la responsabilità del cessionario d'azienda per debiti del...
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La responsabilità del cessionario d'azienda per debiti del cedente
L’analisi della sentenza: Cass., sez. III, 30 giugno 2015, n. 13319
1.1. I fatti originanti la decisione
1.2. Le decisioni di primo e secondo grado
1.3. L’argomentazione della Corte di Cassazione
1.3.1. La nozione di azienda
1.3.2. La cessione di azienda e di ramo d’azienda quale vicenda circolatoria tipica
1.3.3. La nozione di ramo d’azienda e l’operazione di identificazione del ramo oggetto
di trasferimento
1.4. La vicenda dei debiti relativi all’azienda ceduta (art. 2560 c.c.)
1.4.1. L’ambito di applicabilità della disposizione
1.4.2. I debiti pregressi risultanti dai libri contabili obbligatori relativi alla gestione del
ramo di azienda ceduto
1.4.3. Limiti alla responsabilità dell’acquirente
1.5. Il principio secondo cui l’acquirente risponde solo dei debiti pregressi relativi al
ramo ceduto
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Introduzione
La sentenza della Cassazione n. 13319 del 30 giugno 2015, ripropone un tema
che sin dagli anni ’70 (come è possibile rilevare da un’analisi degli interventi
giurisprudenziali) vede confrontarsi orientamenti diversi. Si fa riferimento alla
questione se, in presenza della cessione di un ramo di azienda, l'acquirente debba
rispondere dei debiti pregressi risultanti dai libri contabili obbligatori relativi alla
gestione del ramo di azienda ceduto.
Il caso risulta particolarmente interessante in quanto ha visto come
protagoniste due società, di cui una, ritenuta debitrice solidale per l'acquisto
dell'azienda (in seguito a una fornitura non pagata) ha contestato di essere
obbligata solidale. Il focus del contendere ha riguardato, in particolare, il fatto
che la società convenuta aveva acquistato non la totalità dell’azienda, ma solo un
ramo aziendale, a cui era estranea la merce fornita, che riguardava invece il
settore aziendale rimasto di proprietà della società cedente il ramo aziendale.
L’analisi di questa controversia richiede una serie di passi successivi,
diretti a chiarire alcuni elementi chiave della fattispecie.
Un primo tema fa riferimento alla nozione di “ramo d’azienda”. Il nuovo
comma 5 dell’art. 2112 c.c. ha introdotto la nozione di ramo d’azienda accanto a
quella di azienda. Il primo è definito come una «articolazione funzionalmente
autonoma di un’attività economica organizzata, identificata come tale dal cedente
e dal cessionario al momento del suo trasferimento».
Il nuovo testo ripropone la questione se l’autonomia funzionale del ramo
debba preesistere al trasferimento oppure possa derivare da un atto di volontà del
cedente e del cessionario. Essi, infatti, al momento del trasferimento, possono
scorporare un ramo dell’azienda rendendolo autonomo.
Una seconda fase dell’analisi intende analizzare il tema della vicenda dei
debito nella cessione di un ramo d’azienda. La successione nel credito o nel
debito riguarda, infatti, i rapporti contrattuali non ancora eseguiti interamente:
essa è disciplinata dall’art. 2559 c.c. e opera ipso iure tra le parti.
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A seguito dell'analisi e delle premesse appena enunciate, si sposterà
l’attenzione su un primo quesito affrontato dai giudici di primo e di secondo
grado: vale a dire se effettivamente, nel caso analizzato, sia avvenuto un
trasferimento di un ramo d’azione ovvero dell’intera azienda. Nel primo caso,
infatti, l'accollo ex lege dei debiti deve avvenire proporzionalmente e cioè in base
al valore della parte dell'azienda ceduta rispetto all'intero compendio aziendale.
Successivamente, ci si propone di entrare nel merito della decisione della
Cassazione evidenziandone alcuni elementi ritenuti dirimenti:
a) se la presenza di una contabilità unitaria, possa impedire all’acquirente di un
ramo di azienda di conoscere i debiti pregressi di cui deve rispondere
(individuando i debiti inerenti al ramo di azienda acquistato);
b) se la presenza di un'unica contabilità e di un unico avviamento costituisca un
fondamento giuridicamente coerente per addebitare all’acquirente il pagamento
di tutti debiti aziendali;
c) se risulti condivisibile l’affermazione secondo cui nella cessione di ramo di
azienda il bilanciamento di interessi previsto dal legislatore si realizzi solo
ritenendo che l'acquirente di un ramo di azienda risponda dei debiti che fanno
riferimento (secondo le scritture contabili) alla parte di azienda a lui trasferita. In
caso contrario si darebbe luogo a una disuguaglianza fra l'acquirente di un ramo
di azienda con contabilità separata (che risponde solo dei debiti aziendali
separatamente iscritti nelle scritture contabili), e l'acquirente di un ramo di
azienda con contabilità unitaria (che risponde di tutti debiti aziendali pregressi).
d) se infine risulti pienamente soddisfacente il principio, affermato dalla
Cassazione nel 2015 secondo cui l’acquirente di un ramo d’azione non risponde
non solo dei debiti che dalle scritture contabili non risultino relativi alla parte
d'azienda da lui acquistata, ma nemmeno pro quota per i debiti relativi alla
gestione complessiva dell'impresa dell'alienante.
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Capitolo primo
L’analisi della sentenza:
Cass., sez. III, 30 giugno 2015, n. 13319
1.1. I fatti originanti la decisione
La sentenza della Cassazione n. 13319 del 30 giugno 2015, ripropone un
tema che sin dagli anni ‘70 (come è possibile rilevare da un’analisi degli interventi
giurisprudenziali) vede confrontarsi orientamenti diversi. Si fa riferimento alla
questione se, in presenza della cessione di un ramo di azienda, l’acquirente debba
rispondere dei debiti pregressi risultanti dai libri contabili obbligatori relativi alla
gestione del ramo di azienda ceduto.
Il caso risulta particolarmente interessante in quanto ha visto come
protagoniste due società, di cui una, ritenuta debitrice solidale per l’acquisto
dell’azienda (in seguito a una fornitura non pagata) ha contestato di essere obbligata
solidale. Il focus del contendere ha riguardato, in particolare, il fatto che la società
convenuta aveva acquistato non la totalità dell’azienda, ma solo un ramo aziendale,
a cui era estranea la merce fornita, che riguardava invece il settore aziendale rimasto
di proprietà della società cedente il ramo aziendale.
La vertenza, portata davanti al Tribunale di Udine, ha riguardato una
controversia insorta tra una s.r.l. (Friudis) e una s.n.c. (Larice Carni) in relazione ad
un debito pregresso relativo a una fornitura di carne e ammontante a 294 milioni di
lire. Tale fornitura era stata effettuata a favore di S.M., titolare di un supermercato
che rientrava in un settore aziendale non ricompreso nel trasferimento. Il ricorrente
(Larice Carni) ha citato in giudizio la Friudis, sostenendo che quest’ultima era
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debitrice solidale per l’acquisto dell’azienda dello stesso S.M., ai sensi dell’art.
2560, comma 2, c.c1.
La Friudis, costituendosi in giudizio, ha contestato di essere obbligata
solidale in quanto, come si legge nello svolgimento del processo, «aveva acquistato
non la totalità della azienda, ma solo un ramo aziendale, a cui era totalmente
estranea la merce fornita dalla Larice Carni, che riguardava invece il settore
aziendale rimasto di proprietà di S.M.».
1 Art.2560 c.c. Debiti relativi all'azienda ceduta "L'alienante non è liberato dai debiti, inerenti all'esercizio dell'azienda ceduta anteriori al trasferimento, se non risulta che i creditori vi hanno consentito. Nel trasferimento di un'azienda commerciale risponde dei debiti suddetti anche l'acquirente dell'azienda, se essi risultano dai libri contabili obbligatori."
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1.2. Le decisioni di primo e secondo grado
In primo grado il Tribunale di Udine ha condannato la Friudis a pagare il
debito della Larice Carni nella misura corrispondente al valore attribuito dal
consulente tecnico d’ufficio al ramo di azienda ceduto, vale a dire nella misura dello
0,693973 dell’intero debito.
Secondo il giudice, infatti, la fattispecie del trasferimento di un ramo di
azienda è disciplinata dall’art. 2560, comma 2, c.c. Nello stesso tempo, però,
l’accollo legale dei debiti deve avvenire in modo proporzionale, vale a dire in base al
valore della parte dell’azienda ceduta rispetto all’intero compendio aziendale, sulla
base di una perizia estimativa.
L’art. 2560 c.c., rubricato “Debiti relativi all’azienda ceduta”, stabilisce la primo
comma che «l’alienante non è liberato dai debiti, inerenti all’esercizio dell’azienda
ceduta anteriori al trasferimento, se non risulta che i creditori vi hanno consentito».
Il comma 2, fulcro della sentenza n. 133919 del 2015, prevede a sua volta che «nel
trasferimento di un’azienda commerciale risponde dei debiti suddetti anche
l’acquirente dell’azienda, se essi risultano dai libri contabili obbligatori».
Sulla base di questa disposizione il Tribunale di Udine ha condannato la
Friudis, acquirente del supermercato di S.M., a pagare il debito relativo alla fornitura
di carne effettuato a vantaggio di quest’ultimo prima del trasferimento dell’azienda.
In sede di appello, la Corte ha respinto il ricorso presentato dalla Friudis (nel
frattempo trasformatisi in Gros Market Italia) e ha confermato la pretesa della Larice
Carni a vedersi corrispondere il credito relativa alla fornitura.
La Corte di appello ha evidenziato, infatti, come non fosse stato trasferito un ramo
d’azienda, ma l’intera azienda. Ne derivava che la vicenda debitoria non poteva
essere circoscritta alla sola porzione aziendale trasferita, cui faceva riferimento il
debito relativo alla fornitura di carne, ma doveva essere considerata con riferimento
alla totalità dell’azienda, dal momento che «prima del 1987 l’azienda era unica, con
una sola contabilità ed unico avviamento commerciale».
