la retribuzione
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5. La retribuzione
Natura della retribuzione. L’art 36 della Costituzione stabilisce che la retribuzione è un diritto
indisponibile del lavoratore e che debba essere proporzionale alla quantità e alla qualità del lavoro
svolto, nonché sufficiente ad assicurare la libertà e la dignità del lavoratore e della sua famiglia.
L’articolo è da sempre stato interpretato in termini precettivi, ragion per cui il giudice ha il potere di
determinare la retribuzione, se questa non è stata previamente concordata. Poiché si considera
sufficiente e proporzionale quanto contenuto nei contratti collettivi, è a questi valori che il giudice
dovrà fare riferimento. Si discute molto della natura della retribuzione, dato che essa contiene
diversi elementi che concorrono a non renderla esattamente corrispettiva. Si parla di corrispettività,
infatti, se vi è esatta corrispondenza tra le due prestazioni: quella del lavoratore e quella del datore
di lavoro. Tale corrispettività, tuttavia, viene a mancare per effetto di numerosi strumenti di
previdenza sociale che integrano la retribuzione. Pensiamo, ad esempio, all’assegno per il nucleo
familiare: se la tutela economica della famiglia non fosse affidata all’ente previdenziale, i datori di
lavoro sarebbe disincentivati ad assumere persone con carichi familiari per non doverli pagare di
più. Pensiamo anche alle indennità di malattia o alla remunerazione delle ferie, ossia a situazioni di
non lavoro effettivo per le quali il lavoratore riceve una retribuzione. Queste considerazioni fanno
parlare molti studiosi, in riguardo alla retribuzione, di una prestazione di natura mista o addirittura
alimentare. Sotto il profilo fiscale, non vi è alcun dubbio che la retribuzione è un reddito di lavoro
dipendente.
Forme. La retribuzione è un elemento essenziale nel rapporto di lavoro. In accordo con l’art.2099
c.c la retribuzione può essere a tempo, a cottimo, con partecipazione agli utili, a provvigione, in
natura. Le forme più importanti di pagamento del lavoro sono le prime due. La retribuzione a tempo
si è affermata soprattutto nel ‘900: quando è oraria, la retribuzione (di solito mensile) è calcolata
come prodotto tra la paga oraria e le ore effettivamente lavorate; quando è mensilizzata (è il caso
che ricorre tra gli impiegati), è una somma fissa mensile. È uso distinguere la retribuzione degli
operai da quella degli impiegati, indicando la prima come “salario” e la seconda come “stipendio”.
La paga a tempo è soggetta a variazioni periodiche (solitamente biennali) sulla base dell’anzianità.
Il cottimo è la retribuzione per la quantità di lavoro effettuata. Essendo particolarmente pressante, il
cottimo è vietato nei confronti dell’apprendista, il quale deve essere messo nelle migliori condizioni
psicologiche e pratiche possibili per acquisire la padronanza delle mansioni. Solitamente il cottimo
integra una paga base oraria. Inoltre, si distingue la quota di cottimo fissa da quella variabile: solo la
seconda è condizionata dalla quantità di lavoro. Il cottimo viene istituito secondo le previsioni del
contratto collettivo. Le modalità di svolgimento sono dapprima adottate in forma sperimentale e
solo a conclusione di detto periodo diventeranno definitive. Durante la sperimentazione, il datore di
lavoro adeguerà i livelli produttivi alle reali possibilità e capacità produttive dei lavoratori.
Ovviamente, le regole e le tariffe del cottimo nonché i lavoratori coinvolti debbono essere
previamente noti. Si parla di cottimo obbligatorio per i procedimenti aziendali che non possono fare
a meno di un determinato ritmo produttivo o della misurazione dei tempi (si pensi alla catena di
montaggio o alla sperimentazione di una nuova forma d’organizzazione del lavoro). Concottimisti
sono i lavoratori che, pur non essendo pagati a cottimo, sono condizionati nei loro ritmi produttivi
dai cottimisti.
Struttura. La retribuzione si compone di una parte base, di una parte accessoria e di una parte
previdenziale. La parte base è costituita dalla paga a tempo o a cottimo, nonché dall’indennità di
contingenza e dall’elemento distinto delle retribuzione (EDR). La paga a tempo può essere fissa a
mese ovvero ottenuto come prodotto tra le ore lavorate e la tariffa oraria. All’interno dello stesso
livello d’inquadramento, gli scatti periodici d’anzianità possono determinare differenze retributive.
