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La riforma della scuola Post aggiunto da Fabio Colasanti il 13 Marzo 2015 Su suggerimento di Cristina apro una discussione sulla riforma della scuola. Vi trasferisco (in forma semplificata e senza gli interventi ai quali di risponde) gli interventi che ho identificato nella "Discussione di marzo". Sono sicuro che molti vorranno aggiungerci commenti alle decisioni di oggi del Consiglio dei ministri. Visualizzazioni: 2 204 - Risposte a questa discussione Risposto da Fabio Colasanti su 13 Marzo 2015 a 0:00 Post di Fabio Colasanti il 9 marzo. Anche questo è un tema molto importante. Gli standard europei che la nostra scuola non sa raggiungere Lorenzo Bini Smaghi Il Corriere della Sera 9 marzo 2015-03-09 La decisione di rinviare al Parlamento la proposta di riforma sulla cosidetta «Buona scuola» può essere l’occasione per aprire una più ampia discussione su alcuni aspetti essenziali (dopo l’editoriale di Ernesto Galli della Loggia pubblicato ieri dal Corriere ) sul ruolo dell’istruzione in una società avanzata. In un mondo globalizzato, in cui i ragazzi che escono dalla scuola si confrontano con i loro coetanei di tutto il mondo, l’accesso a pari opportunità è essenziale. Nel confronto internazionale, il sistema italiano presenta due gravi svantaggi. Il primo è connesso alla durata del ciclo scolastico, più lunga degli altri Paesi europei di ben un anno. Ciò significa che un ragazzo italiano finisce gli studi in media a 19 anni, contro i 18 dei suoi coetanei europei, arrivando dunque più tardi all’università o sul mercato del lavoro. Peraltro, questo anno aggiuntivo non sembra tradursi - secondo i test internazionali - in una maggior capacità di apprendimento. La questione è stata sollevata da tempo. La Germania, che aveva un sistema simile a quello italiano, ha recentemente adottato una riforma. In Italia il cambiamento si scontra contro due ostacoli. Il primo è la proposta avanzata da alcuni gruppi di pressione di mantenere immutata la durata del ciclo ma di cominciare la scuola un anno prima, a cinque anni, diversamente da quanto fatto negli altri Paesi. Il secondo ostacolo è di tipo organizzativo. La riforma deve essere programmata per tempo, 4 anni prima se il liceo viene ridotto da 5 a 4 anni (come in Germania). Inoltre, nell’anno del passaggio definitivo al nuovo sistema deve essere organizzata una sessione di esami di maturità per un numero doppio di esaminandi. L’incapacità di programmare una tale transizione in Italia sembra essere il vero problema, o la foglia di fico dietro la quale si nasconde la conservazione. Il secondo problema è il modo in cui il ciclo scolastico viene organizzato nel corso dell’anno. L’Italia è l’unico Paese ad avere un periodo di vacanze estive di circa 3 mesi, e invece vacanze più brevi e meno frequenti durante l’anno. Eppure, importanti studi scientifici dimostrano che periodi lunghi di interruzione riducono l’efficacia dell’istruzione scolastica. Ad esempio, uno studio del 2007 di Alexander, Entwisle e Olson, della John Hopkins University, intitolato proprio Le conseguenze durature del divario di apprendimento estivo, dimostra, sulla base di una serie di valutazioni empiriche, che il gap educativo tra studenti di diversa estrazione sociale tende a ridursi durante il periodo scolastico, ma aumenta nuovamente nel periodo delle vacanze estive. In altre parole, la scuola riesce a ridurre le disuguaglianze sociali, ma tale risultato viene poi vanificato durante i periodi di vacanza protratti. Più lunghe sono le vacanze, meno efficace è la scuola nel dare pari opportunità agli studenti più poveri. Il motivo è evidente. Le famiglie facoltose

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La riforma della scuola Post aggiunto da Fabio Colasanti il 13 Marzo 2015

Su suggerimento di Cristina apro una discussione sulla riforma della scuola. Vi trasferisco (in forma semplificata e senza gli interventi ai quali di risponde) gli interventi che ho identificato nella "Discussione di marzo". Sono sicuro che molti vorranno aggiungerci commenti alle decisioni di oggi del Consiglio dei ministri.

Visualizzazioni: 2 204 - Risposte a questa discussione

Risposto da Fabio Colasanti su 13 Marzo 2015 a 0:00 Post di Fabio Colasanti il 9 marzo. Anche questo è un tema molto importante. Gli standard europei che la nostra scuola non sa raggiungere Lorenzo Bini Smaghi – Il Corriere della Sera – 9 marzo 2015-03-09 La decisione di rinviare al Parlamento la proposta di riforma sulla cosidetta «Buona scuola» può essere l’occasione per aprire una più ampia discussione su alcuni aspetti essenziali (dopo l’editoriale di Ernesto Galli della Loggia pubblicato ieri dal Corriere ) sul ruolo dell’istruzione in una società avanzata. In un mondo globalizzato, in cui i ragazzi che escono dalla scuola si confrontano con i loro coetanei di tutto il mondo, l’accesso a pari opportunità è essenziale. Nel confronto internazionale, il sistema italiano presenta due gravi svantaggi. Il primo è connesso alla durata del ciclo scolastico, più lunga degli altri Paesi europei di ben un anno. Ciò significa che un ragazzo italiano finisce gli studi in media a 19 anni, contro i 18 dei suoi coetanei europei, arrivando dunque più tardi all’università o sul mercato del lavoro. Peraltro, questo anno aggiuntivo non sembra tradursi - secondo i test internazionali - in una maggior capacità di apprendimento. La questione è stata sollevata da tempo. La Germania, che aveva un sistema simile a quello italiano, ha recentemente adottato una riforma. In Italia il cambiamento si scontra contro due ostacoli. Il primo è la proposta avanzata da alcuni gruppi di pressione di mantenere immutata la durata del ciclo ma di cominciare la scuola un anno prima, a cinque anni, diversamente da quanto fatto negli altri Paesi. Il secondo ostacolo è di tipo organizzativo. La riforma deve essere programmata per tempo, 4 anni prima se il liceo viene ridotto da 5 a 4 anni (come in Germania). Inoltre, nell’anno del passaggio definitivo al nuovo sistema deve essere organizzata una sessione di esami di maturità per un numero doppio di esaminandi. L’incapacità di programmare una tale transizione in Italia sembra essere il vero problema, o la foglia di fico dietro la quale si nasconde la conservazione. Il secondo problema è il modo in cui il ciclo scolastico viene organizzato nel corso dell’anno. L’Italia è l’unico Paese ad avere un periodo di vacanze estive di circa 3 mesi, e invece vacanze più brevi e meno frequenti durante l’anno. Eppure, importanti studi scientifici dimostrano che periodi lunghi di interruzione riducono l’efficacia dell’istruzione scolastica. Ad esempio, uno studio del 2007 di Alexander, Entwisle e Olson, della John Hopkins University, intitolato proprio Le conseguenze durature del divario di apprendimento estivo, dimostra, sulla base di una serie di valutazioni empiriche, che il gap educativo tra studenti di diversa estrazione sociale tende a ridursi durante il periodo scolastico, ma aumenta nuovamente nel periodo delle vacanze estive. In altre parole, la scuola riesce a ridurre le disuguaglianze sociali, ma tale risultato viene poi vanificato durante i periodi di vacanza protratti. Più lunghe sono le vacanze, meno efficace è la scuola nel dare pari opportunità agli studenti più poveri. Il motivo è evidente. Le famiglie facoltose

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possono permettersi vacanze che consentono di sviluppare il capitale umano acquisito durante l’anno, con viaggi di studio, visite a musei o altre attività intellettuali che invece non sono accessibili alle fasce più deboli della popolazione. L’effetto distorsivo è ancor maggiore per gli studenti che vengono rimandati a settembre, date le diverse risorse a disposizione per poter accedere a corsi di ripetizione privati. Anche questo è un sistema che esiste solo in Italia, e contribuisce ad accentuare le disuguaglianze tra i ragazzi che vengono da famiglie povere rispetto a quelle benestanti. La ricerca mostra peraltro che è difficile per i ragazzi mantenere una concentrazione elevata a scuola per un periodo superiore a due mesi. Questo è il motivo per cui nella maggior parte degli altri sistemi educativi europei il trimestre viene interrotto a metà da una settimana di vacanza, in autunno, inverno e primavera, oltre alle vacanze di Natale e Pasqua. L’Italia non si è invece adeguata. Il motivo per non cambiare sistema sembrerebbe essere che in Italia fa più caldo ed è difficile tenere i ragazzi in classe a fine giugno a ai primi di settembre. Tuttavia, per i numerosi istituti stranieri che operano in Italia - internazionali, inglesi, francesi, tedeschi o svizzeri - e finiscono l’anno scolastico a fine giugno e cominciano il nuovo ai primi di settembre, con un mese in meno di vacanze estive rispetto all’Italia, il caldo non sembra essere un ostacolo così insormontabile. Come non lo è in altri Paesi europei, inclusi quelli mediterranei. Per essere davvero «buona», la scuola italiana richiede profondi cambiamenti, alcuni dei quali riguardano l’organizzazione e la struttura del ciclo scolastico che non sono considerati nell’attuale progetto di riforma. Rifiutare questi cambiamenti significa continuare a penalizzare i ragazzi e le ragazze italiane, soprattutto quelli delle famiglie meno abbienti.

Risposto da Fabio Colasanti su 13 Marzo 2015 a 0:01 Post di Pietro Maruca del 10 marzo Sì, Fabio, la riforma della scuola è un tema importante, ma difficile da trattare. Pur avendo lavorato 40 anni in questa istituzione, di cui 25 come d.s., ed essermi occupato di valutazione per dieci anni in un progetto che coinvolge una rete ampia di scuole, non ho aderito alle proposte del governo di inviare pareri sulla buona scuola. Perché in Italia è quasi insormontabile il nodo delle lobbie e del conseguente stallo istituzionale. E non c’è tempo e voglia di ascoltare. C’è fretta e voglia di risposte immediate, ma non ho capito bene se servano per poterle contestare fin da subito o se per lavorarci su veramente. Una riforma a pezzi non porterebbe a nulla. Una vera deve risistemare i tasselli che riguardano il personale della scuola, gli apparati ministeriali e regionali, gli enti locali proprietari degli edifici e gestori dei servizi (mense, scuolabus, palestre...), gli utenti, a partire dalle famiglie e dagli allievi, ma comprendendo anche le associazioni, la società civile, gli enti economici. Rispetto a una proposta di riforma si deve poter rispondere: e gli enti locali cosa fanno? E i docenti come possono essere valorizzati? E le famiglie cosa si aspettano e come possiamo andare loro incontro? E gli operatori turistici come possono essere coinvolti se si riducono le vacanze estive? E gli editori, se riduciamo gli anni di corso? Alcune risposte potrebbero essere: I comuni vorrebbero riforme per loro a costo zero; i docenti vorrebbero vedere una qualche possibilità di carriera; le famiglie,soprattutto quelle della provincia, vorrebbero meno spostamenti sul territorio per raggiungere le scuole; Lega ambiente vorrebbe meno inquinamento automobilistico e meno cartaceo per il materiale scolastico … Insomma, il puzzle dovrebbe raccogliere istanze ed esigenze da trasformare in proposte semplici e praticabili. A mo’ di esempio, per la domanda che segue, le soluzioni potrebbero essere (lancio degli spunti, che diano l’idea, ma ci dovrebbero essere davvero tavoli di lavoro per affrontare tutti i temi, separatamente, ma con un disegno unitario): Il problema è il corso degli studi, che è troppo lungo? In effetti 13 anni sono troppi, ma 12 andrebbero bene solo mettendo mano anche al dopo; si dovrebbe rivedere la questione dei cicli, magari risparmiando anche sui programmi;

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e poi sui corsi professionalizzanti post diploma, da gestire diversamente dai corsi di laurea. Con un coinvolgimento dei docenti nella gestione dell’innovazione. Magari con il coinvolgimento delle parti sociali sulla questione del periodo vacanze estive/ durata dell’anno scolastico. Un’idea semplice potrebbe essere (lo stanno già facendo a Berlino) un ciclo di scuola primaria di sei anni e uno di altrettanti anni di scuola secondaria; due soli sviluppi di programmi anziché tre; 12 tredicesimi degli edifici occupati; meno spostamenti dal comune di residenza di provincia con 6 anni di scuola primaria anziché 5 (con soddisfazione anche delle famiglie); uso degli edifici rimanenti (1/13) per corsi post diploma professionalizzanti biennali (che assorbano parte dei corsi di laurea breve, mirati a professionalità tecniche); impiego di docenti dei diversi ordini di scuola nel 13° e 14° anno, in base a titoli o concorsi, magari a rotazione, per un periodo prestabilito di x anni, con incentivi stipendiali di rilievo, per preparare i giovani diplomati a professioni tecniche nei loro rami di specializzazione (ridefinendo i corsi universitari, che risulterebbero sgravati da una parte considerevole di giovani non più interessati alla carriera universitaria; ne risulterebbe ridimensionata anche la mortalità scolastica dovuta ad abbandoni per corsi troppo lunghi o impegnativi); coinvolgimento delle strutture del territorio per la gestione delle attività scolastiche in periodi più adatti alle vacanze (non dimentichiamo che spesso ad opporsi alla riduzione del periodo di vacanze estive è proprio il settore turistico), ad esempio con soggiorni in strutture idonee su temi particolari (ad esempio, a Berlino vi sono dei soggiorni di alcuni giorni in strutture fuori città, con le motivazioni più disparate, compreso un corso per rappresentanti degli studenti, sulla gestione della delega …). Insomma il puzzle si potrebbe comporre nel tempo, con proposte e integrazioni tra tasselli, man mano che nuovi problemi giungono a soluzione. Però, senza il coinvolgimento degli enti locali, delle famiglie, delle forze economiche e soprattutto dei docenti, si rischia di fare un insieme indigeribile a priori. Nulla come la scuola ha bisogno di consenso e di basarsi sul motto “Non puntare a vincere, bensì a convincere”. La strada che ho provato ad esemplificare prima usa un grimaldello per smuovere verso il cambiamento: stuzzicare ogni categoria con una proposta che faccia presagire la soddisfazione di un suo tornaconto. Ma non è affatto facile e non invidio chi si è messo in quest’impresa.

Risposto da Fabio Colasanti su 13 Marzo 2015 a 0:02 Post di Mariella Alois del 10 marzo. Ciao Pietro, Intéressante il tuo intervento che mostra la complessita della riforma, fa riflettere con quanta leggerezza negli anni passati é stata affrontata. A quanto pare senza risultati soddisfacenti, aggiungendo solo incertezze ,è confusione ,a un percorso scolastico che i nostri giovani, dovrebbero affrontare in assoluta serenità. Non entro nel merito della discussione, ma a proposito della durata del periodo scolastico, vorrei solo sottolineare come la durata di sei anni per le primarie e sei per le secondaire è già da tempo in vigore in altri Paesi Ue. Ciò comporta che i giovani italiani finiscono la scuola con un anno di ritardo rispetto ai loro coetanei Ue. Accumulano poi ritardi nel periodo universitario,arrivando piû tardi sul mercato del lavoro. In effetti constato che il sistema italiano ,anche Universitario,resta diverso da quello degli altri Paesi Ue, mentre la Riforma di Bologna, aveva il preciso scopo di uniformare i vari metodi di studio.

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Risposto da Fabio Colasanti su 13 Marzo 2015 a 0:03 Post di Pietro Maruca del 10 marzo. Hai ragione, Mariella, mia nipote, a Berlino, sta frequentando un percorso di 6 + 6, dopo i primi tre anni di scuola dell'infanzia. Ora è al secondo anno delle superiori. Sto notando molti aspetti interessanti della sua esperienza. Ad esempio i primi tre anni di scuola primaria sono stati frequentati in una pluriclasse di 27 allievi, nove per anno, che avevano poi una parte dell'orario settimanale con altri allievi di classe parallele. In prima sono stati presi in carico dagli insegnanti del triennio, ma anche, ciascuno, da un bambino di terza, che ne ha assunto la responsabilità come tutor. Lei poi in terza ha a sua volta svolto lo stesso compito per un primino... Dalla quarta si sono formate classi con allievi di pari età. La scelta di arrivare fino ai 18 anni è necessaria anche dal punto di vista giuridico e psicologico. Dopo aver portato la maggiore età a 18 anni, si crea oggi una situazione anacronistica, di allievi costretti a frequentare come i minorenni, che però non sono più sotto il controllo delle famiglie, si giustificano da soli le assenze... e la valutazione dell'intero quinquennio avviene ora solo dopo questo anno un po' "buio" e ibrido. Sarebbe davvero meglio concludere ai 18, iniziando sempre a 6. A me pare assurda tutta la questione degli anticipatari. Almeno dal punto di vista evolutivo. Ci sono in effetti bambini perfettamente in grado dal punto di vista dell'apprendimento, ma che ancora amano andare in braccio alla maestra e non sopportano di stare fermi nel banco per molto tempo. I corsi post diploma dovrebbero poi risolvere la questione della parificazione giuridica dei titoli di studio con gli altri Paesi europei, per l'avvio alle professioni tecniche. Comunque, come ho cercato di spiegare prima, tutto ciò diventerà possibile solo se anche i docenti si sentiranno incentivati a cambiare. altrimenti ci saranno solo resistenze quasi insormontabili. La prospettiva di una gestione del biennio post diploma da parte di docenti degli ordini di scuola precedenti, magari a rotazione, con un riconoscimento economico para universitario per il periodo di insegnamento nel biennio, potrebbe servire come base di discussione prre.

Risposto da Fabio Colasanti su 13 Marzo 2015 a 0:03 Post di Fabio Colasanti del 10 marzo Pietro, che ostacoli o inconvenienti vedi ad una riduzione del corso di studi a 12 anni invece di 13? Quali sono i cambiamenti sul "dopo" che dovrebbero essere fatti?

Risposto da Fabio Colasanti su 13 Marzo 2015 a 0:06 Post di Pietro Maruca del 10 marzo Fabio, finora penso che le resistenze maggiori siano dovute ai docenti dei tre ordini di scuola: - Un sistema 4 anni+4+4 penalizzerebbe la primaria e la secondaria, favorendo la sc. media. - Una suddivisione 5+3+4 lascerebbe invariati i primi due ordini di scuola e penalizzerebbe la secondaria. - Un sistema 9 + 3, di divisione tra obbligo e fase successiva, gonfierebbe il primo gruppo, penalizzerebbe la secondaria. Magari sarebbe gradito alle famiglie che vedrebbero ridotti gli spostamenti, dato che il primo ciclo di solito si svolge in edifici in tutti i luoghi di residenza, ma metterebbe più in difficoltà i piccoli comuni. Avrebbe per contro il vantaggio di poter contare sugli edifici delle attuali scuole primarie e scuole medie, con un solo anno in più

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rispetto agli attuali istituti comprensivi. In questo caso la secondaria di tre anni userebbe 3/5 degli edifici attualmente in uso e cederebbe i 2/5 degli istituti attuali alle scuole trasformate in corsi post secondaria. - Un sistema 6+6 sarebbe un buon rimescolamento, ma si dovrebbero poi vedere i problemi di capienza degli edifici, con una ridistribuzione più radicale rispetto al sistema attuale. Penso che un eventuale piano di riforma dovrebbe ridisegnare i programmi secondo un 6+6, lasciando poi una certa flessibilità su come riorganizzare gli istituti, partendo dall’attuale e collaudata esperienza degli istituti comprensivi che hanno più ordini di scuola. Ci sono già degli esempi di istituti dalla scuola d’infanzia alle superiori comprese. In sintesi, il nuovo dovrebbe essere 6 + 6, con possibilità di organizzazione logistica e operativa 9+3; cioè la secondaria potrebbe essere divisa in due cicli, uno, il primo, di carattere più generale, che potrebbe anche essere distribuito territorialmente come le attuali scuole primarie e medie, e uno successivo di forte indirizzo. C'è soprattutto però la questione degli organici e delle cattedre: se ci fosse un mero taglio di 1/13 del personale, sarebbe un calcolo ragionieristico che non gioverebbe a nessuno, tranne che al bilancio, non risolverebbe i problemi formativi e creerebbe enormi resistenze e conflittualità sui programmi, sulle materie e soprattutto sulle cattedre di scuola secondaria da tagliare. Con un’impostazione che comprenda i corsi post diploma, di durata biennale, si garantirebbe, almeno inizialmente, parità di organici. E’ vero infatti che parlando di biennio si aggiungerebbe un anno, ma non ci sarebbe incremento, perché si perderebbe tutta la popolazione scolastica che si rivolge ai corsi universitari. Il dopo, nel senso del post diploma, si dovrebbe gestire guardando anche le altre realtà europee, in particolare per capire come parificare i titoli professionalizzanti (geometri, ragionieri, periti, ed eventualmente educatori, infermieri, operatori per l’assistenza agli anziani, assistenti sociali, operatori turistici …). In pratica, si dovrebbe disgiungere la questione della scuola dell’obbligo, formativa e già di preparazione al lavoro, ma ancora fortemente “scolastica”, da prevedere fino ai 18 anni, dalla questione dell’accesso alle professioni, per il quale sarebbe opportuno un livello di preparazione post secondario o para universitario, nel quale l’approfondimento teorico e la pratica, con allievi già maggiorenni, la dovrebbero fare da padrone, per garantire una formazione veramente utile per l’avvio al lavoro. Questi corsi biennali dovrebbero essere differenziati da quelli universitari e affidati, a mio parere, a docenti dei diversi ordini di scuola, attingendo quindi dagli attuali organici, con accesso tramite concorso o titoli o per progetti, in modo che tutti possano ambire a questi posti come "avanzamento di carriera". Anche i docenti di scuola dell’infanzia e di scuola primaria potrebbero diventare insegnanti di corsi post diploma, per la formazione di educatori e operatori sociali. Certo, bisognerebbe studiare come garantire tale accesso e per quanto tempo, ma penso che sarebbe sempre meglio che non l'attribuzione di un aumento a qualcuno che rimane a fare il docente nello stesso ordine di scuola, come si sta tentando di proporre in questi anni, in base al merito (difficile da accertare, ma ancor più difficile da gestire. Mi pare già di sentire: "Quei casi difficili fateli seguire da quegli insegnanti che prendono di più!"; "Quel tal progetto che implica molte ore aggiuntive, o l'incarico di collaboratore vadano a chi ha avuto lo scatto economico..."). Sarebbe comunque fondamentale procedere sempre con rappresentanti dei docenti dei diversi ordini di scuola, dei dirigenti, del personale di segreteria, degli enti locali (possibilmente di diverse dimensioni), degli enti economici e culturali, delle famiglie … Senza dimenticare gli esperti di formazione, i disciplinaristi, i tecnici della comunicazione, gli psicologi, i sociologi, i costruttori di giocattoli, gli alimentaristi, gli ambientalisti, i fisiatri… Insomma, man mano che si procede con il gruppo dei principali attori (docenti, dirigenti, enti locali e famiglie), si dovrebbe tenere aperto un dibattito con tutti, in modo che, dai diversi punti di vista, si possa integrare il mosaico o correggerlo. Per fare bene, finalmente, la politica ha fatto un passo giusto: mettersi all’ascolto. Al di là della sicurezza degli edifici, che va garantita da subito, per il resto va fatta una grande marcia, senza soste, ma anche senza fretta, per una trasformazione solida e condivisa. Possibilmente senza NO pregiudiziali, ma soprattutto con tante integrazioni e proposte di miglioramento.

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Risposto da Fabio Colasanti su 13 Marzo 2015 a 0:07 Post di Giampaolo Carboniero del martedi 9 marzo. Hai provato a lanciare queste idee sul sito: la buonascuola.gov.it? Ti hanno risposto?

Risposto da Fabio Colasanti su 13 Marzo 2015 a 0:08 Post di Pietro Maruca del martedi 9 marzo. Giampaolo e Giorgio, non ho scritto al sito della buona scuola, perché penso che attirare la loro attenzione sia come vincere un terno al lotto. Apprezzo il loro intento e considero giusto aver avviato le consultazioni, ma non amo la mischia e sono sempre stato fuori dall'apparato, quindi non saprei farmi ascoltare. In merito alla questione dei lavoratori con esperienza, ad esempio per i corsi industriali post diploma, penso che sia proprio necessario farvi ricorso: per come li immagino, dovrebbero proprio essere molto vicini al mondo del lavoro. Avendo poi degli studenti maggiorenni non dovrebbero esserci neppure delle remore nell'uso dei macchinari. Esiste nei corsi professionali il ruolo degli assistenti tecnici di laboratorio. Nei corsi post diploma questa mansione dovrebbe essere incrementata, magari in accordo con le forze economiche del territorio. Così come dovrebbe essere dato spazio a esperienze legate ai settori artigianali e cooperativisti, in modo da incentivare sia la conoscenza tecnica della professione, sia gli aspetti normativi per avviare lavoro autonomo e forme di autogestione organizzativa da parte del gruppo di lavoro. Non è facile infatti integrare le diverse mansioni necessarie a far funzionare un lavoro articolato, dando il giusto peso alla parte produttiva, a quella commerciale, all'amministrazione e all'innovazione... A volte tendiamo a dare per scontate delle funzioni, pensando che bastino la buona volontà e il buon senso. Si tratta sicuramente di pre-requisiti necessari, ma non sufficienti. Come dicevi, Giampaolo, la fretta è cattiva consigliera, ma anche la meditazione infinita che diventa lassismo può creare grossi danni. La tecnologia corre. L'economia fatica a starle dietro. La politica arranca e la scuola spesso resta indietro. E' vero che qualcuno teorizza una funzione "idraulica" della scuola, che faccia da contrappeso alla società: - dove questa corre la scuola dovrebbe frenare, in nome dei valori da conservare; - laddove invece la società è immobile, la scuola dovrebbe fare da stimolo per l'innovazione e il cambiamento. E' vero, in particolare per i valori, ma a livello professionale e di adeguamento alle conoscenze c'è bisogno di stare al passo, affinché i ragazzi riescano a trovare spazio per riflettere su pregi e difetti di ciò che li coinvolge e li permea nella vita quotidiana, spesso in modo invasivo. Quindi la scuola non può non dire la sua sull'innovazione. Una buona riforma urge anche per questo.

Risposto da Fabio Colasanti su 13 Marzo 2015 a 0:08 Post di Alessandro Bellotti dell'11 marzo. Penso che occorra dare alle scuole più autonomia. Didattica soprattutto. Una autonomia che deve essere accordata con le imprese che ci sono nel territorio. Porto, se possibile, il mio esempio diretto.

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A Modena stiamo collaborando con i due ITIS che ci sono in città di cui uno, l'ITIS F. Corni, è il numero uno in Italia per quanto riguarda i corsi di automazione industriale. A programma, nel 4° anno, si studiano per 2 mesi i nostri PLC.... Quindi, nonostante siamo una piccola azienda, collaboriamo attivamente per la formazione dei futuri tecnici. A maggio parteciperemo in qualità di 'fornitori', assieme alle multinazionali solite (tedesche e giapponesi), ai campionati italiani di automazione che si svolgeranno a Modena, all'ITIS Corni. Ovviamente forniamo 'gratis' le apparecchiature alle scuole che ne fanno richiesta. Il lavoro che viene fatto nelle scuole dovrebbe essere 'accordato' con le esigenze del territorio. Quando questo viene fatto, ovviamente tutti ne traiamo vantaggio. Questo lavoro di adattamento dell'offerta didattica è però quasi sempre sostenuto da pochi insegnanti che spesso lavorano gratis, fuori orario, per semplice passione... Quello che manca è appunto il finanziamento di attività extrascolastiche che finalizzino la preparazione degli studenti alle realtà del territorio che è si locale ma che, inevitabilmente, è ampliabile a piacere. A settembre inizieremo anche a tenere corsi gratuiti agli insegnanti che ne faranno richiesta sull'utilizzo dei nostri dispositivi elettronici. Penso che questa sia la via per avere anche per la mia azienda vantaggi che derivano da una formazione mirata e puntuale.

Risposto da Fabio Colasanti su 13 Marzo 2015 a 0:09 Post di Alberto Rotondi dell'11 marzo. Complimenti Alessandro a te e alla tua azienda. Mi piacerebbe sapere che impressione hai avuto dalla preparazione e dalla disponibilità degli insegnanti delle scuole con cui collaborate. Che il tutto si svolga gratis è normale, nella scuola siamo abituati a questo da tempo.

Risposto da Fabio Colasanti su 13 Marzo 2015 a 0:09 Post di Alessandro Bellotti dell'11 marzo. Alberto, tipicamente per ogni scuola abbiamo un insegnante di riferimento che di solito combatte all'interno dell'Istituto contro chi non vuole semplicemente 'imparare' per arricchire l'offerta didattica. Quindi le imprese, che ovviamente hanno grandi vantaggi a intraprendere collaborazioni con le scuole, devono ricercare spesso un insegnante che si spenda (gratis perchè non c'è un tornaconto economico da parte del Ministero) per ricercare un modo per introdurre nuove tecnologie, nuovi prodotti cioè, in sostanza, nuove piattaforme didattiche. I vantaggi delle imprese che collaborano attivamente con le scuole sono di carattere commerciale e di carattere didattico nel senso che, ad esempio a Modena, escono ogni anno decine di periti che conoscono o dovrebbero conoscere (il condizionale è d'obbligo) i nostri PLC. Quest'anno addirittura uno studente di quinta l'avrebbe anche comprato il PLC... che userà per la tesina di esame. I maligni, visto le misure di livello e di temperatura che deve fare, ipotizzano che il PLC serva per un impianto artigianale di fermentazione della birra.. Se fosse così, come minimo ci meritiamo una cassa di bionde... Poi esiste la soddisfazione di vedere intere classi che studiano i prodotti che fai... e questo ripaga molto di più che una fattura di poche migliaia di euro. Il massimo è che mandiamo i ragazzi che lavorano in azienda a fare corsi ai vari docenti che pochi anni prima erano i loro insegnanti...Intravvedo sempre qualche sorrisetto malizioso stampato sul viso dei ragazzi e ragazze incaricati di tenere i corsi... (sempre gratis...).

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Risposto da Fabio Colasanti su 13 Marzo 2015 a 0:10 Post di Romano Meloni dell'11 marzo Alessandro e Pietro, questa idea, sempre che vada in porto senza essere stravolta, va nella giusta direzione? dal Corriere della Sera di oggi Scuola, più poteri ai presidi «Si sceglieranno la squadra» ROMA Nessun decreto. Sulla Buona scuola il governo conferma la strada del disegno di legge, cioè sarà il Parlamento a decidere su assunzioni, maggiore autonomia dei presidi, stipendi dei prof legati al merito per il 70 per cento, materie da aggiungere o rinforzare. Dopo quasi due ore di incontro a Palazzo Chigi, ieri sera il premier Matteo Renzi e la ministra dell’Istruzione Stefania Giannini hanno rivisto il testo che domani pomeriggio il Consiglio dei ministri dovrà licenziare e poi inviare alle Camere. E hanno deciso di andare avanti sulla linea decisa la settimana scorsa, evitando la decretazione d’urgenza, che però non viene ancora del tutto esclusa nel caso in cui i tempi si allungassero troppo (l’iter parlamentare partirebbe dopo il 17 marzo e l’esecutivo vorrebbe concluderlo per il 15 aprile). Il nodo dei precari da assumere rimane il punto chiave di tutto il ddl. «Sarà data una risposta importante al precariato» è stato detto alla fine dell’incontro. Tra Graduatorie a esaurimento, seconda fascia e vincitori del concorso 2012, le immissioni in ruolo potrebbero arrivare a 100 mila, di cui almeno la metà dal primo settembre 2015, il resto nel 2016. Ma il Miur intanto ha avviato le procedure per la quantificazione degli organici del prossimo anno — le scuole sapranno entro il 31 marzo quanti professori avranno a disposizione — e, per ora, sono stati confermati i numeri dello scorso anno. Non sono escluse perciò delle «nomine giuridiche», con precari al lavoro dal primo settembre 2015 ma assunti dal 2016. Per quanto riguarda il testo della Buona scuola, Renzi ha voluto alcuni aggiustamenti per rafforzare l’autonomia «strumento del merito e chiave per aprire la scuola al territorio e di pomeriggio». L’idea del premier è puntare sui presidi che, grazie ad un’autonomia sempre maggiore, possono «farsi la propria squadra», scegliendo i professori in base al progetto formativo della propria scuola. Idea bocciata da tutti i sindacati che dal 20 marzo sono in mobilitazione con una sorta di sciopero bianco. I precari sciopereranno il 17 marzo. E ieri l’Unione degli Studenti, chiedendo il ritiro del ddl, ha presentato «L’altra scuola»: progetto in sette punti che va dal diritto allo studio all’abolizione della bocciatura, dallo stop ai voti all’obbligo scolastico fino ai diciotto anni, e poi l’alternanza scuola-lavoro «finanziata e qualificata» e l’zione della divisione tra scuola elementare e media. Domani scenderanno nelle principali piazze d’Italia per una giornata di mobilitazione nazionale. Claudia Voltattorni

Risposto da Fabio Colasanti su 13 Marzo 2015 a 0:10 Post di Pietro Maruca dell'11 marzo. L'autonomia alle scuole, senza risorse e strumenti per procurarsele, diventa di fatto uno scarica barile. Più potere ai presidi è un'arma a doppio taglio: senza una adeguata preparazione nel gestire relazioni e conflitti, i dirigenti scolastici rischiano di trasformare la scuola in uno spazio dove si insegnano principi di giustizia e si praticano l'abuso e la prevaricazione, con molte diversità tra scuola e scuola. La questione dei precari e i problemi immediati, come quelli della sicurezza, devono essere disgiunti dal tema della riforma: ci dovrebbero essere soluzioni provvisorie e rapide, per andare avanti con un servizio che non può interrompersi. Parallelamente si dovrebbero avviare le riflessioni sulla scuola da adeguare alle esigenze del prossimo futuro. Confesso, però, che ogni volta che si inizia a parlare seriamente di riforma, come già fu con Berlinguer, ci sono talmente tante alzate di scudi, da parte di forze gigantesche (movimenti di decine o centinaia di migliaia di persone), che mi vien da associare i protagonisti ministeriali al buon don Chisciotte. Penso che abbia fatto bene Renzi a ripiegare sul disegno di legge.

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Considero giusto l'obiettivo di ascoltare. Quasi rassegnato, però, mi vien da scuotere la testa: in questo clima temo che si concluderà poco. Forse, potrebbe essere più concreto un progetto che provi a riunire alcuni esperti e che promuova alcune esperienze pilota, che possano poi diventare modello a cui ispirarsi e verso cui orientare l'attenzione delle parti in causa.

Risposto da Fabio Colasanti su 13 Marzo 2015 a 0:10 Post di Fabio Colasanti dell'11 marzo. Pietro, grazie di questi interventi che mostrano bene come tanti problemi dipendano a loro volta da altri fattori e di come sia necessario avere una visione, un programma a medio-lungo termine e la forza politica per introdurre le riforme (di fronte all'opposizione di che difende lo status quo per difendere la propria posizione). Ma la riforma della scuola mi sembra una cosa fondamentale. Non sono convinto che la scuola italiana sia cosi buona come tanti affermano. Ho l'impressione che dietro questa idea ci sia un malinteso orgoglio nazionale per alcuni e la voglia di non cambiare nulla per tanti altri (ho due sorelle e un fratello; tutti insegnanti come i loro mariti/mogli e mia madre era anche un'insegnante). Ma è utile discutere di questi temi per capirli meglio e rigettare le soluzioni "facilone" dei tanti che pensano che una sola misura specifica risolva tutto.

Risposto da Fabio Colasanti su 13 Marzo 2015 a 0:11 Post di Ezio Ferrero del 12 marzo Pietro non sono d'accordo con la tua proposta, non in linea di principio, ma riferita alla specifica situazione italiana. Anche sulla scuola, come su tutto il resto, sono decenni che si discute, ci sono comitati, commissioni, studi, saggi, esperti etc. E in sostanza non cambia mai niente. Come giustamente hai fatto notare ci sono gruppi di pressione molto numerosi, alcuni interessati al mantenimento dello status quo, altri più banalmente timorosi di qualsiasi cambiamento che preferiscono la certezza dell'oggi all'incertezza del domani. In questa situazione non su può usare il cesello ed il bulino, ci vanno buldozer e scimitarra. Bisogna sbloccare gli ingranaggi e, soprattutto, abbattere i diritti di veto che i vari gruppi, di fatto, hanno acquisito nel corso del tempo. A costo di non essere "perfetti" (ma la perfezione esiste?)

Risposto da Fabio Colasanti su 13 Marzo 2015 a 0:11 Post di Pietro Maruca del 12 marzo Fabio, la scuola italiana non ha un valore omogeneo. Ci sono regioni dove l'esito in prove internazionali è tra i migliori; altre con risultati molto inferiori. C'è da dire che userei i dati con un po' di diffidenza, sia perché bisognerebbe capire come sono stati scelti i campioni, in Italia e all'estero, sia perché bisognerebbe indagare meglio su quali possano essere gli aspetti lacunosi a livello disciplinare e trasversale. Ad esempio, sembra che un nodo problematico degli studenti italiani sia la "comprensione delle consegne": leggere bene la domanda e capirla è il prerequisito fondamentale per dare una risposta corretta, anche in scienze e in matematica, ma è un problema prevalentemente linguistico.

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Le prove internazionali vengono create in inglese: potrebbe esserci una difficoltà in più per chi le svolge con una traduzione? Sono d’accordo con te che oggi serva una riforma, a condizione, come scrivevo, che la si costruisca cercando di capire e di affrontare le mille facce della realtà scolastica, ma anche che: - Non la si lasci in mano ai ragionieri (con tutto il rispetto per la categoria professionale); non può essere affrontata pensando solo a come risparmiare. - Non si imposti con la mentalità del rattoppo; magari ci saranno molte cose da salvaguardare e da integrare nel nuovo, ma senza partire a priori mettendo le pezze, perché non è questione di buchi da tappare, ma di un quadro da ridefinire nel suo complesso. - Non si faccia senza un dibattito prre, e da sviluppare parallelamente alla riforma stessa, su valori e finalità. Oggi ci sono molte contraddizioni, c’è chi contemporaneamente difende a spada tratta ogni spazio di libertà e si scandalizza per certe forme espressive che sono contro il buongusto e la decenza; forme espressive che altri difendono in nome degli stessi principi di libertà. Se vogliamo dire, in estrema sintesi, i quattro concetti base della rivoluzione francese (le tre parole del motto Liberté, Egalité, Fraternité, a cui aggiungere la nuova idea di status: le citoyen, di cui si parla nella nuova carta sui diritti) hanno fatto molta strada in questi due secoli. Sia insieme, sia su strade autonome e addirittura contrastanti. Forse si dovrebbe cercare di capire il significato che possano ancora avere oggi, e per le future generazioni, nelle relazioni tra le persone in uno Stato e nel contesto internazionale. Ezio, non ti sembri paradossale, ma anch’io non sono d’accordo con la mia proposta. Sarebbe molto meglio una riforma complessiva. Ma da come si mettono le cose, un po’ come sempre è avvenuto, una riforma generale, sulla “carta”, è estremamente ardua e può sollevare molti conflitti. Procedere per modelli da imitare, e magari da correggere, diventa più facile, soprattutto se si tratta di modelli vincenti ed efficaci. Ad esempio, i riconoscimenti internazionali avuti da alcune scuole dell’infanzia emiliane hanno portato molti al confronto con esse e alla loro imitazione. Galileo Galilei invitava alla conoscenza attraverso i fenomeni: partire dall’osservazione del caso particolare, per andare verso la legge generale. Proprio Galilei, con la sua scienza sperimentale, mi porta ad essere d’accordo con te anche per la frase finale sulla perfezione: ragionare sulla base di esperienze concrete può anche far pensare più realisticamente a come portare modifiche, da sperimentare a loro volta e, se del caso, a re ancora. Con l’evoluzione tecnologica della nostra era, i cambiamenti sono così rapidi che non si può sperare di avere una struttura valida per sempre.

Risposto da Fabio Colasanti su 13 Marzo 2015 a 0:13 Post di Giorgio Varaldo del 12 marzo un piccolo contributo (almeno spero possa esser contributo) al discorso di pietro con una azienda che aveva sede a genova e stabilimenti in liguria toscana puglia e sardegna la provenienza delle domande di assunzione del personale era ovviamente non limitata alla sola genova quindi l'ufficio personale aveva occasione di valutare le differenze qualitative fra scuole e regioni diverse. certo è un discorso fatto senza il rigore scientifico quindi va preso con precauzione ma sempre secondo l'ufficio personale il valore dei candidati dipendeva più dalla severità e dalla selettività della scuola che dalla regione di appartenenza non ho idea di quale sia la situazione attuale l'unica informazione che ho è quella dell'ITIS malignani di udine considerato nell'ambiente acciaierie come molto selettivo e scuola dalla quale prendere il personale tecnico. è possibile stabilire un criterio comune di selettività per le varie scuole italiane? per gli addetti ai lavori quale peso ha la selettività?

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Risposto da Fabio Colasanti su 13 Marzo 2015 a 0:14 Post di Pietro Maruca del 12 marzo E' interessante ciò che dici, Giorgio, ma di per sé può generare confusione: Una scuola molto selettiva è una buona scuola? Diciamo che è molto utile alle aziende, perché svolge a priori il ruolo di scrematura, promuovendo solo i migliori. Ma non è questo il suo compito, quindi, secondo me non è una buona scuola. E' vero che, con una buona selezione, l'istituto vive di rendita e riesce a dare una migliore preparazione a chi ce la fa. Ma qual è il costo? In termini molto cinici e materiali: quanto scarto crea? La società attuale può permettersi uno spreco di risorse così elevato? Il compito della scuola dovrebbe essere quello di creare valore aggiunto e di aprire una prospettiva adeguata a ciascuno. Valore aggiunto significa far sì che tra i prerequisiti e i risultati vi sia un salto molto elevato. Una buona scuola potrebbe ottenerlo grazie ai suoi interventi, ma anche attraverso il coinvolgimento delle famiglie e delle comunità del territorio, comprese le unità produttive presso cui alcuni allievi svolgono gli stage. Di per sé, però, il V.A. da solo non basta. Facciamo un esempio banale. In base ai principi di una scuola severa, tradizionale, che seleziona, se una scuola sportiva si ponesse l'obiettivo di preparare dei saltatori, tutti coloro che hanno gambe corte, corpi robusti, problemi di equilibrio ecc dovrebbero essere scartati, a favore dei soli alti e smilzi. Tra questi, ci dovrebbe poi essere ancora un'ulteriore selezione a favore di coloro che riescono ad avvicinarsi più velocemente alla linea del salto o ad avere l'appoggio più solido o qualche altra peculiarità tecnica. Insomma, da qui avrebbero un'alta probabilità di uscire dei campioni. Nella critica a questo tipo di scuola, spesso si usano frasi del tipo: tutti hanno diritto ad andare avanti; ognuno va valutato rispetto a ciò che sapeva fare inizialmente e ai progressi che è riuscito a raggiungere; fondamentale è l'impegno... Tutte cose vere, ma non adeguate, perché, alla fine, si creano dei disadattati e si premiano sempre e solo i migliori. I costi a causa della dispersione continuano a essere elevati. Una scuola che si accontentasse di creare il mero valore aggiunto, insomma, darebbe buone opportunità ai soliti che hanno prerequisiti elevati e buone probabilità di diventare campioni, ma non darebbe prospettiva agli altri. E’ vero: non li selezionerebbe, non li lascerebbe a casa, ma farebbe comunque poco per loro. Li convincerebbe, insomma, che possono accontentarsi dei loro risultati mediocri. In pratica rinvierebbe semplicemente la selezione alla fase successiva. Una scuola di questo tipo, sensibile e solidale, pur facendo un buon lavoro per il miglioramento di tutti i suoi allievi, non renderebbe un buon servizio neppure a se stessa, dato che tra i suoi diplomati molti sarebbero promossi senza aver ottenuto gli standard necessari. Qual è quindi la situazione ideale? Quella che offre V.A, ma anche la maggiore flessibilità nell'offerta formativa. A mio parere, la scuola dovrebbe favorire dei percorsi individuali nei quali ciascuno riesca a dare il meglio di sé. Con un progetto individuale, concordato con le famiglie e vissuto in una comunità, quella scolastica, in cui, dal confronto, ma anche dalla valorizzazione delle specificità, può derivare il massimo di risultati. Torniamo all’esempio di sopra. La scuola sportiva dovrebbe allargare i suoi orizzonti. Oltre che saltatori dovrebbe iniziare a pensare alla preparazione di pesisti, nuotatori, giavellottisti, rugbisti, canoisti, ginnasti … Eventualmente facendo rete con altre scuole del territorio per le specializzazioni per le quali servano attrezzature specifiche.

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Aumenterebbe così la quantità di pre-requisiti utili per diventare dei campioni sportivi e, di conseguenza, il numero di successi formativi. Anche di campioni per le para-olimpiadi. L’esempio ha portato ad un ragionamento volutamente per assurdo, perché non esiste, che io sappia, una scuola esclusivamente sportiva. Il concetto comunque è che un tempo si ragionava in termini di “intelligenza” e la selezione portava a dire dentro o fuori: “Chi non capisce il teorema di Pitagora, vada a lavorare nei campi!”. Oggi si ragiona di intelligenze multiple; persone dislessiche, in difficoltà con la lettura, possono essere dei grandi artisti. In sintesi, la selezione dovrebbe accompagnarsi con l’orientamento, ma nello stesso tempo dovrebbe favorire lo sviluppo di percorsi formativi complementari, con l’obiettivo dell’integrazione. Quindi, più che scuole specializzate, dovrebbero esservi degli istituti con una parte degli insegnamenti in comune e altri differenziati. In effetti, rispetto all’ argomentazione sulla flessibilità, si potrebbe obiettare che già oggi esistono scuole superiori con indirizzi molto vari. Vi sono i corsi differenti, ma all’interno di essi vi sono poi delle specializzazioni. Questa è certamente la strada, ma serve un ulteriore elemento di flessibilità, come già avviene a livello universitario con i corsi di studio personalizzati, con esami scelti in una certa gamma, in modo da raggiungere ciascuno un risultato originale, più vicino possibile allo sviluppo delle potenzialità personali. Nel dire queste cose non invento certo nulla di nuovo. Anche una volta c’era in classe il ragazzo che magari aveva difficoltà in tutte le materie, ma sapeva suonare la chitarra. E questo ne favoriva l’integrazione e gli apriva delle prospettive. A livello professionale, in molti svolgono lavori di “nicchia”, professioni che richiedono particolarità, come ragionieri con la conoscenza del cinese, o periti in grado di usare il tornio. Con la multimedialità, l’apprendimento a distanza, le fonti informative on-line, la scuola potrebbe darsi prospettive più ambiziose e puntare su risultati più efficaci, in modo che “selezione” la smetta di significare promozione di alcuni e scarto di tutti gli altri e diventi per ciascuno la ricerca della propria strada.

Risposto da Fabio Colasanti su 13 Marzo 2015 a 0:14 Post di Antonino Andaloro del 12 marzo Mi domando qual'è il fine di avere una scuola efficiente ? Se il fine è quello di preparare il terreno per avere dei buoni cittadini, nonchè dei buoni lavoratori, credo che allo stato spetti il compito di favorire l'ingresso nella società, sia che si tratti dello studente liceale/tecnico professionale e sia anche dell' universitario. Non si può pensare di avere un ottimo livello di insegnamento, se poi i futuri lavoratori dovranno avere enormi difficoltà ad aprire una qualsiasi attività individuale, o a dover collezionare master senza certezze . Lo stato, inoltre deve essere presente nel percorso formativo dei giovani come sponsor delle attività o dei ruoli che si accingono a ricoprire, manca infatti in questo momento una speciale coordinazione nazionale delle varie agenzie per il lavoro da cui si traggano indicazioni per conoscere, quali specialisti e quali tecniche siano necessari nei vari campi dell'informatica, della medicina, della stessa scuola, delle innovazioni nell'agricoltura e dell'ambiente, poichè in questi campi il bisogno di aggiornamento e modernizzazione è sempre attuale

Risposto da Fabio Colasanti su 13 Marzo 2015 a 0:14 Post di Pietro Maruca del 12 marzo Buona domanda, Antonino.

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Sposterei l'ottica, almeno in parte: lo Stato dovrebbe garantire una buona scuola, in grado di aiutare gli allievi a conquistare autonomia formativa, acquisendo sicurezza in loro stessi e nelle loro capacità personali e professionali. Certo lo Stato dovrebbe snellire le procedure per l'avvio al lavoro e assistere i giovani nel processo di inserimento, ma deve cambiare la mentalità, in modo copernicano. Il centro dovrebbe diventare il giovane con il suo progetto, perché: - la formazione scolastica non sarà per sempre; ci sarà bisogno di aggiornamento per tutta la vita; - il progresso tecnologico è così rapido che la produzione non potrà più essere continuativa; cambieranno rapidamente le modalità di lavoro, i prodotti, gli usi, i mercati, i luoghi di produzione e gli eventuali datori di lavoro; - la formazione dovrebbe consistere nell'imparare a navigare nella flessibilità, adattandosi al cambiamento; - diventeranno sempre più basilari non tanto i contenuti, quanto le chiavi di lettura, i metodi di lavoro, la gestione delle relazioni tra lavoratori, la capacità di cercare e assemblare informazioni. I contenuti continueranno ad essere basilari, ma soprattutto se il soggetto imparerà ad andarseli a cercare, ad assemblarli in modo originale, ad integrarli con gli elementi di innovazione che la scienza, il mercato, la cultura, la pubblicità, le linee di tendenza continueranno a proporgli. C'è da chiedersi, in questo quadro, cosa si deve conservare, a partire dai valori? Come conciliare cambiamento e flessibilità con le esigenze di stabilità di una normale vita fatta di casa, famiglia, educazione dei figli, coltivazione degli hobby personali e delle amicizie, rapporti con il territorio, a livello sociale e anche politici? Fino a poco tempo fa un buon geometra doveva sapere tutto di terreni, disegni, planimetrie, estimi, materiali di costruzione, impianti … Oggi questo è necessario, ma non basta, perché ci sono le innovazioni in campo energetico, le nuove relazioni con l’ambiente, l’evoluzione della normativa. E fin qui si potrebbe rispondere che basta integrare i programmi scolastici o creare aggiornamenti professionali con dispense, abbonamenti a riviste del settore, contatti associativi nel territorio e in rete. Il problema è che i cambiamenti sono diventati rapidi e, nel fare un progetto di casa, il geometra dovrebbe attuare ricerche ed elaborazioni che implicano conoscenze nel campo della moda, nei settori culturali, a livello di processi politici, con il rischio di sbagliare le previsioni e di dover correggere continuamente il tiro. Serve insomma che si cambi mentalità d’approccio, per capire a cosa serva una casa, anche provando a rispondere alle domande di cui sopra, su cosa conservare e come conciliare le esigenze di stabilità e di cambiamento. Più che lavorare 24 ore al giorno o diventare amico di un astrologo, gli servirebbe quindi l’abitudine ad essere flessibile, a cercare soluzioni che possano eventualmente essere te con maggiore facilità, a sperimentare nei disegni, nell’uso di materiali, nell’assemblaggio di elementi di novità tecnologica quali effetti possano avere le soluzioni provate ed eventualmente a rle, prima di farle diventare scelte da proporre al cliente. Per fare questo, il geometra non deve necessariamente acquisire più nozioni, bensì acquisire sicurezza nel procedere sperimentalmente, e dimestichezza con metodologie di lavoro flessibili. Il centro dell’azione formativa non dovrebbe più essere , quindi, la materia, la disciplina da insegnare/apprendere, ma la padronanza con cui l’uomo ne fa/farà uso, a partire dalle strategie con cui impara/imparerà a conoscerla meglio.

Risposto da Fabio Colasanti su 13 Marzo 2015 a 0:19 Post di Giampaolo Carboniero del 12 marzo

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Esistono già delle eccellenze che potrebbero benissimo essere additate come esperienze pilota cui far convergere, un po' alla volta, tutto il sistema; esiste anche una legge di iniziativa popolare che secondo me varrebbe la pena di leggere ed eventualmente integrare nel disegno di legge http://www.laricerca.loescher.it/images/stories/pdf_normative_quade... http://adotta.lipscuola.it/ http://www.corriere.it/scuola/14_novembre_07/buona-scuola-nasce-mov... Pietro, per me è indispensabile che a monte ci sia la volontà politica di migliorare la scuola e che non si abbiano in mente modelli già precostituiti.

Risposto da Fabio Colasanti su 13 Marzo 2015 a 0:19 Post di Giampaolo Carboniero del 12 marzo Come quando si parla della Costituzione, contesto che nella scuola non ci siano mai stati interventi da decenni; anzi, mi pare che ultimamente ogni governo ci abbia messo le mani, senza coerenza e una visione globale delle problematiche coinvolte, solo con motivazioni ideologiche; non è che se lo facciamo noi, alla stessa maniera, otterremo un risultato migliore, solo perchè lo facciamo noi; se poi per te utilizzare bulldozer e scimitarre su orologi delicatissimi che servono a tracciare il nostro futuro è un buon sistema, mi spiace, ma non sono assolutamente d'accordo.

Risposto da Fabio Colasanti su 13 Marzo 2015 a 0:20 Post di Giampaolo Carboniero del 12 marzo Pietro, il geometra, nella fattispecie, dovrebbe anche aver imparato a lavorare in equipe, viste le conoscenze implicate, che difficilmente possono essere totalmente in capo ad una persona, per quanto bene informata e aggiornata.

Risposto da Fabio Colasanti su 13 Marzo 2015 a 0:20 Post di Giorgio Varaldo del 12 marzo molto interessante ed attuale l'argomento capacità di lavoro in equipe sollevato da giampaolo. equipe intesa sia come parti di un singolo progetto sia come capacità di coordinazione ed integrazione di più funzioni.

Risposto da Fabio Colasanti su 13 Marzo 2015 a 0:20 Posti di Pietro Maruca del 12 marzo Si Giampaolo e Giorgio, in effetti parlando di contatti associativi e in rete, intendevo proprio il lavoro insieme ad altri. Che è stata finora la risposta più intelligente ed è ancora necessaria, soprattutto per i progetti complessi, per i quali servono conoscenze super specializzate

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Forse ora non basta più; ci vuole un cambio di mentalità di approccio, come ho cercato di spiegare sopra,. parlando di ricerca e di sperimentazione, che non si fanno senza un'adeguata preparazione nel proprio settore e nella lettura dei cambiamenti culturali complessivi.

Risposto da Fabio Colasanti su 13 Marzo 2015 a 0:21 Post di Antonino Andaloro del 12 marzo Si Pietro, presso l'istituto Majorana di Brindisi, già hanno adottato un modello di innovazione che portano da diverso tempo.... http://espresso.repubblica.it/attualita/2014/09/09/news/l-innovazio...

Risposto da Fabio Colasanti su 13 Marzo 2015 a 0:21 Post di Ezio Ferrero del 12 marzo Si sono d'accordo: la complessità del mondo moderno e la conseguente complessità dei "saperi" da un lato e dall'altro il fatto che la scuola dovrebbe porsi l'obiettivo di valorizzare il più possibile tutti, in funzione delle loro attitudini e capacità, porta inevitabilmente ad un forte elemento di flessibilità individuale del percorso formativo. Aggiungo un punto al dibattito: sono d'accordo che la scuola deve avere un rapporto più stretto con il mondo del lavoro, ma non penso che la scuola debba diventare una sorta di agenzia delle imprese del territorio, men che meno la selezionatrice per loro conto (questo ruolo magari possono farlo scuole post-secondarie, tipo ITS). Quello che la scuola DEVE fare, ma quella italiana non lo fa in modo adeguato, è preparare i ragazzi al "mondo che c'è furoi", ad essere cittadini del mondo di OGGI. La scuola italiana invece, in particolare i licei, sembra più preparare i ragazzi per l'accademi che viene dopo. Facci oalcuni esempi: è possibile che si esca dal liceo senza avere 4 concetti base di economia? che non si lavori per niente sui cosiddetti "soft skills" (lavoro in tema, capacità di parlare in pubblico, etc.) che sono fondamentali nel mondo di oggi per quasi qualsiasi lavoro si faccia)? che non si abituino i ragazzi a lavorare per progetti ed a gestre questi progetti (non intendo dire di insegnare il project management, ma farli lavorare a progetti complessi). E gli esempi potrebbero continuare. Si tratta di un problema in parte di "programmi" (anche se questi non esistono in realtà più da anni), ma direi soprattutto di mentalità del corpo insegnante (e anche delle famiglie)

Risposto da Fabio Colasanti su 13 Marzo 2015 a 0:21 Post di Ezio Ferrero del 12 marzo Ci sono stati interventi, vero, nessuno dei quali andava a "riformare" davvero il sistema, ci si limitava ad un pochino di cipria, vuoi per mancanza di coraggio, vuoi per mancanza di visione, vuoi per le troppe resistenze. In linea di principio sarei d'accordo con te che gli interventi dovrebbero essere fatti con diciamo delicatezza, ma gli ultimi 30 anni di storia italiana dimostrano che cercare di "costruire il consenso" significa automaticamente andare a sbattere contro uno o più lobby, categorie, sindacati etc. che mettono il veto. Quindi non resta che usare buldozer e bazooka e non dare il tempo ai vari soggetti interessati al fallimento di qualsiasi riforma di organizzarsi.

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Risposto da Pietro Maruca su 13 Marzo 2015 a 1:49 Antonino, bella quell’iniziativa! Le esperienze avviate autonomamente nella scuola sono tantissime e tutte meritevoli di attenzione. So per esperienza, infatti, che la categoria dei docenti è fatta, per lo più, di persone che svolgono il loro lavoro con passione e competenza. Bisognerebbe attivare un sistema di valutazione nazionale per monitorare tutte le realtà positive. So che la parola “valutazione” suscita apprensione e rifiuti aprioristici, ma ci dovrebbe essere un modo per documentare e pubblicizzare ciò che si fa e ciò che si è, senza esposizioni indesiderate. Forse si dovrebbe fare con la valutazione la stessa operazione culturale che si è fatta con i controlli medici. Un tempo qualsiasi forma di controllo veniva vissuta come minaccia al mantenimento del proprio posto di lavoro: "Se si sapesse che sono malato, potrei essere licenziato". Con il tempo e le garanzie, le visite di controllo che ciascuno fa per proprio conto servono esclusivamente per stare meglio e per avere consigli su come curarsi. A una condizione però: non è che ciascuno si possa inventare i parametri di riferimento. La febbre è febbre sopra i 37° e la glicemia segnala il diabete se a digiuno è sopra il 110. Così anche la valutazione dovrebbe essere gestita come autovalutazione, ma, sia pur con tutte le garanzie di privacy, si dovrebbe basare su parametri di riferimento validati e standardizzati. Rispetto al rischio di fare graduatorie, per anni nella rete di scuole di cui ho fatto parte e per cui ho effettuato varie elaborazioni, si restituivano due tipologie di dati (come avviene anche per gli esami clinici): l’esito di classe o di istituto e quello ottenuto dalla media di tutte le scuole del campione. Senza graduatorie. Altri riferimenti possono essere i dati storici, ottenuti con le rilevazioni degli anni precedenti, sia a livello di rete che di scuola. Tutte le forme di autoanalisi basate sul “così è se vi pare” e su dati non comparabili con altre realtà, non servono a nulla, neppure per il miglioramento. PS.: GRAZIE; FABIO! Fabio Colasanti ha detto: Post di Antonino Andaloro del 12 marzo Si Pietro, presso l'istituto Majorana di Brindisi, già hanno adottato un modello di innovazione che portano da diverso tempo.... http://espresso.repubblica.it/attualita/2014/09/09/news/l-innovazio...

Risposto da giorgio varaldo su 13 Marzo 2015 a 8:13 Pietro dalla scuola ci si attende fornisca ai ragazzi un livello di preparazione che consenta loro l'inserimento nel mondo del lavoro quindi nel nostro sistema inserito in un contesto di globalizzazione ci si richiede un livello di preparazione sempre più elevato Siamo in concorrenza con società (giappone, india, cina, paesi ex est europa) dotati di sistemi scolastici molto selettivi nei quali il problema di chi rimane per strada ha ben poca considerazione. Pertanto l'obiettivo di non perdere il "materiale di scarto" deve trovare un equilibrio con una "qualità" che sarà sempre più elevato. Già oggi qui nel nord est molte aziende assumono laureati e diplomati provenienti dai paesi dell'ex est europa e nelle multinazionali come DANIELI operanti in tutto il mondo il bacino al quale attingere per le assunzioni ha dimensioni mondiali quindi livelli di preparazione degli studenti italiani inferiori porteranno conseguenze negative sugli sbocchi occupazionali

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Ritengo quindi che il compito di una scuola che porti avanti in contemporanea i due obiettivi sia molto gravoso e richieda personale molto preparato e motivato e perchè no anche una forte selettività fra i docenti. E poi una domanda riguardo ai docenti specialmente quelli di materie tecniche con le riforme potranno tenersi al passo con il progresso ? se ne parlava con un vicino insegnante di applicazioni pratiche in campo informatico ed il suo commento era piuttosto scoraggiante: se non si riesce a selezionare il personale insegnante anche in base alla capacità di adeguarsi ai tempi troveremmo chi insegna l'uso del PC con i floppy flosci da 5 1/4 !!! Pietro Maruca ha detto: Una scuola molto selettiva è una buona scuola? Diciamo che è molto utile alle aziende, perché svolge a priori il ruolo di scrematura, promuovendo solo i migliori. Ma non è questo il suo compito, quindi, secondo me non è una buona scuola. E' vero che, con una buona selezione, l'istituto vive di rendita e riesce a dare una migliore preparazione a chi ce la fa. Ma qual è il costo? In termini molto cinici e materiali: quanto scarto crea? La società attuale può permettersi uno spreco di risorse così elevato? Il compito della scuola dovrebbe essere quello di creare valore aggiunto e di aprire una prospettiva adeguata a ciascuno. Valore aggiunto significa far sì che tra i prerequisiti e i risultati vi sia un salto molto elevato. Una buona scuola potrebbe ottenerlo grazie ai suoi interventi, ma anche attraverso il coinvolgimento delle famiglie e delle comunità del territorio, comprese le unità produttive presso cui alcuni allievi svolgono gli stage. Di per sé, però, il V.A. da solo non basta. Facciamo un esempio banale. In base ai principi di una scuola severa, tradizionale, che seleziona, se una scuola sportiva si ponesse l'obiettivo di preparare dei saltatori, tutti coloro che hanno gambe corte, corpi robusti, problemi di equilibrio ecc dovrebbero essere scartati, a favore dei soli alti e smilzi. Tra questi, ci dovrebbe poi essere ancora un'ulteriore selezione a favore di coloro che riescono ad avvicinarsi più velocemente alla linea del salto o ad avere l'appoggio più solido o qualche altra peculiarità tecnica. Insomma, da qui avrebbero un'alta probabilità di uscire dei campioni. Nella critica a questo tipo di scuola, spesso si usano frasi del tipo: tutti hanno diritto ad andare avanti; ognuno va valutato rispetto a ciò che sapeva fare inizialmente e ai progressi che è riuscito a raggiungere; fondamentale è l'impegno... Tutte cose vere, ma non adeguate, perché, alla fine, si creano dei disadattati e si premiano sempre e solo i migliori. I costi a causa della dispersione continuano a essere elevati. Una scuola che si accontentasse di creare il mero valore aggiunto, insomma, darebbe buone opportunità ai soliti che hanno prerequisiti elevati e buone probabilità di diventare campioni, ma non darebbe prospettiva agli altri. E’ vero: non li selezionerebbe, non li lascerebbe a casa, ma farebbe comunque poco per loro. Li convincerebbe, insomma, che possono accontentarsi dei loro risultati mediocri. In pratica rinvierebbe semplicemente la selezione alla fase successiva. Una scuola di questo tipo, sensibile e solidale, pur facendo un buon lavoro per il miglioramento di tutti i suoi allievi, non renderebbe un buon servizio neppure a se stessa, dato che tra i suoi diplomati molti sarebbero promossi senza aver ottenuto gli standard necessari. Qual è quindi la situazione ideale? Quella che offre V.A, ma anche la maggiore flessibilità nell'offerta formativa. A mio parere, la scuola dovrebbe favorire dei percorsi individuali nei quali ciascuno riesca a dare il meglio di sé. Con un progetto individuale, concordato con le famiglie e vissuto in una comunità, quella scolastica, in cui, dal confronto, ma anche dalla valorizzazione delle specificità, può derivare il massimo di risultati. Torniamo all’esempio di sopra. La scuola sportiva dovrebbe allargare i suoi orizzonti. Oltre che saltatori dovrebbe iniziare a pensare alla preparazione di pesisti, nuotatori, giavellottisti, rugbisti, canoisti, ginnasti … Eventualmente facendo rete con altre scuole del territorio per le specializzazioni per le quali servano attrezzature specifiche.

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Aumenterebbe così la quantità di pre-requisiti utili per diventare dei campioni sportivi e, di conseguenza, il numero di successi formativi. Anche di campioni per le para-olimpiadi. L’esempio ha portato ad un ragionamento volutamente per assurdo, perché non esiste, che io sappia, una scuola esclusivamente sportiva. Il concetto comunque è che un tempo si ragionava in termini di “intelligenza” e la selezione portava a dire dentro o fuori: “Chi non capisce il teorema di Pitagora, vada a lavorare nei campi!”. Oggi si ragiona di intelligenze multiple; persone dislessiche, in difficoltà con la lettura, possono essere dei grandi artisti. In sintesi, la selezione dovrebbe accompagnarsi con l’orientamento, ma nello stesso tempo dovrebbe favorire lo sviluppo di percorsi formativi complementari, con l’obiettivo dell’integrazione. Quindi, più che scuole specializzate, dovrebbero esservi degli istituti con una parte degli insegnamenti in comune e altri differenziati. In effetti, rispetto all’ argomentazione sulla flessibilità, si potrebbe obiettare che già oggi esistono scuole superiori con indirizzi molto vari. Vi sono i corsi differenti, ma all’interno di essi vi sono poi delle specializzazioni. Questa è certamente la strada, ma serve un ulteriore elemento di flessibilità, come già avviene a livello universitario con i corsi di studio personalizzati, con esami scelti in una certa gamma, in modo da raggiungere ciascuno un risultato originale, più vicino possibile allo sviluppo delle potenzialità personali. Nel dire queste cose non invento certo nulla di nuovo. Anche una volta c’era in classe il ragazzo che magari aveva difficoltà in tutte le materie, ma sapeva suonare la chitarra. E questo ne favoriva l’integrazione e gli apriva delle prospettive. A livello professionale, in molti svolgono lavori di “nicchia”, professioni che richiedono particolarità, come ragionieri con la conoscenza del cinese, o periti in grado di usare il tornio. Con la multimedialità, l’apprendimento a distanza, le fonti informative on-line, la scuola potrebbe darsi prospettive più ambiziose e puntare su risultati più efficaci, in modo che “selezione” la smetta di significare promozione di alcuni e scarto di tutti gli altri e diventi per ciascuno la ricerca della propria strada.

