la retribuzione

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5. La retribuzione Natura della retribuzione. L’art 36 della Costituzione stabilisce che la retribuzione è un diritto indisponibile del lavoratore e che debba essere proporzionale alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, nonché sufficiente ad assicurare la libertà e la dignità del lavoratore e della sua famiglia. L’articolo è da sempre stato interpretato in termini precettivi, ragion per cui il giudice ha il potere di determinare la retribuzione, se questa non è stata previamente concordata. Poiché si considera sufficiente e proporzionale quanto contenuto nei contratti collettivi, è a questi valori che il giudice dovrà fare riferimento. Si discute molto della natura della retribuzione, dato che essa contiene diversi elementi che concorrono a non renderla esattamente corrispettiva. Si parla di corrispettività, infatti, se vi è esatta corrispondenza tra le due prestazioni: quella del lavoratore e quella del datore di lavoro. Tale corrispettività, tuttavia, viene a mancare per effetto di numerosi strumenti di previdenza sociale che integrano la retribuzione. Pensiamo, ad esempio, all’assegno per il nucleo familiare: se la tutela economica della famiglia non fosse affidata all’ente previdenziale, i datori di lavoro sarebbe disincentivati ad assumere persone con carichi familiari per non doverli pagare di più. Pensiamo anche alle indennità di malattia o alla remunerazione delle ferie, ossia a situazioni di non lavoro effettivo per le quali il lavoratore riceve una retribuzione. Queste considerazioni fanno parlare molti studiosi, in riguardo alla retribuzione, di una prestazione di natura mista o addirittura alimentare. Sotto il profilo fiscale, non vi è alcun dubbio che la retribuzione è un reddito di lavoro dipendente.

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definizione, forme, composizione

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Page 1: La Retribuzione

5. La retribuzione

Natura della retribuzione. L’art 36 della Costituzione stabilisce che la retribuzione è un diritto

indisponibile del lavoratore e che debba essere proporzionale alla quantità e alla qualità del lavoro

svolto, nonché sufficiente ad assicurare la libertà e la dignità del lavoratore e della sua famiglia.

L’articolo è da sempre stato interpretato in termini precettivi, ragion per cui il giudice ha il potere di

determinare la retribuzione, se questa non è stata previamente concordata. Poiché si considera

sufficiente e proporzionale quanto contenuto nei contratti collettivi, è a questi valori che il giudice

dovrà fare riferimento. Si discute molto della natura della retribuzione, dato che essa contiene

diversi elementi che concorrono a non renderla esattamente corrispettiva. Si parla di corrispettività,

infatti, se vi è esatta corrispondenza tra le due prestazioni: quella del lavoratore e quella del datore

di lavoro. Tale corrispettività, tuttavia, viene a mancare per effetto di numerosi strumenti di

previdenza sociale che integrano la retribuzione. Pensiamo, ad esempio, all’assegno per il nucleo

familiare: se la tutela economica della famiglia non fosse affidata all’ente previdenziale, i datori di

lavoro sarebbe disincentivati ad assumere persone con carichi familiari per non doverli pagare di

più. Pensiamo anche alle indennità di malattia o alla remunerazione delle ferie, ossia a situazioni di

non lavoro effettivo per le quali il lavoratore riceve una retribuzione. Queste considerazioni fanno

parlare molti studiosi, in riguardo alla retribuzione, di una prestazione di natura mista o addirittura

alimentare. Sotto il profilo fiscale, non vi è alcun dubbio che la retribuzione è un reddito di lavoro

dipendente.

Forme. La retribuzione è un elemento essenziale nel rapporto di lavoro. In accordo con l’art.2099

c.c la retribuzione può essere a tempo, a cottimo, con partecipazione agli utili, a provvigione, in

natura. Le forme più importanti di pagamento del lavoro sono le prime due. La retribuzione a tempo

si è affermata soprattutto nel ‘900: quando è oraria, la retribuzione (di solito mensile) è calcolata

come prodotto tra la paga oraria e le ore effettivamente lavorate; quando è mensilizzata (è il caso

che ricorre tra gli impiegati), è una somma fissa mensile. È uso distinguere la retribuzione degli

operai da quella degli impiegati, indicando la prima come “salario” e la seconda come “stipendio”.

La paga a tempo è soggetta a variazioni periodiche (solitamente biennali) sulla base dell’anzianità.