L’indennità di contingenza è congelata alla quota maturata per indicizzazione al 31 dicembre 1992.
L’EDR è un importo di € 10.33 riconosciuto in sostituzione dell’indicizzazione dei salari per l’anno
1993. La parte accessoria è costituita da elementi che non sempre figurano in busta paga, quali:
tredicesime e quattordicesime; maggiorazioni per lavoro straordinario, notturno, festivo; rimborsi-
spese; conguagli. La parte previdenziale è costituita dall’ANF e dalle prestazioni INPS e INAIL,
tuttavia: l’ANF è integrato alla retribuzione mensile netta e non è soggetta a tassazione, mentre le
altre prestazioni previdenziali sono puramente eventuali e non figurano con sistematicità e
continuità.
Livelli retributivi e categorie. I livelli retributivi dipendono dall’inquadramento del lavoratore. In
linea generale vige il principio per cui a parità di mansioni corrisponde il medesimo trattamento
retributivo. Ciò è vero perché mansioni uguali comportano l’attribuzione di uguali qualifiche;
nondimeno, all’interno delle medesime qualifiche esistono diversi livelli retributivi. Infine, ad una
maggiore anzianità di servizio corrisponde un maggiore numero di scatti retributivi. In conclusione,
anche a parità di mansioni è possibile che i trattamenti retributivi non coincidano. Ciò non comporta
alcuna violazione del principio d’uguaglianza, giacché l’ordinamento non impedisce che vi siano
differenze retributive. Semplicemente, prevede delle regole che vietano l’applicazione di trattamenti
discriminatori e tali da non garantire la proporzionalità e la sufficienza delle retribuzioni.
I livelli retributivi sono oggetto di contrattazione collettiva, la quale fissa le tariffe orarie ordinarie e
straordinarie, le regole per l’adozione delle tariffe di cottimo, le maggiorazioni per lavoro festivo e
notturno, nonché l’entità degli ulteriori elementi accessori della retribuzione quali superminimo,
premi di produzione, etc… A partire dagli anni’70, le qualifiche sono classificate all’interno di un
ordinamento unico. L’adozione di questa soluzione ha permesso la semplificazione della
contrattazione, con la riduzione dei livelli (scesi a 7/8) e dei comparti. Inoltre, superando la nozione
di categorie di cui all’art.2095 c.c, ha permesso – almeno in riguardo alle categorie degli operai e
degli impiegati – un certo riequilibrio nella distribuzione del reddito, essendo perfettamente
possibile che un operaio specializzato sia collocato ad un livello superiore rispetto ad un impiegato
di concetto. Le qualifiche sono identificate per mezzo di esemplificazioni e declaratorie. Le
categorie indicate nell’art.2095 c.c. hanno ormai perso importanza in termini di trattamenti
economici. L’articolo distingue tra operai, impiegati, quadri, dirigenti. Gli operai sono i lavoratori
manuali che realizzano la produzione. Tra gli operai vi sono differenziazioni in virtù della difficoltà
ed importanza delle mansioni. Esistono, quindi, operai generici e operari specializzati. Gli operai
che hanno la responsabilità di dirigere una squadra sono detti “intermedi” e costituiscono una
categoria creata dalla contrattazione collettiva. Gli impiegati non sono lavoratori manuali e non
realizzano la produzione: il loro lavoro consiste nell’organizzazione della produzione. Si
distinguono in impiegati d’ordine e di concetto. I primi costituiscono la “manovalanza” degli uffici,
dovendo semplicemente svolgere un lavoro intellettuale che comunque esclude la possibilità di
assumere decisioni. Gli impiegati di concetto, al contrario, non si limitano ad eseguire ordini, ma
possono anche assumere delle decisioni – quanto meno all’interno dell’ufficio e tra gli impiegati
d’ordine. Quadri sono quegli impiegati di rango superiore che, pur non essendo dirigenti, godono di
una certa autonomia decisionale e che possono impartire ordini e disposizioni agli impiegati. I
quadri sono stati introdotti nel 1985 per codificare la categoria dei funzionari, la quale era stata
creata dalla contrattazione collettiva negli anni ’70. Nelle grandi imprese, i quadri fanno da collante
tra gli impiegati e la dirigenza. I dirigenti sono i lavoratori più vicini alla proprietà. Hanno compiti
strategici, decisionali e direttivi. In ragione di ciò, godono di una grande autonomia e non sono
soggetti di molte delle tutele accordate ai lavoratori dipendenti. Ai dirigenti, infatti, non si applicano
le norme contro i licenziamenti, sulle ferie, sui permessi, sull’orario di lavoro; hanno, tuttavia, una
forza negoziale che permette loro di ottenere trattamenti retributivi di gran lunga superiori.