Impugnando per cassazione, la Fraudis ha evidenziato come la Larice Carni,
nel suo appello incidentale, non avesse messo in discussione che era stato ceduto un
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solo ramo d’azienda. La Corte d’appello aveva reso, pertanto, un giudizio improprio
(in quanto esorbitante) nel petitum, presupponendo che vi fosse stata la cessione
dell’intera azienda. Questo rilievo è stato accolto dalla Corte di Cassazione, la quale,
con la sentenza n. 26414 del 2009, aveva rinviato la causa alla stessa Corte di
appello di Trieste. I giudici di secondo grado, tenendo presente il rilievo della Corte
di legittimità (vale a dire la cessione di un ramo di azienda), ha stabilito che «il
cessionario di un ramo di azienda, data la sussistenza di un’unica contabilità ed un
unico avviamento, era tenuto al pagamento di tutti debiti aziendali». Secondo la
Corte, infatti, «i creditori in tanto [avevano] effettuato le forniture in quanto
potevano contare sull’intero patrimonio aziendale, come rappresentato dai libri
contabili».
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1.3. L’argomentazione della Corte di Cassazione
Chiamata nuovamente a decidere sul caso, la Corte di Cassazione ha avviato
la sua riflessione focalizzando l’attenzione sulla nozione di trasferimento d’azienda
e di ramo d’azienda. Secondo la società ricorrente, infatti, la Corte di appello aveva
commesso un errore nel ritenere che l’acquirente di un ramo d’azienda deve
rispondere di tutti i debiti pregressi dell’intera azienda.
I giudici di legittimità hanno sottolineato, innanzitutto, come «fino al codice
civile del 1942 mancava nel nostro ordinamento giuridico una disciplina relativa
all’azienda ed alla sua circolazione»2. Anche dopo l’entrata in vigore del Codice
civile, peraltro, il quadro normativo presenta alcuni aspetti problematici che
richiedono la preliminare precisazione di «cosa debba intendersi per azienda e per
ramo di azienda».
1.3.1. La nozione di azienda
Un primo elemento di analisi preso in esame dalla Cassazione è la nozione di
azienda.
L’art 2555 c.c.3 definisce l’azienda come «il complesso dei beni organizzati
dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa».
Il legislatore ha distinto, dal punto di vista giuridico, il concetto di azienda da quello
dell’impresa, nonostante essi vengano utilizzati spesso come sinonimi all’interno del
linguaggio comune.
In dottrina4 è stata evidenziata, sulla base del combinato disposto degli artt.
2082 c.c.5 e 2555 c.c., l’esistenza di una correlazione tra questi due concetti:
2 Cass., sez. III, 30 giugno 2015, n. 13319. 3 Art.2555 c.c. Nozione "L'azienda è il complesso dei beni organizzati dall'imprenditore per l'esercizio dell'impresa" 4 Cfr. G.E. Colombo, L’azienda e il mercato, in Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico dell’economia, a cura di F. galgano, vol. III, Padova, Cedam, 1979, p. 1 e ss.; G. Auletta, N. Salanitro, Diritto Commerciale, Milano, Giuffré, 2012, pp. 33-34; S. Pugliese, Cessione d’azienda, in Le operazioni straordinarie, a cura di G. Barbara, A.M. Faienza, S. Pugliesi, F. Salerno, C.B. Vanetti, Torino, Giappichelli, 2010, p. 2; D. Iannelli, in La giurisprudenza sul codice civile coordinata con la dottrina, libro V del lavoro (artt. 2555-2594) tomo I, a cura di D. Iannelli, M. Barbuto, Milano, Giuffré, 2012, p. 5.
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l’impresa consisterebbe nell’attività economica svolta dall’imprenditore attraverso
l’organizzazione di mezzi patrimoniali e personali diretti al suo esercizio.
Il termine “azienda” indicherebbe invece l’apparato strumentale dei beni utilizzati ed
organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa. Si potrebbe, quindi,
attribuire all’impresa un carattere soggettivo (attività economica inscindibile
dall’imprenditore stesso) e all’azienda un carattere “oggettivo” (complesso di beni
unificati ed organizzati, costituenti la proiezione del patrimonio e del presupposto
per l’esercizio dell’impresa). Tra i due concetti sussisterebbe, quindi, un rapporto da
mezzo a fine: l’imprenditore si avvarrebbe dell’azienda per lo svolgimento e nello
svolgimento della propria attività d’impresa6.
La distinzione tra il concetto di azienda e quello di impresa è confermata dal
fatto che, in concreto, vengano ammesse delle ipotesi in cui i due elementi non
coesistano. Potrebbe, infatti, ben sussistere un’impresa senza azienda (come nel caso
in cui l’attività economica oggetto di una società iscritta nel registro delle imprese
sia stata programmata, ma, di fatto, non sia stata ancora organizzata ed iniziata);
come anche un’azienda senza impresa (nel caso in cui l’attività d’impresa, per un
periodo di tempo non venga più esercitata a causa del fallimento, dell’interdizione,
della morte o della volontà dell’imprenditore).
Il “complesso di beni” a cui fa riferimento il legislatore può essere costituito
sia da beni materiali (mobili ed immobili), che da beni immateriali (come, ad
esempio, i brevetti, le opere dell’ingegno o i segni distintivi), purché essi vengano
destinati dall’imprenditore all’esercizio dell’impresa. Il titolo giuridico (obbligatorio
o reale) sulla base del quale l’imprenditore è legittimato ad utilizzarli non avrebbe
rilievo ai fini di questo riconoscimento7.
5 Art.2082 c.c. Imprenditore "È imprenditore chi esercita professionalmente un'attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi" 6 G. F. Campobasso, Diritto commerciale, vol.1 Diritto dell’impresa, Torino, Utet, 2009, p. 138. 7 Cons. di stato 18 giugno 2008, n. 3029, in Foro amm. CDS, 2008, 6, 1726 (s.m.). secondo cui «ai sensi dell’ art. 2555 c.c., condizione necessaria e sufficiente perché un bene possa considerarsi aziendale è la destinazione funzionale ad esso impressa dall’imprenditore, mentre è irrilevante il titolo giuridico (reale o obbligatorio) che legittima l’imprenditore ad utilizzarlo nel processo produttivo». Potrebbero, quindi, essere considerati beni aziendali anche quelli che non rientrano nella sfera di proprietà dell’imprenditore ma che vengano utilizzati all’interno del processo produttivo sulla base di un titolo giuridico differente (ad esempio, i locali in cui svolge l’attività di impresa se affittati o i macchinari posseduti in leasing); mentre non dovranno essere considerati come aziendali, i beni di proprietà dell’imprenditore che non
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Nella dottrina e nella giurisprudenza è controverso il significato da attribuire
al termine “beni” contenuto nell’art. 2555 c.c.: si è discusso sul far rientrare, o
meno, tra questi, anche i rapporti giuridici inerenti all’esercizio dell’attività
d’impresa, quali ad esempio i rapporti contrattuali posti in essere con i lavoratori
subordinati.
Un primo orientamento8 interpreta in senso restrittivo il concetto di bene
aziendale, sostenendo che gli elementi costitutivi dell’azienda siano solo le cose, in
senso stretto, di cui l’imprenditore si avvarrebbe per l’esercizio dell’impresa. Tra i
beni aziendali rientrerebbero, dunque, solo le «cose che possono formare oggetto di
diritti » ex art. 810 c.c.9.
I fautori di questa teoria ritengono che la disciplina civilistica del trasferimento
d’azienda non offra alcun argomento a favore dell’attribuzione di un significato
differente e più ampio al termine “bene” nell’art. 2555 c.c. Questa conclusione
troverebbe una giustificazione solo nel caso in cui, dalle norme relative al
trasferimento d’azienda, risultasse che i rapporti debbano necessariamente seguire le
sorti dell’azienda. I rapporti dovrebbero essere qualificati, pertanto, come elementi
essenziali, elementi senza i quali l’azienda non potrebbe più essere considerata tale.
Anche se la normativa prevede il sub-ingresso del cessionario nei contratti stipulati
per l’esercizio dell’impresa, le parti possono decidere di escludere la successione di
tutti i rapporti posti in essere, senza che l’atto perda la sua natura di cessione
d’azienda.
Si tratterebbe, quindi, di un mero “effetto naturale”10 del trasferimento.
I rapporti non dovrebbero essere considerati come elementi essenziali dell’azienda,
in quanto le parti hanno il potere di “eliminarli” senza compromettere la
qualificazione come azienda del residuo.
Secondo un altro orientamento, prevalente soprattutto in giurisprudenza11,
tale interpretazione restrittiva non terrebbe conto delle realtà (come ad esempio le
vengono destinati allo svolgimento dell’attività di impresa (ad esempio, l’abitazione principale di proprietà dell’imprenditore). 8 G.F. Campobasso, Diritto commerciale, cit., p. 141; G.E. Colombo, L’azienda e il mercato, in Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico dell’economia, Padova, Cedam, 1979, p. 19 ss. 9 Art.810 c.c. Nozione "Sono beni le cose che possono formare oggetto di diritti " 10 G. E. Colombo, L’azienda e il mercato, cit., p. 24.
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società di servizi) in cui il capitale umano (ossia i rapporti contrattuali) siano
prevalenti rispetto ai beni in senso materiale. Bisognerebbe, quindi, considerare
come beni aziendali, non soltanto gli strumenti reali ma anche quelli personali, come
le obbligazioni e i diritti sorti dai rapporti giuridici posti in essere durante l’esercizio
dell’impresa. Il complesso apparato strumentale nel quale si concretizza l’azienda,
non si risolverebbe e nelle cose materiali che lo compongono, ma si estenderebbe
anche ai servizi coordinati con esse. Essi dovrebbero essere considerati elementi
costituenti dell’azienda, dal momento che quest’ultima, privata dei suoi elementi di
carattere personale, resterebbe una «mole inerte di beni che non assurge a vivente e
compiuto organismo»12.
Sulla base di questa interpretazione estensiva, si dovrebbero considerare
come “beni aziendali” tutti gli elementi patrimoniali utilizzati dall’imprenditore
nell’esercizio della propria attività, siano essi beni in senso stretto, crediti verso i
clienti, debiti verso i fornitori, rapporti di lavoro con il personale o contratti stipulati
dall’imprenditore durante la propria attività13.
