Io. 13, 60, SC 222, pp. 262), Eracleone ritiene che ―sono
confutate le opinioni di quanti suppongono che l‘anima sia immortale, opinando che allo
stesso modo vada interpretato il passo secondo cui l‘anima e il corpo periscono nella Geenna
(cf. Mt. 10, 28). Infatti Eracleone ritiene che l‘anima non sia immortale ma abbia attitudine
alla salvezza, affermando che essa è l‘elemento corruttibile che riveste l‘immortalità‖ (cf.
1Cor. 15, 53 sg.; Is. 25, 8). Continuando, Origene riduce all‘assurdo la posizione eracleonea
affermando che una natura corruttibile può diventare incorruttibile: ―Ma se per morte
dell‘anima intende la dissoluzione totale e la sua scomparsa, noi non saremmo d‘accordo,
perché non ci riesce neppure di concepire una sostanza mortale che si trasforma in
immortale e una natura corruttibile che si trasforma in incorruttibile. Sarebbe come dire che
un essere da corporeo si trasforma in incorporeo, quasi che ci fosse un substrato comune alle
due nature, corporea e incorporea, il quale permane... Ma altro è dire che la natura
corruttibile riveste incorruttibilità, altro è dire che una natura corruttibile si trasforma in
INIZIO E FINE 79
Per conseguenza il corpo naturale, e perciò mortale di Adamo – che in virtù
della giustizia sarebbe divenuto spirituale e perciò del tutto immortale – non
divenne mortale a causa del peccato essendo tale anche prima, ma una cosa
morta (factum est propter peccatum non mortale, quod et antea erat, sed
mortuum); ciò sarebbe potuto non accadere, se l‘uomo non avesse peccato.258
Il nostro corpo naturale è diverso da quello di Adamo perché il nostro corpo
non può sfuggire alla morte, mentre quello di Adamo poteva evitarla. Infatti, il
corpo di Adamo sarebbe stato trasformato in corpo spirituale.259
Il corpo non era
perfetto perché si sarebbe dovuto tramutare.
Agostino, inoltre, ipotizza una trasformazione intermedia, nel caso fosse
stato necessario che i genitori cedessero il posto ai figli, di passare a una vita
migliore non più attraverso la morte ma in virtù di un cambiamento; il che, in un
certo senso comporta l‘abbandono del corpo naturale, ossia la morte. Questo
mutamento in uno stato migliore, secondo lui, sarebbe potuto essere quello finale,
oppure sarebbe stato un diverso mutamento, di poco inferiore a quello della
risurrezione.260
Questa trasformazione intermedia potrebbe somigliare al
―rapimento‖ di Elia, che non avvenne attraverso la morte (cf. 2Re. 2, 11). Di
conseguenza Elia è già in uno stato migliore rispetto a quello nostro o di Adamo,
incorruttibile. Lo stesso si deve dire per quanto riguarda la natura mortale, che non si
trasforma in immortale, ma riveste l‘immortalità‖ (com. Io. 13, 61, SC 222, pp. 266-268). La
carne e le ossa per propria natura non sono incorruttibili e non possono diventare tali. Quello
che per Origene conta è la configurazione della natura. Quello che è in sé, la sostanza, lo
strato sottostante che fa esistere. Così era stato insegnato ad Origene dalla filosofia stoica
(cf. C. NOCE, Vestis varia, pp. 205-206). Una natura non si può cambiare ma solamente
modificare. Però la Noce non ha notato che Origene abbandonò questa posizione,
avvicinandosi a quella sostenuta in seguito da Agostino. Difatti, Origene affermò che la
carne di Cristo si ricoprì di una nuova qualità voluta dal Creatore: la natura mortale è stata
mutata in una qualità eterea, divina che è in sintonia con le teorie dei fisici greci, che
sostengono, come afferma Origene, che la materia non ha qualità definitive ma le cambia
secondo la volontà del Creatore (Cels. 3, 41-42, GCS I, pp. 237-238. Contra Celsum infatti
viene scritto 2-3 anni prima che l‘autore finisse in prigione). La Prinzivalli è stata più attenta
osservando che in questo caso difficilmente si può verificare l‘identità fisica tra il corpo
risorto e quello terreno, perché essi sono forniti di una fisicità dissonante (cf. E.
PRINZIVALLI, Aspetti esegetico-dottrinali del dibattito nel IV secolo sulle tesi origeniane in
materia escatologica, in Annali di storia dell‟Esegesi 12/2 (1995) 279-325, in particolare
pp. 296-297). 258 Gn. litt. 6, 25, 36. 259 Gn. litt. 6, 26, 37. 260 Gn. litt. 9, 6, 10.
80 Z. DJUROVIC
sebbene non possegga ancora lo stato in cui sarà alla fine del mondo. Un altro
esempio è Enoch, che era anzi sposato (questo fatto è messo in rilievo da Agostino
che vuole applicarlo alla prima coppia), e non morì ma fu preso e portato in un
altro soggiorno (cf. Gen. 5, 24). È ancora più verosimile che sarebbe stato concesso
ai primi uomini d‘esser trasferiti in una vita migliore e di lì, alla fine del mondo,
essere cambiati in una condizione più felice (come quella degli angeli), non
attraverso la morte ma grazie alla potenza di Dio.261
In ultima analisi sembra che Agostino non vedesse nello stato originario la
vera condizione dell‘essere umano, ma in quello futuro, escatologico. Di nuovo
dobbiamo notare che Agostino si allontana dalla sua posizione giovanile quando
afferma che Adamo in paradiso era già spirituale.262
La lettura medievale, mettendo
in evidenza le descrizioni agostiniane di un paradiso quasi da favola, ha imposto
una prospettiva contraria rispetto a quella fin qui proposta. Per questa ragione,
ancora oggi alcuni studiosi criticano aspramente le riflessioni di Agostino sulla
condizione originaria dell‘uomo come un racconto fiabesco, una conseguenza
dell‘ideale stoico del sapiens263
e danno la preferenza alla ―più realistica‖ visione
antiochena. Tuttavia, sulla base delle testimonianze qui riportate, non esiste, come
se fosse uno dei punti fondamentali della teologia agostiniana, la perfezione
immediata del primo uomo creato, quel che si chiama, in teologia, la teoria della
perfezione adamitica. Il noto teologo greco Ioannis Romanidis sbaglia gravemente
quando ascrive ad Agostino la dottrina secondo la quale l‘uomo fu creato come un
essere perfetto e completamente beato.264
L‘opinione di Romanidis è in aperto
contrasto con i testi agostiniani che ho esaminato. Egli afferma che, secondo la
sana dottrina degli ortodossi, Adamo fu creato come relativamente perfetto e la
261 Gn. litt. 9, 6, 11. Qui Agostino sta molto vicino al ragionamento espresso in
presunta opera di RUFINO IL SIRO, fide. 30, PL 21, 1139bc: ―Probatum est sufficienter, ut
reor, hominem secundum carnem creatum esse mortalem, aperte Domino docente, mortales
esse eos qui coitu tali nuptiisque laetantur. Unde Enoch qui placuit Deo, postquam diversis
ex uxoribus liberos procreavit, translatus est, ut mortem penitus non videret... nam ante
translationem Deo placuisse perhibetur. Sic igitur possumus dicere etiam de Adam et Eva,
quod si praeceptum Dei mandatumque servassent, etiam post liberorum procreationem,
gustato ligno vitae, immortales jugiter permansissent, non egentes in posterum victus, et
incrementi vel nuptiarum‖. 262 Gn. c. man. 2, 8, 10. 263 A.-M. DUBARLE, Il peccato originale. Prospetive teologiche, Bologna 1984, pp.
36-37. 264
J. ROMANIDIS, Il peccato dei progenitori, pp. 232-233.
INIZIO E FINE 81
mette in contrasto con l‘insegnamento di Agostino. Da dove abbia tratto tali
conclusioni non saprei dirlo.265
I critici potrebbero aver ragione qualora si riferiscano all‘iniziale visione
agostiniana. Il più importante concetto soteriologico del primo Agostino è
―ritorno‖ (reditus, recursus), ―rinnovamento‖ (reformatio, renovatio). Le creature
intellettuali ritornano al punto di partenza,266
si restituiscono a se stesse.267
L‘uomo, dunque, viene rinnovato alla ―perfezione con cui era stato creato a
immagine di Dio‖.268
In questa sede vorrei attirare l‘attenzione sul recente studio di Fredrick Van
Fleteren.269
Riguardo al corpo spirituale, nota cinque distinti periodi nel pensiero di
Agostino: 1) Cassiciaco-Milano (386-387); 2) Roma-Tagaste-Ippona (388-392); 3)
Ippona (393-396); 4) Ippona (397-426) e 5) Ippona (426-430).270
Vediamo ora
alcuni punti della sua ricerca.
Nel primo periodo la soteriologia agostiniana verte sul concetto
dell‘immortalità dell‘anima. Non esisterebbe alcuna idea della risurrezione, perché
il manicheismo non aveva tale dottrina, e dall‘altro lato, la rinascita viene
concepita secondo i libri Platonicorum. La salvezza consisterebbe nella liberazione
del corpo (omne corpus fugiendum), e in conseguenza il saggio la può raggiungere
ancora in questa vita, perché le condizioni del corpo sono indifferenti.271
Nel secondo periodo Agostino introduce la contrapposizione paolina (1Cor.
15, 22) tra Adamo in cui l‘umanità muore e Cristo in cui risorge, ma allo stesso
tempo continua a seguire la matrice porfirina mettendo la risurrezione nel contesto
dell‘ascesa dell‘anima. La novità è che incomincia a parlare della rinascita del
corpo, ma nulla dice sulla sua natura, aggiungendo soltanto che esso torna alla
precedente condizione (pristinae stabilitati) paradisiaca.272
265 Si trovano tantissimi errori nel libro di Romanidis. Per esempio, egli afferma che
nella Chiesa cattolica non si praticano esorcismi (p. 102); poi, pur mettendo sempre Giovani
Crisostomo ad un livello teologico molto più elevato rispetto ad Agostino, dice che Agostino
fondò la sua dottrina del peccato originale addirittura sull‘insegnamento del Crisostomo (p.
252)! Sarebbe lungo enumerare simili letture di quest‘autore. 266 mor. 2, 7, 9. 267 quant. an. 28, 55. Gli altri riferimenti del genere: c. acad. 1, 1, 1; 2, 1, 2; 2, 2, 5;
2, 9, 22; beata v. 4, 36; ord. 1, 2; sol. 1, 1, 5. Per non prolungare, finisco con una citazione:
―Liberati dall‘ombra del tuo essere fisico, ritorna in te stesso‖ (sol. 2, 19, 33). 268 Gn. c. man. 1, 18, 29. 269 Augustine and Corpus Spirituale, AugStud 38.2 (2007) 333-352. 270 FLETEREN, Augustine, p. 335. 271 FLETEREN, Augustine, pp. 335-336. 272 FLETEREN, Augustine, pp. 337-340. In proposito riporto un testo di Agostino:
―Inde iam erit consequens ut post mortem corporalem, quam debemus primo peccato,
82 Z. DJUROVIC
Nel secondo periodo Agostino non cambia ancora l‘idea che la visione e la
beatitudine si possono ottenere in questa vita; la carne non può nuocere all‘uomo
sub gratia. L‘uomo possederà un corpo spirituale, immortale ma non sprovvisto di
carne e di sangue, come testimoniano, secondo Van Fleteren, Contra Adimantum e
De fide et symbolo. Nell‘anno 394, a Cartagine, scrivendo Expositio quarumdam
propositionum ex epistola ad Romanos, per la prima volta dice che anche l‘uomo
sub gratia soffre l‘ostinazione forte da parte della carne, e che soltanto nella quarta
stagione, dopo la risurrezione, godrà della pace. Il corpo sarà angelico, etereo,
celeste, avrà le membra nella forma umana, ma il corpo del Cristo risorto non è
ancora il paradigma della risurrezione finale. Nel agon. il corpo risorto ancora non
possiede carne, ossa e sangue.273
Soltanto con il c. Faust. risorgono carne e ossa.274
Se il ripristino alla condizione originaria è il concetto chiave per la
soteriologia del primo Agostino, Van Fleteren conferma persino la tesi forte di
O‘Connell sulla caduta dell‘anima. Egli infatti afferma che per Agostino degli anni
386-387 la salvezza è ristretta alla sola anima. Secondo me l‘argumentum ex
silentio non significa che Agostino non era a conoscenza della credenza cristiana
nella risurrezione: ciò è assolutamente improbabile perché gli stessi manichei nelle
dispute si opponevano a questa dottrina, ma preferibilmente che Agostino univa
insieme la soteriologia cristiana con le dottrine neoplatoniche.
* * *
Trovo doveroso fare qualche osservazione per quanto riguarda i due testi
agostiniani che sono stati riportati spesso in questa analisi: Gn. c. man. 2, 8, 10 e
Gn. litt. 6, 20, 31. Per maggior chiarezza aggiungo anche civ. 13, 23, 3.275
Dunque:
tempore suo atque ordine suo hoc corpus restituatur pristinae stabilitati, quam non per se
habebit, sed per animam stabilitam in Deo‖ (vera rel. 12, 25). 273 FLETEREN, Augustine, pp. 340-344. 274 FLETEREN, Augustine, pp. 344-345. 275 A) Gn. c. man. 2, 8, 10: ―Nondum tamen spiritalem hominem debemus
intellegere, qui factus est in animam viventem, sed adhuc animalem. Tunc enim spiritalis
effectus est, cum in paradiso, hoc est in beata vita constitutus, praeceptum etiam perfectionis
accepit, ut verbo Dei consummaretur‖.
B) Gn. litt. 6, 20, 31: ―putaverunt prius quidem hominem fuisse corporis animalis;
sed dum in paradiso constitutus est, eum fuisse mutatum, sicut nos quoque resurrectione
mutabimur‖.
C) civ. 13, 23, 3: ―Non enim existimandum est eum prius, quam peccasset, spiritale
corpus habuisse et peccati merito in animale mutatum. Ut enim hoc putetur, parum
attenduntur tanti verba doctoris, qui ait: Si est corpus animale, est et spiritale; sicut scriptum
est: Factus est primus homo Adam in animam viventem (1Cor. 15, 44-45). Numquid hoc
INIZIO E FINE 83
A) Gn. c. man. 2, 8, 10 afferma che Adamo aveva un corpo animale, che
divenne spirituale quando egli fu collocato nel paradiso.
B) Gn. litt. 6, 20, 31 ripete questa affermazione negando però (Gn. litt. 6,
21, 32-24, 35) che Adamo fu trasformato in un essere spirituale dopo l‘entrata nel
paradiso.
C) civ. 13, 23, 3 afferma che Adamo non aveva il corpo spirituale mutato in
animale per colpa del peccato.
Tutte e tre tesi hanno in comune la domanda: Adamo aveva un corpo
spirituale? La A permette ciò, la B e la C lo negano. Dunque, le tre ipotesi
sostengono che il corpo di Adamo inizialmente fu naturale. Le tesi A e B parlano
della creazione articolata in due momenti: 1) creazione del corpo animale, 2)
trasformazione di questo corpo in spirituale con il collocamento nel paradiso.
L‘espressione effectus est (A) corrisponde a muto (B): l‘uomo naturale diventa
spirituale.
Tuttavia, l‘ipotesi A-B non è un‘escogitazione di Agostino ma è
un‘opinione assunta. Questa proviene dall‘interpretazione di 1Cor. 15, 44-45 che è
riportata in tutti e tre testi. Lo stesso Agostino si rammaricherà perché non ha
inteso esattamente il senso di 1Cor. 15, 44-45 quando scrisse Gn. c. man. 2, 8,
10.276
Invece, nelle tesi B e C, egli afferma che alcuni dei commentatori non
intendono bene la 1Cor. 15, 44-45. Per questa ragione ho ritenuto che la tesi A era
un po‘ campata in aria e non coincideva bene con il pensiero del nostro giovane
autore. Ciò nonostante, gli poteva andare bene l‘idea che un essere spirituale sia
caduto in un corpo terreno.277
Rimane comunque inspiegabile o superfluo (novacula Occami) il primo atto
creativo dove Dio porta ad esistenza un animale che in seguito diventi spirituale, e,
infine, di nuovo animale. Non saprei indicare gli scrittori che Agostino aveva letto.
La teoria della caduta di un essere spirituale richiamerebbe l‘ambito alessandrino,
ma qui ci manca l‘inizio dalla posizione animale; piuttosto vale il contrario, come
trapela pure dalla C. Che si tratti di una ben precisa lettura, lo prova il ripetuto
richiamo di Agostino all‘interpretazione della 1Cor. 15, 44-45 di questi autori, ma i
loro testi, come risulta dalle mie indagini, non esistono. Questa è la prima opzione.
post peccatum factum est, cum sit ista hominis prima conditio, de qua beatissimus Paulus ad
corpus animale monstrandum hoc testimonium legis assumpsit?‖. 276 Cf. retr. 1, 10, 3. 277 Per questo ritengo che l‘interpretazione di Cipriani, che qui si tratti di una
convinzione e non soltanto di un‘ipotesi, cioè che Agostino parlava della creazione in un
primo momento del corpo materiale che dopo diventa spirituale, sia legittima (cf. n. 160).
84 Z. DJUROVIC
L‘altra possibilità – anche se la ritengo meno probabile – è che Agostino
abbia identificato spirituale con immortale, un procedimento attestato dai testi dei
diversi autori che seguono il binomio paolino: corpo animale (corruttibile), corpo
spirituale (incorruttibile).278
In tale caso troveremmo gli autori che sostenevano la
creazione dell‘uomo naturale che più tardi diventa spirituale/immortale. Per
esempio, Teofilo di Alessandria, nella Lettera pasquale 96, c.18, dell‘anno 401.,
trascritta e diffusa da Girolamo tratta della creazione di Adamo animale che dopo
l‘insufflazione dello spirito di vita diventa anima vivente, id est, immortalem.279
L‘esempio più convincente, ma sempre non determinante, lo troviamo in
Ambrogio:
Vedi dunque che è preso colui che [Adamo animale] già esisteva; era infatti
nella terra in cui era stato plasmato. Lo prese dunque la potenza divina,
infondendogli sviluppo e crescita di virtù umana. Quindi lo pose nel
paradiso: questo perché si comprenda che l‘uomo è stato preso e come
ispirato dalla potenza divina (adprehendit ergo eum uirtus dei inspirans lo
processus et incrementa uirtutis. denique in paradiso eum conlocauit, ut
scias adprehensum quasi adflatum diuina esse uirtute).280
Sì, il testo ambrosiano parla dell‘uomo terreno che con collocamento nel
paradiso viene investito dalla potenza di Dio; ideologicamente rispecchia il
rapporto di Agostino, ma vi manca una concordanza indiscutibile.
1. 2. Il rapporto tra Dio e Adamo nel paradiso
Nella sua fase matura, Agostino difficilmente poteva accettare un paradiso
concepito solo in senso traslato, e non anche come figura di un‘altra realtà.281
Così
come l‘albero della vita era reale ma anche simbolo della sapienza, ossia indicava
che per mezzo di esso l‘uomo partecipava alla vita della vera Sapienza. Il corpo
animale non era abbandonato a se stesso ma era rinvigorito dal frutto dell‘albero
278 ORIGENE, princ. 2, 10, 1, GCS V, p. 175: ―E se è vero che i corpi risorgono, e
risorgono spirituali, non c‘è dubbio che essi risorgono dalla morte avendo deposto
corruttibilità e mortalità: altrimenti sarebbe vano che uno risorga dalla morte per morire una
seconda volta‖. Anche Ambrogio dichiara che il corpo spirituale è incorruttibile (cf. exp. Ev.
Lc. 4, 12, CSEL 32/4, p. 145). Cf. anche METODIO, res. 6, JAHN, pp. 66-67; RUFINO, apol. 1,
7, PL 21, 546b; AMBROSIASTER, comm. in Corint. I, PL 17, 269bc. 279 PL 22, 788. 280 parad. 3, 4, 24, CSEL 32/1, p. 280. 281 Gn. litt. 8, 5, 10.
INIZIO E FINE 85
della vita. Esso forniva il corpo di una sanità duratura, grazie ad un influsso
misterioso che lo conservava sano.282
Dunque, il mantenimento delle forze umane
non era dovuto semplicemente al cibo materiale, perché questo non potrebbe tenere
saldo un corpo naturale. Nello stesso modo l‘agricoltura è considerata in senso
figurativo: l‘uomo che non era ancora costretto ad un lavoro servile era felice
meditando sui valori spirituali.283
In realtà Dio lavorava e conservava l‘uomo in
persona (ipsum hominem operaretur Deus et custodiret):
Poiché, allo stesso modo che l‘uomo coltiva la terra non per far sì che sia
terra, ma per renderla con il suo lavoro tale da portar frutto, così Dio in un
modo più efficace coltiva l‘uomo, creato da lui stesso, perché possa essere
reso giusto, purché non si allontani da lui per superbia... Dio è il Bene
immutabile, l‘uomo al contrario è un essere mutevole non solo quanto
all‘anima ma anche quanto al corpo (Deus est incommutabile bonum, homo
autem et secundum animam et secundum corpus mutabilis res est); egli
quindi non può essere formato per essere giusto e felice se non si volgerà e
resterà stretto al Bene immutabile che è Dio.284
Non è infatti Dio che ha bisogno del lavoro umano, ma è l‘uomo che ha
bisogno della sua sovranità, affinché Egli lo coltivi e lo custodisca.285
Qui siamo nel cuore del pensiero agostiniano: non solo la conoscenza
umana è legata alla partecipazione al divino ma anche tutti gli altri elementi
282 Gn. litt. 8, 5, 11. A questo proposito Agostino scrive (Gn. litt. 11, 32, 42) che la
mortalità fu introdotta con la trasgressione. I progenitori ―persero la loro condizione
privilegiata conservata anche grazie al nutrimento dell‘albero della vita, che avrebbe potuto
preservarli dalle malattie e dal processo d‘invecchiamento. Nel loro corpo infatti – sebbene
fosse ancora un corpo naturale ma destinato a trasformarsi in seguito in uno stato più
perfetto – tuttavia nell‘alimento dell‘albero della vita veniva già simboleggiato il mistero
che si attua negli angeli grazie al nutrimento spirituale fornito dalla Sapienza. L‘albero della
vita era infatti il simbolo di quel nutrimento che nutre gli angeli e mediante la loro
partecipazione all‘eternità li preserva dalla corruzione‖. Quindi, neanche gli angeli sono
immortali secondo la loro natura. 283 Gn. litt. 8, 9, 18. 284 Gn. litt. 8, 10, 23. 285 Gn. litt. 8, 11, 24. ―È dunque Dio – che è immutabilmente buono – colui che
colloca e custodisce l‘uomo per renderlo e conservarlo buono. Da lui noi dobbiamo essere
continuamente fatti e continuamente resi perfetti, restando uniti a lui e rivolti verso di lui,
del quale la Scrittura dice: Bene è per me restare unito a Dio (Sal. 58, 10), e al quale viene
detto: Io conserverò la mia forza rivolto verso di te (Ef. 2, 10). Prese dunque Dio l‟uomo da
lui creato e lo mise nel paradiso per lavorarlo – cioè perché lavorasse in esso – e
custodirlo‖ (Gn. litt. 8, 12, 27).