Diverse definizioni di retribuzione. Il nostro ordinamento non contempla un’unica definizione di
retribuzione, visto che la retribuzione imponibile ai fini fiscali viene determinata in modo differente
rispetto a quella ai fini del TFR e a quella ai fini previdenziali. La legge 314/1997 ha armonizzato le
definizioni valide ai fini INPS e IRPEF, dato che ormai l’art.12 della legge 153/1969 rinvia all’art.
51 del TUIR (testo unico delle imposte sui redditi). Benché le due definizioni non siano esattamente
coincidenti, anche la retribuzione ai fini previdenziali è oramai da vedersi quale reddito di lavoro
dipendente e precisamente come complesso di somme e valori in genere conseguiti, durante il
periodo d’imposta, in relazione ad un rapporto di lavoro a qualunque titolo, anche sotto forma di
erogazioni liberali. Si considerano percepiti nel periodo d’imposta anche le somme e i valori
ricevuti entro il 12 gennaio dell’anno successivo. Questa definizione generale, però, richiede che si
specifichi come la retribuzione ai fini previdenziale sia costituita anche dai contributi versati dal
datore di lavoro e per la propria parte e per quella del lavoratore, ossia da somme che non vengono
effettivamente percepite dal lavoratore. Proprio in ragione di quest’ultima considerazione e tenuto
conto che ai fini fiscali al lavoratore dipendente si applica il criterio di cassa, i contributi sono
esclusi dalla retribuzione imponibile ai fini dell’imposta sui redditi. Va inoltre considerato che nella
retribuzione imponibile ai fini previdenziali le somme si considerano al lordo delle ritenute fiscali,
mentre ai fini IRPEF le si prendono al netto dei contributi previdenziali.
La retribuzione imponibile ai fini previdenziali. Assunta la definizione di cui all’art.51 del TUIR,
per la determinazione della retribuzione ai fini previdenziali non si considerano (quindi si
sottraggono): 1) il TFR; 2) le somme corrisposte in occasione della cessazione del rapporto di
lavoro al fine di incentivare l’esodo dei lavoratori, fatta eccezione per l’indennità di mancato
preavviso; 3) i proventi e le indennità conseguite a titolo di risarcimento di danni, anche in forma di
assicurazione (si considerano anche le indennità risarcitorie per licenziamento illegittimo); 4) le
prestazioni di carattere previdenziale (indennità di malattia, di disoccupazione, CIG, indennità
INAIL, etc..); 5) i trattamenti di famiglia; 6) i contributi aggiuntivi derivanti da accordi sindacali a
finanziamento di forme complementari di previdenza (a carico del datore o del lavoratore
indifferentemente); 7) altre somme concordate in sede di contrattazione di secondo livello.
La retribuzione imponibile ai fini fiscali. Non concorrono a formare il reddito di lavoro dipendente:
1) i contributi previdenziali e assistenziali a carico del datore di lavoro e del lavoratore; 2) i
contributi integrativi al sistema sanitario nella misura di € 3615.2, dovuti in forza di contratto
collettivo o accordo aziendale; 3) le somministrazioni di vitto da parte del datore di lavoro,
organizzate in mense aziendale direttamente dal datore o concesso in gestine a terzi, fino
all’importo di € 5.29; 4) le prestazioni di servizio di trasporto per la generalità dei dipendenti; 5) le
somme erogate dal datore di lavoro per la fruizione di asili nido e di colonie climatiche per i
familiari del lavoratore, nonché le borse di studio; 5) il valore delle azioni offerte fino a € 2065.83;
6) le mance percepite dai croupiers fino al 25% dell’ammontare percepito nel periodo d’imposta; il
valore normale di beni e servizi ceduti al lavoratore fino a € 258.23; 7) le indennità di trasferta fino
a € 44.48 o € 77.47 per le missioni all’estero, somme ridotte di un terzo se il datore di lavoro
fornisce o il vitto o l’alloggio; gli importi sono, invece, ridotti di due terzi nel caso in cui vengano
forniti tanto il vitto quanto l’alloggio; 8) le indennità di trasferimento fino a €1549.37 e € 4648.11,
se all’estero; 9) i trattamenti di famiglia; 10) altre voci indicate all’art.51TUIR al comma 4, ai
numeri 6 -8-9.