Risposto da Cristina Favati su 13 Marzo 2015 a 12:04 Ottimo lavoro. Grazie Fabio. Posto su FB.

Risposto da Cristina Favati su 13 Marzo 2015 a 12:22 Condivido i dubbi di Pietro sulla preparazione dei Presidi a saper svolgere il ruolo che sarà loro richiesto. Fino ad oggi, quelli che ho incontrato nella mia lunga carriera di docente, erano più che altro dei burocrati in grado di siglare, senza quasi mai intervenire direttamente, il lavoro svolto in toto dagli insegnanti. L'efficienza della scuola era e credo sia ancora interamente sulle spalle dei docenti. Saranno in grado gli attuali Dirigenti di compiere una metamorfosi così profonda senza un percorso di formazione sul campo? Negli ultimi anni sono stati immessi in ruolo molti giovani presidi, almeno in Liguria e a Genova. Speriamo sappiano presto orientarsi e soprattutto imparare ad essere super partes. Probabilmente occorrerebbe un nuovo percorso di reclutamento dei Dirigenti, che non valuti solo i titoli e le conoscenze legislative. Ci vorrebbe molto di più. Fabio Colasanti ha detto: Post di Pietro Maruca dell'11 marzo. L'autonomia alle scuole, senza risorse e strumenti per procurarsele, diventa di fatto uno scarica barile.

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Più potere ai presidi è un'arma a doppio taglio: senza una adeguata preparazione nel gestire relazioni e conflitti, i dirigenti scolastici rischiano di trasformare la scuola in uno spazio dove si insegnano principi di giustizia e si praticano l'abuso e la prevaricazione, con molte diversità tra scuola e scuola. La questione dei precari e i problemi immediati, come quelli della sicurezza, devono essere disgiunti dal tema della riforma: ci dovrebbero essere soluzioni provvisorie e rapide, per andare avanti con un servizio che non può interrompersi. Parallelamente si dovrebbero avviare le riflessioni sulla scuola da adeguare alle esigenze del prossimo futuro. Confesso, però, che ogni volta che si inizia a parlare seriamente di riforma, come già fu con Berlinguer, ci sono talmente tante alzate di scudi, da parte di forze gigantesche (movimenti di decine o centinaia di migliaia di persone), che mi vien da associare i protagonisti ministeriali al buon don Chisciotte. Penso che abbia fatto bene Renzi a ripiegare sul disegno di legge. Considero giusto l'obiettivo di ascoltare. Quasi rassegnato, però, mi vien da scuotere la testa: in questo clima temo che si concluderà poco. Forse, potrebbe essere più concreto un progetto che provi a riunire alcuni esperti e che promuova alcune esperienze pilota, che possano poi diventare modello a cui ispirarsi e verso cui orientare l'attenzione delle parti in causa.

Risposto da Pietro Maruca su 13 Marzo 2015 a 12:23 Forse Giorgio, mi sono spiegato male. La selezione di per sé è uno spreco se porta a degli scarti. Diventa utile, insieme all'orientamento, se permette alla scuola di aiutare i giovani nel perseguire i loro obiettivi, in base alle loro capacità. Alcuni in campo tecnico e altri in settori diversi. E' sbagliato, e produce scarsi risultati, accanirsi nella formazione specialistica di qualcuno che non è portato verso quel tipo di studi. Orientandolo diversamente, lo studente diventa parte attiva nella sua formazione e la scuola ottiene risultati più efficaci. Considero poi illuminante ciò che tu scrivi nelle ultime frasi. La capacità di adattarsi al nuovo e di interpretarlo è l'obiettivo formativo prioritario; vale per i docenti, ma anche per tutti gli altri. Infatti la semplice conoscenza tecnica, per quanto completa e approfondita, nel giro di pochissimi anni diventa parziale e superata, per la rapidità dell'evoluzione tecnologica. Rispetto a ciò che scrivi in merito alla concorrenza mondiale, in particolare con India e Cina, ci scontriamo con i grandi numeri e si deve valutare quale sia la politica migliore. Gli USA da sempre, ma in particolare a partire dal secolo scorso, stanno facendo una politica inclusiva, portando i migliori laureati di tutto il mondo a diventare "americani". Gli Usa cavalcano la globalizzazione: usano questi "cervelli" nelle loro industrie, ma anche per preparare meglio i loro studenti. Comunque non hanno inventato nulla. Nell'antica Roma uno schiavo non valeva più di un centinaio di sesterzi, ma uno schiavo greco istruito, da introdurre nella propria casa come educatore, ne poteva valere anche 50.000. giorgio varaldo ha detto: Pietro dalla scuola ci si attende fornisca ai ragazzi un livello di preparazione che consenta loro l'inserimento nel mondo del lavoro quindi nel nostro sistema inserito in un contesto di globalizzazione ci si richiede un livello di preparazione sempre più elevato Siamo in concorrenza con società (giappone, india, cina, paesi ex est europa) dotati di sistemi scolastici molto selettivi nei quali il problema di chi rimane per strada ha ben poca considerazione. Pertanto l'obiettivo di non perdere il "materiale di scarto" deve trovare un equilibrio con una "qualità" che sarà sempre più elevato. Già oggi qui nel nord est molte aziende assumono laureati e diplomati provenienti dai paesi dell'ex est europa e nelle multinazionali come DANIELI operanti in tutto il mondo il bacino al quale attingere per le assunzioni ha dimensioni mondiali quindi livelli di preparazione degli studenti italiani inferiori porteranno conseguenze negative sugli sbocchi occupazionali (...)

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Risposto da Cristina Favati su 13 Marzo 2015 a 12:44 Riporto da Fb questo commento extra sarcastico sulla riforma da parte di un nostro ex iscritto al circolo. Non credo di compiere un abuso postandolo qui, dal momento che è on line. Mi ha fatto riflettere, perché comunque, come dice Pietro, riformare sarà davvero difficile, se non ci ripuliamo dai nostri giudizi insindacabili e dai nostri pregiudizi. "Ci avete fatto caso? Fino ad oggi (13 marzo 2015) nella casistica di dirigenti pubblici che favoriscono amici e parenti (le famose parentopoli) non compariva il dirigente scolastico.Non ne aveva, anche volendo, la possibilità Una anomalia da sanare. Certo la scuola non è come una azienda di trasporti pubblici, non è giusto. Bisogna adeguarla al più presto." Quando impareremo anche a pensare che in Italia oltre ai farabutti ci sono tante brave persone che cercano di fare al meglio il loro lavoro con onestà? Senza questo presupposto, ogni riforma è inutile.

Risposto da Pietro Maruca su 13 Marzo 2015 a 13:35 Cristina, hai toccato un tema per me molto doloroso. Ci sono tutti i dubbi che tu poni, a livello formativo e di orientamento politico: per anni si è inseguita la figura del manager. Non mi voglio addentrare sull’argomento, che mi porterebbe a dilungarmi a dismisura, avendo svolto quel compito per 25 anni. Mi limito a considerare un aspetto: un istituto è mediamente formato da 100-150 persone diplomate o laureate, oltre a un certo numero di lavoratori addetti alla sorveglianza e alla pulizia. Vi sono come minimo 35-40 luoghi fisici, le aule, dove si svolgono attività produttive di un certo impegno. In ciascuna aula, oltre venti allievi si giocano tutti i giorni il loro futuro con dei docenti la cui esperienza formativa e la cui preparazione culturale sono molto variegate. Ci sono ptofessionisti dall'ottimo profilo, ma ci sono anche persone che hanno difficoltà comunicative, problemi relazionali, e, perché non dirlo?, alcuni presentano lacune culturali notevoli. Gli allievi oggi sono sempre più dei casi a sé, con differenze di preparazione di base, problematiche familiari, caratteristiche psicologiche particolari, spesso condizionate da pressioni ambientali rilevanti. E sono intorno al migliaio in un istituto. Il territorio, soprattutto in provincia, ha gli occhi puntati su questi luoghi formativi, a partire dalle autorità politiche. Vi sono vari gruppi di pressione, a partire dalle associazioni. I genitori stessi hanno delle aspettative individuali o collettive, che si traducono in input su iniziative da svolgere o su problematiche che si ripresentano periodicamente, ad esempio al momento della valutazione, della discussione sul programma annuale, dei confronti con i quaderni dell’amico della classe accanto che dimostrano che lui è più avanti, dei compiti a casa, della scelta della scuola successiva o della valutazione della preparazione ottenuta dalla scuola precedente. Tralascio, acquisti, bilancio, riparazioni, pressioni sugli enti locali per i loro interventi, litigi tra docenti, litigi tra genitori e docenti, sicurezza Anche già solo il nodo delle riunioni degli organi collegiali, i consigli di classe, le discussioni in merito agli interventi disciplinari, è un fenomeno da moltiplicare in un istituto per il numero delle classi: se le classi sono 40, sono 40 anche i consigli di classe, 40 le situazioni in cui si presentano dinamiche relazionali complesse con esigenze di provvedimenti particolari …. Sicuramente sto tralasciando molto del quotidiano di una scuola, comunque mi fermo qui. E chiedo: ”Quale azienda affiderebbe tutto ciò a UNA persona sola?” Non dico per controllare, perché per fortuna nella scuola c’è un grande senso civico, ma per aiutare a individuare i nodi critici e a risolverli, per intervenire sui conflitti, per promuovere innovazione. Per parlare, ad esempio, di autovalutazione servono montagne di ore, di contatti personali, di riflessioni per convincere dell’utilità di determinate attività, anche per il miglioramento del servizio educativo. Imprese titaniche.

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Quando scrivo 100 – 150 persone diplomate e laureate, intendo lavoratori in grado di far pesare tutta la loro preparazione per riflettere e ragionare, sia con l’obiettivo di collaborare, sia, purtroppo, con lo scopo di metterti i bastoni tra le ruote. Certo, esiste la possibilità di delega, ci sono gli incarichi aggiuntivi, che alcuni docenti svolgono fuori orario, con compensi inadeguati, ma sono minima cosa rispetto a ciò che servirebbe per approfondire e trovare soluzioni efficaci. Cristina, so che è anche questione di sensibilità personale, di formazione e di capacità relazionali, ma ti pare che ci siano le condizioni per operare come sarebbe auspicabile? Cristina Favati ha detto: Condivido i dubbi di Pietro sulla preparazione dei Presidi a saper svolgere il ruolo che sarà loro richiesto. Fino ad oggi, quelli che ho incontrato nella mia lunga carriera di docente, erano più che altro dei burocrati in grado di siglare, senza quasi mai intervenire direttamente, il lavoro svolto in toto dagli insegnanti. L'efficienza della scuola era e credo sia ancora interamente sulle spalle dei docenti. Saranno in grado gli attuali Dirigenti di compiere una metamorfosi così profonda senza un percorso di formazione sul campo? Negli ultimi anni sono stati immessi in ruolo molti giovani presidi, almeno in Liguria e a Genova. Speriamo sappiano presto orientarsi e soprattutto imparare ad essere super partes. Probabilmente occorrerebbe un nuovo percorso di reclutamento dei Dirigenti, che non valuti solo i titoli e le conoscenze legislative. Ci vorrebbe molto di più.

Risposto da Cristina Favati su 13 Marzo 2015 a 13:57 Una persona certamente non può fare tutto da sola, ma anche oggi esistono organi collegiali (Consiglio di Istituto, Collegi docenti, Consigli di classe...) che hanno funzione di condivisione delle scelte educative e di gestione della scuola. Ottimizzare le competenze che già esistono, trovarne di altre e saperle gestire insieme a tutte le diverse componenti (docenti, personale ATA, studenti, genitori), scegliersi collaboratori validi e capaci: in fondo è quello che i Presidi fanno già da molto tempo. Io sono fiduciosa.

Risposto da Cristina Favati su 13 Marzo 2015 a 14:23 http://www.repubblica.it/scuola/2015/03/13/news/i_nuovi_poteri_del_... http://www.repubblica.it/scuola/2015/03/12/news/scuola_il_cdm_appro...

Risposto da Alessandro Bellotti su 13 Marzo 2015 a 16:45 Non ho capito perchè Renzi vuole dare maggior impulso all'insegnamento della musica, dell'arte, delle scienze motorie e ci metto pure le lingue. Questo 'indirizzo' sarà a scapito di risorse per materie scientifiche o tecniche ? Chi si diploma oggi in un liceo linguistico è un disoccupato sicuro.... L'arte, in Italia, viene 'messa spesso da parte',e lo studio della musica è troppo impegnativo per i risultati che può produrre a livello professionale. Delle scienze motorie, francamente, si può dal mio punto di vista, non parlare... Sembra che si faccia tutto il possibile per non impegnarsi da un punto di vista tecnologico... Qui a Modena si fa una gran pubblicità a scuole superiori che sono fabbriche di disoccupati...

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E' evidente che manca una regia a livello locale (provinciale e regionale) ed inoltre, visti i contributi che arrivano da Roma, occorrerebbe forse, come predico da anni, dare un'occhiata all'estero e magari scegliere cosa si vuole fare in Italia della scuola facendo i necessari interventi a livello centrale. Che senso ha investire in musicisti o in artisti se poi si fa di tutto per affossare i teatri ? Che senso ha dare un nuovo impulso alle scienza motorie se poi si è costretti ad utilizzare i cortili per la mancanza di palestre ? Mi piace la scelta di maggiore autonomia ai presidi. Come ho già scritto abbiamo a livello aziendale avviato collaborazioni con due ITIS molto importanti qui a Modena. E questo lo dobbiamo, appunto, all'autonomia didattica che alcuni insegnanti, ovviamente autorizzati dai presidi, possono mettere in campo per allacciarsi alla realtà locale. Cristina ha dei dubbi che condivido. Ha ragione Renzi quando dice che deve essere la scuola il motore trainante del paese. Dalla chiacchere spero si arrivi ai fatti. Bene la discussione in Parlamento. Ben venga questo piccolo segno di umiltà di Renzi.

Risposto da Antonino Andaloro su 13 Marzo 2015 a 18:37 Rimango dell'idea che i pilastri della società ( scuola - lavoro )per il bene degli studenti, debbano avere tutto in sintonia e che tra di essi debba esistere un interscambio di interessi e di esperienze.Non si può pensare di avere un eccellente corpo docente senza avere strutture e progetti adeguati, o mirati al conseguimento di risultati che aprano scenari nuovi e che portino gli stessi studenti a sperimentare forme di occupazione extra agli impegni di studio.La crisi della nostra società è dovuta anche allo spreco di risorse umane, al disagio continuo dei giovani, o neo laureati o diplomati ; se la scuola assumesse un ruolo guida tutto questo si potrebbe ridurre.

Risposto da Alberto Rotondi su 13 Marzo 2015 a 18:57 E' più di 40 anni che vivo nella scuola (come padre diu due figli ora laureati) e nell'università (come docente). Ho fatto concorsi in tutti i tipi e forme prima come candidato, ora come commissario.giudice. E mi sono convinto di una cosa: i concorsi nazionali,, le prove con centinaia o migliaia di candidati, non hanno molto senso, se non come prima selezione di requisiti minimi. Ma poi la vera selezione, per essere valida ed efficace, deve avvenire localmente e in un sistema competitivo. Se so che assumendo uno bravo la mia scuola e anche il mio stipendio ci guadagna e se invece assumendo un incapace cretino ma raccomandato faccio naufragare la scuola e la mia carriera, starò attento a chi scegliere. Ed è solo con le selezioni mirate locali (come luogo della selezione, ma aperte a tutti) che sceglierò non il migliore in senso assoluto, ma il migliore per la mia scuola, considerando anche le qualità caratteriali e psichiche, che solo in questo tipo di concorsi sono valutabili. E in un regime competitivo la scuola o il Dipartimento che assume i migliori dovrà essere premiato attraverso meccanismi rigorosi di valutazione. Mi si dice: con concorsi locali i Presidi assumeranno gli amici degli amici, siamo in Italia. Ebbene sì, siamo in Italia, ma o smettiamo di comportarci da italiani o siamo spacciati. Chi opera in questo modo deleterio non deve più avere il consenso sociale, deve essere emarginato, altrimenti siamo veramente finiti. Voglio vedere se un preside che sente la pressione dei genitori e del proprio personale, in un concorso in cui mette in gioco la sua reputazione e quella della scuola cosa sceglie. Creare meccanismi concorrenziali attraverso la valutazione del sistema e delocalizzare le responsabilità. Inoltre occorre una rivoluzione culturale sul merito. Sono anni che perdiamo energie in assurdi concorsi nazionali, in cui le porcate sono diluite nello spazio e nel tempo, così alla fine la colpa dell'inefficienza del sistema non è di nessuno. Questi meccanismi si stanno lentamente facendo strada nell' Università, ed è ora di introdurli anche nella suola superiore. Dobbiamo far capire ai nostri figli, cresciuti nella bambagia, che là fuori si sta giocando una partita dura. Ci sono migliaia di giovani bravi e istruiti che hanno visto la fame e che usano la propria preparazione venendo qui e facendosi

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strada, a spese dei nostri ragazzi, che scelgono professioni che li renderanno disoccupati e che studiano poco. Così, mentre i nostri figli si laureano in comunicazione interculturale e storia del cinema, le nostre imprese assumono schiere di ingegneri meccanici o elettrotecnici provenienti da paesi stranieri. Dobbiamo educare i nostri figli alla sfida della globalizzazione, che non è facile, anche attraverso le nostre scuole rinnovate. e competitive.

Risposto da Ezio Ferrero su 14 Marzo 2015 a 0:17 Condivido in pieno. Molti di quelli che rigettano qualsiasi cambiamento penso non abbiano la percezione del livello di competitività dei giovani dei paesi emergenti Alberto Rotondi ha detto: E' più di 40 anni che vivo nella scuola (come padre diu due figli ora laureati) e nell'università (come docente). Ho fatto concorsi in tutti i tipi e forme prima come candidato, ora come commissario.giudice. E mi sono convinto di una cosa: i concorsi nazionali,, le prove con centinaia o migliaia di candidati, non hanno molto senso, se non come prima selezione di requisiti minimi. Ma poi la vera selezione, per essere valida ed efficace, deve avvenire localmente e in un sistema competitivo. Se so che assumendo uno bravo la mia scuola e anche il mio stipendio ci guadagna e se invece assumendo un incapace cretino ma raccomandato faccio naufragare la scuola e la mia carriera, starò attento a chi scegliere. Ed è solo con le selezioni mirate locali (come luogo della selezione, ma aperte a tutti) che sceglierò non il migliore in senso assoluto, ma il migliore per la mia scuola, considerando anche le qualità caratteriali e psichiche, che solo in questo tipo di concorsi sono valutabili. E in un regime competitivo la scuola o il Dipartimento che assume i migliori dovrà essere premiato attraverso meccanismi rigorosi di valutazione. Mi si dice: con concorsi locali i Presidi assumeranno gli amici degli amici, siamo in Italia. Ebbene sì, siamo in Italia, ma o smettiamo di comportarci da italiani o siamo spacciati. Chi opera in questo modo deleterio non deve più avere il consenso sociale, deve essere emarginato, altrimenti siamo veramente finiti. Voglio vedere se un preside che sente la pressione dei genitori e del proprio personale, in un concorso in cui mette in gioco la sua reputazione e quella della scuola cosa sceglie. Creare meccanismi concorrenziali attraverso la valutazione del sistema e delocalizzare le responsabilità. Inoltre occorre una rivoluzione culturale sul merito. Sono anni che perdiamo energie in assurdi concorsi nazionali, in cui le porcate sono diluite nello spazio e nel tempo, così alla fine la colpa dell'inefficienza del sistema non è di nessuno. Questi meccanismi si stanno lentamente facendo strada nell' Università, ed è ora di introdurli anche nella suola superiore. Dobbiamo far capire ai nostri figli, cresciuti nella bambagia, che là fuori si sta giocando una partita dura. Ci sono migliaia di giovani bravi e istruiti che hanno visto la fame e che usano la propria preparazione venendo qui e facendosi strada, a spese dei nostri ragazzi, che scelgono professioni che li renderanno disoccupati e che studiano poco. Così, mentre i nostri figli si laureano in comunicazione interculturale e storia del cinema, le nostre imprese assumono schiere di ingegneri meccanici o elettrotecnici provenienti da paesi stranieri. Dobbiamo educare i nostri figli alla sfida della globalizzazione, che non è facile, anche attraverso le nostre scuole rinnovate. e competitive.

Risposto da Pietro Maruca su 14 Marzo 2015 a 3:21 Alessandro, condivido la tua preoccupazione per la fabbrica dei disoccupati e la considerazione che fai su Regione e Provincia, che dovrebbero coordinare il territorio nel promuovere le scelte formative più vicine all’idea di sviluppo di quell’area.

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Sulle scuole d'arte direi che abbiamo un gran bisogno di restauratori che sappiano fare bene il loro mestiere, per salvaguardare le opere che il mondo ci invidia. Sulle scuole tecniche condivido la preoccupazione che non si faccia abbastanza, ma più ancora sullo studio delle scienze nel loro complesso. Anche se non le metterei in contrapposizione tra loro: mi pare che ci sia posto per tutti. Abbiamo centinaia di migliaia di studenti che si diplomano ogni anno, ma abbiamo anche molta dispersione scolastica, sia alle superiori che all'Università, magari perché l'indirizzo scelto era sbagliato. Non tutti gli artisti sono come Leonardo, che ha praticato con successo sia la pittura che le scienze. Pensa che danno per il Louvre (passami la battuta), se il padre di Leonardo lo avesse convinto ad abbandonare l'arte per dedicarsi con più impegno agli studi scientifici! In realtà, il guaio attuale non è determinato dagli studi senza mercato, ma dalla scarsa convinzione con cui un po’ tutti gli studi vengono intrapresi e dalla debolezza del percorso formativo verso la padronanza del proprio sapere. Poi, certo, questo guaio diventa più drammatico se non vi sono prospettive. Ne posso parlare con orgoglio, senza peccare di presunzione, perché il merito è tutto degli insegnanti che hanno attuato il progetto: la scuola media del mio istituto comprensivo ha svolto per anni un’indagine sul successo scolastico dei nostri allievi al termine del I anno di scuola superiore, confrontando poi i dati con quelli medi provinciali e distrettuali forniti dalla Regione. I nostri esiti, pur oscillanti di anno in anno, sono sempre stati di gran lunga superiori a quelli più generali. Merito della didattica, del POF, degli interventi individualizzati, dei laboratori e del grande impegno dei docenti. Soprattutto, però, penso che sia il risultato di un ottimo ed efficace lavoro di orientamento. Alessandro Bellotti ha detto: Non ho capito perchè Renzi vuole dare maggior impulso all'insegnamento della musica, dell'arte, delle scienze motorie e ci metto pure le lingue. Questo 'indirizzo' sarà a scapito di risorse per materie scientifiche o tecniche ? Chi si diploma oggi in un liceo linguistico è un disoccupato sicuro.... L'arte, in Italia, viene 'messa spesso da parte',e lo studio della musica è troppo impegnativo per i risultati che può produrre a livello professionale. Delle scienze motorie, francamente, si può dal mio punto di vista, non parlare... (...)

Risposto da giorgio varaldo su 14 Marzo 2015 a 10:20 riguardo agli sbocchi professionali degli istituti d'arte specialmente quelli che preparano le figure professionali di restauratori c'è da segnalare una forte richiesta del mercato estero. Una delle aziende con la quale ho avuto occasione di collaborare ha una sezione dedicata alla ricerca ed alla produzione di prodotti chimici di quel settore e vende in tutto il mondo ed in questo settore l'italia ha una posizione di leadership mondiale e almeno da cosa sentivo dire le nostre scuole attirano la presenza di studenti provenienti da tutto il mondo. quindi una situazione di eccellenza.. forse i giudizi negativi sulla scuola non è che siano sempre reali

Risposto da giorgio varaldo su 14 Marzo 2015 a 10:36 un piccolo apporto riguardo alle possibilità di occupazione per gli studenti di lingue

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anche in questo settore il successo dipende dalla elasticità degli studenti e sopratutto dalla capacità di associare le lingue straniere ad altre discipline un laureato in lingua cinese può avere sbocchi professionali incredibili o può rimanere disoccupato a vita. se si specializza nel cinese commerciale o giuridico sarà subissato da richieste di lavoro certo non sarebbe nella stessa situazione chi si specializza nella poesia cinese della dinastia zhou. ricordo un fatterello accaduto alla fine degli anni 80 un conoscente titolare di una ditta di insaccati chiese di tradurgli una proposta commerciale bielorussa , la parte in italiano offriva suini di ottima qualità a prezzi stracciati .. poi la parte scritta in cirillico descriveva la zona di provenienza dei suini :meno di 100 km a nord di cernobyl..al che per anni lo si si è preso in giro: avresti potuto vendere mortadelle e salami visibili di notte senza accendere la luce del frigo!!

Risposto da Cristina Favati su 14 Marzo 2015 a 10:40 Riporto qui un mio commento scritto sul gruppo fb, in risposta al''intervento di un'amica insegnante che conosco personalmente e che afferma che questa riforma non è di sinistra. Il rischio che un Preside incapace possa fare danni è reale. Non parliamo poi se è pure disonesto. Voglio sperare però che chi ricopre tale ruolo ne sia degno e se non lo è, possa essere allontanato dalla sua mansione. Spero che il parlamento agisca in tal senso. E' anche vero però che oggi il Preside non ha poteri se un insegnante non fa il proprio dovere e si dimostra palesemente disonesto. Faccio un esempio che ho vissuto in prima persona. Nella mia sezione un anno arrivò una docente di lettere, assunta di ruolo, che faceva contemporaneamente la lettrice di italiano alla Sorbona, mentre avrebbe dovuto essere in classe a Genova. Mesi consecutivi di assenza con certificati medici falsi. Il Preside non ebbe altro modo per agire che chiedere la testimonianza diretta di noi colleghi per allontanarla dalla sua mansione. Alcune di noi, quelle che vivevano quotidianamente il disagio dei ragazzi ai quali l'insegnante in questione, nelle rare apparizioni a scuola, diceva testualmente che lei non aveva tempo da perdere con loro, andarono di fronte al PM a denunciarla e tutto quello che la scuola ottenne fu che la persona in questione venne mandata in pensione anticipata a 40 anni. Potè continuare a fare la lettrice alla Sorbona e godersi pure la pensione italiana. Sembra un caso limite, ma potrei citarne altri di insegnanti totalmente incapaci per cui il Preside si inventava mansioni particolari pur di allontanarli dalle classi. Infatti non poteva per legge allontanarli in alcun modo dal loro ruolo. E dunque c'erano bibliotecari con lo stipendio di insegnante che stazionavano in un'aula a non far niente. Mi sono sempre detta che tali anomalie del servizio pubblico si dovessero re. Insomma ritengo che chi non è all'altezza del suo compito per indiscussa incapacità, caratteriale, comportamentale o di mancata competenza nella sua materia debba essere allontanato dalla scuola e messo in grado di scegliersi un altro mestiere. Nella mia esperienza di insegnante e di madre ho incontrato molti più insegnanti dannosi che non Presidi. Vedremo come il parlamento agirà, se sarà capace di trovare i giusti correttivi, ma, secondo me, non esiste nulla di più di sinistra, che valorizzare il merito. Dove c'è.

Risposto da Pietro Maruca su 14 Marzo 2015 a 14:29 Antonino, concordo sul fatto che la scuola dovrebbe essere all’altezza dei docenti più preparati, che comunque finora sono riusciti a fare cose eccellenti, anche al di là dei riconoscimenti, come sostiene Giorgio, e anche al di là del sistema, che spesso ha remato contro. Un lavoro importante dovrebbe essere proprio quello di conoscere i punti forti della nostra scuola e farne oggetto di studio per tutti gli insegnanti. Condivido molti ragionamenti di Alberto, perché il fatto di essere toccati anche negli interessi personali può spingere verso scelte di miglioramento. Penso che la scuola italiana abbia molti punti di eccellenza e buone strategie per valorizzare i migliori. E’ ancora carente, a mio parere, con chi ha delle difficoltà. Non nel senso che sia poco accogliente o comprensiva, bensì poco efficace. Dovrebbe migliorare nell’orientamento, nel motivare ad apprendere e nel differenziare gli studi in modo che ciascuno possa sviluppare al massimo le SUE capacità.

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Come da altra parte ho sostenuto rispetto ai valori, penso che sia di sinistra dare importanza a ciascuno, soprattutto per i suoi elementi di diversità, per le sue peculiarità, per la sua originalità, che può diventare importante per tutti se sviluppata e vissuta in un contesto di rete. Quindi, Cristina, non solo “valorizzare il merito”, che comunque va sostenuto e valorizzato anche quando le condizioni socio economiche ostacolano gli studi dell’allievo capace, ma soprattutto valorizzare ciascuno per le potenzialità che ha e che può esprimere. Se non altro per ridurre i costi economici e sociali del disagio, della dispersione scolastica, della devianza dovuta al senso di fallimento che provano molti giovani quando subiscono un insuccesso scolastico e non si sentono valorizzati.

Risposto da giorgio varaldo su 14 Marzo 2015 a 14:33 pietro magari un po meno di garantismo per il personale forse non guasterebbe...

Risposto da Cristina Favati su 14 Marzo 2015 a 15:26 Forse mi sono espressa male. Quando ho detto che la scuola deve valutare il merito, intendevo quello degli insegnanti, piuttosto che quello degli alunni. Ricordo furibonde discussioni in sala professori con un collega che sosteneva l'assoluta necessità che fossero gli alunni a doversi adeguare ai docenti, mentre io sostenevo l'esatto contrario. Mi diceva: tu svilisci la nostra professione e io gli rispondevo: fatti l'esame di coscienza e vedrai i tuoi limiti. E' la scuola che si adatta al materiale umano che ha, modella i suoi standard e i metodi di insegnamento. Nessuno deve andare perduto, tutti possono e devono essere recuperati nella scuola come discenti e come cittadini. Perché la finalità ultima della scuola è formare dei cittadini consapevoli, oltre che preparati culturalmente (che poi è un pò la stessa cosa). Ricordo un'insegnante di lettere che, durante la prima guerra del Golfo, richiesta da un alunno di poter discutere del tema, gli rispose che non era in programma. Ecco quella, che pure passava per un'insegnante di primo livello, dimostrò in quell'occasione i suoi limiti, umani prima che professionali. Non deve esistere alcuna richiesta dei ragazzi che faccia parte del loro vissuto e della loro crescita, cui l'insegnante possa sottrarsi dal rispondere. L'insegnante non fa solo crescere i suoi alunni, ma deve crescere con loro, altrimenti è un insegnante fallito. Ogni ragazzo ha potenzialità che i docenti spesso non sanno cogliere, per disinteresse, mancanza di tempo o anche per supponenza. Quanti insegnanti così ho incontrato..

Risposto da Giampaolo Carboniero su 14 Marzo 2015 a 18:07 Non ho competenze nè esperienza nel merito, salvo quella acquisita col figlio e la partecipazione alle riunioni convocate dalle scuole locali, ma, secondo me, anche nella scuola, ci sarebbe necessità di separare e diversificare le competenze; giustamente non si può pretendere che un preside campione nei rapporti interpersonali tra insegnanti e tra insegnanti e alunni, nell'innovazione didattica, ecct., sia anche un buon manager; non si possono coinvolgere i consigli dei genitori nelle scelte didattiche, ma solo negli orari, nelle eventuali ore extra-scolastiche, e altro in cui non entrino competenze specifiche del corpo insegnante; sarebbe poi utile creare una rete tra tutte le scuole, magari evidenziando le migliori pratiche, anche estere, che potrebbero diventare una banca dati cui attingere, sia per la didattica e l'organizzazione, sia per una comprensione migliore del proprio e altrui status e valutazione, sia per incentivare un sano principio di emulazione e in cui potesse intervenire, limitatamente, anche il ministero, per attingere e scambiare dati, coordinare e, se del caso, intervenire tempestivamente; si deve cominciare a utilizzare compiutamente l'informatica e le sue possibilità, inserire una seconda lingua, seriamente, già dalle elementari, con audiovisivi in lingua madre, esercitazioni e scambi inter-scuola;

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Se vogliamo pensare alla scuola come istituto di formazione di prossimi cittadini europei è da questa che si deve iniziare praticamente, cercando di fare rete, copiando e incentivando le migliori esperienze, facendo tesoro anche di quelle estere. Penso inoltre che uno dei principali problemi che ostano alla costruzione di una scuola moderna sia quello della mancata conoscenza delle lingue estere da parte del corpo insegnante, oltre, naturalmente, allo stato inadeguato e fatiscente di tante strutture.

Risposto da giovanni de sio cesari su 15 Marzo 2015 a 8:39 Alessandro Inserire nel piano di studio musica ed arte non significa affatto preparare musicisti e pittori. cosi come insegnare letteratura e filosofia non vuol dire formare filosofi e romanzieri Nella scuola le materie ( piu esattamente : le discipline) hanno ( avrebbero) il fine di formare lo “strumento testa” che è piu importante di qualunque preparazione specifica. Tuttavia ritengo che questo interesse per arte e musica non derivi da motivazioni puramente pedagogiche ma dalle pressioni dalle relative categorie professionali Alessandro Bellotti ha detto: Non ho capito perchè Renzi vuole dare maggior impulso all'insegnamento della musica, dell'arte, delle scienze motorie e ci metto pure le lingue. Questo 'indirizzo' sarà a scapito di risorse per materie scientifiche o tecniche ? Chi si diploma oggi in un liceo linguistico è un disoccupato sicuro.... L'arte, in Italia, viene 'messa spesso da parte',e lo studio della musica è troppo impegnativo per i risultati che può produrre a livello professionale. Delle scienze motorie, francamente, si può dal mio punto di vista, non parlare... Sembra che si faccia tutto il possibile per non impegnarsi da un punto di vista tecnologico... Qui a Modena si fa una gran pubblicità a scuole superiori che sono fabbriche di disoccupati... E' evidente che manca una regia a livello locale (provinciale e regionale) ed inoltre, visti i contributi che arrivano da Roma, occorrerebbe forse, come predico da anni, dare un'occhiata all'estero e magari scegliere cosa si vuole fare in Italia della scuola facendo i necessari interventi a livello centrale. Che senso ha investire in musicisti o in artisti se poi si fa di tutto per affossare i teatri ? Che senso ha dare un nuovo impulso alle scienza motorie se poi si è costretti ad utilizzare i cortili per la mancanza di palestre ? Mi piace la scelta di maggiore autonomia ai presidi. Come ho già scritto abbiamo a livello aziendale avviato collaborazioni con due ITIS molto importanti qui a Modena. E questo lo dobbiamo, appunto, all'autonomia didattica che alcuni insegnanti, ovviamente autorizzati dai presidi, possono mettere in campo per allacciarsi alla realtà locale. Cristina ha dei dubbi che condivido. Ha ragione Renzi quando dice che deve essere la scuola il motore trainante del paese. Dalla chiacchere spero si arrivi ai fatti. Bene la discussione in Parlamento. Ben venga questo piccolo segno di umiltà di Renzi.

Risposto da giovanni de sio cesari su 15 Marzo 2015 a 8:41 Alberto Concordo assolutamente : gli esami misurano (o dovrebbero) il prerequisito della preparazione teorica: solo poi l’attività effettiva puo poi mostrare le reali capacità Puoi superare brillantemente cento esami di giurisprudenza ed essere un pessimo avvocato o un pessimo giudice ( ne abbiamo esempi eclatanti nella nostra magistratura). Il problema è che nel privato si assume sempre in prova e solo DOPO si assume o si conferma la assunzione. Si valuta curriculum e laurea come primo orientamento, ma la prova vera è sempre il lavoro. Nel pubblico pero realisticamente questo non è possibile : è vero che per gli insegnanti (e tutti gli impiegati) c’è un periodo di prova: ma è solo una formalità: a meno che non faccia cosa da pazzi, che si dimostri un pedofilo (a volte

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purtroppo nemmeno quello è sufficiente per cacciarlo). Si puo veramente dare a un preside (o un procuratore capo, a un direttore) la possibilità di dire a una vincitore di concorso: mi dispiace, ma non sono soddisfatto di come lavori cosi come fa un qualunque proprietario di bar o di impresa altamente tecnologica.? Io non credo Quello che si potrebbe fare è che la carriera fosse correlata al successo professionale e non semplicemente alla anzianita: ma questo sarebbe gia un risultato diffcilissimo da aggiungere: Alberto Rotondi ha detto: E' più di 40 anni che vivo nella scuola (come padre diu due figli ora laureati) e nell'università (come docente). Ho fatto concorsi in tutti i tipi e forme prima come candidato, ora come commissario.giudice. E mi sono convinto di una cosa: i concorsi nazionali,, le prove con centinaia o migliaia di candidati, non hanno molto senso, se non come prima selezione di requisiti minimi. Ma poi la vera selezione, per essere valida ed efficace, deve avvenire localmente e in un sistema competitivo. Se so che assumendo uno bravo la mia scuola e anche il mio stipendio ci guadagna e se invece assumendo un incapace cretino ma raccomandato faccio naufragare la scuola e la mia carriera, starò attento a chi scegliere. Ed è solo con le selezioni mirate locali (come luogo della selezione, ma aperte a tutti) che sceglierò non il migliore in senso assoluto, ma il migliore per la mia scuola, considerando anche le qualità caratteriali e psichiche, che solo in questo tipo di concorsi sono valutabili. E in un regime competitivo la scuola o il Dipartimento che assume i migliori dovrà essere premiato attraverso meccanismi rigorosi di valutazione. Mi si dice: con concorsi locali i Presidi assumeranno gli amici degli amici, siamo in Italia. Ebbene sì, siamo in Italia, ma o smettiamo di comportarci da italiani o siamo spacciati. Chi opera in questo modo deleterio non deve più avere il consenso sociale, deve essere emarginato, altrimenti siamo veramente finiti. Voglio vedere se un preside che sente la pressione dei genitori e del proprio personale, in un concorso in cui mette in gioco la sua reputazione e quella della scuola cosa sceglie. Creare meccanismi concorrenziali attraverso la valutazione del sistema e delocalizzare le responsabilità. Inoltre occorre una rivoluzione culturale sul merito. Sono anni che perdiamo energie in assurdi concorsi nazionali, in cui le porcate sono diluite nello spazio e nel tempo, così alla fine la colpa dell'inefficienza del sistema non è di nessuno. Questi meccanismi si stanno lentamente facendo strada nell' Università, ed è ora di introdurli anche nella suola superiore. Dobbiamo far capire ai nostri figli, cresciuti nella bambagia, che là fuori si sta giocando una partita dura. Ci sono migliaia di giovani bravi e istruiti che hanno visto la fame e che usano la propria preparazione venendo qui e facendosi strada, a spese dei nostri ragazzi, che scelgono professioni che li renderanno disoccupati e che studiano poco. Così, mentre i nostri figli si laureano in comunicazione interculturale e storia del cinema, le nostre imprese assumono schiere di ingegneri meccanici o elettrotecnici provenienti da paesi stranieri. Dobbiamo educare i nostri figli alla sfida della globalizzazione, che non è facile, anche attraverso le nostre scuole rinnovate. e competitive.

Risposto da Alberto Rotondi su 15 Marzo 2015 a 12:42 Il concetto del meriti rispetto alla anzianità si sta facendo strada nell'università.Perché non anche nella scuola superiore? giovanni de sio cesari ha detto: Alberto Concordo assolutamente : gli esami misurano (o dovrebbero) il prerequisito della preparazione teorica: solo poi l’attività effettiva puo poi mostrare le reali capacità Puoi superare brillantemente cento esami di giurisprudenza ed essere un pessimo avvocato o un pessimo giudice ( ne abbiamo esempi eclatanti nella nostra magistratura). Il problema è che nel privato si assume sempre in prova e solo DOPO si assume o si conferma la assunzione. Si valuta curriculum e laurea come primo orientamento, ma la prova vera è sempre il lavoro.

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Nel pubblico pero realisticamente questo non è possibile : è vero che per gli insegnanti (e tutti gli impiegati) c’è un periodo di prova: ma è solo una formalità: a meno che non faccia cosa da pazzi, che si dimostri un pedofilo (a volte purtroppo nemmeno quello è sufficiente per cacciarlo). Si puo veramente dare a un preside (o un procuratore capo, a un direttore) la possibilità di dire a una vincitore di concorso: mi dispiace, ma non sono soddisfatto di come lavori cosi come fa un qualunque proprietario di bar o di impresa altamente tecnologica.? Io non credo Quello che si potrebbe fare è che la carriera fosse correlata al successo professionale e non semplicemente alla anzianita: ma questo sarebbe gia un risultato diffcilissimo da aggiungere: Alberto Rotondi ha detto: (....)

Risposto da Pietro Maruca su 15 Marzo 2015 a 14:17 Alberto, il nodo è quello della possibilità di carriera. Manca una progressività che permetta di dire a qualcuno: "Tu meriti di svolgere quell'incarico più delicato". Per continuare a svolgere la stessa mansione, il merito può diventare un elemento di conflittualità, anche con l'utenza, che magari vorrebbe vedere i propri figli nella classe del più meritevole. Già spesso avviene così per cercare di finire dal docente con più esperienza... Vedo tre strade per il merito, che però dovrebbero diventare sistemiche: la creazione di figure intermedie tra la dirigenza e i docenti; a livello amministrativo esiste il DSGA; nei convitti esistono i vice rettori; nella scuola già vi sono degli incarichi, che però hanno poco significato ai fini della carriera: responsabile di plesso, coordinatore del consiglio di classe, responsabile di laboratorio, di dipartimento o di progetto, collaboratore del dirigente con funzioni vicarie; retribuire alcune di queste funzioni con aumenti di stipendio pensionabili sarebbe un modo per riconoscerne l'importanza ai fini della carriera; non so però cosa ne pensino i sindacati. Riconoscere questi ruoli già sarebbe diverso che dire a due insegnanti della stessa disciplina che uno è più bravo dell'altro e che per questo merita uno stipendio più elevato.. L’individuazione di funzioni didattiche particolarmente delicate da assegnare a persone con una preparazione più elevata; potrebbero rientrare in questo gruppo specifici progetti per ragazzi difficili, con l’obiettivo di un vero recupero, o altri rivolti ai ragazzi più dotati per una preparazione disciplinare più approfondita, ragazzi che stiano normalmente nelle loro classi, ma che in più frequentino corsi avanzati, ad esempio di greco in una scuola media, in vista di un percorso liceale, o di programmazione informatica, in un istituto tecnico che opera in una realtà dove vi siano aziende del settore. Attività aggiuntive, in orario aggiuntivo con docenti che usino competenze aggiuntive. La riforma degli ordinamenti in modo che la scuola duri fino ai 18 anni, con conseguente creazione di un biennio post secondaria, alternativo e parallelo all’università, per la professionalizzazione di certi titoli. I docenti di questi corsi dovrebbero essere docenti para universitari, ma non universitari. Docenti con uno stipendio superiore a quello dei colleghi degli ordini di scuola precedenti, ma provenienti da questi; scelti in base a specifiche competenze disciplinari. In questo caso si riconoscerebbe il merito didattico e di preparazione professionale. Insomma, la strada di dare più soldi a qualcuno, in base a un riconoscimento di competenze che poi si traduca nel continuare a svolgere la stessa mansione la vedo un po’ problematica, perché renderebbe ufficiale la vecchia divisione in classi e corsi di serie A e di serie B. Ricordo che un tempo i docenti puntavano ad essere assegnati alle sezioni A e B che avevano i team migliori e più stabili. Le famiglie facevano ovviamente a gara per iscrivervi i figli. Questo rendeva alcuni privilegiati rispetto ad altri che frequentavano in classi di risulta, con docenti precari in continuo turnover. Alberto Rotondi ha detto: Il concetto del meriti rispetto alla anzianità si sta facendo strada nell'università.Perché non anche nella scuola superiore?

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Risposto da Romano Meloni su 17 Marzo 2015 a 12:18 Segnalo un articolo di Luigi Berlinguer sulla riforma della scuola: http://www.ilsole24ore.com/art/commenti-e-idee/2015-03-17/autonomia...

Risposto da Pietro Maruca su 17 Marzo 2015 a 15:52 Condivido le parole dell'ex ministro e la proposta di riforma presentata al Parlamento. Mi spiace fare la parte del presuntuoso e dell'incontentabile, ma l'idea che ne ho è come di un bel mosaico, nuovo e ben architettato, privo però di alcune parti importanti. Insomma, incompleto. Mancano alcuni tasselli che considero essenziali in un quadro di riforma così organica: - la durata del corso di studi di dodici anni anziché 13, con la ridistribuzione dei diversi ordini; - la questione della parificazione dei titoli di studio a livello europeo, con una ridefinizione dei corsi post diploma, distinti dai corsi universitari; - la progressione di carriera dei docenti. Tutto il resto, pur compreso nel disegno di legge e citato da Berlinguer, andrà definito a livello di legge o nella gestione dell'istituto autonomo: - Quale rapporto con il territorio, per favorire l'apprendimento? - Quale flessibilità nelle scelte disciplinari individualizzate? - Quali relazioni tra istituti in rete, per la gestione delle attività e delle risorse, per l'autovalutazione, per scambi finalizzati alla diffusione delle buone pratiche? Comunque il cantiere è aperto e questo non può che far piacere. Romano Meloni ha detto: Segnalo un articolo di Luigi Berlinguer sulla riforma della scuola: http://www.ilsole24ore.com/art/commenti-e-idee/2015-03-17/autonomia...

Risposto da Giampaolo Carboniero su 17 Marzo 2015 a 17:36 Pietro, ti ringrazio delle osservazioni che posti, a me indispensabili per capire la complessità della questione e potermi, in essa, districare. Pietro Maruca ha detto: Condivido le parole dell'ex ministro e la proposta di riforma presentata al Parlamento. Mi spiace fare la parte del presuntuoso e dell'incontentabile, ma l'idea che ne ho è come di un bel mosaico, nuovo e ben architettato, privo però di alcune parti importanti. Insomma, incompleto. Mancano alcuni tasselli che considero essenziali in un quadro di riforma così organica: - la durata del corso di studi di dodici anni anziché 13, con la ridistribuzione dei diversi ordini; - la questione della parificazione dei titoli di studio a livello europeo, con una ridefinizione dei corsi post diploma, distinti dai corsi universitari; - la progressione di carriera dei docenti. Tutto il resto, pur compreso nel disegno di legge e citato da Berlinguer, andrà definito a livello di legge o nella gestione dell'istituto autonomo: - Quale rapporto con il territorio, per favorire l'apprendimento? - Quale flessibilità nelle scelte disciplinari individualizzate?

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- Quali relazioni tra istituti in rete, per la gestione delle attività e delle risorse, per l'autovalutazione, per scambi finalizzati alla diffusione delle buone pratiche? Comunque il cantiere è aperto e questo non può che far piacere. Romano Meloni ha detto: Segnalo un articolo di Luigi Berlinguer sulla riforma della scuola: http://www.ilsole24ore.com/art/commenti-e-idee/2015-03-17/autonomia...

Risposto da Romano Meloni su 17 Marzo 2015 a 18:59 Grazie per le interessanti osservazioni. Potremmo pensare (sperare) che la legge in discussione avvia un processo, che poi affronti anche aspetti non trattati da questo provvedimento. Forse non sarebbe del tutto nocivo se avessimo un sistema in cui le leggi non cerchino di normare tutto il prevedibile, ma lascino spazio ad un'evoluzione generata dalle risorse in campo. Pietro Maruca ha detto: Condivido le parole dell'ex ministro e la proposta di riforma presentata al Parlamento. Mi spiace fare la parte del presuntuoso e dell'incontentabile, ma l'idea che ne ho è come di un bel mosaico, nuovo e ben architettato, privo però di alcune parti importanti. Insomma, incompleto. Mancano alcuni tasselli che considero essenziali in un quadro di riforma così organica: - la durata del corso di studi di dodici anni anziché 13, con la ridistribuzione dei diversi ordini; - la questione della parificazione dei titoli di studio a livello europeo, con una ridefinizione dei corsi post diploma, distinti dai corsi universitari; - la progressione di carriera dei docenti. Tutto il resto, pur compreso nel disegno di legge e citato da Berlinguer, andrà definito a livello di legge o nella gestione dell'istituto autonomo: - Quale rapporto con il territorio, per favorire l'apprendimento? - Quale flessibilità nelle scelte disciplinari individualizzate? - Quali relazioni tra istituti in rete, per la gestione delle attività e delle risorse, per l'autovalutazione, per scambi finalizzati alla diffusione delle buone pratiche? Comunque il cantiere è aperto e questo non può che far piacere. Romano Meloni ha detto: Segnalo un articolo di Luigi Berlinguer sulla riforma della scuola: http://www.ilsole24ore.com/art/commenti-e-idee/2015-03-17/autonomia...

Risposto da Giampaolo Carboniero su 17 Marzo 2015 a 19:11 Quello che auspico da tempo; ci eviterebbe di intervenire continuamente, in maniera incoerente, solo per toccare problemi specifici e limitati; servirebbero però leggi quadro di riferimento, che fissassero almeno le finalità generali e le modalità degli interventi. Romano Meloni ha detto: Grazie per le interessanti osservazioni. Potremmo pensare (sperare) che la legge in discussione avvia un processo, che poi affronti anche aspetti non trattati da questo provvedimento. Forse non sarebbe del tutto nocivo se avessimo un sistema in cui le leggi non cerchino di normare tutto il prevedibile, ma lascino spazio ad un'evoluzione generata dalle risorse in campo.

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Pietro Maruca ha detto: Condivido le parole dell'ex ministro e la proposta di riforma presentata al Parlamento. Mi spiace fare la parte del presuntuoso e dell'incontentabile, ma l'idea che ne ho è come di un bel mosaico, nuovo e ben architettato, privo però di alcune parti importanti. Insomma, incompleto. Mancano alcuni tasselli che considero essenziali in un quadro di riforma così organica: - la durata del corso di studi di dodici anni anziché 13, con la ridistribuzione dei diversi ordini; - la questione della parificazione dei titoli di studio a livello europeo, con una ridefinizione dei corsi post diploma, distinti dai corsi universitari; - la progressione di carriera dei docenti. Tutto il resto, pur compreso nel disegno di legge e citato da Berlinguer, andrà definito a livello di legge o nella gestione dell'istituto autonomo: - Quale rapporto con il territorio, per favorire l'apprendimento? - Quale flessibilità nelle scelte disciplinari individualizzate? - Quali relazioni tra istituti in rete, per la gestione delle attività e delle risorse, per l'autovalutazione, per scambi finalizzati alla diffusione delle buone pratiche? Comunque il cantiere è aperto e questo non può che far piacere. Romano Meloni ha detto: Segnalo un articolo di Luigi Berlinguer sulla riforma della scuola: http://www.ilsole24ore.com/art/commenti-e-idee/2015-03-17/autonomia...

Risposto da Giampaolo Carboniero su 19 Marzo 2015 a 18:12 Mi piacerebbe un'opinione da parte di Alberto: è tutto vero, o verosimile? http://espresso.repubblica.it/attualita/2015/03/09/news/universita-...

Risposto da Giuseppe Ardizzone su 22 Marzo 2015 a 13:36 A proposito del ruolo dei dirigenti scolastici mi sembra importante quanto riportato nel seguente articolo http://www.lavoce.info/archives/33786/buoni-dirigenti-per-la-buona-...

Risposto da Cristina Favati su 22 Marzo 2015 a 14:34 Immagino che la prima valutazione sui dirigenti verrà dagli utenti (genitori, alunni e docenti). Se la scuola funzionerà e fornirà agli studenti strumenti validi per proseguire il corso di studi, questo si tradurrà in una crescita degli iscritti. Non credo ci sia altro modo per poter valutare il valutatore, che quindi dovrà dare sempre il massimo, perché chi rende la scuola "appetibile" agli utenti non è solo un corpo docente preparato e motivato, ma anche chi gestisce il tutto. Vi faccio un esempio da me verificato da poco su un alunno cui do lezione. Questo ragazzo, iscritto alla prima Scientifico, alla fine del primo quadrimestre aveva 7 insufficienze gravi. I genitori, recatisi dal preside con l'intenzione di cambiarlo di scuola e dargli un'altra possibilità, cambiando totalmente indirizzo, si sono sentiti dire dal preside che non c'erano problemi, bastava cambiarlo di sezione. Così è avvenuto, ma ovviamente il ragazzo è rimasto nella stessa situazione. Ho deciso di contattare la sua insegnante curriculare di matematica per avere suggerimenti su come affrontare una situazione disperata e la collega gentilissima mi ha risposto di aver già verificato la scorrettezza del preside tutto proteso ad una vera e propria "caccia" all'alunno, per cui invece di assecondare la richiesta dei genitori di poter iscrivere il loro ragazzo ad un tecnico, si è tranquillamente preso la responsabilità di affibbiargli una bocciatura sicura, pur di non perderlo numericamente e dunque di mettere a rischio la possibilità di mantenere il numero delle

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classi l'anno successivo. Stessa cosa, mi ha riferito la collega, si era verificata con un altro ragazzo, spostato in altra sezione, invece che accompagnato ad altra scelta formativa. Questo per dire che i difetti nella gestione esistono già ora e che per quanto riguarda i presidi riescono a fare danni già adesso. Il mio augurio è che in futuro quei genitori presi in giro possano dare un giudizio sul preside che possa rovinargli la carriera, visto che non si è interessato di rovinare la vita e il futuro di un ragazzo. Giuseppe Ardizzone ha detto: A proposito del ruolo dei dirigenti scolastici mi sembra importante quanto riportato nel seguente articolo http://www.lavoce.info/archives/33786/buoni-dirigenti-per-la-buona-...

Risposto da Pietro Maruca su 23 Marzo 2015 a 1:41 Cristina, il ruolo del dirigente scolastico è piuttosto complesso. Me ne sono occupato anche ai fini della valutazione. Per me non è facile parlarne in modo sintetico, dato che l’ho svolto per 25 anni. Provo comunque a scrivere alcune cose. Intanto, con un’indagine che ha coinvolto centinaia di colleghi, abbiamo provato a delineare un “bilancio tempo” del D.S., per cercare di capire attraverso le sue azioni abituali, nell’arco di una settimana, quali fossero le sue funzioni. Sono emerse cose interessanti; - sul numero complessivo di ore di lavoro, in media ben oltre le 40, - sulla programmazione del lavoro (molto tempo viene usato su sollecitazioni esterne, per rispondere a problemi posti da altri), - sulle competenze necessarie: i problemi posti sono stati di vario tipo, da quelli organizzativi, a quelli didattici, a quelli relazionali nella gestione di conflitti, a quelli normativi (la legislazione scolastica, a partire dalle leggi e dalle sentenze, fino alle ordinanze e alle circolari ministeriali, regionali o provinciali, è praticamente sterminata), - sui diversi aspetti della vita dell’istituto presi in considerazione: a. la sicurezza degli edifici (compresi i piani di evacuazione) e dei prodotti usati nella scuola; b. il bilancio, con tutto ciò che riguarda il reperimento dei fondi, il piano degli acquisti , l’albo dei fornitori, la distribuzione delle risorse sui diversi capitoli di spesa, da quelli incentivanti per il personale a quelli in conto capitale, dal facile consumo alle uscite didattiche; c. i contratti, con il personale e con gli esterni, a partire dai consulenti e dalle assicurazioni; c. i regolamenti per la gestione delle diverse attività, dalle uscite agli orari, dalle supplenze alla gestione dei laboratori …; d. i rapporti con i Comuni e gli altri enti esterni, a partire dalle ASL (assistenti sociali, psicologi, neuropsichiatri, medicina legale) e dalle associazioni; e. i rapporti con le famiglie,, con frequenza pressoché quotidiana, per le iscrizioni, l’orientamento scolastico, i gruppi integrati per l’hc, i consigli di classe e di istituto, le assemblee per la presentazione della programmazione e per le verifiche periodiche, i contatti individuali, per una ampia gamma di questioni (consigli educativi, problemi dei figli con i docenti o con i compagni, situazioni familiari problematiche sopravvenute, questioni di adattamento alla realtà scolastica …); f. la relazione con gli organi superiori, con statistiche, verifiche di spesa, questione di organici legate agli inserimenti di allievi in situazioni particolari: stranieri, nomadi, hc, affetti da DSA…; g. le diverse modalità di comunicazione tra il D.S. e tutti gli altri; dai colloqui di persona, individuali e collettivi, ai colloqui telefonici; dalla posta cartacea alle mail, per una parte consistente dell’orario di lavoro quotidiano; - sulla progettualità, a partire dai progetti sul diritto allo studio, sule fasce deboli, sugli scambi con l’estero, sulla formazione dei docenti, che prevedono relazioni con la Regione, con i Comuni, con esperti esterni … - sulle attività negoziali, con le RSU, per l’utilizzo dei finanziamenti dei fondi destinati al personale e per la regolamentazione dei criteri con cui vengono assegnate le classi e distribuiti gli incarichi, sulla base di un vero e proprio piano annuale da sottoporre ai diversi organi collegiali (consiglio d’istituto, collegio dei docenti, assemblea del personale ATA),

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- su specifiche caratteristiche d’Istituto, quando sono in atto delle sperimentazioni didattiche o di tipo organizzativo, che implicano la partecipazione a reti di scuole, per la valutazione dell’istituto e/o per la certificazione da parte di enti esterni preposti. E’ vero che su molti aspetti, quasi tutti, si è coadiuvati dalla segreteria scolastica e da docenti che in orario aggiuntivo svolgono specifici incarichi di collaborazione, ma l’organo che rappresenta l’istituto a livello legale è il DS, quindi dovrebbe essere informato di tutto, anche per le attività delegate. E’ molto delicato inserire su un complesso di questo genere una valutazione del dirigente scolastico. VA FATTO, ma in modo avveduto e competente, sapendo che a volte ciò che appare è esattamente il contrario di ciò che potrebbe sembrare. Un esempio: da una valutazione sulla disponibilità di un D.S. in due edifici del suo istituto emerse che in uno era particolarmente apprezzato e nell’altro non era quasi conosciuto. Nel primo caso, aveva dovuto intervenire in una classe per un conflitto tra docenti e famiglie. La cosa si era trascinata per più incontri. Nel secondo, invece, non c’era mai stato bisogno di lui perché le cose funzionavano egregiamente, al punto che alcuni genitori non avevano mai avuto occasione di parlargli. Il punteggio sulla disponibilità del preside era stato, insomma, più alto dove le cose avevano funzionato meno bene. Dal punto di vista dell’efficacia del servizio didattico, la situazione migliore era quindi quella dove il D.S. aveva avuto il punteggio più basso, perché non c’era stato bisogno del suo intervento. Merito sicuramente dei docenti, ma probabilmente anche suo, per come aveva gestito le cose a livello preventivo. Quindi, con un questionario di questo tipo, non basta fermarsi al punteggio, ma è utile andare ad approfondire, prima di esprimere un giudizio di merito.

Risposto da Giampaolo Carboniero su 23 Marzo 2015 a 2:27 Assurdità anche queste? Vi dico io come andrà, si attenderà fino ad Agosto con una inconcludente discussione in Parlamento e all'ultimo momento si farà il DL solo per le assunzioni dei precari, ottenendo così in cambio la "riconoscenza" della categoria, lasciando naturalmente la scuola in preda al disastro, magari dopo un'altra piccola "Grande Riforma" alla Gelmini o di altri che l'hanno preceduta http://www.epossibile.org/la-buona-scusa/

Risposto da Cristina Favati su 23 Marzo 2015 a 10:07 Il mio miglior D.S. fu un Preside incaricato, non di ruolo, con una competenza e una passione mai più riscontrate in altri. Riuscì a rivoluzionare in meglio la scuola in due soli anni. Poi venne sostituito da un inerte e fragile Preside di ruolo che non lasciò traccia di sé. So quanto sia gravoso il compito di un D S, avendo spesso collaborato con alcuni di loro a vario titolo. Pietro Maruca ha detto: Cristina, il ruolo del dirigente scolastico è piuttosto complesso. Me ne sono occupato anche ai fini della valutazione. Per me non è facile parlarne in modo sintetico, dato che l’ho svolto per 25 anni. Provo comunque a scrivere alcune cose. Intanto, con un’indagine che ha coinvolto centinaia di colleghi, abbiamo provato a delineare un “bilancio tempo” del D.S., per cercare di capire attraverso le sue azioni abituali, nell’arco di una settimana, quali fossero le sue funzioni. Sono emerse cose interessanti; - sul numero complessivo di ore di lavoro, in media ben oltre le 40,

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- sulla programmazione del lavoro (molto tempo viene usato su sollecitazioni esterne, per rispondere a problemi posti da altri), - sulle competenze necessarie: i problemi posti sono stati di vario tipo, da quelli organizzativi, a quelli didattici, a quelli relazionali nella gestione di conflitti, a quelli normativi (la legislazione scolastica, a partire dalle leggi e dalle sentenze, fino alle ordinanze e alle circolari ministeriali, regionali o provinciali, è praticamente sterminata), - sui diversi aspetti della vita dell’istituto presi in considerazione: a. la sicurezza degli edifici (compresi i piani di evacuazione) e dei prodotti usati nella scuola; b. il bilancio, con tutto ciò che riguarda il reperimento dei fondi, il piano degli acquisti , l’albo dei fornitori, la distribuzione delle risorse sui diversi capitoli di spesa, da quelli incentivanti per il personale a quelli in conto capitale, dal facile consumo alle uscite didattiche; c. i contratti, con il personale e con gli esterni, a partire dai consulenti e dalle assicurazioni; c. i regolamenti per la gestione delle diverse attività, dalle uscite agli orari, dalle supplenze alla gestione dei laboratori …; d. i rapporti con i Comuni e gli altri enti esterni, a partire dalle ASL (assistenti sociali, psicologi, neuropsichiatri, medicina legale) e dalle associazioni; e. i rapporti con le famiglie,, con frequenza pressoché quotidiana, per le iscrizioni, l’orientamento scolastico, i gruppi integrati per l’hc, i consigli di classe e di istituto, le assemblee per la presentazione della programmazione e per le verifiche periodiche, i contatti individuali, per una ampia gamma di questioni (consigli educativi, problemi dei figli con i docenti o con i compagni, situazioni familiari problematiche sopravvenute, questioni di adattamento alla realtà scolastica …); f. la relazione con gli organi superiori, con statistiche, verifiche di spesa, questione di organici legate agli inserimenti di allievi in situazioni particolari: stranieri, nomadi, hc, affetti da DSA…; g. le diverse modalità di comunicazione tra il D.S. e tutti gli altri; dai colloqui di persona, individuali e collettivi, ai colloqui telefonici; dalla posta cartacea alle mail, per una parte consistente dell’orario di lavoro quotidiano; - sulla progettualità, a partire dai progetti sul diritto allo studio, sule fasce deboli, sugli scambi con l’estero, sulla formazione dei docenti, che prevedono relazioni con la Regione, con i Comuni, con esperti esterni … - sulle attività negoziali, con le RSU, per l’utilizzo dei finanziamenti dei fondi destinati al personale e per la regolamentazione dei criteri con cui vengono assegnate le classi e distribuiti gli incarichi, sulla base di un vero e proprio piano annuale da sottoporre ai diversi organi collegiali (consiglio d’istituto, collegio dei docenti, assemblea del personale ATA), - su specifiche caratteristiche d’Istituto, quando sono in atto delle sperimentazioni didattiche o di tipo organizzativo, che implicano la partecipazione a reti di scuole, per la valutazione dell’istituto e/o per la certificazione da parte di enti esterni preposti. E’ vero che su molti aspetti, quasi tutti, si è coadiuvati dalla segreteria scolastica e da docenti che in orario aggiuntivo svolgono specifici incarichi di collaborazione, ma l’organo che rappresenta l’istituto a livello legale è il DS, quindi dovrebbe essere informato di tutto, anche per le attività delegate. E’ molto delicato inserire su un complesso di questo genere una valutazione del dirigente scolastico. VA FATTO, ma in modo avveduto e competente, sapendo che a volte ciò che appare è esattamente il contrario di ciò che potrebbe sembrare. Un esempio: da una valutazione sulla disponibilità di un D.S. in due edifici del suo istituto emerse che in uno era particolarmente apprezzato e nell’altro non era quasi conosciuto. Nel primo caso, aveva dovuto intervenire in una classe per un conflitto tra docenti e famiglie. La cosa si era trascinata per più incontri. Nel secondo, invece, non c’era mai stato bisogno di lui perché le cose funzionavano egregiamente, al punto che alcuni genitori non avevano mai avuto occasione di parlargli. Il punteggio sulla disponibilità del preside era stato, insomma, più alto dove le cose avevano funzionato meno bene. Dal punto di vista dell’efficacia del servizio didattico, la situazione migliore era quindi quella dove il D.S. aveva avuto i l punteggio più basso, perché non c’era stato bisogno del suo intervento. Merito sicuramente dei docenti, ma probabilmente anche suo, per come aveva gestito le cose a livello preventivo. Quindi, con un questionario di questo tipo, non basta fermarsi al punteggio, ma è utile andare ad approfondire, prima di esprimere un giudizio di merito.

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Risposto da Cristina Favati su 23 Marzo 2015 a 17:41 Io sono del tutto d'accordo e voi? Meno vacanze estive e meglio distribuite nel corso dell'anno, come in Francia. http://www.corriere.it/scuola/15_marzo_23/scuola-poletti-troppi-3-m...

Risposto da Pietro Maruca su 23 Marzo 2015 a 19:21 Questo tema delle vacanze estive, che sento ripetere da quando andavo all'asilo (come si chiamava allora la scuola dell'infanzia), è il classico esempio del tema mal posto. Cercare di re un aspetto della scuola è come applicare un rattoppo. Va bene quando la casa è sostanzialmente nuova e a posto, ma diventa inutile se c’è bisogno di una radicale ristrutturazione. Insomma, le vacanze sono legate all’idea di scuola, a come si sta in classe, a cosa si spende per la scuola. Di per sé dire che i ragazzi potrebbero fare esperienze di lavoro è profondamente fuori luogo: Anche quelli delle primarie? Torniamo al lavoro infantile? Quelli no, e allora stanno in vacanza? E come la mettiamo con il rischio di infortuni? E con le responsabilità? E con gli altri lavoratori? Mia nipote a Berlino va a scuola anche fino a metà luglio (esiste una rotazione dei diversi lander per non avere tutti le vacanze nello stesso periodo), Ma è a Berlino! Immaginiamo in Sicilia, ma anche in Toscana, uno studente mentre studia e svolge i compiti a luglio, come a febbraio, per l’interrogazione del giorno dopo? Sì, loro fanno vacanze estive di sei settimane, ma le altre le fanno in corso d’anno. Poi, hanno momenti di studio differenziati; ad esempio, a settembre quest’anno sono andati a Parigi e in corso d’anno vi sono stati almeno un altro paio di stage fuori città. E ancora non so come sarà di qui a luglio prossimo. Mi farò raccontare durante la sua permanenza da noi nei 15 gg di vacanze pasquali. Siamo sicuri di essere in grado con le famiglie di reggere costi e periodi di vacanza di questo genere? Per poi avere un numero complessivo di giorni di scuola esattamente uguali? Concordo sul fatto che si possa superare il periodo di vacanza di tre mesi, troppo lungo e dagli effetti negativi sull’apprendimento, ma se la cosa viene pensata solo per fare lavorare di più i docenti e per occupare il tempo di chi studia, si producono più danni che benefici. Cristina Favati ha detto: Io sono del tutto d'accordo e voi? Meno vacanze estive e meglio distribuite nel corso dell'anno, come in Francia. http://www.corriere.it/scuola/15_marzo_23/scuola-poletti-troppi-3-m...