86 Z. DJUROVIC
dell‘essere umano sono radicati in questo modello verticale. Agostino si muove
nelle contrapposizioni: creato-increato; pieno-vuoto, essere-non-essere;
indipendente-dipendente ecc. Dio è pienezza dell‘essere, è perfetto, integro. Egli
non si muove: è immutabile. L‘ente che si debba auto-riconoscere trova se stesso
nel riflesso che brilla dal volto divino. Si riconosce nell‘Altro. Per questo, fin
dall‘inizio era necessario che l‘uomo si nutrisse dall‘albero della vita.286
Ė vero che
l‘uomo poteva ―durare‖ o esistere come una pietra, ma esistere come un essere
consapevole senza volgersi a Dio non era possibile. Anche le sue azioni indicano
un‘interazione personale: il movimento dall‘uno è riconosciuto nell‘altro. Per
questa ragione l‘azione umana non può essere valutata in se stessa, cioè avere un
valore indipendente. Ma essa, come movimento verso l‘esterno, verso l‘Altro, deve
necessariamente avere la sua eco: fuori di se stessa viene confermata. A questo
proposito Agostino scrive:
L‘uomo non è un essere costituito in modo che, una volta creato, possa
compiere alcuna buona azione come se potesse farla da se stesso (ex seipso),
qualora venisse abbandonato dal suo Creatore. Tutta la sua azione buona
consiste invece nel volgersi verso il proprio Creatore e per opera di lui
divenire giusto, pio, saggio e sempre felice... L‘uomo dunque non deve
volgersi a Dio in modo che, una volta reso giusto, se ne allontani, ma in
modo da ricevere sempre la giustificazione da lui. Poiché proprio per il fatto
che non si allontana da Dio che non cessa di coltivarlo e custodirlo, viene
giustificato da lui che gli è presente, viene illuminato e reso felice finché
286 La chiave di comprensione del pensiero di Agostino sarebbe nella differenza
ontologica che egli fece tra il Creatore e la creatura. La natura divina è completa, al
contrario, quella della creatura è incompleta. L‘ordine richiede che le creature essendo
incomplete siano completate dall‘essere completo. Dio voleva, come pensa Agostino, che le
creature imperfette sarebbero state più perfette se fossero unite a Lui, essere perfettissimo,
ma esse anteponendosi a lui, scelsero di essere meno perfette. ―Questo è l‘iniziale
disfacimento, l‘iniziale impoverimento, l‘iniziale imperfezione di quell‘essere che non fu
creato per essere perfettissimo ma per beatificarsi nell‘essere perfettissimo e così ottenere la
felicità. Essendosi da lui distolto, non ha cessato di essere, ma è regredito nella perfezione e
per questo è divenuto infelice‖ (civ. 12, 6). Dunque, per la creatura l‘imperfezione è non
unirsi a Dio. ―Ma l‘imperfezione danneggia l‘essere e perciò si oppone all‘essere. Quindi
quello che non è unito a Dio differisce da quello che gli è unito non nell‘essere ma a causa
dell‘imperfezione... Allo stesso modo quando si dice che imperfezione della creatura
angelica è il non essere unita a Dio, si dichiara apertamente che l‘essere uniti a Dio è
formale al suo essere‖ (civ. 12, 3).
INIZIO E FINE 87
resta ubbidiente e sottomesso ai suoi precetti (eius sibi praesentia iustificatur,
et illuminatur, et beatificatur, operante et custodiente Deo).287
Il linguaggio di Agostino, oggi come ieri, potrebbe creare problemi di
comprensione: egli si serve di termini tecnici del diritto, che tuttavia possono
essere trasformati in ogni altro linguaggio. Inoltre non si devono ignorare altri
concetti che Agostino ripetutamente propone: l‘uomo è giustificato, ma pure
illuminato e beatificato. Ritengo che letture come quella di Baio non hanno in
Agostino alcun fondamento effettivo.288
Ho già messo in evidenza l‘importanza
della teoria della partecipazione in Agostino. Questa lettura potrebbe sembrare
stravagante, ma penso che tale impressione derivi da un approccio prevalentemente
―essenzialistico‖ della teologia occidentale dal XII secolo in poi. Di conseguenza,
ora si dubita della proposta di leggere i testi di Agostino in ottica
―personalistica‖.289
Per esempio, egli suggerisce che il rapporto con Dio era
stabilito dall‘interazione volontaria, in altre parole, dai due esseri coscienti:
287 Gn. litt. 8, 12, 25. 288 Agostino spesso sottolinea l‘idea di gratuità della grazia. La grazia non viene data
in ricompensa alle opere, ma viene conferita gratuitamente. I concetti di merito o di
ricompensa non sono compatibili con la nozione stessa di ―grazia‖. Innumerevoli volte
Agostino torna a ripetere le parole dell‘Apostolo Paolo: ma se è per grazia, allora non è per
le opere; altrimenti la grazia non è più grazia. Neanche la primitiva giustizia di Adamo era
autonoma, come scrive V. Grossi: ―Tuttavia, secondo s. Agostino, la vita eterna per Adamo,
se avesse perseverato, sarebbe stata ricompensa di merito; mentre a noi, redenti da Cristo, è
data per grazia. La vita eterna quindi, secondo Agostino, prima del peccato originale era
merces e non grazia, secondo la conclusione di Baio… In relazione al libero arbitrio
d‘Adamo che era sano, la vita eterna era merito. Ma in nessuno stato dell‘uomo, si può
meritare la vita eterna, senza la grazia… il Bellarmino infine, nella questione del merito per
la vita eterna, intuisce bene il principio di s. Agostino, che senza la grazia non esiste merito
buono per la vita eterna, sia prima che dopo il peccato originale‖ (Cf. V. GROSSI, Baio e
Bellarmino interpreti di s. Agostino nelle questioni del soprannaturale, SEA 3 (1968), pp.
223-226). 289 Tra i primi che cambiarono il procedimento in questo senso fu P. HENRY,
Augustine on Personality, SAugLS 1959. Quanto poco valeva la semplice esistenza, quella
secondo natura, non qualificata, non personale, l‘illustrano le seguenti frasi di Agostino:
―Chi invece, a motivo della beatitudine sempiterna e della pace perpetua promessa ai santi
dopo questa vita, ha intenzione di diventare cristiano, per non andare nel fuoco eterno con il
diavolo, ma per entrare nel regno eterno con Cristo, questi è realmente cristiano. Chi inoltre
col progredire giunga a possedere una tale disposizione d‘animo tanto da avere un amore per
Dio più grande del timore della gehenna, se anche Dio gli dicesse: Godi per sempre dei
piaceri della carne e pecca quanto puoi; non morrai, né sarai mandato nella gehenna, ma
semplicemente non sarai con me, rabbrividirebbe e si asterrebbe del tutto dal commettere
peccato, non già per non incorrere in ciò che temeva, ma per non offendere Colui che egli
tanto ama‖ (cat. rud. 17, 27).
88 Z. DJUROVIC
Così l‘uomo viene illuminato da Dio se Dio è presente a lui ma, se Dio è
assente, piomba subito nelle tenebre. Da Dio però ci si allontana non a causa
di distanze spaziali tra noi e lui, ma a causa dell‘avversione della volontà
umana che si volge via da lui.290
In questa sede vorrei mettere in rilievo un altro cambiamento operato da
Agostino rispetto alla sua prima elaborazione dell‘idea della partecipazione. In un
primo tempo egli parlava della comunicazione interiore tra Dio e Adamo. Si tratta
dell‘illuminazione della mente. Ma, in questo modo, Adamo sarebbe già deificato.
Se la mente umana fosse stata partecipe della mente divina, sarebbe stata
indissolubilmente unita con essa. Intuendo tale pericolo, il nostro autore ora
ridiscute l‘affermazione precedente: irrigabat eam fonte interiore, loquens in
intellectum eius.291
Richiamandosi a questa frase Agostino ricomincia con una
domanda:
290 Gn. litt. 8, 12, 26. 291 Gn. c. man. 2, 4, 5. L‘anima primordiale abita in paradiso, cioè in voluptate, in
gaudio (Gn. c. man. 2, 9, 12). La sua letizia è immediata, completa. Non c‘è nulla di
intermediario tra essa e Dio, essa è infatti l‘unica mediatrice. Essa è pensiero, l‘immagine di
Dio pensante. Pensiero e pensiero combaciano perfettamente. La sorgente interiore irrigava
la sua creatura invisibile (invisibilem creaturam); essa riceveva le parole dall‘acqua
sgorgante dalla sua propria sorgente, ossia dall‘intimità del proprio spirito (loquens in
intellectum eius). Non aveva bisogno di una parola pronunciata, o scritta, o del Vangelo, o
dell‘insomatizzazione della Sapienza. Le nubi (Gn. c. man. 2, 4, 5) sono spazialmente divise
dalla terra e la pioggia impiega tempo per arrivare alla superficie. Il pensiero, essendo
immateriale arriva subito a destinazione. La primordiale comunicazione si potrebbe
esprimere con il termine moderno di intuizione. Per conseguenza, il mondo sensibile non
aiuta in nulla l‘anima per la sua interazione con Dio. Il mondo sensibile può contribuire alla
contemplazione delle idee divine da parte dell‘anima soltanto nel caso dell‘uomo decaduto.
L‘anima ormai è accecata e sorda; ha bisogno di vedere la bontà del primo bene riflesso
nelle creature corporali e di sentire la voce di Dio per bocca di un profeta.
Ivi si riavvisa il pericolo di quello che JOHN D. ZIZIOULAS chiama the monist
ontology o ―l‘ontologia chiusa‖ che è conseguenza di una visione di Dio poco
individualizzante. Cf. il suo studio fondamentale: Being as Communion: Studies in
Personhood and the Church, NY 1985, pp. 67-78. Anche se il primo Agostino insiste che il
bene dell‘uomo e il vero uomo siano situati nella sua razionalità, e in tale modo ci trascina
quasi inevitabilmente nell‘individualismo, o solipsismo, come direbbe Zizioulas, dobbiamo
prendere atto che Agostino non identificava decisivamente l‘uomo con ratio; scriveva,
infatti: ―È certamente arduo problema quello del giovamento che ricevono i bimbi della
prima infanzia con l‘uso dei sacramenti. Per fede si deve ammettere che se ne ha un certo
giovamento. La ragione lo troverà, quando si renderà indispensabile la ricerca‖ (ord. 2, 36,
80).
INIZIO E FINE 89
Forse Dio parlò all‘uomo nell‘intimo dell‘anima sua, in un modo confacente
alla sua intelligenza (in mente secundum intellectum), in modo cioè che
l‘uomo capisse con la sua sapienza la volontà e il comando di Dio, senza
bisogno d‘alcun suono fisico o d‘alcuna immagine di realtà fisiche? Ma io
non credo, risponde immediatamente Agostino, che Dio parlasse così al
primo uomo, poiché il racconto della Scrittura ha tali caratteristiche da
indurci a credere piuttosto che Dio parlò all‘uomo come anche in seguito
parlò ai Patriarchi, ad Abramo, a Mosè, vale a dire prendendo un aspetto
corporeo (in aliqua specie corporali). Ecco perché i progenitori udirono la
voce di Dio che verso sera passeggiava nel paradiso e si nascosero.292
Dio comunica con gli esseri razionali in due modi: 1) mediante la propria
sostanza, 2) mediante una creatura. Mediante la propria sostanza parla alle nature
spirituali e intelligenti per illuminarle: gli esseri spirituali sono capaci d‘intendere
la sua parola che è nel Verbo. Agli altri esseri parla mediante una creatura sia
materiale sia spirituale.293
In questo modo Egli parlò ai progenitori, e nessuno, che
è nella fede cattolica – afferma Agostino – può dubitare di ciò.294
Questo
cambiamento del pensiero agostiniano non è stato condizionato soltanto da una
nuova lettura della Scrittura, ma anche da una visione filosofica radicalmente
cambiata. Agostino in fondo abbandonò il procedimento platonico.
L‘illuminazione interiore comporterebbe l‘unità, che non potrà mai essere
compromessa. Questa unione è riservata alla fine: non si trova all‘inizio. Il
rapporto tra Dio e i nostri progenitori, come con tutti gli altri uomini, era fin
dall‘inizio mediato. Quindi, tra Dio e l‘uomo c‘è qualcosa che li divide. Il terzo
elemento indica, senza ombra di dubbio, che tra loro non esisteva l‘unione.
L‘uomo era ―fuori‖ di Dio, anche se non in senso assoluto.295
Questo spiega bene
come la caduta dell‘uomo fosse possibile.
Per conoscere in breve le obiezioni da parte dei teologi ortodossi (ma sopratutto
mosse al primo Agostino, e non riconosciute come tali!), si veda il riassunto di G. E.
DEMACOPOULOS & A. PAPANIKOLAOU, Augustine and the Ortodox: „The West‟ in the East, in
Orthodox Readings. 292 Gn. litt. 8, 18, 37. 293 Gn. litt. 8, 27, 49. 294 Gn. litt. 8, 27, 50. 295 Riporto un brano (Gn. litt. 11, 33, 43) da cui si può evidenziare come il pensiero
di Agostino passi attraverso diversi percorsi: ―Iddio era forse solito in precedenza
conversare con loro [Adamo ed Eva] interiormente in modi esprimibili o piuttosto
inesprimibili, come parla anche agli angeli illuminando le loro menti con la sua verità
90 Z. DJUROVIC
1. 3. La caduta degli esseri intellettuali
Ora resta da esaminare un‘altra caduta, quella dell‘angelo, che comporta
forse problemi più gravi, perché l‘angelo appartiene alla classe degli esseri
razionali che dovrebbero godere della beatitudine completa, cioè non mediata.
Può sembrare strano che Agostino in primo luogo non si chieda cosa avesse
causato la caduta degli angeli, ma indaga quando avvenne la caduta: se all‘origine
stesso del mondo, ossia all‘inizio del tempo, o dopo qualche tempo, mentre gli
angeli ribelli erano ancora nella comunità degli angeli beati. Al perché si risponde
abbastanza facilmente, e su questo punto Agostino corregge la tesi (che già
abbiamo visto sopra) che il diavolo sia precipitato dal cielo a causa dell‘invidia nei
confronti dell‘uomo.296
L‘invidia è conseguenza della superbia, non la precede. La
superbia è l‘amore della propria eccellenza, ―amore egoistico‖, a causa del quale si
cerca il bene individuale e non quello comune. Perciò l‘amore perverso di se stessi
impedisce la comunione. L‘invidia invece è l‘odio della felicità altrui, e ha origine
nella superbia.297
Rimane da rispondere alla domanda più difficile: quando avvenne
esattamente la caduta del demonio? Agostino ritiene probabile che questa caduta
sia avvenuta all‘inizio della creazione:
Si può anche supporre non senza fondamento che il diavolo cadde a causa
della superbia all‘origine del tempo (ab initio temporis diabolum superbia
cecidisse) e che prima non ci fu alcun tempo in cui visse tranquillo e felice
immutabile, in cui la loro intelligenza conosce simultaneamente tutto ciò che avviene non
simultaneamente nel corso del tempo. Forse, dico, Dio parlava con loro allo stesso modo,
sebbene non partecipassero della Sapienza divina nella stessa misura che la partecipano gli
angeli, ma tuttavia nella misura consentita all‘uomo e in proporzione, quanto si voglia
minore ma sempre nella stessa maniera, Dio li visitava e conversava con loro‖. 296 Ireneo racconta dell‘angelo che, provando invidia perché l‘uomo era oggetto di
gratificazioni straordinarie, decise di sedurlo (demonstr. 16, SC 406, p. 104). In tal modo
coincidono la caduta dell‘angelo e quella dell‘uomo. Alcuni degli autori cristiani che
affermavano che la caduta dell‘angelo si deve all‘invidia sono: TERTULLIANO, patient. 5, 5-
6, PL 1, 1367; CIPRIANO, zelo. 4, PL 4, 641a; METODIO, res. 17, JAHN, p. 73; ZENONE, tract.
C, 16, 12, PL 11, 384a; AMBROGIO, parad. 12, 54, CSEL 32/1, p. 311; RUFINO IL SIRO, fide.
22, PL 21, 1139bc. Questi testi vengono ispirati da Sap. 2, 24: inuidia diaboli mors introiuit
in orbem terrarum. 297 Gn. litt. 11, 14, 18; 15, 19.
INIZIO E FINE 91
con gli angeli santi ma che si allontanò dal suo Creatore fin dall‘inizio della
sua creazione.298
Il problema è il seguente: l‘angelo godeva più o meno dell‘unione con Dio?
Se ne godeva, di conseguenza avrebbe dovuto esserne felice. Ma come potrebbe
esser felice un essere che non ha la sicurezza della sua stessa felicità? La sicurezza
proviene dalla conoscenza del proprio destino, e questo risulta dalla partecipazione
alla Sapienza divina. In questa comunione spariscono le frontiere temporali. Lo
spirito unito con Dio non ha dubbi o incertezze.299
Per questo, come dice Agostino,
alcuni hanno pensato che il diavolo non appartenesse agli angeli sublimi che sono
al di sopra dei cieli, ma a quelli che furono creati di poco inferiori ai primi e
destinati a funzioni particolari legati al nostro mondo. Gli angeli di questa
categoria avrebbero forse potuto provare attrazione per qualcosa che non è
indirizzato verso Dio, come nel caso del primo uomo.300
Quindi, Agostino propone
che Lucifero sia caduto immediatamente dopo essere stato creato301
perché non
vuol classificare gli angeli in gerarchie alte e basse, negando che le schiere
angeliche siano divise in classi, come invece avevano fatto i neoplatonici e i
298 Gn. litt. 11, 16, 21. 299 Discutendo quattro ipotesi sulla caduta degli angeli, Agostino afferma che ―nella
beatitudine celeste degli angeli santi non è incerta la loro vita eterna, e questa non sarà
incerta neppure per noi, conforme alla... grazia e alla promessa assolutamente fedele di Dio,
quando saremo uniti a loro dopo la risurrezione e la trasformazione del nostro corpo terreno
(post resurrectionem et istorum mutationem corporum)‖ (Gn. litt. 11, 26, 33).
Agostino, tormentato da tale quesito, si rivolgerà nell‘anno 404 (ep. 73, 3, 7) pure ad
Girolamo chiedendogli l‘opinione: ―Ma c‘è ancora un altro problema di cui non so farmi
alcuna idea chiara: se gli Angeli santi e beati hanno non solo la conoscenza di quel che
ciascuno di loro è attualmente ma pure la prescienza di quel che diverrà, com‘è stato mai
possibile al diavolo essere felice al tempo in cui era ancora buono, se prevedeva la sua colpa
futura e il suo eterno supplizio? Su questo problema vorrei sentire la tua opinione, se pure è
necessario averne un‘idea precisa‖. La risposta purtroppo non arriverà mai. 300 Gn. litt. 11, 17, 22. 301 Gn. litt. 11, 23, 30: ―Non si potrebbe dire che il diavolo cadde fin dalla sua
origine; egli infatti non poteva ‗cadere‘ se fosse stato creato cattivo; egli invece si allontanò
dalla luce della verità subito dopo essere stato creato, poiché era gonfio di superbia e
corrotto, avendo provato compiacimento del proprio potere. Ecco perché non poté godere la
dolcezza della vita beata e angelica, non perché non l‘avesse ricevuta e poi l‘avesse
disdegnata, ma perché se ne allontanò e la perse rifiutando di riceverla. Per questo motivo
non poté avere nemmeno la previsione della propria caduta (proinde nec sui casus praescius
esse potuit), poiché la sapienza è frutto del timore di Dio‖. Ancora in civ. 11, 13 Agostino
mantiene questa tesi, trovando appoggio nel NT, dove si afferma che dall‟inizio il diavolo
pecca (1Gn. 3, 8). Questo non va però interpretato in chiave manichea, come egli
ammonisce, cioè che dall‘inizio ci sono due principi distinti per natura.