La retribuzione ai fini del TFR. La retribuzione che si deve prendere in considerazione è quella
lorda erogata al lavoratore durante l’anno. In base all’art. 2120, co 2 c.c., la retribuzione utile
comprende tutte le somme, incluso l’equivalente delle prestazioni in natura, corrisposte in
dipendenza del rapporto di lavoro a titolo non occasionale e con esclusione di ciò che è corrisposto
a titolo di rimborso spese. La contrattazione collettiva può aggiungere elementi retributivi o
escluderne ulteriori, purché la retribuzione accantonabile non vada al di sotto del minimo salariale.
In caso di sospensione del rapporto di lavoro, si considera la retribuzione a cui il lavoratore avrebbe
avuto diritto, non già quella effettivamente percepita.
La retribuzione ai fini INAIL. Esistono tre tipologie di retribuzione imponibile ai fini INAIL.
Quando si tiene conto delle retribuzioni effettive, la definizione che si assume è la stessa che ai fini
INPS. Quando si assumono retribuzioni medie o convenzionali, si fa riferimento a decreti
ministeriali (sono categorie specifiche di lavoratori, per esempio lavoratori all’estero e ai
collaboratori familiari). La retribuzione di ragguaglio, infine, si applica per i lavoratori che non
hanno una retribuzione fissa o per i quali non esistono stipendi medi o convenzionali (si fa
riferimento ai minimali di legge per la liquidazione delle rendite).
Tutela dei crediti di lavoro. La retribuzione è un diritto indisponibile del lavoratore in ragione
della sua funzione alimentare, oltre che per il fatto di costituire un obbligo costituzionale (art.36). A
cagione di ciò essa è irrinunciabile, impignorabile e non sequestrabile. È irrinunciabile, poiché il
nostro ordinamento non contempla il lavoro gratuito se non sotto forma di attività di volontariato
all'interno di una organizzazione di volontario ovvero per affectionis causa, purché la
collaborazione all'attività altrui non sia continuativa e sistematica. Tutti i rapporti di lavoro
debbono, quindi, essere considerati presuntivamente a titolo oneroso. Qualunque accordo volto ad
eliminare la retribuzione è nullo, benché scritto e sottoscritto dalle parti. Nondimeno,
l'indisponibilità della retribuzione non è assoluta, poiché il principio deve conciliarsi con il diritto
alla tutela del credito del terzo. Ciò significa che la retribuzione può essere pignorata o sequestrata
solo nella misura del quinto. Il pignoramento avviene tramite ritenuta operata dallo stesso datore di
lavoro, mentre il sequestro è ammesso solo quando il creditore ha il fondato timore di perdere il
proprio diritto. Ovviamente, in entrambi i casi è richiesta disposizione del tribunale. Quando ad
essere creditore del lavoratore è lo stesso datore di lavoro, questi può recuperare le somme a lui
dovute direttamente attraverso un conguaglio nel caso in cui il credito sia nato all'interno dello
stesso rapporto. Diversamente, ci sarà compensazione nel limite del quinto (la prima ipotesi, quindi,
ricorre nei casi delle ritenute ai fini fiscali e previdenziali; il secondo nel caso vero e proprio di
rapporto creditore-debitore). Che l'indisponibilità della retribuzione sia solo parziale è riscontrato
pure dal fatto che datore di lavoro e lavoratore possono sempre accordarsi per evitare il contenzioso.