Risposto da Cristina Favati su 23 Marzo 2015 a 20:51 La "mia" scuola prevederebbe due mesi interi di vacanza estiva per tutti (luglio e agosto), dalla materna alle superiori, senza compiti. Le lezioni dovrebbero durare dal 1° settembre al 31 maggio. Giugno mese di esami (terza media e maturità) e di recuperi per coloro che avessero dei debiti, fatti tutti a scuola dai docenti non impegnati negli esami, con prova conclusiva a fine mese che decide chi è promosso e chi no. Ogni due mesi inserirei una settimana di riposo per gli studenti che potrebbero utilizzare il tempo per recuperare eventuali debiti o difficoltà incontrate e di formazione per i docenti con modalità diverse a seconda delle esigenze di ogni singola scuola.

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Lascerei due settimane di vacanza a Natale e una a Pasqua per tutti (senza compiti). Nessuna ulteriore vacanza, né feste comandate, né santo patrono.

Risposto da Giuseppe Ardizzone su 23 Marzo 2015 a 23:10 Sul problema della valutazione non mi convince che la stessa debba basarsi sul giudizio degli utenti senza che questo sia in qualche modo universalizzato politicamente. Vale a dire che a mio parer è attrraverso la sintesi politica che si realizza il punto di vista di centinaia di strtture e di utenti., Allo stesso modo questa sintesi politica deve essere in grado di dare le indicazioni su ciò che si vuole realizzare in un arco di tempo definito e valutare con criteri controllabili , discutibili e con indicatori trasparenti i risultati . Su tali risultati dovrebbe basarsi il sistema premiante a cascata sui vari livelli profesisonali esattamente come è previsto nelle aziende private.Il fatto che gli obiettivi non siamo quelli misurabili con il reddito prodiotto non significa che non possano essere altrettanto precisi e misurabili. Bisogna provarci e discuterne

Risposto da Giuseppe Ardizzone su 23 Marzo 2015 a 23:11 Definito questo diventa poi interessante ed utile il giudizio degli utenti. ma su indicatori predefiniti Giuseppe Ardizzone ha detto: Sul problema della valutazione non mi convince che la stessa debba basarsi sul giudizio degli utenti senza che questo sia in qualche modo universalizzato politicamente. Vale a dire che a mio parer è attrraverso la sintesi politica che si realizza il punto di vista di centinaia di strtture e di utenti., Allo stesso modo questa sintesi politica deve essere in grado di dare le indicazioni su ciò che si vuole realizzare in un arco di tempo definito e valutare con criteri controllabili , discutibili e con indicatori trasparenti i risultati . Su tali risultati dovrebbe basarsi il sistema premiante a cascata sui vari livelli profesisonali esattamente come è previsto nelle aziende private.Il fatto che gli obiettivi non siamo quelli misurabili con il reddito prodiotto non significa che non possano essere altrettanto precisi e misurabili. Bisogna provarci e discuterne

Risposto da Pietro Maruca su 23 Marzo 2015 a 23:12 Prima di passare alle soluzioni per un qualsiasi aspetto di un fenomeno complesso come la scuola, sarebbe opportuno chiedersi quali siano le implicazioni, in modo che l'eventuale riforma risulti sufficientemente efficace. Nel caso delle vacanze estive, ci sarebbe da chiedersi: 1. Quali sono gli aspetti normativi legati alle vacanze? Ad esempio, come gestire il fatto che l'anno scolastico debba comprendere almeno 200 giorni di lezione o il corrispettivo in ore? 2. Quali sono i problemi psicologici in relazione con i fattori climatici e con i tempi di attenzione? Il caldo può influire sula concentrazione? Le vacanze molto lunghe comportano dimenticanze e tempi di recupero eccessivi alla ripresa delle lezioni? La durata della giornata scolastica deve essere costante o può variare in base ai fattori climatici? E così, i compiti a casa, le attività esterne, come le uscite didattiche, le attività fisico sportive... 3. Quale rapporto ottimale deve esserci tra vacanze scolastiche e periodo di lavoro delle famiglie? All'estero alcune regioni comunicano i calendari scolastici con anni di anticipo, in modo da favorire la programmazione delle ferie lavorative e la corrispondente sospensione delle attività aziendali.

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4. Le vacanze hanno ripercussioni sull'economia, ad esempio a livello turistico. Può il calendario scolastico tenere conto delle diverse esigenze ambientali (es. settimane bianche in zona alpina e prolungamenti estivi in zona balneare)? 5. E' utile che una parte delle giornate di vacanza sia gestita in autonomia in base a esigenze locali? Per fiere, feste tradizionali, ricorrenze religiose e civili... 6. Le vacanze degli allievi sono vacanze anche per i docenti? 7. Possono esservi iniziative parascolastiche cogestite da scuole e forze culturali del territorio (pro loco, associazioni, enti turistici, Enti locali, Biblioteche, Comitati di gestione di strutture storiche, Musei...) in periodi di lezione meno favorevoli alle attività in aula? 8. Quale ripartizione dei costi tra enti e famiglie per garantire pari opportunità a tutti gli allievi?

Risposto da giorgio varaldo su 24 Marzo 2015 a 8:26 riguardo alle vacanze estive alcune riflessioni. Da quando ho iniziato l'avviamento professionale ho sempre lavorato nel periodo estivo e se ben mi ricordo nel mio ambiente - quartiere operaio - era prassi comune per i ragazzi trovar qualcosa da fare nei mesi estivi. certo erano altri tempi oggi con la burocrazia e le leggi attuali nessun meccanico prenderebbe in officina il "ragazzo di bottega" altrimenti si vedrebbe l'officina chiusa e si beccherebbe multe da capogiro. Ora il ministro poletti ha una esperienza operativa nelle cooperative quindi spero abbia previsto qualche alle leggi attuali altrimenti non ho proprio la minima idea di come si potrebbe organizzare e realizzare un mese di esperienza lavorativa. sempre in tema scuola e lavoro ho più volte citato l'esperienza della nostra consociata tedesca nella quale le ferie venivano coperte dal lavoro estivo dei figli dei dipendenti, quando si tentò di portare questa esperienza negli stabilimenti italiani le leggi italiane ne impedirono l'attuazione. quindi va bene l'idea e speriamo possa costituire una ottima occasione per re le assurde leggi attuali.

Risposto da Cristina Favati su 24 Marzo 2015 a 12:41 certo Giuseppe Ardizzone ha detto: Definito questo diventa poi interessante ed utile il giudizio degli utenti. ma su indicatori predefiniti Giuseppe Ardizzone ha detto: Sul problema della valutazione non mi convince che la stessa debba basarsi sul giudizio degli utenti senza che questo sia in qualche modo universalizzato politicamente. Vale a dire che a mio parer è attrraverso la sintesi politica che si realizza il punto di vista di centinaia di strtture e di utenti., Allo stesso modo questa sintesi politica deve essere in grado di dare le indicazioni su ciò che si vuole realizzare in un arco di tempo definito e valutare con criteri controllabili , discutibili e con indicatori trasparenti i risultati . Su tali risultati dovrebbe basarsi il sistema premiante a cascata sui vari livelli profesisonali esattamente come è previsto nelle aziende private.Il fatto che gli obiettivi non siamo quelli misurabili con il reddito prodiotto non significa che non possano essere altrettanto precisi e misurabili. Bisogna provarci e discuterne

Risposto da Fabio Colasanti su 7 Maggio 2015 a 10:45

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Stamattina, la trasmissione "Tutta la città ne parla" su Radio 3 è stata dedicata alla scuola in Gran Bretagna e Germania. Uno dei temi che è apparso è stata la valutazione estesa, dettagliata e resa pubblica degli insegnati e delle scuole. Tutti i messaggi dagli ascoltatori e gli interventi in trasmissione si sono divisi in due gruppi: a) quelli che sono contro la valutazione e la meritocrazia; la valutazione in Italia sarebbe impossibile e sarebbe sinonimo di raccomandazioni e favoritismi; la nostra scuola non vuole essere "competitiva", ma "inclusiva". b) quelli favorevoli alla valutazione che però deve essere una "autovalutazione" e deve essere una valutazione del team di insegnanti e non dei singoli insegnanti

Risposto da Cristina Favati su 7 Maggio 2015 a 11:48 Sono in un gruppo chiuso di Fb #HubDocet (Istruzione, Università e Ricerca) che riporta tutte le notizie e informazioni sulla riforma della scuola direttamente dalla fonte, ossia da Francesca Puglisi. Riporto di seguito questa notizia: ULTIME NOVITA' dalla VII Commissione Una delegazione del Partito democratico incontrerà tra oggi e domani i rappresentanti del mondo della scuola che ieri hanno organizzato lo sciopero generale contro il ddl. L'obiettivo è quello di ascoltare i rappresentanti della scuola per trovare un punto di incontro sulla riforma. Questa rappresenta un'ulteriore "apertura" da parte del segretario Pd e del governo a re il provvedimento. Dopo l'incontro, infatti, dovrebbero essere alcuni emendamenti a firma della relatrice, Maria Coscia, a recepire le richieste. Ma non solo, perché si fa sempre più concreta l'ipotesi che siano gli stessi docenti ad autocandidarsi e che poi saranno sottoposti a colloquio. Dunque il PD conferma che il testo è ancora aperto e suscettibile di modifiche. 1) PIANO ASSUNZIONALE Si tratta di un provvedimento straordinario, che permetterà di assumere nell'anno scolastico 2015/16 100.000 nuovi insegnanti, così distribuiti 55mila assunzioni previste dal turn over sui posti vacanti e disponibili 45 mila assunzioni AGGIUNTIVE per il potenziamento dell'organico dell'autonomia Grazie a queste immissioni in ruolo ogni scuola potrà beneficiare di un 8% in più di insegnanti (circa 6 a scuola) per il miglioramento dell'offerta formativa. Al piano di assunzioni farà seguito un concorso bandito ad ottobre 2015 per 60.000 posti da distribuire nel triennio 2016/2019. Al concorso potranno partecipare solo i docenti in possesso di un titolo abilitante. Le assunzioni consentiranno finalmente di svuotare le GAE. 2) GLI ALBI TERRITORIALI Tutti i docenti che entreranno negli albi territoriali sono docenti di ruolo con un contratto a tempo indeterminato: nessuno potrà revocargli il contratto dopo 3 anni. - chi è nell'albo ha un contratto a tempo indeterminato - chi è nelle graduatorie d'istituto potrà continuare a fare le supplenze fino al prossimo concorso. Un docente potrà iscriversi a più albi che avranno una dimensione ridotta rispetto al progetto iniziale e coincideranno con una rete di scuole. Tutti i docenti che hanno superato i 36 mesi anche non continuativi potranno continuare ad insegnare. Infatti, nonostante la sentenza europea ci obblighi correttamente a risarcirli non prevede che essi vengano ulteriormente penalizzati. Per questo, in attesa del concorso, la norma del ddl che prevedeva lo stop a tutti i contratti di 36 mesi anche non continuativi su tutti i posti è stata ta ed entrerà in vigore (divieto di reiterazione dei contratti a tempo determinato) a partire dall'entrata in vigore della legge. È stato previsto inoltre un piano di mobilità straordinaria a partire dall'anno 2016 2017 su tutti i posti. In questo senso, i docenti che avranno il ruolo otterranno un'assegnazione provvisoria nell'attesa dell'attuazione del piano che consentirà a molti docenti in ruolo da anni di essere trasferiti vicino casa. 3) VALORIZZAZIONE DEI DOCENTI Saranno conservati gli scatti di anzianità e verranno investiti ulteriori 200 milioni per premiare il merito degli insegnanti. A questo si devono aggiungere i 40 milioni stanziati per la formazione in servizio a cui si aggiunge l'investimento per la card del docente che contiene 500 euro l'anno per consumi culturali (libri, mostre, cinema, tecnologie). 4) POTERI DEL PRESIDE Saranno decisamente bilanciati rispetto all'impostazione iniziale. Il Pof triennale non sarà più predisposto solo dal preside, ma dovrà ricevere il via libera del consiglio d'istituto. Le future modifiche riguarderanno la "valutazione" e la

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"scelta" dei docenti: per quanto riguarda il primo tema, la prevederà che ad affiancare il preside sarà un nucleo di valutazione nominato dal consiglio d'istituto; per la seconda si procederà aspecificare in modo più corretto i criteri (trasparenza della scelta) e le procedure di selezone. "In questo quadro abbiamo corretto il testo - ribadisce l'on. Coscia - recuperando una maggiore funzione degli organi collegiali insieme al ruolo del dirigente scolastico"

Risposto da Cristina Favati su 7 Maggio 2015 a 11:51 Dalla bacheca di Francesca Puglisi: SINTESI DEI PRINCIPALI INTERVENTI EMENDATIVI CHE IL PARTITO DEMOCRATICO propone per migliorare il DDL 2994 "BUONA SCUOLA" ORGANICO DELL'AUTONOMIA Gli emendamenti PD affermano che l'organico dell'autonomia coinvolge tutto il personale dell'istituzione scolastica. TUTTI i docenti concorrono alla realizzazione dei piani triennali dell'offerta formativa con l'insegnamento, il potenziamento, il sostegno, l'organizzazione, il coordinamento per accompagnare tutti gli studenti al successo formativo e scolastico. I nuovi assunti dunque non faranno i “tappabuchi”. Esplicitano che l'organico dell'autonomia si fonda sui bisogni che le scuole esprimono per realizzare i piani triennali dell'offerta formativa Semplificano il processo di assegnazione degli organici dell'autonomia Piano triennale dell'offerta formativa Affermano, in coerenza con il DPR 275 del 1999 (autonomia scolastica), che il piano è proposto dal dirigente scolastico, elaborato dal collegio docenti ed approvato dal Consiglio d'Istituto. Dovranno essere considerate le proposte di enti locali, enti ed associazioni, famiglie e studenti PERCORSO FORMATIVO DEGLI STUDENTI Per gli studenti degli ultimi tre anni delle scuole superiori si propongono insegnamenti opzionali da realizzarsi nello spazio orario già destinato all'autonomia (20%) ed alla flessibilità (fino a 35%) anche grazie ai docenti di reti di scuole. Il curriculum dello studente sarà valutato nell’ambito dell’esame di Stato Si propone di dare all'alternanza scuola lavoro anche la funzione di accrescere le capacità di orientamento degli studenti Abbiamo proposto di sopprimere il comma 6 dell’art. 4 che prevedeva l’apprendistato a 15 anni. RETI DI SCUOLE Si propone che le scuole afferenti ad un medesimo albo territoriale costituiscano una rete per la definizione di comuni principi per l'assegnazione d'incarichi, per lo sviluppo di piani di formazione del personale, per servizi e compiti organizzativi e il potenziamento della didattica ALBI TERRITORIALI Si propongono criteri per la determinazione degli albi territoriali che dovranno considerare le caratteristiche di un territorio, la vicinanza delle scuole ed il numero degli alunni. Un ambito più piccolo quindi dell’attuale. Per definire gli albi territoriali, gli Uffici Scolastici Regionali dovranno sentire gli amministratori locali di regioni e Comuni. Il numero degli iscritti all’Albo Territoriale corrisponderà al fabbisogno delle scuole. Non ci saranno dunque più soprannumerari. Nessuno verrà licenziato. IL COMITATO PER LA VALUTAZIONE Si propone la dell'attuale comitato di valutazione per il servizio dei docenti, ampliandone la composizione e le funzioni Si propone che il comitato per la valutazione affianchi il Dirigente Scolastico • nella individuazione dei docenti ai quali proporre l’incarico • nella valutazione del servizio nell'anno di formazione e di prova del personale • nell'assegnazione annuale del fondo per il merito Si propone di dare urgente attuazione ai nuclei di valutazione della dirigenza scolastica già previsti dalla normativa vigente. A tal fine si propone il potenziamento delle funzioni ispettive PIANO PER LA MOBILITA'

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Si propone l'introduzione di un piano di mobilità per tutti i docenti, inclusi i docenti immessi in ruolo dopo il 2012, su tutti i posti dell'organico dell'autonomia. Per dare concreta praticabilità al piano, i docenti assunti nel 2015 avranno incarico annuale ed assegnazione definitiva all'albo o albi territoriale richiesto, dopo il completamento del piano di mobilità Art. 12 e Concorso per precari in possesso dell’abilitazione L’art. 12 serve per non far entrare il nostro Paese in procedura di infrazione perché per troppi anni la cattiva politica ha lasciato in condizioni di precarietà il personale anche su posti vacanti e disponibili. Il Personale ATA sarà escluso dall’applicazione dell’art 12 L’art. 12 NON verrà applicato in modo retroattivo per non danneggiare i precari di seconda fascia che lavorano da più anni, accompagnandoli al prossimo concorso Al nuovo concorso per 60.000 posti tutti i docenti in possesso dell’abilitazione (180.000 circa). Nel bando valorizzeremo titoli e servizio svolto. 1 su 3 entrerà di ruolo a tempo indeterminato. Gli altri continueranno a fare le supplenze oltre i 10 giorni e nel 2015/2016 copriranno il fabbisogno di quelle classi concorso ad oggi esaurite in GAE in attesa della successiva prova concorsuale (matematica, tecnologia, informatica, etc). DELEGHE AL GOVERNO Soppressione della delega sulla Riforma degli Organi Collegiali. Il Partito Democratico per riscrivere le regole della partecipazione democratica alla vita della scuola coinvolgerà tutte le associazioni rappresentative di studenti, insegnanti, genitori, personale ATA e dirigenti presentando un disegno di legge autonomo. Le deleghe su autonomia e dirigenza scolastica e sulla semplificazione sono state soppresse e inserite nell’ambito del testo. Per quanto riguarda le altre deleghe, i parlamentari PD della VII commissione lavoreranno per arrivare a definire i principi direttivi nella massima condivisione

Risposto da Alberto Rotondi su 8 Maggio 2015 a 8:00 Nella riforma della scuola c'è un aspetto che non mi piace e che va chiarito: le erogazioni liberali di denaro da parte di privati. La scuola resterà indipendente nel giudizio di uno studente la cui famiglia ha erogato 50 mila euro per la palestra? Non vale la pena di esaminare meglio questo aspetto?

Risposto da Cristina Favati su 8 Maggio 2015 a 9:43 Già adesso i genitori sono invitati a contribuire con una spesa iniziale che varia da scuola a scuola all'inizio dell'anno scolastico. In genere si aggira intorno a 25 euro, ma conosco scuole che fanno pagare 50 euro per avere a disposizione tutte la rete informatica con cui le scuole ormai dialogano con alunni e famiglie (registro informatico, valutazioni, compiti online). Meglio sarebbe che non fosse richiesto alcun onere Alberto Rotondi ha detto: Nella riforma della scuola c'è un aspetto che non mi piace e che va chiarito: le erogazioni liberali di denaro da parte di privati. La scuola resterà indipendente nel giudizio di uno studente la cui famiglia ha erogato 50 mila euro per la palestra? Non vale la pena di esaminare meglio questo aspetto?

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Risposto da Fabio Colasanti su 8 Maggio 2015 a 9:59 Alberto, il problema dell'indipendenza di giudizio è un problema vero. Ma rimane il fatto che molte famiglie ricche sarebbero ben contente di fare regali veri alle scuole perché vedrebbero immediatamente dove vanno i soldi. Ci sono molte persone ricche che vogliono "restituire" qualcosa alla comunità. Ma dare soldi allo stato è come gettarli in un buco nero. In tante parti del mondo università, scuole e istituzioni culturali prosperano grazie ai doni e ai lasciti di tante persone. Permettere le "liberalità" apre un rubinetto importantissimo. Oltre al problema dell'indipendenza di giudizio che tu sollevi c'è il fatto che i regali andranno soprattutto alle scuole migliori nelle parti migliori delle città. Ma è un argomento sufficente per dire di no ? Non lo credo. Alberto Rotondi ha detto: Nella riforma della scuola c'è un aspetto che non mi piace e che va chiarito: le erogazioni liberali di denaro da parte di privati. La scuola resterà indipendente nel giudizio di uno studente la cui famiglia ha erogato 50 mila euro per la palestra? Non vale la pena di esaminare meglio questo aspetto?

Risposto da Alberto Rotondi su 8 Maggio 2015 a 12:17 Al di sopra di una certa cifra, potrebbero essere consentite erogazioni solo nel caso il donatore non abbia parenti iscritti nella scuola. Potrebbero ad esempio essere consentiti lasciti DOPO che lo studente ha lasciato la scuola e ottenuto il diploma. Fabio Colasanti ha detto: Alberto, il problema dell'indipendenza di giudizio è un problema vero. Ma rimane il fatto che molte famiglie ricche sarebbero ben contente di fare regali veri alle scuole perché vedrebbero immediatamente dove vanno i soldi. Ci sono molte persone ricche che vogliono "restituire" qualcosa alla comunità. Ma dare soldi allo stato è come gettarli in un buco nero. In tante parti del mondo università, scuole e istituzioni culturali prosperano grazie ai doni e ai lasciti di tante persone. Permettere le "liberalità" apre un rubinetto importantissimo. Oltre al problema dell'indipendenza di giudizio che tu sollevi c'è il fatto che i regali andranno soprattutto alle scuole migliori nelle parti migliori delle città. Ma è un argomento sufficente per dire di no ? Non lo credo. Alberto Rotondi ha detto: Nella riforma della scuola c'è un aspetto che non mi piace e che va chiarito: le erogazioni liberali di denaro da parte di privati. La scuola resterà indipendente nel giudizio di uno studente la cui famiglia ha erogato 50 mila euro per la palestra? Non vale la pena di esaminare meglio questo aspetto?

Risposto da Fabio Colasanti su 8 Maggio 2015 a 15:01 Alberto, il problema è che la scuola rilascia pezzi di carta che hanno un valore di per se e che li rilascia sulla base di valutazioni ed esami interni. Questo falsa il rapporto tra studenti e il personale della scuola. Gli studenti cercano di corrompere il personale per avere voti migliori e/o di imbogliarli per far credere di essere più bravi di quello che si è. Se i titoli rilasciati dalle scuole non avessero valore legale, la scuola diventerebbe solo uno strumento di preparazione degli studenti ad esami esterni (di ammissione a scuole superiori o all'università) e alle interviste presso i datori di

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lavoro. A questo punto gli insegnanti sarebbero solo degli "allenatori" degli studenti che non si avrebbe nessun interesse ad imbrogliare o a corrompere.

Risposto da giorgio varaldo su 8 Maggio 2015 a 15:43 Per quanto riguarda l'industria il valore del titolo di studio è molto relativo e più che la votazione finale conta la scuola di provenienza. Ad esempio un diplomato del malignani di udine era (e da quanto a mia conoscenza è) considerato ben più valido di un diplomato proveniente non solo dal sud ma anche da molti istituti tecnici del nord italia ed il voto a seconda della scuola di provenienza non era neanche preso in considerazione. Non è che venissero scartati a priori i diplomati provenienti da altre scuole ma si sapeva che chi proveniva da un certo ITIS difficilmente andava oltre al primo colloquio per quanto riguarda la laurea anche qui la provenienza era una distinzione di eccellenza, ricordo in positivo i laureati provenienti dai politecnici di napoli e di milano mentre in una università del profondo sud si era laureato in ingegneriaun pacco raccomandato rimasto negli annali per aver sostenuto che un pezzo di allumina (peso specifico 2,5 kg/dm3) se cadeva in in un bagno di acciaio (peso specifico 6,5 kg/dm3) andava a fondo.

Risposto da Ezio Ferrero su 8 Maggio 2015 a 18:27 La questione del caldo legato alle vacanze estive mi sembra francamente un problema che ci inventiamo solo in Italia. Mia figlia ha fatto per un anno la Exchange Student, in Texas dove ha frequentato la high school la scuola inizia l'ultima o penultima settimana di Agosto!! In Texas fa molto molto caldo e non risultano nè studenti nè insegnanti morti Pietro Maruca ha detto: Questo tema delle vacanze estive, che sento ripetere da quando andavo all'asilo (come si chiamava allora la scuola dell'infanzia), è il classico esempio del tema mal posto. Cercare di re un aspetto della scuola è come applicare un rattoppo. Va bene quando la casa è sostanzialmente nuova e a posto, ma diventa inutile se c’è bisogno di una radicale ristrutturazione. Insomma, le vacanze sono legate all’idea di scuola, a come si sta in classe, a cosa si spende per la scuola. Di per sé dire che i ragazzi potrebbero fare esperienze di lavoro è profondamente fuori luogo: Anche quelli delle primarie? Torniamo al lavoro infantile? Quelli no, e allora stanno in vacanza? E come la mettiamo con il rischio di infortuni? E con le responsabilità? E con gli altri lavoratori? Mia nipote a Berlino va a scuola anche fino a metà luglio (esiste una rotazione dei diversi lander per non avere tutti le vacanze nello stesso periodo), Ma è a Berlino! Immaginiamo in Sicilia, ma anche in Toscana, uno studente mentre studia e svolge i compiti a luglio, come a febbraio, per l’interrogazione del giorno dopo? Sì, loro fanno vacanze estive di sei settimane, ma le altre le fanno in corso d’anno. Poi, hanno momenti di studio differenziati; ad esempio, a settembre quest’anno sono andati a Parigi e in corso d’anno vi sono stati almeno un altro paio di stage fuori città. E ancora non so come sarà di qui a luglio prossimo. Mi farò raccontare durante la sua permanenza da noi nei 15 gg di vacanze pasquali. Siamo sicuri di essere in grado con le famiglie di reggere costi e periodi di vacanza di questo genere? Per poi avere un numero complessivo di giorni di scuola esattamente uguali? Concordo sul fatto che si possa superare il periodo di vacanza di tre mesi, troppo lungo e dagli effetti negativi sull’apprendimento, ma se la cosa viene pensata solo per fare lavorare di più i docenti e per occupare il tempo di chi studia, si producono più danni che benefici.

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Risposto da Ezio Ferrero su 8 Maggio 2015 a 18:31 Purtroppo nel pubblico impiego nessuno vuole sentire parlare di valutazione, di nessun tipo. Le proposta di autovalutazione, valutazione collegiale etc. sono solo escamotage per evitare di passare come quelli che dicono no a tutto. Fabio Colasanti ha detto: Stamattina, la trasmissione "Tutta la città ne parla" su Radio 3 è stata dedicata alla scuola in Gran Bretagna e Germania. Uno dei temi che è apparso è stata la valutazione estesa, dettagliata e resa pubblica degli insegnati e delle scuole. Tutti i messaggi dagli ascoltatori e gli interventi in trasmissione si sono divisi in due gruppi: a) quelli che sono contro la valutazione e la meritocrazia; la valutazione in Italia sarebbe impossibile e sarebbe sinonimo di raccomandazioni e favoritismi; la nostra scuola non vuole essere "competitiva", ma "inclusiva". b) quelli favorevoli alla valutazione che però deve essere una "autovalutazione" e deve essere una valutazione del team di insegnanti e non dei singoli insegnanti

Risposto da Ezio Ferrero su 8 Maggio 2015 a 18:35 Pietro, il ruolo del DS è sicuramente impegnativo, molto impegnativo. Il fatto che abbia la responsabilità legale della Scuola è una situazione simile a quella dell'amministratore di una azienda, che almeno in quelle non troppo grandi, è l'unico rappresentante legale. Con una organizzazione, come tu ad esempio suggerivi, in cui ci siano docenti che svolgono funzioni di "raccordo" il problema si risolve. Chiaro che questo cozza contro la logica ugualitaria e di livellamento verso il basso che i sindacati perseguono. Pietro Maruca ha detto: Cristina, il ruolo del dirigente scolastico è piuttosto complesso. Me ne sono occupato anche ai fini della valutazione. Per me non è facile parlarne in modo sintetico, dato che l’ho svolto per 25 anni. Provo comunque a scrivere alcune cose. Intanto, con un’indagine che ha coinvolto centinaia di colleghi, abbiamo provato a delineare un “bilancio tempo” del D.S., per cercare di capire attraverso le sue azioni abituali, nell’arco di una settimana, quali fossero le sue funzioni. Sono emerse cose interessanti; - sul numero complessivo di ore di lavoro, in media ben oltre le 40, - sulla programmazione del lavoro (molto tempo viene usato su sollecitazioni esterne, per rispondere a problemi posti da altri), - sulle competenze necessarie: i problemi posti sono stati di vario tipo, da quelli organizzativi, a quelli didattici, a quelli relazionali nella gestione di conflitti, a quelli normativi (la legislazione scolastica, a partire dalle leggi e dalle sentenze, fino alle ordinanze e alle circolari ministeriali, regionali o provinciali, è praticamente sterminata), - sui diversi aspetti della vita dell’istituto presi in considerazione: a. la sicurezza degli edifici (compresi i piani di evacuazione) e dei prodotti usati nella scuola; b. il bilancio, con tutto ciò che riguarda il reperimento dei fondi, il piano degli acquisti , l’albo dei fornitori, la distribuzione delle risorse sui diversi capitoli di spesa, da quelli incentivanti per il personale a quelli in conto capitale, dal facile consumo alle uscite didattiche; c. i contratti, con il personale e con gli esterni, a partire dai consulenti e dalle assicurazioni; c. i regolamenti per la gestione delle diverse attività, dalle uscite agli orari, dalle supplenze alla gestione dei laboratori …;

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d. i rapporti con i Comuni e gli altri enti esterni, a partire dalle ASL (assistenti sociali, psicologi, neuropsichiatri, medicina legale) e dalle associazioni; e. i rapporti con le famiglie,, con frequenza pressoché quotidiana, per le iscrizioni, l’orientamento scolastico, i gruppi integrati per l’hc, i consigli di classe e di istituto, le assemblee per la presentazione della programmazione e per le verifiche periodiche, i contatti individuali, per una ampia gamma di questioni (consigli educativi, problemi dei figli con i docenti o con i compagni, situazioni familiari problematiche sopravvenute, questioni di adattamento alla realtà scolastica …); f. la relazione con gli organi superiori, con statistiche, verifiche di spesa, questione di organici legate agli inserimenti di allievi in situazioni particolari: stranieri, nomadi, hc, affetti da DSA…; g. le diverse modalità di comunicazione tra il D.S. e tutti gli altri; dai colloqui di persona, individuali e collettivi, ai colloqui telefonici; dalla posta cartacea alle mail, per una parte consistente dell’orario di lavoro quotidiano; - sulla progettualità, a partire dai progetti sul diritto allo studio, sule fasce deboli, sugli scambi con l’estero, sulla formazione dei docenti, che prevedono relazioni con la Regione, con i Comuni, con esperti esterni … - sulle attività negoziali, con le RSU, per l’utilizzo dei finanziamenti dei fondi destinati al personale e per la regolamentazione dei criteri con cui vengono assegnate le classi e distribuiti gli incarichi, sulla base di un vero e proprio piano annuale da sottoporre ai diversi organi collegiali (consiglio d’istituto, collegio dei docenti, assemblea del personale ATA), - su specifiche caratteristiche d’Istituto, quando sono in atto delle sperimentazioni didattiche o di tipo organizzativo, che implicano la partecipazione a reti di scuole, per la valutazione dell’istituto e/o per la certificazione da parte di enti esterni preposti. E’ vero che su molti aspetti, quasi tutti, si è coadiuvati dalla segreteria scolastica e da docenti che in orario aggiuntivo svolgono specifici incarichi di collaborazione, ma l’organo che rappresenta l’istituto a livello legale è il DS, quindi dovrebbe essere informato di tutto, anche per le attività delegate. E’ molto delicato inserire su un complesso di questo genere una valutazione del dirigente scolastico. VA FATTO, ma in modo avveduto e competente, sapendo che a volte ciò che appare è esattamente il contrario di ciò che potrebbe sembrare. Un esempio: da una valutazione sulla disponibilità di un D.S. in due edifici del suo istituto emerse che in uno era particolarmente apprezzato e nell’altro non era quasi conosciuto. Nel primo caso, aveva dovuto intervenire in una classe per un conflitto tra docenti e famiglie. La cosa si era trascinata per più incontri. Nel secondo, invece, non c’era mai stato bisogno di lui perché le cose funzionavano egregiamente, al punto che alcuni genitori non avevano mai avuto occasione di parlargli. Il punteggio sulla disponibilità del preside era stato, insomma, più alto dove le cose avevano funzionato meno bene. Dal punto di vista dell’efficacia del servizio didattico, la situazione migliore era quindi quella dove il D.S. aveva avuto i l punteggio più basso, perché non c’era stato bisogno del suo intervento. Merito sicuramente dei docenti, ma probabilmente anche suo, per come aveva gestito le cose a livello preventivo. Quindi, con un questionario di questo tipo, non basta fermarsi al punteggio, ma è utile andare ad approfondire, prima di esprimere un giudizio di merito.

Risposto da Cristina Favati su 8 Maggio 2015 a 19:36 Oggi alla Camera il Pd presenterà un pacchetto di emendamenti al ddl labuonascuola , recependo i contributi più significativi dello sciopero. Tutti i docenti nelle graduatorie a esaurimento saranno assunti. Restano 23mila insegnanti della scuola per infanzia, che saranno assunti quando entrera' in vigore la delega sullo 0-6. Il concorso previsto dal ddl sara' poi per 60mila abilitati, e sara' prevista la valorizzazione dei titoli e del servizio svolto. L'articolo 12 sara' to prevedendo esplicitamente che il limite dei 36 mesi di servizio non sia retroattivo. Gli emendamenti prevedono anche la collaborazione tra il dirigente che da' l'indirizzo nel piano dell'offerta formativa triennale, la fase elaborativa in collegio dei docenti, l'approvazione in consiglio d'istituto. Chiarita anche la dinamica della 'assunzione' da parte dei presidi : intanto gli albi territoriali avranno dimensione subprovinciale, i docenti che ne faranno parte saranno tutti assunti a tempo indeterminato. I presidi potranno

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scegliere la collocazione nella loro scuola. I docenti che non saranno richiesti da nessuno saranno collocati dall'ufficio scolastico provinciale. Gli insegnanti saranno selezionati per il curriculum pubblicato nell'albo, ma e' previsto che possano autocandidarsi. Per evitare diseguaglianze tra istituti, i presidi delle scuole periferiche, potranno cercare di trattenere o convincere i docenti a prestare servizio presso la loro sede, usando il fondo da 200 milioni di euro gestito dai dirigenti scolastici e destinato alle premialita' per i docenti. Il fondo di perequazione sugli introiti del 5 per mille, andrà per il 20% alle scuole disagiate.

Risposto da Cristina Favati su 8 Maggio 2015 a 19:38 Il PD punta a chiarire nero su bianco, con appositi emendamenti, un aspetto cruciale del piano straordinario delle assunzioni in ruolo, ossia lo svuotamento delle graduatorie ad esaurimento. Uno degli aspetti più contestati dell'attuale formulazione del DDL è la parte in cui si dice che in caso di indisponibilità di posti per gli albi territoriali indicati, non si procede all'assunzione. Una norma che, intrecciata con quella che qualche comma più avanti, annulla le Graduatorie ad esaurimento, non fa dormire sonni tranquilli a molti docenti, soprattutto coloro che non occupano una posizione alta in graduatoria e che dovranno sperare, per l'immissione in ruolo, nella mobilità a livello nazionale, o nell'incarico all'interno dell'organico dell'autonomia. I prospetti resi noti dal Miur, tra l'altro, non hanno lasciato soddisfatti i docenti, che invece vi individuano delle falle nel conteggio dei posti disponibili. Sembra che nel pacchetto di emendamenti presentati dal PD ci sia una soluzione per chiarire l'effettivo svuotamento delle graduatorie ad esaurimento, che quindi dovrebbero chiudere in ragione del fatto che non ci saranno più docenti da assumere. Rimane invece la conferma della mancata assunzione dei 23.000 docenti della scuola dell'infanzia. Ossia, le immissioni in questo ordine di scuola potranno riguardare solo i posti disponibili in organico di diritto (le altre assunzioni dovranno riguardare la riforma 0-6) Supplenze oltre i 36 mesi. Il PD sembra ancora convinto a non voler azzerare l'art. 12 contestato da tutto il personale della scuola, quello che vieta le supplenze su posti vacanti e disponibili oltre i 36 mesi, ma di togliere solo l'effetto retroattivo (contando quindi, ottimisticamente, sulla previsione di regolari concorsi triennali)

Risposto da Alberto Rotondi su 9 Maggio 2015 a 0:15 Fabio, finché la scuola promuove o boccia ci sarà chi fa pressione per essere promosso anche se non lo merita. Oppure dici che la scuola non deve bocciare? Questo delle erogazioni alle scuole è l'aspetto più antipatico e meno democratico di tutta la questione, che dà notevoli distorsioni anche in molti paesi stranieri. Possibile che non si possa fare di meglio? Se veramente queste erogazioni sono un bisogno insopprimibile di persone ricche che vogliono sdebitarsi con la società in modo disinteressato (casi ce ne sono, ad esempio quello recente dell'avvocato milanese), allora diciamo che queste erogazioni liberali devono restare anonime. Fabio Colasanti ha detto: Alberto, il problema è che la scuola rilascia pezzi di carta che hanno un valore di per se e che li rilascia sulla base di valutazioni ed esami interni. Questo falsa il rapporto tra studenti e il personale della scuola. Gli studenti cercano di corrompere il personale per avere voti migliori e/o di imbogliarli per far credere di essere più bravi di quello che si è. Se i titoli rilasciati dalle scuole non avessero valore legale, la scuola diventerebbe solo uno strumento di preparazione degli studenti ad esami esterni (di ammissione a scuole superiori o all'università) e alle interviste presso i datori di

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lavoro. A questo punto gli insegnanti sarebbero solo degli "allenatori" degli studenti che non si avrebbe nessun interesse ad imbrogliare o a corrompere.

Risposto da Fabio Colasanti su 9 Maggio 2015 a 0:26 Alberto, il mio punto va al di la delle liberalità. Riprendo l'argomento elaborato da Piercamillo Davigo durante una conferenza che ha tenuto a Bruxelles sulla corruzione il mese scorso. Ha sostenuto che il clima nella scuola è "mafioso e omertoso". Secondo lui alla fine dei vari cicli di studio l'esame dovrebbe essere "esterno" (come era una volta per la maturità) e ci dovrebbero essere più esami di ammissione all'università (negli Stati Uniti ci sono anche per le scuole secondarie). Se la valutazione che conta è quella esterna, il pezzo di carta che ti da la scuola non ha nessun valore e corrompere o imbrogliare gli insegnati non servirebbe a molto. In ogni caso siano già in una situazione dove le nostre scuole bocciano poco o nulla. Le statistiche sui risultati dell'esame di maturità mostrano percentuali di successo che una volta sarebbero state definite "bulgare". Alberto Rotondi ha detto: Fabio, finché la scuola promuove o boccia ci sarà chi fa pressione per essere promosso anche se non lo merita. Oppure dici che la scuola non deve bocciare? Questo delle erogazioni alle scuole è l'aspetto più antipatico e meno democratico di tutta la questione, che dà notevoli distorsioni anche in molti paesi stranieri. Possibile che non si possa fare di meglio? Se veramente queste erogazioni sono un bisogno insopprimibile di persone ricche che vogliono sdebitarsi con la società in modo disinteressato (casi ce ne sono, ad esempio quello recente dell'avvocato milanese), allora diciamo che queste erogazioni liberali devono restare anonime. Fabio Colasanti ha detto: Alberto, il problema è che la scuola rilascia pezzi di carta che hanno un valore di per se e che li rilascia sulla base di valutazioni ed esami interni. Questo falsa il rapporto tra studenti e il personale della scuola. Gli studenti cercano di corrompere il personale per avere voti migliori e/o di imbogliarli per far credere di essere più bravi di quello che si è. Se i titoli rilasciati dalle scuole non avessero valore legale, la scuola diventerebbe solo uno strumento di preparazione degli studenti ad esami esterni (di ammissione a scuole superiori o all'università) e alle interviste presso i datori di lavoro. A questo punto gli insegnanti sarebbero solo degli "allenatori" degli studenti che non si avrebbe nessun interesse ad imbrogliare o a corrompere.

Risposto da Cristina Favati su 9 Maggio 2015 a 10:18 E' pronto il pacchetto di emendamenti del Partito democratico al ddl Buona scuola per il quale restano fermi i tempi già noti (19 maggio in Aula, poi Senato, approvazione entro metà giugno). Le modifiche sono frutto del lavoro svolto in commissione Cultura ma anche del confronto tra il Pd e le molte voci del mondo dell'istruzione, dalle associazioni di genitori, insegnanti e studenti ai sindacati. I decreti attuativi del provvedimento definiranno ulteriori dettagli. Ecco i principali "ritocchi": ASSUNZIONI - Verrà chiarito che saranno assunti tutti i precari delle graduatorie a esaurimento che si chiuderanno per svuotamento. Resteranno soltanto 23.000 docenti della scuola d'infanzia che verranno assunti in un secondo tempo, quando diventerà legge la riforma del percorso scolastico 0-6 anni (una delle materie oggetto di delega). CONTRATTI LAVORO A TEMPO DETERMINATO - Viene stabilito che la norma che pone il limite temporale di 36 mesi come durata massima per i rapporti di lavoro a tempo determinato del personale scolastico non avrà valore retroattivo.

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CONCORSO - riguarderà 60.000 abilitati. Il successivo regolamento del concorso valorizzerà titoli di studio e servizio svolto (in questo modo si va incontro alle istanze di coloro che hanno frequentato Tfa, Pas, Siss ecc...). DIRIGENTI SCOLASTICI - "Lungi da noi l'idea di un preside-sceriffo, ma occorre che, come in qualsiasi altro comparto statale - ha spiegato Francesca Puglisi - un responsabile per la rendicontazione degli esiti della scuola". E' già stato approvato un emendamento in base al quale il preside da gli indirizzi per il piano dell'offerta formativa triennale, il collegio dei docenti lo elabora e il consiglio d'istituto lo approva. ALBI TERRITORIALI - Si sta mettendo a punto un emendamento per chiarire l'obiettivo degli Albi che avranno una dimensione sub-provinciale e accoglieranno persone tutte assunte a tempo indeterminato. Gli insegnanti verranno scelti dal preside sulla base del curriculum ma potranno essere gli stessi docenti a inviare una domanda alla scuola nella quale vorrebbero insegnare. PREMIALITA' - Per quanto riguarda i 200 milioni di premialità distribuiti agli insegnanti, la scelta viene affidata al preside, ma il dirigente scolastico sarà affiancato da un Comitato di valutazione di cui faranno parte due insegnanti, rappresentanti dei genitori e degli studenti. La premialità potrà essere utilizzata anche per "trattenere" gli insegnanti ritenuti validi nella scuola in cui già lavorano. PRESIDI VALUTATI OGNI 3 ANNI - I dirigenti scolastici verranno valutati ogni 3 anni da un Comitato di valutazione (istituito presso gli uffici scolastici regionali). Ispettori del ministero (corpo che verrà rafforzato) visiteranno le scuole per verificare il loro funzionamento. Sui risultati si giocherà la quota premiale dello stipendio. DIRITTO ALLO STUDIO - La norma verrà meglio dettagliata nei principi direttivi che affidano la delega al Governo. 5 PER MILLE - E' già previsto un Fondo di perequazione statale: la percentuale attualmente del 10% sarà portata al 20%. DELEGHE - E' stata stralciata dal testo la delega sulla riforma degli organi collegiali per la quale verrà avviato un percorso di lavoro con le associazioni del mondo della scuola. te anche le deleghe sull'autonomia scolastica, sulla scuola digitale e sugli Its (sarà inserito direttamente nel ddl ciò che si vuol fare per rilanciare questo segmento dell'istruzione). Via anche la delega riferita alle modalità di assunzione, formazione e valutazione del dirigente scolastico che sarà meglio normata nel ddl. ANSA

Risposto da Cristina Favati su 9 Maggio 2015 a 11:47 PAOLO MARTONE su La Stampa di oggi Nella “Buona Scuola” cosa è previsto per l’inclusione degli alunni disabili? C’è una proposta di cambiamento rivoluzionario dell’organizzazione del sostegno. Un aspetto che noi dobbiamo valorizzare di più nel nostro Paese, e che non c’è in molti altri Paesi europei, è il tema dell’inclusione e il fatto che per fortuna sono scomparse le classi e le scuole speciali. All’interno di questo ci sono elementi di grande positività e di inclusione davvero funzionanti, ma ci sono anche elementi di ipocrisia. Quali? A volte accade che l’inclusione non funziona, e il luogo speciale diventa il corridoio. Si porta fuori il ragazzo o la ragazza che in questo modo non riceve un trattamento corretto. Nella “Buona Scuola” c’è un modello di selezione e formazione e pensiamo di realizzare una nuova figura: l’insegnante di sostegno specializzato nelle singole disabilità. Queste figure oggi mancano. Oggi c’è una formazione generalista dell’insegnante di sostegno, e dentro questa figura ci sta tutto. Può capitare che un’insegnante di sostegno debba avere a che fare con un ragazzo non vedente e non possieda gli strumenti per farlo, oppure che non abbia una formazione adatta all’autismo. Ovviamente tutto questo funziona se si costruisce una sinergia con la classe e l’insegnante curricolare, e se il sistema educativo scolastico è integrato con il sistema educativo familiare. Oggi che formazione ha il personale di sostegno? Noi abbiamo un grande patrimonio, con tantissimi bravi insegnanti di sostegno. Il problema è che in questo momento le differenze di formazione tra un docente curricolare e uno di sostegno sono un anno di formazione generalista sul sostegno. C’è una similitudine enorme nei percorsi formativi. Questo da un lato è un bene per la sinergia, viceversa per le disabilità più gravi questa formazione così lieve rischia di non far funzionare il meccanismo di inclusione. Noi abbiamo bisogno di costruire una formazione e una specializzazione sulle singole disabilità.

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Ma attualmente fa parte dei doveri di ogni insegnante occuparsi degli alunni disabili o è un compito che ricade esclusivamente sui docenti di sostegno? La parola “sostegno” è da intendere al contrario rispetto a come viene intesa nel nostro Paese. Il sostegno è alla classe più che al singolo alunno disabile, cioè alla costruzione di una coscienza e di un percorso che faccia in modo che il tema dell’inclusione diventi un elemento educativo per i ragazzi che stanno in classe con un disabile. Questa mia interpretazione oggi in Italia non c’è, il tema del sostegno viene legato al singolo alunno. Il ruolo dell’insegnante curricolare è indispensabile perché il ruolo del docente di sostegno non è quello di isolare il disabile dal resto della classe, serve a costruire la sinergia. Altrimenti viene fuori l’ipocrisia di cui parlavo prima. Il nostro articolo con la storia di Chiara ha ricevuto molti commenti anche da parte di insegnanti. Alcuni hanno criticato l’atteggiamento della loro collega per aver rivelato una presunta impossibilità nel gestire l’alunna disabile in classe facendo contemporaneamente bene il suo lavoro di docente. Altri hanno visto nell’articolo un “attacco” agli insegnanti. Lei cosa ne pensa? Io penso che l’insegnante che si rassegna e dice che un alunno disabile rende impossibile la didattica è un insegnante che si arrende rispetto al tema dell’inclusione. Questa è l’idea che ha spinto in passato a costruire le classi e le scuole speciali. Io credo che la ricchezza della scuola italiana è un elemento formativo per i ragazzi. Avere a che fare con un ragazzo disabile, riuscire a starci insieme, costruire un rapporto positivo. Tutto questo è formazione. E spesso vale di più di molte ore di lezione. Se cominciamo a pensare che anche quella è formazione ci rendiamo conto che non si sta perdendo un minuto.

Risposto da Giampaolo Carboniero su 10 Maggio 2015 a 2:36 Non sono informato a sufficienza dell'organizzazione e funzionamento della scuola, per cui, necessariamente, devo lasciare le decisioni a chi è più competente; a me però preme che il risultato finale risponda ai principi ed enunciazioni che ho trovato in Calamandrei; spero che nessuno possa considerarlo l'ennesimo professorone: http://diellemagazine.com/2015/05/06/il-discorso-di-piero-calamandr...

Risposto da Cristina Favati su 10 Maggio 2015 a 11:05 Il gruppo social “Superamento Immediato del precariato G.A.E. della Scuola” invia il seguente articolo condiviso da tutti gli iscritti, allo scopo di chiarire in modo inequivocabile la propria favorevole posizione rispetto al D.D.L. N. 2994-A presentato dal Ministro dell'istruzione, dell'Università e della Ricerca (Giannini) di concerto con il Ministro per la Semplificazione e la Pubblica Amministrazione (Madia) e con il Ministro dell'Economia e delle Finanze (Padoan), con preghiera di pubblicazione e la diffusione. I gruppi social di riferimento (Facebook e Twitter) sono Movimento Docenti Abilitati #gaeinruolo GAE: Tutti e subito in Ruolo Superamento Immediato del Precariato G.A.E della Scuola Ora Basta!!! #vogliamosapere (La Buona Scuola secondo i Docenti Precari Storici) #HubDocet (Istruzione, Università e Ricerca) #iononsciopero #ballespaziali #labuonascuola A un passo dalla “giusta” Riforma Investire sulla conoscenza e sulla cultura rappresenta, soprattutto alla luce di una grave crisi economica per altro ancora in corso, una necessità per qualsiasi Nazione che voglia guardare al futuro. La crescita del capitale fisico di un Paese, di quello convenzionalmente misurato, spiega una parte piccola della crescita del reddito; la ricerca delle migliori spiegazioni in merito testimonia, avvalendosi di un imponente ammontare di prove circostanziali, l'importanza economica del capitale umano, con specifico riferimento all'istruzione. Nel nostro Paese occorre investire nel capitale umano attraverso accorte politiche dell'istruzione e della formazione che definiscano percorsi migliorativi del Sistema scolastico già oggetto da troppi anni di revisioni parziali e frammentarie, mai inserite in un quadro realmente sistemico all'interno del quale tutte le questioni potessero trovare

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reciprocità di collegamenti, precludendo quindi il miglioramento continuo dello stesso per essere sempre più efficacemente rispondente alle esigente del tempo e dei territori. I problemi della scuola italiana sembrano discendere soprattutto dal modus operandi del Sistema di Istruzione e dalla sua interazione con le aspettative di famiglie e studenti. In tal senso, pure considerando le già efficienti realtà scolastiche esistenti si ritiene che esse debbano essere alimentate con un rafforzamento dell'autonomia e dell'accountability delle singole scuole, anche nel governo del personale, intervenendo altresì a sostegno delle scuole più in difficoltà con un programma nazionale articolato su base regionale. Una efficace riforma dovrebbe esser tesa ad innescare una maggiore qualità del servizio scolastico sulla base di regole certe e stabili che favoriscano anche la valorizzazione del merito, rendendo di fatto compiuta una maggiore autonomia delle istituzioni scolastiche, già sancita dal DPR 275/99, onde far emergere una struttura più differenziata dell'offerta formativa certificata dal Bilancio sociale che ciascuna scuola dovrebbe redigere in ottemperanza ai principi della trasparenza e della buona amministrazione. Si prende atto, pertanto, che quello in carica è indiscutibilmente il Governo che ricomincia ad investire massivamente sulla scuola, sia in termini politici e sociali, sia per quanto concerne le risorse umane ed economiche, secondo parametri quantitativi mai utilizzati prima. Per queste ed altre motivazioni si ritiene del tutto soddisfacente il progetto di riforma “La Buona Scuola” del Governo Renzi, nel suo complesso, e se ne sostiene convintamente l'approvazione affinché diventi effettivamente Legge dello Stato entro il 15 / 06 / 2015, essendo fondamentale per l'attuazione e funzionamento a regime immediato della stessa, la stabilizzazione del corpo docente precario inserito a pieno titolo nelle graduatorie ad esaurimento (Gae) e nelle graduatorie di merito (Gm), stimato in poco più di 100.701 unità. Si ribadisce infatti che quanti risultano inseriti nelle suddette Graduatorie sono tutti docenti che hanno superato due differenti tipologie di prove concorsuali in qualità di vincitori, oltre ad aver conseguito nel corso di questi lunghi anni di precariato, aggiornamenti professionali con di titoli di servizio, master e titoli culturali di diversa tipologia. Una formazione continua sul campo e sostenuta per iniziativa privata sempre e comunque a proprie spese, con grande sacrificio di tempo e con il senso del dovere di chi è responsabile del proprio ruolo anche in vista dell'investimento in quel “futuro” che finalmente la “Buona Scuola” riconosce doverosamente loro. Con l'attuazione dell'organico dell'autonomia, di pari passo con la progettazione del POF di Istituto (Piano Offerta Formativa), programmato secondo la proposta contenuta nel Ddl su base triennale consentendo una maggiore efficacia ed efficienza di attuazione dello stesso, si potrà letteralmente “smontare” la scellerata riforma Gelmini, che ha innescato la staffetta comportamentale dei ricorrenti a ciclo continuo, ha diffuso un malcontento generalizzato e ha provocato una diffusa gestione del tempo scuola poco efficace congiuntamente ad una mancata valorizzazione degli attori in esso coinvolti.Senza beneficio alcuno per il sistema d'Istruzione, ormai definitivamente al collasso. La riforma de “La Buona Scuola” inoltre consentirebbe al Dirigente Scolastico, sentito il Collegio Docenti, di progettare il proprio Piano triennale dell'Offerta formativa tenendo conto della realtà territoriale in cui è inserita la Scuola, assecondando così le valenze e le necessità proprie, da portarsi a compimento con l'approvazione finale del Consiglio di Istituto. Il tutto nel rispetto del principio sempre invocato e raramente agito di democrazia partecipativa nei processi decisionali della PA tra cui la scuola è annoverata. Non è difficile immaginare, ad esempio, la riattivazione dei “moduli” nella Scuola Primaria oppure lo svuotamento delle attuali “classi pollaio” che caratterizzano soprattutto la Scuola Secondaria di II Grado, nonché il ripristino dei quadri orari negli Istituti Tecnici e Professionali, aumentando se necessario il tempo scuola per gli studenti che lo ritengano utile ed opportuno senza vincolo alcuno essendo la dotazione organica sufficiente al fabbisogno di ogni singola Istituzione Scolastica. Come non vedere un netto miglioramento dell'attuale sistema, ormai vetusto e di gentiliana memoria, corrotto irrimediabilmente da sconsiderate e miopi politiche del “gioco al ribasso” di quanti affermavano convintamente e senza vergogna alcuna che con la “cultura non si mangia”? E' mai possibile avere una tale livello di “corta memoria” in un Paese come l'Italia? E' mai possibile che ad avere voce e a fare “rumore” assordante come al solito siano sempre e solo i detrattori e mai i sostenitori convinti, insinuando nell'opinione pubblica viziosa informazione che si distorce artatamente, in disinformazione? Vasa inania multum strepunt, i vasi vuoti fanno un grande rumore! A fronte di tale “rumore”, per contro, quanti docenti precari, docenti in ruolo, Dirigenti scolastici e altri rappresentanti del mondo della scuola sono stati ascoltati dai Media per poter ribadire con fermezza le proprie volontà ed esigenza di rinnovamento dell'Istituzione Scolastica, volano di un Paese intero? Lo stesso Ministero, a ben vedere, a seguito di uno sciopero indetto per il 5 Maggio scorso, si è reso disponibile ad incontrare questi detrattori, spesso armati esclusivamente di un'indignazione da bancarella frutto di un tam tam mediatico fatto di volantinaggio sindacale e corporativo mistificatore della realtà, o peggio ancora di insulsi sms diffusi a tappeto per alimentare il fuoco nemico contro una Riforma che nel suo complesso vanta aspetti più positivi che negativi, con alcune spigolature che in corso d'opera si stanno limando con il lavoro apposito della VII Commissione Cultura.

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Sta di fatto che nessuno, fino ad oggi, ha dato voce ai tanti che sostengono convintamente tale processo irreversibile di Riforma del Sistema Nazionale di Istruzione e Formazione. Inoltre si intende sottolineare la protesta che proprio non si comprende, quella inscenata dai Docenti in ruolo. Di cosa dovrebbero preoccuparsi? Verrebbe da chiedere a quanti abbiano veramente letto e compreso il DDL, in cosa consista il “super potere”, così da quelli definito, che dovrebbe essere attribuito ai Dirigenti Scolastici di nuova generazione. Non sono proprio questi Docenti a ribadire più volte che i Dirigenti “fanno ciò che vogliono” nelle rispettive Scuole? Alcuni Dirigenti lavorano sicuramente in maniera impeccabile rispettando i dettami legislativi in materia di dirigenza scolastica. Altri un po' meno ed altri ancora in modo del tutto inappropriato. E ciò accade anche tra i docenti, siamo tanti e non tutti uguali. Con la riforma “La Buona Scuola” questa situazione potrà solo migliorare e a nostro favore perché i Dirigenti, tanto quanto i Docenti, per la prima volta sarebbero soggetti a controlli e a valutazione. Se finora qualcuno non ha assolto al proprio dovere in maniera appropriata, avendo il suo operato ripercussioni su tutta la comunità scolastica e sull'opinione pubblica rispetto alla categoria, in futuro sarà obbligato a farlo con maggiore compiutezza offrendo prestazioni di qualità via via più elevata. La nostra decisione di non aderire allo sciopero manifestatosi al 5 maggio scorso risiede nelle seguenti considerazioni: il nostro apprezzamento in toto dell'assetto riformatore de “La Buona Scuola” del Governo Renzi, presentato dal Ministro Stefania Giannini; l'interrogativo di quelli che fra noi sono precari storici per lo più da 10/20 anni e di quelli che fra noi sono docenti di ruolo, che come un mantra andiamo ripetendo, sul dove fossero i beneamati sindacati a difesa di tutti e al contempo di nessuno quando le già Ministro Moratti e Gelmini decidevano, in seno ai rispettivi Governi di appartenenza in carica, i drammatici e smisurati tagli alla scuola. Prendiamo atto anche della manovra contro il Governo Renzi ad opera degli stessi sindacati che esultavano per una manciata d'assunzioni in ruolo di anno in anno, affermando che fosse già quello un grande successo ottenuto grazie alla loro lotta e oggi, a fronte dell'attuale proposta di piano assunzionale di ben 100.000 stipule di contratto a tempo indeterminato di docenti aventi diritto, costituzionalmente garantito, all'immissione nei ruoli della docenza. In forza di quale argomentazione i sindacati oggi dicono che le suddette 100.000 assunzioni non bastano e propongono, l'estensione di tale opportunità a quanti non ne abbiano né merito né diritto alcuno? Ricordiamo loro alcune norme prodotte dal Legislatore durante gli ultimi venti anni a detrimento della qualità dell'offerta formativa e delle progressioni professionali anche dei docenti precari di ultima generazione: Maestro Unico alla Scuola Primaria; riduzione degli organici dei Docenti di sostegno; decadimento di alcune classi di concorso e tipologie di insegnamenti; il fenomeno delle “classi pollaio” che hanno determinato numerosi esuberi tra gli insegnanti che si sono visti costretti a lavorare su più scuole; dimezzamento numero del personale Ata; tagli dei finanziamenti alle scuole per supplenze, forniture scolastiche ecc.; contrazioni delle scuole che non raggiungevano un certo numero di iscritti con conseguente accorpamento con altre sedi e riduzione del personale; blocco degli scatti di anzianità; blocco rinnovo dei contratti; svalutazione della figura della professionalità Docente, lasciata alla mercé di genitori e alunni irrispettosi di tale ruolo con conseguente resa di quasi tutti gl'insegnanti a situazioni che avrebbero potuto mettere a repentaglio anche la loro vita, oltre che il lavoro, nelle situazioni più a rischio. A valle di tutte le osservazioni di cui sopra, ci chiediamo: dov'erano i sindacati e i colleghi impegnati oggi a mistificare la realtà affinché il DDL del Governo Renzi venga ritirato? Sicuramente a crogiolarsi seduti alle loro cattedre ben saldamente o a strofinarsi le mani per gli immancabili ricorsi, mentre noi precari eravamo a scioperare e a fare una battaglia contro i mulini a vento, per lo più da soli. Oggi s'intravede la possibilità di un miglioramento netto che corregge le storture del sistema, note a tutti e stratificatesi negli anni, figlie delle cattive politiche scolastiche esibite, anche a colpi di riforme miopi rispetto all'orizzonte nazionale ed europeo, dai Governi di turno succedutisi nel tempo, mentre quei colleghi e i sindacati scesi nelle piazze si arrogano a nome di tutta la comunità scolastica il diritto di bocciare tali proposte! Noi non ci stiamo! Argomentiamo le nostre ragioni a favore di una Riforma che a conti fatti la Scuola attende da troppi anni a differenza di ciò che è accaduto nel resto d'Europa o nei Paesi maggiormente sviluppati nei quali la figura Docente ha ben altri reputazione e riconoscimento sociale, cui corrisponde un profilo economico decisamente più alto che in Italia. Il piano dell'offerta formativa triennale non ci spaventa in quanto non dissimile dall'attuale modello del POF, piuttosto esso rafforza la capacità progettuale a medio e a lungo termine. La nostra professionalità potrà essere finalmente riconosciuta e premiata, o se necessario prima ripensata e poi valorizzata. A differenza di quanti pensano a questa riforma come un'agevolazione del clientelismo, come se fosse il Dirigente Scolastico ad avere potere di assunzione o di licenziamento a sue spese, noi ricordiamo a quanti amplificano questa enorme #balla spaziale di riflettere sul fatto che è il Ministero competente il datore di lavoro, spettando al Dirigente Scolastico la “gestione unitaria dell'istituzione scolastica”, come normato dal D.Lgs 165/2001. Il licenziamento di un docente resta materia già normata dalla legge Brunetta e dal CCNL, non è di competenza esclusiva del Dirigente, non essendolo per nulla in caso di licenziamento disciplinare pur restando in capo al Dirigente la responsabilità disciplinare unitamente a quella tipica del profilo, cioè la responsabilità dirigenziale.

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Tutti noi siamo ottimisti e guardiamo al futuro con la speranza di chi adesso intravede un futuro stabile finalmente, meritatamente. Mai come ora è necessario appoggiare il cambiamento in materia scolastica con tali intenti riformatori, ad oltranza e senza paura. Riguarda tutti noi come comunità scolastica e civica informata di valori ispirati a cultura, famiglia, territorio, alternanza scuola – lavoro, processo di insegnamento – apprendimento, nuove tecnologie e nuove metodologie di lavoro. Il futuro non aspetta e tantomeno non lo si può “fermare”. Prima ne prendiamo atto e prima riusciremo a fare di tutto ciò un punto di forza personale e collettivo altamente professionalizzante. Se qualcuno non vuole condividere questo processo costruttivo e critico instaurato da mesi con il Governo, può sempre continuare imperterrito ad alimentare la propria passività, ma non di certo può ostacolare l'altrui futuro, non a nome di tutti. Anche questa è Democrazia. L'istituzione scolastica, grazie all'intero impianto del Ddl, finalmente porta a compimento quella sussidiarietà già recepita dalla legge costituzionale 3/2001, che muta il rapporto tra Stato e cittadini, rendendola una struttura sussidiaria a disposizione dell'utenza in un virtuoso parternariato tra famiglia, scuola ed istituzioni per la realizzazione di un servizio di istruzione, e formazione a misura di alunno di oggi preparandosi a migliorare le sue prestazioni per l'alunno di domani. Benvenuto futuro. Firmatari di riferimento all'articolo: A un passo dalla “giusta” Riforma Arianna Baldazzi (Docente Scuola Primaria) - Titti Cimmino (Docente Scuola Secondaria di I Grado ) – Fabio Marcelli (Docente Scuola Secondaria di II Grado) - Maria Rosaria Sernicola (Docente Scuola Secondaria di II Grado ) – Vincenzo Terracino (Docente Scuola Secondaria di II Grado)

Risposto da Giampaolo Carboniero su 10 Maggio 2015 a 19:09 60 anni fa, Pietro Calamandrei, sicuramente, per alcuni, un "professorone" conservatore, oggi anche "gufo"; punto 1 http://chetempochefa.blog.rai.it/2011/03/05/le-notizie-della-settim...

Risposto da Cristina Favati su 10 Maggio 2015 a 19:22 Riporto quello che ha postato Giampaolo, da un articolo di Gramellini del 2011. "Molte voci si sono levate a difesa della scuola pubblica dopo l’attacco a cui è stata sottoposta dal presidente del Consilvio. Io vorrei riportare quelle che scrisse nel 1950 uno dei padri della Costituzione, Piero Calamandrei perché la sua voce racchiude tutte le nostre voci. “Facciamo l’ipotesi che il partito al potere voglia istituire una larvata dittatura. Si accorge che le scuole di Stato hanno il difetto di essere imparziali e comincia allora a trascurarle, a screditarle, a impoverirle. Comincia a favorire le scuole private. Non tutte. Alcune. E consiglia ai ragazzi di andare in quelle dove gli esami sono più facili, si studia di meno e si riesce meglio. L’operazione si fa in tre modi. 1. Rovinare le scuole di Stato, lasciare che vadano in malora, impoverire i loro bilanci, ignorare i loro bisogni. 2. Attenuare la sorveglianza e il controllo sulle scuole private, non controllarne la serietà. 3. Dare alle scuole private denaro pubblico. È la fase più pericolosa…” “Poi c’è un pericolo ancora più grave: il pericolo del disfacimento morale. Questo senso di sfiducia, di cinismo che si va diffondendo. Il tramonto di quelle idee semplici della vecchia scuola: la serietà, la precisione, l’onestà, la puntualità. Che la scuola sia una scuola del carattere, formatrice di persone oneste e leali. Si va diffondendo l’idea che tutto questo non vale più, che oggi valgono appoggi e raccomandazioni. Quello che spaventa sono i disonesti, gli uomini senza carattere, senza fede, senza opinioni, che una volta erano fascisti, poi a parole antifascisti e ora sono tornati sotto svariati nomi fascisti nella sostanza, cioè profittatori del regime. “Ma c’è un ultimo pericolo: lasciarsi vincere dallo scoramento. Fu detto giustamente che a vincere la prima guerra mondiale è stata la scuola media da cui uscivano quei ragazzi le cui salme sono ancora sul Carso. Ma si può dire lo stesso della Resistenza e tutti noi vecchi insegnanti abbiano nel cuore il nome di un nostro studente che ha dato la vita per la libertà dell’Italia. Pensiamo a questi ragazzi che uscirono dalle nostre scuole pubbliche e, pensando a loro, non disperiamo dell’avvenire." La scuola ha bisogno di essere riformata e ciò che si sta facendo, con le modifiche che sono state apportate, va in questa direzione. Il discorso di Gramellini non è in alcun modo accostabile a questa riforma.

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Trovo offensivo che tu dia - neanche troppo velatamente - del fascista a chi si sta impegnando per cercare di migliorarla.