Nella sua sentenza n. 13319 del 2015 la Cassazione ha fatto riferimento alla
decisione delle Sezioni Unite n. 5087 del 2014. In questa pronuncia i giudici di
legittimità hanno ribadito la difficoltà «di confrontarsi con la classificazione dei
beni contenuta negli artt. 810 e 817 c.c., per qualificare l’azienda come bene
mobile o immobile o come universalità di beni, nella definizione dell’art. 816 c.c.,
tesi questa prevalente nella giurisprudenza di legittimità».
Le Sezioni Unite hanno evidenziato come il solo elemento materiale
dell’azienda (il complesso di beni mobili o immobili) non ne esaurisce la nozione,
dal momento che entra in gioco un elemento ulteriore, rappresentato dalla
organizzazione degli stessi beni da parte dell’imprenditore e dalla loro
“funzionalizzazione” per l’esercizio dell’impresa. L’elemento decisivo, secondo le
Sezioni Unite, è l’oggettività dell’azienda, considerata unitariamente come oggetto
di diritti.
11 Cass. 9 giugno 1981, n. 3723, in Giust. civ., 1981, I, 2942; Cass. 11 agosto 1990, n. 8219. 12 G. E. Colombo, L’azienda e il mercato, cit., p. 24. 13 Cass. 16 gennaio 1987, n. 360, in Giust. civ. Mass. 1987, fasc. 1, secondo cui l’azienda deve essere intesa come «comprendente cose materiali, mobili ed immobili, cose immateriali (ditta, insegna ecc.), rapporti di lavoro con il personale, debiti e crediti con la clientela».
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1.3.2. La cessione di azienda e di ramo d’azienda quale vicenda circolatoria tipica
Un secondo passaggio dell’analisi condotta dalla Corte di Cassazione ha
riguardato l’esame della «disciplina prevista in via generale per il trasferimento
dell’azienda nel suo complesso, al fine di valutarne l’applicabilità anche all’ipotesi
di trasferimento di un parte dell’azienda, cosiddetto "ramo di azienda"».
Il trasferimento di azienda (o di ramo d’azienda) si ha quando un soggetto
trasferisce ad altri la propria organizzazione (o una parte di essa) e non singoli
beni14. Gli aspetti formali del contratto di cessione, o di affitto, d’azienda sono
disciplinati dal codice civile all’interno dell’art. 2556 c.c.15.
Questo è ripartito in due comma, analizzando i quali è possibile distinguere
differenti profili: da un lato, quello inerente alle formalità previste dal legislatore al
fine della validità del contratto ed al suo piano probatorio; dall’altro, quello attinente
alla pubblicità dell’atto ed alla sua opponibilità ai terzi16.
La dottrina concorda sul fatto che il trasferimento dell’azienda non comporta
la successione nell’impresa, ma soltanto nei rapporti aziendali.
L’art. 2558 c.c. stabilisce che «se non è pattuito diversamente, l’acquirente
dell’azienda subentra nei contratti stipulati per l’esercizio dell’azienda stessa che
non abbiano carattere personale. Il terzo contraente può tuttavia recedere dal
contratto entro tre mesi dalla notizia del trasferimento, se sussiste una giusta causa,
salvo in questo caso la responsabilità dell’alienante. Le stesse disposizioni si
applicano anche nei confronti dell’usufruttuario e dell’affittuario per la durata
dell’usufrutto e dell’affitto».
14 V. Speziale, Il trasferimento d’azienda tra disciplina nazionale ed interpretazioni “vincolanti” della Corte di Giustizia Europea, working paper, 2006, p. 11 ss.; G. Santoro Passarelli, La nozione di azienda trasferita tra disciplina comunitaria e nuova normativa nazionale, in Arch. dir. lav., 2001, p. 578 ss. 15 Art.2556, Imprese soggette a registrazione "Per le imprese soggette a registrazione i contratti che hanno per oggetto il trasferimento della proprietà o il godimento dell'azienda devono essere provati per iscritto, salva l'osservanza delle forme stabilite dalla legge per il trasferimento dei singoli beni che compongono l'azienda o per la particolare natura del contratto . I contratti di cui al primo comma, in forma pubblica o per scrittura privata autenticata, devono essere depositati per l'iscrizione nel registro delle imprese, nel termine di trenta giorni, a cura del notaio rogante o autenticante" 16 F. Ferrara jr., F. Corsi, Gli imprenditori e le società, Milano, Giuffrè, 2011, p. 123.
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In sostanza, in caso di cessione d’azienda, l’acquirente subentra nei contratti stipulati
per l’esercizio dell’azienda stessa, salvo che essi abbiano un carattere personale17.
Quindi, la cessione d’azienda determina automaticamente la cessione dei rapporti
contrattuali senza che occorra una manifestazione del consenso: la successione del
contratto opera, cioè, de iure nei confronti delle parti, a prescindere dal loro
consenso, autorizzazione o dalla stessa conoscenza del cessionario.
Il terzo contraente ha però la facoltà di recedere ex nunc dal contratto entro tre mesi
dalla notizia del trasferimento, se vi è una giusta causa, salva la responsabilità
dell’alienante.
La Cassazione, nella sentenza n. 13319 del 2015 ha evidenziato, in particolare, come
con l’art. 2558 c.c. il legislatore abbia manifestato il suo favor per l’unità economica
dell’azienda. Esso si esprime in una serie di importanti deroghe alla disciplina della
cessione dei contratti di cui all’art. 1406 c.c..
La categoria dei contratti stipulati per l’esercizio dell’azienda comprende sia i
contratti d’azienda, vale a dire i contratti conclusi per il godimento diretto e
immediato dei beni aziendali, sia i contratti d’impresa, ossia quelli stipulati per
l’esercizio dell’azienda stessa. Questo secondo tipo di contratto assume un
particolare rilievo dal momento che con essi «l’impresa si assicura i fattori
produttivi necessari all’organizzazione, lo svolgimento dell’attività (ad esempio i
contratti di fornitura o di distribuzione)»18.
Devono ricorrere però due presupposti: in primo luogo che il contratto sia a
prestazioni corrispettive e, in secondo luogo, che esso sia ancora in corso di
esecuzione o debba essere eseguito. Diversamente, risulta applicabile la normativa
relativa alla successione nel debito o nel credito.
Come ha evidenziato la Cassazione, l’art. 2558 c.c. «tutela l’interesse
dell’acquirente a poter immediatamente proseguire l’attività dell’impresa e quello
dell’alienante, che non avrebbe interesse alla conservazione di tali contratti una
17 C.M. Bianca, Diritto civile, Milano, Giuffrè, 2010, p. 212. 18 V. Bavaro, Il trasferimento d’azienda, Milano, Giuffrè, 2012, p. 171.
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volta ceduta l’azienda. E’ una disposizione eccezionale rispetto alla tutela prevista
dal diritto comune per il terzo contraente»19
La successione nel credito o nel debito fa riferimento ai rapporti contrattuali che non
sono stati ancora eseguiti interamente. Il termine “rapporto pendente” indica un
rapporto contrattuale concluso tra le parti, ma non ancora esaurito. Ciò significa che
non vi è stato ancora l’adempimento completo di tutte le prestazioni da parte dei
contraenti e il contratto non ha ancora prodotto il suo effetto giuridico.
La dottrina sottolinea come l’espressione “rapporti pendenti" sia più appropriata
rispetto a quella di “rapporti giuridici preesistenti”. Infatti, il rapporto può essere
preesistente alla cessione dell’azienda, ma non pendente.
La cessione del credito è disciplinata dall’art. 2559 c.c.
Questa norma opera automaticamente tra le parti, prevedendo il passaggio ipso iure
dei crediti a chi acquista l’azienda.
La cessione del credito assume efficace nei confronti del debitore ceduto con la sua
accettazione o quando gli è stata notificata, dal momento che per il creditore è
indifferente l’identità del debitore. L’art. 2559 c.c. stabilisce infatti che il debitore
ceduto è liberato se paga in buona fede all’alienante. Per quel che riguarda la sua
struttura, il negozio di cessione è un contratto attraverso cui il cedente ed il
cessionario si accordano per modificare il rapporto di credito/debito.
Questo accordo fa sì che il cessionario subentri nella titolarità del credito. La
dottrina si è chiesta se il negozio di cessione sia bilaterale o plurilaterale. La tesi
minoritaria, cosiddetta dualista, ritiene che la cessione può avere sia un carattere
bilaterale che trilaterale, a seconda che il debitore ceduto intervenga o meno al
negozio accettandolo. La tesi cosiddetta unitaria sostiene, invece, che un negozio
non può avere due strutture distinte. La cessione di credito ha sempre una struttura
bilaterale, dal momento che si tratta di un negozio stipulato solo tra cedente e
cessionario, al quale è estraneo il debitore ceduto20.
19 Cass., sez. III, 30 giugno 2015, n. 13319. 20 M.C. Bianca, Diritto civile, cit., p. 582.
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1.3.2. La nozione di ramo d’azienda e l’operazione di identificazione del ramo og-
getto di trasferimento
L’attuale disciplina del trasferimento d’azienda è il risultato di successivi
interventi legislativi.
Il codice civile conteneva una norma, l’art. 2112, a tutela dei diritti dei
singoli lavoratori nel caso di trasferimento d’azienda. In seguito questa disciplina è
stata perfezionata in attuazione di alcune direttive comunitarie.
In particolare l’art. 47 della legge 428/1990, che ha recepito la direttiva 77/187/CEE
del 14 febbraio 1977, ha integrato il testo dell’art. 2112 c.c. e ha aggiunto una
disposizione relativa ai diritti di informazione e consultazione collettiva.
Nello stesso tempo l’art. 47 ha introdotto una disciplina specifica in relazione alle
situazioni di crisi aziendale21.
Successivamente il d.lgs. 18/2001, attuando la direttiva 50/98/CE del 26
giugno 1998, ha sia sostituito l’art. 2112 c.c., che modificato l’art. 47 della 1.
428/1990.
La novità più importante è il fatto che, per la prima volta, viene introdotta una
specifica nozione giuslavoristica di trasferimento d’azienda e di ramo d’azienda.
Infine, l’art. 32 del d.lgs. 276/2003 ha cercato di ridefinire la fattispecie del
trasferimento di ramo d’azienda22.
Come si è detto, il nuovo comma 5 dell’art. 2112 c.c. individua gli elementi
fondamentali della fattispecie del trasferimento d’azienda e di ramo d’azienda.