92 Z. DJUROVIC
teologi cristiani influenzati da loro.302
Questa tesi sulla caduta immediata
dell‘angelo, e anche la più coerente tra quelle ipotizzabili, viene in seguito rifiutata
dallo stesso Agostino, sempre meno convinto del presupposto platonico che
l‘inizio sia uguale alla fine. Quindi, fin dall‘inizio esiste una distanza incolmabile
tra Dio e le sue creature. Ciò vale tanto per gli angeli quanto per gli uomini.
Di nuovo, Agostino si chiede quale poteva essere la felicità dell‘uomo nel
paradiso. Due sono le possibilità: o l‘uomo era incerto della sua felicità – e allora
come poteva essere veramente felice? – o la sua certezza si fondava su di una falsa
speranza, ed allora egli sarebbe stato stolto, il che è un chiaro segno della
condizione postlapsaria.303
Come soluzione viene proposta la gradazione degli stati
di beatitudine, i quali, nel caso degli angeli, non sono tuttavia accettati come un
modello utilizzabile per lo stesso chiarimento. In tal modo Adamo aveva una vita
felice solo in una certa misura, anche se non poteva prevedere la sua caduta:
Sebbene egli non fosse sicuro, in base a una vana presunzione, d‘una realtà
incerta come uno stolto, ma restando fedele in virtù della speranza, prima di
ottenere la vita in cui sarebbe stato del tutto sicuro della sua stessa vita
eterna, avrebbe potuto rallegrarsi, come dice la Scrittura, con tremore (Sal.
2, 11), e con questa gioia godere nel paradiso di una felicità molto maggiore
di quella che hanno i fedeli servi di Dio quaggiù sulla terra, anche se, in
qualche misura, minore di quella degli angeli santi (beatus esse, modo
quodam inferiore quam in illa vita aeterna) che vivono al di sopra dei cieli
nella vita eterna, ma nondimeno reale.304
Agostino introduce dunque l‘ignoranza non più come conseguenza del
peccato, ma come indicazione dell‘imperfezione, che non ha un valore etico.305
Questa soluzione viene più tardi, in uno tra i suoi magistrali libri, il De correptione
et gratia (426/7), ed è applicata alla caduta del diavolo. Per questa ragione la
discrepanza fra le due diverse soluzioni, proposte nel De Genesi ad litteram, viene
così superata:
302 La distinzione tra gli angeli superiori e inferiori che era sostenuta per es. da
MARIO VITTORINO, in Eph. 1, 21, PL 8, 1249c-1252d, Agostino ne ha rifiutato in retr. 1, 26,
2. 303 Gn. litt. 11, 18, 23. 304 Gn. litt. 11, 18, 24. 305 Nel lib. arb. 3, 71-74 (387/8 391/5) l‘ignoranza, ossia stultitia è vitium, non fa
parte dell‘originaria natura umana. Cf. O‘CONNELL, The Origin of the Soul, pp. 50-52.
INIZIO E FINE 93
Ma anche il diavolo e i suoi angeli erano beati prima che cadessero, e non
sapevano che sarebbero piombati nella miseria; c‘era tuttavia ancora qualcosa
che poteva essere aggiunta alla loro beatitudine, se per mezzo del libero
arbitrio fossero restati saldi nella verità fino a ricevere quella pienezza della
più alta beatitudine come premio della loro perseveranza. Cioè, dopo aver
avuto dallo Spirito Santo grande abbondanza dell‘amore di Dio, essi non
avrebbero più potuto assolutamente cadere e lo avrebbero saputo con assoluta
certezza. Non avevano questa pienezza della beatitudine, ma poiché
ignoravano la loro futura miseria, godevano di una beatitudine minore, ma
tuttavia senza difetto. Infatti se avessero conosciuto la loro futura caduta e la
condanna eterna, certo non avrebbero potuto essere beati perché il timore di
un male tanto grande li avrebbe ridotti ad essere infelici fin da allora.306
Tutto questo ci fa intendere che Agostino introdusse, per così dire, dalla
porta di servizio l‘idea di evoluzione in luogo della statica visione platonica.307
Lo
schema origeniano-evagriano: sta,sij - ki,nhsj - ge,nesij è lasciato da parte. Da
adesso in poi il primo posto è occupato dalla creazione, seguita dal movimento, che
a sua volta finisce nell‘immutabilità ossia immortalità.
2. L‟escatologia
2. 1. Il paradiso di Paolo
Nel dodicesimo libro del De Genesi ad litteram Agostino tratta il tema del
paradiso di cui parla l‘Apostolo Paolo, del paradiso che è situato al terzo cielo
306 corrept. 10, 27. Lo stesso si riferisce ad Adamo: ―Infatti egli non sarebbe potuto
essere beato neppure nel paradiso terrestre, anzi non avrebbe potuto nemmeno starci, lì dove
non si conviene essere infelici, se la prescienza della sua caduta con il timore di un male
tanto grande lo avesse afflitto‖ (corrept. 10, 28). Un‘altra testimonianza di questo
cambiamento del pensiero di Agostino lo troviamo in un‘opera che scrisse prima di corrept.
Si tratta dell‘Enchiridion ad Laurentium de fide et spe et caritate (422) 9, 28: ―Ma dopo
l‘atto di superbia di colui che fu trasformato in diavolo, commesso con complici di empietà,
tutti gli altri con pia obbedienza si unirono al Signore, ricevendo anche una scienza certa,
che non ebbero i primi, grazie alla quale poter essere sicuri di una saldezza eterna e
assolutamente incrollabile‖. 307 ROMANIDIS, Peccato, p. 185, n. 1 cita un brano dell‘Aquinate (summa Th. I, 94,
11) dove lui afferma che uno che contempla l‘essenza divina non può liberamente
distaccarsi da essa. Secondo Romanidis Tommaso volle correggere l‘idea agostiniana
dell‘inizio perfetto. È vero che il primo Agostino sosteneva un‘idea del genere, ma il
secondo l‘abbandonò, così che Tommaso, seguendo fedelmente Agostino conferma che
l‘unione escatologica sarà quella perfetta.
94 Z. DJUROVIC
(2Cor. 12, 2-4). Il terzo cielo è forse identico al paradiso?308
In realtà, non si chiede
se solamente il terzo cielo sia equivalente al paradiso, ma anche se vi siano altre
cose indicate con questo nome. Come possono queste diverse realtà essere una e
medesima cosa se, per esempio, il paradiso di Adamo fosse stato un luogo ricco
d‘alberi, e nessuno, eccetto i pittori surrealisti, avrebbe visto gli alberi che volano
attraverso il cielo? Inoltre non è chiaro ―neppure se lo stesso ‗terzo cielo‘ è da
considerarsi come un luogo materiale o forse come una condizione spirituale‖.309
Per questo Agostino prima indaga quale poteva essere la natura della percezione,
cioè quanti tipi di visione esistono. Sono passate in rassegna le visioni dei sogni,
quelle dell‘estasi, e quelle riferite dalla Scrittura.310
Ė difficile comprendere di quale natura fosse la visione dell‘Apostolo,
perché lui non dice come poté vedere quanto vide.311
Agostino prima dimostra che
il terzo cielo non può essere un simbolo di una realtà materiale, neppure sarebbe
un‘immagine spirituale, perché il terzo cielo non apparve a Paolo come immagine,
ma lo vide nella sua realtà e non come una figura.312
Vi sono, secondo lui, tre
specie di visioni: c‘è una ―visione corporea‖ (corporale), che è percepita dal corpo
ed è presentata ai sensi del corpo; una ―visione spirituale‖ (spiritale), che non è
corpo e tuttavia è qualcosa, spirito, e la figura simile ad un corpo assente; infine,
una ―visione intellettuale‖ (intellectuale), che proviene dall‘intelletto.313
Nelle
visioni corporee e spirituali si percepiscono delle immagini. Non è necessario che
queste visioni siano anche comprese. Per questo fatto anche la visione spirituale è
inferiore a quella intellettuale.314
Per esempio, Giuseppe, che comprese il
308 Gn. litt. 12, 1, 2. Agostino scrisse anche un breve ―libro‖ (così egli stesso chiama
questo suo opuscolo nelle retr. 2, 41) sulla visione di Dio oppure sulla natura del corpo
spirituale, che noi conosciamo come la lettera 147, dove tratta il tema della visione di Paolo
e quella di Mosè. 309 Ib. 310 Gn. litt. 12, 2, 2-5. 311 Cf. Gn. litt. 12, 3, 6. Nel paragrafo seguente (3, 7) si esprime così: ―Se dunque
egli sapeva che per mezzo del corpo non possono affatto vedersi le realtà spirituali né fuori
del corpo possono vedersi quelli corporali, per qual motivo non precisò in qual modo poté
vederle quando si riferisce proprio alle realtà vedute? Se, infatti, era sicuro che erano realtà
spirituali, perché non era ugualmente sicuro d‘averle viste fuori del corpo? Se invece sapeva
che erano realtà corporali, come mai non sapeva anche che non avrebbe potuto vederle se
non per mezzo del corpo? Perché dunque dubita se le vide con il corpo o fuori del corpo, se
non forse perché dubita ugualmente se quelle realtà fossero corpi o somiglianze di corpi?‖. 312 Cf. Gn. litt. 12, 4, 9-11; 12, 5, 14. 313 Gn. litt. 12, 6, 15. 7, 16. 314 Nel Gn. litt. 12, 8, 19 Agostino riporta la distinzione tra lo spirito e la mente
evidenziata in 1Cor. 14, 14: Se infatti pregherò in una lingua, il mio spirito prega ma la mia
intelligenza resta senza frutto.
INIZIO E FINE 95
significato delle sette spighe e delle sette vacche, fu più profeta del Faraone, che le
aveva viste in sogno (cf. Gen. 41, 1-32). Lo stesso vale per il dono delle lingue, che
richiede la sua spiegazione, l‘interpretazione delle figure.
[Quindi] è più profeta chi è dotato solo della capacità di comprenderle, ma
sommamente profeta è chi è superiore agli altri per il fatto di possedere
entrambe le doti: cioè non solo quella di vedere nello spirito le immagini
rappresentative degli oggetti materiali ma anche quella di comprenderle con
la vivacità dell‘intelligenza. Tale era Daniele.315
In questo consiste la differenza tra ―spirito‖ e ―anima intellettiva‖.316
Un‘altra ragione per cui la visione spirituale si trova posta in un gradino più in
basso rispetto a quella mentale è che essa può essere ingannevole. Lo spirito
umano può essere rapito fuori dei sensi come nel caso dell‘estasi, fenomeno
straordinario che può accadere mediante l‘unione con un altro spirito.317
Però,
l‘anima, non avendo la facoltà divinatoria in se stessa,318
può essere influenzata o
dallo spirito buono, sia angelico sia divino, o dall‘angelo malvagio,319
e solamente
grazie a uno speciale dono di Dio è capace di discernere il demonio che si
maschera da angelo di luce (2Cor. 11, 14) da quello buono (1Cor. 12, 10):
La visione intellettuale al contrario non inganna poiché o non la comprende
chi l‘interpreta diversamente da quello che è oppure, se la comprende, ne
scopre immediatamente la verità.320
315 Gn. litt. 12, 9, 20. 316 Ib. Agostino menziona le visioni del re Baldassarre e dell‘Apostolo Pietro che
dimostrano che la visione corporale è ordinata a quella spirituale e quest‘ultima a quella
intellettuale (cf. Gn. litt. 12, 11, 23-24). 317 Gn. litt. 12, 12, 26. 318 Gn. litt. 12, 13, 27: ―Alcuni – è vero – sostengono che l‘anima umana ha in se
stessa una facoltà divinatoria (animam humanam habere vim quamdam divinationis in
seipsa). Ma se è così, come mai l‘anima non è in grado di esercitarla ogni volta che lo
vuole?‖ Nello stesso tempo non si può negare che esiste nell‘uomo una natura spirituale in
cui si formano le immagini degli oggetti materiali (Gn. litt. 12, 23, 49). Vi sono poi altre
visioni, come quelle in sogno più frequenti e umane che traggono origine dal nostro spirito
in molte maniere o sono in qualche modo fornite allo spirito dal corpo a seconda che siano
disposti nel corpo o nella mente (Gn. litt. 12, 30, 58). 319 Gn. litt. 12, 13, 28. 17, 34. 26, 53. 320 Gn. litt. 12, 14, 29. 26, 52.
96 Z. DJUROVIC
Anche se nelle visioni spirituali il corpo ha un suo ruolo, esso non le
presenta, perché il corpo non ha il potere di formare alcunché di spirituale, ma può
solamente ostacolare una chiara visione. L‘errore non può risiedere nell‘anima ma
solamente in una disfunzione del corpo.321
La strutturazione gerarchica dell‘essere
riflette anche l‘ordine gerarchico delle visioni. La visione spirituale è superiore a
quella corporale; a sua volta la visione intellettuale è superiore a quella spirituale
(Praestantior est enim visio spiritalis quam corporalis, et rursus praestantior
intellectualis quam spiritalis). Infatti, non può esserci visione corporale senza
quella spirituale, perché nel momento in cui un oggetto materiale è percepito, si
produce anche nell‘anima qualcosa di simile all‘oggetto percepito. Non è infatti il
corpo ad avere le percezioni ma è l‘anima per mezzo del corpo. La visione
corporale è inferiore a quella spirituale ma tutte e due sono inferiori a quella
intellettuale.322
A questo punto è abbastanza difficile interpretare cosa Agostino intendesse
con ―visione intellettiva‖. Era una visione mistica, cioè apofatica, o una profonda
riflessione filosofica che si muoveva intorno a concetti puri, come per esempio
intenderà Hegel? Sarebbe preferibile intendere l‘obiettivo agostiniano secondo la
prima ipotesi perché questa aveva i suoi sostenitori tra i primi mistici cristiani –
che si possono chiamare ―mistici inconsapevoli‖ o ―mistici casuali‖ – e fra i
filosofi neoplatonici; tale mistica, tuttavia, non deve mai essere divisa
rigorosamente da quella filosofica. Esse, infatti, non si escludono a vicenda – o,
almeno, Agostino non le separava del tutto – e si deve sottolineare la esclusività
dell‘esperienza mistica.323
Egli si esprime nel modo seguente:
Così nelle visioni intellettuali (intellectualium visorum) alcune cose sono
viste nella stessa anima, come, per esempio, le virtù sia quelle destinate a
rimanere come la pietà, sia quelle utili in questa vita ma destinate a cessare,
321 Gn. litt. 12, 20, 42-43. 322 Gn. litt. 12, 24, 51. 323 Porfirio descrive l‘esperienza mistica di Plotino: ―Egli era sempre vigilante e la
sua anima era pura e sempre anelante al divino, che amava con tutto il suo cuore. Egli fece
di tutto per liberarsi e per fuggire ai flutti amari di questa vita avida di sangue‘. E così
specialmente per mezzo di questa luce demoniaca che sale col pensiero sino al primo Dio
che è al di là, seguendo la via additata da Platone nel Simposio, egli contemplò quel Dio che
non ha né forma né essenza, poiché si trova sopra l‘Intelligenza e l‘intelligibile. A questo
Dio, lo confesso, io Porfirio, mi sono accostato e con esso mi sono unito una sola volta: ed
ora io ho sessantotto anni. A Plotino apparve la visione del fine vicino. Questo fine e questo
scopo era per lui l‘unione intima con Dio che è sopra tutte le cose. Finché io fui con lui, egli
raggiunse questo fine quattro volte con un atto ineffabile e non potenzialmente‖ (vita plot.
23, HENRY/SCHWYZER I, p. 34).
INIZIO E FINE 97
come la fede, grazie alla quale crediamo le realtà che ancora non vediamo,
come anche la speranza per cui aspettiamo con pazienza i beni futuri, e come
la pazienza con cui sopportiamo tutte le avversità finché non arriveremo alla
mèta dei nostri desideri. Una cosa diversa è però la Luce, dalla quale è
illuminata l‘anima (illustratur anima) perché possa vedere, comprendendole
conforme alla verità, le cose sia in se stessa sia in questa Luce. Questa Luce
infatti è Dio stesso, mentre l‘anima è una creatura la quale, benché razionale
e intellettuale, fatta ad immagine di lui, quando si sforza di contemplare
quella Luce, batte le palpebre a causa della sua debolezza e non riesce a
vederla interamente. Eppure è per mezzo della Luce ch‘essa comprende ogni
cosa per quanto ne è capace. Quando dunque l‘anima è rapita là e, per essere
stata sottratta ai sensi carnali, è resa presente in modo più distinto di fronte a
quella visione – non per il fatto d‘esserle più vicina nello spazio fisico, ma
per un certo modo che è proprio della sua natura – e al di sopra di sé vede la
Luce, mediante la cui illuminazione vede tutto ciò che vede anche in sé con
l‘intelletto (in se intellegendo videt).324
Ciò fa intendere che la visione intellettuale non è prodotta da un sforzo
puramente naturale. Nella visione intellettuale la verità appare trasparente
senz‘alcuna immagine corporale e non è offuscata da nessuna nube di false
opinioni:
lì le virtù dell‘anima non sono più penose né fastidiose; lì la concupiscenza
non è più frenata con lo sforzo della temperanza, l‘avversità non è più
tollerata con la fortezza, l‘iniquità non è più punita con la giustizia, il male
non è più evitato con la prudenza. Lì l‘unica e perfetta virtù è amare ciò che
si vede, e la somma felicità avere ciò che si ama (Una ibi et tota virtus est
amare quod videas, et summa felicitas habere quod amas). Lì infatti la
felicità si beve alla sua stessa sorgente dalla quale si sparge per la nostra vita
qualche spruzzo al fine di vivere con temperanza, con fortezza, con giustizia
e prudenza tra le prove di questo mondo... Lì si vede la gloria del Signore,
non mediante una visione simbolica o corporale (non per visionem
significantem, sive corporalem), come fu vista sul monte Sinai (cf. Es. 19,
18), né mediante una visione spirituale come la vide Isaia (cf. Is. 6, 1) o
Giovanni nell‘Apocalisse (cf. 1, 10 ss.), ma per mezzo d‘una visione diretta,
nella misura ch‘è capace di percepirla l‘anima umana mediante la grazia di
324 Gn. litt. 12, 31, 59.
98 Z. DJUROVIC
Dio che la eleva a sé (sed per speciem, non per aenigmata, quantum eam
capere mens humana potest, secundum assumentis Dei gratiam), per parlare
da bocca a bocca a colui ch‘egli ha reso degno d‘un siffatto colloquio
parlandogli non con la bocca del corpo ma con la bocca della mente.325
La filosofia invece opera con i concetti che in fondo sono le parole, e il suo
ambito rimane quasi sempre dentro la potenzialità naturale; rimane sempre richiusa
in sé. La visione intellettuale è il risultato dell‘interazione tra Dio e la creatura
razionale. La grazia dell‘intervento divino è al primo posto; di fatto, non esiste
nella natura nessuna capacità di riceverla. Se ci fosse, non sarebbe più una grazia,
ma l‘attuazione di una potenzialità naturale. Il colloquio con Dio non si può
realizzare secondo la potenzialità delle cose che appartiene alle creature in modo
naturale. Se fosse un effetto consequenziale alla natura, la divinizzazione non
sarebbe più un dono di Dio.326
Agostino riporta la visione di Mosè, che desiderava vedere Dio non come
l‘aveva visto sul monte, ma nella sua essenza divina, per quanto può percepirla una
creatura intellettuale. Mosè chiede a Dio di mostrarsi a lui così che lo possa vedere
chiaramente (Es. 33, 13), sebbene prima si legga che Dio parlava a Mosè faccia a
faccia (Es. 11, 17). Mosè, dunque, desidera vedere ciò che non poteva vedere, la
gloria divina (Es. 33, 12-13). Dio risponde a Mosè che egli non può vedere il suo
volto e restare in vita, ma può vedere un luogo vicino a lui quando passerà la sua
gloria, lo vedrà di spalle, ma non vedrà il suo volto (Es. 33, 21-23).
La Scrittura però nei passi seguenti non racconta che questa visione sia
avvenuta anche in modo che Mosè vedesse Dio in persona e ciò dimostra
assai chiaramente che le espressioni della Scrittura sono soltanto figurate per
325 Gn. litt. 12, 26, 54. 326 Agostino, come anche i Padri Orientali conosce il concetto della divinizzazione.
Infatti, egli afferma che il Figlio di Dio incarnandosi, cioè fattosi partecipe della nostra
mortalità, ci ha reso partecipi della sua divinità (trin. 4, 2, 4). ―Se in virtù della parola di Dio
gli uomini diventano dèi, dèi per partecipazione, non sarà Dio colui del quale essi sono
partecipi? Se le luci illuminate sono dèi, non sarà Dio la luce che illumina? Se al calore di
questo fuoco salutare gli uomini diventano dèi, non sarà Dio la sorgente del loro calore?
Avvicinati alla luce e sarai illuminato e annoverato tra i figli di Dio; se ti allontani dalla
luce, entri nell‘oscurità e ti avvolgono le tenebre‖ (Io. ev. tr. 48, 9). Nell‘ench. 15, 56 scrive
che la Chiesa è costituita di dèi creati da Dio increato. Il vero Dio rende dèi i suoi adoratori
(civ. 10, 1, 3). Se la creatura si rende fine a se stessa, piomba nel non essere. Essa diventa
dio unendosi mediante l‘obbedienza al vero e sommo principio. ―Gli dèi creati non sono dèi
per una loro verità essenziale ma nella partecipazione al Dio vero (Dii enim creati non sua
veritate, sed Dei veri participatione sunt dii)‖(civ. 14, 13, 2).
INIZIO E FINE 99
simboleggiare la Chiesa. È infatti la Chiesa il luogo vicino al Signore poiché
è il suo tempio ed è costruita sulla roccia.327
Mosè tuttavia ha veduto la gloria di Dio come è scritto nel libro dei Numeri:
Se ci sarà un vostro profeta, io, il Signore, mi farò conoscere da lui in visione e gli
parlerò per mezzo di sogni. Non così farò con il mio servo Mosè, che è l‟uomo di
fiducia in tutta la mia casa: io parlerò con lui da bocca a bocca in visione diretta e
non per enigmi ed egli ha visto la gloria del Signore (Nm. 12, 6-8).