Risposto da Cristina Favati su 11 Maggio 2015 a 10:28 Dal blog di Massimo Minetti. http://www.massimominnetti.eu/?p=523 La riforma della scuola, chiamata dal Governo Renzi “La Buona scuola”, è nata da una fase di ascolto iniziata il 15 Settembre 2014. Una fase dove sono state coinvolti 2 milioni di italiani che hanno avuto la pazienza di rispondere on line a quesiti posti dal Governo ed inoltre sono stati realizzati moltissimi incontri in tutta italia riguardanti la riforma. La fase di ascolto è stata particolarmente utile, tanto è vero che il DDL approvato dal CDM il 12 Marzo 2015 è molto diverso dal testo iniziale. Il DDL prevede un investimento di 7 miliardi per la scuola di cui 3 per l’edilizia scolastica. Per quanto riguarda la scuola primaria possiamo dire che viene reintrodotto l’insegnante di lingua inglese che la Gelmini, ministro dell’istruzione durante il Governo Berlusconi, aveva abolito. Verranno inoltre introdotti insegnanti di educazione fisica ed educazione musicale. Nell’ambito della scuola secondaria di primo grado verranno potenziate le competenze linguistiche: in particolar modo l’italiano per stranieri e la lingua inglese per tutti. Verrà affrontata la tematica riguardante l’educazione agli stili di vita e si potranno sviluppare competenze digitali (utilizzo social network, media, sviluppo del pensiero computazionale). Parlando invece della scuola secondaria di secondo grado verranno potenziate l’arte, la musica, il diritto e l’economia. I ragazzi, dopo aver completato il biennio, potranno aggiungere a discipline obbligatorie, discipline opzionali a seconda delle proprie inclinazioni.Le materie opzionali scelte faranno parte della valutazione finale dell’Esame di Stato. Altre novità riguardano l’autonomia scolastica: alla scuola verranno dati tutti gli elementi per gestire le risorse umane, tecnologiche e finanziarie. Attraverso un piano straordinario di assunzioni, le scuole avranno un organic0 potenziato affinchè possano essere ricoperte tutte le cattedre vacanti e rispondere alle esigenze didattiche al passo coi tempi. Il preside (dirigente scolastico) potrà scegliere la squadra di docenti capace di attuare l’offerta formativa nella scuola. Sarà responsabile del miglioramento della scuola a lui affidata.Il dirigente scolastico verrà giudicato in base al suo operato. Gli insegnanti più bravi verranno pagati di più. Ciò significa che l’anzianità di servizio non sarà l’unico fattore che determinerà un aumento di stipendio ma ci sarà un altro fattore cioè il merito. A giudicare l’operato di un insegnante sarà sia il preside sia un Comitato di valutazione formato anche da docenti e dal rappresentante degli studenti o dei genitori (scuola del primo ciclo). Formazione obbligatoria per gli insegnanti. Fino ad ora ciascun insegnante pagava da sè la formazione, questo governo ha stanziato 40 milioni di euro per la formazione che, come detto prima, diventa obbligatoria. Sarà ciascuna comunità scolastica a definire quale tipo di formazione necessitano gi insegnanti. Ogni insegnante potrà usufruire di una card da 500 euro da utilizzare per il proprio aggiornamento professionale. Altra novità è l’Albo territoriale, praticamente quando un insegnante verrà assunto o chiederà il trasferimento entrerà a far parte di un albo territoriale dove verrà messa in luce in modo trasperente l’esperienza formativa e professionale di ciascun insegnante. I presidi potranno scegliere da questo albo gli insegnanti, ritenuti da loro più idonei, per la loro comunità scolastica. E’ importamte precisare che l’Albo conterrà un numero di iscritti corrispondenti al fabbisogno delle scuole. Gli Albi avranno una dimensione più piccola rispetto all’ambito delle attuali graduatorie. Verrà istituito un portale riguardante i dati della scuola dove verranno pubblicati: bilanci delle scuole, anagrafe dell’edilizia, piani dell’offerta formativa, dati dell’osservatorio tecnologico, Cv degli insegnanti, incarichi di docenza. Il cinque per mille potrà essere devoluto alla scuola. Per quanto riguarda l’innovazione della scuola possiamo dire che il ddl prevede un bando di 300 milioni di euro per la costruzione di scuole altamente innovative, dal punto di vista architettonico, impiantistico, tecnologico, scuole green e caratterizzate da nuovi ambienti di apprendimento digitale.

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Risposto da Cristina Favati su 11 Maggio 2015 a 12:24 Simona Malpezzi Cosa abbiamo fatto nel ddl scuola: Articolo 1 Abbiamo ribadito che la nostra é la scuola dell' AUTONOMIA, secondo la legge Berlinguer del 1999-2000, la 275, a cui non é mai stato consentito di vivere. Abbiamo quindi costruito un provvedimento in grado di dare gambe a questa legge che consente alle scuole di essere veramente flessibili e di potersi integrare ed aprire al territorio in cui sono inserite. Per fare questo il ddl offre finalmente alle scuole gli strumenti per: 1) l' articolazione modulare del monte ore annuale di ciascuna disciplina, b) il potenziamento del tempo scuola anche oltre i modelli e i quadri orari, tenendo conto delle scelte degli studenti e delle famiglie 3) la programmazione plurisettimanale e flessibile dell' orario complessivo del curricolo e di quello destinato alle singole discipline, anche mediante l' articolazione del gruppo classe. Articolo 2 Il Piano dell' Offerta formativa, che diventa triennale in quanto ad esso sono programmate le risorse umane che la scuola avrà a disposizione, sarà disegnato in un nuovo modo: il dirigente formula gli indirizzi, il Collegio docenti lo elabora nella propria autonomia pedagogica e il Consiglio di Istituto (dove siedono insieme studenti, famiglie, docenti e personale Ata) lo approva. Questo serve a coinvolgere famiglie e studenti in maniera più attiva. Il prossimo anno scolastico sarà di transizione. Articolo 3 L' autonomia consente, attraverso l' organico che finalmente ogni scuola avrà, che gli studenti possano personalizzare il loro percorso formativo. Ciò significa che almeno per il 20 percento delle ore annuali lo studente potrà scegliere quali discipline approfondire. Il curricolo dello studente sarà parte integrante dell' Esame di Stato. Una scelta più consapevoli dei ragazzi potrebbe contribuire ad un abbassamento della dispersione scolastica. Articolo 4 Abbiamo potenziato l' alternanza scuola-lavoro, aumentandone le ore, estendendola anche ai licei, finanziandola per 100milioni di euro e per facilitare il contatto tra scuole e impresa abbiamo dato vita al Registro Nazionale delle imprese, che dovranno garantire trasparenza e formazione. Su suggerimento degli studenti abbiamo accolto lo statuto delle studentesse e degli studenti in alternanza. L'alternanza si potrà svolgere anche pressi enti pubblici, come i musei, per esempio. Articolo 5 Investiamo 90 milioni nel digitale, in modo particolare nella formazione dei docenti per una didattica innovativa in coerenza con il Piano nazionale Scuola Digitale. Articolo 6 Spariscono le Gae provinciali, nascono gli ambiti territoriali e le reti di scuole per gestire il personale e mettere in comune una serie di attività amministrative. Gli ambiti sono di dimensioni sub-provinciali e definiti sulla base della popolazione scolastica, della prossimità delle istituzioni scolastiche, delle caratteristiche del territorio (anche tenendo conto della specificità delle aree interne, montane, piccole isole, della presenza di scuole in carcere ed altre esperienze territoriali già in essere). Per l’anno scolastico 2015-2016, gli ambiti territoriali avranno dimensione provinciale. Il personale già in ruolo conserva la propria titolarità e che i sovrannumerari a richiesta confluiscono in un ambito territoriale. Articolo 7 Il dirigente scolastico individua dagli ambiti territoriali i docenti che servono alla scuola. Li individua tra docenti solo di ruolo, tutti assunti a tempo indeterminato e che nessuno potrà licenziare. I docenti inseriti in un ambito territoriale possono candidarsi nelle singole scuole di quell’ambito (o di un altro, qualora facciano richiesta di mobilità) e devono ricevere motivata accettazione o diniego, sulla base del POF della scuola e della coerenza o meno del CV dell’insegnante medesimo che, come previsto dal ddl, è pubblico. E’ stato inoltre chiarito che è il docente ad accettare o meno la proposta di incarico del dirigente e a scegliere qualora gli pervenissero più richieste. I dirigenti scolastici vengono valutati anche sulla base delle scelte che fanno. per fare questo é stato aumentato il contigente di ispettori. La retribuzione sarà connessa alla valutazione Articolo 8

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La commissione ha introdotto alcune novità riguardanti il concorso: si tratterà di un concorso bandito entro il 1° Ottobre 2015, per titoli ed esami, aperto ai soli abilitati all’insegnamento, che tiene conto del fabbisogno espresso dalle istituzioni scolastiche nei piani triennali dell’offerta formativa. Sarà riconosciuto specifico punteggio al titolo di abilitazione ed al servizio prestato a tempo determinato per almeno 180 giorni continuativi. Sul tema idonei: coloro che sono inseriti nella graduatoria di merito del concorso 2012 saranno assunti a tempo indeterminato con decorrenza giuridica ed economica dal primo settembre 2016. La loro assunzione avviene nel limite dei posti dell’organico dell’autonomia vacanti e disponibili con priorità rispetto ad ogni altra graduatoria di merito. E’ stato inoltre previsto un piano straordinario di mobilità sul 100% dei posti disponibili per l’anno 2016-17. Articolo 11 Abbiamo introdotto un Comitato di Valutazione individuato dal consiglio di istituto, costituito da due docenti e due rappresentanti dei genitori o un rappresentante degli studenti e uno dei genitori per il secondo ciclo. Questo comitato individua i criteri per la valorizzazione dei docenti. Articolo 12 La prima versione del ddl prevedeva che, per recepire quanto previsto dalla sentenza europea, i contratti di lavoro a tempo determinato nella scuola, su posti vacanti e disponibili (NB: sui soli posti vacanti e disponibili), non potessero superare complessivamente i 36 mesi anche non continuativi. La Commissione ha introdotto la non retroattività della misura (essa vale per i contratti stipulati a decorrere dall’entrata in vigore del ddl), per permettere a coloro che sono inseriti in Graduatoria di Istituto e quindi non inclusi nel piano assunzionale straordinario di continuare ad avere contratti a tempo determinato su posti vacanti e disponibili in vista del concorso. Articolo 15 Il 5xmille avrà un fondo a sè non in competizione con il fondo stanziato per il terzo settore. E' previsto poi un fondo di perequazione pari al 20percento (10milioni) Articolo 17 La commissione ha previsto un piano straordinario di verifica, da avviarsi entro 120 giorni dall’entrata in vigore del ddl, della permanenza dei requisiti delle scuole paritarie per il riconoscimento della parità scolastica, con particolare attenzione alle scuole secondarie di secondo grado, cui viene ampliata la detraibilità delle spese di frequenza fino ad un massimo di 400 euro annui per alunno. dedicherò un approfondimento a parte per l' edilizia scolastica e per l' articolo 21

Risposto da Cristina Favati su 11 Maggio 2015 a 15:01 Il DDL aggiornato al 9 maggio http://www.edscuola.eu/wordpress/?p=57266

Risposto da Cristina Favati su 12 Maggio 2015 a 14:13 Su i test INVALSI http://www.ateniesi.it/il-test-invalsi-inutile-nozionismo-o-amara-v...

Risposto da Fabio Colasanti su 12 Maggio 2015 a 14:49 Cristina, grazie per questo ottimo (e amaro) articolo. Cristina Favati ha detto:

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Su i test INVALSI http://www.ateniesi.it/il-test-invalsi-inutile-nozionismo-o-amara-v...

Risposto da Cristina Favati su 13 Maggio 2015 a 18:30

Risposto da Cristina Favati su 14 Maggio 2015 a 13:58 Da Matteo Renzi: Gentilissime e gentilissimi insegnanti, oggi per la prima volta dopo undici trimestri il PIL italiano torna a crescere. È un risultato di cui dovremmo essere felici, dopo anni di recessione. Ma personalmente credo non basti questo dato: l'unica strada per riportare l'Italia a crescere è investire sulla scuola, sulla cultura, sull'educazione. Non ci basta una percentuale del PIL, ci serve restituire prestigio e rispetto alla scuola. Stiamo provando a farlo ma purtroppo le polemiche, le tensioni, gli scontri verbali sembrano più forti del merito delle cose che proponiamo di cambiare. Utilizzo questa email allora per arrivare a ciascuno di voi e rendere ragione della nostra speranza: vogliamo restituire centralità all'educazione e prestigio sociale all'educatore. Vogliamo che il posto dove studiano i nostri figli sia quello trattato con più cura da chi governa. Vogliamo smetterla con i tagli per investire più risorse sulla scuola. In una parola, vogliamo cambiare rispetto a quanto avvenuto fino ad oggi. Dopo anni di tagli si mettono più soldi sulla scuola pubblica italiana. L'Italia non sarà mai una superpotenza demografica o militare. Ma è già una potenza superculturale. Che può e deve fare sempre meglio. Per questo stiamo lavorando sulla cultura, sulla Rai, sul sistema universitario e della ricerca, sull'innovazione tecnologica. Ma la scuola è il punto di partenza di tutto. Ecco perché crediamo nel disegno di legge che abbiamo presentato e vogliamo discuterne il merito con ognuno di voi. Intendiamoci. Non pensiamo di avere la verità in tasca e questa proposta non è “prendere o lasciare”. Siamo pronti a confrontarci. La Buona Scuola non la inventa il Governo: la buona scuola c'è già. Siete voi. O meglio: siete molti tra voi, non tutti voi. Il nostro compito non è fare l'ennesima riforma, ma metterci più soldi, spenderli meglio e garantire la qualità educativa. Per questo con il progetto La Buona Scuola: I. Assumiamo oltre centomila precari. Ovviamente chi non rientra nell'elenco si lamenta, quelli del TFA non condividono l'inclusione degli idonei del 2012, quelli della GAE chiedono di capire i tempi, quelli del PAS fanno sentire la propria voce. Tutto legittimo e comprensibile. Ma dopo anni di precariato, questa è la più grande assunzione mai fatta da un Governo della Repubblica. E non è vero che ce l'ha imposta la Corte di Giustizia: basta leggere quella sentenza per capire che la Corte non ci ha certo imposto questo. II. Bandiamo un concorso per altri 60 mila posti il prossimo anno. Messa la parola fine alle graduatorie a esaurimento si entra nella scuola per concorso. Ma i concorsi vanno fatti, non solo promessi. Altrimenti si riparte da capo. III. Mettiamo circa quattro miliardi sull'edilizia scolastica. Ancora non sono sufficienti a fare tutto, ma sono un bel passo in avanti, grazie anche all'operazione Mutui BEI che vale circa 940 milioni di euro.

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Costruire una Buona Scuola passa anche dai controsoffitti e dagli infissi, non solo dalle previsioni normative. É il più grande investimento in edilizia scolastica mai fatto da un Governo della Repubblica. IV. Diamo più soldi agli insegnanti. Ci sono 40 milioni di euro per la vostra formazione. A questi si devono aggiungere 500 euro netti a testa per la Carta del Professore: musica, libri, teatro, corsi per pagare ciò che ritenete utile per aiutarvi nella vostra crescita culturale. E ci sono 200 milioni di euro per il merito. Possiamo discutere sui criteri con cui applicare il merito, ma questi soldi non possono essere dati in parti uguali a tutti. V. Attuiamo l'autonomia. Dopo anni di ritardi completiamo il disegno dell'autonomia attribuendo libertà educativa e progettuale alle singole scuole e impedendo alle circolari ministeriali di governare in modo centralistico gli istituti. Si rafforzano responsabilità (e conseguenti valutazioni) del dirigente scolastico che non è certo uno sceriffo ma un primus inter pares dentro la comunità educativa. VI. Realizziamo la vera alternanza scuola-lavoro. Abbiamo il 44% di disoccupazione giovanile e un preoccupante tasso di dispersione scolastica. Segno evidente che le cose non funzionano. Replichiamo le esperienze di quei Paesi come Germania, Austria e Svizzera che già sono presenti sul territorio nazionale in Alto Adige con il sistema duale, puntando a un maggior coinvolgimento dei ragazzi nelle aziende e ad un rafforzamento delle loro competenze. VII. Educhiamo cittadini, non solo lavoratori. L'emergenza disoccupazione giovanile va combattuta. Ma compito della Buona Scuola non è solo formare lavoratori: è innanzitutto educare cittadini consapevoli. Per questo reintroduciamo spazio per la musica, la storia, l'arte, lo sport. E valorizziamo la formazione umanista e scientifica. VIII. Affidiamo a deleghe legislative settori chiave. Ci sono temi su cui da decenni si aspetta un provvedimento organico e che finalmente stanno nelle deleghe previste dal testo. In particolar modo un maggiore investimento sulla scuola 0-6 e gli asili nido, sulla semplificazione normativa, sul diritto allo studio, sulla formazione iniziale e l'accesso al ruolo degli insegnanti. Ho letto tante email, appassionate, deluse, propositive, critiche. Mi hanno aiutato a riflettere, vi sono grato. Leggerò le Vostre risposte se avrete tempo e voglia di confrontarvi. Da subito posso fare chiarezza su alcune voci false circolate in queste settimane: - Le aziende non hanno alcun ruolo nei consigli di Istituto; - I giorni di vacanza non si toccano: - Nessuno può essere licenziato dopo tre anni; - Il preside non può chiamare la sua amica/amico, ma sceglie tra vincitori di concorso, in un ambito territoriale ristretto. C'è un Paese, l'Italia, che sta ripartendo. Con tutti i nostri limiti abbiamo l'occasione di costruire un futuro di opportunità per i nostri figli. Sciuparla sarebbe un errore. Conosco per esperienza di padre, di marito, di studente l'orgoglio che vi anima, la tenacia che vi sorregge, la professionalità che vi caratterizza. Mentre scrivo sul computer scorrono nella mente i volti e i nomi dei professori che mi hanno accompagnato come credo accada spesso a ciascuno di voi: le storie di chi all'elementare Rodari, alla media Papini, al Liceo Dante si è preso cura della formazione mia e dei miei compagni di classe. Un professore collabora alla creazione della libertà di una persona: è veramente una grande responsabilità. Vi chiedo di fare ancora di più: darci una mano a restituire speranza al nostro Paese, discutendo nel merito del futuro della nostra scuola. Il nostro progetto non è “prendere o lasciare” e siamo pronti a discutere. Ma facciamolo nel merito, senza la paura di cambiare. L'Italia è più forte anche delle nostre paure.

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Aspetto le Vostre considerazioni. Intanto, buon lavoro in queste settimane conclusive dell'anno scolastico. Molto cordialmente, Matteo Renzi

Risposto da Cristina Favati su 15 Maggio 2015 a 13:43 http://www.repubblica.it/scuola/2015/05/15/news/scuola_renzi_no_a_s... "In passato si è giocato troppo sulla pelle dei precari della scuola. Quelli delle Gae noi li assumiamo. Quelli che hanno fatto i corsi abilità ti dicono che vogliono entrare. Per queste persone noi pensiamo a una forma congressuale. Ci saranno centosessantamila assunzioni tra questo e il prossimo anno: è una cifra enorme. Per gli altri precari non ci può essere altra procedura che quella concorsuale. Prendo un impegno per il futuro: si entrerà solo per concorso". Io sono entrata nella scuola per concorso, ma poi non ce ne sono stati più. Era l'anno 1978. Il metodo del concorso, per il futuro, mi sembra l'unico praticabile.

Risposto da Cristina Favati su 15 Maggio 2015 a 14:47

Questo circola in rete.

Risposto da Cristina Favati su 15 Maggio 2015 a 15:35 http://www.stradeonline.it/diritto-e-liberta/1146-quello-che-c-e-e-...

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Risposto da Alessandro Bellotti su 15 Maggio 2015 a 16:07 Condivido buona parte di ciò che Renzi scrive e dice sulla scuola. Non condivido però alcuni orientamenti didattici come quello di 'potenziare' gli insegnamenti di arte e musica. Non condivido nemmeno lo status quo degli orari e dei periodi scolastici e di vacanza. Vorrei una scuola con il sabato libero, con più giorni di vacanza durante l'anno e con meno giorni di vacanza in estate. Questo per poter diluire l'insegnamento in un periodo più lungo con evidenti miglioramenti in termini di apprendimento. Non esiste in nessun altro paese europeo che le vacanze estive siano di oltre 3 mesi... Quindi vorrei le lezioni anche in giugno e l'inizio dell'anno scolastico ai primi di settembre con vacanze più lunghe ad esempio per Pasqua e sabato senza scuola. Così facendo si da più tempo agli studenti per assimilare l'insegnamento. Trovo giusto dare più potere ai presidi come ovviamente trovo giusto investire più soldi. Non mi soddisfano però certe rivoluzioni 'elettroniche' che sono costose e didatticamente completamente inutili. Ci sono scuole superiori a Modena che spendo parecchie decine di migliaia di euro all'anno per il registro elettronico... Sono ovviamente avvilito per i risultati economici del paese... Un + 0.3 di PIL è sicuramente meglio di un risultato negativo.. Un +0.3 di PIL non solo non basta ma ci consegnerà ancora per molto tempo un paese con debito crescente e assenza di crescita. Le frazioni non servono a nulla. Sono palliativi per moribondi... Ovviamente, visto la nostra attiva collaborazione con le scuole, ho l'occhio vigile perchè il presidente del consiglio è abituato ai discorsi, alle sparate...

Risposto da Giampaolo Carboniero su 15 Maggio 2015 a 19:41 nessun riferimento alle migliori pratiche europee; ogni volta ci si inventa l'acqua calda, all'italiana!

Risposto da Giampaolo Carboniero su 16 Maggio 2015 a 3:55 Condivido,specialmente dove accenna all'esperienza francese: prgressione di carriera per concorso, non per cooptazione del preside; mi sembra che si stia estendendo il malaffare gestionale della politica, la cooptazione, anche al di fuori del sistema dei partiti, anzichè porvi rimedio. http://ilmanifesto.info/caro-renzi-ecco-perche-respingo-la-sua-lett...

Risposto da Mario Pizzoli su 16 Maggio 2015 a 7:31 Giampaolo, l'articolo è solo uno dei punti di vista. Naturalmente, l'idea che in questa maniera si estenda il malaffare fuori dalla politica è certamente suggestiva per i detrattori del governo, ma altrettanto suggestiva tanto quanto l'idea che il corpo insegnanti, e i sindacati (si quelli in calo di consensi... ma dov'è finito il Landini delle lotte sindacali? sciolto al sole?) vogliano mantenere una situazione dove tutti siano giudici di se' stessi. Un po' come il "sei politico", dove tutti sono bravi e competenti. A proposito, visto che ci sono così tante pratiche europee, il corpo insegnanti, prima della proposta di Renzi, si è impegnato a chiedere qualche riforma in tal senso? A me non risulta, ma potrei sbagliare. Chiedo a chi è informato se

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gli insegnanti abbiano chiesto di inserire le buone pratiche europee dentro il sistema italiano, PRIMA della proposta di riforma Giannini. Se no parliamo di acqua calda. Grazie

Risposto da Cristina Favati su 16 Maggio 2015 a 9:56 http://www.repubblica.it/scuola/2015/05/15/news/scuola_lettera_fran... Nella mitica scuola finlandese, gli insegnanti vengono selezionati con criteri severissimi in base all'attitudine all'insegnamento e alle capacità di comunicazione, oltre che alla preparazione, e i risultati si vedono. E nessuno si sogna di chiamare fascista o liberticida un governo così esigente, perché la qualità della formazione delle nuove generazioni è interesse di tutto il Paese, oltre che garanzia di mobilità sociale e di crescita economica. In Italia conta molto di più la tranquillità delle vecchie generazioni. Perché è con quella che si vincono le elezioni. http://www.lettera43.it/firme/studenti-e-prof-questa-scuola-non-e-d...

Risposto da Giampaolo Carboniero su 16 Maggio 2015 a 17:00 Per cui? Mandiamo allora al macero il concetto di meritocrazia? Pensi sia possibile un sistema di autocrati? Anche nella scelta dei direttori delle ULSS si predicavano il merito e la valutazione, poi sappiamo com'è finita. Mario Pizzoli ha detto: Giampaolo, l'articolo è solo uno dei punti di vista. Naturalmente, l'idea che in questa maniera si estenda il malaffare fuori dalla politica è certamente suggestiva per i detrattori del governo, ma altrettanto suggestiva tanto quanto l'idea che il corpo insegnanti, e i sindacati (si quelli in calo di consensi... ma dov'è finito il Landini delle lotte sindacali? sciolto al sole?) vogliano mantenere una situazione dove tutti siano giudici di se' stessi. Un po' come il "sei politico", dove tutti sono bravi e competenti. A proposito, visto che ci sono così tante pratiche europee, il corpo insegnanti, prima della proposta di Renzi, si è impegnato a chiedere qualche riforma in tal senso? A me non risulta, ma potrei sbagliare. Chiedo a chi è informato se gli insegnanti abbiano chiesto di inserire le buone pratiche europee dentro il sistema italiano, PRIMA della proposta di riforma Giannini. Se no parliamo di acqua calda. Grazie

Risposto da Giampaolo Carboniero su 16 Maggio 2015 a 17:02 Cristina, ti pare che stiamo andando verso la scuola pubblica finlandese o verso la scuola doppia di tipo lombardo? Cristina Favati ha detto: http://www.repubblica.it/scuola/2015/05/15/news/scuola_lettera_fran... Nella mitica scuola finlandese, gli insegnanti vengono selezionati con criteri severissimi in base all'attitudine all'insegnamento e alle capacità di comunicazione, oltre che alla preparazione, e i risultati si vedono. E nessuno si sogna di chiamare fascista o liberticida un governo così esigente, perché la qualità della formazione delle nuove generazioni è interesse di tutto il Paese, oltre che garanzia di mobilità sociale e di crescita economica. In Italia conta molto di più la tranquillità delle vecchie generazioni. Perché è con quella che si vincono le elezioni. http://www.lettera43.it/firme/studenti-e-prof-questa-scuola-non-e-d...

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Risposto da Cristina Favati su 16 Maggio 2015 a 18:09 L'introduzione del merito è una premessa per avere insegnanti migliori. In Italia come in tutti i paesi avanzati. Ho conosciuto tanti bravi insegnanti che non avranno paura di essere giudicati e invece la paura e la ribellione è in quelli che hanno sempre considerato la scuola un lavoro mediocre ma fisso e di scarsa fatica. Tanti genitori che hanno avuto i figli a scuola almeno una volta hanno pensato come faceva quell'insegnante ad insegnare, ma lo hanno dovuto subire, perché chi entra, anche se si dimostra inadeguato, non ne esce più fino alla pensione, e, purtroppo, in certi casi basta un docente così per rovinare un ragazzo. Penso che quindi riformare questa scuola, che non è la migliore possibile, sia doveroso e urgente. Giampaolo Carboniero ha detto: Cristina, ti pare che stiamo andando verso la scuola pubblica finlandese o verso la scuola doppia di tipo lombardo? Cristina Favati ha detto: http://www.repubblica.it/scuola/2015/05/15/news/scuola_lettera_fran... Nella mitica scuola finlandese, gli insegnanti vengono selezionati con criteri severissimi in base all'attitudine all'insegnamento e alle capacità di comunicazione, oltre che alla preparazione, e i risultati si vedono. E nessuno si sogna di chiamare fascista o liberticida un governo così esigente, perché la qualità della formazione delle nuove generazioni è interesse di tutto il Paese, oltre che garanzia di mobilità sociale e di crescita economica. In Italia conta molto di più la tranquillità delle vecchie generazioni. Perché è con quella che si vincono le elezioni. http://www.lettera43.it/firme/studenti-e-prof-questa-scuola-non-e-d...

Risposto da Giampaolo Carboniero su 16 Maggio 2015 a 18:56 E pensi che gli insegnanti che lavorano per il 27 del mese siano quindi la maggioranza? Cristina Favati ha detto: L'introduzione del merito è una premessa per avere insegnanti migliori. In Italia come in tutti i paesi avanzati. Ho conosciuto tanti bravi insegnanti che non avranno paura di essere giudicati e invece la paura e la ribellione è in quelli che hanno sempre considerato la scuola un lavoro mediocre ma fisso e di scarsa fatica. Tanti genitori che hanno avuto i figli a scuola almeno una volta hanno pensato come faceva quell'insegnante ad insegnare, ma lo hanno dovuto subire, perché chi entra, anche se si dimostra inadeguato, non ne esce più fino alla pensione, e, purtroppo, in certi casi basta un docente così per rovinare un ragazzo. Penso che quindi riformare questa scuola, che non è la migliore possibile, sia doveroso e urgente. Giampaolo Carboniero ha detto: Cristina, ti pare che stiamo andando verso la scuola pubblica finlandese o verso la scuola doppia di tipo lombardo? Cristina Favati ha detto: http://www.repubblica.it/scuola/2015/05/15/news/scuola_lettera_fran... Nella mitica scuola finlandese, gli insegnanti vengono selezionati con criteri severissimi in base all'attitudine all'insegnamento e alle capacità di comunicazione, oltre che alla preparazione, e i risultati si vedono. E nessuno si sogna di chiamare fascista o liberticida un governo così esigente, perché la qualità della formazione delle nuove generazioni è interesse di tutto il Paese, oltre che garanzia di mobilità sociale e di crescita economica. In Italia conta molto di più la tranquillità delle vecchie generazioni. Perché è con quella che si vincono le elezioni. http://www.lettera43.it/firme/studenti-e-prof-questa-scuola-non-e-d...

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Risposto da Cristina Favati su 16 Maggio 2015 a 19:50 Certamente non tutti, ma alcuni si. E ne basta uno, uno solo, a distruggere il lavoro degli altri e a fare danni. Sulla valutazione dei docenti, poi, c'è un sistema infallibile: verificare il rendimento degli alunni di ogni insegnante nel successivo percorso scolastico. Se sono tutti rimandati in quella materia, in scuole diverse, forse c'è un problema. Modo oggettivo e imparziale che piacerebbe molto a genitori e ragazzi e che sarebbe il giusto riconoscimento per coloro che hanno lavorato bene. Giampaolo Carboniero ha detto: E pensi che gli insegnanti che lavorano per il 27 del mese siano quindi la maggioranza? Cristina Favati ha detto: L'introduzione del merito è una premessa per avere insegnanti migliori. In Italia come in tutti i paesi avanzati. Ho conosciuto tanti bravi insegnanti che non avranno paura di essere giudicati e invece la paura e la ribellione è in quelli che hanno sempre considerato la scuola un lavoro mediocre ma fisso e di scarsa fatica. Tanti genitori che hanno avuto i figli a scuola almeno una volta hanno pensato come faceva quell'insegnante ad insegnare, ma lo hanno dovuto subire, perché chi entra, anche se si dimostra inadeguato, non ne esce più fino alla pensione, e, purtroppo, in certi casi basta un docente così per rovinare un ragazzo. Penso che quindi riformare questa scuola, che non è la migliore possibile, sia doveroso e urgente. Giampaolo Carboniero ha detto: Cristina, ti pare che stiamo andando verso la scuola pubblica finlandese o verso la scuola doppia di tipo lombardo? Cristina Favati ha detto: http://www.repubblica.it/scuola/2015/05/15/news/scuola_lettera_fran... Nella mitica scuola finlandese, gli insegnanti vengono selezionati con criteri severissimi in base all'attitudine all'insegnamento e alle capacità di comunicazione, oltre che alla preparazione, e i risultati si vedono. E nessuno si sogna di chiamare fascista o liberticida un governo così esigente, perché la qualità della formazione delle nuove generazioni è interesse di tutto il Paese, oltre che garanzia di mobilità sociale e di crescita economica. In Italia conta molto di più la tranquillità delle vecchie generazioni. Perché è con quella che si vincono le elezioni. http://www.lettera43.it/firme/studenti-e-prof-questa-scuola-non-e-d...

Risposto da Mario Pizzoli su 17 Maggio 2015 a 8:13 Lo hanno chiesto un sistema di valutazione basato sulle buone pratiche che hai menzionato o no? Mi piacerebbe avere una risposta. Se il problema è che il metodo proposto nel DDL non va bene, e tu che sei certamente molto informato citi pratiche di gestione migliori, mi potresti dire se la richiesta di introduzione di queste pratiche migliori è stata fatta, e se non è stata fatta, il perchè? C'è la meritocrazia ora? Se non c'è, come si giudica un insegnante? chi lo deve fare? a quale esempio dovremmo ispirarci? Giampaolo Carboniero ha detto: Per cui? Mandiamo allora al macero il concetto di meritocrazia? Pensi sia possibile un sistema di autocrati? Anche nella scelta dei direttori delle ULSS si predicavano il merito e la valutazione, poi sappiamo com'è finita. Mario Pizzoli ha detto: Giampaolo, l'articolo è solo uno dei punti di vista. Naturalmente, l'idea che in questa maniera si estenda il malaffare fuori dalla politica è certamente suggestiva per i detrattori del governo, ma altrettanto suggestiva tanto quanto l'idea che il corpo insegnanti, e i sindacati (si quelli in calo di consensi... ma dov'è finito il Landini delle lotte sindacali? sciolto al sole?) vogliano mantenere una situazione dove tutti siano giudici di se' stessi.

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Un po' come il "sei politico", dove tutti sono bravi e competenti. A proposito, visto che ci sono così tante pratiche europee, il corpo insegnanti, prima della proposta di Renzi, si è impegnato a chiedere qualche riforma in tal senso? A me non risulta, ma potrei sbagliare. Chiedo a chi è informato se gli insegnanti abbiano chiesto di inserire le buone pratiche europee dentro il sistema italiano, PRIMA della proposta di riforma Giannini. Se no parliamo di acqua calda. Grazie

Risposto da giorgio varaldo su 17 Maggio 2015 a 8:34 Come ho più volte scritto alle superiori l'insegnante di inglese del figliolo non era in grado di sostenere una seppur elementare conversazione nella lingua di albione. in una scuola privata la avrebbero licenziata anzi non la avrebbero mai assunta. ed ora codesta signora (se non è giù in pensione) ci credo bene non è che sia di molto felice sentir parlare di esser valutata.. nessuno affiderebbe il proprio figlio ad un insegnante di nuoto che non sa nuotare... perchè dobbiamo affidarli ad insegnanti di inglese che non conoscono l'inglese?

Risposto da Giampaolo Carboniero su 18 Maggio 2015 a 11:19 Non sia mai, alla tua altezza? Io non cito pratiche migliori, ho conosciuto il sistema scolastico olandese degli anni '70, e all'istruzione primaria applicavano il metodo della Montessori, le mense universitarie erano gestite dalle associazioni studentesche, e comunque tutte le famiglie erano rese in grado di poter mandare i figli a scuola, indipendentemente dal loro censo: http://www.indire.it/quandolospazioinsegna/eventi/2012/miur/downloa... Mario Pizzoli ha detto: Lo hanno chiesto un sistema di valutazione basato sulle buone pratiche che hai menzionato o no? Mi piacerebbe avere una risposta. Se il problema è che il metodo proposto nel DDL non va bene, e tu che sei certamente molto informato citi pratiche di gestione migliori, mi potresti dire se la richiesta di introduzione di queste pratiche migliori è stata fatta, e se non è stata fatta, il perchè? C'è la meritocrazia ora? Se non c'è, come si giudica un insegnante? chi lo deve fare? a quale esempio dovremmo ispirarci? Giampaolo Carboniero ha detto: Per cui? Mandiamo allora al macero il concetto di meritocrazia? Pensi sia possibile un sistema di autocrati? Anche nella scelta dei direttori delle ULSS si predicavano il merito e la valutazione, poi sappiamo com'è finita. Mario Pizzoli ha detto: Giampaolo, l'articolo è solo uno dei punti di vista. Naturalmente, l'idea che in questa maniera si estenda il malaffare fuori dalla politica è certamente suggestiva per i detrattori del governo, ma altrettanto suggestiva tanto quanto l'idea che il corpo insegnanti, e i sindacati (si quelli in calo di consensi... ma dov'è finito il Landini delle lotte sindacali? sciolto al sole?) vogliano mantenere una situazione dove tutti siano giudici di se' stessi. Un po' come il "sei politico", dove tutti sono bravi e competenti. A proposito, visto che ci sono così tante pratiche europee, il corpo insegnanti, prima della proposta di Renzi, si è impegnato a chiedere qualche riforma in tal senso? A me non risulta, ma potrei sbagliare. Chiedo a chi è informato se gli insegnanti abbiano chiesto di inserire le buone pratiche europee dentro il sistema italiano, PRIMA della proposta di riforma Giannini. Se no parliamo di acqua calda. Grazie

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Risposto da Giampaolo Carboniero su 18 Maggio 2015 a 12:35 Una delle risposte a lla lettera di Renzi; mi ha colpito, nell'evidenziazione della scuola aziendalistica, la possibilità che i presidi evitino le assunzioni di genere femminile, magari per ottenere migliori risultati https://www.youtube.com/watch?v=H7tzBfCQBhM&feature=youtu.be E poi, le diffrenze che saranno accentuate fra le scuole dei vari territori, gli sgravi fiscali per le scuole private ( che si risolvono in maggiori tasse per chi non le finanzia), la valutazione del personale, ecct.; per me, tutte osservazioni condivisibili a cui non si ottengono adeguate risposte.

Risposto da Mario Pizzoli su 18 Maggio 2015 a 13:10 Strano devo aver equivocato il tuo "Risposto da Giampaolo Carboniero venerdì - nessun riferimento alle migliori pratiche europee; ogni volta ci si inventa l'acqua calda, all'italiana!" Cosa intendi esattamente con "Non sia mai, alla tua altezza?", me ne sfugge il significato e ti sarei grato che lo spiegassi. Aspetto con impazienza le tue risposte, anche a quelle che ho formulato sotto (in neretta, per comodità). Ciao Giampaolo Carboniero ha detto: Non sia mai, alla tua altezza? Io non cito pratiche migliori, ho conosciuto il sistema scolastico olandese degli anni '70, e all'istruzione primaria applicavano il metodo della Montessori, le mense universitarie erano gestite dalle associazioni studentesche, e comunque tutte le famiglie erano rese in grado di poter mandare i figli a scuola, indipendentemente dal loro censo: http://www.indire.it/quandolospazioinsegna/eventi/2012/miur/downloa... Mario Pizzoli ha detto: Lo hanno chiesto un sistema di valutazione basato sulle buone pratiche che hai menzionato o no? Mi piacerebbe avere una risposta. Se il problema è che il metodo proposto nel DDL non va bene, e tu che sei certamente molto informato citi pratiche di gestione migliori, mi potresti dire se la richiesta di introduzione di queste pratiche migliori è stata fatta, e se non è stata fatta, il perchè? C'è la meritocrazia ora? Se non c'è, come si giudica un insegnante? chi lo deve fare? a quale esempio dovremmo ispirarci? Giampaolo Carboniero ha detto: Per cui? Mandiamo allora al macero il concetto di meritocrazia? Pensi sia possibile un sistema di autocrati? Anche nella scelta dei direttori delle ULSS si predicavano il merito e la valutazione, poi sappiamo com'è finita. Mario Pizzoli ha detto: Giampaolo, l'articolo è solo uno dei punti di vista. Naturalmente, l'idea che in questa maniera si estenda il malaffare fuori dalla politica è certamente suggestiva per i detrattori del governo, ma altrettanto suggestiva tanto quanto l'idea che il corpo insegnanti, e i sindacati (si quelli in calo di consensi... ma dov'è finito il Landini delle lotte sindacali? sciolto al sole?) vogliano mantenere una situazione dove tutti siano giudici di se' stessi. Un po' come il "sei politico", dove tutti sono bravi e competenti. A proposito, visto che ci sono così tante pratiche europee, il corpo insegnanti, prima della proposta di Renzi, si è impegnato a chiedere qualche riforma in tal senso? A me non risulta, ma potrei sbagliare. Chiedo a chi è informato se gli insegnanti abbiano chiesto di inserire le buone pratiche europee dentro il sistema italiano, PRIMA della proposta di riforma Giannini. Se no parliamo di acqua calda. Grazie

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Risposto da Giampaolo Carboniero su 18 Maggio 2015 a 19:24 Non si poteva tenere conto di queste tabelle comparatuive e affrontare un percorso serio? Calcoliamo che in Italia gli enti territoriali pubblici non hanno risorse finanziarie proprie per poter assumere e stipendiare gli insegnanti http://www.indire.it/lucabas/lkmw_file/eurydice/bollettino_insegnan...

Risposto da Giampaolo Carboniero su 18 Maggio 2015 a 19:54 Ancora, sul sistema finlandese http://www.oxydiane.net/IMG/pdf/Finlandia_Storia_di_un_successo.pdf

Risposto da Giuseppe Ardizzone su 18 Maggio 2015 a 20:26 Se il preside è il garante ed il responsabile che le risorse umane ed organizzative a lui affidate producano il risultato richiesto dai livelli superiori e dall'utenza mi sembra giusto che abbia la possibilità di sceglere la squadra con cui lavorare. Semmai nel quadro dei possibili contrappesi se si è scelto di appoggiare al preside un comitato di valutazione che lo affianca nel premiare i docenti più meritevoli sarebbe forse utile che eventuali mancate conferme di personale docente avessero l'OK dello stesso Comitato di valutazione . Questo potrebbe essere un emendamento su cui discutere

Risposto da Mario Pizzoli su 18 Maggio 2015 a 21:20 ok Giampaolo, prendo atto che non mi vuoi rispondere. ciao

Risposto da Cristina Favati su 18 Maggio 2015 a 21:24 http://www.nonsprecare.it/sistemi-valutazione-scolastica-europa-van... Sistemi di valutazione a confronto.

Risposto da Ezio Ferrero su 19 Maggio 2015 a 1:01

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In una "animata" discussione su FB due insegnati ferocemente anti riforma mi hanno detto entrambe che devo tacere perchè non so nulla di scuola. A parte i possibili commenti sul modo, quello che trovo incredibile è questa totale autoreferenzialità per cui secondo questi signori gli unici abilitati ad esprimere pareri sui temi della scuola sarebbero gli insegnanti (perchè ne sanno di scuola). Altro che opposizione alla valutazione, qui siamo alla opposizione alla discussione pubblica ed al diritto dei cittadini (che sono al tempo stesso datori di lavoro ed utenti) di esprimere le loro opinioni. Si potrebbe pensare che questo sia dovuto alla foga della discussione, ma in realtà è stato l'esordio da parte di entrambe. Questo lo trovo molto preoccupante, indice di una mentalità di fondo che sarà durissimo (o impossibile) sradicare e che ci porteremo dietro per molti anni (vista l'età apparente di almeno una delle interlocutrici)

Risposto da Giampaolo Carboniero su 19 Maggio 2015 a 1:17 Avrei preferito, ecapito, e accettato, che la riforma della scuola fosse avviata nella direzione di cui parla la Stampa; non dispiacerti poi troppo per le reazioni di quelle insegnanti, capita a tanti quando vogliono parlare di argomenti di cui non sono specialisti, p.e. l'economia, questioni che però incidono sul vivo della loro vita http://www.lastampa.it/2015/03/21/esteri/finlandia-la-scuola-del-fu... Ezio Ferrero ha detto: In una "animata" discussione su FB due insegnati ferocemente anti riforma mi hanno detto entrambe che devo tacere perchè non so nulla di scuola. A parte i possibili commenti sul modo, quello che trovo incredibile è questa totale autoreferenzialità per cui secondo questi signori gli unici abilitati ad esprimere pareri sui temi della scuola sarebbero gli insegnanti (perchè ne sanno di scuola). Altro che opposizione alla valutazione, qui siamo alla opposizione alla discussione pubblica ed al diritto dei cittadini (che sono al tempo stesso datori di lavoro ed utenti) di esprimere le loro opinioni. Si potrebbe pensare che questo sia dovuto alla foga della discussione, ma in realtà è stato l'esordio da parte di entrambe. Questo lo trovo molto preoccupante, indice di una mentalità di fondo che sarà durissimo (o impossibile) sradicare e che ci porteremo dietro per molti anni (vista l'età apparente di almeno una delle interlocutrici)

Risposto da Cristina Favati su 19 Maggio 2015 a 7:59 http://www.orizzontescuola.it/news/assunzioni-approvato-emendamento...

Risposto da giorgio varaldo su 19 Maggio 2015 a 8:36 da utente in ultima analisi non mi interessa se per la scuola si usi il sistema finlandese tedesco o boscimano. cosa pretendo è che una insegnante come quella di inglese del figliolo non insegni più inglese. Se poi la si debba cacciare le si debba far insegnare altra materia o le si debba affidare cencio e scopa è un problema delle strutture. quindi occorre vi sia una struttura dotata di potere decisionale. e non mi pare che il sistema assembleare abbia sino ad oggi dimostrato grandi capacità in tal senso

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Giampaolo Carboniero ha detto: Avrei preferito, ecapito, e accettato, che la riforma della scuola fosse avviata nella direzione di cui parla la Stampa; non dispiacerti poi troppo per le reazioni di quelle insegnanti, capita a tanti quando vogliono parlare di argomenti di cui non sono specialisti, p.e. l'economia, questioni che però incidono sul vivo della loro vita http://www.lastampa.it/2015/03/21/esteri/finlandia-la-scuola-del-fu... Ezio Ferrero ha detto: In una "animata" discussione su FB due insegnati ferocemente anti riforma mi hanno detto entrambe che devo tacere perchè non so nulla di scuola. A parte i possibili commenti sul modo, quello che trovo incredibile è questa totale autoreferenzialità per cui secondo questi signori gli unici abilitati ad esprimere pareri sui temi della scuola sarebbero gli insegnanti (perchè ne sanno di scuola). Altro che opposizione alla valutazione, qui siamo alla opposizione alla discussione pubblica ed al diritto dei cittadini (che sono al tempo stesso datori di lavoro ed utenti) di esprimere le loro opinioni. Si potrebbe pensare che questo sia dovuto alla foga della discussione, ma in realtà è stato l'esordio da parte di entrambe. Questo lo trovo molto preoccupante, indice di una mentalità di fondo che sarà durissimo (o impossibile) sradicare e che ci porteremo dietro per molti anni (vista l'età apparente di almeno una delle interlocutrici)

Risposto da Mario Pizzoli su 19 Maggio 2015 a 13:58 Immagino avrai loro risposto che non essendo dei politici né avvocati, né legislatori, entrambe le persone non avevano titolo a parlare della legge in questione.... : ) L'autoreferenzialità è una brutta malattia, te ne accorgi subito. Se l'interlocutore si rivolge a te dicendo "La mia opinione è che...." allora forse un dialogo è possibile. L'autoreferenzialità inizia con "Adesso ti spiego...." Ezio Ferrero ha detto: In una "animata" discussione su FB due insegnati ferocemente anti riforma mi hanno detto entrambe che devo tacere perchè non so nulla di scuola. A parte i possibili commenti sul modo, quello che trovo incredibile è questa totale autoreferenzialità per cui secondo questi signori gli unici abilitati ad esprimere pareri sui temi della scuola sarebbero gli insegnanti (perchè ne sanno di scuola). Altro che opposizione alla valutazione, qui siamo alla opposizione alla discussione pubblica ed al diritto dei cittadini (che sono al tempo stesso datori di lavoro ed utenti) di esprimere le loro opinioni. Si potrebbe pensare che questo sia dovuto alla foga della discussione, ma in realtà è stato l'esordio da parte di entrambe. Questo lo trovo molto preoccupante, indice di una mentalità di fondo che sarà durissimo (o impossibile) sradicare e che ci porteremo dietro per molti anni (vista l'età apparente di almeno una delle interlocutrici)

Risposto da Mario Pizzoli su 19 Maggio 2015 a 14:04 però consideriamo il pacchetto... In Finlandia i professori sono scelti anche con annunci sul giornale, devono superare esami severissimi, sono soggetti ad un colloquio da parte di docenti e genitori, che ne determina quindi le attitudini e la preparazione. E sono scelti dalle scuole. Come leggi dall'articolo, non è che noi siamo proprio a questo... http://www.ilsussidiario.net/News/Educazione/2012/5/17/SCUOLA-Il-mi... Giampaolo Carboniero ha detto:

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Avrei preferito, ecapito, e accettato, che la riforma della scuola fosse avviata nella direzione di cui parla la Stampa; non dispiacerti poi troppo per le reazioni di quelle insegnanti, capita a tanti quando vogliono parlare di argomenti di cui non sono specialisti, p.e. l'economia, questioni che però incidono sul vivo della loro vita http://www.lastampa.it/2015/03/21/esteri/finlandia-la-scuola-del-fu... Ezio Ferrero ha detto: In una "animata" discussione su FB due insegnati ferocemente anti riforma mi hanno detto entrambe che devo tacere perchè non so nulla di scuola. A parte i possibili commenti sul modo, quello che trovo incredibile è questa totale autoreferenzialità per cui secondo questi signori gli unici abilitati ad esprimere pareri sui temi della scuola sarebbero gli insegnanti (perchè ne sanno di scuola). Altro che opposizione alla valutazione, qui siamo alla opposizione alla discussione pubblica ed al diritto dei cittadini (che sono al tempo stesso datori di lavoro ed utenti) di esprimere le loro opinioni. Si potrebbe pensare che questo sia dovuto alla foga della discussione, ma in realtà è stato l'esordio da parte di entrambe. Questo lo trovo molto preoccupante, indice di una mentalità di fondo che sarà durissimo (o impossibile) sradicare e che ci porteremo dietro per molti anni (vista l'età apparente di almeno una delle interlocutrici)

Risposto da Cristina Favati su 19 Maggio 2015 a 14:16 La scuola migliore del mondo? http://www.ermannoferretti.it/2015/05/17/la-migliore-scuola-del-mondo/

Risposto da Fabio Colasanti su 19 Maggio 2015 a 23:30 Questo articolo ci ricorda una verità che troppi dimenticano: avere una scuola che prepari per la vita e per il mercato del lavoro è interesse soprattutto delle classi meno abbienti. http://www.corriere.it/opinioni/15_maggio_19/dilemma-merito-la-buona-scuola-ec49798a-fdf5-11e4-bed4-3ff992d01df9.shtml

Risposto da Giampaolo Carboniero su 20 Maggio 2015 a 3:04 Cornuti e mazziati! Con la detrazione fiscale delle rette per le scuole private, arriviamo all'assurdo, si fa per dire visto cosa fa ultimamente il governo, che chi non può permettersi la scuola privata e, magari, ha il figlio che rischia di prendersi il soffitto in testa nelle scuole pubbliche, finanzia il benestante che vuole la scuola "particolare"; e non ci sono soldi per i poveri! Se il M5S proporrà l'abolizione delle sovvenzioni a tutte le scuole private, penso proprio che voterò M5S.

Risposto da Giampaolo Carboniero su 20 Maggio 2015 a 3:13 Scherzi della memoria: http://www.partitodemocratico.it/doc/230722/puglisi-no-alla-sperime...

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Risposto da Fabio Colasanti su 20 Maggio 2015 a 5:04 Cristina, grazie per questo ottimo articolo. Non riesco proprio a vedere cosa giustifichi il giudizio positivo che tanti danno della nostra scuola. Cristina Favati ha detto: La scuola migliore del mondo? http://www.ermannoferretti.it/2015/05/17/la-migliore-scuola-del-mondo/

Risposto da Mario Pizzoli su 20 Maggio 2015 a 7:01 La buona scuola contrapposta alla buona propaganda. Buona fortuna col fascista Grillo Giampaolo Carboniero ha detto: Cornuti e mazziati! Con la detrazione fiscale delle rette per le scuole private, arriviamo all'assurdo, si fa per dire visto cosa fa ultimamente il governo, che chi non può permettersi la scuola privata e, magari, ha il figlio che rischia di prendersi il soffitto in testa nelle scuole pubbliche, finanzia il benestante che vuole la scuola "particolare"; e non ci sono soldi per i poveri! Se il M5S proporrà l'abolizione delle sovvenzioni a tutte le scuole private, penso proprio che voterò M5S.

Risposto da giorgio varaldo su 20 Maggio 2015 a 7:48 giampaolo in moltissime parti del paese la scuola pubblica o non esiste o se esiste non è in grado di accogliere tutte le richieste o ha orari non compatibili con gli orari di lavoro dei genitori Quindi quella che tu fai passare per privilegio è spesso una necessità delle famiglie con entrambi i genitori al lavoro.. In merito abbiamo l'esperienza diretta di quando si abitava a taranto nella allora frazione di statte (15.000 abitanti) di aver posto nella scuola materne pubblica neanche l'ombra e con i nonni a 1000 km e meno male c'era la scuola materna privata gestita dalle suore!! E per i colleghi entrambi al lavoro con figli alle scuole materne elementari o medie alle scuole pubbliche gli orari non erano compatibili con quelli di lavoro : con il pargolo che termina alle 12,30 ed i genitori alle 17 inviare i figli alla scuola privata (con orari compatibili ) era ed è una necessità. Ovvio l'adeguare gli orari delle scuole pubbliche a quelli dei genitori neanche ipotizzabile. Giampaolo Carboniero ha detto: Cornuti e mazziati! Con la detrazione fiscale delle rette per le scuole private, arriviamo all'assurdo, si fa per dire visto cosa fa ultimamente il governo, che chi non può permettersi la scuola privata e, magari, ha il figlio che rischia di prendersi il soffitto in testa nelle scuole pubbliche, finanzia il benestante che vuole la scuola "particolare"; e non ci sono soldi per i poveri! Se il M5S proporrà l'abolizione delle sovvenzioni a tutte le scuole private, penso proprio che voterò M5S.

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Risposto da Romano Meloni su 20 Maggio 2015 a 8:50 Ma quelli che mandano i figli alla scuola privata hanno già finanziato la scuola pubblica attraverso le loro tasse. Non è assurdo che, non usufruendo del servizio, ottengano un rimborso, sia pure parziale. Giampaolo Carboniero ha detto: Cornuti e mazziati! Con la detrazione fiscale delle rette per le scuole private, arriviamo all'assurdo, si fa per dire visto cosa fa ultimamente il governo, che chi non può permettersi la scuola privata e, magari, ha il figlio che rischia di prendersi il soffitto in testa nelle scuole pubbliche, finanzia il benestante che vuole la scuola "particolare"; e non ci sono soldi per i poveri! Se il M5S proporrà l'abolizione delle sovvenzioni a tutte le scuole private, penso proprio che voterò M5S.

Risposto da Alessandro Bellotti su 20 Maggio 2015 a 9:00 La scuola privata in Italia può esistere ma senza oneri per lo Stato. Art. 33 della Costituzione che riporto: L'arte e la scienza sono libere e libero ne è l'insegnamento. La Repubblica detta le norme generali sull'istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi. Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato. La legge, nel fissare i diritti e gli obblighi delle scuole non statali che chiedono la parità, deve assicurare ad esse piena libertà e ai loro alunni un trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni di scuole statali. È prescritto un esame di Stato per l'ammissione ai vari ordini e gradi di scuole o per la conclusione di essi e per l'abilitazione all'esercizio professionale. Le istituzioni di alta cultura, università ed accademie, hanno il diritto di darsi ordinamenti autonomi nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato. Si cominci ogni discussione sulle scuole private tenendo SEMPRE a mente che nessun contributo statale è ammesso per dette scuole. Oppure si cambi la Costituzione. Il M5S sta solo ribadendo l'Art. 33 della Costituzione che tutti dovremmo difendere e pretendere di applicare. Non si può decidere di applicare o no la Costituzione Italiana oppure trovare giustificazioni per non applicarla.

Risposto da Cristina Favati su 20 Maggio 2015 a 9:40 Se la scuola pubblica funzionasse, nessuno si sognerebbe di mandare i propri figli alle private.

Risposto da Mario Pizzoli su 20 Maggio 2015 a 10:32 La Costituzione stabilisce che si deve istituire senza oneri per lo stato, non che non possa essere utilizzata, una volta istituita e validata, con oneri per lo stato. Un mucchio di servizi sono gestiti per conto dello stato da privati, a volte perchè il servizio è migliore e a minor costo, altre volte perchè è l'unica vara alternativa (come nel caso di alcun scuole per l'infanzia.

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Poi la gestione dei costi per lo stato rispetto all'uso delle scuole cosiddette paritarie può essere migliorato, anche se va incontro ad un bisogno correttamente individuato. E certamente il funzionamento della scuola pubblica, al netto delle spese di gestione per l'edilizia, potrebbe essere migliorato. Non ci raccontiamo palle sul fatto che tutti i docenti siano perle di sacrificio. Come in ogni categoria, c'è chi ci crede e chi lo fa per ripiego, con le prevedibili conseguenze, soprattutto per gli studenti, i veri grandi assenti di questo dibattito. Avete sentito uno degli insegnanti che contestano il decreto scolastico dire che i ragazzi sono penalizzati? si è parlato solo di insegnanti. La qualità degli insegnanti, senza dietrologie, è critica per la buona riuscita dei programmi scolastici, e quindi per la formazione dei ragazzi. Alla fine tutto è migliorabile, ma il meglio è nemico del bene, e da qualche parte tocca cominciare

Risposto da Pietro Maruca su 20 Maggio 2015 a 10:37 Anche cercando di stare alla larga dalle discussioni sulla scuola, non riesco a stare zitto: - la scuola pubblica ha ampie possibilità di orario. La scuola dell'infanzia del mio istituto era aperta dalle 7:30 alle 17:30, con insegnanti statali dall'inizio alla fine. La scuola primaria aveva il prescuola gratuito dalle 7:30, le lezioni dalle 8:30 alle 16:30 e, per chi ne faceva richiesta, anche i corsi pomeridiani extrascolastici fino alle 18:30 (questi a pagamento, ma con prezzi agevolati rispetto ai corsi prvati). La scuola media aveva un orario dalle 8:00 alle 13:00 (sabato compreso) + due rientri pomeridiani obbligatori, più altri due con materie opzionali, dalle 14:30 alle 16:30, con possibilità di servizio mensa. Questi orari erano decisi in base alle esigenze segnalate dai genitori al momento dell'iscrizione. Certo, dopo gli interventi della Gelini sull'organico della scuola media, si è potuto fare sempre di meno. - la scuola privata rispetto a quella pubblica, per come la intendo io e per come l'ho vista realizzare nell'area in cui ho operato, ha di gran lunga meno risorse e potenzialità, sia a livello di docenti che di attrezzature. Però la scuola pubblica ha imparato a fare ricorso a molte competenze private in grado di coadiuvare i docent. Nell'inglese, fino a quando non abbiamo avuto personale competente, nelle educazioni, oltre che a livello psicologico e medico, per la realizzazione di progetti specifici. La scuola pubblica, se vuole, non è né povera né scalcinata. Anche grazie alle famiglie che contribuiscono. E sarebbe stato giusto poterlo fare con il 5x1000, anche con la doppia opzione, come suggerito per non danneggiare il terzo settore. Anche nelle statistiche OCSE PISA la scuola del nord è a livello dei migliori sistemi europei. e' la media nazionale che è bassa. Quando come istituto abbiamo chiesto e ottenuto la certificazione di qualità e quando abbiamo partecipato a progetti di valutazione, abbiamo avuto risultati significativi. Abbiamo sempre fatto l'indagine al termine del primo anno delle superiori per conoscere i risultati dei nostri ex allievi, costantemente superiori alle medie del distretto e della provincia. Certo, con molta fatica e con resistenze. C'è sempre chi dice: "Ma chi ce lo fa fare?". E c'è chi è soddisfatto quando si perdono dei progetti o quacuno "molla", diminuendo il suo impegno. La scuola, se vuole, fa. Se vuole. E sarebbe finalmente giusto riconoscerlo con un buon sistema di valutazione. Ma proprio per questo ritengo che NON si debba procedere con valutazioni che assomiglino a percorsi processuali, volti a cercare magagne da sbattere in prima pagina. I meriti vanno riconosciuti in modo professionale, senza piazzate; i demeriti vanno trattati con cautela, per incoraggiare al miglioramento. Promuovendo campagne da resa dei conti, si alimentano solo le paure e le spinte corporative. Non ne abbiamo bisogno. Immaginate il panico se si facesse una visita medica a tutti i dipendenti, con esami specifici, per licenziare i malati. Immaginate poi se la visita la facesse il datore di lavoro, con una commissione composta da altri dipendenti e da clienti... Certo che tutti ne sappiamo qualcosa su come si sta quando si è in salute, ma valutare lo stato di salute di una persona è un'altra cosa e individuare la terapia più corretta per curare i malesseri, che non sono ovviamente tutti uguali, è ancora un'altra. L'opinione pubblica si sta esaltando con il pressapochismo, che la porta a dire che sulla pelle degli altri è tutto facile. Mi fa rabbia chi si oppone alla valutazione senza fare proposte serie, che si rifacciano alle migliori pratiche. L'INVALSI ha dei limiti? Lo so; correggiamoli. Smettiamola di fare considerazioni drastiche del tipo tutto bene o tutto male.

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Vorrei dire a Giampaolo che i soffitti non sono crollati con questo governo e se anche fosse (cosa che non è), si tratta di scuole costruite prima e mai sottoposte a manutenzione e a collaudi seri. E poi, scuola pubblica = scuola per i poveri? Ma non diciamo scemenze! E' scuola per tutti. Noi avevamo allestito un laboratorio informatico con una quindicina di PC, dove svolgevamo corsi ed esami per la patente europea, anche di livello avanzato. Nella scuola primaria avevamo un altro laboratorio con 12 PC. E non sto a elencare il resto. Con fatica, ma si può fare. E poi a essere sinceri, non tutti erano contenti di ciò che facevamo... Ma si può fare e in molte scuole pubbliche si fa. Non capisco quindi perché togliere la possibilità del 5 x 1000. Perché potrebbero fruirne anche le scuole private? Ma quale di queste scuole può godere dell'esperienza dei docenti che ha la scuola pubblica? E poi, se anche foisse, che male c'è? giorgio varaldo ha detto: giampaolo in moltissime parti del paese la scuola pubblica o non esiste o se esiste non è in grado di accogliere tutte le richieste o ha orari non compatibili con gli orari di lavoro dei genitori Quindi quella che tu fai passare per privilegio è spesso una necessità delle famiglie con entrambi i genitori al lavoro.. In merito abbiamo l'esperienza diretta di quando si abitava a taranto nella allora frazione di statte (15.000 abitanti) di aver posto nella scuola materne pubblica neanche l'ombra e con i nonni a 1000 km e meno male c'era la scuola materna privata gestita dalle suore!! E per i colleghi entrambi al lavoro con figli alle scuole materne elementari o medie alle scuole pubbliche gli orari non erano compatibili con quelli di lavoro : con il pargolo che termina alle 12,30 ed i genitori alle 17 inviare i figli alla scuola privata (con orari compatibili ) era ed è una necessità. Ovvio l'adeguare gli orari delle scuole pubbliche a quelli dei genitori neanche ipotizzabile. Giampaolo Carboniero ha detto: Cornuti e mazziati! Con la detrazione fiscale delle rette per le scuole private, arriviamo all'assurdo, si fa per dire visto cosa fa ultimamente il governo, che chi non può permettersi la scuola privata e, magari, ha il figlio che rischia di prendersi il soffitto in testa nelle scuole pubbliche, finanzia il benestante che vuole la scuola "particolare"; e non ci sono soldi per i poveri! Se il M5S proporrà l'abolizione delle sovvenzioni a tutte le scuole private, penso proprio che voterò M5S.

Risposto da Cristina Favati su 20 Maggio 2015 a 10:49 La scuola è per tutti. Una scuola pubblica riformata e al passo coi tempi sarà molto più attrattiva per famiglie e ragazzi e introducendo il merito le si fa solo del bene. Fino ad oggi in tante situazioni che anch'io ho vissuto, sia come insegnante che come madre, la mancanza di merito (culturale e umano) è stato un grave limite all'autorevolezza della scuola pubblica che ha visto perdere iscritti a favore della privata, non da parte dei ricchi ma proprio da parte di quei ceti che non sono mai stati tutelati e a volte sono stati costretti a sobbarcarsi oneri costosissimi per avere la possibilità di far proseguire gli studi ai propri figli. Troppo spesso un solo insegnante non adeguato può condizionarne la vita e allora è meglio cambiare scuola. Una scuola pubblica di livello dunque sarà utile proprio ai ceti medio-bassi. Se non si capisce questo, si fa solo ideologia.

Risposto da giovanni de sio cesari su 20 Maggio 2015 a 11:27 Alessandro

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La solita favola che lo stato non possa dare contributi L articolo è chiarissimo dice che non c è l obbligo non che lo stato non possa contribuire e la cosa è stata ribadita dalle sentenze della corte costituzionale Ovviamente poi la opportunità è altra cosa Sarebbe incostituzionale invece la abolizione fell esame di stato ma siccome non è spiegato cosa sia l esame di stato tutto può essere considerato esame di stato solito cavillo alla italiana Alessandro Bellotti ha detto: La scuola privata in Italia può esistere ma senza oneri per lo Stato. Art. 33 della Costituzione che riporto: L'arte e la scienza sono libere e libero ne è l'insegnamento. La Repubblica detta le norme generali sull'istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi. Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato. La legge, nel fissare i diritti e gli obblighi delle scuole non statali che chiedono la parità, deve assicurare ad esse piena libertà e ai loro alunni un trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni di scuole statali. È prescritto un esame di Stato per l'ammissione ai vari ordini e gradi di scuole o per la conclusione di essi e per l'abilitazione all'esercizio professionale. Le istituzioni di alta cultura, università ed accademie, hanno il diritto di darsi ordinamenti autonomi nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato. Si cominci ogni discussione sulle scuole private tenendo SEMPRE a mente che nessun contributo statale è ammesso per dette scuole. Oppure si cambi la Costituzione. Il M5S sta solo ribadendo l'Art. 33 della Costituzione che tutti dovremmo difendere e pretendere di applicare. Non si può decidere di applicare o no la Costituzione Italiana oppure trovare giustificazioni per non applicarla.