Il cottimo è la retribuzione per la quantità di lavoro effettuata. Essendo particolarmente pressante, il

cottimo è vietato nei confronti dell’apprendista, il quale deve essere messo nelle migliori condizioni

psicologiche e pratiche possibili per acquisire la padronanza delle mansioni. Solitamente il cottimo

integra una paga base oraria. Inoltre, si distingue la quota di cottimo fissa da quella variabile: solo la

seconda è condizionata dalla quantità di lavoro. Il cottimo viene istituito secondo le previsioni del

contratto collettivo. Le modalità di svolgimento sono dapprima adottate in forma sperimentale e

solo a conclusione di detto periodo diventeranno definitive. Durante la sperimentazione, il datore di

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lavoro adeguerà i livelli produttivi alle reali possibilità e capacità produttive dei lavoratori.

Ovviamente, le regole e le tariffe del cottimo nonché i lavoratori coinvolti debbono essere

previamente noti. Si parla di cottimo obbligatorio per i procedimenti aziendali che non possono fare

a meno di un determinato ritmo produttivo o della misurazione dei tempi (si pensi alla catena di

montaggio o alla sperimentazione di una nuova forma d’organizzazione del lavoro). Concottimisti

sono i lavoratori che, pur non essendo pagati a cottimo, sono condizionati nei loro ritmi produttivi

dai cottimisti.

Struttura. La retribuzione si compone di una parte base, di una parte accessoria e di una parte

previdenziale. La parte base è costituita dalla paga a tempo o a cottimo, nonché dall’indennità di

contingenza e dall’elemento distinto delle retribuzione (EDR). La paga a tempo può essere fissa a

mese ovvero ottenuto come prodotto tra le ore lavorate e la tariffa oraria. All’interno dello stesso

livello d’inquadramento, gli scatti periodici d’anzianità possono determinare differenze retributive.

L’indennità di contingenza è congelata alla quota maturata per indicizzazione al 31 dicembre 1992.

L’EDR è un importo di € 10.33 riconosciuto in sostituzione dell’indicizzazione dei salari per l’anno

1993. La parte accessoria è costituita da elementi che non sempre figurano in busta paga, quali:

tredicesime e quattordicesime; maggiorazioni per lavoro straordinario, notturno, festivo; rimborsi-

spese; conguagli. La parte previdenziale è costituita dall’ANF e dalle prestazioni INPS e INAIL,

tuttavia: l’ANF è integrato alla retribuzione mensile netta e non è soggetta a tassazione, mentre le

altre prestazioni previdenziali sono puramente eventuali e non figurano con sistematicità e

continuità.

Livelli retributivi e categorie. I livelli retributivi dipendono dall’inquadramento del lavoratore. In

linea generale vige il principio per cui a parità di mansioni corrisponde il medesimo trattamento

retributivo. Ciò è vero perché mansioni uguali comportano l’attribuzione di uguali qualifiche;

nondimeno, all’interno delle medesime qualifiche esistono diversi livelli retributivi. Infine, ad una

maggiore anzianità di servizio corrisponde un maggiore numero di scatti retributivi. In conclusione,

anche a parità di mansioni è possibile che i trattamenti retributivi non coincidano. Ciò non comporta

alcuna violazione del principio d’uguaglianza, giacché l’ordinamento non impedisce che vi siano

differenze retributive. Semplicemente, prevede delle regole che vietano l’applicazione di trattamenti

discriminatori e tali da non garantire la proporzionalità e la sufficienza delle retribuzioni.

I livelli retributivi sono oggetto di contrattazione collettiva, la quale fissa le tariffe orarie ordinarie e

straordinarie, le regole per l’adozione delle tariffe di cottimo, le maggiorazioni per lavoro festivo e

notturno, nonché l’entità degli ulteriori elementi accessori della retribuzione quali superminimo,

premi di produzione, etc… A partire dagli anni’70, le qualifiche sono classificate all’interno di un

ordinamento unico. L’adozione di questa soluzione ha permesso la semplificazione della

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contrattazione, con la riduzione dei livelli (scesi a 7/8) e dei comparti. Inoltre, superando la nozione

di categorie di cui all’art.2095 c.c, ha permesso – almeno in riguardo alle categorie degli operai e

degli impiegati – un certo riequilibrio nella distribuzione del reddito, essendo perfettamente

possibile che un operaio specializzato sia collocato ad un livello superiore rispetto ad un impiegato

di concetto. Le qualifiche sono identificate per mezzo di esemplificazioni e declaratorie. Le

categorie indicate nell’art.2095 c.c. hanno ormai perso importanza in termini di trattamenti

economici. L’articolo distingue tra operai, impiegati, quadri, dirigenti. Gli operai sono i lavoratori

manuali che realizzano la produzione. Tra gli operai vi sono differenziazioni in virtù della difficoltà

ed importanza delle mansioni. Esistono, quindi, operai generici e operari specializzati. Gli operai