Esso stabilisce, infatti, che «ai fini e per gli effetti di cui al presente articolo si
intende per trasferimento d’azienda qualsiasi operazione che, in seguito a cessione
contrattuale o fusione, comporti il mutamento nella titolarità di un’attività
economica organizzata, con o senza scopo di lucro, preesistente al trasferimento e
che conserva nel trasferimento la propria identità a prescindere dalla tipologia 21 R. Romei, Il trasferimento di azienda e gli orientamenti della dottrina, in Trasferimento di ramo d’azienda e rapporto di lavoro, Milano, Giuffrè, 2005, p. 299; G. Santoro Passarelli, Trasferimento d’impresa: un delicato compromesso tra tutela individuale, mercato del lavoro e sviluppo economico, in Arg. dir. lav., 2005, p. 711 ss.; L. Menghini, L’attuale nozione di ramo d’azienda, in Lav. giur., 2005, p. 422 ss. 22 G. Santoro Passarelli, La nozione di azienda trasferita tra disciplina comunitaria e nuova normativa nazionale, cit., p. 579.
16
negoziale o dal provvedimento sulla base della quale il trasferimento è attuato ivi
compresi l’usufrutto o l’affitto di azienda. Le disposizioni del presente articolo si
applicano altresì al trasferimento di parte dell’azienda, intesa come articolazione
funzionalmente autonoma di un’attività economica organizzata, identificata come
tale dal cedente e dal cessionario al momento del suo trasferimento».
Questa disposizione delinea per la prima volta una nozione di trasferimento
d’azienda e di ramo d’azienda che opera solo nell’ambito del diritto del lavoro23.
L’azienda viene definita come «attività economica organizzata, con o senza scopo
di lucro, preesistente al trasferimento e che conserva nel trasferimento la propria
identità». Il ramo d’azienda, invece, è definito come «articolazione funzionalmente
autonoma di un’attività economica organizzata, identificata come tale dal cedente e
dal cessionario al momento del suo trasferimento».
La dottrina osserva che il trasferimento del ramo costituisce uno degli
strumenti principali per realizzare le esternalizzazioni. Con questo termine, si indica
«quel fenomeno di segmentazione produttiva con il quale l’impresa, per mezzo di
contratti commerciali, decentra ad altri soggetti attività o funzioni produttive più o
meno importanti, al fine di concentrarsi sul core business. Il trasferimento di una
parte dell’azienda costituisce una delle forme tipiche dei processi di outsourcing,
con i quali si cedono ad altri imprenditori interi settori aziendali»24.
Questa operazione, oltre a permettere all’impresa di riorganizzarsi nel modo ritenuto
più efficace, garantisce all’imprenditore, dal punto di vista del diritto lavoro, altri
vantaggi. Soprattutto l’impresa può diminuire l’organico senza essere condizionata
dai limiti formali e sostanziali imposti dalla disciplina dei licenziamenti individuali e
collettivi.
Ad esempio, nella sentenza della Cassazione n. 22232 del 200625 la Corte ha
confermato l’impossibilità di applicare la normativa prevista dall’art. 2112 c.c., al
fenomeno delle c.d. esternalizzazioni di funzioni, servizi o uffici che «siano stati
23 In precedenza occorreva fare riferimento ai concetti elaborati nell’ambito del diritto commerciale. 24 V. Speziale, Il trasferimento d’azienda tra disciplina nazionale ed interpretazioni “vincolanti” della Corte di Giustizia Europea, cit., p. 20. 25 Cass., 17 ottobre 2006, n. 22232, in www.falcri.it.
17
accorpati al solo fine dell’atto traslativo, inidoneo, come tale, ad esplicare effetti
diretti sui singoli rapporti di lavoro, interessati alla cessione».
Nel caso particolare era stata esclusa la sussistenza dei requisiti per
configurare una cessione di azienda nel trasferimento (ricondotto dalla società
cedente e dalla cessionaria al fenomeno di outsourcing) da una società ad altra del
ramo d’azienda “servizi generali”, in base al rilievo che non era stata data la prova
della sussistenza di un’autonomia operativa e finanziaria del ramo di azienda ceduto.
Richiamando numerosi precedenti specifici sulla materia26, la Cassazione ha
precisato che la c.d. esternalizzazione dei servizi è riconducibile alla nozione di
cessione d’azienda solo «a fronte di un’attenta ricostruzione circa l’effettiva
autonomia dell’entità ceduta rispetto alla parte rimanente dell’azienda». Per evitare
quindi di evitare di dover chiedere il consenso del lavoratore alla cessione del
proprio contratto, prevista dall’art. 1406 c.c., e quindi per ritenere legittima
l’operazione di trasferimento, senza la necessaria adesione di ciascun singolo
lavoratore, «deve essere offerta la prova concreta che il complesso dei beni ceduti
fosse dotato di un’autonomia organizzativa ed economica preesistente al
trasferimento». Solo ad un effettivo ramo di azienda che operi con questa autonomia
può essere riconosciuta l’applicabilità della normativa sul trasferimento di azienda.
Nella versione introdotta dal d.lgs. 18/2001 l’art. 2112, comma 5, seconda
parte, c.c. prevedeva che «le disposizioni del presente articolo si applicano altresì al
trasferimento di parte dell’azienda, intesa come articolazione funzionalmente
autonoma di un’attività economica organizzata ai sensi del presente comma,
preesistente come tale al trasferimento e che conserva nel trasferimento la propria
identità».
La questione centrale riguardava il significato da attribuire all’espressione
«funzionalmente autonoma». La dottrina si era chiesta, cioè, se l’autonomia del
ramo dovesse preesistere ed essere tale già nell’ambito della struttura organizzativa
del cedente oppure potesse anche derivare successivamente da un atto di volontà del
cedente all’atto del trasferimento. La prima interpretazione era prevalsa e si riteneva
26 Cass. 17 ottobre 2005, n. 20012, in Foro it., 2005, I, c. 344; Cass. 17 giugno 2005, n. 13068, in Foro it., 2005, I, c. 1234; Cass. 10 gennaio 2004, n. 206, in Riv. dir. civ., 2004, II, p. 231.
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che l’autonomia funzionale dovesse essere un elemento oggettivo del ramo ceduto
già prima del subentro del nuovo titolare27.
In seguito l’art. 2112, comma 5, seconda parte, c.c. è stato modificato dall’art. 32
del d.lgs. 276/2003, in quanto il legislatore ha cercato di ampliare la fattispecie del
trasferimento di ramo d’azienda.
Oggi, esso prevede che «le disposizioni del presente articolo si applicano altresì al
trasferimento di parte dell’azienda, intesa come articolazione funzionalmente
autonoma di un’attività economica organizzata, identificata come tale dal cedente e
dal cessionario al momento del suo trasferimento».
Il nuovo testo ripropone quindi la questione se l’autonomia funzionale del ramo
debba preesistere al trasferimento oppure possa derivare da un atto di volontà del
cedente e del cessionario. Essi, infatti, al momento del trasferimento, possono
scorporare un ramo dell’azienda rendendolo autonomo. Anche dopo la riforma,
comunque, la dottrina e la giurisprudenza maggioritarie ritengono preferibile la
prima interpretazione. Esse fanno notare, infatti, che l’art. 2112 c.c. introduce una
disciplina inderogabile a tutela del lavoratore. La sua inderogabilità non permette,
quindi, di «rimettere alle parti stipulanti del negozio traslativo la libera
determinazione della fattispecie, pena lo snaturamento della norma stessa»28.
Una posizione minoritaria ritiene, invece, che la riforma del 2003 abbia voluto
incidere sia sulla capacità negoziale del cedente e del cessionario nell’operazione di
identificazione del ramo oggetto di trasferimento, sia sull’aspetto temporale rispetto
al quale verificare l’esistenza dell’autonomia funzionale del ramo stesso.
Ciò si spiega con l’obiettivo di rendere più fluidi e facili i processi di
esternalizzazione di fasi della produzione dell’impresa.
La modifica introdotta dal d.lgs. n. 276/2003 ha aggiunto al requisito
dell’articolazione funzionalmente autonoma anche «un criterio soggettivo o
27 Cass., 16 aprile 2006 n. 8017, Juris data on line; Cass., 30 dicembre 2003, n. 19842, in Foro it., 2004,1, c. 1095 ss. 28 G. Santoro Passarelli, Il trasferimento di parte dell’azienda tra libertà dell’imprenditore e tutela dei lavoratori, in Trasferimento di ramo d’azienda e rapporto di lavoro, Milano, Giuffrè, 2005, p. 15.
19
volontaristico», basato «sull’ampia libertà riconosciuta alle parti nella
configurazione del ramo d’azienda»29.
Per quel che riguarda poi il parametro temporale, l’art. 2112 c.c. ha reso possibile
che l’autonomia, «dal momento che non deve risultare anteriore alla conclusione
dell’accordo traslativo, possa presentarsi all’atto del trasferimento meramente
potenziale, in grado, cioè, di garantire solo astrattamente l’idoneità del nucleo di
beni e rapporti ceduti ad essere organizzati per l’esercizio di un’attività»30.
29 G. Santoro Passarelli, Trasferimento d’impresa: un delicato compromesso, cit., p. 718. 30 Trib. Torino, 17 dicembre 2005, in Arg. dir. lav., 2006, II, p. 1773 ss., secondo cui «fermo restando che l’attività ceduta deve essere dotata di una propria specifica autonomia funzionale, questa non deve essere preesistente, ma può essere verificata fino alla cessione sicché può trattarsi di una condizione che - a quel momento - può essere meramente potenziale».
20
1.4. La vicenda dei debiti relativi all’azienda ceduta (art. 2560 c.c.)
1.4.1. L’ambito di applicabilità della disposizione
Per quanto riguarda i debiti dell’esercizio dell’azienda ceduta, anteriori al
trasferimento, l’art. 2560 c.c. stabilisce l’accollo da parte dell’acquirente dei debiti
relativi all’azienda ceduta. Il comma 1 dello stesso articolo precisa che «l’alienante
non è liberato dai debiti, inerenti all’esercizio dell’azienda ceduta anteriori al
trasferimento, se non risulta che i creditori vi hanno acconsentito».