Risposto da Cristina Favati su 20 Maggio 2015 a 11:32 Manuela Ghizzoni Sono intervenuta da poco in aula sull’art.10 (piano straordinario di assunzioni) . Questo articolo è un tassello fondamentale del provvedimento perché permetterà di attuare l'organico funzionale all'offerta formativa e permetterà di incrementare gli organici – per la prima volta dal 2008 - di 50.000 posti Se sembrano pochi, a me, che ho memoria dei tagli che ancora stiamo patendo, paiono invece un deciso passo avanti. Il dibattito di ieri sera però si è soffermato sull'altra faccia di questa medaglia e cioè sui docenti, ora precari, che andranno a costituire l'organico. Lo abbiamo fatto con toni accesi, io per prima, ma i toni corrispondono al senso di responsabilità che sentiamo - almeno noi - nei confronti di chi attende le nostre decisioni come sentenze sul proprio futuro di professionista. Lo testimonia il tenore – in molti casi crudo - dei messaggi che sto ricevendo da stanotte. Giustificati dalla posta in gioco. Ed è difficile, molto difficile provare a fare giustizia dopo tanta iniquità. Vengo al contenuto dell’ articolo 10, che sostanzialmente svuota le GAE, perché è da lì che si attinge per l’immissione in ruolo, e apre ad un concorso per 60.000 posti, destinati a docenti precari abilitati, in modo che velocemente possano entrare in ruolo, perché lo meritano. Putroppo, lo ribadisco, l’errore compiuto dal legislatore di allora (cioè la Gelmini) di cui gli abilitati sono incolpevoli, è che al titolo abilitativo non è stato attribuito un valore concorsuale. Proporlo ora, come fa la Gelmini, è strumentale. Tra l’altro l’ex ministra cade anche adesso in profonda contraddizione, smascherando evidentemente una incoerenza di fondo. Da una parte infatti ipotizza un piano pluriennale di reclutamento valido per le GAE e per i TFA (dimenticandosi dei PAS), dall’altra boccia il piano straordinario di immissione in ruolo proposto dall’art. 10. Come si può bocciare lo stesso piano che permetterebbe il reclutamento? Del resto ha dichiarato in aula che è contraria alla logica dell’ampliamento degli organici nella scuola. Allora è legittimo chiedersi: come pensa di assorbire tutto il personale abilitato? Con un miracolo? Nel 2006 ci fu un governo visionario - il governo Prodi - che voleva risolvere il problema del precariato della scuola coprendo tutti i posti vacanti mediante l'immissione di 150.000 docenti, chiudendo le GAE e riformando la formazione iniziale e l'immissione in ruolo per non creare nuovo precariato. Quella visione si infranse velocemente (per responsabilità di quel governo ma soprattutto per responsabilità del governo Berlusconi): i docenti precari ripiombarono nel girone infernale delle GAE, delle GI, delle cattedre tagliate,

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dell'abilitazione a pagamento a carico degli aspiranti docenti ma, in particolare nei TFA, nonostante la selezione d’accesso, il legislatore nel 2010 non attribuì a questo titolo il valore concorsuale. A distanza di 8 anni ci si ritrova esattamente al punto di partenza, come in un assurdo gioco dell'oca, con migliaia di docenti congelati nelle GAE e altrettanti nelle GI, preoccupati dalla possibilità di restare stabilmente fuori dalla scuola (per questo motivo abbiamo to l’art. 14). Questo gioco dell'oca va interrotto, questi docenti non vanno più rinserrati in nuove gabbie, congelati in una nuova graduatoria inesauribile - tanto simile alla vecchia - per un periodo transitorio indefinito. La soluzione non può essere l'attesa e lo sfibramento in un graduatoria, magari incappando in un governo che taglia nuovamente le cattedre. Lo diceva ieri sera la collega Malpezzi: non va lasciato indietro nessuno, non vanno disperse e le competenze, le attitudini e i talenti di questi docenti, che, anzi, devono essere valorizzati. Ecco perché, in commissione, è stata riscritta la norma sul concorso in modo che nel bando siano adeguatamente valorizzati in termini di maggior punteggio, ad esempio, il titolo di abilitazione conseguito dopo aver sostenuto una procedura selettiva pubblica e il servizio prestato. Questo passaggio è estremamente delicato e andrà affrontato con perizia e capacità innovativa affinché il concorso non sia la sede per un accertamento di competenze disciplinari e non sia nemmeno un gioco al lotto con assurdi sbarramenti preselettivi, ma sia la sede per valutare le capacità e le attitudini didattiche. Il collega Cuperlo, ieri sera, ci ha chiesto quale fosse la risposta più giusta da dare alla lealtà dei docenti precari mostrata nei confronti del loro lavoro e dello Stato. Dopo tante promesse mancate, dopo tanta colpevole leggerezza nell’ affrontare un tema così complesso, dopo tanta spregiudicatezza, credo che la risposta stia nell'offrire altrettanta lealtà, fondata sul rispetto della legge e sulla chiarezza di precisi impegni realizzabili. Essere precari significa scrivere la propria vita a matita, con il rischio che una gomma possa cancellarla. Noi, al netto delle scelte sbagliate di chi ci ha preceduto, vogliamo che quel progetto di vita possa essere scritto a penna. Definitivamente.

Risposto da Cristina Favati su 20 Maggio 2015 a 12:48 Da leggere. La Voce sulla riforma http://www.lavoce.info/archives/34809/come-mettere-il-professore-gi...

Risposto da Giampaolo Carboniero su 20 Maggio 2015 a 15:36 Mi piacerebbe che l'esempio da te citato diventasse uno standard, verso cui avviare tuitte le altre scuole; presumo inoltre che nel caso da te esposto non sia stato necessario dare i pieni poteri al preside, ma una discussione fra insegnanti, famiglie, studenti, con un'organizzazione che tenesse conto delle esigenze del territorio, delle famiglie, ecct.; non capisco cosa c'entra il resto : p.e. ulteriore finanziamento alle scuole cattoliche, maggioranza fra le private, almeno qui in Veneto; ho fatto in passato l'esempio dell'Istituto Maiorana di Brindisi, ricordo di aver letto di altri istituti che stanno applicando sistemi all'avanguardia, in più l'esempio di cui parli, non capisco veramente perchè non si possano definire standard qualitativi oggettivi, monitorati in tempo reale, valutabili anche da terzi, lasciando libertà di insegnamento e organizzazione ai vari istituti; di questo dovrebbe preoccuparsi una seria riforma: degli standard, della qualità della formazione, della loro diffusione a tutto il territorio nazionale, dell'accessibilità per tutti; dovrebbe preoccuparsi che anche la scuola partecipi alle finalità previste dall'art.3 della nostra legge principale. Pietro Maruca ha detto: Anche cercando di stare alla larga dalle discussioni sulla scuola, non riesco a stare zitto: - la scuola pubblica ha ampie possibilità di orario. La scuola dell'infanzia del mio istituto era aperta dalle 7:30 alle 17:30, con insegnanti statali dall'inizio alla fine. La scuola primaria aveva il prescuola gratuito dalle 7:30, le lezioni

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dalle 8:30 alle 16:30 e, per chi ne faceva richiesta, anche i corsi pomeridiani extrascolastici fino alle 18:30 (questi a pagamento, ma con prezzi agevolati rispetto ai corsi prvati). La scuola media aveva un orario dalle 8:00 alle 13:00 (sabato compreso) + due rientri pomeridiani obbligatori, più altri due con materie opzionali, dalle 14:30 alle 16:30, con possibilità di servizio mensa. Questi orari erano decisi in base alle esigenze segnalate dai genitori al momento dell'iscrizione. Certo, dopo gli interventi della Gelini sull'organico della scuola media, si è potuto fare sempre di meno. - la scuola privata rispetto a quella pubblica, per come la intendo io e per come l'ho vista realizzare nell'area in cui ho operato, ha di gran lunga meno risorse e potenzialità, sia a livello di docenti che di attrezzature. Però la scuola pubblica ha imparato a fare ricorso a molte competenze private in grado di coadiuvare i docent. Nell'inglese, fino a quando non abbiamo avuto personale competente, nelle educazioni, oltre che a livello psicologico e medico, per la realizzazione di progetti specifici. La scuola pubblica, se vuole, non è né povera né scalcinata. Anche grazie alle famiglie che contribuiscono. E sarebbe stato giusto poterlo fare con il 5x1000, anche con la doppia opzione, come suggerito per non danneggiare il terzo settore. Anche nelle statistiche OCSE PISA la scuola del nord è a livello dei migliori sistemi europei. e' la media nazionale che è bassa. Quando come istituto abbiamo chiesto e ottenuto la certificazione di qualità e quando abbiamo partecipato a progetti di valutazione, abbiamo avuto risultati significativi. Abbiamo sempre fatto l'indagine al termine del primo anno delle superiori per conoscere i risultati dei nostri ex allievi, costantemente superiori alle medie del distretto e della provincia. Certo, con molta fatica e con resistenze. C'è sempre chi dice: "Ma chi ce lo fa fare?". E c'è chi è soddisfatto quando si perdono dei progetti o quacuno "molla", diminuendo il suo impegno. La scuola, se vuole, fa. Se vuole. E sarebbe finalmente giusto riconoscerlo con un buon sistema di valutazione. Ma proprio per questo ritengo che NON si debba procedere con valutazioni che assomiglino a percorsi processuali, volti a cercare magagne da sbattere in prima pagina. I meriti vanno riconosciuti in modo professionale, senza piazzate; i demeriti vanno trattati con cautela, per incoraggiare al miglioramento. Promuovendo campagne da resa dei conti, si alimentano solo le paure e le spinte corporative. Non ne abbiamo bisogno. Immaginate il panico se si facesse una visita medica a tutti i dipendenti, con esami specifici, per licenziare i malati. Immaginate poi se la visita la facesse il datore di lavoro, con una commissione composta da altri dipendenti e da clienti... Certo che tutti ne sappiamo qualcosa su come si sta quando si è in salute, ma valutare lo stato di salute di una persona è un'altra cosa e individuare la terapia più corretta per curare i malesseri, che non sono ovviamente tutti uguali, è ancora un'altra. L'opinione pubblica si sta esaltando con il pressapochismo, che la porta a dire che sulla pelle degli altri è tutto facile. Mi fa rabbia chi si oppone alla valutazione senza fare proposte serie, che si rifacciano alle migliori pratiche. L'INVALSI ha dei limiti? Lo so; correggiamoli. Smettiamola di fare considerazioni drastiche del tipo tutto bene o tutto male. Vorrei dire a Giampaolo che i soffitti non sono crollati con questo governo e se anche fosse (cosa che non è), si tratta di scuole costruite prima e mai sottoposte a manutenzione e a collaudi seri. E poi, scuola pubblica = scuola per i poveri? Ma non diciamo scemenze! E' scuola per tutti. Noi avevamo allestito un laboratorio informatico con una quindicina di PC, dove svolgevamo corsi ed esami per la patente europea, anche di livello avanzato. Nella scuola primaria avevamo un altro laboratorio con 12 PC. E non sto a elencare il resto. Con fatica, ma si può fare. E poi a essere sinceri, non tutti erano contenti di ciò che facevamo... Ma si può fare e in molte scuole pubbliche si fa. Non capisco quindi perché togliere la possibilità del 5 x 1000. Perché potrebbero fruirne anche le scuole private? Ma quale di queste scuole può godere dell'esperienza dei docenti che ha la scuola pubblica? E poi, se anche foisse, che male c'è? giorgio varaldo ha detto: giampaolo in moltissime parti del paese la scuola pubblica o non esiste o se esiste non è in grado di accogliere tutte le richieste o ha orari non compatibili con gli orari di lavoro dei genitori Quindi quella che tu fai passare per privilegio è spesso una necessità delle famiglie con entrambi i genitori al lavoro..

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In merito abbiamo l'esperienza diretta di quando si abitava a taranto nella allora frazione di statte (15.000 abitanti) di aver posto nella scuola materne pubblica neanche l'ombra e con i nonni a 1000 km e meno male c'era la scuola materna privata gestita dalle suore!! E per i colleghi entrambi al lavoro con figli alle scuole materne elementari o medie alle scuole pubbliche gli orari non erano compatibili con quelli di lavoro : con il pargolo che termina alle 12,30 ed i genitori alle 17 inviare i figli alla scuola privata (con orari compatibili ) era ed è una necessità. Ovvio l'adeguare gli orari delle scuole pubbliche a quelli dei genitori neanche ipotizzabile. Giampaolo Carboniero ha detto: Cornuti e mazziati! Con la detrazione fiscale delle rette per le scuole private, arriviamo all'assurdo, si fa per dire visto cosa fa ultimamente il governo, che chi non può permettersi la scuola privata e, magari, ha il figlio che rischia di prendersi il soffitto in testa nelle scuole pubbliche, finanzia il benestante che vuole la scuola "particolare"; e non ci sono soldi per i poveri! Se il M5S proporrà l'abolizione delle sovvenzioni a tutte le scuole private, penso proprio che voterò M5S.

Risposto da Ezio Ferrero su 20 Maggio 2015 a 16:20 Non esattamente ma il senso era quello, Dato che poi una era particolarmente aggressiva, le ho ricordato che parlavo anche in quanto suo datore di lavoro :) Mario Pizzoli ha detto: Immagino avrai loro risposto che non essendo dei politici né avvocati, né legislatori, entrambe le persone non avevano titolo a parlare della legge in questione.... : ) L'autoreferenzialità è una brutta malattia, te ne accorgi subito. Se l'interlocutore si rivolge a te dicendo "La mia opinione è che...." allora forse un dialogo è possibile. L'autoreferenzialità inizia con "Adesso ti spiego...." Ezio Ferrero ha detto: In una "animata" discussione su FB due insegnati ferocemente anti riforma mi hanno detto entrambe che devo tacere perchè non so nulla di scuola. A parte i possibili commenti sul modo, quello che trovo incredibile è questa totale autoreferenzialità per cui secondo questi signori gli unici abilitati ad esprimere pareri sui temi della scuola sarebbero gli insegnanti (perchè ne sanno di scuola). Altro che opposizione alla valutazione, qui siamo alla opposizione alla discussione pubblica ed al diritto dei cittadini (che sono al tempo stesso datori di lavoro ed utenti) di esprimere le loro opinioni. Si potrebbe pensare che questo sia dovuto alla foga della discussione, ma in realtà è stato l'esordio da parte di entrambe. Questo lo trovo molto preoccupante, indice di una mentalità di fondo che sarà durissimo (o impossibile) sradicare e che ci porteremo dietro per molti anni (vista l'età apparente di almeno una delle interlocutrici)

Risposto da Ezio Ferrero su 20 Maggio 2015 a 16:26 Questa retorica dei "ricchi" sta proprio diventando insopportabile. Io ho fatto le elementari negli anni sessanta, mio papà era un tranviere, mia mamma una sarta. Non avevamo nonni o altri parenti a Torino. Nelle elementari quindi sono andato alla scuola privata (suore, c'erano solo quelle) perchè c'era il tempo pieno, inesistente nella scuola pubblica. Devo considerarmi un benestante che ha voluto una scuola "particolare"?

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Mai possibile che tutto il dibattito sia concentrato su stereotipi, pregiudizi, previsioni di catastrofi Giampaolo Carboniero ha detto: Cornuti e mazziati! Con la detrazione fiscale delle rette per le scuole private, arriviamo all'assurdo, si fa per dire visto cosa fa ultimamente il governo, che chi non può permettersi la scuola privata e, magari, ha il figlio che rischia di prendersi il soffitto in testa nelle scuole pubbliche, finanzia il benestante che vuole la scuola "particolare"; e non ci sono soldi per i poveri! Se il M5S proporrà l'abolizione delle sovvenzioni a tutte le scuole private, penso proprio che voterò M5S.

Risposto da Pietro Maruca su 20 Maggio 2015 a 16:29 Giampaolo, gli esempi servono per dire che si può fare, che non è vero che si vogliono cose impossibili. Per farle diventare modelli servono caratteristiche che non è facile replicare, inparticolare alcune competenze da riconoscere e da valorizzare, e delle forze convergenti più forti delle forze d'opposizione, Che si fa quando queste caratteristiche mancano? Come si fa a capire se mancano e quali mancano? Tornando all'esempio della salute. E' facile capire se qualcuno sta bene, ma se sta male, come si fa a capire cos'ha? Ci vuole un buon sistema di valutazione, che cerchi prioritariamente di capire se ci sono le condizioni per sanare senza operazioni chirurgiche. In merito alla scuola privata penso che si debba accettare la sfida. Non siamo più all'epoca dell'analfabetismo pressoché totale. Lo Stato non ha e non deve avere oneri (=doveri, obblighi, imposizioni) nei confronti del privato e non è giusto che vi siano pressioni in tal senso, soprattutto da scuole confessionali o da diplomifici. Penso però che sia giusto che i privati contribuiscano a sviluppare sistemi educativi più efficaci. Per quel poco che le conosco, ad esempio, immagino che siano in quest'ottica le scuole steineriane. Lo Stato, senza impegni, dovrebbe essere curioso e incoraggiare, anche con contributi, coloro che si mettono in gioco e ci provano. Dal confronto ci potrebbe guadagnare anche la scuola pubblica. Giampaolo Carboniero ha detto: Mi piacerebbe che l'esempio da te citato diventasse uno standard, verso cui avviare tuitte le altre scuole; presumo inoltre che nel caso da te esposto non sia stato necessario dare i pieni poteri al preside, ma una discussione fra insegnanti, famiglie, studenti, con un'organizzazione che tenesse conto delle esigenze del territorio, delle famiglie, ecct.; non capisco cosa c'entra il resto : p.e. ulteriore finanziamento alle scuole cattoliche, maggioranza fra le private, almeno qui in Veneto; (...)

Risposto da Ezio Ferrero su 20 Maggio 2015 a 16:30 A proposito della scelta degli insegnanti da parte dei presidi: viene fatto in mezza europa. Allegati:

mappa chiamata diretta scuole.jpg, 32 KB

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Risposto da giorgio varaldo su 20 Maggio 2015 a 18:25 Sacrosanta verita' Cristina Favati ha detto: Se la scuola pubblica funzionasse, nessuno si sognerebbe di mandare i propri figli alle private.

Risposto da Cristina Favati su 20 Maggio 2015 a 19:38 http://www.repubblica.it/scuola/2015/05/20/news/la_buona_scuola_ecc... Ecco i 12 punti approvati.

Risposto da giorgio varaldo su 21 Maggio 2015 a 8:06 Leggendo gli orari della scuola postati da pietro il commento della dolce meta' e' stato lapidario:di sicuro non si riferiva a taranto. Magari avessimo trovato una scuola simile! Il fattore geografico citato da pietro anche in funzione dei risultati gioca un ruolo piu' importante di quanto si pensi e spesso magari in funzione del politically correct non ha la giusta considerazione. Premetto non e' solo una questione solo geografica piu' volte ho ricordato il giudizio aziendale riguardo all'elevatissmo livello dei laureati in ingegneria di napoli e lo stesso pietro ci ricorda le differenze fra le scuole del paese quindi il problema geografico e' reale. Anche per quanto riguarda gli orari abbiamo trovato grandi differenze quando nel 1988 ci siamo trasferiti da taranto a piombino abbiamo avuto il piacere di scoprire l'orario a tempo pieno per alcune scuole . E' possibile ipotizzare in futuro una azione tesa a diiminuire questo gap fra nord e sud? Giampaolo ha postato notizie interessanti (e positive) riguardo alla scuola majorana di brindisi segno che anche al sud ci sono eccellenze quindi e' possibile ipotizzars che la buona scuola possa dare buoni risultati anche in questa direzione?

Risposto da giovanni de sio cesari su 21 Maggio 2015 a 13:08 Sulla scuola sì possono fare infiniti discorsi ma il punto essenziale è solo uno e molto semplice: nella scuola italiana ci sono docenti ottimi e pessimi e tutto quello che c'è in mezzo in proporzione non definibile: il problema è che manca un riconoscimento della diversità di impegno e capacità. Tutte le riforme di destra e sinistra negli ultimi 30 hanno cercato di inserirla ma gli insegnanti e anche gli alunni si oppongono ed è comprensibile. Poiché si tratta di un blocco elettorale decisivo, formidabile, le riforme si sono sempre annacquate, svuotate e la scuola (preciso la singola scuola ) continua ad auto approvarsi. Ricordo fra le altre quella di Berlinguer che riusci a strappare perfino l'approvazione dei sindacati, ma poi naufragò di fronte alla rivolta generalizzata dei docenti Temo che pure quella di Renzi alla fine si svuoterà.

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Risposto da Fabio Colasanti su 21 Maggio 2015 a 15:28 Un altro buon pezzo da La Voce sulla selezione degli insegnanti. Sottolinea che la valutazione delle capacità richiede sempre una valutazione soggettiva. Questa può certo aprire la porta a favoritismi, ma è un rischio che si deve correre. La capacità degli insegnanti (ma anche degli impiegati pubblici in genere) non può essere valutata solo sulla base di criteri cosiddetti "oggettivi" (votazione di laurea, anni di insegnamento, ecc.). Questo è il punto centrale di tutte le discussioni sul "merito". Se nessuna impresa privata al mondo si basa sui soli "criteri oggettivi", una ragione ci sarà. http://www.lavoce.info/archives/34809/come-mettere-il-professore-giusto-nella-scuola-giusta/

Risposto da Giampaolo Carboniero su 21 Maggio 2015 a 17:43 Se è per questo, Grillo non si è alleato nè con i fascisti nè con i mafiosi, come invece altri di comune conoscenza. Mario Pizzoli ha detto: La buona scuola contrapposta alla buona propaganda. Buona fortuna col fascista Grillo Giampaolo Carboniero ha detto: Cornuti e mazziati! Con la detrazione fiscale delle rette per le scuole private, arriviamo all'assurdo, si fa per dire visto cosa fa ultimamente il governo, che chi non può permettersi la scuola privata e, magari, ha il figlio che rischia di prendersi il soffitto in testa nelle scuole pubbliche, finanzia il benestante che vuole la scuola "particolare"; e non ci sono soldi per i poveri! Se il M5S proporrà l'abolizione delle sovvenzioni a tutte le scuole private, penso proprio che voterò M5S.

Risposto da Giampaolo Carboniero su 21 Maggio 2015 a 18:18 E in questo caso le sentenze della Corte sono ineccepibili? In questo caso il senso comune non va bene? A me l'articolo della costituzione pare chiarissimo: puoi aprire qualunque scuola, ma non a carico del bilancio dello stato. Certo, con gli azzeccagarbugli, numerossimi nel paese e in Parlamento, si può arrivare a legittimare tutto e il contrario di tutto. giovanni de sio cesari ha detto: Alessandro La solita favola che lo stato non possa dare contributi L articolo è chiarissimo dice che non c è l obbligo non che lo stato non possa contribuire e la cosa è stata ribadita dalle sentenze della corte costituzionale Ovviamente poi la opportunità è altra cosa Sarebbe incostituzionale invece la abolizione fell esame di stato ma siccome non è spiegato cosa sia l esame di stato tutto può essere considerato esame di stato solito cavillo alla italiana Alessandro Bellotti ha detto: La scuola privata in Italia può esistere ma senza oneri per lo Stato. Art. 33 della Costituzione che riporto: L'arte e la scienza sono libere e libero ne è l'insegnamento. La Repubblica detta le norme generali sull'istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi. Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato. La legge, nel fissare i diritti e gli obblighi delle scuole non statali che chiedono la parità, deve assicurare ad esse piena libertà e ai loro alunni un trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni di scuole statali.

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È prescritto un esame di Stato per l'ammissione ai vari ordini e gradi di scuole o per la conclusione di essi e per l'abilitazione all'esercizio professionale. Le istituzioni di alta cultura, università ed accademie, hanno il diritto di darsi ordinamenti autonomi nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato. Si cominci ogni discussione sulle scuole private tenendo SEMPRE a mente che nessun contributo statale è ammesso per dette scuole. Oppure si cambi la Costituzione. Il M5S sta solo ribadendo l'Art. 33 della Costituzione che tutti dovremmo difendere e pretendere di applicare. Non si può decidere di applicare o no la Costituzione Italiana oppure trovare giustificazioni per non applicarla.

Risposto da Mario Pizzoli su 21 Maggio 2015 a 18:41 In compenso si è alleato con i razzisti dell'UKIP e con gli ultranazionalisti Svedesi in Europa, mentre in casa ha strizzato l'occhio a Casapound e in liguria ha tra i candidati alla carica di consigliere regionale Daniele Comandini, amico stretto di un giovane attivista pentastellato dal cognome scomodo,Carmine Mafodda (della nota famigli 'ndranghetista, ndr). Un bel tipetto da votare... Vai tranquillo Giampaolo Carboniero ha detto: Se è per questo, Grillo non si è alleato nè con i fascisti nè con i mafiosi, come invece altri di comune conoscenza. Mario Pizzoli ha detto: La buona scuola contrapposta alla buona propaganda. Buona fortuna col fascista Grillo Giampaolo Carboniero ha detto: Cornuti e mazziati! Con la detrazione fiscale delle rette per le scuole private, arriviamo all'assurdo, si fa per dire visto cosa fa ultimamente il governo, che chi non può permettersi la scuola privata e, magari, ha il figlio che rischia di prendersi il soffitto in testa nelle scuole pubbliche, finanzia il benestante che vuole la scuola "particolare"; e non ci sono soldi per i poveri! Se il M5S proporrà l'abolizione delle sovvenzioni a tutte le scuole private, penso proprio che voterò M5S.

Risposto da Mario Pizzoli su 21 Maggio 2015 a 18:46 Rispondo a te quello che ho risposto ad Alessandro: La Costituzione stabilisce che si deve istituire senza oneri per lo stato, non che non possa essere utilizzata, una volta istituita e validata, con oneri per lo stato. Un mucchio di servizi sono gestiti per conto dello stato da privati, a volte perchè il servizio è migliore e a minor costo, altre volte perchè è l'unica vara alternativa (come nel caso di alcun scuole per l'infanzia.) Giampaolo Carboniero ha detto: E in questo caso le sentenze della Corte sono ineccepibili? In questo caso il senso comune non va bene? A me l'articolo della costituzione pare chiarissimo: puoi aprire qualunque scuola, ma non a carico del bilancio dello stato. Certo, con gli azzeccagarbugli, numerossimi nel paese e in Parlamento, si può arrivare a legittimare tutto e il contrario di tutto. giovanni de sio cesari ha detto: Alessandro

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La solita favola che lo stato non possa dare contributi L articolo è chiarissimo dice che non c è l obbligo non che lo stato non possa contribuire e la cosa è stata ribadita dalle sentenze della corte costituzionale Ovviamente poi la opportunità è altra cosa Sarebbe incostituzionale invece la abolizione fell esame di stato ma siccome non è spiegato cosa sia l esame di stato tutto può essere considerato esame di stato solito cavillo alla italiana

Risposto da Giampaolo Carboniero su 21 Maggio 2015 a 19:04 E' il "tuo" modo di ragionare mi pare. Evidentemente le suore sono state efficaci nell'educarti al sistema "cattolico". Ezio Ferrero ha detto: Questa retorica dei "ricchi" sta proprio diventando insopportabile. Io ho fatto le elementari negli anni sessanta, mio papà era un tranviere, mia mamma una sarta. Non avevamo nonni o altri parenti a Torino. Nelle elementari quindi sono andato alla scuola privata (suore, c'erano solo quelle) perchè c'era il tempo pieno, inesistente nella scuola pubblica. Devo considerarmi un benestante che ha voluto una scuola "particolare"? Mai possibile che tutto il dibattito sia concentrato su stereotipi, pregiudizi, previsioni di catastrofi Giampaolo Carboniero ha detto: Cornuti e mazziati! Con la detrazione fiscale delle rette per le scuole private, arriviamo all'assurdo, si fa per dire visto cosa fa ultimamente il governo, che chi non può permettersi la scuola privata e, magari, ha il figlio che rischia di prendersi il soffitto in testa nelle scuole pubbliche, finanzia il benestante che vuole la scuola "particolare"; e non ci sono soldi per i poveri! Se il M5S proporrà l'abolizione delle sovvenzioni a tutte le scuole private, penso proprio che voterò M5S.

Risposto da Romano Meloni su 21 Maggio 2015 a 19:28 Nessuno conosce questa verità meglio degli insegnanti, che ogni giorno così valutano i propri allievi. L'insistenza degli insegnanti e dei loro sindacati sui criteri di valutazione "oggettivi" è un semplice rifiuto della valutazione. Fabio Colasanti ha detto: Un altro buon pezzo da La Voce sulla selezione degli insegnanti. Sottolinea che la valutazione delle capacità richiede sempre una valutazione soggettiva. Questa puòcerto aprire la porta a favoritismi, ma è un rischio che si deve correre. La capacità degli insegnanti (ma anche degli impiegati pubblici in genere) non può essere valutata solo sulla base di criteri cosiddetti "oggettivi" (votazione di laurea, anni di insegnamento, ecc.). Questo è il punto centrale di tutte le discussioni sul "merito". Se nessuna impresa privata al mondo si basa sui soli "criteri oggettivi", una ragione ci sarà. http://www.lavoce.info/archives/34809/come-mettere-il-professore-giusto-nella-scuola-giusta/

Risposto da Cristina Favati su 21 Maggio 2015 a 19:59 Dal diario di una mia amica, consigliera comunale del PD a Verona, Elisa La Paglia:

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Nel 2012, mia prima votazione sul bilancio, uno dei primi scontri nel gruppo del Pd è stato su un emendamento di Fabio, un finanziamento alle scuole Fism. "Ma come? E' contro la Costituzione, non possiamo finanziare le scuole private!" Da quel giorno ho cominciato a studiare le scuole dell'infanzia nel Comune di Verona. Il Comune di Verona ha stipulato nel 2005 una convenzione con le scuole paritarie che prevede apertura a diverse religioni, organizzazione per accogliere l'handicap, standard minimi alti di qualità, ecc in cambio si poteva dar loro dei contributi ma in tutte queste scuole LE RETTE sono più alte. (e già fanno i salti mortali, chi ci rimette...le insegnati che hanno contratto peggiore e lavorano più ore e di conseguenza i bambini). Le scelgono perché più vicine o perché sono rimasti fuori dalle altre graduatorie o perché vogliono partecipare attivamente alla vita della scuola (comitato di gestione della scuola è formato da genitori) o perché apprezzano quelle maestre, ecc NON importa perché ma è giusto che possano DETRARRE quella spesa, è giusto che nessun bambino resti a casa perché i genitori non se la possono permettere. Se i genitori possono tornare a lavorare è anche perché possono portare i figli a scuola dove i ragazzi sono seguiti da personale professionale che può dare loro il meglio per la loro crescita, ciò vale per asili e tutte le scuole dell'infanzia. Se lo stato avesse investito in maggior welfare nei tempi d'oro sarebbero tutte statali, con compresenza garantita, formazione adeguata, ecc ma siamo in Italia nel 2015. Su l'art 19 della BuonaScuola emendato: si potrà detrarre fino a 400€ l'anno PECCATO CHE LA DETRAZIONE NON SIA ANCHE PER GLI ASILI NIDO. Ecco invece di pensare alle superiori se la avesse riguardato gli asili, sarebbe stata una rivoluzione culturale per il Paese e di libertà per tante DONNE. Cmq a chi si scandalizza per le detrazioni che riguardano le scuole paritarie dico che io ci ho sbattuto il muso e ho fatto cadere un pregiudizio, possiamo continuare a desiderare che tutte le scuole dell'infanzia siano statali, non è impossibile, ma 4 a Regione ogni anno...ci vorrà un po'. Giampaolo Carboniero ha detto: E' il "tuo" modo di ragionare mi pare. Evidentemente le suore sono state efficaci nell'educarti al sistema "cattolico". Ezio Ferrero ha detto: Questa retorica dei "ricchi" sta proprio diventando insopportabile. Io ho fatto le elementari negli anni sessanta, mio papà era un tranviere, mia mamma una sarta. Non avevamo nonni o altri parenti a Torino. Nelle elementari quindi sono andato alla scuola privata (suore, c'erano solo quelle) perchè c'era il tempo pieno, inesistente nella scuola pubblica. Devo considerarmi un benestante che ha voluto una scuola "particolare"? Mai possibile che tutto il dibattito sia concentrato su stereotipi, pregiudizi, previsioni di catastrofi Giampaolo Carboniero ha detto: Cornuti e mazziati! Con la detrazione fiscale delle rette per le scuole private, arriviamo all'assurdo, si fa per dire visto cosa fa ultimamente il governo, che chi non può permettersi la scuola privata e, magari, ha il figlio che rischia di prendersi il soffitto in testa nelle scuole pubbliche, finanzia il benestante che vuole la scuola "particolare"; e non ci sono soldi per i poveri! Se il M5S proporrà l'abolizione delle sovvenzioni a tutte le scuole private, penso proprio che voterò M5S.

Risposto da giovanni de sio cesari su 21 Maggio 2015 a 21:28 Fabio Certamente non solo vi è un elemento soggettivo ma la valutazione degli insegnanti e estremamente difficile Tuttavia il problema non è fare classifica a chi è più bravo ma di individuare, segnalare chi comunque insegna e chi non fa nulla Mi spiego con un esempio vissuto in questi giorni sto cercando di aiutare una ragazza mia parente che sta al terzo liceo psico sociologico Situazione: Non hanno fatto praticamente nulla di sociologia e psicologia Il programma di filosofia si è fermato a Socrate, fatto malissimo Italiano sono arrivati a Ariosto ma non hanno mai letto mai un rigo di antologia

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e via di questo passo Nessuno però interviene, questo liceo darà diploma come quelli che funzionano regolarmente Questo è il problema della scuola italiana, non fare classifica di bravura Fino al 68 esami di stato seri erano già un controllo indiretto ma poi sono diventati poco più che una formalità Nel progetto di Renzi il preside dovrebbe avere un potere di intervento A me sembra pero troppo debole e incerto il preside comunque ha rapporti di familiarità con i prof, il comitato di valutazione che lo affianca è eletto dagli stessi prof e fa gli interessi di quelli che li hanno eletti come è nella logica del cose La soluzione sarebbe una qualche variante degli ispettori HM inglesi Occorrono cioè persone estranea alla scuola esaminata altrimenti non usciamo dalla auto approvazione Comunque i poteri del preside sarebbe un passo avanti ma, come dicevo, temo che sarà svuotato pure esso Fabio Colasanti ha detto: Un altro buon pezzo da La Voce sulla selezione degli insegnanti. Sottolinea che la valutazione delle capacità richiede sempre una valutazione soggettiva. Questa puòcerto aprire la porta a favoritismi, ma è un rischio che si deve correre. La capacità degli insegnanti (ma anche degli impiegati pubblici in genere) non può essere valutata solo sulla base di criteri cosiddetti "oggettivi" (votazione di laurea, anni di insegnamento, ecc.). Questo è il punto centrale di tutte le discussioni sul "merito". Se nessuna impresa privata al mondo si basa sui soli "criteri oggettivi", una ragione ci sarà. http://www.lavoce.info/archives/34809/come-mettere-il-professore-giusto-nella-scuola-giusta/

Risposto da giovanni de sio cesari su 21 Maggio 2015 a 21:47 Giampaolo Non è ineccepibile ed è criticabile come ogni altra ma è nell ambito proprio assegnato dalla costituzione alla corte che ha la funzione propria di decidere In questo caso direi che è proprio un caso di scuola come si dice Giampaolo Carboniero ha detto: E in questo caso le sentenze della Corte sono ineccepibili? In questo caso il senso comune non va bene? A me l'articolo della costituzione pare chiarissimo: puoi aprire qualunque scuola, ma non a carico del bilancio dello stato. Certo, con gli azzeccagarbugli, numerossimi nel paese e in Parlamento, si può arrivare a legittimare tutto e il contrario di tutto.

Risposto da Cristina Favati su 22 Maggio 2015 a 10:04 Come si diventa insegnanti nella scuola secondaria oggi, a legislazione vigente (ovvero, PRIMA del ddl scuola)? 1) Si consegue una laurea 3+2 (sostenendo alcuni esami per acquisire crediti specifici a seconda della classe per la quale si vuole concorrere) 2) Si sostiene una selezione per classe di concorso con pre-test, prova scritta e prova orale, pagando una tassa per l'iscrizione al test 3) Superata la selezione si accede al Tirocinio Formativo Attivo. Pagando una tassa che si aggira attorno ai 2500€ si accede ad un corso di un anno con lezioni dirette, indirette e tirocinio a scuola. Superato l'esame finale si consegue l'abilitazione sulla classe di concorso per la quale si è superata la selezione 4) Si partecipa ad un concorso, vinto il quale si accede al ruolo. Superato l'anno di prova si è assunti a tempo indeterminato. TEMPO MINIMO IMPIEGATO: 8 anni. Spese minime: 3000€ ----

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Come si diventerà insegnanti di ruolo nella scuola secondaria una volta applicato quanto previsto all'articolo 23 del DDL scuola (NON vale per coloro che hanno conseguito il Tfa, per cui continua ad applicarsi in via transitoria il vecchio sistema) 1) Si consegue una laurea 3+2 (sostenendo alcuni esami per acquisire crediti specifici a seconda della classe per la quale si vuole concorrere) 2) Si sostiene una selezione per classe di concorso 3) Si inizia un apprendistato di tre anni, con progressiva responsabilizzazione. SI viene retribuiti fin dal primo giorno, anche se la prima fase del percorso è di studio e tirocinio 4) Al termine dei tre anni, che comprendono specializzazione e tirocinio (stile vecchia SSIS, ma retribuita) e anno di prova, si entra in ruolo TEMPO MINIMO IMPIEGATO: 8 anni (di cui tre retribuiti). Spese minime: spese di segreteria, retribuzione per tre anni Ora mi spiegate perchè questo sistema configurerebbe uno "sfruttamento?? Perchè sarebbe un sistema ingiusto? Forse perchè invece di chiedere a neo-laureati selezionati di pagare 2500 euro di tasse universitarie li si retribuisce? A volte la propaganda diventa mistificazione. Questa è una di quelle volte

Risposto da Giampaolo Carboniero su 22 Maggio 2015 a 15:13 Le scuole confessionali sono state,negli anni '50, un favore dei governi DC alla curia; poi, nel lassismo ed ignavia di tutti gli altri governi successivi ( o con accordi collaterali al Concordato), tali scuole sono cresciute di numero e si sono allargate anche all'istruzione secondaria e superiore, sempre all'insegna del concordato o dello spirito dell'8 per mille. Perquanto riguarda l'interpretazione del dettato costituzionale, si potrebbe anche dire: la Costituzione proibisce la ricostituzione del partito fascista, ma se quello è già ricostituito, anche sotto altro nome, non ci si può fare nulla?

Risposto da Cristina Favati su 22 Maggio 2015 a 15:57 Spiega di cosa parli, prego. Quale partito fascista si sarebbe ricostituito? Giampaolo Carboniero ha detto: Le scuole confessionali sono state,negli anni '50, un favore dei governi DC alla curia; poi, nel lassismo ed ignavia di tutti gli altri governi successivi ( o con accordi collaterali al Concordato), tali scuole sono cresciute di numero e si sono allargate anche all'istruzione secondaria e superiore, sempre all'insegna del concordato o dello spirito dell'8 per mille. Perquanto riguarda l'interpretazione del dettato costituzionale, si potrebbe anche dire: la Costituzione proibisce la ricostituzione del partito fascista, ma se quello è già ricostituito, anche sotto altro nome, non ci si può fare nulla?

Risposto da Mario Pizzoli su 22 Maggio 2015 a 15:58 vabbè, è come sparà sulla croce rossa... Giampaolo Carboniero ha detto: Le scuole confessionali sono state,negli anni '50, un favore dei governi DC alla curia; poi, nel lassismo ed ignavia di tutti gli altri governi successivi ( o con accordi collaterali al Concordato), tali scuole sono cresciute di numero e si sono allargate anche all'istruzione secondaria e superiore, sempre all'insegna del concordato o dello spirito dell'8 per mille. Perquanto riguarda l'interpretazione del dettato costituzionale, si potrebbe anche dire: la Costituzione proibisce la ricostituzione del partito fascista, ma se quello è già ricostituito, anche sotto altro nome, non ci si può fare nulla?

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Risposto da giorgio varaldo su 22 Maggio 2015 a 16:38 Questo è il solito discorso fatto da chi ha sempre avuto a disposizione i servizi pubblici e che ignora quale sia la situazione reale al di fuori del proprio uscio Se tu avessi abitato a taranto con figli piccini ed entrambi i genitori al lavoro avresti sicuramente un concetto diverso riguardo alla scuola materna gestita dalle suore quindi confessionale Se ci fosse stata una scuola materna e con orari compatibili ad entrambi i genitori al lavoro non avremmo di sicuro usufruito della scuola confessionale come presumo non ne avrebbero usufruito i genitori di di enzo. Concordo il non dare nessun aiuto a chi sceglie di usufruire della scuola privata per scelta propria ma ritengo fuori luogo e del tutto gratuite le critiche riguardo a chi deve fare questa scelta per necessità. E tanto per la cronaca al tempo non abbiamo potuto scaricare dalla dichiarazione dei redditi nessun costo della scuola materna. Giampaolo Carboniero ha detto: Le scuole confessionali sono state,negli anni '50, un favore dei governi DC alla curia; poi, nel lassismo ed ignavia di tutti gli altri governi successivi ( o con accordi collaterali al Concordato), tali scuole sono cresciute di numero e si sono allargate anche all'istruzione secondaria e superiore, sempre all'insegna del concordato o dello spirito dell'8 per mille. Perquanto riguarda l'interpretazione del dettato costituzionale, si potrebbe anche dire: la Costituzione proibisce la ricostituzione del partito fascista, ma se quello è già ricostituito, anche sotto altro nome, non ci si può fare nulla?

Risposto da Giampaolo Carboniero su 22 Maggio 2015 a 18:13 Un intervento le cui osservazioni mi sembrano credibilie coerenti https://lascuolacosaseria.wordpress.com/2013/11/03/scuola-quale-rif...

Risposto da Giampaolo Carboniero su 22 Maggio 2015 a 18:38 La saccenza da ignorante https://www.youtube.com/watch?v=Q-q116fmPEk&feature=youtu.be

Risposto da Giampaolo Carboniero su 22 Maggio 2015 a 19:02 Sarebbe utile sapere se poi quelle scuole confessionali sono state sostituite da scuole pubbliche, o sono servite da alibi per lasciare inalterata la situazione. giorgio varaldo ha detto: Questo è il solito discorso fatto da chi ha sempre avuto a disposizione i servizi pubblici e che ignora quale sia la situazione reale al di fuori del proprio uscio Se tu avessi abitato a taranto con figli piccini ed entrambi i genitori al lavoro avresti sicuramente un concetto diverso riguardo alla scuola materna gestita dalle suore quindi confessionale

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Se ci fosse stata una scuola materna e con orari compatibili ad entrambi i genitori al lavoro non avremmo di sicuro usufruito della scuola confessionale come presumo non ne avrebbero usufruito i genitori di di enzo. Concordo il non dare nessun aiuto a chi sceglie di usufruire della scuola privata per scelta propria ma ritengo fuori luogo e del tutto gratuite le critiche riguardo a chideve fare questa scelta per necessità. E tanto per la cronaca al tempo non abbiamo potuto scaricare dalla dichiarazione dei redditi nessun costo della scuola materna. Giampaolo Carboniero ha detto: Le scuole confessionali sono state,negli anni '50, un favore dei governi DC alla curia; poi, nel lassismo ed ignavia di tutti gli altri governi successivi ( o con accordi collaterali al Concordato), tali scuole sono cresciute di numero e si sono allargate anche all'istruzione secondaria e superiore, sempre all'insegna del concordato o dello spirito dell'8 per mille. Perquanto riguarda l'interpretazione del dettato costituzionale, si potrebbe anche dire: la Costituzione proibisce la ricostituzione del partito fascista, ma se quello è già ricostituito, anche sotto altro nome, non ci si può fare nulla?

Risposto da Mario Pizzoli su 22 Maggio 2015 a 20:30 Quando l'avrai scoperto facce un fischio.... Giampaolo Carboniero ha detto: Sarebbe utile sapere se poi quelle scuole confessionali sono state sostituite da scuole pubbliche, o sono servite da alibi per lasciare inalterata la situazione. giorgio varaldo ha detto: Questo è il solito discorso fatto da chi ha sempre avuto a disposizione i servizi pubblici e che ignora quale sia la situazione reale al di fuori del proprio uscio Se tu avessi abitato a taranto con figli piccini ed entrambi i genitori al lavoro avresti sicuramente un concetto diverso riguardo alla scuola materna gestita dalle suore quindi confessionale Se ci fosse stata una scuola materna e con orari compatibili ad entrambi i genitori al lavoro non avremmo di sicuro usufruito della scuola confessionale come presumo non ne avrebbero usufruito i genitori di di enzo. Concordo il non dare nessun aiuto a chi sceglie di usufruire della scuola privata per scelta propria ma ritengo fuori luogo e del tutto gratuite le critiche riguardo a chideve fare questa scelta per necessità. E tanto per la cronaca al tempo non abbiamo potuto scaricare dalla dichiarazione dei redditi nessun costo della scuola materna. Giampaolo Carboniero ha detto: Le scuole confessionali sono state,negli anni '50, un favore dei governi DC alla curia; poi, nel lassismo ed ignavia di tutti gli altri governi successivi ( o con accordi collaterali al Concordato), tali scuole sono cresciute di numero e si sono allargate anche all'istruzione secondaria e superiore, sempre all'insegna del concordato o dello spirito dell'8 per mille. Perquanto riguarda l'interpretazione del dettato costituzionale, si potrebbe anche dire: la Costituzione proibisce la ricostituzione del partito fascista, ma se quello è già ricostituito, anche sotto altro nome, non ci si può fare nulla?

Risposto da giorgio varaldo su 22 Maggio 2015 a 21:01 Forse mi sono spiegato male se la scuola pubblica avesse avuto posto per tutti e sopratutto osservato orari fatti in funzione dei genitori e non per agli addetti ai lavori non avremmo di sicuro usufruito della scuola privata...e poi quando ci si trova con entrambi i genitori al lavoro e con i nonni ad oltre 1000 km di distanza non si ha tempo per far inutili filosofie ..

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Da cosa dicono amici stattesi oggi la situazione è cambiata ed anche alcune scuole sia materne che elementari sono organizzate a tempo pieno Giampaolo Carboniero ha detto: Sarebbe utile sapere se poi quelle scuole confessionali sono state sostituite da scuole pubbliche, o sono servite da alibi per lasciare inalterata la situazione. giorgio varaldo ha detto: Questo è il solito discorso fatto da chi ha sempre avuto a disposizione i servizi pubblici e che ignora quale sia la situazione reale al di fuori del proprio uscio Se tu avessi abitato a taranto con figli piccini ed entrambi i genitori al lavoro avresti sicuramente un concetto diverso riguardo alla scuola materna gestita dalle suore quindi confessionale Se ci fosse stata una scuola materna e con orari compatibili ad entrambi i genitori al lavoro non avremmo di sicuro usufruito della scuola confessionale come presumo non ne avrebbero usufruito i genitori di di enzo. Concordo il non dare nessun aiuto a chi sceglie di usufruire della scuola privata per scelta propria ma ritengo fuori luogo e del tutto gratuite le critiche riguardo a chideve fare questa scelta per necessità. E tanto per la cronaca al tempo non abbiamo potuto scaricare dalla dichiarazione dei redditi nessun costo della scuola materna. Giampaolo Carboniero ha detto: Le scuole confessionali sono state,negli anni '50, un favore dei governi DC alla curia; poi, nel lassismo ed ignavia di tutti gli altri governi successivi ( o con accordi collaterali al Concordato), tali scuole sono cresciute di numero e si sono allargate anche all'istruzione secondaria e superiore, sempre all'insegna del concordato o dello spirito dell'8 per mille. Perquanto riguarda l'interpretazione del dettato costituzionale, si potrebbe anche dire: la Costituzione proibisce la ricostituzione del partito fascista, ma se quello è già ricostituito, anche sotto altro nome, non ci si può fare nulla?

Risposto da Cristina Favati su 22 Maggio 2015 a 21:06 Semplicemente ha detto una cosa inesatta, non vedo la saccenza e neppure l'ignoranza. Vedo invece una capillare ricerca per trovare tutto il negativo possibile esistente sull'web contro il segretario del PD. Vabbè, ognuno si diverte come può. Giampaolo Carboniero ha detto: La saccenza da ignorante https://www.youtube.com/watch?v=Q-q116fmPEk&feature=youtu.be

Risposto da Cristina Favati su 23 Maggio 2015 a 12:02 E lo dice la Puppato! http://www.intelligonews.it/articoli/20-maggio-2015/26700/buona-scu...

Risposto da Giampaolo Carboniero su 23 Maggio 2015 a 17:15 Grazie.

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giorgio varaldo ha detto: Forse mi sono spiegato male se la scuola pubblica avesse avuto posto per tutti e sopratutto osservato orari fatti in funzione dei genitori e non per agli addetti ai lavori non avremmo di sicuro usufruito della scuola privata...e poi quando ci si trova con entrambi i genitori al lavoro e con i nonni ad oltre 1000 km di distanza non si ha tempo per far inutili filosofie .. Da cosa dicono amici stattesi oggi la situazione è cambiata ed anche alcune scuole sia materne che elementari sono organizzate a tempo pieno Giampaolo Carboniero ha detto: Sarebbe utile sapere se poi quelle scuole confessionali sono state sostituite da scuole pubbliche, o sono servite da alibi per lasciare inalterata la situazione. giorgio varaldo ha detto: Questo è il solito discorso fatto da chi ha sempre avuto a disposizione i servizi pubblici e che ignora quale sia la situazione reale al di fuori del proprio uscio Se tu avessi abitato a taranto con figli piccini ed entrambi i genitori al lavoro avresti sicuramente un concetto diverso riguardo alla scuola materna gestita dalle suore quindi confessionale Se ci fosse stata una scuola materna e con orari compatibili ad entrambi i genitori al lavoro non avremmo di sicuro usufruito della scuola confessionale come presumo non ne avrebbero usufruito i genitori di di enzo. Concordo il non dare nessun aiuto a chi sceglie di usufruire della scuola privata per scelta propria ma ritengo fuori luogo e del tutto gratuite le critiche riguardo a chi deve fare questa scelta per necessità. E tanto per la cronaca al tempo non abbiamo potuto scaricare dalla dichiarazione dei redditi nessun costo della scuola materna. Giampaolo Carboniero ha detto: Le scuole confessionali sono state,negli anni '50, un favore dei governi DC alla curia; poi, nel lassismo ed ignavia di tutti gli altri governi successivi ( o con accordi collaterali al Concordato), tali scuole sono cresciute di numero e si sono allargate anche all'istruzione secondaria e superiore, sempre all'insegna del concordato o dello spirito dell'8 per mille. Perquanto riguarda l'interpretazione del dettato costituzionale, si potrebbe anche dire: la Costituzione proibisce la ricostituzione del partito fascista, ma se quello è già ricostituito, anche sotto altro nome, non ci si può fare nulla?

Risposto da Giampaolo Carboniero su 23 Maggio 2015 a 18:21 Sarebbe utile discutere le obiezioni avanzate da Davanzati? http://temi.repubblica.it/micromega-online/la-scuola-che-piace-a-co...

Risposto da Fabio Colasanti su 23 Maggio 2015 a 19:27 Giampaolo, la critica di Davanzati è tipica di tante cose che si sentono in questi giorni. È un esempio della critica che si aggrappa a cose secondarie con, a volte, spunti di critica di per se stessa (o critica tanto per attaccare il governo). Davanzati sostiene che la riforma della scuola in corso di definizione sia volta ad adattare meglio gli studenti alla realtà del mondo del lavoro che li aspetta dopo la scuola. Ma Davanzati critica lo studio della McKinsey – che secondo lui avrebbe guidato l'azione del governo – perché darebbe troppa importanza al divario tra capacità possedute dagli ex-studenti e capacità richieste dal mondo del lavoro. Secondo lui – e cita altri studi – la causa della disoccupazione sarebbe dovuta molto di più alla mancanza di domanda globale e al basso livello di attività produttiva. Visto che la riforma della scuola sarebbe basata su di uno studio che da troppa importanza all'aspetto del divario di capacità, questa riforma sarebbe sbagliata.

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Questo tipo di ragionamenti fa cascare le braccia e mostra il partito preso di tanti pseudointellettuali. Prima di tutto la McKinsey non ci ha raccontato qualcosa di fuori dal mondo che nessuno aveva detto prima. Del forte divario tra le capacità richieste e quelle possedute dagli studenti italiani si parla da decenni. Esistono tanti studi che lo provaano e un'esperienza aneddotica enorme. Le organizzazioni internazionali hanno messo in evidenza questo problema italiano da tanto tempo e nelle statistiche siamo il paese con il più basso numero di diplomati e laureati in Europa. Quindi, pur non essendo un esperto in questa materia, non ho l'impressione che le cose siano cosi squilibrate come sostiene Davanzati. Ma dove la situazione diventa ridicola è sul che fare; sullaedecisioni pratiche da prendere. La disoccupazione è sicuramente in parte dovuta a ragioni macroeconomiche e in parte ad un problema di mancanza di qualificazioni. Possiamo discutere a lungo su quale percentuale sia dovuta ad una causa e quale all'altra. Ma la disoccupazione di origine macroeconomica dovrà essere combattuta con la politica economica generale. La riforma della scuola deve far si che gli studenti abbiano le migliore competenze possibili qualunque sia la situazione macroeconomica. Seguendo il ragionamento implicito di Davanzati, visto che la situazione macroeconomica è ancora cattiva non vale la pena di fare la riforma della scuola; se non c'è lavoro, è inutile venir preparati ad un lavoro che non c'è. Oltre ad essere stupido in termini generali, un ragionamento del genere ignora anche quella che è la realtà effettiva di una crisi economica. Durante un periodo di buona crescita la disoccupazione è, mettiamo, il 10 per cento. Durante una crisi profonda, la disoccupazione è, per esempio, del 25 per cento. Questo significa che durante un periodo buono, dopo un certo tempo (abbastanza lungo) trova lavoro il 90 degli ex-studenti; durante un periodo difficile trova lavoro solo l'75 per cento degli studenti. Durante un periodo buono come durante una recessione la stragrande maggioranza della ex-popolazione scolastica trova lavoro. La scuola deve assolutamente aiutarla in questo compito. Giampaolo Carboniero ha detto: Sarebbe utile discutere le obiezioni avanzate da Davanzati? http://temi.repubblica.it/micromega-online/la-scuola-che-piace-a-co...

Risposto da Cristina Favati su 23 Maggio 2015 a 19:35 Grazie Fabio. Condivido al 100%. Fabio Colasanti ha detto: Giampaolo, la critica di Davanzati è tipica di tante cose che si sentono in questi giorni. È un esempio della critica che si aggrappa a cose secondarie con, a volte, spunti di critica di per se stessa (o critica tanto per attaccare il governo). Davanzati sostiene che la riforma della scuola in corso di definizione sia volta ad adattare meglio gli studenti alla realtà del mondo del lavoro che li aspetta dopo la scuola. Ma Davanzati critica lo studio della McKinsey – che secondo lui avrebbe guidato l'azione del governo – perché darebbe troppa importanza al divario tra capacità possedute dagli ex-studenti e capacità richieste dal mondo del lavoro. Secondo lui – e cita altri studi – la causa della disoccupazione sarebbe dovuta molto di più alla mancanza di domanda globale e al basso livello di attività produttiva. Visto che la riforma della scuola sarebbe basata su di uno studio che da troppa importanza all'aspetto del divario di capacità, questa riforma sarebbe sbagliata. Questo tipo di ragionamenti fa cascare le braccia e mostra il partito preso di tanti pseudointellettuali. Prima di tutto la McKinsey non ci ha raccontato qualcosa di fuori dal mondo che nessuno aveva detto prima. Del forte divario tra le capacità richieste e quelle possedute dagli studenti italiani si parla da decenni. Esistono tanti studi che lo provaano e un'esperienza aneddotica enorme. Le organizzazioni internazionali hanno messo in evidenza questo problema italiano da tanto tempo e nelle statistiche siamo il paese con il più basso numero di diplomati e laureati in Europa. Quindi, pur non essendo un esperto in questa materia, non ho l'impressione che le cose siano cosi squilibrate come sostiene Davanzati. Ma dove la situazione diventa ridicola è sul che fare; sullaedecisioni pratiche da prendere. La disoccupazione è sicuramente in parte dovuta a ragioni macroeconomiche e in parte ad un problema di mancanza di qualificazioni.

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Possiamo discutere a lungo su quale percentuale sia dovuta ad una causa e quale all'altra. Ma la disoccupazione di origine macroeconomica dovrà essere combattuta con la politica economica generale. La riforma della scuola deve far si che gli studenti abbiano le migliore competenze possibili qualunque sia la situazione macroeconomica. Seguendo il ragionamento implicito di Davanzati, visto che la situazione macroeconomica è ancora cattiva non vale la pena di fare la riforma della scuola; se non c'è lavoro, è inutile venir preparati ad un lavoro che non c'è. Oltre ad essere stupido in termini generali, un ragionamento del genere ignora anche quella che è la realtà effettiva di una crisi economica. Durante un periodo di buona crescita la disoccupazione è, mettiamo, il 10 per cento. Durante una crisi profonda, la disoccupazione è, per esempio, del 25 per cento. Questo significa che durante un periodo buono, dopo un certo tempo (abbastanza lungo) trova lavoro il 90 degli ex-studenti; durante un periodo difficile trova lavoro solo l'75 per cento degli studenti. Durante un periodo buono come durante una recessione la stragrande maggioranza della ex-popolazione scolastica trova lavoro. La scuola deve assolutamente aiutarla in questo compito. Giampaolo Carboniero ha detto: Sarebbe utile discutere le obiezioni avanzate da Davanzati? http://temi.repubblica.it/micromega-online/la-scuola-che-piace-a-co...

Risposto da giorgio varaldo su 23 Maggio 2015 a 19:51 Preciso scuola pubblica Giampaolo Carboniero ha detto: Grazie. giorgio varaldo ha detto: Forse mi sono spiegato male se la scuola pubblica avesse avuto posto per tutti e sopratutto osservato orari fatti in funzione dei genitori e non per agli addetti ai lavori non avremmo di sicuro usufruito della scuola privata...e poi quando ci si trova con entrambi i genitori al lavoro e con i nonni ad oltre 1000 km di distanza non si ha tempo per far inutili filosofie .. Da cosa dicono amici stattesi oggi la situazione è cambiata ed anche alcune scuole sia materne che elementari sono organizzate a tempo pieno

Risposto da Antonino Andaloro su 24 Maggio 2015 a 6:29 Ma vi risulta che la politica dei banchi parlamentari italiani faccia tesoro degli studi della McKinsey o di qualsiasi altra analisi che mette a nudo le situazioni scolastiche e giovanili dei nostri paesi occidentali ? Secondo me fare tesoro di uno studio serio, significa anche provare a fare delle simulazioni e poi se funziona si fà anche la legge. Se non dovesse funzionare la legge si cambia. Ma il problema qui è un'altro, e ve lo dico pur sapendo di essere attaccato, purtroppo il parlamento prima di fare delle leggi utili per i cittadini, esse devono avere prima il consenso delle lobby, i cui interessi non possono corrispondere mai a quelli di noi comuni mortali.

Risposto da Mario Pizzoli su 24 Maggio 2015 a 6:55

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Il sindacato è una lobby, per esempio, e in molti dichiarerebbero che fa gli interessi dei cittadini Un Lobby nasce proprio per fare pressione su un amministratore, ad esempio, per orientare le decisioni in una certa maniera, ad esempio osteggiandone il cammino Ad esempio, gli insegnanti, quando scioperano o minacciano il boicottaggio degli scrutini, si configurano come gruppo di pressione (appunto una Lobby) per orientare, in questo caso le scelte del Governo verso una legge che piaccia loro. E sono pronto a scommettere che sono in molti quelli a dire che in questo caso sia una "lobby" a connotazione positiva, giusto? IL punto è che chiunque, avendone la possibilità si trasforma in una Lobby, se crede di poter orientare le scelte dell'Amministratore di turno, o almeno cerca di farlo I tassisti hanno bloccato molto riforme del settore, paralizzando le città e creando disagi a non finire, per difendere i loro interessi, molto distanti da quelli dei "comuni mortali". Ti sentiresti Antonino di dire due parole di condanna sull'esecrabile esercizio di pressione (attività di Lobby) esercitato dai tassisti per evitare la liberalizzazione del mercato, che ad oggi costa molti soldi ai cittadini? Antonino Andaloro ha detto: Ma il problema qui è un'altro, e ve lo dico pur sapendo di essere attaccato, purtroppo il parlamento prima di fare delle leggi utili per i cittadini, esse devono avere prima il consenso delle lobby, i cui interessi non possono corrispondere mai a quelli di noi comuni mortali.

Risposto da Antonino Andaloro su 24 Maggio 2015 a 8:29 Mario mi dispiace ma fai confusione tra "fare pressione" per difendere alcuni diritti pubblici e civili e fare pressione per difendere alcuni privilegi di pochi. Anzi credo che sia l'occasione per decidere assieme ( e magari parlandone in un apposito post) e chiarire quali sono i bisogni e quali sono i diritti dei cittadini, a prescindere se siano o meno rappresentati da organizzazioni sindacali o da altre tipologie, poichè ho la certezza che queste valutazioni stanno sfuggendo a molte persone.

Risposto da Fabio Colasanti su 24 Maggio 2015 a 10:22 Antonino, chi lo stabilisce chi fa l'interesse dei cittadini e chi fa l'interesse di pochi ? Quando i filotranvieri scioperano per il rinnovo del contratto di lavoro dicono di lottare per un migliore servizio pubblico per i cittadini. Quando alcuni avvocati fanno pressione peché il sistema giudiziario resti com'è dicono di battersi per far si che questo continui ad offrire garanzie a tutti. Gli insegnanti che lottano contro la meritocrazia nella scuola dicono di farlo in nome di alti diritti. La lista degli esempi possibili è lunga. Come Mario ha scritto, tutti in un certo momento siamo parte di una lobby; in democrazia tutti hanno il diritto di esprimere il loro punto di vista e di essere ascoltati. C'è un uso improprio del termine "lobby" che non è assolutamente giustificato. Sono lobby come tutte le altri, i sindacati già ricordati, ma anche le organizzazioni ambientaliste; le organizzazioni di difesa del patrimonio; le organizzazioni per la difesa della parità di genere; le organizzazioni di difesa della famiglia; i radioamatori che non vogliono la trasmissione della banda larga attraverso le linee elettriche perché provocherebbe interferenze; quelli che organizzano concerti, manifestazioni teatrali e altri eventi pubblici che si battono contro il trasferimento alle telecomunicazioni delle bande di frequenze oggi utilizzate per i microfoni senza fili; i gruppi che si battono contro il TTIP, i gruppi che si battono contro gli OGM; le associazioni (ne esistono in tutti i paesi) che si sono costituite per ottenere l'abolizione delle tasse sui supporti di riproduzione (DVD, dischi duri, chiavette, ecc.) e la lista delle lobby esistenti e attive è lunghissima. A Bruxelles, chiunque faccia attività di sostegno per una o l'altra causa deve iscriversi in un registro comune tenuto dalla Commissione europea e dal Parlamento. In questo registro ci sono migliaia di organizzazioni.

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Non è pensabile di poter decidere che alcuni di questi gruppi "fanno l'interesse dei cittadini" e altri "fanno l'interesse di pochi". Si tratta di una valutazione assolutamente soggettiva e senza base fattuale. I radioamatori che si oppongono alla trasmissione della banda larga attraverso le linee elettriche sono certo poche persone. Non avrebbero il diritto di esprimersi e far valere il loro punto di visto? Certo che si. Per me, chi si oppone al TTIP non fa certo l'interesse dei cittadini europei che globalmente guadagnarebbero parecchio da un aumento degli scambi commerciali con gli Stati Uniti; eppure si tratta di milioni di persone. Ti immagini che io (e chi la pensa come me) possa far dichiarare che le organizzazioni che si battono contro il TTIP non sono nell'interesse dei cittadini ? Dobbiamo smetterla di utilizzare impropriamente il termine "lobby". Ogni gruppo ha il diritto di farsi sentire. Questo deve avvenire nella maniera più trasparente possibile. Per questo si fanno quando necessario le consultazioni pubbliche su alcuni temi. Le istituzioni europee (ma anche qualche altro governo europeo) pubblicano poi on line tutti i documenti ricevuti durante la consultazione perché tutti sappiano che informazioni sono state ricevute dall'organismo incaricato di fare la proposta o di decidere. Alla fine, i poteri politici devono prendere posizione basandosi il più possibile sulla qualità degli argomenti, che non sul numero delle persone che li hanno espressi. Una fesseria ripetuta da milioni di persone rimane una fesseria; un argomento giusto avanzato da un pugno di persone rimane un argomento giusto. Purtroppo la ricerca di consenso elettorale fa si che molto spesso il numero prevalga. Antonino Andaloro ha detto: Mario mi dispiace ma fai confusione tra "fare pressione" per difendere alcuni diritti pubblici e civili e fare pressione per difendere alcuni privilegi di pochi. Anzi credo che sia l'occasione per decidere assieme ( e magari parlandone in un apposito post) e chiarire quali sono i bisogni e quali sono i diritti dei cittadini, a prescindere se siano o meno rappresentati da organizzazioni sindacali o da altre tipologie, poichè ho la certezza che queste valutazioni stanno sfuggendo a molte persone.

Risposto da Mario Pizzoli su 24 Maggio 2015 a 11:47 Scusami ma non faccio affatto confusioni, sei tu che dai significati alle cose che non hanno. Lobby = Gruppo di pressione. Su cosa poi facciano pressione può determinare il fatto che tu consideri quel gruppo positivo o negativo. Ti ho fatto l'esempio dei tassisti, perchè è una lobby potente che non fa l'interesse dei cittadini ma i propri. Alcuni insegnanti fanno lo stesso, visto che non difendono diritti civili, ma alcuni privilegi. E si può discutere per ore... Ma per favore, non cominciare a dire dove gli altri sbagliano. E' una visione parziale e demagogica Antonino Andaloro ha detto: Mario mi dispiace ma fai confusione tra "fare pressione" per difendere alcuni diritti pubblici e civili e fare pressione per difendere alcuni privilegi di pochi. Anzi credo che sia l'occasione per decidere assieme ( e magari parlandone in un apposito post) e chiarire quali sono i bisogni e quali sono i diritti dei cittadini, a prescindere se siano o meno rappresentati da organizzazioni sindacali o da altre tipologie, poichè ho la certezza che queste valutazioni stanno sfuggendo a molte persone.

Risposto da Antonino Andaloro su 24 Maggio 2015 a 12:35 Quindi secondo questo ragionamento, visto che Fabio li chiama gruppi di interesse, fino adesso hanno sbagliato tutti coloro che nella storia hanno manifestato, o che hanno fatto sciopero,per rivendicare i propri diritti, anche il riconoscimento della parità tra uomo - donna ? Secondo questo ragionamento sbagliano i consumatori che pretendono di conoscere l'origine degli alimenti perchè fanno l'interesse solo di un gruppo ristretto? Ma dai come si può pensare che questi temi interessano solo alcuni ed altri no..

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Per te non è un diritto sapere cosa stai mettendo sulla tavola ? Se il prodotto che ha una scadenza è ancora valido o meno ?

Risposto da Romano Meloni su 24 Maggio 2015 a 13:44 Antonino si chiede "fino adesso hanno sbagliato tutti coloro che nella storia hanno manifestato, o che hanno fatto sciopero,per rivendicare i propri diritti, anche il riconoscimento della parità tra uomo - donna ?" No, non hanno sbagliato, hanno esercitato una pressione per proteggere o affermare un proprio interesse/diritto. Come è normale che facciano i gruppi che si riuniscono attorno ad un interesse. Altri possono avere un interesse diverso o anche confligente. L'arbitraggio, quello che poi definiamo interesse generale, è affidato alle istituzioni che escono dal confronto democratico, dunque dalla contesa politica, dunque, da noi, governo e parlamento. Antonino Andaloro ha detto: Quindi secondo questo ragionamento, visto che Fabio li chiama gruppi di interesse, fino adesso hanno sbagliato tutti coloro che nella storia hanno manifestato, o che hanno fatto sciopero,per rivendicare i propri diritti, anche il riconoscimento della parità tra uomo - donna ? Secondo questo ragionamento sbagliano i consumatori che pretendono di conoscere l'origine degli alimenti perchè fanno l'interesse solo di un gruppo ristretto? Ma dai come si può pensare che questi temi interessano solo alcuni ed altri no.. Per te non è un diritto sapere cosa stai mettendo sulla tavola ? Se il prodotto che ha una scadenza è ancora valido o meno ?