che hanno la responsabilità di dirigere una squadra sono detti “intermedi” e costituiscono una

categoria creata dalla contrattazione collettiva. Gli impiegati non sono lavoratori manuali e non

realizzano la produzione: il loro lavoro consiste nell’organizzazione della produzione. Si

distinguono in impiegati d’ordine e di concetto. I primi costituiscono la “manovalanza” degli uffici,

dovendo semplicemente svolgere un lavoro intellettuale che comunque esclude la possibilità di

assumere decisioni. Gli impiegati di concetto, al contrario, non si limitano ad eseguire ordini, ma

possono anche assumere delle decisioni – quanto meno all’interno dell’ufficio e tra gli impiegati

d’ordine. Quadri sono quegli impiegati di rango superiore che, pur non essendo dirigenti, godono di

una certa autonomia decisionale e che possono impartire ordini e disposizioni agli impiegati. I

quadri sono stati introdotti nel 1985 per codificare la categoria dei funzionari, la quale era stata

creata dalla contrattazione collettiva negli anni ’70. Nelle grandi imprese, i quadri fanno da collante

tra gli impiegati e la dirigenza. I dirigenti sono i lavoratori più vicini alla proprietà. Hanno compiti

strategici, decisionali e direttivi. In ragione di ciò, godono di una grande autonomia e non sono

soggetti di molte delle tutele accordate ai lavoratori dipendenti. Ai dirigenti, infatti, non si applicano

le norme contro i licenziamenti, sulle ferie, sui permessi, sull’orario di lavoro; hanno, tuttavia, una

forza negoziale che permette loro di ottenere trattamenti retributivi di gran lunga superiori.

Diverse definizioni di retribuzione. Il nostro ordinamento non contempla un’unica definizione di

retribuzione, visto che la retribuzione imponibile ai fini fiscali viene determinata in modo differente

rispetto a quella ai fini del TFR e a quella ai fini previdenziali. La legge 314/1997 ha armonizzato le

definizioni valide ai fini INPS e IRPEF, dato che ormai l’art.12 della legge 153/1969 rinvia all’art.

51 del TUIR (testo unico delle imposte sui redditi). Benché le due definizioni non siano esattamente

coincidenti, anche la retribuzione ai fini previdenziali è oramai da vedersi quale reddito di lavoro

dipendente e precisamente come complesso di somme e valori in genere conseguiti, durante il

periodo d’imposta, in relazione ad un rapporto di lavoro a qualunque titolo, anche sotto forma di

erogazioni liberali. Si considerano percepiti nel periodo d’imposta anche le somme e i valori

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ricevuti entro il 12 gennaio dell’anno successivo. Questa definizione generale, però, richiede che si

specifichi come la retribuzione ai fini previdenziale sia costituita anche dai contributi versati dal

datore di lavoro e per la propria parte e per quella del lavoratore, ossia da somme che non vengono

effettivamente percepite dal lavoratore. Proprio in ragione di quest’ultima considerazione e tenuto

conto che ai fini fiscali al lavoratore dipendente si applica il criterio di cassa, i contributi sono

esclusi dalla retribuzione imponibile ai fini dell’imposta sui redditi. Va inoltre considerato che nella

retribuzione imponibile ai fini previdenziali le somme si considerano al lordo delle ritenute fiscali,

mentre ai fini IRPEF le si prendono al netto dei contributi previdenziali.

La retribuzione imponibile ai fini previdenziali. Assunta la definizione di cui all’art.51 del TUIR,

per la determinazione della retribuzione ai fini previdenziali non si considerano (quindi si

sottraggono): 1) il TFR; 2) le somme corrisposte in occasione della cessazione del rapporto di

lavoro al fine di incentivare l’esodo dei lavoratori, fatta eccezione per l’indennità di mancato

preavviso; 3) i proventi e le indennità conseguite a titolo di risarcimento di danni, anche in forma di

assicurazione (si considerano anche le indennità risarcitorie per licenziamento illegittimo); 4) le

prestazioni di carattere previdenziale (indennità di malattia, di disoccupazione, CIG, indennità

INAIL, etc..); 5) i trattamenti di famiglia; 6) i contributi aggiuntivi derivanti da accordi sindacali a

finanziamento di forme complementari di previdenza (a carico del datore o del lavoratore

indifferentemente); 7) altre somme concordate in sede di contrattazione di secondo livello.