La stessa norma, al comma 2, stabilisce che «quando si trasferisce un’azienda
commerciale risponde dei debiti suddetti anche l’acquirente dell’azienda, se essi
risultano dai libri contabili obbligatori»31.
Ciò significa che il debitore principale non è liberato dai debiti da lui assunti, ma è
obbligato solidalmente, in quanto chi subentra può non essere a conoscenza
dell’esistenza del debito, se non è riportato nei libri contabili. Tale disposizione dà
luogo, quindi, ad una solidarietà nel debito tra cedente e cessionario, lasciando però
aperto il problema di chi nei rapporti interni sia il debitore principale anche se ha
ceduto l’azienda.
Nella sentenza n. 13319 del 2015 la Cassazione ha rilevato, innanzitutto, come
«nella disposizione dell'art. 2560 c.c., è rinvenibile una duplice ratio: la prima è
quella di tutelare i terzi creditori, che avendo fatto affidamento sull'azienda per la
realizzazione dei loro crediti, nel caso di trasferimento della stessa, potrebbero
vedere diminuita la propria garanzia con la sostituzione di un importante bene del
patrimonio del debitore con una somma di denaro, la cui nota volatilità metterebbe
in pericolo la realizzazione dei crediti; la seconda è quella di tutelare l'interesse
economico collettivo alla facilità di circolazione dell'azienda, che sarebbe
sicuramente rallentata se il cessionario acquistando l'azienda non fosse messo in
31 Il richiamo dell’art. 2560 ai libri contabili obbligatori si riferisce all’art. 2214 comma 1 del codice civile. Secondo questo articolo, l’imprenditore che esercita un’attività commerciale deve tenere obbligatoriamente: il libro giornale; il libro degli inventari; le altre scritture contabili che siano richieste dalla natura e dalle dimensioni dell’impresa.
21
grado di conoscere esattamente l'esposizione debitoria di cui sarebbe responsabile
insieme al cedente»32.
La dottrina ha espresso, peraltro, opinioni diverse circa l’applicazione dell’art. 2560
c.c. ai rapporti contrattuali.
Secondo un orientamento dottrinale, l’art. 2560 c.c. si applica anche rapporti
contrattuali, dal momento che esso è dettato nell’interesse dei terzi, in modo tale che
essi possano rivalersi sia sul cedente che sul cessionario. L’art. 2560 c.c.
presenterebbe quindi una sostanziale coerenza con il comma 2 dell’art. 255833.
Ne deriva che l’acquirente dell’azienda subentra solo dei rapporti contrattuali che
risultano dai libri contabili obbligatori. Invece, nel caso di cessione di aziende non
commerciali, come è stato rilevato, «è opportuno inserire nel contratto di
trasferimento una clausola con la quale limitare la responsabilità dell’acquirente ai
rapporti contrattuali a lui noti».
Infatti, in base all’art. 2559 c.c. «il credito relativo all’azienda ceduta è opponibile
al debitore e ai terzi con la notifica della cessione al debitore o la sua accettazione
o, comunque, dal momento dell’iscrizione del trasferimento nel registro delle
imprese. Nei confronti del debitore è sufficiente la semplice conoscenza della
cessione da parte di quest’ultimo. Infatti il debitore è liberato se paga in buona fede
all’alienante»34.
Sulla base di queste considerazioni, la dottrina rileva che l’accordo concluso dalle
parti relativamente al destino delle passività aziendali, nell’ambito di un contratto di
compravendita di azienda, regola solo i rapporti che intercorrono tra esse (l’accordo
ha cioè una valenza meramente interna). Invece, per quanto riguarda i rapporti con i
terzi creditori la responsabilità patrimoniale per i debiti relativi all’azienda trasferita
sussiste sia in capo al cedente che in capo al cessionario, fatta eccezione per i debiti
relativi all’azienda trasferita che non risultano dai libri contabili obbligatori e per i
debiti relativi all’azienda trasferita per i quali risulta l’espresso consenso del terzo
creditore alla liberazione del cedente.
32 Cass., sez. III, 30 giugno 2015, n. 13319. 33 C.M. Bianca, Diritto civile, cit., p. 213. 34 M. Berzaghi, Successione nei contratti aziendali, in www.overlex.it.
22
In particolare, nel caso di passività che risultano dai libri contabili obbligatori che le
parti hanno convenuto di mantenere in capo al cedente, il terzo creditore può
comunque richiedere direttamente l’adempimento al cessionario, senza necessità di
escutere in via preventiva il cedente. Resta il fatto però che, nel caso in cui il
cessionario faccia opposizione alla richiesta di adempimento, il terzo creditore ha
l’onere di provare l’inerenza e la funzionalità del debito al complesso aziendale
acquisito dal cessionario.
1.4.2. I debiti pregressi risultanti dai libri contabili o bbligatori relativi alla ge-
stione del ramo di azienda ceduto
Il punto focale della decisione della Cassazione nella sentenza n. 13319 del
2015 ha riguardato il tema dell’iscrizione dei debiti, relativi all’esercizio
dell’azienda ceduta, nei libri contabili obbligatori.
Il secondo comma dell’art. 2560 c.c. stabilisce che «nel trasferimento di
un’azienda commerciale risponde dei debiti suddetti anche l’acquirente
dell’azienda, se essi risultano dai libri contabili obbligatori». Il legislatore prevede
quindi, anche se in modo implicito, che l’azienda rappresenta la prima garanzia del
creditore aziendale. Quest’ultimo può, infatti, soddisfare il suo credito rivolgendosi
soggetto che possiede l’azienda a cui i debiti fanno riferimento, indipendentemente
alle pattuizioni intercorse tra le parti nel contratto di compravendita.
Ne deriva che il cessionario (vale a dire il soggetto che riceve l’azienda) risponde
non solo delle passività aziendali che gli sono state trasferite (insieme all’azienda) in
base al contratto, ma anche delle passività aziendali che, sempre in base al contratto,
le parti hanno concordato di mantenere in capo al cedente35.
Questo principio dettato a tutela del creditore aziendale è soggetto, però, a un
limite fondamentale, previsto esplicitamente dall’art. 2560 c.c.
Tale limite si propone di mediare tra le esigenze di tutela del creditore e quelle
relative all’affidamento del cessionario. La norma stabilisce, infatti, che la
responsabilità legale del cessionario per i debiti relativi al complesso aziendale opera
35 C.M. Bianca, Diritto civile, cit., p. 214.
23
solo con riferimento alle passività che «risultano dai libri contabili obbligatori»,
tenuti dal cedente. Questa disposizione permette al cessionario di conoscere in modo
puntuale e dettagliato il passivo aziendale che, in seguito alla compravendita, risulta
gravare su di lui (per lo meno in termini di responsabilità patrimoniale verso i
terzi)36.
E’ utile ricordare brevemente come l’azienda sia una realtà dinamica che
opera in modo continuativo e senza interruzioni fino a quando, per i motivi più
disparati, non cessa di esistere. Durante la sua esistenza essa necessita, come ogni
altra attività economica, di un’informativa adeguata per svolgere le proprie
operazioni e per raggiungere gli obiettivi prefissati. Per questi motivi la gestione
aziendale, pur procedendo senza soluzione di continuità, viene suddivisa in esercizi,
alla fine di ognuno dei quali viene redatto il bilancio.
L’art. 2214, comma 1, c.c. stabilisce che l’imprenditore che esercita
un’attività commerciale deve tenere obbligatoriamente: il libro giornale; il libro
degli inventari; le altre scritture contabili che siano richieste dalla natura e dalle
dimensioni dell’impresa. Il bilancio di esercizio costituisce il documento basilare del
sistema informativo aziendale37. L’attuale impianto normativo sul bilancio di
esercizio è costituito dagli articoli 2423-2435-bis del codice civile38. Tali norme
sono il frutto del decreto legislativo 9 aprile 1991, n. 127, recante “Attuazione delle
direttive n. 78/660/CEE e n. 83/349/CEE in materia societaria, relative ai conti
annuali e consolidati, ai sensi dell’articolo 1, comma 1, della legge 29 marzo 1990,
n. 69” 39.
36 M. Salvatore, Brevi riflessioni sugli effetti della cessione d’azienda e sui presupposti per la individuazione di un rapporto processuale inscindibile, in Giur. it., 1991, I, p. 585. 37 B. Passaponti, Il bilancio dell’azienda elettrica nel quadro dei bilanci a contenuto obbligatorio, Milano, Giuffrè, 1990, p. 59; A. Palma, Il bilancio di esercizio e il bilancio consolidato, Milano, Giuffrè, 1999, p. 2; A. Quagli, Bilancio di esercizio e principi contabili, Torino, Giappichelli, 2006, p. 5. 38 Gli articoli menzionati fanno parte del Libro quinto, Del lavoro, Titolo V, Delle società, Capo V, Della società per azioni, Sezione IX, Del bilancio. 39 Il decreto ha innovato profondamente la materia, recependo in Italia la direttiva del Consiglio Europeo del 25 luglio 1978, meglio nota come "Quarta direttiva comunitaria in materia di conti annuali delle società di capitali", e la direttiva del 13 giugno 1983, conosciuta come "Settima direttiva in materia di bilancio consolidato dei gruppi di imprese". Il quadro normativo è stato modificato con l’emanazione del d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6 (“Riforma organica della disciplina delle società di capitali e società cooperative”), a sua volta integrato e corretto dal d.lgs. 28 dicembre 2004, n. 310 (“Integrazioni e correzioni alla disciplina del diritto societario ed al testo unico in materia bancaria e creditizia”), e dal d.lgs. 30 dicembre 2003, n. 394 (“Attuazione della direttiva n. 65/2001 che modifica le direttive n.
24
Il bilancio di esercizio svolge una duplice funzione: informativa, in favore di
soci, creditori attuali e potenziali, investitori, ecc.; e organizzativa: infatti, come
afferma un autore, «le regole relative al risultato del singolo esercizio e, più in
generale, alla destinazione ed all’impiego del valore del patrimonio netto, si
riferiscono ai valori che risultano dal relativo bilancio, e, più in particolare, dal
conto economico e dallo stato patrimoniale»40.
Negli ultimi decenni, l’importanza del bilancio è notevolmente aumentata,
trasformandosi da semplice strumento informativo verso coloro che conferiscono il
capitale di rischio in uno «strumento complesso di comunicazione nei confronti di
una vasta ed eterogenea classe di interessi»41.