Ė chiaro che queste espressioni non indicano qualcosa di corporeo, poiché
Dio parlava con Mosè faccia a faccia, a tu per tu. In quella maniera Dio parlava in
modo di gran lunga più arcano:
in un colloquio ineffabile in cui nessuno potrà vederlo mentre vive in questa
vita mortale nei sensi del corpo, ma è concesso solo a chi in certo qual modo
muore a questa vita dopo aver abbandonato interamente il corpo oppure
quando si estrania e viene rapito fuori dei sensi del corpo al punto di non
sapere più, con ragione, come dice l‘Apostolo, se si trova ancora nel suo
corpo o fuori del corpo.328
327 Gn. litt. 12, 27, 55. 328 Ib. Vedere il viso di Dio non significa possederlo. Dio non può mai essere un
oggetto della nostra ―indagine‖. Proprio per questo Louth aveva messo Agostino sotto
sospetto, dicendo che lui ha fatto dalla Trinità un oggetto di speculazione (Love and the
Trinity, pp. 13-15). Agostino invece afferma esplicitamente (nella lettera 147 intitolata: La
visione di Dio) che: ―Non che alcuno abbia potuto o possa mai abbracciare Dio nella sua
pienezza, non solo con gli occhi del corpo, ma con la mente stessa‖ (ep. 147, 8, 21).
Agostino, spiegando il pensiero di Ambrogio sulla futura visione di Dio (exp. Ev. Lc. 1, 24-
27, CSEL 32/4, pp. 25-28), nega che questa contemplazione possa partire dall‘essere creato;
quindi esso è ―oggetto‖ e non Dio. Soltanto i puri di cuore, vedranno Dio (Mt. 5, 8). È Dio
colui che si rivela alla sua creatura. Gli empi e i demoni non potranno mai vedere Dio
perché questa visione manifesta la comunione amorosa con Lui. Ironizzando sull‘opinione
contraria, Agostino scrive: ―Sarei assai curioso di sapere se coloro che credono che gli empi
vedranno Dio e che Dio è stato visto dal diavolo, si spingano fino ad asserire che essi sono
anche puri di cuore e che vanno in cerca della pace con tutti e della santità‖! (ep. 147, 5, 15).
Infine, Agostino esprime il suo disdegno verso coloro che di Dio fanno la sua proprietà,
interpretando le parole dell‘Apostolo: Affinché siate capaci di conoscere anche l‟amore di
Dio, che sorpassa ogni comprensione, sicché siate ripieni di tutta la pienezza di Dio (Ef. 3,
19), nel senso che noi saremo in tutto e per tutto uguali a Dio. ―Come potremo essere ripieni
di tutta la pienezza di Dio, dicono tali esegeti, se avremo qualche cosa di meno di Dio e
saremo inferiori a Lui in qualche cosa? Ma poiché – soggiungono essi – ne saremo ripieni,
senza dubbio saremo uguali a Dio. Tu senti avversione e riprovazione per quest‘errore
dell‘intelligenza umana; lo so, e fai bene! (ep. 147, 15, 36)... Beati infatti i puri di cuore,
poiché vedranno Dio non quando apparirà ad essi come un corpo da qualche luogo dello
100 Z. DJUROVIC
Nella terza specie di visione che Paolo chiama ―terzo cielo‖, la gloria di Dio
è vista da coloro che hanno i cuori purificati, perché la Scrittura dice: Beati i puri
di cuore perché vedranno Dio (Mt. 5, 8), non per mezzo di qualche simbolo, ma
faccia a faccia (cf. 1Cor. 13, 12),
o – come dice la Scrittura a proposito di Mosè – da bocca a bocca, cioè
mediante una visione dell‘essenza di Dio (per speciem scilicet qua est Deus
quidquid est) sia pur nella misura quanto si voglia limitata di cui è capace di
percepirla l‘anima umana, che ha una natura diversa da quella di Dio, anche
se purificata da ogni sozzura terrestre ed estraniata da tutti i sensi del corpo e
rapita fuori d‘ogni immaginazione corporale. Lontani da Dio noi siamo in
esilio, appesantiti dal peso [del corpo] mortale e corruttibile per tutto il tempo
in cui camminiamo nella fede e non ancora nella visione (cf. 2Cor. 5, 6-7),
anche quando in questo mondo noi viviamo santamente... Dio al grande
Apostolo... volle mostrare la vita in cui dovremo vivere in eterno dopo questa
vita terrena. E perché non dovrebbe chiamarsi ‗paradiso‘ quello, senza
confonderlo con quello in cui visse corporalmente Adamo tra alberi fronzuti
e carichi di frutti? Poiché anche la Chiesa che ci raduna nel seno della carità è
chiamata paradiso con alberi carichi di frutti (Ct. 4, 13). Ma questa
espressione ha un senso figurato per il fatto che il paradiso, ove visse
realmente Adamo, era simbolo della Chiesa mediante una figura di ciò che
doveva venire... Potremo forse pensare che il paradiso sensibile, in cui visse
Adamo con il suo corpo, era il simbolo non solo della vita che i fedeli servi di
Dio trascorrono quaggiù nella Chiesa, ma anche della vita che dopo questa
durerà in eterno. Così Gerusalemme... è simbolo della Gerusalemme celeste,
che è la nostra madre eterna nei cieli. Quest‘ultimo senso... può applicarsi
anche agli stessi angeli santi mediante la Chiesa della multiforme sapienza di
Dio (multiformis sapientiae Dei, cf. Ef. 3, 10), con i quali dopo questo
pellegrinaggio terrestre dobbiamo vivere senza alcuna pena e senza fine.329
spazio, ma quando si recherà da loro e fisserà in loro la sua dimora, poiché in tal modo
saranno ripieni di tutta la pienezza di Dio, non diventando anch‘essi Dio in tutta la sua
pienezza, ma diventando perfettamente pieni di Dio‖ (ep. 147, 23, 53). Agostino manterrà la
distinzione tra la creatura e il Creatore anche dopo la risurrezione: ―Anche se avessimo il
cuore del tutto puro e l‘anima del tutto limpida e fossimo già uguali agli angeli santi,
sicuramente non conosceremmo l‘essenza di Dio com‘essa conosce se medesima (non
utique nobis ita nota esset divina substantia sicut ipsa sibi)‖ (Gn. litt. 4, 6, 13). 329 Gn. litt. 12, 28, 56.
INIZIO E FINE 101
Qui la speculazione agostiniana finisce. Egli si accontenta di stabilire i punti
di riferimento e non vuole entrare nella minuziosa classificazione; afferma che non
sa se ci siano altri cieli oltre il terzo e altri tipi di visione.330
Il paradiso è qui un
termine generico che indica di volta in volta il paradiso di Adamo, la Chiesa, la
Gerusalemme celeste, il terzo cielo e lo stato dopo la resurrezione.
2. 2. La resurrezione dei corpi
Si pone un‘ulteriore domanda: dove va l‘anima all‘uscita dal corpo?
L‘anima, come afferma Agostino, non può essere trasportata in un luogo materiale
se non con un ―corpo‖, oppure non è portata in nessun luogo materiale. Essendo
immateriale essa non può partecipare alle cose materiali. Ma anche gli oggetti
solamente somiglianti a cose materiali sono reali, producendo gioia o dolore
spirituale. Ciò avviene nei sogni, dove si verifica una grande differenza tra gioia e
incubo. Secondo Agostino, l‘inferno esiste, ma la sua natura è spirituale, non
materiale.331
La convinzione che l‘anima sia un‘entità indipendente dal corpo
spinse Agostino a presupporre che essa potesse partecipare alla felicità o alla
miseria dopo la morte. Lo stato di beatitudine si chiama ―seno di Abramo‖,
quell‘altro ―inferno‖. Agostino rifiuta l‘opinione che i santi veterotestamentari
riposino nell‘inferno, cioè nello Sheol, non trovando un passo delle Scritture in cui
il termine ―inferno‖ sia preso in senso positivo.332
D‘altra parte, si trova una
330 Gn. litt. 12, 29, 57: ―Può anche darsi che qualcuno sostenga o dimostri, se ne è
capace, che anche nelle visioni spirituali o intellettuali vi siano molti gradi... Ora, comunque
stiano le cose e vengano interpretate e qualunque sia, tra le diverse opinioni, quella che a
ciascuno piacerà adottare, io fino a questo momento non posso conoscere o mostrare se non
queste tre specie di rappresentazioni d‘oggetti visti in sogno o di visioni e cioè: quelle
percepite dal corpo, dallo spirito e dall‘intelligenza. Ma stabilire quale sia il numero e i gradi
di differenza di ciascuna specie di visioni e determinare il relativo grado di superiorità di
ciascuna di esse rispetto alle altre confesso d‘ignorarlo‖. 331 Gn. litt. 12, 32, 60. I tormenti infernali consistono nella tristezza che prova
l‘anima (Gn. litt. 12, 33, 64). L‘inferno in latino si chiama così poiché è situato sotto terra.
Come i corpi più pesanti sono più in basso, così si trovano più in basso gli spiriti più tristi.
―Ecco perché si dice che anche nella lingua greca l‘etimologia del nome con cui è denotato
l‘inferno esprime il significato di ciò che non ha nulla di piacevole‖ (Gn. litt. 12, 34, 66).
Ade ({Adhj) è nome di sconosciuta origine. Non si può sapere se forse proviene da
―dispiacevole‖ (a privativo ed h`du,j, piacevole), come vuole Agostino o da ―invisibile‖ (a privativo e tema ivd, o`ra,w, vedo). Con questo nome era indicato originariamente, nella
mitologia greca, il dio dei morti. 332 Agostino qui ed anche nella lettera ad Evodio (ep. 164) critica l‘opinione di
Girolamo che interpretando Qo. 3, 18, afferma che l‘Ecclesiaste non dice che l‘anima muore
insieme con il corpo, ma che prima della venuta finale di Cristo tutti scendono agli Inferi,
102 Z. DJUROVIC
testimonianza secondo la quale il ―seno di Abramo‖ è inteso in senso buono.333
Si
può dunque chiamare ―paradiso‖ anche il seno di Abramo in cui non ci sarà più
alcuna tentazione ma un beato riposo.334
Per questo Cristo promise al buon ladrone
(Lc. 23, 43) non l‘inferno, ma il seno di Abramo –
oppure promise il paradiso, sia ch‘esso si trovi nel terzo cielo o in qualsiasi
altro luogo in cui fu rapito l‘Apostolo dopo essere stato al terzo cielo, se pur
è vero che l‘unica dimora, in cui sono le anime dei beati, non è l‘unica e
medesima cosa denominata con nomi diversi (si tamen non aliquid unum est
diversis nominibus appellatum).335
Agostino era costretto a non ammettere la presenza delle anime giuste nello
Sheol perché sosteneva l‘idea dell‘immortalità naturale dell‘anima, l‘idea ereditata
dal platonismo, ma ormai impadronitasi della cultura cristiana, secondo la quale
l‘anima, essendo un‘entità autonoma, mantiene stabili tutte le sue funzioni, esclusa
quella di vivificare il corpo. Di conseguenza, essa può godere la felicità paradisiaca
valendosi della domanda successiva (3, 21): Chi sa se il soffio vitale dell‟uomo salga in alto
e se quello della bestia scenda in basso nella terra?: ―Si autem videtur haec esse distantia,
quod spiritus hominis ascendat in caelum, et spiritus pecoris descendat in terram, quo istud
certo auctore cognovimus? Quis potest nosse, utrum verum an falsum sit quod speratur? Hoc
autem dicit, non quod animam putet perire cum corpore, vel unum bestiis et homini
praeparari locum, sed quod ante adventum Christi omnia ad inferos pariter ducerentur... non
inter pecudes et hominem secundum animae dignitatem nihil interesse contendit, sed
adjiciendo quis, difficultatem rei voluit demonstrare... Inter homines igitur et bestias haec
sola est differentia, quod spiritus hominis ascendit in caelum, et spiritus jumenti descendit in
terram, et cum carne dissolvitur: si tamen hujus rei vir aliquis Ecclesiasticus et disciplinis
caelestibus eruditus, et quasi dubiae rei certus assertor sit‖ (in Eccl. PL 23, 1041b-1042c).
Vedi anche M. SIMONETTI, L‟interpretazione patristica dell‟Ecclesiaste, in La bibbia nei
Padri della Chiesa, a cura di M. NALDINI, Bologna 1999, p. 121-124). Per Girolamo Sheol
ebraico è lo stesso Inferno greco, perché l‘AT non parla di un posto dove felicemente
riposano le anime. Pian piano il demonio veterotestamentario assume anche il nome di
Beelzebub (signore delle mosche), una divinità Fenicia, e Hinnom (Gehenna) diviene il
nome dell‘Inferno al posto di Sheol (posto dei morti sottoterra). Hinnom era il nome del
posto dove veniva adorato Moloch, dove in una fornace ardente venivano sacrificati uomini.
L‘inferno passa, dunque, da semplice luogo ―sottoterra‖ a fornace ardente dove i malvagi
soffrono bruciando. 333 Gn. litt. 12, 33, 63-64. La denominazione fatta da Gesù (cf. Lc. 16, 22) ebbe
fortuna in un testo che oggi attribuiamo ad Ippolito (Fozio lo ascriveva a Giuseppe Flavio, e
altri a Caio, presbitero romano, Ireneo o Giustino), che la riprende alla lettera: i giusti
riposano nel seno di Abramo aspettando la resurrezione dei corpi. Là sono divisi da coloro
che subiscono le pene infernali (or. c. Graec. 2-3, PG, 800a-801c). 334 Gn. litt. 12, 34, 65. 335 Gn. litt. 12, 34, 66.
INIZIO E FINE 103
oppure soffrire dei tormenti infernali. Però, secondo il Qoelet, tutti, senza
eccezione, scendono nello Sheol. Là non vi sono pensieri né azioni per una ragione
piuttosto semplice: sono morti. Allo stesso modo muoiono il saggio e lo stolto (Qo.
2, 16). Ė meglio essere un cane vivo che un leone morto, perché il vivo sa che
morirà, ma il morto non sa nulla (cf. Qo. 9, 4-5; gli altri versetti di ambigua
intelligibilità sarebbero: 3, 19-20; 5, 14; 8, 15; 11, 8).336
Gli ebrei non avevano la
dottrina dell‘immortalità dell‘anima,337
perciò non credevano nell‘immortalità
336 Sulla difficoltà dei primi interpreti cristiani (Gregorio Nisseno, Girolamo etc.) di
spiegare le chiare affermazioni di Qoelet che l‘anima muore con il corpo, si veda il mio
saggio: Ranohrišćanska Paideia, Teološki pogledi 1-4 (1995) 121-177. Qoelet è un
osservatore insolito della realtà e non si lascia sedurre dalle soluzioni facili. Il problema
della morte è sempre aperto. Il Qoelet non lo chiude richiamandosi, come qualcuno potrebbe
aspettare, a Dio. La morte rimane morte, nonostante la presenza di Dio. È inutile che l‘uomo
si occupi delle cose che lo oltrepassano. Per come i commentatori cristiani superavano le
difficoltà dall‘Ecclesiaste (cf. SIMONETTI, L‟interpretazione patristica dell‟Ecclesiaste).
Secondo Origene Ecclesiaste ci insegna che le cose corruttibili si debbano disprezzare per
elevarsi alle realtà invisibili ed eterne. Origene usa il metodo allegorico e interpreta questo
libro in chiave cristologica (SIMONETTI, L‟interpretazione, pp. 110-112). Lo stesso
incontriamo in Dionigi d‘Alessandria e Didimo (ib. pp. 115-120). La Metaphr. di Gregorio
Taumaturgo è una parafrasi molto libera che tende ad eliminare le difficoltà difficilmente
armonizzabili con la dottrina o la morale cristiane, ―generalizzando la componente
sapienziale... e perciò piegando ad essa anche i passi di significato nuovo e polemico‖ (ib. p.
113). Così il Taumaturgo afferma che gli avversari dicono e non Qohelet, che un uguale
destino attende uomini e bestie (ib. p. 114). Gregorio di Nissa (in eccl. 5) interpretò il testo
fino a 3, 13 e si fermò, senza spiegare il motivo (ib. p. 116). Dall‘ambito Antiocheno
abbiamo un commento dello Pseudo-Crisostomo, che o spiritosamente interpreta Qo. 3, 21:
―Dice così a proposito di costoro che sono bestie‖ oppure, a proposito 4, 2 nella maniera del
Taumaturgo: ―Questo non è il giudizio suo ma di una mente turbata (depressa), perché
quando siamo preda dello scoraggiamento diciamo tante cose che non bisogna considerare
come verità di fede‖ (ib. p. 122). 337 Gli ebrei credevano nell‘immortalità attraverso la discendenza. Però
mantenevano anche la più antica idea, almeno a livello conscio, dell‘immortalità per mezzo
del nome celebre che rimarrà per sempre impresso nella memoria dei discendenti. L‘essere
viene equiparato al nome, e viceversa, non avere nome significa non esistere (cf. M. VIŠIĆ,
Zakonici drevne Mesopotamije, Beograd 1985, p. 29). Dio promise ad Abramo l‘immortalità
attraverso la prole e il grande nome (cf. Gen. 12, 1-3). Anche il Siracide 41, 1-4 e 11-13
sostiene tale idea. In questa sede non intendo entrare nella polemica se l‘AT credeva
nell‘immortalità dell‘anima o no, accenno solamente al fatto che condivido in linea generale
le idee espresse da O. CULLMANN, Immortality of the Soul or Resurrection of the Dead? NY
1964: ―Since Neoplatonism was the prevailing spiritual philosophy during the formative
period of Christian theology, it is not surprising that many of the Fathers identified the
Christian doctrine of eternal life with Platonic immortality… In the Fifth Lateran Council
(1512-17) the Roman church indeed proclaimed it to be an official dogma of the church. The
Reformers were content with the ancient creeds which teach the resurrection of the body,
not the immortality of the soul‖. Basta citare la testimonianza di Giuseppe Flavio che scrisse
104 Z. DJUROVIC
individuale, ma in una immortalità collettiva. La soluzione del problema della
morte l‘aspettavano dalla storia, come ha spiegato Berdjaev.338
Al contrario, i
greci, di fronte a questo tormentato dilemma inventarono l‘insegnamento
dell‘immortalità dell‘anima.339
I farisei accolsero la resurrezione dei corpi come
soluzione ortodossa, sebbene questa idea potesse avere origine straniera. Essa trova
la sua fondatezza nel fatto che in sé è pienamente coerente. L‘anima non può
esistere senza il corpo. Quindi, un ritorno alla vita corporale è l‘unica soluzione
positiva.
Agostino, erede della menzionata convinzione platonica, doveva cercare la
spiegazione in un‘altra direzione. Se la beatitudine finale significa partecipare alle
realtà incorporee, perché Dio è immateriale, che bisogno c‘è del corpo? Egli si
chiede apertamente:
Ma che bisogno hanno gli spiriti dei defunti di riprendere il proprio corpo
nella risurrezione, se possono avere la suprema felicità senza il loro corpo? È
un‘obiezione che potrebbe turbare qualcuno ma per verità è un problema
troppo difficile a essere trattato in modo esauriente in questo libro.340
Riuscire ad armonizzare la soluzione greca con quella giudaica
probabilmente non è possibile. Ė una semplice scusa da parte di Agostino
l‘affermazione che il libro dovesse avere una dimensione ragionevole. La riunione
con il corpo è spiegata da Agostino, sempre con un ―forse‖, attraverso l‘appetitus
dell‘anima verso il corpo e con intenti pedagogici:
Ciò può avvenire per qualche altra causa misteriosa o perché è innata
nell‘anima una specie di brama naturale (naturalis quidam appetitus) di
governare il corpo... Era dunque necessario che l‘anima fosse strappata ai
che gli Esseni con la loro dottrina dell‘immortalità dell‘anima in modo meraviglioso attirano
gli ascoltatori (bell. Iud. 2, 8, 11, BEKKER V, p. 152) e che lui stesso ha imparato dai Greci
che abbiamo dei corpi mortali e ―che l‘anima è immortale e parte del divino (qeou/ moi/ra)
che soggiorna nel corpo‖ (ib. 3, 8, 5, BEKKER V, p. 266). Idee del genere entrarono nel
mondo giudaico attraverso la letteratura apocalittica (cf. J. LE GOFF, La naissance du
purgatoire, Paris 1981, pp. 48-56). 338 N. BERDJAJEV, Iščekivanje Mesije, in Mesijanska svest i istorija, Beograd 1988,
63-104, qui pp. 66-67. 339 Potrebbe sembrare sorprendente, ma Ambrogio, neoplatonico di vocazione, tra le
cose con le cui i pagani si consolano, enumera la dottrina dell‘immortalità dell‘anima:
―Gentiles plerumque se consolantur viri, vel de communitate aerumnae, vel de jure naturae,
vel de immortalitate animae‖ (Satyr. 2, 50, PL 16, 1328b). 340 Gn. litt. 12, 35, 68.