Risposto da Giampaolo Carboniero su 24 Maggio 2015 a 19:38 Fabio, il 95% delle imprese sono micro o piccole imprese, poco innovative e che cercano soprattutto manodopera a basso costo, vogliamo incentrare la strategia formativa della scuola in questa direzione, o vogliamo formare giovani che imparino a lavorare in gruppo, in maniera interdisciplinare, a ragionare fuori degli schemi per poter pensare e costruire innovazione, formati al futuro e non al passato? Non vorrei che fra qualche anno, pensando alla possibilità che anche l'impresa cominci ad innovare, ci trovassimo invece con una generazione formata per le esigenze del passato. Mi sembrava di aver capito che l'intervento di Davanzati andasse anche in questa direzione, o sollecitasse tale tipo di riflessioni, ma forse ho capito male. Secondo me la scuola deve preoccuparsi del livello di istruzione e cultura di un popolo, perchè solo tale condizione crea situazioni in cui nascono le idee, l'innovazione e la resilienza sufficiente a affrontare i cambiamenti sempre più rapidi delle società.

Risposto da Giampaolo Carboniero su 24 Maggio 2015 a 19:49 Esiste mai la possibilità di monitorare i risultati, dopo tot tempo, e, eventulamente, re le decisioni in maniera conseguente e funzionale? Fabio Colasanti ha detto: Antonino, chi lo stabilisce chi fa l'interesse dei cittadini e chi fa l'interesse di pochi ? Quando i filotranvieri scioperano per il rinnovo del contratto di lavoro dicono di lottare per un migliore servizio pubblico per i cittadini. Quando alcuni avvocati fanno pressione peché il sistema giudiziario resti com'è dicono di battersi per far si che questo continui ad

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offrire garanzie a tutti. Gli insegnanti che lottano contro la meritocrazia nella scuola dicono di farlo in nome di alti diritti. La lista degli esempi possibili è lunga. Come Mario ha scritto, tutti in un certo momento siamo parte di una lobby; in democrazia tutti hanno il diritto di esprimere il loro punto di vista e di essere ascoltati. C'è un uso improprio del termine "lobby" che non è assolutamente giustificato. Sono lobby come tutte le altri, i sindacati già ricordati, ma anche le organizzazioni ambientaliste; le organizzazioni di difesa del patrimonio; le organizzazioni per la difesa della parità di genere; le organizzazioni di difesa della famiglia; i radioamatori che non vogliono la trasmissione della banda larga attraverso le linee elettriche perché provocherebbe interferenze; quelli che organizzano concerti, manifestazioni teatrali e altri eventi pubblici che si battono contro il trasferimento alle telecomunicazioni delle bande di frequenze oggi utilizzate per i microfoni senza fili; i gruppi che si battono contro il TTIP, i gruppi che si battono contro gli OGM; le associazioni (ne esistono in tutti i paesi) che si sono costituite per ottenere l'abolizione delle tasse sui supporti di riproduzione (DVD, dischi duri, chiavette, ecc.) e la lista delle lobby esistenti e attive è lunghissima. A Bruxelles, chiunque faccia attività di sostegno per una o l'altra causa deve iscriversi in un registro comune tenuto dalla Commissione europea e dal Parlamento. In questo registro ci sono migliaia di organizzazioni. Non è pensabile di poter decidere che alcuni di questi gruppi "fanno l'interesse dei cittadini" e altri "fanno l'interesse di pochi". Si tratta di una valutazione assolutamente soggettiva e senza base fattuale. I radioamatori che si oppongono alla trasmissione della banda larga attraverso le linee elettriche sono certo poche persone. Non avrebbero il diritto di esprimersi e far valere il loro punto di visto? Certo che si. Per me, chi si oppone al TTIP non fa certo l'interesse dei cittadini europei che globalmente guadagnarebbero parecchio da un aumento degli scambi commerciali con gli Stati Uniti; eppure si tratta di milioni di persone. Ti immagini che io (e chi la pensa come me) possa far dichiarare che le organizzazioni che si battono contro il TTIP non sono nell'interesse dei cittadini ? Dobbiamo smetterla di utilizzare impropriamente il termine "lobby". Ogni gruppo ha il diritto di farsi sentire. Questo deve avvenire nella maniera più trasparente possibile. Per questo si fanno quando necessario le consultazioni pubbliche su alcuni temi. Le istituzioni europee (ma anche qualche altro governo europeo) pubblicano poi on line tutti i documenti ricevuti durante la consultazione perché tutti sappiano che informazioni sono state ricevute dall'organismo incaricato di fare la proposta o di decidere. Alla fine, i poteri politici devono prendere posizione basandosi il più possibile sulla qualità degli argomenti, che non sul numero delle persone che li hanno espressi. Una fesseria ripetuta da milioni di persone rimane una fesseria; un argomento giusto avanzato da un pugno di persone rimane un argomento giusto. Purtroppo la ricerca di consenso elettorale fa si che molto spesso il numero prevalga. Antonino Andaloro ha detto: Mario mi dispiace ma fai confusione tra "fare pressione" per difendere alcuni diritti pubblici e civili e fare pressione per difendere alcuni privilegi di pochi. Anzi credo che sia l'occasione per decidere assieme ( e magari parlandone in un apposito post) e chiarire quali sono i bisogni e quali sono i diritti dei cittadini, a prescindere se siano o meno rappresentati da organizzazioni sindacali o da altre tipologie, poichè ho la certezza che queste valutazioni stanno sfuggendo a molte persone.

Risposto da Giampaolo Carboniero su 24 Maggio 2015 a 19:51 Ma perchè assumi che "alcuni insegnati" siano la maggioranza, per giustificare tutto il discorso? Mario Pizzoli ha detto: Scusami ma non faccio affatto confusioni, sei tu che dai significati alle cose che non hanno. Lobby = Gruppo di pressione. Su cosa poi facciano pressione può determinare il fatto che tu consideri quel gruppo positivo o negativo. Ti ho fatto l'esempio dei tassisti, perchè è una lobby potente che non fa l'interesse dei cittadini ma i propri. Alcuni insegnanti fanno lo stesso, visto che non difendono diritti civili, ma alcuni privilegi. E si può discutere per ore... Ma per favore, non cominciare a dire dove gli altri sbagliano. E' una visione parziale e demagogica Antonino Andaloro ha detto: Mario mi dispiace ma fai confusione tra "fare pressione" per difendere alcuni diritti pubblici e civili e fare pressione per difendere alcuni privilegi di pochi.

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Anzi credo che sia l'occasione per decidere assieme ( e magari parlandone in un apposito post) e chiarire quali sono i bisogni e quali sono i diritti dei cittadini, a prescindere se siano o meno rappresentati da organizzazioni sindacali o da altre tipologie, poichè ho la certezza che queste valutazioni stanno sfuggendo a molte persone.

Risposto da Mario Pizzoli su 24 Maggio 2015 a 20:29 Non so dove hai letto che assumo che alcuni insegnanti siano la maggioranza. Non facevo affatto una questione di numeri. Era un esempio per definire alcuni gruppi di pressione che alternativamente possono essere considerati negativi, se ad esempio i diritti per cui lottano sono considerati negativi da altri, oppure positivi, se ad esempio altri vi si rispecchiano. Il gruppo di pressione non è un gruppo per forza numeroso, non è necessariamente la maggioranza, nemmeno a volte nella categoria. Giampaolo Carboniero ha detto: Ma perchè assumi che "alcuni insegnati" siano la maggioranza, per giustificare tutto il discorso? Mario Pizzoli ha detto: Scusami ma non faccio affatto confusioni, sei tu che dai significati alle cose che non hanno. Lobby = Gruppo di pressione. Su cosa poi facciano pressione può determinare il fatto che tu consideri quel gruppo positivo o negativo. Ti ho fatto l'esempio dei tassisti, perchè è una lobby potente che non fa l'interesse dei cittadini ma i propri. Alcuni insegnanti fanno lo stesso, visto che non difendono diritti civili, ma alcuni privilegi. E si può discutere per ore... Ma per favore, non cominciare a dire dove gli altri sbagliano. E' una visione parziale e demagogica Antonino Andaloro ha detto: Mario mi dispiace ma fai confusione tra "fare pressione" per difendere alcuni diritti pubblici e civili e fare pressione per difendere alcuni privilegi di pochi. Anzi credo che sia l'occasione per decidere assieme ( e magari parlandone in un apposito post) e chiarire quali sono i bisogni e quali sono i diritti dei cittadini, a prescindere se siano o meno rappresentati da organizzazioni sindacali o da altre tipologie, poichè ho la certezza che queste valutazioni stanno sfuggendo a molte persone.

Risposto da giorgio varaldo su 24 Maggio 2015 a 21:45 giampaolo ma dove prendi questi dati? Tutte le piccole imprese facenti parte di filiere industriali debbono dotarsi di certificazione di qualità quindi debbono rispettare determinati standard qualitativi pertanto il livello medio è sicuramente più elevato di quello da te ipotizzato. Riguardo ai concetti di capacità di lavorare in gruppo è sicuramente valido ma è un discorso da sviluppare in azienda. In questo contesto essenzialmente multidisciplinare la scuola deve dare ai ragazzi le basi per poter apprendere nuove tecnologie e gli strumenti di base sono la conoscenza delle materie scientifiche ed ovviamente delle lingue straniere. Ed in tale quadro l'inserire brevi periodi lavorativi nel percorso di studio consente ai ragazzi di acquisire la mentalità lavorativa in modo non traumatico e propedeutica per quando l'inserimento sarà effettivo. Giampaolo Carboniero ha detto: Fabio, il 95% delle imprese sono micro o piccole imprese, poco innovative e che cercano soprattutto manodopera a basso costo, vogliamo incentrare la strategia formativa della scuola in questa direzione, o vogliamo formare giovani che imparino a lavorare in gruppo, in maniera interdisciplinare, a ragionare fuori degli schemi per poter pensare e costruire innovazione, formati al futuro e non al passato? Non vorrei che fra qualche anno, pensando alla possibilità che anche l'impresa cominci ad innovare, ci trovassimo invece con una generazione formata per le esigenze del passato. Mi sembrava di aver capito che l'intervento di Davanzati andasse anche in questa direzione, o sollecitasse tale tipo di riflessioni, ma forse ho capito male.

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Risposto da Fabio Colasanti su 24 Maggio 2015 a 22:04 Giampaolo, potresti indicare una sola proposta nella riforma della scuola attualmente in discussione che vada nella direzione di formare mano d'opera a basso costo? Giampaolo Carboniero ha detto: Fabio, il 95% delle imprese sono micro o piccole imprese, poco innovative e che cercano soprattutto manodopera a basso costo, vogliamo incentrare la strategia formativa della scuola in questa direzione, o vogliamo formare giovani che imparino a lavorare in gruppo, in maniera interdisciplinare, a ragionare fuori degli schemi per poter pensare e costruire innovazione, formati al futuro e non al passato? Non vorrei che fra qualche anno, pensando alla possibilità che anche l'impresa cominci ad innovare, ci trovassimo invece con una generazione formata per le esigenze del passato. Mi sembrava di aver capito che l'intervento di Davanzati andasse anche in questa direzione, o sollecitasse tale tipo di riflessioni, ma forse ho capito male. Secondo me la scuola deve preoccuparsi del livello di istruzione e cultura di un popolo, perchè solo tale condizione crea situazioni in cui nascono le idee, l'innovazione e la resilienza sufficiente a affrontare i cambiamenti sempre più rapidi delle società.

Risposto da Fabio Colasanti su 24 Maggio 2015 a 22:18 Giorgio, questo è un punto importantissimo. Nella notte dei tempi, quando preparavo la mia tesi di laurea con l'aiuto di Ezio Tarantelli, uno dei libri che dovetti leggere e di cui ricordo il ancora oggi era un libro degli anni cinquanta di John T. Dunlop, "The structuring of the labor force". Il principale dellibro era proprio la difficoltà a fare capire ai giovani come si vive sul posto di lavoro. Il paragone che riassumeva l'idea del libro era la differenza tra il figlio dell'operaio e il figlio del contadino. Il figlio dell'operaio era abituato a vedere il padre ad alzarsi a certe ore, a fare attenzione ad arrivare sul posto di lavoro in orario, a cambiare orari e a fare, quando necessario, gli straordinari. Il figlio dell'operaio viveva tutto questo nella vita di suo padre e nelle conversazioni familiari. Il giorno che fosse toccato a lui entrare nelmondo del lavoro avrebbe portato con se questo bagaglio culturale. Il figlio del contadino viene da una realtà forse anche più dura, ma viene da una realtà dove se si va sul campo alle sei o alle sei e mezza non casca ilmondo, non si viene puniti, dove la maniera di lavorare è molto individuale, dove c'è il periodo della raccolta che viene prima di ogni altra cosa. Il giorno che le politiche di sviluppo portano le imprese nelle zone agricole, non è facile assumere persone che siano abituate al lavoro in impresa, al lavoro in gruppo. Per Dunlop questa era una delle forti difficoltà nellepolitiche di sviluppo per tutti ipaesi che si cercava di sviluppare in quegli anni. In maniera un po' diversa il problema rimane di attualità anche oggi. Per questo gli stages di formazione e i periodi di apprendistato - a tutti i livelli - sono importantissimi. giorgio varaldo ha detto: ( ... ) Ed in tale quadro l'inserire brevi periodi lavorativi nel percorso di studio consente ai ragazzi di acquisire la mentalità lavorativa in modo non traumatico e propedeutica per quando l'inserimento sarà effettivo.

Risposto da giovanni de sio cesari su 25 Maggio 2015 a 17:55 Fabio,

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Certo nella notte dei tempi c era il problema di una massa di contadini che diventavano operai: si parlava allora del tempo sacro delle campagne contrapposto al tempo meccanico dell industria In realtà non era solo certo il tempo ma tutto un mondo millenario con i suoi valori e modelli e stili di vita che andava sparendo. Ora ci sono operai che cercano di diventare contadini ma contadini si nasce non si diventa Il problema però è generale, sempre di grande importanza: si vuole evitare lo scolastico cioè l’dea che tutto possa essere risolto dalla scuola (come giustizialismo, familismo e altri Ismi) La scuola è solo una fra le tante agenzie educative, ce ne sono tante altre e non si può ridurre tutta la educazione alla scuola e nemmeno tutta la preparazione La scuola occupa uno spazio di tempo immenso ma spesso è solo un grande parcheggio Per questo dobbiamo anche alternare scuole e lavoro se vogliamo dare una preparazione veramente efficace. D altra parte in Germania lo fanno dai tempi di Bismark e pare che abbia dato ottimi risultati Tuttavia la nostra tradizione educativa si basa sul presupposto che la scuola formi solo lo strumento testa e che poi mestieri e professioni si imparino con l’apprendistato. E’ successo cosi che i nostri istituti professionale e tecnici si sono alla fine licealizzati . Il problema è che almeno per gli impieghi statali alla fine l’apprendistato non esiste veramente: si diventa allora giudici solo perche si ha una certa preparazione teorica senza alcun riscontro sulle capacita di fare il mestiere di giudice: ma questo non avviene solo nel campo giudiziario. Fabio Colasanti ha detto: Giorgio, questo è un punto importantissimo. Nella notte dei tempi, quando preparavo la mia tesi di laurea con l'aiuto di Ezio Tarantelli, uno dei libri che dovetti leggere e di cui ricordo il ancora oggi era un libro degli anni cinquanta di John T. Dunlop, "The structuring of the labor force". Il principale dellibro era proprio la difficoltà a fare capire ai giovani come si vive sul posto di lavoro. Il paragone che riassumeva l'idea del libro era la differenza tra il figlio dell'operaio e il figlio del contadino. Il figlio dell'operaio era abituato a vedere il padre ad alzarsi a certe ore, a fare attenzione ad arrivare sul posto di lavoro in orario, a cambiare orari e a fare, quando necessario, gli straordinari. Il figlio dell'operaio viveva tutto questo nella vita di suo padre e nelle conversazioni familiari. Il giorno che fosse toccato a lui entrare nelmondo del lavoro avrebbe portato con se questo bagaglio culturale. Il figlio del contadino viene da una realtà forse anche più dura, ma viene da una realtà dove se si va sul campo alle sei o alle sei e mezza non casca ilmondo, non si viene puniti, dove la maniera di lavorare è molto individuale, dove c'è il periodo della raccolta che viene prima di ogni altra cosa. Il giorno che le politiche di sviluppo portano le imprese nelle zone agricole, non è facile assumere persone che siano abituate al lavoro in impresa, al lavoro in gruppo. Per Dunlop questa era una delle forti difficoltà nellepolitiche di sviluppo per tutti ipaesi che si cercava di sviluppare in quegli anni. In maniera un po' diversa il problema rimane di attualità anche oggi. Per questo gli stages di formazione e i periodi di apprendistato - a tutti i livelli - sono importantissimi. giorgio varaldo ha detto: ( ... ) Ed in tale quadro l'inserire brevi periodi lavorativi nel percorso di studio consente ai ragazzi di acquisire la mentalità lavorativa in modo non traumatico e propedeutica per quando l'inserimento sarà effettivo.

Risposto da Giampaolo Carboniero su 25 Maggio 2015 a 18:56 Visti i raffronti seguenti, non mi pare che i problemi della nostra scuola possano essere risolti da una qualche figura di sindaco-sceriffo-preside e dalla buona volontà dei privati, comunque incentivati http://www.fga.it/uploads/media/Argentin___Giancola_2013__Diventare...

Risposto da Fabio Colasanti su 25 Maggio 2015 a 19:32

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Giovanni, è verissimo quello che dici, soprattutto nell'ultima parte dell'intervento sul fatto che si entra in molte professioni senza una preparazione specifica. In teoria, in alcuni casi si entra "in prova" e si viene confermati dopo qualche mese. Alla Commissione europea avevamo questa possibilità, ma era utilizzata rarissimamente. Per i laureati, il periodo di prova era di nove mesi. Ricordo un caso di scuola, tra i pochi in cui abbiamo utilizzato questa possibilità. Si è trattato di un giovane economista italiano (oggi è in pensione anche lui, tutto è relativo) geniale, ma senza alcun senso pratico o, utilizzando l'espressione romana, "senso delle cose". Il giovane in questione era risultato tra i più brillanti nel concorso, risultando quasi il migliore nelle prove scritte, ma era inutilizzabile per ogni lavoro concreto. La cosa fu naturalmente tragica, ma con aspetti divertenti. Come funzionario ancora abbastanza giovane mi era stato chiesto di fare da "mentore" di alcuni nuovi assunti, tra cui il giovane in questione. Lo accompagnai dal direttore della nostra direzione perche si conoscessero, un'occasione puramente formale. Il direttore disse qualche parola di benvenuto e poi chiese al nostro giovane di dirci quali erano sue prime impressioni della Commissione europa. Il tizio comincio con un "Come aveva detto Watanabe." Ci disse chi era il Watanabe in questione (uno scienziato in non ricordo più che campo), ma non ci disse mai cosa aveva detto il tizio perché si lanciò in una disquisizione su di una disputa scientifica in cui lo scienziato era stato coinvolto, ingiustamente a giudizio nel nostro giovane. Il direttore si mise a guardarmi con occhi spalancati e io devo aver risposto nella stessa maniera. Il nostro giovane non si rese assolutamente conto delle nostre reazioni ed andò avanti raccontandoci i dettagli della disquisizione scientifica per un bel po'. Sul lavoro non si riusciva a fargli fare un briefing in cui potesse riassumere e spiegare in un paio di pagine un problema complesso, cosa che facevamo regolarmente per il nostro livello politico. Non si poteva nemmeno pensare di mandarlo a delle riunioni esterne a prendere possizione a nome della Commissione europea. Alla fine dei nove mesi, utilizzammo la possibilità di estendere il periodo di prova di altri tre mesi, ma alla fine fu licenziato. Dopo qualche tempo, trovò un nuovo lavoro come bibliotecario di una grossa organizzazione internazionale, un lavoro molto più adatto alla sua indole. Sono ancora in contatto con lui. La sua assunzione mostra come i concorsi pubblici siano inevitabilmente sbilanciati a favore di quello che è verificabile e quantificabile. Le caratteristiche personali possono essere valutate solo in maniera soggettiva e quindi sono quasi sempre escluse dalle prove dei concorsi. giovanni de sio cesari ha detto: Fabio, Certo nella notte dei tempi c era il problema di una massa di contadini che diventavano operai: si parlava allora del tempo sacro delle campagne contrapposto al tempo meccanico dell industria In realtà non era solo certo il tempo ma tutto un mondo millenario con i suoi valori e modelli e stili di vita che andava sparendo. Ora ci sono operai che cercano di diventare contadini ma contadini si nasce non si diventa Il problema però è generale, sempre di grande importanza: si vuole evitare lo scolastico cioè l’dea che tutto possa essere risolto dalla scuola (come giustizialismo, familismo e altri Ismi) La scuola è solo una fra le tante agenzie educative, ce ne sono tante altre e non si può ridurre tutta la educazione alla scuola e nemmeno tutta la preparazione La scuola occupa uno spazio di tempo immenso ma spesso è solo un grande parcheggio Per questo dobbiamo anche alternare scuole e lavoro se vogliamo dare una preparazione veramente efficace. D altra parte in Germania lo fanno dai tempi di Bismark e pare che abbia dato ottimi risultati Tuttavia la nostra tradizione educativa si basa sul presupposto che la scuola formi solo lo strumento testa e che poi mestieri e professioni si imparino con l’apprendistato. E’ successo cosi che i nostri istituti professionale e tecnici si sono alla fine licealizzati . Il problema è che almeno per gli impieghi statali alla fine l’apprendistato non esiste veramente: si diventa allora giudici solo perche si ha una certa preparazione teorica senza alcun riscontro sulle capacita di fare il mestiere di giudice: ma questo non avviene solo nel campo giudiziario.

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Risposto da Fabio Colasanti su 25 Maggio 2015 a 19:39 Giampaolo, questa non è una maniera corretta di discutere. Se sei contro una proposta specifica porta argomenti per spiegare perché la proposta sarebbe sbagliata. Non si puo' essere contro questa o quella proposta (per esempio maggiori poteri al preside) perché i tetti delle scuole cadono o la formazione degli insegnanti in altri paesi è fatta in maniera diversa o nel sud Italia fa più caldo che in Finlandia. Il "benaltrismo" non serve a nulla ed è lo strumento di chi non ha argomenti. Giampaolo Carboniero ha detto: Visti i raffronti seguenti, non mi pare che i problemi della nostra scuola possano essere risolti da una qualche figura di sindaco-sceriffo-preside e dalla buona volontà dei privati, comunque incentivati http://www.fga.it/uploads/media/Argentin___Giancola_2013__Diventare...

Risposto da Romano Meloni su 25 Maggio 2015 a 20:32 Giampaolo, veramente il lavoro che hai postato (lo hai letto?) parla prevalentemente dei sistemi di formazione degli insegnanti. Anche in Italia, come nei paesi oggetto dello studio, se ne occupa l'Università. Che ci'azzeccano i sindaci-sceriffi-presidi? Per quanto riguarda il reclutamento, ecco cosa dice lo studio a proposito del sistema inglese: primi anni O anta, gli insegnan erano impiega di un’autorità educativa locale (LEA –Local Education Authority) e poi assegnati ad una determinata scuola. Dall’inizio degli anni Novanta, con l’affermarsi delle logiche di quasi mercato, i bilanci e poteri contra uali sono sta progressivamente devolu ai singoli is tu scolas ci e gli insegnan vengono dire amente recluta da una determinata scuola, o da un gruppo di scuole, come è il caso di alcune ‘catene’ di accademie supportate dallo Stato. I nuovi insegnanti, alla fine del loro percorso universitario e dopo un anno di PGCE (Postgraduate Certificate of Education)rispondono direttamente ad offerte pubblicizzate sulla stampa educativa o si iscrivono ad agenzie di reclutamento che operano per conto delle scuole. Le Accademie, le Free Schools, le scuole statali indipendenti, sono in grado di fissare i propri termini e condizioni contrattuali, mentre le altre scuole devono ancora impiegare gli insegnanti in base a termini e condizioni di lavoro negoziate a livello nazionale, anche se questa di- sposizione è attualmente in discussione e quindi incerta per il futuro. Che te ne pare? Giampaolo Carboniero ha detto: Visti i raffronti seguenti, non mi pare che i problemi della nostra scuola possano essere risolti da una qualche figura di sindaco-sceriffo-preside e dalla buona volontà dei privati, comunque incentivati http://www.fga.it/uploads/media/Argentin___Giancola_2013__Diventare...

Risposto da giovanni de sio cesari su 25 Maggio 2015 a 21:45 Fabio Nelle libere professioni e nei mestieri è la clientela che valuta, negli impieghi privati il proprietario (il gestore): negli impieghi pubblici il periodo di prova o il licenziamento per scarso rendimento sono possibilita solo teoriche (a meno che non succede qualcosa di grosso). In alcune carriere pero la valutazione delle capacita conta per l’avanzamento, in altre vi è solo la anzianità come per l’insegnante che in effetti puo fare quello che vuole. La figura del preside fu demonizzata negli anni 70 come espressione dell’autoritarismo, il nemico della libertà e della autonomia: perdendo quei pochissimi poteri che aveva. poi dagli anni 90 si è cercato di ridargli poteri, gli hanno dato

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anche il titolo di dirigente scolastico. La ennesima attuale riforma della scuola cerca di ridargli per l’ennesima volta un qualche potere, ma la mentalità generale della scuola rimane ostile, fortemente ostile In USA invece il headmaster assume e licenzia ( meglio: non rinnova il contratto ) gli insegnanti come se fosse un gestore privato: ma, come ricordavi tu. è nella mentalità americana amministrare il pubblico con criteri privatistici. Qui si parte dall’assunto che se uno ha vinto un concorso allora è anche, per definizione, capace di insegnare: si tratta di una assoluta sciocchezza, naturalmente (a prescindere che moltissimi non hanno vinto nessun concorso). Ma Civati dice che non potrà votare questa riforma, ne fa un problema di coscienza: a tanto giunge il furore anti Renzi. Fabio Colasanti ha detto: Giovanni, è verissimo quello che dici, soprattutto nell'ultima parte dell'intervento sul fatto che si entra in molte professioni senza una preparazione specifica. In teoria, in alcuni casi si entra "in prova" e si viene confermati dopo qualche mese. Alla Commissione europea avevamo questa possibilità, ma era utilizzata rarissimamente. Per i laureati, il periodo di prova era di nove mesi. Ricordo un caso di scuola, tra i pochi in cui abbiamo utilizzato questa possibilità. Si è trattato di un giovane economista italiano (oggi è in pensione anche lui, tutto è relativo) geniale, ma senza alcun senso pratico o, utilizzando l'espressione romana, "senso delle cose". Il giovane in questione era risultato tra i più brillanti nel concorso, risultando quasi il migliore nelle prove scritte, ma era inutilizzabile per ogni lavoro concreto. La cosa fu naturalmente tragica, ma con aspetti divertenti. Come funzionario ancora abbastanza giovane mi era stato chiesto di fare da "mentore" di alcuni nuovi assunti, tra cui il giovane in questione. Lo accompagnai dal direttore della nostra direzione perche si conoscessero, un'occasione puramente formale. Il direttore disse qualche parola di benvenuto e poi chiese al nostro giovane di dirci quali erano sue prime impressioni della Commissione europa. Il tizio comincio con un "Come aveva detto Watanabe." Ci disse chi era il Watanabe in questione (uno scienziato in non ricordo più che campo), ma non ci disse mai cosa aveva detto il tizio perché si lanciò in una disquisizione su di una disputa scientifica in cui lo scienziato era stato coinvolto, ingiustamente a giudizio nel nostro giovane. Il direttore si mise a guardarmi con occhi spalancati e io devo aver risposto nella stessa maniera. Il nostro giovane non si rese assolutamente conto delle nostre reazioni ed andò avanti raccontandoci i dettagli della disquisizione scientifica per un bel po'. Sul lavoro non si riusciva a fargli fare un briefing in cui potesse riassumere e spiegare in un paio di pagine un problema complesso, cosa che facevamo regolarmente per il nostro livello politico. Non si poteva nemmeno pensare di mandarlo a delle riunioni esterne a prendere possizione a nome della Commissione europea. Alla fine dei nove mesi, utilizzammo la possibilità di estendere il periodo di prova di altri tre mesi, ma alla fine fu licenziato. Dopo qualche tempo, trovò un nuovo lavoro come bibliotecario di una grossa organizzazione internazionale, un lavoro molto più adatto alla sua indole. Sono ancora in contatto con lui. La sua assunzione mostra come i concorsi pubblici siano inevitabilmente sbilanciati a favore di quello che è verificabile e quantificabile. Le caratteristiche personali possono essere valutate solo in maniera soggettiva e quindi sono quasi sempre escluse dalle prove dei concorsi.

Risposto da Arturo Hermann su 25 Maggio 2015 a 23:11 E' una questione complessa, e non entro nei dettagli della riforma, ma su cosa si basa l'idea che dare più potere ai presidi conduca ad una maggiore efficienza? Su un'equiparazione alquanto irrealistica con l'ideale della perfetta concorrenza. In tale sistema, si afferma, se un manager assume un lavoratore inefficiente, viene immediatamente punito dalla disciplina del mercato. Quest'idea, che forse può funzionare per mercati semplici - se prendo un pizzaiolo scarso perdo subito i clienti -.già funziona in modo molto più indiretto e dubbio in mercati complessi dove vi sono rilevanti imperfezioni di mercato. Ma funziona ancora meno, o non funziona per niente, in attività complesse in cui sono presenti rilevanti beni pubblici.

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Nel contesto della scuola, un preside può valutare efficacemente solo aspetti formali - le presenze ed il rispetto delle regole - ma, a mio modesto avviso, non può (e non è nemmeno in grado di) entrare nel merito della qualità dell'insegnamento. Ma su che basi? Il professore è un professionista ed ha autonomia nello svolgimento delle sue funzioni, per una valutazione accurata sono necessari numerosi parametri di natura oggettiva e solo una commissione apposita ed indipendente può farlo. E qui casca l'asino, perché per tale valutazione occorre che siano chiari gli obiettivi di miglioramento del sistema scolastico, ma è così? Se non è così, e se l'obiettivo del preside è realizzare solo un risparmio a budget, si otterrà un decadimento di tutto il sistema scolastico pubblico, e saranno privilegiati solo colore che potranno accedere a scuole più costose.

Risposto da giovanni de sio cesari su 25 Maggio 2015 a 23:21 Arturo Ripeto quanto detto a questo proroposito il problema non è fare classifica a chi è più bravo ma di individuare, segnalare chi comunque insegna e chi non fa nulla Mi spiego con un esempio vissuto in questi giorni sto cercando di aiutare una ragazza mia parente che sta al terzo liceo psico sociologico Situazione Non hanno fatto praticamente nulla di sociologia e psicologia Il programma di filosofia si è fermato a Socrate, fatto malissimo Italiano sono arrivati a Ariosto ma non hanno letto mai un rigo di antologia e via di questo passo Nessuno però interviene, questo liceo darà diploma come quelli che funzionano regolarmente Questo è il problema della scuola italiana, non fare classifica di bravura Fino al 68 esami di stato seri erano già un controllo indiretto ma poi sono diventati poco più una formalità Nel progetto di Renzi il preside dovrebbe avere un potere di intervento A me sembra pero troppo debole e incerto il preside comunque ha rapporti di familiarità con i prof, il comitato di valutazione che lo affianca è eletto dagli stessi prof e fa gli interessi di quelli che li hanno eletti come è nella logica del cose La soluzione sarebbe una qualche variante degli ispettori HM inglesi Occorrono cioè persone estranea alla scuola esaminata altrimenti non usciamo dalla auto approvazione Comunque i poteri del preside sarebbe un passo avanti ma come dicevo temo che sarà svuotato pur esso

Risposto da Arturo Hermann su 25 Maggio 2015 a 23:29 In questi casi va bene, ma sono casi estremi, mi preoccupano i casi intermedi, se due professori in competizione tra loro sono bravini, il favoritismo può diventare una tentazione. Si raccontava ad esempio il caso di una supplente annuale, che oltretutto non veniva considerata eccellente, che era la nipote del preside, ma sarà stato sicuramente un caso.

Risposto da Ezio Ferrero su 25 Maggio 2015 a 23:59 Giampaolo, ma secondo te nella scuola ADESSO i ragazzi imparano a lavorare in gruppo, in maniera interdisciplinare? Solo alle elementari succede (un po') questo. Dopo non accade più o accade pochissimo. Ogni insegnante è una specie di monade autoreferenziale.

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le mie figlie, nonostante vadano in una scuola che è considerata buona, avranno fatto in cinque anni di superiori 1 o 2 lavori di gruppo/interdisciplinari. Lavoro interdisciplinare viene fatto poco e in modo del tutto dipendente dalla volontà individuale del singolo docente. Neanche fra discipline contigue viene fatto. Quindi non sarà sicuramente un minimo di contatto con il mondo del lavoro a creare problemi in questo senso, anzi. Direi che la tua idea che il 95% delle imprese italiane siano "boite" in cui conta solo il costo del lavoro è un tantinello riduttiva. Ci sono un numero enorme di imprese piccole e piccolissime, specie nei settori più innovativi, in cui il lavoro in team è parte essenziale della vita aziendale di tutti i giorni, in cui è fondamentale mettere insieme competenze e punti di vista diversi, proprio quello che nelle scuole non avviene quasi mai. Giampaolo Carboniero ha detto: Fabio, il 95% delle imprese sono micro o piccole imprese, poco innovative e che cercano soprattutto manodopera a basso costo, vogliamo incentrare la strategia formativa della scuola in questa direzione, o vogliamo formare giovani che imparino a lavorare in gruppo, in maniera interdisciplinare, a ragionare fuori degli schemi per poter pensare e costruire innovazione, formati al futuro e non al passato? Non vorrei che fra qualche anno, pensando alla possibilità che anche l'impresa cominci ad innovare, ci trovassimo invece con una generazione formata per le esigenze del passato. Mi sembrava di aver capito che l'intervento di Davanzati andasse anche in questa direzione, o sollecitasse tale tipo di riflessioni, ma forse ho capito male. Secondo me la scuola deve preoccuparsi del livello di istruzione e cultura di un popolo, perchè solo tale condizione crea situazioni in cui nascono le idee, l'innovazione e la resilienza sufficiente a affrontare i cambiamenti sempre più rapidi delle società.

Risposto da Ezio Ferrero su 26 Maggio 2015 a 0:14 Che gli insegnanti non possano essere valutati è una leggenda metropolitana (molto comoda per gli insegananti). Io lavoro nella formazione (non scolastica) da più di 30 anni è la valutazione dei risultati (addirittura il ROI) della formazione è un tema su cui esiste una letteratura sterminata. Non è banalissimo, ma si può fare. E viene fatto, tutti i giorni, nella scuola OGGI. In modo informale, ma viene fatto. E' ampiamento noto quali sono le scuole migliori e peggiori di una città. In una scuola è ampiamente noto quali sono le sezioni migliori (non a caso c'è sempre chi cerca tramite amicizie di fare assegnare i figli in queste sezioni). E' ampiamente noto quali sono gli insegnanti bravi, quali sono mediocri, quali sono pessimi. Il problema è che ora la valutazione è informale ed è senza alcuna conseguenza (e non sto parlando di cose cruente tipo licenziare, ma, più banalmente ed utilmente, di quella cosa che viene fatta ovunque che si chiama miglioramento continuo). La scuola, come qualsiasi organizzazione di questa terra, per funionare bene ha bisogno che funzioni bene il team dei lavoratori della scuola. Ma non esiste nessun team che funziona bene su base spontaneistica, senza coordinamento. Il Preside, invece che un passacarte, dovrebbe essere proprio questo, leader e coordinatore del team. La storia dello sceriffo è una bufala. Purtroppo la "libertà di insegnamento", esattamente come la "indipendenza della magostratura", è stata trasformata in un feticcio che in realtà cela il concetto molto più prosaico che ognuno fa quello che gli pare, come gli pare e senza neanche assumersene le responsabilità. Arturo Hermann ha detto: E' una questione complessa, e non entro nei dettagli della riforma, ma su cosa si basa l'idea che dare più potere ai presidi conduca ad una maggiore efficienza? Su un'equiparazione alquanto irrealistica con l'ideale della perfetta concorrenza. In tale sistema, si afferma, se un manager assume un lavoratore inefficiente, viene immediatamente punito dalla disciplina del mercato. Quest'idea, che forse può funzionare per mercati semplici - se prendo un pizzaiolo scarso perdo subito i clienti -.già funziona in modo molto più indiretto e dubbio in mercati complessi dove vi sono rilevanti imperfezioni di mercato. Ma funziona ancora meno, o non funziona per niente, in attività complesse in cui sono presenti rilevanti beni pubblici. Nel contesto della scuola, un preside può valutare efficacemente solo aspetti formali - le presenze ed il rispetto delle regole - ma, a mio modesto avviso, non può (e non è nemmeno in grado di) entrare nel merito della qualità dell'insegnamento. Ma su che basi? Il professore è un professionista ed ha autonomia nello svolgimento delle sue funzioni, per una valutazione accurata sono necessari numerosi parametri di natura oggettiva e solo una commissione apposita ed indipendente può farlo. E qui casca l'asino, perché per tale valutazione occorre che siano chiari gli obiettivi

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di miglioramento del sistema scolastico, ma è così? Se non è così, e se l'obiettivo del preside è realizzare solo un risparmio a budget, si otterrà un decadimento di tutto il sistema scolastico pubblico, e saranno privilegiati solo colore che potranno accedere a scuole più costose.

Risposto da Ezio Ferrero su 26 Maggio 2015 a 0:21 Non a caso la BuonaScuola prevede che i presidi NON possano scegliere nelle graduatorie insegnanti loro parenti. Detto ciò se continuiamo nel vizio italico di pensare che possano esistere norme così perfette da coniugare oggettività assoluta, totale impedimento a priori di qualsiasi comportamente scorretto, zione di qualsiasi margine di scelta discrezionale avremo, come al solito la solita congerie di norme farraginose e sostanzialmente inapplicabili che in teoria garantiscono tutto, ma in pratica lasciano uno spazio infinito ai peggiori comportamenti, naturalmente formalmente assolutamente corretti. Basta vedere come funzionano gli appalti. Chissà quando si arriverà alla banalissima ma fondamentale conclusione che la perfezione assoluta NON esiste è che è meglio una responsabilità individuale BEN definita a chiara, piuttosto di una generalizzata irresponsabilità Arturo Hermann ha detto: In questi casi va bene, ma sono casi estremi, mi preoccupano i casi intermedi, se due professori in competizione tra loro sono bravini, il favoritismo può diventare una tentazione. Si raccontava ad esempio il caso di una supplente annuale, che oltretutto non veniva considerata eccellente, che era la nipote del preside, ma sarà stato sicuramente un caso.

Risposto da Fabio Colasanti su 26 Maggio 2015 a 0:35 Le relazioni di lavoro sono delle relazioni umane come tutte. In tutte le relazioni umane i fattori emotivi – purtroppo o no, dipende dai punti di vista – giocano un ruolo importante. Per motivi difficili da comprendere, in Italia – più che negli altri paesi – c'è il tentativo di escludere l'aspetto umano/emotivo da ogni azione nel settore pubblico. In tutte le imprese private le decisioni umane/emotive, con il loro carico di "favoritismo", hanno un peso determinante, nonostante le mille procedure che vengono create per minimizzare l'aspetto discrezionale. Ma alla fine ogni impiegato del settore privato sa che la sua promozione dipende anche dal non essere particolarmente sgardevole nei confronti dei suoi colleghi e dei suoi superiori e tutti sanno che le persone che fanno carriera sono persone che hanno la capacità di farsi apprezzare intervenendo al momento giusto e agendo nella maniera appropriata sul posto di lavoro. Nessuno considera questo una cosa sconveniente o si irrita particolarmente per questo stato di cose. Le imprese private non sono certo perfette, ma funzionano, e piuttosto bene. Non si capisce perché nel settore pubblico, la paura del "favoritismo" debba portare all'zione di ogni forma di valutazione discrezionale. Il minore o maggiore "favoritismo" – che dipenderà dal grado di etica presente nella popolazione – è il prezzo inevitabile che dobbiamo pagare per avere organizzazioni che funzionano. Non è certo il favoritismo che aiuta, ma la valutazione discrezionale. Questa potrà contenere o no un certo grado di "favoritismo", ma è indispensabile per far funzionare le organizzazioni. Se non accettiamo questo punto non avremo mai un settore pubblico efficace. Io ho lavorato per oltre trenta anni nel settore pubblico. Avevamo mille restrizioni, non potevamo certo assumere le persone se non per concorso; licenziare le persone era difficilissimo; le sanzioni esistevano, ma erano molto difficili da applicare; e le promozioni dipendevano da meccanismi molto codificati. Ma rimane il fatto che come direttore generale avevo una possibilità di intervento discrezionale non trascurabile nelle promozioni. Le riorganizzazioni le decidevo io – compreso lo spostamento del personale da un'unità all'altra, anche dei dirigenti - e in un caso ho potuto privare un dirigente (capo divisione) della sua unità di 45 persone e l'ho trasferito ad un incarico dove non aveva personale dipendente (con la perdita di una

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piccola percentuale di salario – 4 percento – giustificata dalla responsabilità per l'unità). Le mie decisioni/valutazioni saranno state sicuramente influenzate da valutazioni personali, ma questo era il prezzo da pagare per far funzionare un'organizzazione in maniera efficace (lo spostamento dell'ex capo unità è diventato effettivo in meno di una settimana dall'errore professionale che mi ha spinto alla decisione). Sapevo benissimo che i saluti gentili nei corridoi non erano solo dovuti a simpatia personale, ma questa è la vita.

Risposto da Mario Pizzoli su 26 Maggio 2015 a 7:38 Il meraviglioso mondo di Amelie... Che modo strano di discutere. Fare delle affermazioni, e poi quando arriva puntuale la contestazione e la richiesta di chiarimenti, si cambia prospettiva o argomento invece di rispondere nel merito. Chissà se Berlinguer approverebbe... Giampaolo Carboniero ha detto: Visti i raffronti seguenti, non mi pare che i problemi della nostra scuola possano essere risolti da una qualche figura di sindaco-sceriffo-preside e dalla buona volontà dei privati, comunque incentivati http://www.fga.it/uploads/media/Argentin___Giancola_2013__Diventare...

Risposto da Antonino Andaloro su 26 Maggio 2015 a 7:52 i ragazzi dell'istituto E.Majorana di Brindisi sono stati selezionati per partecipare al HACK-SCHOOL di Milano il 18 marzo scorso. Si tratta di un'istituto dove già si fanno lavori di gruppo tra studenti. http://www.digitalchampions.it/archives/blog/da-grande-voglio-fare-...

Risposto da giovanni de sio cesari su 26 Maggio 2015 a 8:26 Arturo Non si tratta di casi rari eccezionali: è un costume molto diffuso perche manca ogni reale possibilita di controllo e di intervento. Se molte scuole funzionano ancora dipende dal fatto che comunque l’insegnamento è una attivita appagante : ma nessuna organizzazione puo funzionare basandosi solo sulla buona volontà. E’ come pensare che la ferrovia funziona perche ai macchinisti piace guidare il treno Certamente la discrezionalita comporta il pericolo del favoritismi ma con questo criterio nemmeno il prof potrebbe dare voti poiche esistono raccomandazioni e simpatie degli insegnanti ( e come se esistono) Ma vedo che l argomentno è stato meglio spiegato da fabio Io penso che sarebbe meglio affidare il compito di valutazione non al preside ma a persone estranee alla scuola che viene valutata , come avviene in Inghilterra con gli HM ispettori (Her Majesty's Inspector) Questi arrrivano in una scuola, ci stanno per alcuni giorni e valutano tutto, dalla pulizia allo svolgimento dei programmi e scrivono una relazione che diventa pubblica: Con questo sistema una scuola come quella della mia nipote la chiuderebbero il giorno dopo: ma non esisterebbero scuole simili. Arturo Hermann ha detto: In questi casi va bene, ma sono casi estremi, mi preoccupano i casi intermedi, se due professori in competizione tra loro sono bravini, il favoritismo può diventare una tentazione. Si raccontava ad esempio il caso di una supplente annuale, che oltretutto non veniva considerata eccellente, che era la nipote del preside, ma sarà stato sicuramente un caso.

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Risposto da giovanni de sio cesari su 26 Maggio 2015 a 8:31 Ezio Ferrero ha detto: Purtroppo la "libertà di insegnamento", esattamente come la "indipendenza della magostratura", è stata trasformata in un feticcio che in realtà cela il concetto molto più prosaico che ognuno fa quello che gli pare, come gli pare e senza neanche assumersene le responsabilità. La liberta di insegnamento è diventata la liberta di insegnare o non insegnare Ora certamente al docente deve esser riconosciuta una ampia liberta di insegnare .Rifacendomi al mio esempio magari io posso dare piu importanza a certi autori di filosofia e non ad altri ma non posso fermarmi ad Socrate fatto per altro molto superficialmente Cosi in letteratura c’è chi parte dalle letture antologiche per arrivare ai concetti e chi pensa che prima occorre dare i concetti generali e poi leggere: ma non si puo fare letteratura senza letture antologiche Non è possibile che in fisica si assegni un capitolo senza nessuna spiegazione Non è possibile che in un liceo sociologico non si studi praticamente sociologia. Questo caso dipenda dal fatto che non esistendo docenti di sociologia se ne è affidato l’insegnamento a quelli di filosofia (con qualche insulso corso di aggiornamento) Ma non è difficle per un docente approfondire l’argoemento, alla fine basta leggere il manuale stesso di testo Ma purtroppo ben pochi lo fanno: troppo faticoso non è la loro materia: perche dovrebbero insegnarla?

Risposto da Giuseppe Ardizzone su 26 Maggio 2015 a 12:24 Mi sembra che l'esperienza inglese che richiami ponga la questione del controllo comunque sull'attività del preside , del comitato di valutazione della progettualità della scuola esaminata e del conseguimento degli obiettivi . Appunto qual'è la coerenza fra gli obiettivi decisi dall'autonomia delle singole scuole , il loro reale perseguimento e gli obiettivi perseguiti in generale dal sistema scolastico italiano? Dovremmo capire meglio la razionalità ed efficacia dei livelli di responsabilità superiori alla figura del preside fino ai più alti livelli ministeriali. E necessaria una continua attenzione agli obiettivi complessivi ed ai risultati conseguiti con l'utilizzo di quegli strumenti di valutazione esterna che risultano tanto sgradevoli . In ultimo la politica ha il compito di porre i problemi e la modernizzazione continua dell'istituzione . giovanni de sio cesari ha detto: Arturo Non si tratta di casi rari eccezionali: è un costume molto diffuso perche manca ogni reale possibilita di controllo e di intervento. Se molte scuole funzionano ancora dipende dal fatto che comunque l’insegnamento è una attivita appagante : ma nessuna organizzazione puo funzionare basandosi solo sulla buona volontà. E’ come pensare che la ferrovia funziona perche ai macchinisti piace guidare il treno Certamente la discrezionalita comporta il pericolo del favoritismi ma con questo criterio nemmeno il prof potrebbe dare voti poiche esistono raccomandazioni e simpatie degli insegnanti ( e come se esistono) Ma vedo che l argomentno è stato meglio spiegato da fabio Io penso che sarebbe meglio affidare il compito di valutazione non al preside ma a persone estranee alla scuola che viene valutata , come avviene in Inghilterra con gli HM ispettori (Her Majesty's Inspector) Questi arrrivano in una scuola, ci stanno per alcuni giorni e valutano tutto, dalla pulizia allo svolgimento dei programmi e scrivono una relazione che diventa pubblica: Con questo sistema una scuola come quella della mia nipote la chiuderebbero il giorno dopo: ma non esisterebbero scuole simili.

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Arturo Hermann ha detto: In questi casi va bene, ma sono casi estremi, mi preoccupano i casi intermedi, se due professori in competizione tra loro sono bravini, il favoritismo può diventare una tentazione. Si raccontava ad esempio il caso di una supplente annuale, che oltretutto non veniva considerata eccellente, che era la nipote del preside, ma sarà stato sicuramente un caso.

Risposto da Cristina Favati su 26 Maggio 2015 a 12:30 Assolutamente d'accordo. Giuseppe Ardizzone ha detto: Mi sembra che l'esperienza inglese che richiami ponga la questione del controllo comunque sull'attività del preside , del comitato di valutazione della progettualità della scuola esaminata e del conseguimento degli obiettivi . Appunto qual'è la coerenza fra gli obiettivi decisi dall'autonomia delle singole scuole , il loro reale perseguimento e gli obiettivi perseguiti in generale dal sistema scolastico italiano? Dovremmo capire meglio la razionalità ed efficacia dei livelli di responsabilità superiori alla figura del preside fino ai più alti livelli ministeriali. E necessaria una continua attenzione agli obiettivi complessivi ed ai risultati conseguiti con l'utilizzo di quegli strumenti di valutazione esterna che risultano tanto sgradevoli . In ultimo la politica ha il compito di porre i problemi e la modernizzazione continua dell'istituzione . giovanni de sio cesari ha detto: Arturo Non si tratta di casi rari eccezionali: è un costume molto diffuso perche manca ogni reale possibilita di controllo e di intervento. Se molte scuole funzionano ancora dipende dal fatto che comunque l’insegnamento è una attivita appagante : ma nessuna organizzazione puo funzionare basandosi solo sulla buona volontà. E’ come pensare che la ferrovia funziona perche ai macchinisti piace guidare il treno Certamente la discrezionalita comporta il pericolo del favoritismi ma con questo criterio nemmeno il prof potrebbe dare voti poiche esistono raccomandazioni e simpatie degli insegnanti ( e come se esistono) Ma vedo che l argomentno è stato meglio spiegato da fabio Io penso che sarebbe meglio affidare il compito di valutazione non al preside ma a persone estranee alla scuola che viene valutata , come avviene in Inghilterra con gli HM ispettori (Her Majesty's Inspector) Questi arrrivano in una scuola, ci stanno per alcuni giorni e valutano tutto, dalla pulizia allo svolgimento dei programmi e scrivono una relazione che diventa pubblica: Con questo sistema una scuola come quella della mia nipote la chiuderebbero il giorno dopo: ma non esisterebbero scuole simili. Arturo Hermann ha detto: In questi casi va bene, ma sono casi estremi, mi preoccupano i casi intermedi, se due professori in competizione tra loro sono bravini, il favoritismo può diventare una tentazione. Si raccontava ad esempio il caso di una supplente annuale, che oltretutto non veniva considerata eccellente, che era la nipote del preside, ma sarà stato sicuramente un caso.

Risposto da Alberto Rotondi su 26 Maggio 2015 a 13:54 Ci sono due modi sostanzialmente di amministrare un sistema sociale complesso: il modello dal basso verso l'alto (bottom-up) e il modello dall'alto verso il basso (top-down). I pregi e i difetti dei due modi sono descritti bene qui http://en.wikipedia.org/wiki/Top-down_and_bottom-up_design (wiki in italiano su questa voce non dice quasi niente). Invito a leggere quello che viene detto da wikipedia sui sistemi sociali.

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Sembra che Germania e Inghilterra privilegino il metodo bottom-up, il sistema francese il metodo top-down. Il sistema italiano in generale, e quello della scuola in particolare, sono da sempre basati sul metodo top-down. Questo sistema ha il pregio della unitarietà e della separazione delle responsabilità, ma, come dice wikipedia, ha il grave difetto di deresponsabilizzare e demotivare i livelli più bassi (che sono però quelli operativi) e di essere lento nel recepire i cambiamenti positivi. D'altra parte, come dice Giuseppe A., il sistema bottom-up ha il difetto di non definire bene gli obiettivi finali da raggiungere e di procedere in modo disuniforme. Top-down e bottom-up sono termini ben noti anche a chi si occupa di apprendimento. Per esempio, la tradizionale cultura scolastica, dal libro di testo alla pratica, è il tipico modo di apprendimento top-down. Questo modo è completamente fallito nel caso dell'informatica, almeno a livello di utente, dove impera incontrastato il metodo bottom-up, dove si esplora l'albero della conoscenza partendo dal basso, per tentativi ed errori. Chi ha mai letto il manuale di un computer o di una tastiera? Per fortuna oggi questi manuali sono dentro a file di computer o scaricabili dalla rete, risparmiando le tonnellate di carta inutile dei manuali del passato. Il fatto che i modi di apprendimento dei più giovani,cresciuti con l'informatica, sia quasi esclusivamente bottom-up crea qualche problema nelle moderne tecniche di apprendimento, come ben sa chi si occupa di queste cose. Ma allora, quale metodo usare? La risposta, visti i fallimenti dei sistemi interamente top-down (i regimi comunisti e dittatoriali) o di quelli interamente bottom-up (i movimenti del 68), è abbatsanza ovvia: il sistema ottimale sta in un mix intelligente di top-down e bottom-up. Il tentativo sulla scuola di Renzi, che introduce un po di bottom-up in un sistema quasi interamente top-down (e quindi fallimentare) va in questo senso. Al di là della critica agli aspetti particolari del provvedimento, al governo va comunque il merito di un tentativo di rinnovare il sistema responsabilizzando dal basso i protagonisti del sistema scolastico. Una scossa che non può che fare bene al sistema. Tipico dell'approccio bottom-up è anche la flessibilità e quindi ci si aspetta che gli inevitabili errori contenuti nei nuovi provvedimenti siano corretti in corso d'opera. Stiamo a vedere.

Risposto da Giampaolo Carboniero su 26 Maggio 2015 a 16:59 E gli altri sistemi? Mi pare che uno dei grossi problemi della scuola, oltre all'edilizia e altro, sia proprio il corpo insegnante, la sua qualificazione e formazione; avevo postato questo studio in relazione al problema specifico, non certo per esaurire la questione scuola. Ho l'impressione che tu tenga conto solo di ciò che aderisce alle tue preconcette posizioni. Romano Meloni ha detto: Giampaolo, veramente il lavoro che hai postato (lo hai letto?) parla prevalentemente dei sistemi di formazione degli insegnanti. Anche in Italia, come nei paesi oggetto dello studio, se ne occupa l'Università. Che ci'azzeccano i sindaci-sceriffi-presidi? Per quanto riguarda il reclutamento, ecco cosa dice lo studio a proposito del sistema inglese: primi anni Ottanta, gli insegnanti erano impiega di un’autorità educativa locale (LEA –Local Education Authority) e poi assegnati ad una determinata scuola. Dall’inizio degli anni Novanta, con l’affermarsi delle logiche di quasi mercato, i bilanci e poteri contrattuali sono stati progressivamente devolu ai singoli is tu scolas ci e gli insegnan vengono dire amente recluta da una determinata scuola, o da un gruppo di scuole, come è il caso di alcune ‘catene’ di accademie supportate dallo Stato. I nuovi insegnanti, alla fine del loro percorso universitario e dopo un anno di PGCE (Postgraduate Certificate of Education) rispondono direttamente ad offerte pubblicizzate sulla stampa educativa o si iscrivono ad agenzie di reclutamento che operano per conto delle scuole. Le Accademie, le Free Schools, le scuole statali indipendenti, sono in grado di fissare i propri termini e condizioni contrattuali, mentre le altre scuole devono ancora impiegare gli insegnanti in base a termini e condizioni di lavoro negoziate a livello nazionale, anche se questa di- sposizione è attualmente in discussione e quindi incerta per il futuro. Che te ne pare? Giampaolo Carboniero ha detto: Visti i raffronti seguenti, non mi pare che i problemi della nostra scuola possano essere risolti da una qualche figura di sindaco-sceriffo-preside e dalla buona volontà dei privati, comunque incentivati http://www.fga.it/uploads/media/Argentin___Giancola_2013__Diventare...

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Risposto da Arturo Hermann su 26 Maggio 2015 a 18:22 Discrezionalità può andare bene in alcuni casi, ma per quali obiettivi? Il punto è che il preside dovrebbe essere un primo tra pari rspetto agli insegnanti, se si vuole veramente valorizzarne le funzioni. L'idea di trasformare l'insegnante in un funzionario esecutico e di subordinarlo gerarchicamente al preside, potrà far ottenere qualche risparmio, ma demotiverà e dequalificherà gli insegnanti, a tutto svantaggio della qualità dell'insegnamento. Ma a proposito, come la misuriamo? Ad esempio, in Inghilterra, la situazione è diversa da quanto descritto, l'insegnante è un professionista molto più coinvolto nelle attività della scuola come primo tra pari, e la valutazione considera molte importanti dimensioni teoriche. Ne ho riportato alcune dal link seguente, che si riferisce ad uno studio un po' datato ma completo. I criteri di valutazione, anche se teorici, sono largamente applicati e sono parte integrante della cultura scolastica. http://www.highreliabilityschools.co.uk/_resources/files/downloads/... . 1. Purposeful leadership of the staff by the Head Teacher. This occurred where the Head understood the school’s needs, was actively involved in the school, but was good at sharing power with the staff. He or she did not exert total control over teachers but consulted them, especially in decision-making such as on spending plans and curriculum guidelines. 2. The involvement of the Deputy Head. Where the Deputy was usually involved in policy decisions, pupil progress increased. 3. The involvement of teachers. In successful schools, the teachers were involved in curriculum planning and played a major role in developing their own curriculum guidelines. As with the Deputy Head, teacher involvement in decisions concerning which classes they were to teach was important. Similarly, consultation with teachers about decisions on spending was important. 4. Consistency among teachers. Continuity of staffing had positive effects but pupils also performed better when the approach to teaching was consistent. 15 5. Structured sessions. Children performed better when their school day was structured in some way. In effective schools, students’ work was organised by the teacher, who ensured there was plenty for them to do yet allowed them some freedom within the structure. Negative effects were noted when children were given unlimited responsibility for a long list of tasks. 6. Intellectually challenging teaching. Student progress was greater where teachers were stimulating and enthusiastic. The incidence of higher order questions and statements, and teachers frequently making children use powers of problem-solving, was seen to be vital. 7. A work-centred environment. This was characterised by a high level of student industry, with children enjoying their work and being eager to start new tasks. The noise level was low, and movement around the class was usually work-related and not excessive. 8. A limited focus within sessions. Children progressed when teachers devoted their energies to one particular subject area and sometimes two. Student progress was marred when three or more subjects were running concurrently in the classroom.

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9. Maximum communication between teachers and students. Children performed better the more communication they had with their teacher about the content of their work. Most teachers devoted most of their time to individuals, so each child could expect only a small number of contacts a day. Teachers who used opportunities to talk to the whole class also generated higher progress. 16 10. Record-keeping. The value of monitoring student progress was important in the Head’s role, but it was also an important aspect of teachers’ planning and assessment. 11. Parental involvement. Schools with an informal open-door policy which encouraged parents to get involved in reading at home, helping in the classroom and on educational visits, tended to be more effective. 12. Positive climate. An effective school had a positive ethos. Overall, the atmosphere was more pleasant in the effective schools.

Risposto da Fabio Colasanti su 26 Maggio 2015 a 18:40 Arturo, è meglio che ogni manager dialoghi con le persone con le quali lavora, è la maniera raccomandata per essere più efficaci. Ma quello di cui ogni organizzazione - scuola compresa - ha bisogno è di avere qualcuno che decida e che lo faccia in tempi ragionevoli. I cattivi manager sono quelli che rinviano le decisioni e si barcamenano tra tra soluzioni inadeguate. Oggi nella scuola decidere è molto difficile e quindi trovo l'idea di dare maggiori poteri ai presidi giustissima. Il preside non puo' essere solo un primo inter pares. Arturo Hermann ha detto: Discrezionalità può andare bene in alcuni casi, ma per quali obiettivi? Il punto è che il preside dovrebbe essere un primo tra pari rspetto agli insegnanti, se si vuole veramente valorizzarne le funzioni. ( ... )

Risposto da giovanni de sio cesari su 27 Maggio 2015 a 10:50 Arturo A me pare che il punto sia che si cerca di superare,, da trenta anni, da governi di destra e sinistra, la figura del preside come primo tra pari : infatti gli è stata attribuita la qualifica di dirigente ( e anche una buona retribuzione che prima era praticamente uguale a quella dei prof ) Non si tratta di trasformare l’insegnante in un esecutore ( ma che significherebbe mai ? ) ma di promuovere un valutazione , meglio un riconoscimento della sua sua attività che ora praticamente non esiste se non a livello di soddisfazione personale Come dicevo, è come noi affidassimo il buon funzionamento delle ferrovie alla soddisfazione dei macchinisti di guidare il treno con una differenza fondamentale ; alla fine se le ferrovie non funzionano la gente prendera i bus e quindi i macchinisti rischierebbero di perdere il lavoro ( in questi tempi poi...) Gli insegnanti non corrono nemmeno questo rischio Non si vede nessun risparmio economico in questo controllo, anzi quasi certamente un incremento di spese Non si capisce per quale strano motivo il fatto che un insegnante veda riconosciuta la efficacia ( o la inefficacia, inesistenza) della sua opera debba poi sentirsi “demotivato e dequalificato” Sarebbe come dire che pagare i premi di produzione ( come fanno le imprese) dequalificherebbe gli impiegati perche questi dovrebbero agire solo per la

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soddisfazione di essere bravi e far crescere l’impresa. Ma una cosa del genere sarebbe proponibile solo in una ambito religioso nella quale il premio vero sarebbe quello eterno Eppure le chiese , tutte le chiese, in pratica hanno pure un sistema di riconoscimento premiale anche se motivato come servizio di Dio : solo i preti ritenuti piu capaci diventano vescovi, cardinali e papa : certo tutti ugualmente al servizio di Dio ma con compiti diversi ( continuo nel prossimo ) Arturo Hermann ha detto: Discrezionalità può andare bene in alcuni casi, ma per quali obiettivi? Il punto è che il preside dovrebbe essere un primo tra pari rspetto agli insegnanti, se si vuole veramente valorizzarne le funzioni. L'idea di trasformare l'insegnante in un funzionario esecutico e di subordinarlo gerarchicamente al preside, potrà far ottenere qualche risparmio, ma demotiverà e dequalificherà gli insegnanti, a tutto svantaggio della qualità dell'insegnamento. Ma a proposito, come la misuriamo?

Risposto da giovanni de sio cesari su 27 Maggio 2015 a 10:53 Arturo il fatto che gli ispettori di Sua Maesta effettuino una valutazione della scuola e degli insegnanti non significa certamente che gli insegnanti non debbano sentirsi coinvolti nella scuola , nelle sue metodologie, mete e principi. Anzi gli ispettori valutano anche questi aspetti e comunque si diventa buoni maestri solo se si partecipa attivamente Non si parla mai di primo fra pari ma di headmaster ( capo dei maestri tradotto nel nostro ordinamento con dirigente) che assume e licenzia , Anche fra gli insegnanti si crea una gerarchia con figure di senior teacher , di team leader . Da noi un insegnante appena assunto ha lo stesse funzioni e grado di uno che ha 20 o 30 anni di esperienza. Ma l’esperienza non significa niente se non è valutata : puo essere anche uno che per 30 anni non ha fatto nulla o solo danni e ha avuto ugualmente un avanzamento di stipendio ( insomma come in magistratura) Io mi chiedo da dove nasca questa strana idea per cui la valutazione dell’insegnamento venga considerata un impedimento all’insegnamento stesso Puoi spiegarmelo tu? oppure c’è qualcuno che me lo sa spiegare perche una motivazione ci sara pure. Arturo Hermann ha detto: Ad esempio, in Inghilterra, la situazione è diversa da quanto descritto, l'insegnante è un professionista molto più coinvolto nelle attività della scuola come primo tra pari, e la valutazione considera molte importanti dimensioni teoriche. Ne ho riportato alcune dal link seguente, che si riferisce ad uno studio un po' datato ma completo. I criteri di valutazione, anche se teorici, sono largamente applicati e sono parte integrante della cultura scolastica. http://www.highreliabilityschools.co.uk/_resources/files/downloads/... .

Risposto da Giampaolo Carboniero su 27 Maggio 2015 a 13:44 D'accordo! giovanni de sio cesari ha detto: Arturo Non si tratta di casi rari eccezionali: è un costume molto diffuso perche manca ogni reale possibilita di controllo e di intervento. Se molte scuole funzionano ancora dipende dal fatto che comunque l’insegnamento è una attivita appagante : ma nessuna organizzazione puo funzionare basandosi solo sulla buona volontà. E’ come pensare che la ferrovia funziona perche ai macchinisti piace guidare il treno

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Certamente la discrezionalita comporta il pericolo del favoritismi ma con questo criterio nemmeno il prof potrebbe dare voti poiche esistono raccomandazioni e simpatie degli insegnanti ( e come se esistono) Ma vedo che l argomentno è stato meglio spiegato da fabio Io penso che sarebbe meglio affidare il compito di valutazione non al preside ma a persone estranee alla scuola che viene valutata , come avviene in Inghilterra con gli HM ispettori (Her Majesty's Inspector) Questi arrrivano in una scuola, ci stanno per alcuni giorni e valutano tutto, dalla pulizia allo svolgimento dei programmi e scrivono una relazione che diventa pubblica: Con questo sistema una scuola come quella della mia nipote la chiuderebbero il giorno dopo: ma non esisterebbero scuole simili. Arturo Hermann ha detto: In questi casi va bene, ma sono casi estremi, mi preoccupano i casi intermedi, se due professori in competizione tra loro sono bravini, il favoritismo può diventare una tentazione. Si raccontava ad esempio il caso di una supplente annuale, che oltretutto non veniva considerata eccellente, che era la nipote del preside, ma sarà stato sicuramente un caso.

Risposto da Pietro Maruca su 27 Maggio 2015 a 15:31 La valutazione dal basso. In ogni classe e scuola esiste una valutazione quotidiana e sistematica, fatta da colleghi, allievi, genitori ed esterni (molte valutazioni quotidiane si fanno in panetteria; gli approfondimenti settimanali avvengono di solito dalle parrucchiere o nelle sale d’aspetto dei medici e degli ortodontisti, o nelle tribune delle piscine mentre si assiste alle nuotate dei pargoli). Ha ragione Ezio: sono valutazioni informali e spesso fallaci. Giovanni ha interpretato un modo tipico di valutare dal basso, usato comunemente. Da una sua esperienza con un’allieva che ha bisogno di ripetizioni si esprime su tutto un istituto ed estende poi la valutazione su una generazione di docenti. Una cosa tipica che capita ogni volta che cambia un docente della stessa materia in una classe, quando chiede se un certo argomento è stato trattato, è la risposta corale: “ NOOOOO!” Così la rispiega e non si hanno argomenti nuovi da studiare. Facciamo invece l’ipotesi che le deduzioni di Giovanni non si basino solo su un parere, ma sull’esame dei quaderni, il fatto che una classe sia “indietro” può dipendere da tanti fattori, ad esempio dal fatto che il livello medio degli allievi di un istituto sia molto basso; spesso un socio pedagogico è più simile a un professionale che a uno scientifico. Il contatto culturale con uno studente del miglior liceo o di un istituto di periferia può portare a idee diametralmente opposte sui docenti di oggi… Insomma, la valutazione di un docente è diversa da quella di un lavoratore di altro tipo: il risultato dipende da lui, ma anche da tanti altri docenti, dai ragazzi (preparazione precedente, volontà di apprendere, capacità personali) e dalle famiglie. Se, ad esempio, ci sono dei compiti a casa che nessuno fa eseguire, i risultati ne risentono. I docenti, proprio perché sanno di essere valutati in modo distorto, dovrebbero essere i primi a volere una valutazione seria, che tenga conto di quanto incida sul risultato ciascuno dei fattori indicati sopra.