Il lavoratore, infatti, può rinunziare o stipulare una transazione relativamente ai suoi diritti (anche
indisponibili), sempre che si abbiano ad oggetto disposizioni non inderogabili. La rinunzia è un atto
unilaterale con cui il soggetto dismette propri diritti; la transazione, invece, è un accordo con cui le
parti anticipano o risolvono una lite senza contenzioso, facendo reciproche concessioni. In verità, la
dottrina ritiene che bisogna distinguere tra diritti della personalità (totalmente indisponibili) ovvero
tra diritti primari e diritti secondari (distinzione sulla cui base si discerne tra cosa può essere
derogato o cosa non può esserlo). A maggiore tutela del lavoratore è previsto che le rinunzie e le
transazioni su diritti inderogabili, desumibili da atto scritto, possono essere impugnati entro sei mesi
(pena decadenza) dalla cessazione del rapporto di lavoro o dalla data di rinunzia o della transazione
se successivi alla cessazione. Scaduto il termine, l'atto invalido è sanato. È da sottolineare la
particolarità che consiste nel computare il termine di decadenza dalla cessazione del rapporto di
lavoro o dopo, onde facilitare l'azione del lavoratore. L'atto invalido viene dichiarato annullato e
non nullo, perché gli atti nulli non possono essere sanati. Non possono mai essere impugnate le
rinunzie e le transazioni avvenute in sede di conciliazione, così come non si possono impugnare i
contratti certificati, se non per errore di persona, di diritto, per vizio del consenso, erronea
qualificazione giuridica del rapporto, difformità tra quanto certificato e quanto applicato. Le
quietanze a saldo non sono manifestazione della volontà del lavoratore di rinunziare a diritti
patrimoniali, in quanto può anche darsi l'ipotesi che il lavoratore venga costretto a firmare un
prospetto paga non veritiero o relativo a somme non liquidate. Il discorso non vale se, valutate le
situazioni, si può desumere la consapevolezza del lavoratore e la sua volontà a transigere sui suoi
stessi diritti retributivi. I crediti retributivi del lavoratore sono garantiti in quanto assistiti da
privilegio generale sui beni mobili del datore di lavoro in via principale e, in via sussidiaria, sul
prezzo degli immobili con preferenza sui creditori chirografari. Il privilegio è anticipato solo dalle
spese di giustizia. In via sussidiaria, l'ordine dei crediti è così disposto: TFR e indennità di mancato
preavviso, crediti di lavoro, crediti dello Stato, crediti chirografari. Per i crediti di lavoro il periodo
di prescrizione è fissato in cinque anni dalla cessazione del rapporto di lavoro e non dal tempo in
cui il diritto poteva essere esercitato (secondo disposizione generale dell'art. 2935cc) se il rapporto è
instabile; se, al contrario, è stabile, la prescrizione opera secondo le norme consuete (ma sempre in
cinque anni). Per i diritti non retributivi la prescrizione è di 10 anni, a decorrere dal tempo in cui il
diritto poteva essere esercitato. Tuttavia, la legge ammette anche il valore presuntivo della
prescrizione. Si tratta del termine di tre anni per le retribuzioni superiori al mese e di un anno per
quelle non superiori al mese (ossia, si presume che tali crediti siano stati soddisfatti se non si agisce
in questi termini).
Quando il giudice accoglie l’istanza del lavoratore, le somme sono automaticamente rivalutate
(ossia, senza il bisogno di presentare una istanza di rivalutazione) e si calcolano gli interessi. La
sentenza è immediatamente esecutiva e il lavoratore può agire con l’esecuzione forzata. Presso
l’INPS, infine, è costituito un Fondo di Garanzia che eroga il TFR e i crediti da retribuzione degli
ultimi tre mesi nel caso il datore di lavoro sia stato dichiarato insolvente in seguito all’apertura di
una procedura concorsuale o quando l’esecuzione forzata ha dato esito negativo.
Formalità della retribuzione. Il datore di lavoro deve retribuire il lavoratore alle scadenze stabilite
e nel luogo stabilito, secondo le norme del codice civile in riguardo alle obbligazioni pecuniarie. Il
datore deve consegnare un prospetto paga – anche in forma di copia della pagina del Libro Unico –
contenente gli elementi costitutivi della retribuzione e la loro esposizione in forma analitica. Il
prospetto paga deve evidenziare le ritenute previdenziali e fiscali e includere l’assegno per il nucleo
familiare, se di spettanza.