INIZIO E FINE 105
sensi della medesima carne perché le fosse mostrato come potesse
raggiungere quella visione [somma]. Quando perciò l‘anima, fatta uguale agli
angeli, riprenderà questo corpo non più quale corpo naturale ma, a causa
della futura trasformazione, divenuto corpo spirituale, raggiungerà la
perfezione della sua natura, obbediente e dirigente, vivificata e vivificante
con una facilità tanto ineffabile che tornerà a sua gloria il corpo che le era di
peso.341
Con questo argomento, che l‘anima potrà godere una più piena felicità
essendo riunita con il corpo, Agostino avrebbe avuto poca probabilità di
convincere i pagani riguardo a ciò che Paolo definisce il punto cruciale della fede
cristiana, cioè la resurrezione. Per i filosofi dell‘Areopago almeno per coloro che
credevano nell‘immortalità dell‘anima, la resurrezione era superflua. Questa, per
loro, era un‘idea insensata.
In un‘altra occasione Agostino riprende questo argomento. Durante il
periodo pasquale egli pronunciò tre o quattro discorsi sulla resurrezione (serm.
240, 241, 242, 242A), ma non si conosce esattamente l‘anno.342
Vediamo più da
vicino il contenuto di questi discorsi.343
Nel serm. 240, 2 Agostino risponde ad un‘antica obiezione dei pagani:
―Come mai è possibile che un morto risorga‖? facendo riferimento all‘onnipotenza
di Dio, che non è negata né dai giudei né dai pagani. Quindi, la resurrezione dei
corpi non è il risultato della finalizzazione di una potenza presente nella natura
creata, ma dell‘azione divina. Il Figlio di Dio, unendo nella sua persona la nostra
natura, ha assunto in sé la nostra pena che consiste nella corruttibilità del corpo
causata dal peccato originale, in tal modo elimina in noi la colpa perdonandoci i
peccati, e la pena risorgendo dai morti. Se lo seguiremo, la nostra carne risorgerà
incorruttibile e senza difetti. Quaggiù il corpo crea dei problemi, lassù sarà di
ornamento. È dunque un bene avere un corpo incorruttibile.344
Siccome l‘argomento del corpo come ornamento non è tanto convincente,
Agostino vuol mostrare come anche i grandi filosofi pagani che hanno creduto
341 Ib. 342 Secondo Lambot dopo il 409; secondo Poque dopo il 411; e secondo Beuron e
Kunzelmann tra 405-410 cf. Tavola cronologica dei discorsi, di M. Pellegrino nella sua
Introduzione, in NBA XXIX, p. CXXVII. 343 Per una dettagliata analisi cf. M. ALFECHE, Augustine‟s discussions with
philosophers on the resurrection of the body, Aug(L) 45 (1995) 95-140. Egli considera
anche i passi di civ. 10, 24, 30-32; 12, 27; 13, 16-20; 22, 25-28. 344 serm. 240, 3.
106 Z. DJUROVIC
nell‘immortalità dell‘anima siano rimasti a mezza strada, e che il problema rimane
arduo. Nei confronti dei filosofi che asseriscono che tutto termina con la morte, i
primi, anche se non perfetti, sono da preferire. Questi maestri, principalmente i
platonici e i pitagorici, ritenevano che i mali che l‘umanità sperimenta fossero
conseguenza di una o più vite anteriori, in cui quelle stesse anime avevano peccato
e quindi entravano in corpi-prigione: dopo la morte, l‘anima di chi è vissuto male
entra immediatamente in un altro corpo, dove dovrà scontrare la giusta pena. Le
anime dei buoni se ne tornano nell‘alto dei cieli, dove dimenticano tutti i mali
passati, trattenendosi nell‘imperturbabilità per lungo tempo, ma non per sempre,
perché ad un certo momento cederanno all‘attrattiva di unirsi al corpo. Questo,
secondo Agostino, è il punto debole dell‘argomentazione pagana: la nuova caduta è
difficilmente spiegabile. Secondo il cristianesimo ufficiale, che condannò
l‘origenismo, questa caduta non è considerata possibile perché l‘uomo sarà
indissolubilmente unito con Dio.345
Nel serm. 241 Agostino ritorna su questo tema. I filosofi salivano alla
conoscenza naturale di Dio attraverso la bellezza delle cose create. Ponevano al
primo posto la natura invisibile, cioè l‘anima, e al secondo la natura visibile,
ovvero il corpo, concludendo che entrambe le nature sono mutevoli, spingendosi
tuttavia oltre a cercare qualcosa che fosse immutabile.346
Però, quanto più s‘erano
spinti in alto con le loro ricerche, tanto più sprofondavano in basso, cadendo
nell‘idolatria.347
Per arrivare alla verità non bastano le congetture, è necessaria
anche la rivelazione divina. Per questo, essi non furono in grado di spiegare il
destino dell‘anima. Affermavano, come già abbiamo visto, che le anime
dimenticano completamente le miserie della vita precedente e cominciano a
desiderare il ritorno nel corpo. Il nostro vescovo enfaticamente dice:
Tornano a dimenticarsi di Dio o, magari, a bestemmiarlo; tornano a provare il
richiamo dei piaceri del corpo e a lottare contro le passioni disordinate. Ma
345 serm. 240, 4: ―Occorre però credere nel Mediatore posto a far da ponte fra Dio e
gli uomini. Fra Dio giusto e l‘uomo peccatore è stato collocato un uomo giusto, che ha preso
l‘umanità da chi era in basso, la giustizia da chi era in alto. Quindi a metà: una cosa presa da
un lato e un‘altra presa dall‘altro. Se infatti avesse preso tutt‘e due le cose da lassù, sarebbe
rimasto lassù; se avesse preso tutt‘e due le cose da quaggiù, sarebbe uno prostrato come noi
e non starebbe a metà. Orbene, se uno crede in questo Mediatore e vive con fede e
rettitudine, quando uscirà dal corpo sarà nel riposo. In un secondo momento poi riassumerà
anche il corpo, non per soffrire ma per ornarsene, e vivrà eternamente con Dio. Non ci
saranno motivi che l‘attraggano a tornare quaggiù, perché il suo corpo si sarà riunito a lui‖. 346 serm. 241, 1-2. 347 serm. 241, 3.
INIZIO E FINE 107
da dove tornano a sobbarcarsi a queste miserie e con che scopo? Dimmelo!
Perché fanno così? Perché hanno dimenticato. Se hanno dimenticato tutti i
mali dimentichino anche i piaceri carnali! Questo solo, per loro disavventura,
ricordano, cioè quello che le ha rovinate... E tornano: ma perché? Perché
trovano piacevole abitare in un corpo come prima. Come provano un tal
piacere se non perché ricordano che un tempo hanno abitato nel corpo? Togli
via ogni ricordo, e forse otterrai che rimane la sapienza. Non rimanga
null‘altro che possa richiamare indietro.348
Continuando la polemica sullo stesso tema Agostino riporta un brano di
Virgilio, dove Enea agli inferi chiede a suo padre – che gli ha presentato le anime
di romani famosi che da lì salgono al cielo – come mai esse volevano tornare ad
abitare in un corpo? Enea chiama folle quel desiderio e sventurate quelle anime.349
Infatti esse non possono essere beate sapendo che avrebbero dovuto sperimentare
di nuovo lunghe miserie nella vita successiva. Non possono essere beate se ad esse
manca la sicurezza, ma se non conoscono il futuro, sono beate perché preda
dell‘errore; saranno beate non per l‘eternità ma per la falsità.350
I filosofi poi
(Pitagora, Platone, Porfirio etc.) intendono raggiungere la vita beata quaggiù, ma
essa si avrà dopo la morte. Lassù uno avrà la speranza di tornare alla vita misera?
Quindi la speranza d‘essere infelici ci dona la felicità, mentre la speranza della
felicità ci rende infelici. È illogico che le anime esenti da colpa, divenute sapienti e
pure, possano desiderare di ritornare nel corpo per amore di esso.351
Abbiamo già visto che Agostino corregge la sentenza di Porfirio: omne
corpus esse fugiendum, dicendo che si debba fuggire dal corpo corruttibile che
appesantisce l‘anima, ma non dal corpo incorruttibile. Trova la prova in Platone
che permette la beatitudine eterna degli dèi creati, cioè dei corpi celesti. Platone ha
riservato la loro incorruttibilità all‘azione reggitrice di Dio. Grazie a questa
onnipotente energia, aggiunge Agostino da parte sua, la possibilità della
resurrezione è credibile. ―Dio rapporta tutto alla sua volontà: egli può anche
l‘impossibile‖, dice Agostino a proposito del testo di Platone:
348 serm. 241, 4. 349 VERGILIO, Aen. 6, 719-721, ed. T. E. PAGE, p. 224: O pater, anne aliquas ad
caelum hinc ire putandum est / Sublimes animas iterumque ad tarda reverti Corpora? / Quae
lucis miseris tam dira cupido? 350 serm. 241, 5. 351 serm. 241, 6.
108 Z. DJUROVIC
Totum ad voluntatem suam redegit Deus, qui potest et quod impossibile est.
Nam quid est aliud, Non potestis esse immortales, sed ut non moriamini ego
facio; nisi, et quod fieri non potest, ego facio?352
I corpi dei risorti sono chiamati corpi spirituali, ma non nel senso che
saranno spiriti e non più corpi, perché come i corpi attuali sono chiamati corpi
animati ma non sono anime, così anche i corpi spirituali non sono spiriti, ma corpi,
benché rivestiti di incorruttibilità. Si chiamano spirituali perché saranno a
disposizione dello spirito.353
In essi non ci sarà nulla che si ribelli.354
Anche se
spirituali, avranno carne, ossa e sangue, ma con le caratteristiche celesti. In tal
modo Agostino unisce la convinzione paolina che il corpo reale sarà risorto con il
―dualismo‖ positivo plotiniano secondo cui il corpo celeste è ad assoluta
disposizione dell‘anima e il fuggire da ogni corpo è un estremismo, sostenuto da
Porfirio e dal primo Agostino, che ora risulta inaccettabile.
L‘uomo primordiale come quello escatologico del primo Agostino aveva
poco a che fare con il mondo materiale. Il secondo Agostino, benché timidamente,
lo collocava nell‘Universo. Dico timidamente, perché l‘Adamo escatologico vive
in un mondo trasformato e questo ci può far pensare che il sostrato materiale sia
talmente cambiato da poter parlare a stento dell‘identità, ovvero successione tra
questo e il mondo in avvenire. Malgrado tutte le difficoltà riguardanti una
esposizione consona di tale idea, nel Agostino maturo troviamo accenni alla
trasformazione globale che incorpora l‘uomo e il mondo in cui una volta questi
abitava. Non avendo nulla da aggiungere, trascrivo le conclusioni dell‘ormai
classico articolo di Marrou: ―St. Augustine has particularly highlighted the
necessary connection between the resurrection of the body (and therefore of the
person) and the transfiguration of the cosmos. This point deserves attention
because it is a theme which does not appear very often in his writings. It has been
352 serm. 242, 5, 7. 353 Agostino, se posso esprimermi in modo improprio, arriva finalmente alla
soluzione di Tertulliano: ―Plane accepit hic spiritum caro, sed arrabonem, animae autem non
arrabonem sed plenitudinem. Itaque etiam propterea, substantiae nomine animale corpus
nuncupata est in qua seminatur, futura proinde per plenitudinem spiritus insuper spiritale, in
qua resuscitatur. Quid mirum si magis inde vocata est unde conferta est quam unde respersa
est?‖ (res. carn. 53, 66-71, SPCK, pp. 160-162, ma per avere un immagine più completa, si
veda l‘intero capitolo). 354 serm. 242, 8, 11. Lo stesso in Gn. litt. 12, 7, 18: ―[Il corpo spirituale] per la sua
completa prontezza e incorruttibilità, sarà sottomesso allo spirito e senza alcun bisogno
d‘alimenti corporali sarà vivificato solo dallo spirito, ma non perché avrà una sostanza
incorporea‖.
INIZIO E FINE 109
many times repeated, and rightly, that St. Augustine is not much interested in what
might be called the cosmic component of salvation.355
In his first writings, which
were still too subservient to Neoplatonism, he ventured to sum up the whole
program of a philosophy in the simple binomial: de anima, de Deo. He had no
place, it seems, for a peri kosmou356
… However, attentive exegete that he was, he
could not neglect the formulae taken from Isaiah (65, 17-19; 66, 22), which the
Apocalypse mentions concerning ‗a new heaven and a new earth‘... The final
destiny of the world, and that of man, are intimately bound up with each other. The
end of the world will also be, mirabili mutatione, a transfiguration rather than
annihilation.357
Figura ergo praeterit, non natura:358
the face of the world will pass
away, but not its substance… As with man, so with the cosmos: everything,
corruptible in it will be destroyed... On the contrary, by means of that elimination it
will acquire new qualities, in accord with those of risen man. For it is necessary
that the universe also be renewed for the better, in melius innouatus, so as to be in
harmony with the body of man which also will be renewed [civ. 22, 29, 6]―.359
2. 3. Il Totus Christus
Abbiamo visto che, sebbene Adamo fosse terra secondo il corpo e portasse
il corpo animale, se non avesse peccato, il suo corpo sarebbe stato trasformato in
corpo spirituale. In altre parole, sarebbe diventato membro del Cristo escatologico.
Come nell‘uomo risorto tutto l‘universo si ricapitola e in un certo senso diviene
uno con lui, così tutti i predestinati e il mondo nuovo alla fine dei tempi vengono
raccolti e uniti in Cristo. Quasi a riassunto di tutto ciò, Agostino scrive nel De
civitate Dei:
Prima infatti si ha il corpo animale nello stato in cui lo ebbe il primo Adamo,
quantunque non destinato a morire se non peccava. Anche noi abbiamo un
simile corpo però col cambiamento per depravazione del suo essere, in
quanto in Adamo, dopo il suo peccato, si verificò una condizione da cui subì
355 Marrou si richama a TH. E. CLARKE, The eschatological Transformation of the
material World according to saint Augustine, Woodstock 1956 (tesi non pubblicata); id., St.
Augustine and Cosmic Redemption, ThSt 19 (1958) 133-164. 356 Ivi adopera la propria espressione dal suo libro: Saint Augustin et la fin de la
culture antique, Paris 1958, p. 233. 357 civ. 20, 16. 358 civ. 20, 14. 359 HENRI I. MARROU, The Resurrection and St. Augustine‟s Theology of Human
Values, SAugLS (1965) 1-50, qui pp. 29-31.
110 Z. DJUROVIC
la soggezione a morire. Anche il Cristo nella prima esistenza si è degnato di
averlo in quello stato, e non per destino ineluttabile ma per libera scelta. Poi
il corpo spirituale, nello stato in cui si è avuto in Cristo in quanto nostro capo,
si avrà nei suoi seguaci nella finale risurrezione dei morti.360
Il fulcro della soteriologia agostiniana si trova nella unione della natura
umana (o, meglio, persona) con la Sapienza divina, il Figlio unigenito di Dio. Nella
sua persona, infatti, si uniscono divino e umano. Anzi, l‘unione tra Dio e l‘uomo
non significa una semplice societas. Siamo autorizzati a parlare di una sola persona
in due nature (unam personam in utraque natura).361
Una sola persona è la persona
del Verbo attraverso cui la natura creata si unisce con la Trinità, anche se è unita
personalmente soltanto al Figlio.362
Agostino fedelmente e inconsciamente segue la
breve, ma nota ai lippis et tonsoribus, formula di Gregorio di Nazianzo: quod non
assumptum non redemptum.363
L‘unione tra uomo e Verbo di Dio è fisica e
indissolubile. Abbiamo visto che il primo corpo di Adamo fu imperfetto, ovvero
mortale, animale o naturale, come lo nominava Agostino. Il Figlio di Dio assunse
proprio tale corpo e nella sua carne non trasferì solo il peccato, ma anche la morte,
perché nella carne, somigliante a quella del peccato, ci fosse la pena (morte) senza
la colpa.364
Ė interessante vedere un brano nel quale Agostino parla della qualità
della carne che è stata assunta:
360 civ. 13, 22. Cf. anche serm. 224A, 1. Nel capitolo 3 si legge: ―Concludendo,
abbiate il cuore pieno di fede nella resurrezione. Non soltanto le cose che si predicano già
realizzate in Cristo ma anche quelle che per l‘unione con lui si realizzeranno in noi sono
promesse ai cristiani‖. 361 c. s. arian. 7, 6. 362 trin. 2, 10, 18. Cf. una riuscita presentazione di questo problema di FRANCESCO
NERI, Cur verbum capax hominis: le ragioni dell‟incarnazione della seconda persona della
Trinità fra teologia scolastica e teologia contemporanea, PUG, Roma 1999, pp. 9-36. 363 Ciò viene detto nella Prima lettera a Cledonio (ep. 101, 7, 13-14, SC 208): to.
ga.r avpro,slhpton( avqera,peuton) 364 pecc. mer. 1, 32, 61. Nello stesso libro (2, 24, 38) Agostino scrive così: ―Quindi
noi siamo nati per morire a causa del peccato ed egli è nato senza peccato per morire per
noi. Inoltre come la sua inferiorità con la quale discese fino a noi non era alla pari in tutto
con la nostra inferiorità, nella quale ci ha trovati in terra, cosi la nostra superiorità con la
quale noi ascendiamo fino a lui non sarà pari alla sua superiorità nella quale lo troveremo in
cielo. Noi infatti diventeremo figli di Dio per sua grazia, egli era Figlio di Dio da sempre per
natura; noi, convertiti finalmente a Dio, aderiremo a Dio, ma non saremo pari a Dio; egli,
mai convertito ad altro contro Dio, rimane uguale a Dio. Noi saremo partecipi della vita
eterna; Egli infatti è la vita eterna‖.
INIZIO E FINE 111
Tuttavia Gesù, poiché in lui c‘era la somiglianza della carne del peccato,
volle soffrire le mutazioni delle età cominciando dalla stessa infanzia e
sembra che avrebbe potuto quella sua carne raggiungere anche la morte per
vecchiaia, se non fosse stato ucciso da giovane (Sed quia erat in eo similitudo
carnis peccati, mutationes aetatum perpeti voluit ab ipsa exorsus infantia, ut
ad mortem videatur etiam senescendo illa caro pervenire potuisse, nisi
iuvenis fuisset occisus). Ecco però la differenza: nella carne del peccato la
morte è pagata per debito di disobbedienza, invece nella carne somigliante a
quella del peccato la morte è stata accolta per volontà d‘obbedienza.365
Dunque, il Salvatore assunse un corpo mortale ed è diventato uguale agli
altri uomini, oltre ad Adamo. Questa spiegazione significa che il Cristo generato
corrisponde all‘Adamo del paradiso. La nascita del Salvatore esprime solamente
l‘inizio della timida unione tra Dio e l‘uomo.366
Come per Adamo era possibile
morire, poiché aveva il corpo mortale, così avvenne per Cristo. Entrambe le morti,
d‘altra parte, furono volontarie: quella di Adamo condizionata dalla volontà
peccaminosa, quella di Cristo voluta liberamente per la salvezza dell‘umanità. Poi,
come era necessaria la trasformazione del corpo di Adamo nello stato spirituale,
così il corpo di Cristo doveva morire per risorgere, per diventare spirituale.
Soltanto quel grado di esistenza manifesta la piena unione tra Dio e l‘uomo, grazie
alla quale non vi sarà più posto per la morte.
Trovo utile aprire una lunga parentesi perché in questo passo Agostino
anticipò la crisi aftartodoceta.367
Il problema degli aftartodoceti non si riferisce
365 pecc. mer. 2, 29, 48. 366 Ricordiamoci che il cristianesimo dei primi secoli non festeggiava il Natale ma la
Teofania, cioè l‘apparizione di Dio. Nel IV secolo, sotto Giulio I, queste due feste furono
separate nella Chiesa Latina e tale separazione fu adottata al principio del V secolo nelle
Chiese di Siria e di Alessandria. Nel giorno dell‘Epifania il diacono annuncia il giorno in cui
dovrà cadere la Pasqua. Anticamente all‘Epifania (Teofania) precedeva un digiuno rigoroso
di un‘intera giornata (cf. H. KELLNER, Heortology: a history of the Christian festivals from
their origin to the present day, London 1908; F. X. WEISER, S.J., Handbook of Christian
Feasts and Customs, Orlando 1958, visibile su (www.neiu.edu/~history/Wei.htm); Л.
МИРКОВИЋ, Хеортологија или историјски развитак и богослужење празника
Православне источне цркве, Београд 1961). 367 L‘aftartodocetismo è dottrina che nacque al‘inizio del VI secolo dal
monofisismo. Suo corifeo fu il vescovo di Alicarnasso (nell‘attuale Turchia occidentale)
Giuliano, che proprio per la sua dottrina dell‘incorruttibilità del corpo di Cristo ruppe la sua
amicizia con Severo di Antiochia. Giuliano divenne vescovo durante il regno
dell‘imperatore Anastasio (491-518), monarca alquanto tollerante verso il monofisismo.
Tuttavia, alla salita al trono nel 518 dell‘ortodosso Giustino I (518-527), fu esiliato in Egitto
112 Z. DJUROVIC
tanto alla cristologia quanto alla stessa natura umana, come notano Meyendorff e
R. Draguet.368
Gli aftartodoceti negavano che la natura umana assunta da parte del
Logos sia stata corruttibile, ossia mortale. Affermavano che con l‘incarnazione si
era realizzata la salvezza, perché questa natura, a causa dell‘unione con il Logos,
era divenuta incorruttibile. Come ci testimonia Leonzio di Bisanzio, nel suo
Dialogo contro gli aftartodoceti,369
questa posizione era assolutamente
inaccettabile. La forza della dimostrazione aftartodocetista era nella riconferma
dell‘affermazione ortodossa che la passione di Cristo è stata volontaria. Gli
aftartodoceti ponevano il quesito in termini di aut-aut: la carne soffriva non per
volontà del Logos o perché era soggetta alle leggi della natura? Se si afferma che il
corpo muore per volontà del Verbo, si dà ad intendere che esso per sua natura è
incorruttibile. Se si afferma che esso muore per sua costituzione naturale, significa
che non è morto per il peccato.370
Agostino risponde prima di Leonzio che il Verbo
permette al corpo, suscettibile per natura di soffrire, di subire quanto è naturale.371
dove fondò la corrente degli aftartodoceti o fantasiasti. Secondo questa dottrina, Cristo
aveva una natura umana incorruttibile, non solo dal momento della resurrezione, ma fin
dall‘incarnazione stessa. Quindi, Cristo non era normalmente soggetto ai desideri di fame,
sete, stanchezza, ecc. ma si sottoponeva volontariamente ad essi per amor nostro. Questa
sottomissione rappresenta un miracoloso intervento da parte del Logos. 368 Cf. J. MEYENDORFF, Byzantine Theology: Historical Trends and Doctrinal
Themes, London & Oxford 1975, pp. 157-158. 369 adv. Nestor. et Eutych. 2, PG 86, 1316-1357. Su Leonzio e gli aftartodoceti cf: F.