Risposto da Pietro Maruca su 27 Maggio 2015 a 15:32 Gli effetti della valutazione dal basso Una cattiva nomea è facile da produrre e difficile da re (quasi come con la macchina del fango in politica). Soprattutto quando ha basi concrete, come una preparazione scarsa degli allievi precedenti o l’incapacità di tenere la disciplina. Contrariamente a quanto si pensa, gli effetti possono essere gravi e immediati. Ad esempio, ci possono essere alcuni spostamenti di classe o di istituto. Se i genitori decidono di portare i figli in altre scuole c’è poco da fare. Lo spostamento di un allievo ha magari pochi effetti. Quando si tratta di cinque o sei, soprattutto a inizio d’anno (a me è

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capitata una specie di ammutinamento di genitori il primo giorno di scuola, appena conosciuto il nome della docente destinata ai loro figli), l’effetto può essere la diminuzione del numero complessivo di allievi dell’annata, con conseguente riduzione di una classe. Quelle che rimangono, quindi, si devono accollare un numero di iscritti superiore. E magari, per ironia della sorte, chi perde il posto come docente non è quello che ha la valutazione negativa da parte dei genitori. Certo, con diplomazia ed esperienza, il preside riesce spesso a porre rimedio a queste situazioni, agevolato anche da una visione d’insieme, che ciascun docente non può avere.

Risposto da Pietro Maruca su 27 Maggio 2015 a 15:33 La valutazione del preside Il preside non dovrebbe, a mio parere, valutare le competenze disciplinari che non possiede. E raccomanderei prudenza anche sulla disciplina di cui si è stati docenti, perché nel tempo possono essere cambiati metodi e anche contenuti. Inoltre, se non ha formazione specifica, non dovrebbe neppure valutare le capacità didattiche e metodologiche. Deve coordinare, questo sì, e gestire il fenomeno: ci deve essere un’autorità preposta a questo scopo. Ma non dovrebbe essere lui a valutare. Secondo me, dovrebbe avvalersi di un supporto tecnico, con competenza in campo valutativo e sulle discipline. Ci dovrebbe essere un gruppo territoriale, distrettuale o provinciale (meglio non dello stesso istituto e neppure di istituti viciniori o concorrenti) in merito a questioni metodologiche, mentre gli aspetti contenutistici dovrebbero essere demandati ad enti esterni, ad esempio le università. Può sembrare esagerato, ma non lo è. La preparazione iniziale di base oggi non può più essere sui contenuti, ma su quanta padronanza si ha nel cercare gli approfondimenti necessari per il proprio lavoro quotidiano. E’ così in tutti i mestieri, ma soprattutto per i docenti. Ci deve quindi essere formazione permanente con aggiornamenti periodici. Non per sadismo, ma per effetto della realtà: le conoscenze tecnologiche nel medioevo raddoppiavano ogni cento anni. Oggi raddoppiano ogni 4. Nessuno quindi può ragionevolmente pensare di svolgere la sua professione con la sola preparazione iniziale, che comunque ci deve essere. E approfondita. Ma non basta. Non si può pretendere di sapere ciò che ancora non è stato inventato. E non si può pretendere di fare a meno di ciò che man mano viene inventato. Il docente deve quindi aggiornarsi, con verifiche sulla sua padronanza da parte di persone competenti, e deve dimostrare anche come programma, come spiega, come valuta, come considera i contributi degli allievi, insomma le sue competenze didattiche e professionali. Il capo istituto dovrebbe poi avere l’onere di tener conto di quanto emerge dai diversi esperti per assumere decisioni adeguate. E sarebbe già molto.

Risposto da Pietro Maruca su 27 Maggio 2015 a 15:33 Il ruolo del preside. Per capire se serve un preside, si dovrebbe dare a ciascun docente una piccola infarinatura di diritto amministrativo. Forse si renderebbero conto che una maggiore coscienza di quali siano le regole da applicare è prima di tutto una tutela per chi lavora. Mi rendo conto del fatto che molto viene giocato e vissuto sui rapporti di forza e sulle questioni relazionali, che comunque esisterebbero anche senza le regole. So anche che la professionalità di chi dirige non è sempre al top, come in tutti i mestieri. Però non sarebbero fuori luogo un po’ meno conflittualità e un po’ più di disponibilità, avendo comunque presente che il dirigente scolastico non è il padrone del vapore, avido di schiavi per aumentare i suoi guadagni.

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Risposto da Pietro Maruca su 27 Maggio 2015 a 15:34 Le intelligenze multiple Una parte importante nel lavoro del preside lo gioca l’interpretazione delle potenzialità di ciascun docente. Fabio ha fatto l’esempio di un tipo per certi versi geniale, ma del tutto incapace di svolgere altre mansioni. Esistono le intelligenze multiple. Ciascuno di noi è più portato per certe discipline o per determinati atteggiamenti rispetto al lavoro. Mettere insieme dei team efficaci non dipende solo da assonanze culturali e caratteriali o da competenze disciplinari, ma proprio da come ci si pone nei confronti del lavoro. In altra sede avevo già affrontato il tema dei creativi, dei produttivi, degli amministrativi e degli “integratori”. Persone cioè che privilegiano, rispettivamente: - innovare, affrontare i problemi, cercare soluzioni, prospettare scenari di futuro; - produrre, dare concretezza ai progetti, raggiungere risultati, porsi degli obiettivi e raggiungerli; - ordinare, sistemare, catalogare, seriare, regolamentare, organizzare con disposizioni ferree; - smussare gli spigoli, valorizzare le singole competenze, integrare, creare coesione, costruire un buon clima collaborativo. Un buon team non ha persone che necessariamente la pensano nello stesso modo, ma individui complementari, in grado di sviluppare insieme le quattro caratteristiche. Spesso, dopo aver fatto un pensierino su questa forma organizzativa, si gira pagina e si torna ai contenuti, riprendendo a discutere e operare con i limiti di sempre. Un buon leader, in questo caso un buon preside, osserva i gruppi di lavoro durante i consigli di classe e, se del caso, porta i cambiamenti necessari per rendere più produttivo ciascun gruppo. Anche questa è valutazione, anche se non ha negatività da pesare, ma diversità da assemblare.

Risposto da giovanni de sio cesari su 27 Maggio 2015 a 18:59 Pietro Ho letto i tuoi quattro ampi articolati e intereresaanti interventi. In linea generale non condivido l’impostazione generale Ora sto per paprtire e non ho il tempo per una rilettura approfondita che mui ripormetto di fare in seguito Solo vorrei notare che la conclusone logica dei quattro interventi è che, in pratica, non è possibile una valutazione affidabile degli insegnanti, conclusione che non condivido per i motivi che ho gia elencati Rispondo solo sommariamnte a un intervento sulla valutazione

Risposto da giovanni de sio cesari su 27 Maggio 2015 a 19:01 Pietro Non sono asssolutamente d‘accordo.per motivi pratici e motivi teorici Motivi pratici non esiste attualmente nessuna che possa fare la valutazione che illustri; quindi praticamente non si fa niente: Certo non è tua intenzione ma un modo per giustificare il non cambiare nienete è proporre soluzioni migliori che pero non sono attuabili. Gli ispettori in italia sono pochi, utilizzati soprattutto quando capita qualche guaio (caddero in depressione, come racconto uno di loro in un famoso articolo ) Ho visto che si è bandito un nuovo concorso ma perchè ci sia qualcosa di paragonabile a ispettori HM ce ne vorrà di tempo Quello che abbiamo, hic et nunc , sono i presidi Motivi teorici

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la valutazione di super super esperti consisterebbe in una serie infinita di esami fatti per altro secondo le veduta personale di questo o quello Immagina un ispettore che dovrebbe valutare se un docente di italiano ha scelto bene o meno le letture antologiche e magari se ha tenuto presente i criteri degli ultimi 4 anni ( sic) : non è di questo che abbiamo bisogno: Ogni docente ha una sua sua personalita e si rapporta ad altre personailita in condizioni sempre diverse: non sara un super super esperto a sapere cosa deve fare . Invece è possibile (e di fatto avviene sempre) , constatare ( piu ancora che valutare) se un insegnante lavora o non fa niente, se riesce o meno a rapportarsi, se consegue risultati didattici ,se è persona equilibrata o un folle , uno spostato Anche nell’esempio che fa Fabio il tizio, poi emarginato, mostrava immediatamente che aveva qualche rotella fuori posto. Il fatto è che in pratica nella scuola non c’è modo di emarginare persone del genere, tutto discende da leggi e regolamenti inderogabili Un preside che ha ampia esperienza della scuola è in grado di capire (e di fatto capisce) chi sono i docenti impegnati, preparati e capaci e chi no Ma questo avviene in ogni campo di lavoro. Pietro Maruca ha detto: La valutazione del preside Il preside non dovrebbe, a mio parere, valutare le competenze disciplinari che non possiede. E raccomanderei prudenza anche sulla disciplina di cui si è stati docenti, perché nel tempo possono essere cambiati metodi e anche contenuti. Inoltre, se non ha formazione specifica, non dovrebbe neppure valutare le capacità didattiche e metodologiche. Deve coordinare, questo sì, e gestire il fenomeno: ci deve essere un’autorità preposta a questo scopo. Ma non dovrebbe essere lui a valutare. Secondo me, dovrebbe avvalersi di un supporto tecnico, con competenza in campo valutativo e sulle discipline. Ci dovrebbe essere un gruppo territoriale, distrettuale o provinciale (meglio non dello stesso istituto e neppure di istituti viciniori o concorrenti) in merito a questioni metodologiche, mentre gli aspetti contenutistici dovrebbero essere demandati ad enti esterni, ad esempio le università. Può sembrare esagerato, ma non lo è. La preparazione iniziale di base oggi non può più essere sui contenuti, ma su quanta padronanza si ha nel cercare gli approfondimenti necessari per il proprio lavoro quotidiano. E’ così in tutti i mestieri, ma soprattutto per i docenti. Ci deve quindi essere formazione permanente con aggiornamenti periodici. Non per sadismo, ma per effetto della realtà: le conoscenze tecnologiche nel medioevo raddoppiavano ogni cento anni. Oggi raddoppiano ogni 4. Nessuno quindi può ragionevolmente pensare di svolgere la sua professione con la sola preparazione iniziale, che comunque ci deve essere. E approfondita. Ma non basta. Non si può pretendere di sapere ciò che ancora non è stato inventato. E non si può pretendere di fare a meno di ciò che man mano viene inventato. Il docente deve quindi aggiornarsi, con verifiche sulla sua padronanza da parte di persone competenti, e deve dimostrare anche come programma, come spiega, come valuta, come considera i contributi degli allievi, insomma le sue competenze didattiche e professionali. Il capo istituto dovrebbe poi avere l’onere di tener conto di quanto emerge dai diversi esperti per assumere decisioni adeguate. E sarebbe già molto.

Risposto da Pietro Maruca su 27 Maggio 2015 a 19:40 Scusa, Giovanni, ma la tua è una tipica risposta di chi non conosce. Per valutare le competenze basterebbe che il ministero indicasse per ogni disciplina quali siano le priorità e chiedere ai docenti di affrontare esami universitari su quei temi. I 500 euro l'anno previsti permettono ampiamente di affrontare le spese. Eventuali scatti incentivanti ogni x esami sarebbe uno stimolo sufficiente per sentirsi incentivati ad andare oltre la preparazione di base. Invece di avere solo gli scatti di anzianità o di indicare tra i docenti di un collegio il 10 o il 20% da premiare nel fare lo stesso lavoro. I medici ad esempio si aggiornano privatamente su temi legati alla loro professione, con enti accreditati presso il ministero. Starebbe agli enti o alle università l'onere di accreditarsi. Tutto molto semplice e molto più qualificato. Senza appesantimenti burocratici come la preparazione di personale ispettivo, con relativi concorsi.

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Mi spieghi come possa fare un preside con diploma isef a valutare le conoscenze di un collega di matematica? La valutazione peggiore che possa esserci, e che purtroppo avviene quotidianamente, è quella del sentito dire, del confrontare i quaderni, del ricordarsi come si era al liceo, del dare ripetizioni e sputare m... su chi non corrisponde a ciò che ci si aspetta. E' questa serie di banalità che gli insegnanti temono. Ma nello stesso tempo non capiscono che solo con una valutazione seria si può evitare il qualunquismo. A proposito di valutatori: mi sono occupato di valutazione negli ultimi dodici anni da capo istituto e anche dopo, da pensionato. Insieme a tanti altri. Esistono corsi universitari post laurea sulla valutazione. Frequentati da insegnanti e dirigenti scolastici. Volendo in un paio d'anni si possono preparare centinaia di persone in ogni regione, senza grosse difficoltà, anche con l'aiuto dell'INVALSI. Le prove non sono in serie infinita e non sono discrezionali. Esistono test e modalità di comparazione oggettive, basati non su standard, ma su medie da cui i risultati personali e di classe si discostano in positivo o in negativo, individuando nodi critici e punti di forza. Insomma non siamo all'anno zero. Basta volerlo. giovanni de sio cesari ha detto: Pietro Non sono asssolutamente d‘accordo.per motivi pratici e motivi teorici Motivi pratici non esiste attualmente nessuna che possa fare la valutazione che illustri; quindi praticamente non si fa niente: (...) Motivi teorici la valutazione di super super esperti consisterebbe in una serie infinita di esami fatti per altro secondo le veduta personale di questo o quello (...)

Risposto da Cristina Favati su 28 Maggio 2015 a 0:16 http://www.anp.it/anp/doc/audizione-anp-presso-le-vii-commissioni-d...

Risposto da Ezio Ferrero su 28 Maggio 2015 a 1:14 In realtà, in teoria, il sistema italiano è molto bottom-up: la famosa "autonomia scolastica". Il problema secondo me è che c'è autonomia delle scuole e libertà di insegnamento, nessun potere di coordinamento/controllo a livello LOCALE (la singola scuola) ed una diffusa mentalità centralistico-burocratica. Risultato: più o meno ognuno fa quello che gli pare, nessuno può sindacare alcunchè, nessuno è responsabile di niente Alberto Rotondi ha detto: Ci sono due modi sostanzialmente di amministrare un sistema sociale complesso: il modello dal basso verso l'alto (bottom-up) e il modello dall'alto verso il basso (top-down). I pregi e i difetti dei due modi sono descritti bene qui http://en.wikipedia.org/wiki/Top-down_and_bottom-up_design (wiki in italiano su questa voce non dice quasi niente). Invito a leggere quello che viene detto da wikipedia sui sistemi sociali. Sembra che Germania e Inghilterra privilegino il metodo bottom-up, il sistema francese il metodo top-down. Il sistema italiano in generale, e quello della scuola in particolare, sono da sempre basati sul metodo top-down. Questo sistema ha il pregio della unitarietà e della separazione delle responsabilità, ma, come dice wikipedia, ha il grave difetto di deresponsabilizzare e demotivare i livelli più bassi (che sono però quelli operativi) e di essere lento nel recepire i

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cambiamenti positivi. D'altra parte, come dice Giuseppe A., il sistema bottom-up ha il difetto di non definire bene gli obiettivi finali da raggiungere e di procedere in modo disuniforme. Top-down e bottom-up sono termini ben noti anche a chi si occupa di apprendimento. Per esempio, la tradizionale cultura scolastica, dal libro di testo alla pratica, è il tipico modo di apprendimento top-down. Questo modo è completamente fallito nel caso dell'informatica, almeno a livello di utente, dove impera incontrastato il metodo bottom-up, dove si esplora l'albero della conoscenza partendo dal basso, per tentativi ed errori. Chi ha mai letto il manuale di un computer o di una tastiera? Per fortuna oggi questi manuali sono dentro a file di computer o scaricabili dalla rete, risparmiando le tonnellate di carta inutile dei manuali del passato. Il fatto che i modi di apprendimento dei più giovani,cresciuti con l'informatica, sia quasi esclusivamente bottom-up crea qualche problema nelle moderne tecniche di apprendimento, come ben sa chi si occupa di queste cose. Ma allora, quale metodo usare? La risposta, visti i fallimenti dei sistemi interamente top-down (i regimi comunisti e dittatoriali) o di quelli interamente bottom-up (i movimenti del 68), è abbatsanza ovvia: il sistema ottimale sta in un mix intelligente di top-down e bottom-up. Il tentativo sulla scuola di Renzi, che introduce un po di bottom-up in un sistema quasi interamente top-down (e quindi fallimentare) va in questo senso. Al di là della critica agli aspetti particolari del provvedimento, al governo va comunque il merito di un tentativo di rinnovare il sistema responsabilizzando dal basso i protagonisti del sistema scolastico. Una scossa che non può che fare bene al sistema. Tipico dell'approccio bottom-up è anche la flessibilità e quindi ci si aspetta che gli inevitabili errori contenuti nei nuovi provvedimenti siano corretti in corso d'opera. Stiamo a vedere.

Risposto da Ezio Ferrero su 28 Maggio 2015 a 1:31 Pietro, concordo che la valutazione non deve essere data "ad capocchiam", ma basata su fatti. Come avviene in qualsiasi organizzazione di questa terra, da parte di qualsiasi "coordinatore" degno di questo nome (non uso termini che possano suonare gerarchici o peggio ancora aziendali per evitare levate di scudi) Fra i "fatti" sicuramente ci sono anche le invalsi. Che però la maggior patre dei docenti boicotta, nonostante siano fatte piuttosto bene secondo me (non sono assolutamente nozionistiche). Ora si boicotta un sistema che fornisce dati oggettivi !! Purtroppo la mia convinzione da molto tempo è che moltissimi insegnanti, e tutte le organizzazioni sindacali, NON NE VOGLIONO SAPERE DI ALCUN TIPO DI VALUTAZIONE, DI NESSUN GENERE, PER NESSUNO SCOPO. E quanto successo nelle ultime settimane e soprattutto gli argomenti usati lo dimostrano ampiamente. Perché? mah, credo per un perverso incrocio di motivazioni: paura del nuovo (normale, succede a tutti), comodità dello status quo (meglio il poco degli scatti di anzianità, garantiti e pianificati, di una qualche incertezza), rifiuto ideologico, sindrome della torre di avorio (la scuola è luogo di "cultura", non deve mescolarsi con le miserie del mondo esterno) Quello che mi manda più in bestia di tutto ciò è che questa fortissima resistenza viene fatta in nome della scuola non classista, non asservita alle imprese ed ai ricchi (chissà come poi), strumento di democrazia e giustizia sociale. Non si rendono conto che la scuola COME E' ORA è profondamente classista: chi può sopperisce alle mancanze della scuola privatamente (ripetizioni, soggiorni all'estero etc.), chi non può si attacca. E tristemente magari entrambi sfilano in corteo con un cartello "la buona scuola siamo noi" :( Pietro Maruca ha detto: Scusa, Giovanni, ma la tua è una tipica risposta di chi non conosce. Per valutare le competenze basterebbe che il ministero indicasse per ogni disciplina quali siano le priorità e chiedere ai docenti di affrontare esami universitari su quei temi. I 500 euro l'anno previsti permettono ampiamente di affrontare le spese. Eventuali scatti incentivanti ogni x esami sarebbe uno stimolo sufficiente per sentirsi incentivati ad andare oltre la preparazione di base. Invece di avere solo gli scatti di anzianità o di indicare tra i docenti di un collegio il 10 o il 20% da premiare nel fare lo stesso lavoro. I medici ad esempio si aggiornano privatamente su temi legati alla loro professione, con enti accreditati presso il ministero. Starebbe agli enti o alle università l'onere di accreditarsi. Tutto molto semplice e molto più qualificato. Senza appesantimenti burocratici come la preparazione di personale ispettivo, con relativi concorsi.

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Mi spieghi come possa fare un preside con diploma isef a valutare le conoscenze di un collega di matematica? La valutazione peggiore che possa esserci, e che purtroppo avviene quotidianamente, è quella del sentito dire, del confrontare i quaderni, del ricordarsi come si era al liceo, del dare ripetizioni e sputare m... su chi non corrisponde a ciò che ci si aspetta. E' questa serie di banalità che gli insegnanti temono. Ma nello stesso tempo non capiscono che solo con una valutazione seria si può evitare il qualunquismo. A proposito di valutatori: mi sono occupato di valutazione negli ultimi dodici anni da capo istituto e anche dopo, da pensionato. Insieme a tanti altri. Esistono corsi universitari post laurea sulla valutazione. Frequentati da insegnanti e dirigenti scolastici. Volendo in un paio d'anni si possono preparare centinaia di persone in ogni regione, senza grosse difficoltà, anche con l'aiuto dell'INVALSI. Le prove non sono in serie infinita e non sono discrezionali. Esistono test e modalità di comparazione oggettive, basati non su standard, ma su medie da cui i risultati personali e di classe si discostano in positivo o in negativo, individuando nodi critici e punti di forza. Insomma non siamo all'anno zero. Basta volerlo. giovanni de sio cesari ha detto: Pietro Non sono asssolutamente d‘accordo.per motivi pratici e motivi teorici Motivi pratici non esiste attualmente nessuna che possa fare la valutazione che illustri; quindi praticamente non si fa niente: (...) Motivi teorici la valutazione di super super esperti consisterebbe in una serie infinita di esami fatti per altro secondo le veduta personale di questo o quello (...)

Risposto da Pietro Maruca su 28 Maggio 2015 a 11:47 Ezio, sono sostanzialmente d'accordo con te. C'è un solo modo, a mio parere, per vincere queste paure che si alimentano attraverso una psicosi collettiva. Fare esperienze di buona valutazione e premiarle. Una volta esisteva uno dei decreti delegati che riguardava la sperimentazione. Si potrebbe ripristinare: chi fa buone esperienze di valutazione, e le fa vagliare (e validare) da chi è competente, può averne un incentivo economico e di carriera. Se si decidesse, ad esempio, che a livello di formazione dei docenti si dà uno scatto economico a chi supera esami universitari post laurea o presso agenzie accreditate presso il ministero, su uno o più argomenti indicati in un elenco,si innescherebbe un processo di formazione serio, non basato sui soliti corsetti di 10 - 15 ore, privi di alcuna verifica di quanto appreso. Senza bisogno di maggioranze, di accordi sindacali, di collegi che deliberano e persone che valutano. Chi ha quei requisiti (ad esempio due o tre esami post laurea ogni cinque anni) ha diritto. chi non lo fa si accontenta dell'anzianità e rimane agli scatti iniziali. I genitori, i presidi, le scuole sapranno, poi, dai curricula personali, chi avrà o non avrà aggiornato le sue competenze, disciplinari e professionali. Sarebbe molto semplice. In merito alla valutazione attraverso prove oggettive e questionari di percezione, compilati da genitori, insegnanti e anche allievi, si sono fatte buone esperienze, che oltretutto il ministero conosce. Perché non si inizia a incentivare quelle? A livello di istituti e di singoli docenti. Sicuramente, se ci sono incentivi, molte altre seguiranno. Gli incentivi potrebbero essere sia di scatto economico, sia di riconoscimento di competenza, ad esempio come esperto in valutazione, con prospettive professionali specifiche. Senza fare un piano su cui tutti si debbano dichiarare d'accordo. Perché d'accordo non lo saranno mai tutti. E non si può rimanere tutti al palo, incatenati dalla paura di qualcuno che diventa contagiosa. Sono favorevole alla valutazione, ma vedo i pericoli di una ritualizzazione formale basata su regole e non su competenze.

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Così come vedo oggi il rischio che la riforma venga annacquata con emendamenti al ribasso, presi dal miraggio di fare una cosa che valga per tutti.. Le regole hanno due funzioni opposte: possono schiacciare la libertà, ponendo dei vincoli per tutti, o possono delineare spazi nuovi di legittimità entro cui ampliare la libertà, aperti a tutti, ma percorsi solo da chi ne ha voglia o interesse. Una riforma che obblighi alla valutazione, con criteri francamente opinabili, come la costituzione di commissioni d'istituto non professionalmente preparate, sa di imposizione e spinge alla lribellione. Una riforma che apra alla possibilità di incentivare chi si occupa di valutazione e chi vi si sottopone in modo serio, diventa invece uno strumento nuovo per migliorare il servizio scolastico. Se non si obbliga chi non vuole, si inibisce la protesta e poco alla volta la si isola. E finalmente si può passare a discutere di come si può svolgere una buona valutazione individuale e di scuola, utile per migliorare la qualità del servizio. Ezio Ferrero ha detto: Pietro, concordo che la valutazione non deve essere data "ad capocchiam", ma basata su fatti. Come avviene in qualsiasi organizzazione di questa terra, da parte di qualsiasi "coordinatore" degno di questo nome (non uso termini che possano suonare gerarchici o peggio ancora aziendali per evitare levate di scudi) Fra i "fatti" sicuramente ci sono anche le invalsi. Che però la maggior patre dei docenti boicotta, nonostante siano fatte piuttosto bene secondo me (non sono assolutamente nozionistiche). Ora si boicotta un sistema che fornisce dati oggettivi !! Purtroppo la mia convinzione da molto tempo è che moltissimi insegnanti, e tutte le organizzazioni sindacali, NON NE VOGLIONO SAPERE DI ALCUN TIPO DI VALUTAZIONE, DI NESSUN GENERE, PER NESSUNO SCOPO. E quanto successo nelle ultime settimane e soprattutto gli argomenti usati lo dimostrano ampiamente. Perché? (...)

Risposto da Giampaolo Carboniero su 28 Maggio 2015 a 18:43 Non vorrei che nei sistemi educativi si andasse verso quanto illustra Chomsky http://www.alternet.org/education/chomsky-corporate-assault-public-...

Risposto da Ezio Ferrero su 28 Maggio 2015 a 22:23 Questo articolo è riferito al sistema USA, in particolare quello universitario. E' un pianeta diverso rispetto all'europa (UK esclusa) ed all'italia in particolare. Detto ciò, alcune considerazioni 1) Chi paga per l'Università E' opinione praticamente genralizzata in Italia che in nome del diritto allo studio, l'università debba essere gratuita (o comunque con tasse universitarie basse). Questo favorirebbe le classi più deboli etc. Siamo proprio sicuri che sia così? I dati dicono che la frequenza universitaria è più alta fra i figli delle classi ricche rispetto a quelli delle classi povere. I dati dicono anche che, mediamente, i laureati guadagneranno di più nel corso della loro vita lavorativa rispetto ai non laureati. Mettendo insieme questi due fattori vuol dire che la gratuità (o quasi) delle frequenza universitaria è un trasferimento netto di risorse dalla fiscalità generale (cui partecipano tutti, anche quelli meno abbienti) alle classi sociali superiori che, inoltre, grazie a questo trasferimento avranno un reddito superiore. Sia chiaro, non penso che il sistema dell università private con i costi astronomici come negli USA sia il modello da seguire, ma la realtà, spesso, è meno ovvia di quello che sembra 2) gli interventi previsti dal provvedimento detto BuonaScuola sono essenzialmente legati ai meccanismi di funzionamento organizzativo della scuola (non della università). Non toccano in sostanza nè i contenuti nè le modalità di insegnamento e neanche i costi che le famiglie sostengono per la scuola.

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Quindi non esiste nessun pericolo di "aziendalizzazione", qualsiasi cosa questo voglia dire 3) L'articolo di Chomsky è molto critico sul sistema della università private, sui suoi costi elevatissimi. Cita in modo esplicito le università della cosiddetta Ivy League. Che sono le uniche nelle quali ha insegnato: prima Harvard, poi MIT. Due delle università più costose del pianeta. Diciamo che non mi sembra un fulgido esempio di coerenza. Giampaolo Carboniero ha detto: Non vorrei che nei sistemi educativi si andasse verso quanto illustra Chomsky http://www.alternet.org/education/chomsky-corporate-assault-public-...

Risposto da Fabio Colasanti su 29 Maggio 2015 a 0:46 Ezio, completamente d'accordo. Ezio Ferrero ha detto: Questo articolo è riferito al sistema USA, in particolare quello universitario. E' un pianeta diverso rispetto all'europa (UK esclusa) ed all'italia in particolare. Detto ciò, alcune considerazioni 1) Chi paga per l'Università E' opinione praticamente genralizzata in Italia che in nome del diritto allo studio, l'università debba essere gratuita (o comunque con tasse universitarie basse). Questo favorirebbe le classi più deboli etc. Siamo proprio sicuri che sia così? I dati dicono che la frequenza universitaria è più alta fra i figli delle classi ricche rispetto a quelli delle classi povere. I dati dicono anche che, mediamente, i laureati guadagneranno di più nel corso della loro vita lavorativa rispetto ai non laureati. Mettendo insieme questi due fattori vuol dire che la gratuità (o quasi) delle frequenza universitaria è un trasferimento netto di risorse dalla fiscalità generale (cui partecipano tutti, anche quelli meno abbienti) alle classi sociali superiori che, inoltre, grazie a questo trasferimento avranno un reddito superiore. Sia chiaro, non penso che il sistema dell università private con i costi astronomici come negli USA sia il modello da seguire, ma la realtà, spesso, è meno ovvia di quello che sembra 2) gli interventi previsti dal provvedimento detto BuonaScuola sono essenzialmente legati ai meccanismi di funzionamento organizzativo della scuola (non della università). Non toccano in sostanza nè i contenuti nè le modalità di insegnamento e neanche i costi che le famiglie sostengono per la scuola. Quindi non esiste nessun pericolo di "aziendalizzazione", qualsiasi cosa questo voglia dire 3) L'articolo di Chomsky è molto critico sul sistema della università private, sui suoi costi elevatissimi. Cita in modo esplicito le università della cosiddetta Ivy League. Che sono le uniche nelle quali ha insegnato: prima Harvard, poi MIT. Due delle università più costose del pianeta. Diciamo che non mi sembra un fulgido esempio di coerenza.

Risposto da Giampaolo Carboniero su 29 Maggio 2015 a 1:48 Basta non adeguarsi al pensiero unico, dissentire, per sentirsi rivolgere di tutto; io ne avevo ricavato un altro senso, ma forse sono incoerente anch'io. Fabio Colasanti ha detto: Ezio, completamente d'accordo. Ezio Ferrero ha detto:

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Questo articolo è riferito al sistema USA, in particolare quello universitario. E' un pianeta diverso rispetto all'europa (UK esclusa) ed all'italia in particolare. Detto ciò, alcune considerazioni 1) Chi paga per l'Università E' opinione praticamente genralizzata in Italia che in nome del diritto allo studio, l'università debba essere gratuita (o comunque con tasse universitarie basse). Questo favorirebbe le classi più deboli etc. Siamo proprio sicuri che sia così? I dati dicono che la frequenza universitaria è più alta fra i figli delle classi ricche rispetto a quelli delle classi povere. I dati dicono anche che, mediamente, i laureati guadagneranno di più nel corso della loro vita lavorativa rispetto ai non laureati. Mettendo insieme questi due fattori vuol dire che la gratuità (o quasi) delle frequenza universitaria è un trasferimento netto di risorse dalla fiscalità generale (cui partecipano tutti, anche quelli meno abbienti) alle classi sociali superiori che, inoltre, grazie a questo trasferimento avranno un reddito superiore. Sia chiaro, non penso che il sistema dell università private con i costi astronomici come negli USA sia il modello da seguire, ma la realtà, spesso, è meno ovvia di quello che sembra 2) gli interventi previsti dal provvedimento detto BuonaScuola sono essenzialmente legati ai meccanismi di funzionamento organizzativo della scuola (non della università). Non toccano in sostanza nè i contenuti nè le modalità di insegnamento e neanche i costi che le famiglie sostengono per la scuola. Quindi non esiste nessun pericolo di "aziendalizzazione", qualsiasi cosa questo voglia dire 3) L'articolo di Chomsky è molto critico sul sistema della università private, sui suoi costi elevatissimi. Cita in modo esplicito le università della cosiddetta Ivy League. Che sono le uniche nelle quali ha insegnato: prima Harvard, poi MIT. Due delle università più costose del pianeta. Diciamo che non mi sembra un fulgido esempio di coerenza.

Risposto da Antonino Andaloro su 29 Maggio 2015 a 6:51 Chiedo scusa, agli amici che sostengono ad occhi chiusi questa benedetta riforma sulla scuola. Voi pensate che questi poteri consegnati nei mani dei "presidi" meridionali possano essere veramente la panacea ? Voi pensate che con il clientelismo (e sono il primo a fare un'autocritica intellettuale e morale) trasversale che ha minacciato e continua a minacciare la nostra società civile, i presidi possano rimanere ""AL DI SOPRA DELLE PARTI" come ""SOGGETTI IMMUNIZZATI" alle tentazioni di dover favorire un'insegnante rispetto ad un'altro ? . Io non ci credo, se voi e Renzi credete che tutto questo possa essere superato, vi state assumendo una grande responsabilità.

Risposto da giorgio varaldo su 29 Maggio 2015 a 7:38 Bravo antonino questo si chiama parlare chiaro. Salvini non sarebbe stato capace di far meglio. Antonino Andaloro ha detto: Chiedo scusa, agli amici che sostengono ad occhi chiusi questa benedetta riforma sulla scuola. Voi pensate che questi poteri consegnati nei mani dei "presidi" meridionali possano essere veramente la panacea ? Voi pensate che con il clientelismo (e sono il primo a fare un'autocritica intellettuale e morale) trasversale che ha minacciato e continua a minacciare la nostra società civile, i presidi possano rimanere ""AL DI SOPRA DELLE PARTI" come ""SOGGETTI IMMUNIZZATI" alle tentazioni di dover favorire un'insegnante rispetto ad un'altro ? . Io non ci credo, se voi e Renzi credete che tutto questo possa essere superato, vi state assumendo una grande responsabilità.

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Risposto da giorgio varaldo su 29 Maggio 2015 a 8:01 facendo colazione abbiamo discusso l'intervento di antonino con la dolce metà. E come tutte le donne pragmatiche ecco la possibile soluzione . ritornare al sistema di far venire il superiore da altra zona del paese. Ricordava che quando negli anni 50 il su' babbo da aiuto macchinista FS in forza al compartimento di venezia divenne macchinista dovette cambiare compartimento (ed ecco perchè accettando il trasferimento del compartimento di genova ho conosciuto la figliola ..) Questo sistema era utilizzato anche nelle aziende. In SANAC (gruppo FINSIDER) nella quale ho lavorato sino al 1995 era prassi comune che un avanzamento di carriera era abbinato ad un cambio di stabilimento : un nuovo capo reparto non poteva operare nello stabilimento e dirigere quelli che erano stati suoi colleghi. Ovvio l'azienda si prendeva a carico le spese ed inoltre il nuovo stipendio prevedeva un congruo superminimo ad personam non proprio indifferente! Per la cronaca l'ultimo trasferimento lo ho avuto nel gennaio del 1988. Antonino Andaloro ha detto: Chiedo scusa, agli amici che sostengono ad occhi chiusi questa benedetta riforma sulla scuola. Voi pensate che questi poteri consegnati nei mani dei "presidi" meridionali possano essere veramente la panacea ? Voi pensate che con il clientelismo (e sono il primo a fare un'autocritica intellettuale e morale) trasversale che ha minacciato e continua a minacciare la nostra società civile, i presidi possano rimanere ""AL DI SOPRA DELLE PARTI" come ""SOGGETTI IMMUNIZZATI" alle tentazioni di dover favorire un'insegnante rispetto ad un'altro ? . Io non ci credo, se voi e Renzi credete che tutto questo possa essere superato, vi state assumendo una grande responsabilità.

Risposto da Cristina Favati su 29 Maggio 2015 a 10:32 Un bell'articolo http://www.lastampa.it/2015/05/29/cultura/opinioni/secondo-me/rose-...

Risposto da Cristina Favati su 29 Maggio 2015 a 12:39 Quando gli interessi da difendere sono solo quelli degli addetti. http://www.pietroichino.it/?p=35693

Risposto da giovanni de sio cesari su 29 Maggio 2015 a 21:02 Pietro Vedo con piacere che sei uomo di scuol: anche io ho insegnato per 41 anni e per motivi che non sto qui a spiegare ho una esperienza molto ampia e completa della scuola Se considero anche il tempo in cui sono stato alunno diciamo che più del 90% della mia vita l’ho trascorso a scuola

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Dico quindi innnzi tutto a me stesso che dobbiamo uscire alla autorferenzialita, dell’idea che il nostro lavoro sia qualcosa di non valutabile, di incommensurabile Anche io come tutti ho pensato che fossi il mio migliore docente possibile e che soprattutto gli altri non erano in grado di capire Non è così, non occorrono super super esperti ccon la conseguenza che poiche pratica non ci sono, , non si può valutare Anche quando scelgo un medico non consulto certo dei luminari della disciplina così come un imprenditore che assume un ingegnere e così via ( nel privato i titoli hano scarso rilievo) Anche nella scuola un gestore assume dei docenti un genitore un insegnante privato e all’estero un Headmaster sceglie gli insegnanti senza che si pretenda che ci sia chi sa quale esperto Perché mai nella scuola dovrebbe essere praticamente impossibile valutare l opera dei prof? Soprattutto, ripeto, non si tratta di discriminare fra i bravissimi ma fra quelli che si impegnano e hanno risulatati e quelli che non fanno niente In realtà ogni alunno e ogni famiglia formula dei giudizi In sostanza occorre che la libertà di insegnamento non sia intesa come libertà di noninsegnare: anzi una intromissione eccessiva, inevitabile da parte degli espertissimi, si risolverebbe nella negazione della libertà di insegnamento nel ridurre i prof in passivi esecutori Pietro Maruca ha detto: Scusa, Giovanni, ma la tua è una tipica risposta di chi non conosce. Per valutare le competenze basterebbe che il ministero indicasse per ogni disciplina quali siano le priorità e chiedere ai docenti di affrontare esami universitari su quei temi. I 500 euro l'anno previsti permettono ampiamente di affrontare le spese. Eventuali scatti incentivanti ogni x esami sarebbe uno stimolo sufficiente per sentirsi incentivati ad andare oltre la preparazione di base. Invece di avere solo gli scatti di anzianità o di indicare tra i docenti di un collegio il 10 o il 20% da premiare nel fare lo stesso lavoro. I medici ad esempio si aggiornano privatamente su temi legati alla loro professione, con enti accreditati presso il ministero. Starebbe agli enti o alle università l'onere di accreditarsi. Tutto molto semplice e molto più qualificato. Senza appesantimenti burocratici come la preparazione di personale ispettivo, con relativi concorsi. Mi spieghi come possa fare un preside con diploma isef a valutare le conoscenze di un collega di matematica? La valutazione peggiore che possa esserci, e che purtroppo avviene quotidianamente, è quella del sentito dire, del confrontare i quaderni, del ricordarsi come si era al liceo, del dare ripetizioni e sputare m... su chi non corrisponde a ciò che ci si aspetta. E' questa serie di banalità che gli insegnanti temono. Ma nello stesso tempo non capiscono che solo con una valutazione seria si può evitare il qualunquismo. A proposito di valutatori: mi sono occupato di valutazione negli ultimi dodici anni da capo istituto e anche dopo, da pensionato. Insieme a tanti altri. Esistono corsi universitari post laurea sulla valutazione. Frequentati da insegnanti e dirigenti scolastici. Volendo in un paio d'anni si possono preparare centinaia di persone in ogni regione, senza grosse difficoltà, anche con l'aiuto dell'INVALSI. Le prove non sono in serie infinita e non sono discrezionali. Esistono test e modalità di comparazione oggettive, basati non su standard, ma su medie da cui i risultati personali e di classe si discostano in positivo o in negativo, individuando nodi critici e punti di forza. Insomma non siamo all'anno zero. Basta volerlo.

Risposto da giovanni de sio cesari su 29 Maggio 2015 a 21:08 Pietro Passando poi al merito delle tue proposte La nostra discussione partiva dal fatto che una cosa è la preparazione teorica, altra la capacità professionale Mi pare però invce che tu non distingua le due cose L'aggiornamento, il superamento di esami universitari nulla ci dicono sulla effettiva attivita didattica che è tutta altra cosa

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Noi potremmo avere (e di fatto abbiamo) docenti preparatissimi che non vogliono e/o non sanno insegnare Certo pure l'aggiornamento ha la sua importanza così come la preparazione ma noi dobbiamo valutare l’attività didattica Cosi io ora sono in un hotel che non ho scelto secondo se il personale ha fatto o meno la scuola alberghiera ma dal giudizio che su di esso hanno lasciato i clienti su Tripadvisor Pietro Maruca ha detto: Scusa, Giovanni, ma la tua è una tipica risposta di chi non conosce. Per valutare le competenze basterebbe che il ministero indicasse per ogni disciplina quali siano le priorità e chiedere ai docenti di affrontare esami universitari su quei temi. I 500 euro l'anno previsti permettono ampiamente di affrontare le spese. Eventuali scatti incentivanti ogni x esami sarebbe uno stimolo sufficiente per sentirsi incentivati ad andare oltre la preparazione di base. Invece di avere solo gli scatti di anzianità o di indicare tra i docenti di un collegio il 10 o il 20% da premiare nel fare lo stesso lavoro. I medici ad esempio si aggiornano privatamente su temi legati alla loro professione, con enti accreditati presso il ministero. Starebbe agli enti o alle università l'onere di accreditarsi. Tutto molto semplice e molto più qualificato. Senza appesantimenti burocratici come la preparazione di personale ispettivo, con relativi concorsi. Mi spieghi come possa fare un preside con diploma isef a valutare le conoscenze di un collega di matematica? La valutazione peggiore che possa esserci, e che purtroppo avviene quotidianamente, è quella del sentito dire, del confrontare i quaderni, del ricordarsi come si era al liceo, del dare ripetizioni e sputare m... su chi non corrisponde a ciò che ci si aspetta. E' questa serie di banalità che gli insegnanti temono. Ma nello stesso tempo non capiscono che solo con una valutazione seria si può evitare il qualunquismo. A proposito di valutatori: mi sono occupato di valutazione negli ultimi dodici anni da capo istituto e anche dopo, da pensionato. Insieme a tanti altri. Esistono corsi universitari post laurea sulla valutazione. Frequentati da insegnanti e dirigenti scolastici. Volendo in un paio d'anni si possono preparare centinaia di persone in ogni regione, senza grosse difficoltà, anche con l'aiuto dell'INVALSI. Le prove non sono in serie infinita e non sono discrezionali. Esistono test e modalità di comparazione oggettive, basati non su standard, ma su medie da cui i risultati personali e di classe si discostano in positivo o in negativo, individuando nodi critici e punti di forza. Insomma non siamo all'anno zero. Basta volerlo.

Risposto da giovanni de sio cesari su 29 Maggio 2015 a 21:14 Antonino Certo vi sono infinite perplessità sulla valutazione dei presidi del sud o del nord che siano Però il discorso secondo me è questo Il principio è che occorre valutare gli insegnanti se vogliamo veramente migliorare la scuola Come possiamo fare? Al governo e sembrata che la soluzione possibile fosse quella di affidarsi ai presidi Quale altra soluzione è possibile? Io pensavo a una soluzione come gli ispettori HM ma non ci sono attualmente in italia: che facciamoallora : niente? In ogni situazione vi è sempre una soluzione migliore ma occorre vedere se qusta è realisticamente attuabile Antonino Andaloro ha detto: Chiedo scusa, agli amici che sostengono ad occhi chiusi questa benedetta riforma sulla scuola. Voi pensate che questi poteri consegnati nei mani dei "presidi" meridionali possano essere veramente la panacea ?

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Voi pensate che con il clientelismo (e sono il primo a fare un'autocritica intellettuale e morale) trasversale che ha minacciato e continua a minacciare la nostra società civile, i presidi possano rimanere ""AL DI SOPRA DELLE PARTI" come ""SOGGETTI IMMUNIZZATI" alle tentazioni di dover favorire un'insegnante rispetto ad un'altro ? . Io non ci credo, se voi e Renzi credete che tutto questo possa essere superato, vi state assumendo una grande responsabilità.

Risposto da giovanni de sio cesari su 29 Maggio 2015 a 21:18 Giorgio pero nella scuola chi diventa preside non resta certo nella scuola dove ha insegnato: spesso anzi finisce molto lontano giorgio varaldo ha detto: facendo colazione abbiamo discusso l'intervento di antonino con la dolce metà. E come tutte le donne pragmatiche ecco la possibile soluzione . ritornare al sistema di far venire il superiore da altra zona del paese. Ricordava che quando negli anni 50 il su' babbo da aiuto macchinista FS in forza al compartimento di venezia divenne macchinista dovette cambiare compartimento (ed ecco perchè accettando il trasferimento del compartimento di genova ho conosciuto la figliola ..) Questo sistema era utilizzato anche nelle aziende. In SANAC (gruppo FINSIDER) nella quale ho lavorato sino al 1995 era prassi comune che un avanzamento di carriera era abbinato ad un cambio di stabilimento : un nuovo capo reparto non poteva operare nello stabilimento e dirigere quelli che erano stati suoi colleghi. Ovvio l'azienda si prendeva a carico le spese ed inoltre il nuovo stipendio prevedeva un congruo superminimo ad personam non proprio indifferente! Per la cronaca l'ultimo trasferimento lo ho avuto nel gennaio del 1988.

Risposto da giorgio varaldo su 29 Maggio 2015 a 21:37 giovanni questa notizia mi giunge nuova. So della mia insegnante di matematica all''ITIS G,Ferraris di savona divenuta preside. Nel caso specifico conoscendo l'insegnante la nomina a preside è stata la miglior scelta per la scuola. giovanni de sio cesari ha detto: Giorgio pero nella scuola chi diventa preside non resta certo nella scuola dove ha insegnato: spesso anzi finisce molto lontano giorgio varaldo ha detto: facendo colazione abbiamo discusso l'intervento di antonino con la dolce metà. E come tutte le donne pragmatiche ecco la possibile soluzione . ritornare al sistema di far venire il superiore da altra zona del paese. Ricordava che quando negli anni 50 il su' babbo da aiuto macchinista FS in forza al compartimento di venezia divenne macchinista dovette cambiare compartimento (ed ecco perchè accettando il trasferimento del compartimento di genova ho conosciuto la figliola ..) Questo sistema era utilizzato anche nelle aziende. In SANAC (gruppo FINSIDER) nella quale ho lavorato sino al 1995 era prassi comune che un avanzamento di carriera era abbinato ad un cambio di stabilimento : un nuovo capo reparto non poteva operare nello stabilimento e dirigere quelli che erano stati suoi colleghi.

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Ovvio l'azienda si prendeva a carico le spese ed inoltre il nuovo stipendio prevedeva un congruo superminimo ad personam non proprio indifferente! Per la cronaca l'ultimo trasferimento lo ho avuto nel gennaio del 1988.

Risposto da Ezio Ferrero su 30 Maggio 2015 a 0:53 Non capisco il tuo commento. Non ho fatto NESSUNA considerazione di nessun tipo su di te (cosa ti avrei rivolto?). Ho semplicemente esposto la mia opinione che il tema dei costi delle università è piuttosto complesso e, a mio parere, meno scontato di quello che sembra. L'unica considerazione che ho fatto riguarda la coerenza di Chomsky. Mi sembra un normale confronto di opinioni. Che diavolo c'entra il pensiero unico? (fra l'altro credo che la mia considerazione sui costi universitari sia condivisa, forse, dallo 0,1% di quelli che si riconoscono nel PD) Giampaolo Carboniero ha detto: Basta non adeguarsi al pensiero unico, dissentire, per sentirsi rivolgere di tutto; io ne avevo ricavato un altro senso, ma forse sono incoerente anch'io. Fabio Colasanti ha detto: Ezio, completamente d'accordo. Ezio Ferrero ha detto: Questo articolo è riferito al sistema USA, in particolare quello universitario. E' un pianeta diverso rispetto all'europa (UK esclusa) ed all'italia in particolare. Detto ciò, alcune considerazioni 1) Chi paga per l'Università E' opinione praticamente genralizzata in Italia che in nome del diritto allo studio, l'università debba essere gratuita (o comunque con tasse universitarie basse). Questo favorirebbe le classi più deboli etc. Siamo proprio sicuri che sia così? I dati dicono che la frequenza universitaria è più alta fra i figli delle classi ricche rispetto a quelli delle classi povere. I dati dicono anche che, mediamente, i laureati guadagneranno di più nel corso della loro vita lavorativa rispetto ai non laureati. Mettendo insieme questi due fattori vuol dire che la gratuità (o quasi) delle frequenza universitaria è un trasferimento netto di risorse dalla fiscalità generale (cui partecipano tutti, anche quelli meno abbienti) alle classi sociali superiori che, inoltre, grazie a questo trasferimento avranno un reddito superiore. Sia chiaro, non penso che il sistema dell università private con i costi astronomici come negli USA sia il modello da seguire, ma la realtà, spesso, è meno ovvia di quello che sembra 2) gli interventi previsti dal provvedimento detto BuonaScuola sono essenzialmente legati ai meccanismi di funzionamento organizzativo della scuola (non della università). Non toccano in sostanza nè i contenuti nè le modalità di insegnamento e neanche i costi che le famiglie sostengono per la scuola. Quindi non esiste nessun pericolo di "aziendalizzazione", qualsiasi cosa questo voglia dire 3) L'articolo di Chomsky è molto critico sul sistema della università private, sui suoi costi elevatissimi. Cita in modo esplicito le università della cosiddetta Ivy League. Che sono le uniche nelle quali ha insegnato: prima Harvard, poi MIT. Due delle università più costose del pianeta. Diciamo che non mi sembra un fulgido esempio di coerenza.

Risposto da Ezio Ferrero su 30 Maggio 2015 a 1:00 Non sono meridionale, ma ho una moglie che lo è, quindi conosco abbastanza certe situazioni.

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è indubbio che esista (da sempre) una questione meridionale (non solo nella scuola). non posso però accettare che si prenda per acquisita una sorta di minorità genetica, quindi permanente. Credo che il problema sia "albientale" e "culturale". Il fatto che esistono "oasi" nel meridione dimostra che "si può fare" (stavo per scrivere è "possibile", mi sono fermato in tempo :)) detto ciò l'idea della rotazione, anche territoriale, non è male: sia per evitare poco commendevoli "aderenze", sia per omogeneizzare il sistema giorgio varaldo ha detto: facendo colazione abbiamo discusso l'intervento di antonino con la dolce metà. E come tutte le donne pragmatiche ecco la possibile soluzione . ritornare al sistema di far venire il superiore da altra zona del paese. Ricordava che quando negli anni 50 il su' babbo da aiuto macchinista FS in forza al compartimento di venezia divenne macchinista dovette cambiare compartimento (ed ecco perchè accettando il trasferimento del compartimento di genova ho conosciuto la figliola ..) Questo sistema era utilizzato anche nelle aziende. In SANAC (gruppo FINSIDER) nella quale ho lavorato sino al 1995 era prassi comune che un avanzamento di carriera era abbinato ad un cambio di stabilimento : un nuovo capo reparto non poteva operare nello stabilimento e dirigere quelli che erano stati suoi colleghi. Ovvio l'azienda si prendeva a carico le spese ed inoltre il nuovo stipendio prevedeva un congruo superminimo ad personam non proprio indifferente! Per la cronaca l'ultimo trasferimento lo ho avuto nel gennaio del 1988. Antonino Andaloro ha detto: Chiedo scusa, agli amici che sostengono ad occhi chiusi questa benedetta riforma sulla scuola. Voi pensate che questi poteri consegnati nei mani dei "presidi" meridionali possano essere veramente la panacea ? Voi pensate che con il clientelismo (e sono il primo a fare un'autocritica intellettuale e morale) trasversale che ha minacciato e continua a minacciare la nostra società civile, i presidi possano rimanere ""AL DI SOPRA DELLE PARTI" come ""SOGGETTI IMMUNIZZATI" alle tentazioni di dover favorire un'insegnante rispetto ad un'altro ? . Io non ci credo, se voi e Renzi credete che tutto questo possa essere superato, vi state assumendo una grande responsabilità.

Risposto da Antonino Andaloro su 30 Maggio 2015 a 6:29 Certo che è ambientale, caro Ezio, ed è provato dal fatto che gli stessi professionisti e ti cito oltre agli insegnanti anche la categoria dei medici/specialisti, se svolgono la loro funzione in ambienti meridionali hanno un rendimento X, se la svolgono in ambienti del nord Italia hanno un rendimento Y, per non dire migliore nella maggior parte dei casi.Le mie perplessità riguardano, il destino della scuola del meridione, ma si può lasciare che come al solito ci si arrangi da soli ? E' mai possibile che si parli del meridione solo quando gli si deve mollare qualche pacco ? E' mai possibile che si parli del meridione solo per destinare dei soldi, per poi sentirsi dire che non li abbiamo saputi spendere ? Se la questione oltre che essere meridionale è anche una questione politica, perchè non iniziare da noi a pretendere serietà ed onestà ? Perchè non si deve iniziare da noi a coinvolgere la parte attiva della società civile, inserendo il merito tra i docenti, e anche tra gli studenti, perchè non inserire e sperimentare nella scuola l'accesso ai brevetti ? Se vogliamo un meridione alla pari del resto d'Italia, la scuola ci può aiutare a programmarci giovani più preparati, sempre se lo vogliamo !!!! Se l'obiettivo, oltre al risparmio, deve essere anche (e spero per tutti noi) la qualità dei servizi, ho più di qualche motivo per pensare che questa riforma non funzioni. La rotazione potrebbe aiutare in parte a non avere dei presidi vincolati alla sensibilità dei rapporti umani, visto che già loro stessi si rendono conto che vuol dire essere trasferiti ad ogni periodo maturato in un luogo. Io non l'ho letta la proposta di legge, ma è tutta qui ? Ad esempio quali novità ci sono a riguardo della formazione degli studenti e degli stessi insegnanti ?

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Risposto da giovanni de sio cesari su 30 Maggio 2015 a 9:04 Giorgio Puo darsi che si divenga preside in una scuola dove si è insegnatoma dopo alcuni anni, mi pare che sia escluso da una norm che avvenga immediatamnte-tuttavia si tratta di una eccezione, in genere non avviene Un problema simile magari avviene per i prof che insegnano nel piccolo centro di cui sono originari, dove tutti conoscono tutti E’ difficile essere veramente imparziali con i propri alunni se c’ il figlio del parente, dell’amico e del nemico Io che vivo in una grande citta non ho mai avuto problemi del genere Solo una volta mi è capitata di avere in classe la figlia di un amico di infanzia: un vero problema se questa non ha intenzione di fare nulla giorgio varaldo ha detto: giovanni questa notizia mi giunge nuova. So della mia insegnante di matematica all''ITIS G,Ferraris di savona divenuta preside. Nel caso specifico conoscendo l'insegnante la nomina a preside è stata la miglior scelta per la scuola.

Risposto da Giampaolo Carboniero su 30 Maggio 2015 a 19:44 Ho cercato di difendere Chomsky, visto che non era presente. Ezio Ferrero ha detto: Non capisco il tuo commento. Non ho fatto NESSUNA considerazione di nessun tipo su di te (cosa ti avrei rivolto?). Ho semplicemente esposto la mia opinione che il tema dei costi delle università è piuttosto complesso e, a mio parere, meno scontato di quello che sembra. L'unica considerazione che ho fatto riguarda la coerenza di Chomsky. Mi sembra un normale confronto di opinioni. Che diavolo c'entra il pensiero unico? (fra l'altro credo che la mia considerazione sui costi universitari sia condivisa, forse, dallo 0,1% di quelli che si riconoscono nel PD) Giampaolo Carboniero ha detto: Basta non adeguarsi al pensiero unico, dissentire, per sentirsi rivolgere di tutto; io ne avevo ricavato un altro senso, ma forse sono incoerente anch'io.

Risposto da Ezio Ferrero su 31 Maggio 2015 a 1:14 non penso abbia bisogno di difensori di ufficio. e mi sembra poco contestabile che sia perlomeno curioso che la contestazione delle università della Ivy League per i loro costi venga da uno che ha sempre e solo lavorato in quelle università (che, in virtù dei costi elevatissimi, pagano piuttosto bene gli insegnanti) Giampaolo Carboniero ha detto: Ho cercato di difendere Chomsky, visto che non era presente. Ezio Ferrero ha detto: Non capisco il tuo commento. Non ho fatto NESSUNA considerazione di nessun tipo su di te (cosa ti avrei rivolto?). Ho semplicemente esposto la mia opinione che il tema dei costi delle università è piuttosto complesso e, a mio parere, meno scontato di quello che sembra. L'unica considerazione che ho fatto riguarda la coerenza di Chomsky.

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Mi sembra un normale confronto di opinioni. Che diavolo c'entra il pensiero unico? (fra l'altro credo che la mia considerazione sui costi universitari sia condivisa, forse, dallo 0,1% di quelli che si riconoscono nel PD) Giampaolo Carboniero ha detto: Basta non adeguarsi al pensiero unico, dissentire, per sentirsi rivolgere di tutto; io ne avevo ricavato un altro senso, ma forse sono incoerente anch'io.

Risposto da Giampaolo Carboniero su 31 Maggio 2015 a 3:24 Perchè, invece di demonizzare o criticare la persona, non entri nel merito degli argomenti? Forse proprio perchè ha insegnato in quelle scuole ha capito meglio come funziona il trucco. Ezio Ferrero ha detto: non penso abbia bisogno di difensori di ufficio. e mi sembra poco contestabile che sia perlomeno curioso che la contestazione delle università della Ivy League per i loro costi venga da uno che ha sempre e solo lavorato in quelle università (che, in virtù dei costi elevatissimi, pagano piuttosto bene gli insegnanti) Giampaolo Carboniero ha detto: Ho cercato di difendere Chomsky, visto che non era presente. Ezio Ferrero ha detto: Non capisco il tuo commento. Non ho fatto NESSUNA considerazione di nessun tipo su di te (cosa ti avrei rivolto?). Ho semplicemente esposto la mia opinione che il tema dei costi delle università è piuttosto complesso e, a mio parere, meno scontato di quello che sembra. L'unica considerazione che ho fatto riguarda la coerenza di Chomsky. Mi sembra un normale confronto di opinioni. Che diavolo c'entra il pensiero unico? (fra l'altro credo che la mia considerazione sui costi universitari sia condivisa, forse, dallo 0,1% di quelli che si riconoscono nel PD) Giampaolo Carboniero ha detto: Basta non adeguarsi al pensiero unico, dissentire, per sentirsi rivolgere di tutto; io ne avevo ricavato un altro senso, ma forse sono incoerente anch'io.

Risposto da Giampaolo Carboniero su 31 Maggio 2015 a 18:09 Secondo me un interessante contributo alla discussione https://www.facebook.com/notes/10152813205536472/

Risposto da Fabio Colasanti su 2 Giugno 2015 a 23:56 Eccesso di zelo o vero problema ? http://www.corriere.it/scuola/universita/15_giugno_02/se-l-universi...

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Risposto da Ezio Ferrero su 3 Giugno 2015 a 0:25 Ho già risposto. La considerazione su Chomsky era solo l'ultimo dei punti della mia risposta Giampaolo Carboniero ha detto: Perchè, invece di demonizzare o criticare la persona, non entri nel merito degli argomenti? Forse proprio perchè ha insegnato in quelle scuole ha capito meglio come funziona il trucco. Ezio Ferrero ha detto: non penso abbia bisogno di difensori di ufficio. e mi sembra poco contestabile che sia perlomeno curioso che la contestazione delle università della Ivy League per i loro costi venga da uno che ha sempre e solo lavorato in quelle università (che, in virtù dei costi elevatissimi, pagano piuttosto bene gli insegnanti) Giampaolo Carboniero ha detto: Ho cercato di difendere Chomsky, visto che non era presente. Ezio Ferrero ha detto: Non capisco il tuo commento. Non ho fatto NESSUNA considerazione di nessun tipo su di te (cosa ti avrei rivolto?). Ho semplicemente esposto la mia opinione che il tema dei costi delle università è piuttosto complesso e, a mio parere, meno scontato di quello che sembra. L'unica considerazione che ho fatto riguarda la coerenza di Chomsky. Mi sembra un normale confronto di opinioni. Che diavolo c'entra il pensiero unico? (fra l'altro credo che la mia considerazione sui costi universitari sia condivisa, forse, dallo 0,1% di quelli che si riconoscono nel PD) Giampaolo Carboniero ha detto: Basta non adeguarsi al pensiero unico, dissentire, per sentirsi rivolgere di tutto; io ne avevo ricavato un altro senso, ma forse sono incoerente anch'io.

Risposto da giovanni de sio cesari su 3 Giugno 2015 a 22:06 Fabio N0, non credo che esageri Il fatto è che la civiltà dello scritto e in crisi. Le nuove generazioni non si esprimono più per iscritto; non si scrivono lettere d’amore ne altre lettere, ne diari. Ho ricevuto qualche mese fa una lettera di un amico di infanzia, non ricevevo lettere da anni. I giovani si esprimono sui sociali con linguaggi sincopati. Sì legge poco, la comunicazione scritta in generale è fuori moda La scuola non pone più in primo piano lo scritto; i temi di un tempo sono sostituiti sempre più da questionari e simili. Non è un caso che sia giurisprudenza a porsi il problema: Infatti in diritto civile tutto avviene per iscritto e tanti giovani hanno difficoltà. Fabio Colasanti ha detto: Eccesso di zelo o vero problema ? http://www.corriere.it/scuola/universita/15_giugno_02/se-l-universi...

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Risposto da Alberto Rotondi su 4 Giugno 2015 a 16:49 Se pensate che la scuola sia in crisi, non avete visto questi dati sull'Università. Sono dati dati veramente impressionanti sulla situazione culturale degli italiani http://www.roars.it/online/almalaurea-rapporto-sulla-morte-programm... Consiglio anche il link diretto al documento di AlmaLAurea che si trova lì dentro. Qualcuno si sta occupando del problema? Assolutamente no! Al massimo si discute della scuola media superiore (il massimo che i nostri politici riescono a vedere) e si litiga sul problema epocale del potere dei Presidi. Parafrasando l'Europa, la nostra università sta applicando la politica del 20-20-20, ovvero, negli ultimi 10 anni, -20% di docenti, -20% di finanziamenti in termini reali e -20% di studenti nonostante un lieve incremento demografico in quella classe di età avvenuto nel periodo. Un paese che si sta spegnendo e non si rende conto nemmeno del perché. Forse ha ragione quel marpione di Vittorio Feltri: il nosto destino di imprenditori è di fare gli albergatori o gli affittacamere. Qualche tempo fa eravamo un forse po' diversi. La massima aspirazione della famiglia era di far studiare i figli, "mandarli all'università...", un paradigma che, università a parte, significava la voglia di migliorarsi, di lasciare una situazione migliore di quella di prima.

Risposto da Alberto Rotondi su 4 Giugno 2015 a 17:28 Ezio, la questione sulla equità delle tasse universitarie è molto complicata e sono state scritte (nel famoso libro di Ichino e Terlizzese) cose completamente sbagliate. Poi, l'errore è stato corretto da alcuni economisti della Voce e la questione è stata totalmente ridimensionata. Trovi qui un riassunto della discussione http://www.lavoce.info/archives/6838/se-i-poveri-pagano-luniversita... Personalmente, tra il sistema USA (chi è ricco si laurea comunque, anche se è un incapace, chi è povero si laurea solo se è molto bravo oppure si indebita fino al collo) e il sistema nord europeo (Germania, Olanda, Danimarca, Svezia, Finlandia: tutti i giovani meritevoli vanno praticamente gratis all'università di qualità. Addirittura in Germania, Svezia e Danimarca tutti gli studenti hanno uno stipendio se restano in regola con gli esami) preferisco il sistema nord europeo. http://youopinionn.blogspot.it/2012/12/uno-stipendio-agli-studenti.... Il sistema italiano è particolare, perché molti cittadini non usufruiscono del servizio e la qualità dell'Università pubblica (che è molto meglio di quello che normalmente si pensa) è migliorabile. Inoltre, i poveri hanno solo sgravi fiscali, mentre nel sistema nord europeo (tutti, non solo i poveri) sono mantenuti se frequentano con profitto l'Università. Ezio Ferrero ha detto: Questo articolo è riferito al sistema USA, in particolare quello universitario. E' un pianeta diverso rispetto all'europa (UK esclusa) ed all'italia in particolare. Detto ciò, alcune considerazioni 1) Chi paga per l'Università E' opinione praticamente genralizzata in Italia che in nome del diritto allo studio, l'università debba essere gratuita (o comunque con tasse universitarie basse). Questo favorirebbe le classi più deboli etc. Siamo proprio sicuri che sia così? I dati dicono che la frequenza universitaria è più alta fra i figli delle classi ricche rispetto a quelli delle classi povere. I dati dicono anche che, mediamente, i laureati guadagneranno di più nel corso della loro vita lavorativa rispetto ai non laureati. Mettendo insieme questi due fattori vuol dire che la gratuità (o quasi) delle frequenza universitaria è un trasferimento netto di risorse dalla fiscalità generale (cui partecipano tutti, anche quelli meno abbienti) alle classi sociali superiori che, inoltre, grazie a questo trasferimento avranno un reddito superiore. Sia chiaro, non penso che il sistema dell università private con i costi astronomici come negli USA sia il modello da seguire, ma la realtà, spesso, è meno ovvia di quello che sembra

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2) gli interventi previsti dal provvedimento detto BuonaScuola sono essenzialmente legati ai meccanismi di funzionamento organizzativo della scuola (non della università). Non toccano in sostanza nè i contenuti nè le modalità di insegnamento e neanche i costi che le famiglie sostengono per la scuola. Quindi non esiste nessun pericolo di "aziendalizzazione", qualsiasi cosa questo voglia dire 3) L'articolo di Chomsky è molto critico sul sistema della università private, sui suoi costi elevatissimi. Cita in modo esplicito le università della cosiddetta Ivy League. Che sono le uniche nelle quali ha insegnato: prima Harvard, poi MIT. Due delle università più costose del pianeta. Diciamo che non mi sembra un fulgido esempio di coerenza. Giampaolo Carboniero ha detto: Non vorrei che nei sistemi educativi si andasse verso quanto illustra Chomsky http://www.alternet.org/education/chomsky-corporate-assault-public-...