La retribuzione imponibile ai fini fiscali. Non concorrono a formare il reddito di lavoro dipendente:

1) i contributi previdenziali e assistenziali a carico del datore di lavoro e del lavoratore; 2) i

contributi integrativi al sistema sanitario nella misura di € 3615.2, dovuti in forza di contratto

collettivo o accordo aziendale; 3) le somministrazioni di vitto da parte del datore di lavoro,

organizzate in mense aziendale direttamente dal datore o concesso in gestine a terzi, fino

all’importo di € 5.29; 4) le prestazioni di servizio di trasporto per la generalità dei dipendenti; 5) le

somme erogate dal datore di lavoro per la fruizione di asili nido e di colonie climatiche per i

familiari del lavoratore, nonché le borse di studio; 5) il valore delle azioni offerte fino a € 2065.83;

6) le mance percepite dai croupiers fino al 25% dell’ammontare percepito nel periodo d’imposta; il

valore normale di beni e servizi ceduti al lavoratore fino a € 258.23; 7) le indennità di trasferta fino

a € 44.48 o € 77.47 per le missioni all’estero, somme ridotte di un terzo se il datore di lavoro

fornisce o il vitto o l’alloggio; gli importi sono, invece, ridotti di due terzi nel caso in cui vengano

forniti tanto il vitto quanto l’alloggio; 8) le indennità di trasferimento fino a €1549.37 e € 4648.11,

se all’estero; 9) i trattamenti di famiglia; 10) altre voci indicate all’art.51TUIR al comma 4, ai

numeri 6 -8-9.

Page 5: La Retribuzione

La retribuzione ai fini del TFR. La retribuzione che si deve prendere in considerazione è quella

lorda erogata al lavoratore durante l’anno. In base all’art. 2120, co 2 c.c., la retribuzione utile

comprende tutte le somme, incluso l’equivalente delle prestazioni in natura, corrisposte in

dipendenza del rapporto di lavoro a titolo non occasionale e con esclusione di ciò che è corrisposto

a titolo di rimborso spese. La contrattazione collettiva può aggiungere elementi retributivi o

escluderne ulteriori, purché la retribuzione accantonabile non vada al di sotto del minimo salariale.

In caso di sospensione del rapporto di lavoro, si considera la retribuzione a cui il lavoratore avrebbe

avuto diritto, non già quella effettivamente percepita.

La retribuzione ai fini INAIL. Esistono tre tipologie di retribuzione imponibile ai fini INAIL.

Quando si tiene conto delle retribuzioni effettive, la definizione che si assume è la stessa che ai fini

INPS. Quando si assumono retribuzioni medie o convenzionali, si fa riferimento a decreti

ministeriali (sono categorie specifiche di lavoratori, per esempio lavoratori all’estero e ai

collaboratori familiari). La retribuzione di ragguaglio, infine, si applica per i lavoratori che non

hanno una retribuzione fissa o per i quali non esistono stipendi medi o convenzionali (si fa

riferimento ai minimali di legge per la liquidazione delle rendite).

Tutela dei crediti di lavoro. La retribuzione è un diritto indisponibile del lavoratore in ragione

della sua funzione alimentare, oltre che per il fatto di costituire un obbligo costituzionale (art.36). A

cagione di ciò essa è irrinunciabile, impignorabile e non sequestrabile. È irrinunciabile, poiché il

nostro ordinamento non contempla il lavoro gratuito se non sotto forma di attività di volontariato

all'interno di una organizzazione di volontario ovvero per affectionis causa, purché la

collaborazione all'attività altrui non sia continuativa e sistematica. Tutti i rapporti di lavoro

debbono, quindi, essere considerati presuntivamente a titolo oneroso. Qualunque accordo volto ad

eliminare la retribuzione è nullo, benché scritto e sottoscritto dalle parti. Nondimeno,

l'indisponibilità della retribuzione non è assoluta, poiché il principio deve conciliarsi con il diritto

alla tutela del credito del terzo. Ciò significa che la retribuzione può essere pignorata o sequestrata

solo nella misura del quinto. Il pignoramento avviene tramite ritenuta operata dallo stesso datore di

lavoro, mentre il sequestro è ammesso solo quando il creditore ha il fondato timore di perdere il

proprio diritto. Ovviamente, in entrambi i casi è richiesta disposizione del tribunale. Quando ad

essere creditore del lavoratore è lo stesso datore di lavoro, questi può recuperare le somme a lui

dovute direttamente attraverso un conguaglio nel caso in cui il credito sia nato all'interno dello

stesso rapporto. Diversamente, ci sarà compensazione nel limite del quinto (la prima ipotesi, quindi,

ricorre nei casi delle ritenute ai fini fiscali e previdenziali; il secondo nel caso vero e proprio di

rapporto creditore-debitore). Che l'indisponibilità della retribuzione sia solo parziale è riscontrato

pure dal fatto che datore di lavoro e lavoratore possono sempre accordarsi per evitare il contenzioso.