LOOFS, Leontius von Byzanz und die gleichnamigen Schriftsteller der griechischen Kirche, I:
Das Leben und die polemischen Werke des L. von Byzanz, Leipzig 1887 (=TU 3, 1-2); F.
DIEKAMP, Die origenistischen Streitigkeiten im sechsten Jahrhundert und das fünfte
allgemeine Konzil, Münster 1899; R. DEVREESSE, Le florilège de Léonce de Byzance, RSR
10 (1930) 545-576; M. RICHARD, Le traité De sectis et Léonce de Byzance, RHE 35 (1939)
695-723; E. SCHWARTZ, Kyrillos von Skythopolis, Leipzig 1939 (=TU 49, 2); S. REES, The
life and personality of Leontius of Byzantium, JThS 41 (1940) 263-280; M. RICHARD,
Léonce de Jérusalem et Léonce de Byzance, MSR 1 (1944) 35-88; B. ALTANER, Der
griechische Theologe Leontius von Byzanz und Leontius der skythische Mönch, ThQ 127
(1947) 147-165; C. MOELLER, Le chalcédonisme et le néochalcédonisme en Orient de 451 à
la fin du VIe siècle, in A. GRILLMEIER / H. BACHT (Hrsg.), Das Konzil von Chalkedon.
Geschichte und Gegenwart, Würzburg 1951, 637-720; J. MEYENDORFF, Christ in Eastern
Christian Thought, Washington, D.C. 1969; D. B. EVANS, Leontius of Byzantium: An
Origenist Christology, Washington D.C. 1970; L. PERRONE, La chiesa di Palestina e le
controversie cristologiche. Dal concilio di Efeso (431) al secondo concilio di
Constantinopoli (553), Brescia 1980; Il „Dialogo contro gli aftartodoceti‟ di Leonzio di
Bisanzio e Severo di Antiochia, Cristianesimo nella storia 1 (1980) 411-442. 370 PG 86, 1331. 371 Cf. Io. ev. tr. 3, 13; 41, 7: ―Sono diventato come un uomo indifeso, libero tra i
morti. Lui solo era libero, perché non aveva peccato. Ecco, sta per venire il principe di
questo mondo, ma in me non troverà nulla. Anche nei giusti che uccide trova qualche
INIZIO E FINE 113
Il problema più difficile nasce dal parallelismo imperfetto tra Adamo e Cristo.
Secondo gli aftartodoceti, Cristo è stato chiamato il nuovo Adamo e quindi ha
preso il suo corpo prelapsario, che era incorruttibile, cioè senza peccato.372
Però, in
tal caso il corpo di Cristo non corrisponde a quello di tutti gli altri uomini. Leonzio
contesta la tesi che il corpo di Adamo fosse incorruttibile:
Infatti, [Adamo] non aveva nella sua costituzione l‘immortalità, né
incorruttibilità, altrimenti, credo, non avrebbe avuto bisogno dell‘albero della
vita, il cui uso gli fu interdetto dal peccato, come dicono i Padri, per divenire
immortale mangiando dei suoi frutti vitali; tuttavia non è il momento
opportuno di trattare tale argomento, poiché non stiamo parlando della
dottrina relativa ad Adamo... Il Signore unì ipostaticamente a se stesso una
carne come quella che ebbe Adamo dopo il peccato e noi tutti che
proveniamo dalla stessa materia.373
Leonzio infatti segue la scia origeniana dei Padri Orientali secondo i quali il
Protoplasto avrebbe dovuto avere un‘altra natura, perché quella materiale è
soggetta alla corruzione. Evita di parlare di Adamo perché la sua condizione
primitiva non si può includere nell‘economia della salvezza. L‘Adamo prelapsario
è distaccato dal resto dell‘umanità. D‘altra parte Leonzio, come Agostino, afferma
che Adamo aveva un corpo mortale, il che è in aperto conflitto con l‘impostazione
neoplatonica. Nella concezione agostiniana il passaggio dal primo Adamo agli altri
uomini è più leggero. Anche Adamo aveva un corpo mortale che doveva
trasformarsi. Paragonando Adamo e Cristo, quasi non si percepisce la differenza:
anche Cristo doveva essere trasformato. Trasformazione, cambiamento,
mutamento, passaggio drastico, in fondo non sono altro che diverse definizioni
della morte. Il soggetto mortale diventa immortale. Non si tratta, quindi, di una
piccola modifica del modo di essere. In ultima analisi, la primitiva comunione,
peccato, sia pure leggero, ma in me non troverà nulla. E come se gli si obiettasse: se in te
non troverà nulla, perché ti ucciderà?, egli subito aggiunge: Affinché tutti sappiano che io
faccio la volontà del Padre mio; levatevi, andiamo via di qui. Non sono costretto a morire,
dice, per pagare il prezzo del mio peccato, ma con la mia morte compio la volontà del Padre
mio: e con ciò non mi limito a patire, perché se non avessi voluto non avrei patito. Ho il
potere di dare la mia vita e ho il potere di riprenderla di nuovo. E così dimostra di essere
davvero libero tra i morti‖. 372 Con questa distinzione gli aftartodoceti volevano unire l‘affermazione che Cristo
aveva uno corpo incorruttibile con quelle della Scrittura (soprattutto Eb. 4, 15) dove si
afferma che il Salvatore prese tutto l‘umano eccetto il peccato. 373 PG 86, 1348.
114 Z. DJUROVIC
esistente fra Adamo e il Figlio dell‘uomo, indica che la perfetta unione tra Dio e
l‘uomo è cosa che riguarda un processo dinamico che si realizzerà nella futura
resurrezione dei corpi.
Mi sembra utile soffermarsi su questa differenza tra Agostino e i Padri
Orientali nel definire lo stato primordiale di Adamo. La posizione di Agostino è
chiara: Adamo aveva un corpo mortale. La posizione degli orientali si può
illustrare con un esempio dal commento di Teodoro Balsamono sul canone CIX del
concilio di Cartagine, dove si afferma che Adamo non è stato creato né mortale né
immortale, ma con il suo libero arbitrio poteva scegliere la mortalità o
l‘immortalità. Non fu come l‘uomo attuale, afferma Teodoro richiamandosi
all‘autorità di Gregorio Nazianzeno, secondo cui Adamo dopo il peccato prese un
corpo più consistente, mortale, cioè quello reale. Il suo corpo primitivo, dunque, fu
diverso dal nostro. Ecco come si esprime Teodoro:
Dio creò Adamo non mortale, né certamente immortale, ma intermedio tra la
sommità e la bassezza. Lo fece autonomo lasciandogli la libertà di scelta, sia
inclinandosi verso la virtù sia verso il male, venisse destinato o
all‘immortalità oppure alla mortalità, nonostante il fatto che allora l‘uomo
aveva la carne, ma non uguale a quella attuale. Ciò infatti disse Gregorio il
Teologo: ―[Adamo] si veste di tuniche di pelle, il che equivale (i;swj) a
questa carne più densa, mortale e resistente‖.374 Poiché prima della
trasgressione la carne di Adamo non era né densa, né mortale secondo la
natura. C‘erano infatti coloro che dicevano che [Adamo] sin dall‘inizio fu
creato mortale e che sarebbe morto anche se non avesse trasgredito il
precetto; che la morte non è entrata per il peccato, ma per la natura che
dall‘inizio fu tale. Costoro che pensavano in tale modo i Padri di questo
sinodo li hanno anatemizzato.375
374 or. 38, 12, PG 36, 324c. 375 PG 138, 368bc: To.n vAda.m o` Qeo.j ouv qnhto.n e;plasen, ouvde. me,ntoi avqa,naton,
me,son de. mege,qouj kai. tapeino,thtoj, kai. auvtexou,sion poih,saj auvto.n, ei;asen, w[ste o`pote,rwse neu,sei, ei;te pro.j avreth.n ei;te pro.j kaki.an, klhrw,sasqai auvto.n h ’ th.n avqanasi,an h ’ th.n qnhto,thta. Ka’n ga.r sa,rka ei[ce kai. to,te o` a;nqrwpoj, vall v ouvc oi[an nu/n. Kai. tou/to, fu,sin o` Qeolo,goj Grhgo,rioj, le,gwn\ Kai. tou.j dermati,nouj avmfie,nnutai citw/naj, i;swj th.n pacute,ran sa,rka kai. qnhth.n kai. avnti,tupon. [Wste pro. th/j paraba,sewj ou;te pacei,a h=n h` sa.rx tw|/ vAda.m, ou;te fu,sei qnhth,. =Hsan d v oi` le,gontej o;ti qnhto.j evx avrch/j evpla,sqh kai. qanei/n e;melle, ka’n mh. pare,bh th.n eutolh.n, kai. ouvci. di.a th.n avmarti,an evpeish/lqen o` qa,natoj, avlla. di.a th.n fu,sin toiau,thn gegonui/an avrch/qen. Tw/n ou=n tau/ta fronou,ntwn oi` th/j suno,dou tau,thj Pate,rej kateyhfi,santo to. avna,qema.
INIZIO E FINE 115
Il grande commentatore dei canoni legge il testo di Gregorio senza
incertezze: le tuniche di pelle sono la carne attuale. Il corpo prima della caduta era
etereo. Perché dico che Teodoro legge la frase del Teologo senza insicurezze?
Perché gli interpreti, cominciando dal traduttore latino intendono l‘avverbio i;swj
nel senso di forse. Egli, infatti, traduce così: Pelliceas quoque vestes induit, forte
densiorem carnem et mortalem et resistentem. La medesima linea d‘interpretazione
seguono le versioni russa, inglese e quella italiana.376
Così Chiara Sani e Maria
Vincelli scrivono richiamandosi all‘autorità di Claudio Moreschini: ―Gregorio,
come già aveva fatto Origene, interpreta le tuniche di pelle di cui parla la Genesi
come il corpo umano di cui l‘uomo fu provvisto come conseguenza del primo
peccato. Questa stessa interpretazione, senza la sfumatura di incertezza che si trova
in questo passo, ricorre in Carm. I 1, 8, 115‖.377
Ė vero che l‘avverbio i;swj si può
tradurre come forse, probabilmente, con un significato che era prevalente nel
mondo bizantino, tuttavia, il suo significato classico è: ugualmente, giustamente da
dove nell‘epoca post-classica prese il senso affermativo: certamente. Dunque, io
non tradurrei la frase di Gregorio (Kai. tou.j dermati,nouj avmfie,nnutai citw/naj,
i;swj th.n pacute,ran sa,rka kai. qnhth.n kai. avnti,tupon) come si trova nella
traduzione italiana ―Allora si vestì di tuniche di pelle, che sono forse questa carne
più spessa che portiamo, che è mortale e resistente‖, ma: ―Si veste di tuniche di
pelle, il che equivale a questa carne più densa, mortale e resistente‖. In questo caso
il presente avmfie,nnutai si deve tradurre con il presente (come fece anche il
traduttore latino) e non con il passato remoto – nonostante che sia legittimo
tradurre il presente storico con uno dei tempi passati – perché lo richiede la logica
del discorso di Gregorio. Egli difatti collega la caduta di Adamo con quella nostra,
esclamando: ―Oh, quanto sono debole! Mia, infatti, è la debolezza del mio
progenitore‖. Inoltre, che Gregorio non fosse indeciso riguardo a questo problema,
lo testimoniano i suoi versi del Carm. I 1, 8, 115378
e la comprensione da parte di
376 Cf. Творения иже во святых отца нашего Григория Богослова,
архиепископа Константинопольского. Ч. 1. М. 1843, p. 528; GREGORY NAZIANZEN,
NPNF, Series II, Vol. VII, trad. P. SCHAFF, New York 1893, p. 631. 377 GREGORIO DI NAZIANZO, Tutte le orazioni, trad. con testo a fronte e note di C.
SANI e M. VINCELLI, a cura di C. MORESCHINI, Milano 2000, p. 1352. 378 Anche nel precedentemente citato carm. dogm. 8 Gregorio scrive in tal senso: ―Il
paradiso, secondo me, è la vita celeste (zwh. d v ouvrani,h)... L‘uomo si vestì di tuniche di
pelle, ossia di corpo pesante (sa,rka barei/an), che porta alla morte (nekrofo,roj), perché il
Cristo con la morte delimitò la trasgressione. Allora andò fuori dal bosco sacro (a;lseoj) sulla terra dalla quale aveva origine‖ (PG 37, 455). È interessante notare che Gregorio per
determinare il nostro corpo usa il termine nekrofo,roj che è il appellativo per l‘operaio o la
persona che porta i morti alla sepoltura.
116 Z. DJUROVIC
Teodoro, che subito dopo aver citato Gregorio, continuò con w[ste quindi, perciò,
dunque. Sarebbe giusto orientarsi a leggere la frase di Gregorio in questo modo,
perché è più ragionevole, scorre infatti senza l‘ostacolo di questo forse.
Possiamo affermare che nel mondo bizantino la concezione più diffusa
riguardo allo stato primordiale dell‘uomo fu quella di Origene.379
Questo concetto
comporta due gravi dilemmi: 1) Non si capisce il ruolo del primitivo corpo di
Adamo. Esso, non essendo assunto dal Logos, non è stato neanche salvato. Come
mai, dunque, un ente desiderato da Dio si perde? 2) La materia che costituisce il
nuovo corpo non è positivamente valutata. Questa concezione si avvicina
pericolosamente alle idee gnostiche e manichee. Il corpo dell‘uomo attuale non fu
voluto come tale da Dio dall‘inizio. Tale impostazione il primo Agostino, che
sosteneva la tesi di un corpo etereo, la condivideva senza esitazioni. Il lato
persuasivo di questo concetto è che non permette che la materia in questo modo
(attuale) strutturata possa essere immortale. L‘Adamo mortale del posteriore
Agostino, secondo loro, non poteva essere neanche condizionatamente immortale.
D‘altra parte, la forza dell‘interpretazione agostiniana consiste nell‘avere evitato il
pericolo latente di manicheismo (disprezzo della carne) nell‘impostazione dei Padri
Orientali. La sua debolezza invece è nell‘avere tentato di spiegare in modo
persuasivo come qualcosa, deperibile in se stesso, possa continuare a durare.
Il Cristo completo ha preso tutta la sostanza umana con le proprie qualità
originali. Agostino fa chiara distinzione dei corpi (corpus mortale, moriturum,
mortuum),380
cioè del modo di essere: 1) corpo mortale, quello di Adamo prima del
peccato, 2) corpo morituro, quello che per necessità muore e 3) corpo che è morto
per causa del peccato. Tutti gli uomini hanno corpi mortali, morituri e morti.
Adamo prima del peccato non aveva il corpo morituro. Il Salvatore non aveva il
corpo morto, aveva quello mortale-morituro. La trasformazione invece che ci sarà
nella futura risurrezione escluderà non solo la morte, ma anche la mortalità che il
corpo animale aveva prima del peccato. Il corpo animale risorgerà come corpo
spirituale e questo corpo mortale si vestirà d‘immortalità.381
Dunque, la mortalità
che è la conseguenza inevitabile della creaturalità, poteva essere superata
solamente con l‘unione con Colui che non conosce la nascita.
Il corpo spirituale risorto non è un corpo fornito di una determinata qualità,
come se la spiritualità fosse una qualità specifica del corpo,382
ma è la qualità
379 Cf. J. N. D. KELLY, Early Christian Doctrines, London 51985, p. 348-351. 380 Cf. pecc. mer. 1, 2, 2. 381 Cf. pecc. mer. 1, 5, 5. 382 ―La fede cristiana non ha alcun dubbio sul Salvatore perché anche dopo la
risurrezione, quindi in una carne spirituale ma reale, consumò cibo e bevanda assieme ai
INIZIO E FINE 117
particolare che risulta dall‘unione con Dio, quindi non condizionata dal peccato,
ma prestabilita dall‘inizio poiché il corpo di Adamo sarebbe stato trasformato in
corpo spirituale. Anche se esso non è spirito, perché mantiene carne e ossa, diventa
lucido, trasparente, leggero, simile all‘angelico, incorruttibile e non bisognoso di
cibarsi.383
Su questo Agostino riflette soprattutto nell‘ultimo libro del De civitate
Dei. Il corpo spirituale è quello a cui l‘uomo comincia a partecipare col
battesimo.384
Per mezzo di questo gli uomini diventano cristi: ―Possiamo
giustamente considerare cristi tutti gli unti col suo crisma e tutto questo corpo
assieme al suo Capo, l‘unico Cristo‖.385
Cristo risorto ha portato un altro modo di
esistere: vivere nel corpo spirituale. Il secondo Adamo ci ha trasformati in dèi; le
due nature, increata e creata, si scambiano le proprietà (communicatio idiomatum).
L‘uomo s‘identifica con il divino attraverso il Mediatore che trasferisce in sé i
propri seguaci e aggiudica a sé i loro naturali attributi creaturali, perché capo e
corpo sono il medesimo Cristo.386
Ecco, dice con enfasi Agostino davanti al
mistero del totus Christus,
qual è l‘uomo perfetto, Capo e Corpo, che è costituito da tutte le membra che
a suo tempo saranno una realtà compiuta, sebbene si aggiungono ogni giorno
mentre si edifica la Chiesa.387
discepoli. Ai corpi risorti dunque non sarà tolto il potere ma il bisogno di mangiare e bere
(non enim potestas, sed egestas edendi ac bibendi talibus corporibus auferetur). Saranno
anche spirituali non perché cessano di essere corpo, ma perché continueranno ad esistere
nello spirito che dà loro la vita‖ (civ.13, 22). 383 Cf. Gn. litt. 6, 24, 35; 9, 6, 10; civ. 13, 18-19; 13, 24, 6; 22, 24, 5; 22, 29, 26. 384 Cf. pecc. mer. 1, 16, 21: ―Ogni bambino dunque che viene generato
carnalmente... ha bisogno d‘essere rigenerato spiritualmente... I bambini quindi nascono
nella carne soggetti inseparabilmente al peccato e alla morte del primo uomo e rinascono nel
battesimo associati inseparabilmente alla giustizia e alla vita eterna del secondo uomo.‖ 385 civ. 17, 4, 9. 386 civ. 17, 18, 1. Oppure come scrive altrove: ―Quando il volto di Cristo ci sarà
svelato, ci trasformeremo in modo da riprodurre in noi la sua medesima immagine‖ (ep. 147,
25, 51). 387 civ. 22, 18. Per questo tema si possono consultare: T. J. VAN BAVEL, Recherches
sur la christologie de saint Augustin. L‟humain et le divin dans le Christ d‟après saint
Augustin, Fribourg 1954; BAVEL VAN T. J. / BRUNING B., Die Einheit des Totus Christus bei
Augustinus, in Scientia Augustiniana: Studien über Augustinus, den Augustinismus und den
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NIEWIADOMSKI, Gewaltfreiheit und die Konzeption des Totus Christus? Anmerkungen zum
118 Z. DJUROVIC
Cristo risorto, Chiesa, corpo spirituale o incorruttibile sono, dunque, i
sinonimi. Grazie proprio alla communicatio idiomatum che si svolge in una
persona sola, quella del Verbo di Dio, noi possiamo parlare di Cristo Integrale con
cui, in cui e per cui tutto l‘universo è creato. Benché si tratta di un solo Cristo, il
Capo ha una precedenza rispetto al suo Corpo.388
È la persona, infatti, del Figlio di
Dio è colei che causa e costituisce il suo corpo, o, meglio, se stesso.389
Egli
raccoglie in sé non semplicemente una natura umana in abstracto, ma tutti i salvati
in ogni tempo esistiti:
Il Signore Gesù Cristo, uomo perfetto nella sua totalità, è capo e corpo.