La dottrina presenta, in particolare, due orientamenti circa la finalità del
bilancio. Secondo una prima opinione, il bilancio ha la finalità principale di
conservare l’integrità del capitale netto42. Un altro orientamento ritiene invece che il
bilancio abbia una preminente e specifica finalità informativa.
Un autore43, in particolare, rileva che il significato originario della parola “bilancio”
va cercato nel procedimento di saldo dei conti determinato dalla chiusura dei conti
stessi.
Dal momento che i conti rappresentano la sintesi contabile delle operazioni
compiute nella gestione aziendale, il bilancio fornisce quindi un’informazione
sintetica sulle stesse operazioni44.
660/1978 e n. 635/1983, per quanto riguarda le regole di valutazione per i conti annuali e consolidati di taluni tipi di società, nonché di banche e di altre istituzioni finanziarie”). L’ambito di applicabilità di questo regime non è però limitato alle società di capitali (S.p.A., S.r.l. e S.A.p.A.). Esso è esteso alle società cooperative (art. 2519 c.c.), alle società di mutua assicurazione (art. 2547 c.c.), ai consorzi tra imprese svolgenti attività esterne (limitatamente alla situazione patrimoniale, art. 2625-bis c.c.) e ad ogni altra impresa commerciale incluso l’imprenditore individuale (limitatamente ai criteri di valutazione, art. 2217 c.c.). 40 G. Ferri jr., Patrimonio, capitale e bilancio, in AA.VV., Diritto delle società. Manuale breve, Milano, Giuffrè, 2004, p. 108. 41 A. Provaroli, Il bilancio di esercizio destinato a pubblicazione, Milano, Giuffrè, 1974, p. 158. 42 G. Ferri, La valutazione in bilancio delle partecipazioni azionarie, in Riv. dir. comm., 1974, I, p. 195. La dottrina (P. Andrei, S. Azzali, A.M. Fellegara, E. Orlandoni, Il bilancio di esercizio, Milano, Giuffrè, 2003, p. 130) osserva infatti che il bilancio è un documento che la funzione di render conto sull’operato dell’organo esecutivo. Gli amministratori, infatti, attraverso il bilancio possono informare sui risultati della gestione rendendo conto ai proprietari del capitale investito e del mandato avuto da loro. In altre parole, il bilancio assolve la funzione di «evidenziare i frutti del capitale investito dai proprietari nell’azienda, cioè la variazione subita dallo stesso a causa del susseguirsi delle operazioni gestionali (reddito)». 43 G.E. Colombo, La formazione del bilancio, in Trattato delle società per azioni, diretto da Colombo e Portale, Vol. 7*, Torino, Utet, 1994, pp. 388-389.
25
Il bilancio ha quindi la funzione di imparziale informazione di tutti gli interessati
sulla composizione (aspetto qualitativo) e sull’entità (aspetto quantitativo) del
patrimonio della società al termine di ogni esercizio e sugli utili conseguiti o sulle
perdite sofferte nell’esercizio medesimo45.
L’art. 2423 c.c. stabilisce che «gli amministratori devono redigere il bilancio
di esercizio, costituito dallo stato patrimoniale, dal conto economico e dalla nota
integrativa». Stato patrimoniale e conto economico sono documenti di natura
contabile: essi formano quello che viene definito il bilancio in senso stretto, il quale
si propone di esprimere, in modo sintetico e sistematico, la situazione patrimoniale e
finanziaria dell’impresa, nonché le modalità di formazione del risultato economico46.
La nota integrativa è un documento “posto al servizio” del bilancio, per renderlo più
comprensibile e favorire, mediante le informazioni aggiuntive prescritte nel
documento, la conoscenza della situazione patrimoniale, finanziaria ed economica
dell’impresa47.
In sintesi, la sua funzione è quella di illustrare e integrare i sintetici dati quantitativi
evidenziati con lo stato patrimoniale ed il conto economico.
Riportando l’attenzione sull’art. 2560 c.c., si è ricordato come, secondo
questa norma, la responsabilità legale del cessionario per i debiti relativi al
complesso aziendale opera solo con riferimento alle passività che «risultano dai
libri contabili obbligatori», tenuti dal cedente. Ne deriva, in primo luogo, che
l’accordo concluso dalle parte in relazione alle passività aziendali, nell’ambito di un
contratto di cessione di azienda:
a) regola solo i rapporti che intercorrono tra le parti stesse;
44 Questa seconda tesi è stata confermata dalla ricezione nell’ordinamento italiano della quarta direttiva comunitaria, la quale pone in rilievo il criterio di chiarezza del bilancio proprio in funzione del suo carattere informativo. 45 Questa impostazione è stata accolta dalla giurisprudenza che, già con la sentenza del Tribunale di Milano del 23 dicembre 1968 ha inaugurato un “nuovo corso” nell’individuazione delle funzioni del bilancio d’esercizio. In essa si legge infatti che «la normativa che regola la redazione del bilancio d’esercizio... non è volta in via immediata e diretta ad evitare pregiudizi patrimoniali ai soci o ai terzi»; «l’oggetto principale ed immediato di quelle norme va intravisto nell’informazione cui sono tenuti amministratori e sindaci non solo nell’interesse dei soci, ma anche dei terzi, cioè di coloro che a diverso titolo entrano in contatto con la società, così come nell’interesse della società medesima»: Trib. Milano 23 dicembre 1968, in Giur. it., 1969, I, 2, p. 129. 46 Per quanto riguarda le modalità di esposizione dei valori, le norme concernenti lo stato patrimoniale sono esposte negli artt. 2424-2424-bis del codice civile, mentre quelle attinenti al conto economico si trovano negli artt. 2425-2425-bis del codice stesso. 47 A. Palma, Il bilancio di esercizio e il bilancio consolidato, cit., p. 9.
26
b) ma non opera con riferimento ai rapporti con i terzi creditori, a prescindere da
quanto stabilito nel contratto di cessione: in questo caso, quindi la responsabilità
patrimoniale per i debiti relativi all’azienda trasferita sussiste sia in capo al cedente
che in capo al cessionario, con due eccezioni: i debiti relativi all’azienda trasferita
che non risultano dai libri contabili obbligatori e i debiti relativi all’azienda trasferita
per i quali il terzo creditore ha acconsentito alla liberazione del cedente.
In particolare, nel caso di debiti attestati dai libri contabili e che le parti
hanno concordato di mantenere in capo al cedente, il terzo creditore può richiedere
direttamente l’adempimento al cessionario, senza necessità di escutere in via
preventiva il cedente. Se il cessionario si oppone alla richiesta di adempimento, il
terzo creditore deve provare «l’inerenza e la funzionalità del debito al complesso
aziendale acquisito dal cessionario»48.
L’iscrizione dei debiti nei libri contabili obbligatori rappresenta, quindi, l’elemento
costitutivo della responsabilità solidale del cessionario. Questo elemento non può
essere sostituito da altre modalità di conoscenza dei debiti da parte del cessionario,
dal momento che l’art. 2560 c.c. non permette un’interpretazione analogica.
In conclusione, il cedente deve farsi carico sia dei debiti non registrati che i
debiti registrati solo sui libri contabili facoltativi. L’assenza dei libri contabili
esonera, pertanto, da ogni responsabilità, il cessionario per i debiti relativi
all’azienda
1.4.3. Limiti alla responsabilità dell’acquirente
Nel suo ricorso in Cassazione, la Friudis ha evidenziato come la Corte di
appello avesse commesso un errore nel ritenere che l’acquirente di un ramo di
azienda debba rispondere di tutti i debiti pregressi dell’intera azienda.
Questo errore, secondo la società ricorrente si era fondato su un’erronea
interpretazione della nozione di “ramo d’azienda” e sulla conseguente inadeguata
applicazione dell’art. 2560 c.c.
48 Cass., sez. I, 16 maggio 1997 n. 4351; Cass., sez. I, sentenza 26 aprile 1977 n. 1580.
27
La Cassazione, nella sua sentenza del 2015, ha convenuto che il ramo
d’azienda non possa essere considerato come un elemento operativo privo di
autonomia.
Esso, al contrario, deve essere qualificato come «un complesso organizzato di beni
strutturato con un’autonoma attività produttiva funzionalmente preesistente e quindi
qualificabile come azienda commerciale».
Ne derivano alcune conclusioni che costituiscono il “cuore” della sentenza della
Cassazione. Vale a dire che:
a) l’elemento che caratterizza la cessione di ramo d’azienda è l’identità
“funzionalmente autonoma” dell’entità economica trasferita: essa preesiste come
tale al trasferimento e conserva nel trasferimento la propria identità;
b) deve essere altresì salvaguardato l’interesse economico della collettività alla
facile circolazione dell’azienda, la ratio dell’art. 2560 c.c. è quella di impedire che
creditori dell’imprenditore vengano privati, con l’alienazione dell’azienda, di quei
beni sui cui hanno fatto affidamento come garanzia dei loro crediti;
c) lo stesso art. 2560 c.c. è una norma inderogabile e trova applicazione anche nel
trasferimento di un ramo dell’azienda. Quest’ultimo, come si è detto, è infatti un
complesso produttivo che ha una autonoma capacità di iniziare o proseguire
l’attività di impresa. Esso costituisce, quindi, un elemento patrimoniale di cui i
creditori dell’impresa hanno tenuto conto come garanzia dei loro crediti.
A questo punto si colloca, quindi, il problema dell’applicazione dell’art.
2560, comma 2, c.c. nelle ipotesi di cessione di ramo di azienda.
Questa questione, come osserva la Cassazione, «presenta particolari aspetti di
delicatezza».
I giudici hanno osservato che nella controversia tra la Larice Carni e la
Friudis vi era stata una cessione di ramo di azienda: il primo aveva tenuto per sé
l’attività di macelleria, mentre aveva ceduto alla società Friudis l’attività costituita
da tutti i restanti reparti del supermercato. Il debito (pregresso alla cessione), di cui
la Friudis era stata chiamata a rispondere come acquirente del ramo di azienda, era
relativo ad una fornitura di carne.