Page 6: La Retribuzione

Il lavoratore, infatti, può rinunziare o stipulare una transazione relativamente ai suoi diritti (anche

indisponibili), sempre che si abbiano ad oggetto disposizioni non inderogabili. La rinunzia è un atto

unilaterale con cui il soggetto dismette propri diritti; la transazione, invece, è un accordo con cui le

parti anticipano o risolvono una lite senza contenzioso, facendo reciproche concessioni. In verità, la

dottrina ritiene che bisogna distinguere tra diritti della personalità (totalmente indisponibili) ovvero

tra diritti primari e diritti secondari (distinzione sulla cui base si discerne tra cosa può essere

derogato o cosa non può esserlo). A maggiore tutela del lavoratore è previsto che le rinunzie e le

transazioni su diritti inderogabili, desumibili da atto scritto, possono essere impugnati entro sei mesi

(pena decadenza) dalla cessazione del rapporto di lavoro o dalla data di rinunzia o della transazione

se successivi alla cessazione. Scaduto il termine, l'atto invalido è sanato. È da sottolineare la

particolarità che consiste nel computare il termine di decadenza dalla cessazione del rapporto di

lavoro o dopo, onde facilitare l'azione del lavoratore. L'atto invalido viene dichiarato annullato e

non nullo, perché gli atti nulli non possono essere sanati. Non possono mai essere impugnate le

rinunzie e le transazioni avvenute in sede di conciliazione, così come non si possono impugnare i

contratti certificati, se non per errore di persona, di diritto, per vizio del consenso, erronea

qualificazione giuridica del rapporto, difformità tra quanto certificato e quanto applicato. Le

quietanze a saldo non sono manifestazione della volontà del lavoratore di rinunziare a diritti

patrimoniali, in quanto può anche darsi l'ipotesi che il lavoratore venga costretto a firmare un

prospetto paga non veritiero o relativo a somme non liquidate. Il discorso non vale se, valutate le

situazioni, si può desumere la consapevolezza del lavoratore e la sua volontà a transigere sui suoi

stessi diritti retributivi. I crediti retributivi del lavoratore sono garantiti in quanto assistiti da

privilegio generale sui beni mobili del datore di lavoro in via principale e, in via sussidiaria, sul

prezzo degli immobili con preferenza sui creditori chirografari. Il privilegio è anticipato solo dalle

spese di giustizia. In via sussidiaria, l'ordine dei crediti è così disposto: TFR e indennità di mancato

preavviso, crediti di lavoro, crediti dello Stato, crediti chirografari. Per i crediti di lavoro il periodo

di prescrizione è fissato in cinque anni dalla cessazione del rapporto di lavoro e non dal tempo in

cui il diritto poteva essere esercitato (secondo disposizione generale dell'art. 2935cc) se il rapporto è

instabile; se, al contrario, è stabile, la prescrizione opera secondo le norme consuete (ma sempre in

cinque anni). Per i diritti non retributivi la prescrizione è di 10 anni, a decorrere dal tempo in cui il

diritto poteva essere esercitato. Tuttavia, la legge ammette anche il valore presuntivo della

prescrizione. Si tratta del termine di tre anni per le retribuzioni superiori al mese e di un anno per

quelle non superiori al mese (ossia, si presume che tali crediti siano stati soddisfatti se non si agisce

in questi termini).

Page 7: La Retribuzione

Quando il giudice accoglie l’istanza del lavoratore, le somme sono automaticamente rivalutate

(ossia, senza il bisogno di presentare una istanza di rivalutazione) e si calcolano gli interessi. La

sentenza è immediatamente esecutiva e il lavoratore può agire con l’esecuzione forzata. Presso

l’INPS, infine, è costituito un Fondo di Garanzia che eroga il TFR e i crediti da retribuzione degli

ultimi tre mesi nel caso il datore di lavoro sia stato dichiarato insolvente in seguito all’apertura di

una procedura concorsuale o quando l’esecuzione forzata ha dato esito negativo.

Formalità della retribuzione. Il datore di lavoro deve retribuire il lavoratore alle scadenze stabilite

e nel luogo stabilito, secondo le norme del codice civile in riguardo alle obbligazioni pecuniarie. Il

datore deve consegnare un prospetto paga – anche in forma di copia della pagina del Libro Unico –

contenente gli elementi costitutivi della retribuzione e la loro esposizione in forma analitica. Il

prospetto paga deve evidenziare le ritenute previdenziali e fiscali e includere l’assegno per il nucleo

familiare, se di spettanza.