Riconosciamo il capo in quell‘uomo che nacque da Maria Vergine, patì sotto
Ponzio Pilato, fu sepolto, risuscitò, ascese in cielo e siede alla destra del
Padre, donde attendiamo che venga come giudice dei vivi e dei morti. Egli è
il capo della Chiesa. Il corpo di questo capo è la Chiesa: non quella che si
trova in questo luogo, ma quella che è in questo luogo ed in tutto il mondo;
né soltanto quella che esiste ai nostri tempi, ma quella che è esistita dai tempi
di Abele e che esisterà fino a coloro che nasceranno alla fine e crederanno in
Cristo. Perché la Chiesa è tutto il popolo dei santi che appartengono ad una
stessa città; e questa città è il corpo di Cristo, il cui capo è Cristo.390
Problem einer augustinischen Einheitsvorstellung, Aug(L) 41 (1991) 567-574; G. PHILIPS,
L‟influence du Christ-Chef sur son Corps mystique suivant saint Augustin, AugMag 2, 805-
815; A. PIOLANTI, Il mistero del ―Cristo totale‖ in S. Agostino, AugMag 3, 453-469. 388 Cf. en. Ps. 40, 6. In altro luogo Agostino scrive: ―Ascoltiamo dunque il Cristo in
quanto è uno, ma tuttavia ascoltiamo il Capo come Capo, e il Corpo come Corpo. Non si
dividono le persone, ma si distingue la dignità; poiché il Capo salva, mentre il Corpo è
salvato. Manifesti il Capo la misericordia, pianga il Corpo la sua miseria. Al Capo spetta
purificare, al Corpo confessare i peccati; una sola tuttavia è la voce, quando non sta scritto
quando è il Corpo che parla, e quando il Capo; ma noi, nell‘ascoltare la voce, operiamo la
distinzione, mentre Egli parla come se fosse uno solo… Colui che disse a Saulo: Saulo,
Saulo, perché mi perseguiti? Eppure Egli in cielo non soffriva più alcuna persecuzione. Ma
allo stesso modo in cui là il Capo parlava per il Corpo, così anche qui il Capo dice le parole
del Corpo, mentre udite ancora la voce del Capo. Ebbene, anche quando udite le parole del
Corpo, non separatene il Capo; né quando udite le parole del Capo separate il Corpo; perché
non sono più due, ma una sola carne‖ (en. Ps. 37, 6). 389 Gn. litt. 10, 18, 32; en. Ps. 83, 5: ―Noi tutti che siamo i figli di Core e tutti siamo
un uomo solo, poiché unico è il corpo di Cristo. Come infatti non sarebbe un unico uomo se
ha una sola testa? E capo di noi tutti è Cristo; e noi tutti siamo il corpo di quel capo‖. 390 en. Ps. 90, II, 1.
INIZIO E FINE 119
In Cristo Universale viene attuato il primitivo disegno di Dio, e tale disegno
includeva in sé al primo posto, o tempo, la creatura intellettuale. La creazione per il
primo Agostino era perfetta e la salvezza sottintende un ripristino delle creature
dotate di intelligenza. Agostino credeva che il numero degli uomini santi dovesse
sostituire le schiere angeliche cadute. In tal modo l‘intento divino doveva essere
restaurato. Maturando, Agostino abbandonerà l‘idea che i santi servono per
riempire i vuoti provocati dalla ribellione degli angeli. Gli uomini insieme agli
angeli creano il corpo mistico di Cristo.391
Il punto d‘incontro è il Capo che è salito
in Cielo, che è, come sappiamo bene, popolato dagli angeli santi. Gli uomini dopo
la risurrezione saranno uguali agli angeli con i quali godranno del Verbo, in cui gli
angeli sono i primi esseri creati seguiti poi dagli esseri materiali o temporali.392
Ci rimane un difficile problema da interpretare: dove è ora il Cristo
Universale? È forse diviso in due? ovvero il Capo non è collegato al Corpo?
Abbiamo due possibili soluzioni, entrambe presenti nei testi agostiniani, ma mai
uniti in un sistema globale.393
A) Capo e Corpo non sono uniti, perché il Capo sta
391 Gn. litt. 11, 24, 31. 392 Gn. litt. 4, 24, 41; civ. 9, 23. 2. Che gli uomini saranno simili a loro nella
immortalità e felicità, cioè che i giusti in cielo saranno uguali a loro cf. civ.: 22, 17, 20. 3;
11, 13; 7, 35; 8, 24. 3, 25; 10, 1, 1; 11, 4; 12, 1; 20, 14; 21, 6. 1. 2, 13; 22, 29, 1. 30, 2. 393 A. Trapè sostiene che le difficoltà che alcuni trovano nell‘interpretarne il
pensiero agostiniano nasce dalla realtà complessa e misteriosa della Chiesa stessa, una realtà
storica insieme ed escatologica, e non dal pensiero non chiaro di Agostino. Egli ―difese
l‘unità e l‘universalità, l‘apostolicità e la santità della Chiesa. Fu prima di tutto apostolo e
teologo dell‘unità, che suppone, quando è piena, la comunione di fede, di sacramenti e di
amore… Questa dottrina… si fonda su due altre… una cristologica, quella del Cristo totale,
per cui Cristo, come Capo, è sempre presente ed operante nella Chiesa, che è il suo corpo…
un‘altra pneumatologica, quella dello Spirito Santo anima del corpo mistico [cf. serm. 267,
4] per cui il principio ‗della comunione che costituisce l‘unità della Chiesa di Dio‘ è Colui
che in Dio è la ‗comunione del Padre e del Figlio‘ [serm. 71, 20, 30]. Perciò ‗solo la Chiesa
cattolica è corpo di Cristo... Fuori di questo corpo nessuno è vivificato dallo Spirito Santo‘
[ep. 185, 11, 50; cf. Io. ev. tr. 26, 13]… La Chiesa dunque è di natura essenzialmente
escatologica, anche se non esclusivamente… Come non si può dubitare che la Chiesa già qui
in terra sia il regno di Dio, anche se in modo non ancora perfetto: ‗dove ci sono le due
categorie (cattivi e buoni), è la Chiesa del presente; dove c‘è solo la seconda [categoria dei
predestinati], è la Chiesa del futuro... Dunque anche nel presente la Chiesa è il regno di
Cristo e il regno dei cieli‘ [cf. civ. 20, 9, 1]. Perciò due tempi della stessa Chiesa [cf. brevic.
9, 16], non due chiese [ib. 10, 20]‖ (A. TRAPÈ, la voce: Il Teologo, in Il Pensiero,
www.augustinus.it/pensiero/teologo/vpsa_5_06_testo.htm.).
In un‘altra introduzione, Trapè sottolinea la differenza tra gli studiosi cattolici e
protestanti, dove primi (cf. J. RATZINGER, Volk und Haus Gottes in Augustins Lehre von der
Kirche, München 1954; C. JOURNET, L‟ Eglise du Verbe incarné 2, Paris 1951) tendono a
identificare la Chiesa terrestre con quella escatologica, gli secondi invece hanno un altro
approccio e parlano di doppelter Kirchenbegriff (L‟introduzione generale, in A. AUGUSTIN,
120 Z. DJUROVIC
in cielo, il Corpo sulla terra. La chiesa pellegrina deve ancora affaticarsi sulla via394
che la dovrà portare in cielo. La risurrezione di tutti gli uomini e la trasformazione
dell‘universo ancora non è avvenuta. B) Tuttavia, il Cristo terrestre ha pregato per
noi, ha sofferto per noi, noi eravamo in lui. Cristo ha una strettissima relazione con
il suo corpo, e rimarrà con noi fino alla consumazione dei tempi. Il suo Corpo, cioè
―la Chiesa, esiste originariamente là dove, dopo la risurrezione, deve essere riunita
anche la Chiesa di quaggiù‖.395
Qui è il problema: la Chiesa degli angeli è una
realtà extra temporale. La Chiesa, il Cristo Universale ―già‖ esiste. Non esiste
soltanto come un concetto, come una cosa predestinata, ma come una realtà libera
dai confini temporali. L‘immutabilità del piano divino, infatti, dovrebbe
sottintendere ciò. Di conseguenza, il mondo temporale viene sorretto non dal
mondo delle idee situato sopra quello storico, ma dal mondo escatologico, quello
che – come almeno i cristiani sperano – verrà. Agostino si rammarica di aver
sostenuto, da giovane, l‘esistenza di due mondi, l‘uno sensibile e l‘altro
intelligibile. Anche se non era sbagliata l‘idea platonica del mondo intelligibile, il
vocabolo ―nuovo mondo‖ nel linguaggio della Chiesa non assume più un
significato platonico.396
La verità di questo mondo sarà rivelata soltanto con la
storica composizione del Cristo Universale. Come l‘inizio del tempo aveva un
punto di partenza, così la fine dei tempi avrà un confine ben definito, dopo di che si
entrerà nell‘eternità. La visione agostiniana si potrebbe definire in questo modo:
O Državi Božjoj. De civitate dei, I, Zagreb 1982, pp. 74-75). Dopo le ricerche di GILSON
(Introduction à l‟étude de saint Augustin; id., Eglise et Cité de Dieu chez saint Augustin,
AHDL 28 (1953) 5-23), queste due letture ammorbidiscono i toni e provano di conciliarsi. 394 en. Ps. 30, II, 2, 3: ―Giacché senza di Lui noi siamo niente; ma in Lui siamo
Cristo e noi. Perché? Perché il Cristo integrale è Capo e Corpo. Il Capo è quel Salvatore del
Corpo che è già asceso in cielo; il Corpo è invece la Chiesa che si affatica in terra. Se questo
Corpo non fosse unito al suo Capo con il vincolo della carità, in modo da fare uno del Capo
e del Corpo, non avrebbe detto dal Cielo, rimproverando un certo persecutore: Saulo, Saulo,
perché mi perseguiti? Dal momento che Lui, già asceso in cielo, nessun uomo poteva più
toccare, in qual modo Saulo, che in terra incrudeliva contro i cristiani, avrebbe potuto
colpirlo con le sue offese? Non disse: perché perseguiti, i miei santi, perché perseguiti i miei
servi, ma perché mi perseguiti, cioè perché perseguiti le mie membra? Il Capo gridava a
nome delle membra, impersonandole in sé‖.
La chiesa pellegrina è una realtà non totalmente identica con quella escatologica,
perché è un corpus permixtum per volontà di Cristo stesso, come Agostino imparò da
Ticonio. L‘ottimismo trionfante di Eusebio di Cesarea, o di Ottato di Milevi, oppure le
tendenze puritane di Novaziano e di Donato, erano estranee al pensiero d‘Ipponate.
Condivido quanto scrive Michael J. Scanlon: ―This ‗City of God‘ is not identical with the
Church, but it is made manifest by the Church (an understanding similar to Vatican II‘s
‗Church as Sacrament‘)‖ (voce Eschatology, in AugE, p. 317). 395 Gn. litt. 5, 19, 38. 396 retr. 1, 3, 2.
INIZIO E FINE 121
tutto l‘universo è stato creato in seme che si sviluppa col tempo e porta il frutto alla
fine. I limiti di questo processo, punti A e W, hanno le loro cause fuori di sè e,
quindi, non si possono spiegare partendo da essi. Anzi, come essi sono retti
dall‘esterno, così anche la crescita dell‘universo non può essere spiegata soltanto
richiamandosi alle leggi della fisica. Sappiamo che le leggi fisiche non valgono
nelle situazioni estreme: atomo primordiale e fine dell‘universo; e pure non siamo
ancora riusciti a raggiungere quella particella (campo?) che sta nel fondo del nostro
mondo fisico. Non abbiamo risposto alle domande che tormentavano il nostro
autore.
La speculazione agostiniana segue questi due canali per ragioni, secondo il
mio parere, di natura pratica. Egli, infatti, non vorrebbe che la sua teoria del corpo
mistico di Cristo portasse all‘abbandono della vita quotidiana e all‘indifferenza
riguardo al mondo in cui ci troviamo e in cui svolgiamo l‘attività pratico-religiosa.
La sua dottrina della predestinazione conduceva alcuni all‘apatia. Egli criticherà
tale lettura dei suoi scritti nel De correptione et gratia. I monaci di Adrumeto,
infatti, concludevano che, se è necessaria la grazia, è inutile la correzione. In
risposta Agostino approfondisce la dottrina della predestinazione e dell‘efficacia
della grazia, diversa prima e dopo il peccato originale, sostenendo che la grazia,
pur rendendo salutare la correzione, non toglie il libero arbitrio. Dall‘indifferenza
ci salva l‘ignoranza: noi non sappiamo chi mai sia o non sia predestinato, ossia
santo; non dobbiamo perciò fare alcuna eccezione e nessuna distinzione, ma volere
che siano salvi tutti gli uomini per i quali preghiamo.397
Osservando i
comandamenti divini mostreremo, anche se soltanto in speranza, nel miglior modo
che apparteniamo al corpo Universale di Cristo. Proprio tale beata ignoranza ci
dovrebbe aprire a Dio, non immobilizzarci. Sperare è scommettere, come
suggeriva una volta Pascal.
397 Cf. corrept. 15, 46. Un recente studio sulla predestinazione: J. WETZEL, Snares of
Truth: Augustine on Free will and Predestination, in ROBERT DODARO & GEORGE LAWLESS,
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GCS NF
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GM
Greg.
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Revue des Études augustiniennes, Paris.
Recherches Augustiniennes, Paris.
Recherches de Théologie Ancienne et Médiévale, Leuven-
Paris.
Revue des Études Grecques, Paris.
Rivista di Filosopfia neo-scolastica.
Revue d‟Histoire Ecclesiastique, Leuven.
Revue Internationale de Philosophie, Brüssel.
The Review of Metaphysics, Washington.
Rivista di storia e letteratura religiosa, Torino.
Recherches de science religieuse, Paris.
Recherches de Théologie Ancienne et Médiévale, Leuven-
Paris.
The Saint Augustine lecture series: Saint Augustine and
the Augustinian tradition, Villanova.
Sources Chrétiennes, Paris.
ABBREVIAZIONI DI COLLEZIONI E RIVISTE 125
SCJ
SEA
SKGG
SP
SPCK
StP
StPhA
SVF
SVTQ
ThQ
ThSt
TU
TV
Vig. Chr.
ZNW
The Second Century Journal, Abilene.
Studia Ephemeridis Augustinianum, Roma.
Schriften der Königsberger gelehrten Gesellschaft, Halle.
Sussidi Patristici, Roma.
The Society for Promoting Christian Knowledge, London.
Studia patristica. Texte und Untersuchungen zur
Geschichte der altchristlichen Literatur, Berlin.
The Studia Philonica Annual, Oxford.
Stoicorum Veterum Fragmenta, ed. H. VON ARNIM (voll.
1-3) & M. ADLER (vol. 4) Leipzig: Teubner, 1903-1905,
1924.
St. Vladimir‟s Seminary Quarterly, New York.
Theologische Quartalschrift, Tübingen-Stuttgart.
Theological Studies, Woodstock/Maryland.
Texte und Untersuchungen zur Geschichte der
altchristliche Literatur, Leipzig-Berlin.
Teologia y Vida, Chile.
Vigiliae Christianae, Amsterdam.
Zeitschrift für die Neutestamentliche Wissenschaft und die
Kunde der Alteren Kirche, Berlin.
ABBREVIAZIONI DI OPERE DEGLI AUTORI ANTICHI
1. Agostino
agon. = De agone christiano
b. coniug. = De bono coniugali
beata v. = De beata vita
c. acad. = Contra academicos
c. Adim. = Contra Adimantum
c. Faust. = Contra Faustum manichaeum
c. Iul. = Contra Iulianum
c. prisc. et orig. = Contra Priscillianistas et Origenistas
c. s. arian. = Contra sermonem Arianorum
cat. rud. = De catechizandis rudibus
civ. = De civitate dei
conf. = Confessiones
cons. ev. = De consensu evangelistarum
corrept. = De correptione et gratia
div. qu. = De diversis quaestionibus octoginta tribus
div. qu. Simp. = De diversis quaestionibus VII ad Simplicianum
doctr. chr. = De doctrina christiana
en. Ps. = Enarrationes in Psalmos
ench. = Enchiridion ad Laurentium de fide et spe et caritate
ep. = Epistulae
f. et symb. = De fide et symbolo
gest. Pel. = De gestis Pelagii
Gn. c. man. = De Genesi contra manichaeos
Gn. litt. = De Genesi ad litteram
Gn. litt. imp. = De Genesi ad litteram imperfectus liber
gr. et pecc. or. = De gratia Christi et de peccato originali
imm. an. = De immortalitate animae
Io. ev. tr. = Tractatus in evangelium Iohannis
lib. arb. = De libero arbitrio
ABBREVIAZIONI DI OPERE DEGLI AUTORI ANTICHI 127
mag. = De magistro
mor. = De moribus ecclesiae catholicae et de moribus manichaeorum
mus.= De musica
opus imp. = Opus imperfectum contra Iulianum
ord. = De ordine
pecc. mer. = De peccatorum meritis et remissione et de baptismo parvulorum ad
Marcellinum
quant. an. = De quantitate animae
retr. = Retractationes
serm. = Sermones
sol. = Soliloquia
trin. = De trinitate
vera rel. = De vera religione
2. Altri autori antichi
AMBROGIO DI MILANO
Cain = De Cain et Abel
ep. = Epistulae
exp. Ev. Lc. = Expositio evangelii secundum Lucam
hex. = Hexaemeron
in Ps. = Ennarationes in XII psalmos Davidicos
Isaac = De Isaac et anima
parad. = De paradiso
Satyr. = De excessu fratris sui Satyrus
AMBROSIASTER
comm. in Corint. I = Commentaria in Epistolam ad Corinthios Primam
ARISTIDE
apol. = Apologia
ARISTOTELE
anim. = De anima
cael. = De caelo
de gen. an. = De generatione animalium
de gen. corr. = De generatione et corruptione
met. = Metaphysica
Nic. = Ethica Nicomachea
phy. = Physica
top. = Topica
128 Z. DJUROVIC
ATANASIO ALESSANDRINO
or. II c. Arian. = Orationes tres contra Arianos
incarn. = De incarnatione Verbi
BASILIO IL GRANDE
hex. = Homiliae in hexaemeron
CICERONE
Acad. post. = Academica posteriora
nat. deor. = De natura deorum
CIPRIANO
zelo. = De zelo et livore
CLEMENTE DI ALESSANDRIA
exc. ex Theod. = Excerpta ex Theodoto
strom. = Stromateis
DAMASCENO GIOVANNI
fid. = De fide ortodoxa
DAMASCIO
in Parm. = Dubitationes et solutiones de primis principiis in Platonis Parmenidem
DIOGENE
vit. = Vitae philosophorum
EFREM IL SIRO
comm. Gen. = Commentarii in Genesim
parad. = De paradiso
EPIFANIO
panar. = Panarion
ERODOTO
hyst. = hystoriae
ESIODO
Op. dies. = Opera et dies
EUSEBIO DI CESAREA
praep. Ev. = Praeparatio evangelica
hist. = Historia ecclesiastica
FILONE DI ALESSANDRIA
aet. mundi = De aeternitate mundi
leg. all. = Legum allegoriae
opif. = De opificio mundi
provid. = De providentia
quaest. = Quaestiones in Genesim
somn. = De somniis
ABBREVIAZIONI DI OPERE DEGLI AUTORI ANTICHI 129
vita Mos.= De vita Mosis
GIOVANNI CRISOSTOMO
hom. in Gen. = In Genesim
GIROLAMO
apol. = Apologia adversus libros Rufini
in Eccl. = Commentaria in Ecclesiasten
in Mich. = Commentaria in Michaeam
lib. ps. = Liber Psalmorum
quaest. hebr.= Quaestiones hebraicae in Genesim
viris ill. = De viris illustribus
GIULIANO IMPERATORE
c. Galil. = Contra Galilaeos
GIUSEPPE FLAVIO
bell. Iud. = Bellum Iudaicum
GIUSTINO FILOSOFO
apol. = I apologia
GREGORIO NAZIANZENO
carm. dogm. = Carmina dogmatica
or. = Orationes
ep. = Epistulae
GREGORIO DI NISSA
Abl. = Ad Ablabium quod non sint tres dei
anima et res. = De anima et resurrectione dialogus
hex. = Apologia in hexaemeron
homin. opif. = De opificio hominis
in eccl. = In Ecclesiasten
GREGORIO TAUMATURGO
Metaphr. = Metaphrasis in Ecclesiasten Salamonis
ERMA
Past. = Pastor
ILARIO
in Psal. = Tractatus super psalmos
trin. = De trinitate
IPPOLITO
philos. = philosphumena
or. c. Graec. = Oratio contra Graecos
IRENEO
demonstr. = Demonstratio apostolicae praedicationis
130 Z. DJUROVIC
haer. = Adversus haereses
LEONZIO
adv. Nestor. et Eutych. = Libri III adversus Nestorianos et Eutychianos
LUCREZIO
rer. nat. = De rerum natura
MARIO VITTORINO
adv. Ar. = Adversus Arium
in Eph. = In epistolam Pauli ad Ephesios
MASSIMO IL CONFESSORE
amb. = Ambigua
cap. theo. et oecon. = Capita theologiae et oeconomiae
METODIO DI OLIMPO
res. = De resurrectione
NEMESIO
nat. hom. = De natura hominis
OMERO
Il. = Ilias
Od. = Odyssea
ORIGENE
Cels. = Contra Celsum
com. Io. = Commentarii in Johannem
hom. in Gen. = Homiliae in Genesim
princ. = De principiis
sel. in Gen. = Capita selecta in Genesim (fragmenta e catenis)
PAUSANIA
Graec. descript. = Greciae descriptio
PINDARO
Pyth. =Pythia
Nem. = Nemea
PLATONE
ep. = epistulae
epin. = Epinomis
Hipp. maior = Hippias Maior
leg. = Leges
Men. = Meno
Parm. = Parmenides
Phaedo = Phaedo
Phaedr. = Phaedrus
ABBREVIAZIONI DI OPERE DEGLI AUTORI ANTICHI 131
Prot. = Protagoras
rep. = Respublica
Soph. = Sophista
symp. = Symposium
Theaet. = Theaetetus
Tim. = Timaeus
PLOTINO
enn. = Enneades
PLUTARCO
commun. notitiis adv. Stoic. = De communibus notitiis adversus Stoicos
PORFIRIO
abst. = De abstinentia
ad Marc. = Ad Marcellam
isag. = Isagoge
reg. an. = De regressu animae
sent. = Sententia ad intelligibilia ducentes
vita Pl. = Vita Plotini
POSSIDIO
vita Ag. = Vita Augustini
PROCLO
comm. in Pl. Parme. = Commentarium in Platonis Parmenidem
elem. theol. = Elementatio theologica
PROCOPIO DI GAZA
comm. in Gen. = Commentarii in Genesim
PSEUDO-ARISTOTELE
mund.=De mundo
PSEUDO-ATANASIO
quaest. ad Antioch. duc. = Quaestiones ad Antiochum ducem
PSEUDO-CLEMENTE
hom. = Clementis De praedicationibus Petri inter peregrinandum epitome
QUINTILIANO
instit. orat. = Institutio oratoria
RUFINO DI AQUILEIA
apol. c. Hier. = Apologia in Sanctum Hieronymum
RUFINO IL SIRO,
fide. = Liber de fide
SESTO EMPIRICO
Pyrr. Hyp. = Pyrrhoniae hypotyposes
132 Z. DJUROVIC
SIMPLICIO
cael. = In Aristotelis quattuor libros de caelo commentaria
phys. = In Aristotelis physicorum libros commentaria
SOCRATE SCOLASTICO
HE = Historia ecclesiastica
STROBEO
flor. = Florilegium
SUIDA
lex. = Lexicon
TAZIANO
or. = Oratio ad Graecos
TEODORETO DI CIRO
Graec. affection. = Graecarum affectionum curatio
TEOFILO DI ANTIOCHIA
ad Autol. = Apologia ad Autolycum
TERTULLIANO
adv. Marc. = Adversus Marcionem
adv. Prax. = Adversus Praxeam
res. carn. = De resurrectione carnis
VERGILIO
Aen. = Aeneis
ZENONE DI VERONA
tract. = Tractatus
BIBLIOGRAFIA
1. Opere di Agostino in ordine cronologico
386 Contra academicos PL 32, 905-958; CSEL 63; CCL 29; BA 4; NBA III/1.
386 De beata vita PL 32, 959-976; CSEL 63; CCL 29; BA 4; NBA III/1.
386 De ordine PL 32, 977-1020; CSEL 63; CCL 29; BA 4.1; NBA III/1.
386/387 De immortalitate animae PL 32, 1021-1034; CSEL 89; BA 5; NBA III/1.