La Corte d’appello, come si è già ricordato, ha evidenziato come la società
cedente avesse una contabilità unitaria e non separata per il ramo ceduto. Quindi,
28
anche in presenza della cessione di ramo di azienda, l’acquirente doveva rispondere
in solido con l’alienante di tutti debiti aziendali, e quindi anche del debito relativo
alla parte dell’azienda rimasta in proprietà del cedente.
La Cassazione ha assunto, invece, una posizione diversa.
I giudici di legittimità partono, in modo generale, dalla considerazione che la
giurisprudenza della Corte di Giustizia ha adottato, in un primo tempo, una nozione
molto ampia di trasferimento d’impresa49.
Quest’ultimo sussisteva infatti ogni volta che un’attività (non un’entità) economica
era trasferita da un soggetto a un altro50. Secondo la Corte, quindi, non era
necessario il passaggio di un elemento materiale tra i due soggetti, ma era sufficiente
che il secondo continuasse o riprendesse la stessa attività esercitata dal primo51.
In una seconda fase, anche la Corte di Giustizia ha cambiato orientamento e
ha adottato una nozione più ristretta. A partire dal 1997 essa ha affermato che la
nozione di “attività economica rilevante” per l’applicazione della disciplina in tema
di trasferimento d’impresa presuppone «un complesso organizzato di persone e cose
finalizzato all’esercizio di un’attività economica»52.
Anche per la Corte europea, quindi, per configurare il trasferimento di azienda o di
ramo d’azienda non è sufficiente la semplice successione nello svolgimento di
un’attività, dal momento che un’attività economica «non può essere ridotta
all’attività che le è stata affidata»53. E’ invece necessario il trasferimento anche di
elementi patrimoniali, compresi i rapporti di lavoro.
49 Ciò sulla base della dir. 77/187/CEE. La direttiva non forniva una precisa definizione di azienda trasferita, ma fissava il proprio ambito di applicazione con riferimento a tutti quei casi in cui il trasferimento avesse ad oggetto «imprese, stabilimenti o parti di stabilimenti». 50 Corte giust., 18 marzo 1986, C-24/84, Spijkers, in Foro it. 1989, IV, v. 14 ss.; Corte giust., 12 novembre: 1992, C-209/91, Watson Rask, in Not. giur. lav., 1992, p. 863 ss.; Corte giust., 14 aprile 1994, C-392/92 Schimdt, in Riv. it. dir. lav., 1995, II, p. 608 ss.; Corte giust., 7 marzo 1996, C-171/94 e C-172/94, Merete, in Not. giur. lav., 1996, p. 482 ss. 51 Questa posizione della Corte europea non era stata accolto dalla giurisprudenza italiana, la quale riteneva che il trasferimento d’azienda presupponesse anche il trasferimento di alcuni elementi materiali (cioè “beni”). 52 Corte giust., 11 marzo 1997, C-13/95, Suzen, in Riv. it. dir. lav., 1998, II, p. 651 ss.; Corte giust., 10 dicembre 1998, C-127/96, C-229/96, C-74/97, Hernandez Vidal, Santner, Gomez Montana, in Not. giur. lav., 1999, p. 132 ss.; Corte giust., 10 dicembre 1998, C-173/96, C-24/76, Sanchez Hidalgo, in Mass. Giur. lav., 1999, p, 98 ss.; Corte giust., 24 gennaio 2002, C-51/00, Temco, in Foro it., 2002, IV, c. 142 ss.; Corte giust., 20 novembre 2003, C-340/01, Abler, in Riv. it. dir. lav., 2004, II, p. 463 ss. 53 Corte giust., 11 marzo 1997, C-13/95, Suzen, cit, punto 15.
29
Questo nuovo orientamento ha influenzato il legislatore comunitario, che ha
adottato una nozione d’impresa che presuppone il trasferimento di un’entità
economica, intesa come un insieme di mezzi organizzati.
L’art. 1, lett. b) della dir. 98/50/CE54 stabilisce infatti che «è considerato come
trasferimento ai fini della presente direttiva quello di un’entità economica che
conserva la propria identità, intesa come insieme di mezzi organizzati al fine di
svolgere un’attività economica, sia essa essenziale o accessoria».
A sua volta, anche il legislatore italiano ha previsto, introducendo il comma 5
dell’art. 2112 c.c., il trasferimento debba avere per oggetto «un’attività economica
organizzata». Esso, cioè, deve riguardare il “passaggio” di beni materiali, o il
“passaggio” di beni e rapporti giuridici, inclusi i rapporti di lavoro oppure il
“passaggio” soltanto di rapporti di lavoro55. Infatti, quando l’azienda è in grado di
operare essenzialmente in base alla manodopera il trasferimento può avere ad
oggetto solo i rapporti di lavoro.
Come si è detto, l’oggetto del trasferimento deve consistere in un’attività
economica “organizzata”, vale a dire «un complesso funzionale di elementi idoneo a
permettere l’inizio e la prosecuzione dell’attività»56.
In caso contrario non sussiste il trasferimento di singoli beni o di singoli rapporti
giuridici (e non si producono i suoi effetti, in primo luogo l’imputazione dei rapporti
di lavoro in capo al cessionario)57.
L’art. 2112, comma 5, c.c. richiede poi che l’attività economica organizzata sia
«preesistente al trasferimento». Questo elemento non pone problemi se il
trasferimento riguarda l’intera azienda58, ma assume rilievo per quanto riguarda
l’ipotesi di cessione del ramo d’azienda. Occorre verificare, infatti, se la porzione di
54 Ora trasposto nell’art. 1,1° comma, lett. b) della dir. 23/2001/CE. 55 Cfr. Cass., 10 gennaio 2004, n. 206, in Mass. giur. lav., 2004, p. 923 ss.; Cass., 30 dicembre 2003, n. 19482, in Foro it., 2004, I, c. 1095 ss.; Cass., 4 dicembre 2002, n. 17207, ivi, 2003, I, c. 103 ss.; Cass., 23 luglio 2002, n. 10761, ivi, 2002, I, c. 2278 ss.; C. App. Milano, 9 settembre 2003, in Or. giur. lav., 2003, I, p. 544 ss.; Trib. Milano, 29 maggio 2001, in Lav. giur., 2002, p. 392. 56 M. Novella, M. L. Vallauri, Il nuovo art. 2112 c.c. e i vincoli del diritto europeo, in Dir. lav. rel. ind., 2005, p. 189. 57 Questa valutazione va fatta comunque con riferimento alla natura dell’attività. 58 In questo caso la questione è piuttosto se l’azienda trasferita debba essere oggetto di attività al momento del trasferimento (Cass., 9 marzo 2001, n. 3512, in Mass. gir. lav., 2001, p. 516 ss.) oppure se sia sufficiente la mera potenzialità dell’azienda ceduta all’esercizio dell’attività di impresa (Cass., 23 giugno 2001, n. 8621, in Rass. giur. lav., 2002, II, p. 15 ss.).
30
azienda trasferita sia autonoma già presso il cedente o possa essere resa tale in vista
del trasferimento.
Inoltre lo stesso comma 5 stabilisce che l’attività economica organizzata
conservi «nel trasferimento la propria identità».
La dottrina ha assunto al riguardo due orientamenti. Alcuni autori interpretano
questa continuità come la continuazione da parte del cessionario della stessa identica
attività già svolta dal cedente. Altri ritengono irrilevante quello che il cessionario fa
dell’azienda ceduta e interpretano la continuità come «il mantenimento da parte del
complesso ceduto delle proprie potenzialità per permettere al cessionario di
continuare la precedente attività o intraprenderne un’altra indipendentemente dal
suo oggetto»59. La dottrina maggioritaria segue questa seconda tesi. La prima non
sembra convincente in quanto, in primo luogo, contrasta con il dato letterale
(«conserva nel trasferimento la propria identità»). In secondo luogo restringe la
fattispecie al caso in cui il cessionario continui la stessa attività già esercitata dal
cedente «rimettendo nelle mani di quest’ultimo una disciplina inderogabile a tutela
dei lavoratori»60.
La Cassazione, nella sentenza n. 13319 del 2015 ha evidenziato come questo
insieme di argomentazioni porti ad affermare che il ramo d’azienda, coinvolto nel
trasferimento, debba costituire un’unità operativa autonoma, pre-esistente alla
cessione e in grado di operare in modo indipendente anche successivamente ad essa.
L’art. 2112, comma 5, seconda parte, c.c. prevede infatti che «le disposizioni
del presente articolo si applicano altresì al trasferimento di parte dell’azienda,
intesa come articolazione funzionalmente autonoma di un’attività economica
organizzata, identificata come tale dal cedente e dal cessionario al momento del suo
trasferimento».
La dottrina e la giurisprudenza maggioritarie ritengono che la formula “articolazione
funzionalmente autonoma” si riferisca al fatto che il ramo debba preesistere al
trasferimento e non che esso possa derivare da un atto di volontà del cedente e del
cessionario (che, al momento del trasferimento, potrebbero scorporare un ramo
dell’azienda rendendolo autonomo).
59 G. Santoro Passarelli, La nozione di azienda trasferita tra disciplina comunitaria e nuova normativa nazionale, cit., p. 580. 60 Ibidem.
31
La modifica introdotta dal d.lgs. n. 276/2003, come si è già ricordato, ha
aggiunto al requisito dell’articolazione funzionalmente autonoma anche «un criterio
soggettivo o volontaristico», basato «sull’ampia libertà riconosciuta alle parti nella
configurazione del ramo d’azienda»61.
Per quel che riguarda poi il parametro temporale, l’art. 2112 c.c. ha reso
possibile che l’autonomia, «dal momento che non deve risultare anteriore alla
conclusione dell’accordo traslativo, possa presentarsi all’atto del trasferimento
meramente potenziale, in grado, cioè, di garantire solo astrattamente l’idoneità del
nucleo di beni e rapporti ceduti ad essere organizzati per l’esercizio di
un’attività»62. Questa posizione viene respinta, peraltro, dalla dottrina e dalla
giurisprudenza maggioritarie sulla base di tre argomenti.
In primo luogo il nuovo art. 2112 c.c. mantiene il requisito della preesistenza
nell’ipotesi di trasferimento dell’intera azienda. In secondo luogo questa
interpretazione è coerente con il diritto comunitario che, stabilendo il principio della
conservazione dell’identità del ramo nell’ambito del trasferimento, ne presuppone
preesistenza, «non potendosi conservare l’identità di ciò che non ha identità prima
del trasferimento»63.
L’art. 1, par. 1, lettera b della direttiva n. 98/50 ha infatti stabilito che l’entità
economica oggetto del trasferimento va intesa come quell’«insieme di mezzi
organizzati al fine di svolgere un’attività economica, sia essa essenziale o
accessoria, che deve conservare con il trasferimento di parti di impresa o di
stabilimenti, la propria identità»64.
In terzo luogo, la soluzione della preesistenza è suggerita dal testo stesso del
quinto comma dell’art. 2112 c.c. Esso utilizza il termine “identificati” e fa
riferimento quindi alla possibilità di accertare l’identità di una realtà già esistente e
61 G. Santoro Passarelli, Trasferimento d’impresa: un delicato compromesso, cit., p. 718. 62 Trib. Torino, 17 dicembre 2005, in Arg. dir. lav., 2006, II, p. 1773 ss., secondo cui «fermo restando che l’attività ceduta deve essere dotata di una propria specifica autonomia funzionale, questa non deve essere preesistente, ma può essere verificata fino alla cessione sicché può trattarsi di una condizione che - a quel momento - può essere meramente potenziale». 63 Cass., 25 ottobre 2002, n. 15105, in Riv. it. dir. lav., II, 2003, p. 149; Cass., 4 dicembre 2002, n. 17207, in Foro it., I, 2003, c. 458. 64 M. Marinelli, Decentramento produttivo e tutela dei lavoratori, Torino, Giappichelli, 2002, p. 71.
32
non alla facoltà del cedente e del cessionario di assemblare un’entità nuova e
differente da quelle preesistenti65.
1.5. Il principio secondo cui l’acquirente risponde solo dei debiti pregressi rela-
tivi al ramo ceduto
L’affermazione dell’autonomia del ramo d’azienda ha conseguenze rilevanti
anche sulla disciplina relativa alle vicende dei debiti.
Secondo la Cassazione, infatti, l’art. 2560, comma 2, c.c. ha un ambito di
operatività che si estende anche al caso della cessione di ramo d’azienda. Anche in
questo caso opera, quindi, il bilanciamento di interessi previsto dal legislatore per la
cessione dell’intera azienda (dal momento che anche il ramo ha una propria
autonomia). Ne deriva che l’acquirente di un ramo di azienda risponde solo dei
debiti che le scritture contabili attribuiscono alla parte di azienda a lui trasferita. Non
risponde, invece, sia dei debiti che dalle scritture contabili non risultino relativi alla
parte d’azienda da lui acquistata, sia pro quota per i debiti relativi alla gestione
complessiva dell’impresa dell’alienante.
La Corte di Cassazione ritiene che questa sia la sola soluzione che permette
di rispettare il principio (affermato dall’art. 2560, comma 2, c.c.) della responsabilità
dell’acquirente per i debiti che risultano in modo oggettivo dalle scritture contabili
obbligatorie che fanno riferimento all’azienda acquistata. Viene invece respinto il
principio, non disciplinato dal legislatore, di una responsabilità per debiti conosciuti
o conoscibili come relativi all’azienda.
Con riferimento ai debiti e nell’ipotesi di trasferimento di un ramo di azienda,
risulta applicabile quindi «il concetto di inerenza già utilizzato dalla giurisprudenza
di legittimità per il trasferimento dei crediti dell’azienda ceduta»66.
Come si è già ricordato la cessione del credito è disciplinata dall’art. 2559
c.c., il quale illustra il passaggio automatico dei crediti a chi acquista l’azienda.
65 A. Maresca, L’oggetto del trasferimento: azienda e ramo d’azienda, in Dialoghi tra dottrina e giurisprudenza, trasferimento di ramo d’azienda e rapporto di lavoro, Quad. dir. lav., 2004, p. 100. 66 Cass., sez. III, 30 giugno 2015, n. 13319.
33
La cessione del credito assume efficacia nei confronti del debitore ceduto con la sua
accettazione o quando gli è stata notificata, dal momento che per il creditore è
indifferente l’identità del creditore.
La cessione di credito ha sempre una struttura bilaterale, dal momento che si tratta di
un negozio stipulato solo tra cedente e cessionario, al quale è estraneo il debitore
ceduto67.
Questa ricostruzione è sostenuta dalla giurisprudenza soprattutto con
riferimento all’art. 1264 c.c., secondo cui «la cessione ha effetto nei confronti del
debitore ceduto quando questi l’ha accettata o quando gli è stata notificata».
La Cassazione ha precisato che la notifica e l’accettazione non sono elementi
costitutivi o requisiti di efficacia della cessione68, ma semplici condizioni per
l’opponibilità del trasferimento al debitore69.
La dottrina e la giurisprudenza prevalenti concordano, quindi, nell’affermare che la
cessione del credito costituisce un negozio che si perfeziona sulla base del solo
accordo fra cedente e cessionario, senza che siano necessari la partecipazione o
l’assenso del debitore ceduto70.
L’art. 1264 c.c. porta a concludere, quindi, che la cessione è efficace nei
confronti del debitore ceduto dal momento in cui si verifica una delle seguenti tre
ipotesi:
a) l’accettazione della cessione;
b) la notificazione della cessione;
c) la conoscenza della cessione71.
L’elemento comune di queste tre ipotesi è la conoscenza da parte del debitore ceduto
della avvenuta cessione. Inoltre, sulla base dell’art. 1376 c.c.72, il trasferimento del
67 M.C. Bianca, Diritto civile, cit., p. 582. 68 La quale produce effetti tra le parti e verso il debitore ceduto per effetto del consenso tra cedente e cessionario. 69 Cass., 26 aprile 2004, n. 7919, in Mass. giust. civ., 2004, 4. 70 M.C. Bianca, Diritto civile, cit., p. 579; MCass., 21 gennaio 2005, n. 1312, Giust. civ. Mass., 2005, 1: «La natura consensuale del contratto di cessione di credito comporta che il relativo perfezionamento consegua al solo scambio del consenso tra cedente e cessionario, attribuendo a quest’ultimo la veste di creditore esclusivo, unico legittimato a pretendere la prestazione anche se sia mancata la notificazione prevista dall’art. 1264 c.c., (essendo questa necessaria al solo fine di escludere l’efficacia liberatoria del pagamento eventualmente effettuato dal debitore ceduto al cedente anziché al cessionario)». 71 M.C. Bianca, Diritto civile, cit., p. 583. 72 Art. 1376 c.c.: «Nei contratti che hanno per oggetto il trasferimento della proprietà di una cosa determinata, la costituzione o il trasferimento di un diritto reale ovvero il trasferimento di un altro
34
diritto di credito si verifica al momento del consenso delle parti del negozio di
cessione.
Quindi:
a) tra cedente e cessionario la cessione ha effetto fin dal momento del consenso;
b) per il ceduto la cessione produce effetto solo dal momento della avvenuta
conoscenza.
Per chiarire questa incongruenza, la dottrina ha proposto tesi diverse.
Secondo un primo orientamento la cessione avrebbe efficacia immediatamente sia
nei confronti delle parti sia nei confronti del debitore ceduto.
La notifica, l’accettazione o la conoscenza della cessione sarebbero però necessarie
per la esigibilità del credito da parte del cessionario. Il cedente, quindi, perde subito
la legittimazione a pretendere l’adempimento dal debitore ceduto; il cessionario,
però, acquista questa legittimazione solo a partire dalla notifica della cessione.
Altri autori parlano di inefficacia relativa della cessione73.
L’orientamento maggioritario nella dottrina e nella giurisprudenza afferma
invece che l’accettazione, la notificazione o la conoscenza della cessione sono
rilevanti per escludere l’efficacia liberatoria del pagamento effettuato al cedente.
Dopo la cessione, quindi, il debitore diventa immediatamente obbligato nei confronti
del cedente, ma la sua posizione viene tutelata analogamente al debitore di buona
fede. Questo indirizzo è confermato disposizione secondo cui il pagamento eseguito
dal debitore al cedente è invalido se il cessionario prova che il debitore era a
conoscenza della cessione74.
Il principio di inerenza opera allo stesso modo per i crediti e per i debiti,
evidenziando una relazione tra questi ultimi e l’esercizio dell’attività
imprenditoriale. La Cassazione ha chiarito, infatti, come «quella di inerenza è una
nozione pre-giuridica, di origine economica, legata all’idea del reddito come entità
necessariamente calcolata al netto dei costi sostenuti per la sua produzione. Sotto
tale profilo, pertanto, inerente è tutto ciò che – sul piano dei costi e delle spese –
diritto, la proprietà o il diritto si trasmettono e si acquistano per effetto del consenso delle parti legittimamente manifestato». 73 A. Dolmetta, voce Cessione dei crediti, in Dig. disc. priv., Torino, Utet, 1988, XII, p. 299. 74 M. C. Bianca, Diritto civile, cit., p. 584, secondo cui «la liberazione del debitore non dipende dal fatto che il cedente è ancora creditore bensì dalla circostanza che l’adempiente ha pagato a chi gli appariva ragionevolmente come creditore, ossia in base al principio di tutela della buona fede».
35
appartiene alla sfera dell’impresa, in quanto sostenuto nell’intento di fornire a
quest’ultima un’utilità, anche in modo indiretto. A contrario, non è invece inerente
all’impresa tutto ciò che si può ricondurre alla sfera personale o familiare
dell’imprenditore, ovvero del socio o del terzo»75.
Sulla base di queste considerazione la Cassazione, nella sentenza del 2015, ha
rilevato come, nella cessione di un ramo d’azienda, «pur in presenza di una
contabilità unitaria, l’acquirente sia messo in grado di conoscere i debiti pregressi
di cui dovrà rispondere con la consultazione dei libri contabili, individuando i debiti
inerenti al ramo di azienda acquistato in vista della sua autonomia economica e
funzionale»76. Ne deriva che l’acquirente deve rispondere solo dei debiti aziendali
inerenti al ramo d’azienda traslato e non del debito relativo alla parte dell’azienda
rimasta in proprietà del cedente.
Giovanna Rita MIGLIOZZI
75 Cass., 27 aprile 2012, n. 6548, in Foro it., 2012, I, c. 733. 76 Cass., sez. III, 30 giugno 2015, n. 13319.
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