386/387 Soliloquia PL 32, 869-904; CSEL 89; BA 5; NBA III/1.
386/429 Epistulae PL 33, 61-1162; CSEL 34, 44, 57, 58; NBA XXI-XXIIIA.
387/388 De quantitate animae PL 32, 1035-1080; CSEL 89; BA 5; NBA III/2.
387/389 De moribus ecclesiae catholicae et de moribus manichaeorum PL 32,
1309-1378; CSEL 90; BA 1; NBA XIII/1.
387/391 De musica; PL 32, 1081-1194; BA 7; NBA III/2.
388/389 De Genesi contra manichaeos PL 34, 173-220; CSEL 91; NBA IX/1.
388/395 De libero arbitrio PL 32, 1221-1310; CSEL 74; CCL 29; BA 6; NBA
III/2.
388/395 De diversis quaestionibus octoginta tribus PL 40, 11-100; CCL 44A; BA
10; NBA VI/2.
389 De magistro PL 32, 1193-1220; CSEL 77.1; CCL 29; BA 6; NBA III/2.
389/391 De vera religione PL 34, 121-172; CSEL 77; CCL 32; BA 8; NBA VI/1.
393 De fide et symbolo PL 40, 181-196; CSEL 41; CCL 46; BA 9; NBA VI/1.
394 Contra Adimantum PL 42, 129-172; CSEL 25; BA 17; NBA XIII/2.
393/394 De Genesi ad litteram imperfectus liber PL 34, 219-246; CSEL 28.1;
NBA IX/1.
393/430 Sermones PL 38-39; CCL 41; NBA XXIX- XXXV/2.
396 De diversis quaestionibus VII ad Simplicianum PL 40, 101-148; CCL 44; BA
10; NBA VI/2.
396 De agone christiano PL 40, 284-310; CSEL 41; BA 1; NBA VII/2.
396/420 Enarrationes in Psalmos PL 36-37; CSEL 38-40; NBA XXV- XXVIII/2.
396/426 De doctrina christiana PL 34, 15-122; CSEL 80; CCL 32; BA 11; NBA
VIII.
134 Z. DJUROVIC
397/398 Contra Faustum manichaeum PL 42, 207-518; CSEL 25; NBA XIV, 1-2.
397/401 Confessiones PL 32, 659-868; CSEL 33; CCL 27; BA 13-14; NBA I.
399/419 De trinitate PL 42, 819-1098; CCL 50/50A; BA 15-16; NBA IV.
400 De consensu evangelistarum PL 34, 1041-1230; CSEL 43; NBA X/1.
400 De catechizandis rudibus PL 40, 309-348; CCL 46; BA 11.1; NBA VII/2.
401 De bono coniugali PL 40, 373-396; CSEL 41; CCL 29; BA 2; NBA VII/1.
401/415 De Genesi ad litteram PL 34, 245-486; CSEL 28.1; BA 48-49; NBA IX/2.
406/430 Tractatus in evangelium Iohannis PL 35, 132-1976; CCL 36; BA 71-74A;
NBA XXIV, 1-2.
412 De peccatorum meritis et remissione et de baptismo parvulorum ad
Marcellinum PL 44, 109-200; CSEL 60; NBA XVII/1.
413/427 De civitate dei PL 41, 13-804; CSEL 40; CCL 47-48; BA 33-37; NBA V,
1-3.
415 Contra Priscillianistas et Origenistas PL 42, 669-678; CCL 49; NBA XII/1.
417 De gestis Pelagii PL 44, 319-360; CSEL 42; BA 21; NBA XVII/2.
418 De gratia Christi et de peccato originali PL 44, 359-410; CSEL 42; BA 22;
NBA XVII/2.
418/419 Contra sermonem Arianorum PL 42, 683-708; NBA XII/2.
421 Contra Iulianum PL 44, 641-874; NBA XVIII.
421/422 Enchiridion ad Laurentium de fide et spe et caritate PL 40, 231-290; CCL
46; BA 9; NBA VI/2.
426/427 De correptione et gratia PL 44, 915-946; BA 24; NBA XX.
426/427 Retractationes PL 32, 583-656; CSEL 36; CCL 57; NBA II.
429/430 Opus imperfectum contra Iulianum PL 45, 1049-1608; CSEL 85.1 (libri I-
III); NBA XIX, 1-2.
2. Altri autori antichi
AMBROGIO DI MILANO, De excessu fratris sui Satyrus, PL 16, 1289-1354.
—, De fide orthodoxa contra Arianos, PL 17, 0549-0568 (spuria).
—, Ennarationes in XII psalmos Davidicos, PL 14, 915-1180.
—, Epistolae, PL 16, 849-1286.
—, Expositio evangelii secundum Lucam, ed. C. SCHENKL, CSEL 32/4, 1902.
—, Hexameron, De paradiso, De Cain, De Noe, De Abraham, De Isaac, De bono
mortis, ed. C. SCHENKL, CSEL 32/1, 1896.
—, Il paradiso terrestre; Caino e Abele; introd., trad., note e indici di
P. SINISCALCO, Sant‘Ambrogio, Opere esegetiche 2/1, Milano/Roma 1984.
—, Esamerone, introd., trad. e note a cura di G. BANTERLE, Testi patristici 164,
BIBLIOGRAFIA 135
Roma 2002.
AMBROSIASTER, Commentaria in epistolam ad Corinthios Primam, PL 17, 183-
276.
ANASSAGORA, Testimonia, in DK 46 A.
ARISTIDE, Apologia, in Die Überlieferung der griechischen Apologeten des zweiten
Jahrhunderts in der alten Kirche und im Mittelalter, ed. A. VON HARNACK,
(traduzione latina dall‘armeno) TU 1, Leipzig-Berlin 1991.
ARISTOTELE, Aristotelis Opera, 5 voll., edidit Academia Regia Borussica, ed. A. I.
BEKKER, Berolini 1831-1870.
—, De anima, ed. W. D. ROSS, Oxford 1961 (repr. 1967).
—, De caelo, in ARISTOTE, Du ciel, ed. P. MORAUX, Paris 1965.
—, De generatione animalium, ed. W. D. ROSS, Oxford 1912.
—, De generatione et corruptione, ed. W. D. ROSS, Oxford 1930.
—, Ethica Nicomachea, ed. W. D. ROSS, Oxford 1925 (revised by J. L. ACKRILL
and J. O. URMSON, Oxford 1998).
—, Metaphysica, ed. W. JAEGER, Oxford 1963.
—, Physica, ed. W. D. ROSS, Oxford 1950 (repr. 1966).
—, Topica et sophistici elenchi, ed. W. D. ROSS, Oxford 1958 (repr. 1970).
ATANASIO ALESSANDRINO, De incarnatione Verbi, PG 25b, 96-197.
—, Orationes tres contra Arianos, PG 26, 12-468.
BASILIO IL GRANDE, Homiliae in hexaemeron, in Homilien zum Hexaemeron, hrsg.
von E. A. DE MENDIETA und S.Y. RUDBERG, GCS NF 2, Berlin 1997.
CELSO, Der vAlhqh.j lo,goj des Kelsos, hrsg. R. BADER, Tübinger Beiträge zur
Altertumswissenschaft 33, Stuttgart 1940.
CICERONE, Academica posteriora (Academici libri), in CICERO, De Natura
Deorum. Academica, trans. H. RACKHAM, LCL 268, Cambridge 1933.
—, De Natura Deorum, in CICERO, De Natura Deorum. Academica, trans. H.
RACKHAM, LCL 268, Cambridge 1933.
—, De orator, in CICÉRON, L‟orateur, texte établi et traduit par A. YON, Les Belles
Lettres, Paris 1964.
CIPRIANO, De zelo et livore, PL 4, 637-652.
CLEANTE, Hymn to Zeus, in The fragments of Zeno and Cleanthes, ed. A. C.
PEARSON, London 1891 (rist. anast. New York 1973).
CLEMENTE DI ALESSANDRIA, Excerpta ex Theodoto, in CLÉMENT D‘ALEXANDRIE,
Extraits de Théodote, texte grec, introd. trad. et notes de F. SAGNARD, SC 23,
Paris 1948 (repr. 1970).
136 Z. DJUROVIC
—, Stromata, PG 8-9.
—, CLEMENS ALEXANDRINUS, Stromata Buch I-VI, hrsg. L. FRÜCHTEL, O.
STÄHLIN & U. TREU, GCS 52 (15), 17, Berlin, 1:31960, 2:
21970.
DAMASCENO GIOVANNI, De fide ortodoxa, in Die Schriften des Johannes von
Damaskos, hrsg. P. B. KOTTER, PTS 12, Berlin 1973.
DAMASCIO, Dubitationes et solutiones de primis principiis in Platonis
Parmenidem, ed. C. É. RUELLE, 2 voll., Paris 1899 (repr. 1964).
DIOGENE, Vitae philosophorum, in Diogenis Laertii vitae philosophorum, ed. H. S.
LONG, 2 voll., Oxford 1964 (repr. 1966).
EFREM IL SIRO, De paradiso, in EPHREM DE NISIBE, Himnes sur le Paradis, trad.
par R. LAVENANT, introd. et notes par F. GRAFFIN, SC 137, Paris 1968.
—, Commentarii in Genesim, in Sancti Ephraem Syri in Genesim et in Exodum
Commentarii, ed. R. M. TONNEAU, CSCO 153, Louvain 1955.
EPIFANIO, Panarion, in EPIPHANIUS, Ancoratus und Panarion, hrsg. K. HOLL, GCS
25, Leipzig 1915.
ERACLITO, Peri physeos, in DK 22 B.
ERMA, Pastor, in Die apostolischen Väter I. Der Hirt des Hermas, hrsg. M.
WHITTAKER, GCS 48, Berlin 21967, 1-98.
ERODOTO, Hystoriae, in HERODOTE, Histoires, ed. PH.-E. LEGRAND, Les Belles
Lettres, 9 voll., Paris 1932-1954 (repr. 1960-1968).
ESIODO, Opera et dies, in HESIOD, The Homeric Hymns and Homerica, ed. H. G.
EVELYN-WHITE, London/NY 1914.
EUSEBIO DI CESAREA, Historia ecclesiastica, in EUSEBIUS, Kirchengeschichte,
hrsg. E. SCHWARTZ, Leipzig 1955.
—, Praeparatio evangelica, hrsg. K. MRAS, GCS 21, Berlin 1954.
EUSTAZIO, In hexaemeron sancti Basilii Latina metaphrasis, PL 53, 867-964.
FILONE DI ALESSANDRIA, De aeternitate mundi, ed. L. COHN & S. REITER, Philonis
Alexandrini opera quae supersunt 6, Berlin 1915 (repr. DE GRUYTER, 1962).
—, De opificio mundi, ed. L. COHN, Philonis Alexandrini opera quae supersunt 1,
Berlin 1896 (repr. DE GRUYTER, 1962).
—, De providentia, in PHILO, ed. F. H. COLSON, LCL 9, Cambridge 1941 (repr.
1967).
—, De somniis, ed. P. WENDLAND, Philonis Alexandrini opera quae supersunt 3,
Berlin 1898 (repr. DE GRUYTER, 1962).
BIBLIOGRAFIA 137
—, De vita Mosis, ed. L. COHN, Philonis Alexandrini opera quae supersunt 4,
Berlin 1896 (repr. DE GRUYTER, 1962).
—, Legum allegoriae, ed. L. COHN, Philonis Alexandrini opera quae supersunt 1,
Berlin 1896 (repr. DE GRUYTER, 1962).
—, Quaestiones in Genesim et in Exodum. Fragmenta Graeca, ed. F. PETIT, Les
oeuvres de Philon d‘Alexandrie 33, Paris 1978.
GIOVANNI CRISOSTOMO, In Genesim (homiliae 1-67), PG 53, 21-385; 54, 385-580.
GIROLAMO, Altercatio Luciferiani et Orthodoxi, PL 23, 153-182.
—, Apologia adversus libros Rufini, PL 23, 397-492.
—, Commentaria in Ecclesiasten, PL 23, 1009-1116.
—, Commentaria in Michaeam, PL 25, 1151-1230.
—, Contra Joannem Hierosolytitanum ad Pammachium, PL 23, 355-396.
—, De viris illustribus, PL 23, 601-722.
—, Liber Hebraicarum Quaestionum in Genesim, PL 23, 935-1009.
—, Liber Psalmorum, PL 29, 117-397.
GIULIANO IMPERATORE, Contra Galilaeos, testo critico e trad. a cura di E.
MASARACCHIA, Testi e Commenti 9, Roma 1990.
GIUSEPE FLAVIO, De Bello Judaico in Flavii Iosephi Opera omnia, post I.
BEKKERUM, recognovit S. A. NABER, 6 voll., Lipsiae 1888-1896.
GIUSTINO FILOSOFO, Apologia I, in Iustini Martyris Apologiae pro Christianis, ed.
M. MARCOVICH, PTS 38, Berlin-New York 1994.
The Gospel according to Thomas, edd. A. GUILLAUMONT, H.-CH. PUECH, G.
QUISPEL, W. TILL & YASSAH ‗ABD AL-MASIH, Leiden-New York-London
1959.
GREGORIO MAGNO, Homiliae in Hiezechielem prophetam, PL 76, 781-1072.
—, Moralia in Iob, PL 75-76.
GREGORIO NAZIANZENO, Carmina dogmatica, PG 37, 397-522.
—, Epistulae theologicae (CI, CII, CCII), in GRÉGOIRE DE NAZIANZE, Lettres
théologiques (101, 102, 202), introd. texte critique, trad. et notes par P.
GALLAY, SC 208, Paris 1974.
—, In theophania (or. 38), PG 36, 312-333.
—, GREGORIO DI NAZIANZO, Tutte le orazioni, trad. con testo a fronte e note di C.
SANI e M. VINCELLI, a cura di C. MORESCHINI, Milano 2000.
—, Творения иже во святых отца нашего Григория Богослова, архиепископа
Константинопольского. Ч. 1. Москва 1843.
—, Orationes, NPNF, Series II, 7, trad. P. SCHAFF, New York 1893.
138 Z. DJUROVIC
GREGORIO DI NISSA, Ad Ablabium quod non sint tres dei, ed. F. MUELLER, Gregorii
Nysseni opera 3.1, Leiden 1958, 37-57.
—, Apologia in hexaemeron, PG 44, 61-124.
—, De anima et resurrectione dialogus, PG 46, 12-160.
—, De opificio hominis, PG 44, 124-256.
—, In Ecclesiasten (homiliae 8), ed. P. J. ALEXANDER, Gregorii Nysseni opera 5,
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INDICE GENERALE DELLA TESI
PREMESSA
INTRODUZIONE
1. I Commentari di Agostino sulla Genesi
1. 1. De Genesi contra manichaeos
1. 2. De Genesi ad litteram imperfectus liber
1. 3. De Genesi ad litteram
1. 4. Confessiones XI-XIII
1. 5. De civitate Dei XI
2. Il testo della Genesi 1-3 nei Padri e in Agostino
3. I commentari antichi sulla Genesi 1-3
3. 1. Gli scrittori orientali
3. 1. 1. Ireneo di Lione
3. 1. 2. Teofilo di Antiochia
3. 1. 3. Diodoro di Tarso
3. 1. 4. Teodoro di Mopsuestia
3. 1. 5. Giovanni Crisostomo
3. 1. 6. Severiano di Gabala
3. 1. 7. Efrem il Siro
3. 1. 8. Basilio di Cesarea
3. 1. 9. Gregorio di Nissa
3. 1. 10. Origene
3. 1. 11. Didimo il Cieco
3. 2. I tractatores latini
3. 2. 1. Lattanzio
3. 2. 2. Zenone di Verona
3. 2. 3. Gregorio di Elvira
1
9
9
10
14
16
20
22
23
30
34
34
34
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INDICE GENERALE DELLA TESI 159
3. 2. 4. Girolamo
3. 2. 5. Ambrogio
3. 3. L‟esegesi patristica della Genesi: sguardo conclusivo
4. Le fonti agostiniane
4. 1. Le fonti cristiane utilizzate da Agostino
4. 2. Il background scientifico-filosofico dei commenti genesiaci di
Agostino
5. La protologia è uguale all‟escatologia?
6. L‟esegesi di Agostino
6. 1. Il metodo esegetico nel De genesi contra manichaeos
6. 2. Il metodo esegetico nel De Genesi ad litteram imperfectus
liber
6. 3. Il metodo esegetico nel De Genesi ad litteram
CAPITOLO I: LA CREAZIONE E IL PROBLEMA DEL TEMPO
1. L‟essere increato e l‟essere creato: Dio e l‟Universo
1. 1. Creatio ex nihilo e sue implicazioni
2. L‟eterno e il tempo
2. 1. Il problema del rapporto tra eterno e tempo
2. 2. Vertigo temporis
2. 3. La creazione a-temporale e simultanea
3. La creatura spirituale e quella materiale
3. 1. La luce primordiale: gli angeli tra ragioni causali e
creazione continua
3. 2. Flora e fauna: il mondo materiale
CAPITOLO II: L‘UOMO
1. Le questioni antropologiche
1. 1. La doppia creazione dell‟uomo
1. 2. L‟origine dell‟anima
1. 3. Il rapporto tra anima e corpo
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160 Z. DJUROVIC
2. Il corpo primordiale
2. 1. Il corpo primordiale in Agostino prima del C. Faustum
Manichaeum (397/8)
2. 2. Il corpo primordiale in Agostino dopo il 397/8
CAPITOLO III: INIZIO E FINE
1. La protologia
1. 1. Il rinnovamento dell‟uomo
1. 2. Il rapporto tra Dio e Adamo nel paradiso
1. 3. La caduta degli esseri intellettuali
2. L‟escatologia
2. 1. Il paradiso di Paolo
2. 2. La resurrezione dei corpi
2. 3. Il Totus Christus
ALCUNE CONCLUSIONI IN UNO SGUARDO D‘INSIEME
1. La chiave interpretativa
2. La creazione
3. La struttura piramidale degli esseri
4. Immagine divina
5. Adamo
6. Paradiso
7. Caduta
8. Risurrezione del corpo
9. La condizione dell‟anima dopo la morte
10. L‟anima e lo stato primordiale
11. L‟inizio è uguale alla fine
ABBREVIAZIONI DI COLLEZIONI E RIVISTE
ABBREVIAZIONI DI OPERE DEGLI AUTORI ANTICHI
1. Agostino
2. Altri autori antichi
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INDICE GENERALE DELLA TESI 161
BIBLIOGRAFIA
1. Opere di Agostino in ordine cronologico
2. Altri autori antichi
3. Studi
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INDICE GENERALE DELL‘ESTRATTO
PREMESSA
CAPITOLO II: L‘UOMO
1. Le questioni antropologiche
1. 1. La doppia creazione dell‟uomo
1. 2. L‟origine dell‟anima
1. 3. Il rapporto tra anima e corpo
2. Il corpo primordiale
2. 1. Il corpo primordiale in Agostino prima del C. Faustum
Manichaeum (397/8)
2. 2. Il corpo primordiale in Agostino dopo il 397/8
CAPITOLO III: INIZIO E FINE
1. La protologia
1. 1. Il rinnovamento dell‟uomo
1. 2. Il rapporto tra Dio e Adamo nel paradiso
1. 3. La caduta degli esseri intellettuali
2. L‟escatologia
2. 1. Il paradiso di Paolo
2. 2. La resurrezione dei corpi
2. 3. Il Totus Christus
ABBREVIAZIONI DI COLLEZIONI E RIVISTE
ABBREVIAZIONI DI OPERE DEGLI AUTORI ANTICHI
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INDICE GENERALE DELL‘ESTRATTO 163
1. Agostino
2. Altri autori antichi
BIBLIOGRAFIA
1. Opere di Agostino in ordine cronologico
2. Altri autori antichi
3. Studi
INDICE GENERALE DELLA TESI
INDICE GENERALE DELL‘ESTRATTO
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