Risposto da Arturo Hermann su 4 Giugno 2015 a 18:02 Ma, come in tutte le istituzioni complesse, la valutazione degli insegnanti dovrebbe andare di pari passo con la valutazione delle scuole, ed entrambe le valutazioni dovrebbero seguire criteri oggettivi e confrontabili. In questo discorso, la discrezionalità del preside ha poco spazio, a meno che l'obiettivo non sia un semplice risparmio di costi basato su maggiori carichi didattici per gli insegnanti. Ma se così è, l'offerta qualitativa e quantitativa diminuirà. La complessità della valutazione del sistema scolastico è evidenziata dal sito Invalsihttp://www.invalsi.it/snv/

Risposto da Fabio Colasanti su 4 Giugno 2015 a 18:24 Alberto, grazie per aver segnalato questo ottimo rapporto. E' molto interessante quello che mette in risalto sulla dirigenza delle imprese, sul contributo alle loro dimensioni, alla prevalenza della gestione familiare e, globalmente, alla loro bassa capacità di innovare e stare al passo dei tempi. In tutti i rapporti delle organizzazioni internazionali il basso grado di istruzione della popolazione italiana è messo in risalto da almeno venti anni. Ma nel nostro paese la cosa viene completamente ignorata. Si tratta di cose ben diverse, ma è un po' come per la competitività-prezzo che abbiamo perso negli ultimi anni. Si tratta di cose molto spiacevoli, ma siccome la loro correzione è una cosa lunga e spiacevole, preferiamo ignorare il problema. Alberto Rotondi ha detto: Se pensate che la scuola sia in crisi, non avete visto questi dati sull'Università. Sono dati dati veramente impressionanti sulla situazione culturale degli italiani http://www.roars.it/online/almalaurea-rapporto-sulla-morte-programm... Consiglio anche il link diretto al documento di AlmaLAurea che si trova lì dentro. Qualcuno si sta occupando del problema? Assolutamente no! Al massimo si discute della scuola media superiore (il massimo che i nostri politici riescono a vedere) e si litiga sul problema epocale del potere dei Presidi. Parafrasando l'Europa, la nostra università sta applicando la politica del 20-20-20, ovvero, negli ultimi 10 anni, -20% di docenti, -20% di finanziamenti in termini reali e -20% di studenti nonostante un lieve incremento demografico in quella classe di età avvenuto nel periodo. Un paese che si sta spegnendo e non si rende conto nemmeno del perché. Forse ha ragione quel marpione di Vittorio Feltri: il nosto destino di imprenditori è di fare gli albergatori o gli affittacamere. Qualche tempo fa eravamo un forse po' diversi. La massima aspirazione della famiglia era di far studiare i figli, "mandarli all'università...", un paradigma che, università a parte, significava la voglia di migliorarsi, di lasciare una situazione migliore di quella di prima.

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Risposto da Alberto Rotondi su 4 Giugno 2015 a 18:26 Sì però, come dice ogni manuale di buona gestione, le fasi devono essere raccolta di informazioni, valutazione e confronto e, terza fase, attuazione di metodi migliorativi. Sulla terza fase INVALSI non fa assolutamente nulla. INVALSI è solo un ausilio per la valutazione e il confronto. Se una scuola va male, ha un basso ranking e gli utenti sono insoddisfatti, chi, come e quando prende i provvedimenti correttivi? Questo è il nocciolo del problema. Mi par di capire che con la riforma a questa terza fase concorrano vari organi, tra i quali Consiglio di Istituto e Preside. Arturo Hermann ha detto: Ma, come in tutte le istituzioni complesse, la valutazione degli insegnanti dovrebbe andare di pari passo con la valutazione delle scuole, ed entrambe le valutazioni dovrebbero seguire criteri oggettivi e confrontabili. In questo discorso, la discrezionalità del preside ha poco spazio, a meno che l'obiettivo non sia un semplice risparmio di costi basato su maggiori carichi didattici per gli insegnanti. Ma se così è, l'offerta qualitativa e quantitativa diminuirà. La complessità della valutazione del sistema scolastico è evidenziata dal sito Invalsihttp://www.invalsi.it/snv/

Risposto da Fabio Colasanti su 4 Giugno 2015 a 18:34 Alberto, grazie per la segnalazione del paper de La Voce. Ma Ichino e Terlizzese riformulano più correttamente la loro tesi, ma arrivano ugualmente alla conclusione che l'attuale meccanismo di finanziamento degli studi universitari non è equo. La loro soluzione va nel senso che molti hanno già indicato: tasse universitarie proporzionali al reddito familiare. Alberto Rotondi ha detto: Ezio, la questione sulla equità delle tasse universitarie è molto complicata e sono state scritte (nel famoso libro di Ichino e Terlizzese) cose completamente sbagliate. Poi, l'errore è stato corretto da alcuni economisti della Voce e la questione è stata totalmente ridimensionata. Trovi qui un riassunto della discussione http://www.lavoce.info/archives/6838/se-i-poveri-pagano-luniversita... Personalmente, tra il sistema USA (chi è ricco si laurea comunque, anche se è un incapace, chi è povero si laurea solo se è molto bravo oppure si indebita fino al collo) e il sistema nord europeo (Germania, Olanda, Danimarca, Svezia, Finlandia: tutti i giovani meritevoli vanno praticamente gratis all'università di qualità. Addirittura in Germania, Svezia e Danimarca tutti gli studenti hanno uno stipendio se restano in regola con gli esami) preferisco il sistema nord europeo. http://youopinionn.blogspot.it/2012/12/uno-stipendio-agli-studenti.... Il sistema italiano è particolare, perché molti cittadini non usufruiscono del servizio e la qualità dell'Università pubblica (che è molto meglio di quello che normalmente si pensa) è migliorabile. Inoltre, i poveri hanno solo sgravi fiscali, mentre nel sistema nord europeo (tutti, non solo i poveri) sono mantenuti se frequentano con profitto l'Università. Ezio Ferrero ha detto: Questo articolo è riferito al sistema USA, in particolare quello universitario. E' un pianeta diverso rispetto all'europa (UK esclusa) ed all'italia in particolare. Detto ciò, alcune considerazioni 1) Chi paga per l'Università E' opinione praticamente genralizzata in Italia che in nome del diritto allo studio, l'università debba essere gratuita (o comunque con tasse universitarie basse). Questo favorirebbe le classi più deboli etc. Siamo proprio sicuri che sia così? I dati dicono che la frequenza universitaria è più alta fra i figli delle classi ricche rispetto a quelli delle classi povere. I dati dicono anche che, mediamente, i laureati guadagneranno di più nel corso della loro vita lavorativa rispetto ai non laureati. Mettendo insieme questi due fattori vuol dire che la gratuità (o quasi) delle frequenza universitaria è un trasferimento netto di risorse dalla fiscalità generale (cui partecipano tutti, anche quelli meno abbienti) alle classi sociali superiori che, inoltre, grazie a questo trasferimento avranno un reddito superiore.

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Sia chiaro, non penso che il sistema dell università private con i costi astronomici come negli USA sia il modello da seguire, ma la realtà, spesso, è meno ovvia di quello che sembra 2) gli interventi previsti dal provvedimento detto BuonaScuola sono essenzialmente legati ai meccanismi di funzionamento organizzativo della scuola (non della università). Non toccano in sostanza nè i contenuti nè le modalità di insegnamento e neanche i costi che le famiglie sostengono per la scuola. Quindi non esiste nessun pericolo di "aziendalizzazione", qualsiasi cosa questo voglia dire 3) L'articolo di Chomsky è molto critico sul sistema della università private, sui suoi costi elevatissimi. Cita in modo esplicito le università della cosiddetta Ivy League. Che sono le uniche nelle quali ha insegnato: prima Harvard, poi MIT. Due delle università più costose del pianeta. Diciamo che non mi sembra un fulgido esempio di coerenza. Giampaolo Carboniero ha detto: Non vorrei che nei sistemi educativi si andasse verso quanto illustra Chomsky http://www.alternet.org/education/chomsky-corporate-assault-public-...

Risposto da giorgio varaldo su 4 Giugno 2015 a 18:56 Teoricamente perfetto. Poi risulta che il figlio di marito e moglie operai entrambi al lavoro deve pagarsi tasse ed alloggio mentre il figlio del povero commerciante oltre a non pagare tasse universitarie ha pure posto gratis nella casa dello studente (e parcheggio sempre gratis per lo spiderino) Meglio nessuna spesa per lo studente meritevole almeno se è bravo il ragazzo dell'esempio non fa svenare i genitori Fabio Colasanti ha detto: Alberto, grazie per la segnalazione del paper de La Voce. Ma Ichino e Terlizzese riformulano più correttamente la loro tesi, ma arrivano ugualmente alla conclusione che l'attuale meccanismo di finanziamento degli studi universitari non è equo. La loro soluzione va nel senso che molti hanno già indicato: tasse universitarie proporzionali al reddito familiare.

Risposto da Ezio Ferrero su 4 Giugno 2015 a 23:03 Alberto, grazie dei link, in questi giorni ho poco tempo per leggere con attenzione, lo farò appena riesco. La mia considerazione sulle tasse universitarie non deriva dal libro che citi, che non conosco e non implica neanche una "scelta di campo" a favore del sistema USA (gli USA sono un pianeta completamente diverso rispetto all'europa, penso sia impensabile importare "di peso" le cose americane). Quello che intendevo dire è che le cose sono, come sempre, più complicate ed articolate di quanto sembrano. Sul livello qualitativo della Università italiana sono parzialmente d'accordo, mi spiego: ci sono certamente ottime università, ma ce ne sono anche di scadenti. Riscontro poi, all'interno della stessa università e anche dello stesso corso di laurea dei dislivelli notevoli (mi riferisco alla didattica, non alla ricerca che non strumenti per valutare) Anche qui, credo, si pone un problema di valutazione e miglioramento. Sul sottofinanziamento (di cui parli in un altro post) sono d'accordo: guardando i dati OCSE è sull'università che la spesa italiana è decisamente più bassa, non sulla scuola. Alberto Rotondi ha detto: Ezio,

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la questione sulla equità delle tasse universitarie è molto complicata e sono state scritte (nel famoso libro di Ichino e Terlizzese) cose completamente sbagliate. Poi, l'errore è stato corretto da alcuni economisti della Voce e la questione è stata totalmente ridimensionata. Trovi qui un riassunto della discussione http://www.lavoce.info/archives/6838/se-i-poveri-pagano-luniversita... Personalmente, tra il sistema USA (chi è ricco si laurea comunque, anche se è un incapace, chi è povero si laurea solo se è molto bravo oppure si indebita fino al collo) e il sistema nord europeo (Germania, Olanda, Danimarca, Svezia, Finlandia: tutti i giovani meritevoli vanno praticamente gratis all'università di qualità. Addirittura in Germania, Svezia e Danimarca tutti gli studenti hanno uno stipendio se restano in regola con gli esami) preferisco il sistema nord europeo. http://youopinionn.blogspot.it/2012/12/uno-stipendio-agli-studenti.... Il sistema italiano è particolare, perché molti cittadini non usufruiscono del servizio e la qualità dell'Università pubblica (che è molto meglio di quello che normalmente si pensa) è migliorabile. Inoltre, i poveri hanno solo sgravi fiscali, mentre nel sistema nord europeo (tutti, non solo i poveri) sono mantenuti se frequentano con profitto l'Università. Ezio Ferrero ha detto: Questo articolo è riferito al sistema USA, in particolare quello universitario. E' un pianeta diverso rispetto all'europa (UK esclusa) ed all'italia in particolare. Detto ciò, alcune considerazioni 1) Chi paga per l'Università E' opinione praticamente genralizzata in Italia che in nome del diritto allo studio, l'università debba essere gratuita (o comunque con tasse universitarie basse). Questo favorirebbe le classi più deboli etc. Siamo proprio sicuri che sia così? I dati dicono che la frequenza universitaria è più alta fra i figli delle classi ricche rispetto a quelli delle classi povere. I dati dicono anche che, mediamente, i laureati guadagneranno di più nel corso della loro vita lavorativa rispetto ai non laureati. Mettendo insieme questi due fattori vuol dire che la gratuità (o quasi) delle frequenza universitaria è un trasferimento netto di risorse dalla fiscalità generale (cui partecipano tutti, anche quelli meno abbienti) alle classi sociali superiori che, inoltre, grazie a questo trasferimento avranno un reddito superiore. Sia chiaro, non penso che il sistema dell università private con i costi astronomici come negli USA sia il modello da seguire, ma la realtà, spesso, è meno ovvia di quello che sembra 2) gli interventi previsti dal provvedimento detto BuonaScuola sono essenzialmente legati ai meccanismi di funzionamento organizzativo della scuola (non della università). Non toccano in sostanza nè i contenuti nè le modalità di insegnamento e neanche i costi che le famiglie sostengono per la scuola. Quindi non esiste nessun pericolo di "aziendalizzazione", qualsiasi cosa questo voglia dire 3) L'articolo di Chomsky è molto critico sul sistema della università private, sui suoi costi elevatissimi. Cita in modo esplicito le università della cosiddetta Ivy League. Che sono le uniche nelle quali ha insegnato: prima Harvard, poi MIT. Due delle università più costose del pianeta. Diciamo che non mi sembra un fulgido esempio di coerenza. Giampaolo Carboniero ha detto: Non vorrei che nei sistemi educativi si andasse verso quanto illustra Chomsky http://www.alternet.org/education/chomsky-corporate-assault-public-...

Risposto da Giampaolo Carboniero su 5 Giugno 2015 a 2:26 D'accordo, perchè è successo anche a me nei due anni in cui ho frequentato a Padova, accompagnato in Giulia TI da un amico, figlio di un commerciante, che godeva del pre-salario a motivo del reddito dichiarato dal padre; io, naturalmente, primo di sei figli di un operaio, ero considerato ricco e quindi, niente pre-salario. giorgio varaldo ha detto: Teoricamente perfetto. Poi risulta che il figlio di marito e moglie operai entrambi al lavoro deve pagarsi tasse ed alloggio mentre il figlio del povero commerciante oltre a non pagare tasse universitarie ha pure posto gratis nella casa dello studente (e parcheggio sempre gratis per lo spiderino) Meglio nessuna spesa per lo studente meritevole almeno se è bravo il ragazzo dell'esempio non fa svenare i genitori

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Fabio Colasanti ha detto: Alberto, grazie per la segnalazione del paper de La Voce. Ma Ichino e Terlizzese riformulano più correttamente la loro tesi, ma arrivano ugualmente alla conclusione che l'attuale meccanismo di finanziamento degli studi universitari non è equo. La loro soluzione va nel senso che molti hanno già indicato: tasse universitarie proporzionali al reddito familiare.

Risposto da Arturo Hermann su 5 Giugno 2015 a 22:07 Infatti, il problema è individuare parametri oggettivi adeguati, se no, basso ranking rispetto a cosa? Alberto Rotondi ha detto: Sì però, come dice ogni manuale di buona gestione, le fasi devono essere raccolta di informazioni, valutazione e confronto e, terza fase, attuazione di metodi migliorativi. Sulla terza fase INVALSI non fa assolutamente nulla. INVALSI è solo un ausilio per la valutazione e il confronto. Se una scuola va male, ha un basso ranking e gli utenti sono insoddisfatti, chi, come e quando prende i provvedimenti correttivi? Questo è il nocciolo del problema. Mi par di capire che con la riforma a questa terza fase concorrano vari organi, tra i quali Consiglio di Istituto e Preside. Arturo Hermann ha detto: Ma, come in tutte le istituzioni complesse, la valutazione degli insegnanti dovrebbe andare di pari passo con la valutazione delle scuole, ed entrambe le valutazioni dovrebbero seguire criteri oggettivi e confrontabili. In questo discorso, la discrezionalità del preside ha poco spazio, a meno che l'obiettivo non sia un semplice risparmio di costi basato su maggiori carichi didattici per gli insegnanti. Ma se così è, l'offerta qualitativa e quantitativa diminuirà. La complessità della valutazione del sistema scolastico è evidenziata dal sito Invalsihttp://www.invalsi.it/snv/

Risposto da Romano Meloni su 9 Giugno 2015 a 17:52 Segnalo un articolo di Attilio Oliva, uno dei massimi esperti di scuola e presidente dell'associazione TreLLLe: http://archiviostorico.corriere.it/2015/giugno/08/scuola_non_qualit...

Risposto da Giampaolo Carboniero su 12 Giugno 2015 a 17:51 Cosa ci sarebbe di "stravolgente" se queste riflessioni fosseo accote all'interno della riforma della scuola? http://waltertocci.blogspot.it/2015/06/se-renzi-riconosce-lerrore-s...

Risposto da Ezio Ferrero su 13 Giugno 2015 a 1:22 Che non cambierebbe un bel niente.

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In sostanza la proposta è: 1) assumiamone un po' di più 2) diamo più soldi 3) conta solo l'anzianità (gli insegnanti "esperti" Il resto sono belle parole senza senso pratico Giampaolo Carboniero ha detto: Cosa ci sarebbe di "stravolgente" se queste riflessioni fosseo accote all'interno della riforma della scuola? http://waltertocci.blogspot.it/2015/06/se-renzi-riconosce-lerrore-s...

Risposto da Pietro Maruca su 13 Giugno 2015 a 1:47 Giampaolo, Tocci propone solo di assumere e dare soldi alla scuola e agli insegnanti che sanno come gestirli. NO! I mali citati sono i soliti. Li conosciamo tutti. Le soluzioni non possono essere fotocopia del passato: assunzioni a iosa, riduzione del numero di allievi per classe... Perché sono tra le cause di quei mali che tutti vogliamo combattere e superare. L'unica cosa sensata sarebbe la riduzione a 12 anni del corso di studi, ma a chi tagli? Le superiori si ribellerebbero. Tocci non ha toccato il tema della valutazione, auspicando semplicemente che si torni alle graduatorie togliendo al preside la possibilità di scegliere. A parte che la proposta della graduatoria di zona, entro cui i ds possano scegliere, mi pare astrusa (quale preside sceglie per primo?Si apre il mercato tra istituti come nel calcio?), lo è altrettanto lasciare che i docenti affossino ogni proposta di cambiamento grazie alla loro inamovibilità dal posto in cui si trovano per anzianità. Anch’io spero in cose diverse; mi sto però convincendo, per via delle reazioni sconclusionate di queste settimane, che la riforma debba comunque passare con l’ossatura proposta da Renzi, per poi cambiarla con negoziati successivi. Se la base di partenza dovesse rimanere la situazione attuale, non si riuscirà a fare nulla. No a questa valutazione? Bene, ma allora quale? No alla formazione proposta dalla riforma? Bene, ma allora quale? Proporre che si diano i soldi, perché loro poi sanno come usarli, non è riforma, è sostenere lo stato attuale di quasi anarchia. Giampaolo Carboniero ha detto: Cosa ci sarebbe di "stravolgente" se queste riflessioni fosseo accote all'interno della riforma della scuola? http://waltertocci.blogspot.it/2015/06/se-renzi-riconosce-lerrore-s...

Risposto da Pietro Maruca su 14 Giugno 2015 a 15:34 Per evitare che la riforma della scuola diventi l'ennesimo terreno di scontro ideologico tra maggioranza e minoranza, giocato sulla pelle di studenti e genitori, si potrebbe fare una proposta che, a mio parere, potrebbe abbassare la tensione. La valutazione del docente, del preside e dell'istituto dovrebbe avvenire a cura di persone e agenzie esterne, in base a finalità stabilite dal ministero e concordate con le parti. I docenti, i presidi e gli istituti dovrebbero però essere LIBERI di scegliere se sottoporsi a questa valutazione, come oggi avviene per il bollino qualità per le imprese. Gli incentivi ministeriali, deliberati in aggiunta ai contributi normali garantiti a tutti, dovrebbero essere dati solo ai singoli e agli istituti in possesso di una buona valutazione.

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Davanti all'obiezione che così qualcuno non si sottoporrebbe mai a valutazione, si potrebbe rispondere che la cosa sarebbe chiara per chiunque, che sarebbe quindi libero di scegliere a ragion veduta se affidare il proprio figlio a quell'istituto. Sul piano ideologico, questo sarebbe il solo modo "di sinistra" di conciliare la volontà di incentivare il merito e le aspirazioni individuali, da una parte, e l'esigenza di non costringere tutti a subire forme coercitive di valutazione, dall'altra. Una buona regolamentazione ministeriale ridurrebbe alquanto sia gli obblighi istituzionali dell'apparato, sia i motivi di contenzioso, ad esempio con i presidi e i comitati di valutazione. Chiaramente le agenzie esterne, accreditate per la valutazione pedagogica, e le università, per la valutazione delle competenze, potrebbero attrezzarsi senza problemi in tal senso. Al ministero spetterebbe un serio e rigoroso controllo per evitare abusi, ma si tratterebbe comunque si una mole di lavoro di gran lunga inferiore a quello che spetetrebbe se si dovessero controllare 10.000 istituzioni dotate di autonomia anche nella valutazione.

Risposto da Fabio Colasanti su 14 Giugno 2015 a 16:07 Pietro, apprezzo l'intervento e il suo scopo, ma non capisco come si possa parlare di forme "coercitive" di valutazione. Io ho lavorato nel settore pubblico per tutta la vita e ogni anno sono stato sottoposto ad una valutazione da parte dei miei superiori (sempre almeno due e poi, una volta che sono salito nella carriera, da parte di parecchie persone) che aveva un'influenza sulle mie possibilità ulteriori di carriera. Ho sempre considerato questo tipo di valutazione come assolutamente logica e normale. Non riesco a concepire che qualcuno possa considerare "coercitiva" una valutazione della propria prestazione lavorativa. Pietro Maruca ha detto: Per evitare che la riforma della scuola diventi l'ennesimo terreno di scontro ideologico tra maggioranza e minoranza, giocato sulla pelle di studenti e genitori, si potrebbe fare una proposta che, a mio parere, potrebbe abbassare la tensione. La valutazione del docente, del preside e dell'istituto dovrebbe avvenire a cura di persone e agenzie esterne, in base a finalità stabilite dal ministero e concordate con le parti. I docenti, i presidi e gli istituti dovrebbero però essere LIBERI di scegliere se sottoporsi a questa valutazione, come oggi avviene per il bollino qualità per le imprese. Gli incentivi ministeriali, deliberati in aggiunta ai contributi normali garantiti a tutti, dovrebbero essere dati solo ai singoli e agli istituti in possesso di una buona valutazione. Davanti all'obiezione che così qualcuno non si sottoporrebbe mai a valutazione, si potrebbe rispondere che la cosa sarebbe chiara per chiunque, che sarebbe quindi libero di scegliere a ragion veduta se affidare il proprio figlio a quell'istituto. Sul piano ideologico, questo sarebbe il solo modo "di sinistra" di conciliare la volontà di incentivare il merito e le aspirazioni individuali, da una parte, e l'esigenza di non costringere tutti a subire forme coercitive di valutazione, dall'altra. Una buona regolamentazione ministeriale ridurrebbe alquanto sia gli obblighi istituzionali dell'apparato, sia i motivi di contenzioso, ad esempio con i presidi e i comitati di valutazione. Chiaramente le agenzie esterne, accreditate per la valutazione pedagogica, e le università, per la valutazione delle competenze, potrebbero attrezzarsi senza problemi in tal senso. Al ministero spetterebbe un serio e rigoroso controllo per evitare abusi, ma si tratterebbe comunque si una mole di lavoro di gran lunga inferiore a quello che spetetrebbe se si dovessero controllare 10.000 istituzioni dotate di autonomia anche nella valutazione.

Risposto da Giampaolo Carboniero su 14 Giugno 2015 a 18:17

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Pietro, il problema sorgerebbe nei piccoli paesi e città, dove non esistono scuole alternative e dove si dovrebbe, eventualmente, provvedere ad adeguati strumenti per permettere la mobilità degli studenti. Pietro Maruca ha detto: Per evitare che la riforma della scuola diventi l'ennesimo terreno di scontro ideologico tra maggioranza e minoranza, giocato sulla pelle di studenti e genitori, si potrebbe fare una proposta che, a mio parere, potrebbe abbassare la tensione. La valutazione del docente, del preside e dell'istituto dovrebbe avvenire a cura di persone e agenzie esterne, in base a finalità stabilite dal ministero e concordate con le parti. I docenti, i presidi e gli istituti dovrebbero però essere LIBERI di scegliere se sottoporsi a questa valutazione, come oggi avviene per il bollino qualità per le imprese. Gli incentivi ministeriali, deliberati in aggiunta ai contributi normali garantiti a tutti, dovrebbero essere dati solo ai singoli e agli istituti in possesso di una buona valutazione. Davanti all'obiezione che così qualcuno non si sottoporrebbe mai a valutazione, si potrebbe rispondere che la cosa sarebbe chiara per chiunque, che sarebbe quindi libero di scegliere a ragion veduta se affidare il proprio figlio a quell'istituto. Sul piano ideologico, questo sarebbe il solo modo "di sinistra" di conciliare la volontà di incentivare il merito e le aspirazioni individuali, da una parte, e l'esigenza di non costringere tutti a subire forme coercitive di valutazione, dall'altra. Una buona regolamentazione ministeriale ridurrebbe alquanto sia gli obblighi istituzionali dell'apparato, sia i motivi di contenzioso, ad esempio con i presidi e i comitati di valutazione. Chiaramente le agenzie esterne, accreditate per la valutazione pedagogica, e le università, per la valutazione delle competenze, potrebbero attrezzarsi senza problemi in tal senso. Al ministero spetterebbe un serio e rigoroso controllo per evitare abusi, ma si tratterebbe comunque si una mole di lavoro di gran lunga inferiore a quello che spetetrebbe se si dovessero controllare 10.000 istituzioni dotate di autonomia anche nella valutazione.

Risposto da Pietro Maruca su 14 Giugno 2015 a 19:25 Giampaolo, nei paesini spesso si fa più che nei centri grossi. La valutazione della comunità a cui si appartiene spesso è uno stimolo per darsi da fare. Nella malaugurata ipotesi di scuola priva di capacità e di insegnanti impreparati, che si tratti di situazioni attestate con valutazione o che sia sospetatto perché non si sono sottoposti a valutazione, il problema è uguale: come mi sposto, se intendo spostarmi? Pretendere che la cosa si risolva con il licenziamento degli insufficienti è possibile solo quando le differenze accertate o presunte sono macroscopiche, altrimenti, insimma, ci andrei cauto. E già oggi, in caso di gravi lacune, si può fare ricorso a denunce, con conseguenti visite ispettive e valutazioni d'ufficio. Fabio, ti capisco e condivido il tuo atteggiamento, ma non siamo tutti uguali ed è finito il tempo dell'uso del singolo come metro di paragone per tutti. Il fatto di legare incentivi e aumenti di stipendio alla valutazione darebbe già quell'interesse in più e quello stimolo per generalizzarne l'uso. La discussione sull'obbigo di sottoporsi o meno a valutazione, la scelta di farla efefttuare dal preside e da un gruppo di colleghi, lo smacco di fare una graduatoria con alcuni che ne ricevono un aumento di stipendio e altri no, i possibili ricorsi e i sospetti di favoritismi, la conseguente rottura di equilibri tra colleghi dato che offrire collaborazione potrebbe avvantaggiare gli altri... quanto porterebbe di giovamento ai ragazi e quanto invece distrarrebbe dall'insegnamento? Se la valutazione è esterna e i singoli possono fruirne anche attraverso esami individuali, la collaborazione tra colleghi non ne risulterebbe intaccata, anzi, ci potrebbe essere un motivo in più per fare delle cose insieme. Ad esempio, già ora i docenti, che devono conseguire l'abilitazione o fare un tirocinio, hanno spesso l'appoggio dei colleghi. Diverso sarebbe qualora si dovesse poi fare un esame presso una commissione d'istituto con l'obiettivo di individuare il 10% di docenti a cui dare l'incentivo. La scuola non ha bisogno di nuove rivalità, ma di valorizzazione del merito, anche per creare spirito di emulazione e di collaborazione.

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Se qualcuno avesse già svolto personalmente un percorso efficace per ottenere una buona valutazione esterna, potrebbe poi aiutare gli altri a farlo, acquisendo un ruolo come leader funzionale. Ne potrebbe derivare un punto di forza per l'istituto, che a sua volta potrebbe ambire a una valutazione migliore come scuola... Insomma, da cosa potrebbe nascere cosa. L'importante è che il processo verso il miglioramento non venga ostacolato da nuove rivalità. Per questo insisto nel dire che sarebbe opportuno ricorrere a una valutazione esterna e facoltativa, ovviamente da incentivare bene, per valorizzare le buone pratiche che già esistono, senza soffocarle sul nascere con polemiche con chi di valutazione non ne vuole sentire parlare.

Risposto da Ezio Ferrero su 14 Giugno 2015 a 23:41 Non riesco proprio a capire per quale motivo la scuola italiana debba essere l'unica organizzazione di questa terra in cui tutti coloro che entrano diventano e restano vita natural durante eccellenti per definizione, in cui qualsiasi forma di coordinamento e di gestione sia considerato un attacco intollerabile ai diritti umani, in cui fare bene o no il proprio lavoro sia una scelta individuale del singolo lavoratore, che non ha alcuna conseguenza nè positiva nè negativa e che nessuno mai e poi può sindacare. Ma perchè diavolo la valutazione dovrebbe essere su base volontaria? Tutti i lavoratori privati e pubblici al mondo (tranne i pubblici in italia) sono valutati e di sicuro non su base volontaria. Gli insegnanti italiani sono una casta particolare? Se continuiamo con la logica che ognuno fa come gli pare questo paese diventa, ancor di più di quanto giò lo sia, una specie di comune anarchica. E' di questi giorni la notizia che un giudice si è rifiutato di emettere una sentenza perchè si sente "non tutelato" dalla legge sulla responsabilità civile e, inoltre, ha fatto ricorso alla consulta per la legge stessa. Pietro Maruca ha detto: Giampaolo, nei paesini spesso si fa più che nei centri grossi. La valutazione della comunità a cui si appartiene spesso è uno stimolo per darsi da fare. Nella malaugurata ipotesi di scuola priva di capacità e di insegnanti impreparati, che si tratti di situazioni attestate con valutazione o che sia sospetatto perché non si sono sottoposti a valutazione, il problema è uguale: come mi sposto, se intendo spostarmi? Pretendere che la cosa si risolva con il licenziamento degli insufficienti è possibile solo quando le differenze accertate o presunte sono macroscopiche, altrimenti, insimma, ci andrei cauto. E già oggi, in caso di gravi lacune, si può fare ricorso a denunce, con conseguenti visite ispettive e valutazioni d'ufficio. Fabio, ti capisco e condivido il tuo atteggiamento, ma non siamo tutti uguali ed è finito il tempo dell'uso del singolo come metro di paragone per tutti. Il fatto di legare incentivi e aumenti di stipendio alla valutazione darebbe già quell'interesse in più e quello stimolo per generalizzarne l'uso. La discussione sull'obbigo di sottoporsi o meno a valutazione, la scelta di farla efefttuare dal preside e da un gruppo di colleghi, lo smacco di fare una graduatoria con alcuni che ne ricevono un aumento di stipendio e altri no, i possibili ricorsi e i sospetti di favoritismi, la conseguente rottura di equilibri tra colleghi dato che offrire collaborazione potrebbe avvantaggiare gli altri... quanto porterebbe di giovamento ai ragazi e quanto invece distrarrebbe dall'insegnamento? Se la valutazione è esterna e i singoli possono fruirne anche attraverso esami individuali, la collaborazione tra colleghi non ne risulterebbe intaccata, anzi, ci potrebbe essere un motivo in più per fare delle cose insieme. Ad esempio, già ora i docenti, che devono conseguire l'abilitazione o fare un tirocinio, hanno spesso l'appoggio dei colleghi. Diverso sarebbe qualora si dovesse poi fare un esame presso una commissione d'istituto con l'obiettivo di individuare il 10% di docenti a cui dare l'incentivo. La scuola non ha bisogno di nuove rivalità, ma di valorizzazione del merito, anche per creare spirito di emulazione e di collaborazione. Se qualcuno avesse già svolto personalmente un percorso efficace per ottenere una buona valutazione esterna, potrebbe poi aiutare gli altri a farlo, acquisendo un ruolo come leader funzionale. Ne potrebbe derivare un punto di forza per l'istituto, che a sua volta potrebbe ambire a una valutazione migliore come scuola... Insomma, da cosa potrebbe nascere cosa. L'importante è che il processo verso il miglioramento non venga ostacolato da nuove rivalità.

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Per questo insisto nel dire che sarebbe opportuno ricorrere a una valutazione esterna e facoltativa, ovviamente da incentivare bene, per valorizzare le buone pratiche che già esistono, senza soffocarle sul nascere con polemiche con chi di valutazione non ne vuole sentire parlare.

Risposto da Pietro Maruca su 15 Giugno 2015 a 5:03 Ezio, ti sei fatto la domanda e ti sei dato la risposta, citando il giudice e la sua mancanza di fiducia nella legge per come è... La scuola finlandese è diventata la migliore al mondo grazie alla gradualità con cui ha applicato la riforma. I nuovi docenti che dovevano applicarla vi si sono preparati all'università, mentre quelli precedenti sono stati lasciati liberi di scegliere se adeguarsi al nuovo o se andare in pensione con i loro vecchi sistemi. Ti posso dire dal di dentro che una riforma che preveda la valutazione da parte dei presidi e dei comitati di valutazione d'istituto, OGGI, per come è la legge italiana e per come sono le scuole, rischierebbe solo di procurare contenziosi e ricorsi. L'uso della valutazione per scegliere il 10% da premiare in base al merito equivale a promuovere una guerra di tutti contro tutti, in una scuola che dovrebbe invece promuovere la collaborazione all'interno dei team. Se poi vuoi dirmi che la scuola sarebbe l'eccezione, in un mondo retto dalla valutazione del merito, ti posso dire che non è assolutamente vero. I sotterfugi per le valutazioni formali e inutili ci sono in ogni sistema e i modi per fare fessi i valutatori li conosco bene per essermi occupato del tema per molto tempo. Con la valutazione banale puoi giocare sulla pulizia della stanza di un albergo o sulla chiarezza di una telefonista, in campi dove puoi sostituire le persone anche tutti i giorni, ma non dove anche il cambio di personale una volta all'anno è già visto come un disastro e viene considerato una inefficienza del sistema. Se vogliamo poi parlare degli esiti di apprendimento, sembra che vi siano influenze forti sul risultato più grazie al livello di istruzione dei genitori, e in particolare della madre, soprattutto se lavoratrice, che non per la scuola frequentata. Non ci sono due sistemi nazionali che valutano la scuola nello stesso modo: sarà pur un elemento di riflessione anche questo! Non voglio demolire i sistemi di valutazione e neppure dire che sono inutili, ma se impostati male producono solo disastri. Anche il fatto di portare i bambini a studiare sui test in modo ossessivo, per allenarli a superare quel tipo di prova e fare bella figura ad ogni costo è per me un disastro educativo. Una media dell'8 in una classe è buona o no? Dipende da molti fattori, ad esempio dalla difficoltà delle domande. Anche con la stessa prova è importante ad esempio se viene fatta svolgere alle 9:00 del mattino o alle 12:00; anche alla stessa ora non è sempre la stessa cosa: l’esito può risultare condizionato dal fatto che si sia dopo 4 ore secche di studio o dopo aver visto un film rilassante. Anche la stessa prova, alla stessa ora, con condizioni "pre" simili può dare esiti diversi con un insegnante conciliante che dà l'aiutino e l'altro che intimorisce solo a guardarlo. Anche la stessa prova, alla stessa ora, con insegnanti preparati ad avere atteggiamenti simili, può dare esiti differenti in base alla tempistica del programma svolto. Magari, in una classe dove sono state svolte molte più cose ed è molto attiva, un argomento è stato affrontato addirittura sei mesi prima della prova. Mentre in un'altra, che magari è molto indietro, per via di molti supplenti, casualmente quell'argomento potrebbe essere stato appena spiegato e studiato, quindi tutti se lo ricordano di fresco, anche studiando molto meno dei compagni della classe precedente. Anche la stessa prova, alla stessa ora, con lo stesso esito, può dare adito a valutazioni diverse: per una classe con risultati medi vicini al nove, ottenere una media di otto decimi farebbe considerare deludente la prova; dove invece l’aspettativa è inferiore, gli otto decimi di media sarebbero considerati un successo. Nella valutazione di un dirigente scolastico, con un questionario compilato dalle famiglie, una volta venne fuori un dato un po’ a sorpresa. A una domanda sulla sua disponibilità a offrire aiuto, due scuole del suo istituto diedero due esiti molto diversi: da una parte un risultato alto; dall'altra un punteggio inferiore, determinato non da riscontri

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negativi, ma da una maggiore frequenza dei valori mediani, segno di incertezza nella scelta. Questa ipotesi era avvalorata dalla presenza aggiuntiva di punti interrogativi o di frasi come "Non ho il piacere di conoscerlo" o "Mai visto". Approfondendo la cosa, risultò che nella prima realtà c'era stato un suo intervento in più incontri per una grande conflittualità tra i docenti e i genitori di una classe. Nella seconda scuola non era mai capitato nulla del genere. L’indice più elevato segnalava la sua capacità di intervenire all'occorrenza, ma il risultato meno brillante non doveva necessariamente essere letto a suo danno. Prevenire i conflitti, facendo in modo che non capiti nulla e che non serva la presenza continua del DS nelle classi e nelle riunioni con i genitori, potrebbe essere considerato un risultato organizzativo almeno pari a quello della disponibilità dimostrata nell’altra sede. Insomma una valutazione seria si basa su una molteplicità di dati e su una analisi complessa. Dubito che il dirigente scolastico e il team di docenti, già impegnati in mille altre faccende, siano in grado di fare oltre cento valutazioni approfondite all'anno. Senza contare i possibili ricorsi se qualche elemento non viene preso in adeguata considerazione. Proprio avendo applicato e subito molta valutazione, ritengo più realistico un sistema, che, come in Finlandia, parta da chi ci sta e si diffonda incentivando il consenso (riducendo in questo modo la conflittualità), facendo gestire da agenzie esterne la valutazione (non necessariamente private, anzi, potrebbero essere tranquillamente enti pubblici e università). Insomma, Ezio, il “bollino qualità” l'azienda se lo dà da sola? Non credo. E neppure credo che le aziende abbiano avuto tutte l’obbligo di sottoporsi forzatamente al marchio di qualità: lo hanno scelto le imprese più lungimiranti, portando via via anche le concorrenti a fare altrettanto. Su chi deve occuparsi di valutazione, tornando alle aziende, non credo che una ditta seria incarichi, per la valutazione del personale, i compagni di lavoro. Certo si tiene conto del parere dei clienti, come degli addetti e dei superiori diretti, ma chi mette insieme i dati e decide difficilmente fa parte del team di lavoro delle persone valutate. Se vogliamo fare un esempio esterno che non c’entra, ma che è illuminante, nessun medico serio cura direttamente i suoi familiari: è troppo emotivamente coinvolto per fidarsi delle sue diagnosi. Salvo poi essere perfettamente in grado di decidere tutto ciò che ne potrà derivare, in base ai riscontri oggettivi e alle valutazioni esterne. So che le tue convinzioni, Ezio, sono serie e presumo di non essere riuscito a convincerti della delicatezza del ruolo dei docenti e dell’importanza della valutazione, che viene fatta ogni attimo della giornata, ma che nel momento in cui deve produrre degli effetti, come la graduatoria di merito o l’attribuzione di un premio, non può essere “sottovalutata” per le conseguenze che porta. In un campo affine tu hai citato il giudice. Mi permetto di concludere citando la Fornero. Se non ricordo male un’intervista sulla sua esperienza come ministro, ebbe a confessare: “Chi me lo ha fatto fare?” Con parole diverse, aggiunse qualcosa che aveva questo significato: in fondo torno volentieri al mio lavoro di docente, dove, se voglio, faccio una relazione ogni tanto e nessuno mi può obiettare alcunché. Certo, un docente ha un compito delicato che può influire pesantemente sulla formazione dei ragazzi a lui affidati. Guai se lo mettiamo nelle condizioni di limitarsi a ottemperare facendo il minimo sindacale. Allora niente valutazione? No, anzi, è proprio il contrario. La valutazione serve per premiare finalmente chi si impegna e vuole fare. E che non vede l’ora. Chi vuol partecipare alla valutazione e a far emergere aspetti e lati da considerare, anche a livello di criticità da superare. Gli altri? Seguiranno a ruota, convincendoli. Altrimenti staranno all’angolo. Con un sistema obbligatorio, potrebbero diventare paladini di una resistenza di cui francamente non sento il bisogno. Ezio Ferrero ha detto: Non riesco proprio a capire per quale motivo la scuola italiana debba essere l'unica organizzazione di questa terra in cui tutti coloro che entrano diventano e restano vita natural durante eccellenti per definizione, in cui qualsiasi forma di coordinamento e di gestione sia considerato un attacco intollerabile ai diritti umani, in cui fare bene o no il proprio

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lavoro sia una scelta individuale del singolo lavoratore, che non ha alcuna conseguenza nè positiva nè negativa e che nessuno mai e poi può sindacare. Ma perchè diavolo la valutazione dovrebbe essere su base volontaria? Tutti i lavoratori privati e pubblici al mondo (tranne i pubblici in italia) sono valutati e di sicuro non su base volontaria. Gli insegnanti italiani sono una casta particolare? Se continuiamo con la logica che ognuno fa come gli pare questo paese diventa, ancor di più di quanto giò lo sia, una specie di comune anarchica. E' di questi giorni la notizia che un giudice si è rifiutato di emettere una sentenza perchè si sente "non tutelato" dalla legge sulla responsabilità civile e, inoltre, ha fatto ricorso alla consulta per la legge stessa. (...)

Risposto da Alberto Rotondi su 15 Giugno 2015 a 7:22 Pietro, allora forse la soluzione è di ammettere una valutazione premiale su base volontaria, cioè una specie di concorso per il merito dove partecipa chi vuole essere giudicato. IL "corpaccio" dei professori, magari non super eccellenti ma che fanno onestamente il proprio lavoro resterebbe a guardare. Potrebbe anche andarmi bene, i tuoi argomenti sono validi e se ne parla anche dentro l'università. A mio parere occorrerebbe però mettere una soglia inferiore, cioè prendere provvedimenti per quel personale che sfrutta al limite le leggi e le situazioni locali per imboscarsi, lavorare poco o usare la scuola come cuscinetto quando in realtà svolge un'altra professione. Non sono molti,ma l'esempio che danno è devastante, se il sistema non è in grado di reagire contro di loro. Qui potrebbero essere veramente utili il potere del preside e il controllo del consiglio di istututo. Pietro Maruca ha detto: Ezio, ti sei fatto la domanda e ti sei dato la risposta, citando il giudice e la sua mancanza di fiducia nella legge per come è... La scuola finlandese è diventata la migliore al mondo grazie alla gradualità con cui ha applicato la riforma. I nuovi docenti che dovevano applicarla vi si sono preparati all'università, mentre quelli precedenti sono stati lasciati liberi di scegliere se adeguarsi al nuovo o se andare in pensione con i loro vecchi sistemi. Ti posso dire dal di dentro che una riforma che preveda la valutazione da parte dei presidi e dei comitati di valutazione d'istituto, OGGI, per come è la legge italiana e per come sono le scuole, rischierebbe solo di procurare contenziosi e ricorsi. L'uso della valutazione per scegliere il 10% da premiare in base al merito equivale a promuovere una guerra di tutti contro tutti, in una scuola che dovrebbe invece promuovere la collaborazione all'interno dei team...........

Risposto da giorgio varaldo su 15 Giugno 2015 a 7:41 Piccola parentesi ..il richiamo di alberto al secondo lavoro degli insegnanti mi ha fatto venire a mente le ore di officina di aggiustaggio quando frequentavo l'avviamento industriale. chi era avanti con il programma veniva "invitato" dall'insegnante a pulire e raddrizzare chiodi storti ed arrugginiti . inutile dire che il nostro insegnante aveva una azienda edile e che questi chiodi erano recuperati dai cantieri chiusi ed utilizzati per le carpenterie in legno dei nuovi poi un giorno smesso il recupero chiodi una impalcatura era caduta fortunatamente senza provocare danni alle persone. Da segnalare la bravura dell'insegnante, se oggi riesco a ricostruire (con lima ed olio di gomito ) particolari metallici ormai introvabili delle mie auto e moto d'epoca lo debbo a lui!

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Risposto da Ezio Ferrero su 17 Giugno 2015 a 5:55 Pietro non ho dubbi che la valutazione sia una questione complessa il punto è che, tranne eccezioni come te, chi cerca la soluzione perfetta in realtà si oppone al principio della valutazione, non la vuole e basta non sono d'accordo con il parallelo che fai fra valutazione e certificazione ad esempio di qualità la certificazione è volontaria e ftta da un soggetto terzo, ma porta ad un risultato RICONOSCIUTO da tutti. La valutazione delle prestazioni ha un valore INTERNO alla organizzazione aziende che non hanno la certificazione valutano cmq i propri lavoratori credo che il punto sul quale non concordiamo sia come passare da una situazione in cui non c'è di fatto valutazione (o meglio nessuna conseguenza della valutazione) ad una situazione in cui la valutazioni diventi una normalità tu proponi un approccio graduale e volontario secondo me invece ci sono momenti in cui occorre essere meno diplomatici perché c'è una occasione forse unica per cambiare e perché i poteri di veto vanno abbattuti questo penso sia uno di quei momenti Pietro Maruca ha detto: Ezio, ti sei fatto la domanda e ti sei dato la risposta, citando il giudice e la sua mancanza di fiducia nella legge per come è... La scuola finlandese è diventata la migliore al mondo grazie alla gradualità con cui ha applicato la riforma. I nuovi docenti che dovevano applicarla vi si sono preparati all'università, mentre quelli precedenti sono stati lasciati liberi di scegliere se adeguarsi al nuovo o se andare in pensione con i loro vecchi sistemi. Ti posso dire dal di dentro che una riforma che preveda la valutazione da parte dei presidi e dei comitati di valutazione d'istituto, OGGI, per come è la legge italiana e per come sono le scuole, rischierebbe solo di procurare contenziosi e ricorsi. L'uso della valutazione per scegliere il 10% da premiare in base al merito equivale a promuovere una guerra di tutti contro tutti, in una scuola che dovrebbe invece promuovere la collaborazione all'interno dei team. Se poi vuoi dirmi che la scuola sarebbe l'eccezione, in un mondo retto dalla valutazione del merito, ti posso dire che non è assolutamente vero. I sotterfugi per le valutazioni formali e inutili ci sono in ogni sistema e i modi per fare fessi i valutatori li conosco bene per essermi occupato del tema per molto tempo. Con la valutazione banale puoi giocare sulla pulizia della stanza di un albergo o sulla chiarezza di una telefonista, in campi dove puoi sostituire le persone anche tutti i giorni, ma non dove anche il cambio di personale una volta all'anno è già visto come un disastro e viene considerato una inefficienza del sistema. Se vogliamo poi parlare degli esiti di apprendimento, sembra che vi siano influenze forti sul risultato più grazie al livello di istruzione dei genitori, e in particolare della madre, soprattutto se lavoratrice, che non per la scuola frequentata. Non ci sono due sistemi nazionali che valutano la scuola nello stesso modo: sarà pur un elemento di riflessione anche questo! Non voglio demolire i sistemi di valutazione e neppure dire che sono inutili, ma se impostati male producono solo disastri. Anche il fatto di portare i bambini a studiare sui test in modo ossessivo, per allenarli a superare quel tipo di prova e fare bella figura ad ogni costo è per me un disastro educativo. Una media dell'8 in una classe è buona o no? Dipende da molti fattori, ad esempio dalla difficoltà delle domande. Anche con la stessa prova è importante ad esempio se viene fatta svolgere alle 9:00 del mattino o alle 12:00; anche alla stessa ora non è sempre la stessa cosa: l’esito può risultare condizionato dal fatto che si sia dopo 4 ore secche di studio o dopo aver visto un film rilassante. Anche la stessa prova, alla stessa ora, con condizioni "pre" simili può dare esiti diversi con un insegnante conciliante che dà l'aiutino e l'altro che intimorisce solo a guardarlo. Anche la stessa prova, alla stessa ora, con insegnanti preparati ad avere atteggiamenti simili, può dare esiti differenti in base alla tempistica del programma svolto. Magari, in una classe dove sono state svolte molte più cose ed è molto attiva, un argomento è stato affrontato addirittura sei mesi prima della prova. Mentre in un'altra, che magari è molto indietro, per via di molti supplenti, casualmente quell'argomento potrebbe essere stato appena spiegato e studiato, quindi tutti se lo ricordano di fresco, anche studiando molto meno dei compagni della classe precedente.

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Anche la stessa prova, alla stessa ora, con lo stesso esito, può dare adito a valutazioni diverse: per una classe con risultati medi vicini al nove, ottenere una media di otto decimi farebbe considerare deludente la prova; dove invece l’aspettativa è inferiore, gli otto decimi di media sarebbero considerati un successo. Nella valutazione di un dirigente scolastico, con un questionario compilato dalle famiglie, una volta venne fuori un dato un po’ a sorpresa. A una domanda sulla sua disponibilità a offrire aiuto, due scuole del suo istituto diedero due esiti molto diversi: da una parte un risultato alto; dall'altra un punteggio inferiore, determinato non da riscontri negativi, ma da una maggiore frequenza dei valori mediani, segno di incertezza nella scelta. Questa ipotesi era avvalorata dalla presenza aggiuntiva di punti interrogativi o di frasi come "Non ho il piacere di conoscerlo" o "Mai visto". Approfondendo la cosa, risultò che nella prima realtà c'era stato un suo intervento in più incontri per una grande conflittualità tra i docenti e i genitori di una classe. Nella seconda scuola non era mai capitato nulla del genere. L’indice più elevato segnalava la sua capacità di intervenire all'occorrenza, ma il risultato meno brillante non doveva necessariamente essere letto a suo danno. Prevenire i conflitti, facendo in modo che non capiti nulla e che non serva la presenza continua del DS nelle classi e nelle riunioni con i genitori, potrebbe essere considerato un risultato organizzativo almeno pari a quello della disponibilità dimostrata nell’altra sede. Insomma una valutazione seria si basa su una molteplicità di dati e su una analisi complessa. Dubito che il dirigente scolastico e il team di docenti, già impegnati in mille altre faccende, siano in grado di fare oltre cento valutazioni approfondite all'anno. Senza contare i possibili ricorsi se qualche elemento non viene preso in adeguata considerazione. Proprio avendo applicato e subito molta valutazione, ritengo più realistico un sistema, che, come in Finlandia, parta da chi ci sta e si diffonda incentivando il consenso (riducendo in questo modo la conflittualità), facendo gestire da agenzie esterne la valutazione (non necessariamente private, anzi, potrebbero essere tranquillamente enti pubblici e università). Insomma, Ezio, il “bollino qualità” l'azienda se lo dà da sola? Non credo. E neppure credo che le aziende abbiano avuto tutte l’obbligo di sottoporsi forzatamente al marchio di qualità: lo hanno scelto le imprese più lungimiranti, portando via via anche le concorrenti a fare altrettanto. Su chi deve occuparsi di valutazione, tornando alle aziende, non credo che una ditta seria incarichi, per la valutazione del personale, i compagni di lavoro. Certo si tiene conto del parere dei clienti, come degli addetti e dei superiori diretti, ma chi mette insieme i dati e decide difficilmente fa parte del team di lavoro delle persone valutate. Se vogliamo fare un esempio esterno che non c’entra, ma che è illuminante, nessun medico serio cura direttamente i suoi familiari: è troppo emotivamente coinvolto per fidarsi delle sue diagnosi. Salvo poi essere perfettamente in grado di decidere tutto ciò che ne potrà derivare, in base ai riscontri oggettivi e alle valutazioni esterne. So che le tue convinzioni, Ezio, sono serie e presumo di non essere riuscito a convincerti della delicatezza del ruolo dei docenti e dell’importanza della valutazione, che viene fatta ogni attimo della giornata, ma che nel momento in cui deve produrre degli effetti, come la graduatoria di merito o l’attribuzione di un premio, non può essere “sottovalutata” per le conseguenze che porta. In un campo affine tu hai citato il giudice. Mi permetto di concludere citando la Fornero. Se non ricordo male un’intervista sulla sua esperienza come ministro, ebbe a confessare: “Chi me lo ha fatto fare?” Con parole diverse, aggiunse qualcosa che aveva questo significato: in fondo torno volentieri al mio lavoro di docente, dove, se voglio, faccio una relazione ogni tanto e nessuno mi può obiettare alcunché. Certo, un docente ha un compito delicato che può influire pesantemente sulla formazione dei ragazzi a lui affidati. Guai se lo mettiamo nelle condizioni di limitarsi a ottemperare facendo il minimo sindacale. Allora niente valutazione?

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No, anzi, è proprio il contrario. La valutazione serve per premiare finalmente chi si impegna e vuole fare. E che non vede l’ora. Chi vuol partecipare alla valutazione e a far emergere aspetti e lati da considerare, anche a livello di criticità da superare. Gli altri? Seguiranno a ruota, convincendoli. Altrimenti staranno all’angolo. Con un sistema obbligatorio, potrebbero diventare paladini di una resistenza di cui francamente non sento il bisogno. Ezio Ferrero ha detto: Non riesco proprio a capire per quale motivo la scuola italiana debba essere l'unica organizzazione di questa terra in cui tutti coloro che entrano diventano e restano vita natural durante eccellenti per definizione, in cui qualsiasi forma di coordinamento e di gestione sia considerato un attacco intollerabile ai diritti umani, in cui fare bene o no il proprio lavoro sia una scelta individuale del singolo lavoratore, che non ha alcuna conseguenza nè positiva nè negativa e che nessuno mai e poi può sindacare. Ma perchè diavolo la valutazione dovrebbe essere su base volontaria? Tutti i lavoratori privati e pubblici al mondo (tranne i pubblici in italia) sono valutati e di sicuro non su base volontaria. Gli insegnanti italiani sono una casta particolare? Se continuiamo con la logica che ognuno fa come gli pare questo paese diventa, ancor di più di quanto giò lo sia, una specie di comune anarchica. E' di questi giorni la notizia che un giudice si è rifiutato di emettere una sentenza perchè si sente "non tutelato" dalla legge sulla responsabilità civile e, inoltre, ha fatto ricorso alla consulta per la legge stessa. (...)

Risposto da Cristina Favati su 17 Giugno 2015 a 10:54 Questa la riflessione di un nostro iscritto sul gruppo Fb riguardo l'attuale situazione sul DDL scuola: Visto che qualcuno che non ha la più pallida idea di come funzioni la scuola continua a sostenere delle tesi assurde (ma probabilmente lo fa perché vuole continuare una sfida congressuale che ha perso malamente un anno e mezzo fa), vi ricordo quanto segue: 1) Le assunzioni del piano "La buona scuola" sono circa 100 mila perché si prevede un organico aggiuntivo (il cosiddetto organico funzionale) di circa 50 mila posti. NON SI POSSONO STRALCIARE le assunzioni perché non puoi assumere 50 mila docenti senza dire loro in quale scuola andare e a fare cosa. Capito Fassina? 2) Se salta il ddl le altre 50 mila assunzioni saranno fatte coprendo i posti vacanti e disponibili, che sono appunto circa 50 mila, seguendo le regole vecchie (50% da graduatorie del concorso 2012, 50% da Graduatorie ad esaurimento). Quindi non è un ricatto "tutta la riforma o zero assunzioni" 3) Non si possono allargare le assunzioni SENZA CONCORSO ad altre categorie di precari (il cui titolo NON HA valore concorsuale), quindi chi parla di "piano pluriennale di assunzioni per assumere tutti quelli che sono in II fascia" ma, nei suoi emendamenti, scrivere di "utilizzare le norme vigenti in fatto di assunzioni" vi sta prendendo per i fondelli. 4) Il piano pluriennale di assunzioni per gli abilitati di II fascia è già previsto e si chiama CONCORSO su 60 mila posti, assunti appunto in 3 anni. Un concorso riservato agli abilitati, che in totale sono più o meno il triplo dei posti. Trovatemi un concorso pubblico in cui vince uno su tre. 5) Chi dice di assumere tutti i precari, con un piano pluriennale sino al duemilaeTREDICI sta in pratica dicendo che per almeno un decennio, chi si laurea non potrà decidere di fare il professore, non perché non sia bravo o sia stato bocciato a un concorso, ma perché si devono prima assumere tutti quelli che c'erano prima. Tra l'altro alcuni emendamenti prevedono l'assunzione solo per chi ha GIA' almeno 3 anni di servizio, con tanti saluti ai laureati di Scienze della Formazione Primaria (i DIPLOMATI magistrali dentro e loro fuori) e gli abilitati TFA senza molto servizio. 6) Il ddl scuola, invece, prevede un iter in cui ti laurei, superi un concorso, fai 3 anni di formazione e tirocinio PAGATO (invece di pagartela fior di quattrini come abbiamo fatto noi) e poi sei ASSUNTO. Magari fosse stato così per noi! Ci sono delle criticità in questo Ddl? Certo e le abbiamo segnalate tante volte, al Forum scuola, andando nel merito delle questioni. Ma qui la questione è diversa: a chi sta facendo ostruzionismo al Senato interessa poco o nulla dei docenti precari, se non come strumento di battaglia congressuale o di lotta politica. Lo dimostra il fatto che per mesi non è fregato niente a nessuno dei precari di II fascia e solo ora la questione viene tirata fuori, da parlamentari, tra l'altro, che ne capiscono pure poco...

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Risposto da Cristina Favati su 17 Giugno 2015 a 10:57 E questo il commento di Matteo Renzi sulla sua pagina FB: Il disegno di legge Buona Scuola prevede centomila professori in più, una diversa organizzazione basata sull'autonomia, più soldi per la formazione e finalmente il merito nella valutazione. Per la prima volta un Governo mette più soldi (tanti) sulla scuola perché per noi è strategico. Basta coi tagli alla scuola, investiamo finalmente! In molti però hanno contestato questo provvedimento chiedendone il ritiro e dicendo che avrebbe distrutto la scuola pubblica. Al Senato di conseguenza il provvedimento è bloccato da migliaia di emendamenti che cercano di stopparne l'approvazione. Ora, delle due l'una. O questo provvedimento è una sciagura, come dice chi protesta. Oppure, come pensiamo noi, può essere migliorato ma è il primo provvedimento dopo decenni che mette soldi sulla scuola e restituisce continuità educativa ai nostri ragazzi. Discutiamo, facciamo modifiche, ma poi votiamo. Altrimenti saltano gli investimenti. Oggi qualcuno parla di ricatto, ma la verità è molto semplice: puoi assumere solo e soltanto se cambi il modello organizzativo. Dare più professori alle scuole impone l'autonomia degli istituti e una diversa organizzazione. Altrimenti la scuola diventa ammortizzatore sociale per i precari e non servizio educativo per i nostri ragazzi e le famiglie. Assumiamo i professori per metterli a lavorare, in un sistema organizzativo diverso (e questo spiega il ruolo del preside, su cui si può discutere, ma qualcuno che decide nella scuola dell'autonomia ci vuole. O pensiamo di andare avanti con le circolari da Roma?) A regime normale si assumono ogni anno 20 mila persone. Noi investiamo sulla scuola e proponiamo di farne 100 mila. I precari - che sono tre volte tanto - vorrebbero essere assunti tutti e ovviamente non è possibile perché si entra nella scuola vincendo un concorso non altrimenti. Noi ci siamo, pronti al confronto fin dalla prossima conferenza nazionale sulla scuola. Se il disegno di legge già approvato alla Camera va in porto anche al Senato, la scuola italiana ha più risorse, più personale ed è più forte. Perché dopo anni di tagli finalmente c'è chi investe sulla scuole non a parole, non nei convegni lavoltabuona

Risposto da Giampaolo Carboniero su 17 Giugno 2015 a 12:58 Ogni volta che leggo gli interventi di Pietro, mi rendo sempre più conto della complessità dei problemi da affrontare, apprezzo il suo approccio metodologico e la sua preoccupazione, che è anche la mia, delle necessarie preoccupazioni e cautele nell'intervenire in un settore disastrato ma fondamentale per il futuro del paese; riconosco inoltre la mia inadeguata conoscenza delle questioni in discussione; parlo quindi, ogni volta, cercando di ragionare col buon senso e ricordando i problemi incontrati personalmente nel mio percorso scolastico; problemi, presumo, ormai obsoleti che non mi vietano, spero, comunque, di fare alcune osservazioni: io penso che, se parliamo di autonomia finanziaria delle scuole, il problema dovrebbe essere scisso dalle altre questioni, più direttamente didattiche, di formazione, di merito e di valutazione e conseguenti incentivazioni dei compensi; perchè non prevedere allora dei percorsi paralleli per personale appositamente formato nella gestione di tale autonomia? Anche tale gestione dovrebbe poi essere appositamente valutata, applicando, come si auspica nella sanità, un concetto di costi standard, partendo da una iniziale analisi dello stato attuale delle strutture, affiancato da un piano di investimenti, sottoposto a stretto controllo sulla loro realizzazione attraverso le comunità locali e enti terzi, piano atto a parificare le basi di partenza di tutte le strutture. Forse è inadeguato il raffronto, ma mi risulta che la parrocchia sia oggi retta da un consiglio pastorale e un consiglio economico che assistono entrambe il parroco nella sua attività. ( in tale raffronto il parroco rappresenterebbe il dirigente scolastico appositamente formato, poi valutato e retribuito sia per la sua gestione che per i risultati)

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Risposto da Pietro Maruca su 17 Giugno 2015 a 16:16 Ezio, la valutazione non è una faccenda interna. Deve essere possibile la comparazione, altrimenti ci si basa su valori a cui non si sa quale peso dare. Inoltre, non si può consentire che un preside, pressato da un sindacato o da un corpo docenti agguerrito, valuti tutti con “ottimo” e un altro privilegi i suoi amici con criteri arbitrari. Per questo, insisto nel dire che a mio parere si dovrebbe avere una valutazione esterna, meno influenzata dalle dinamiche del collegio dei docenti e più simile alla certificazione di qualità, che valuta (anche quella è valutazione) questioni contenute in un protocollo comune. Poi è vero che ci sono enti certificatori più professionali di altri, e qui starebbe al ministero pretendere e controllare protocolli e comportamenti. Soprattutto se poi la valutazione del merito può portare a premi e incentivi stipendiali. Sulle questioni affrontate da Giampaolo su autonomia e gestione: L'autonomia c'è da circa 15 anni. Il DS dovrebbe essere valutato anche per come la gestisce. Tutti gli anni il bilancio della scuola viene visionato da un collegio di revisori esterni (inizialmente erano tre, poi ridotti a due per questione di costi, ma sempre presieduto da un responsabile nominato dal MEF), dalla fase di previsione al consuntivo, comprese le fonti per le entrate, le spese, l’albo fornitori … La ventilata maggiore autonomia riguarderebbe la capacità di acquisire risorse da privati, con il 5 per mille, prima previsto e poi sospeso, o con imposte al momento dell’iscrizione. Comunque non sarebbe neppure questa una novità assoluta, dato che già da sempre entrano in bilancio i contributi delle famiglie per uscite didattiche, assicurazioni e spese varie. Finora non c’è stata autonomia impositiva, ma molti istituti secondari hanno integrato i loro bilanci con “contributi” per spese di cancelleria, materiale didattico e voci simili. Per non parlare di entrate da enti diversi per concorsi e iniziative promosse da enti locali o da associazioni. Qualcuno ha anche avuto modo di accedere a fondi europei. La valutazione più carente, fatta finora solo su base volontaria, ma senza incentivi, riguarda la parte didattica, i risultati, la questione organizzativa, la capacità di affrontare i problemi con riesami in grado di far emergere nodi critici e punti di forza e la conseguente capacità di approntare piani di miglioramento. Insomma il cuore della vita dell’istituto, la sua ragion d’essere, di cui il bilancio è un fedele riflesso, ma solo un riflesso. Qualcuno lo ha fatto per la certificazione di qualità, secondo modelli più di tipo aziendalistico. Altri hanno sperimentato forme di valutazione didattica coinvolgendo nella fornitura di dati anche gli allievi e le famiglie. Le correnti di pensiero al riguardo sono tre: Ci sono coloro che pensano che la scuola non sia valutabile, poiché i dati sono di tipo qualitativo e sono soggetti a troppe variabili. C’è chi sostiene che vi possa essere solo una buona autovalutazione d’istituto ottenibile grazie a una specie di autoanalisi, con propri questionari, interviste, dati locali; secondo costoro ogni contesto ha propri fattori e quindi propri dati da cui si possono fare emergere sia i problemi che le riflessioni utili per la ricerca di soluzioni. C’è infine chi sostiene che l’autovalutazione sia possibile su base scientifica. Si possono raccogliere dati da prove e test, ma anche “di percezione”, In ogni caso, gli esiti sono precisi e attendibili, grazie alla comparazione tra diversi campioni. Questa valutazione viene gestita dall’esterno, in collaborazione con ogni istituto partecipante. Per rendere attendibile la comparazione ci devono essere regole concordate sugli strumenti di indagine, sulle modalità di somministrazione, sulla tabulazione uniforme e sull’elaborazione dei dati. Per rendere efficace la comparazione non serve mettere a confronto gli istituti, le classi, i singoli plessi scolastici, ma si può fare tra dati complessivi sull’intero campione, forniti a tutti (che diventano come dei valori standard di riferimento), e dati singoli (di allievo, di classe … ) forniti in via riservata al DS e al team di docenti coinvolto. La comparazione favorisce una lettura dei dati con l’emersione di differenze tra il valore medio e quello della singola realtà, con punti di forza e nodi più o meno critici, su cui basare i successivi piani di miglioramento. Insomma, detto in estrema sintesi, volendo si può fare, senza sconvolgere equilibri e portando comunque benefici a chi partecipa. Perché anche scoprire i propri nodi critici è fondamentale per sapere come intervenire per migliorare, singolarmente e a livello di scuola. Certo si possono avere esiti poco soddisfacenti un anno, ma, conoscendo le proprie pecche e sapendo cosa fare per ovviarvi, ci si può preparare per fare meglio l’anno successivo.

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Risposto da Giuseppe Ardizzone su 17 Giugno 2015 a 18:47 Pietro il problema è che la valutazione di tutti i presidi risponda a criteri generali stabiliti e controllabili su tutto il territorio nazionale. Questo tipo di valutazione non può che rispondere al conseguimento di obiettivi general stabiliti politicamente dai governi in carica e tradotti in azioni specifiche dal ministero competente. E' a questo livello che vanno cercati gli strumenti di misurazione dei risultati. Ma di quali risultati ? La sintesi fra le diverse opinioni , le autonomie e le diverse parti sociali non può che essere politica. La stessa scienza non può considerarsi al di fuori del processo politico. A questo proposito non posso non riandare col pensiero all'aspro dibattito culturale che ci vide protagonisti nel '68 proprio sul tema della scienza e dei suoi rapporti con la politica. I difensori dell'apoliticità della scienza si trinceravano dietro le osservazioni di Max Weber che fu uno dei principali sostenitori di queste teorie, tuttavia in lui la preoccupazione di salvaguardare la libertà della ricerca e della scienza dall'ingerenza della politica nasceva dalla paure di un regime dittatoriale come quello nazista. Gli studenti invece dell'epoca intravedevano un preciso rapporto fra l'organizzazione scolastica e la politica economica e sociale di un paese e non riconoscendola sufficientemente democratica , partecipativa e tendente allo sviluppo della persona la contestavano. Ora capisco il ritorno di questi temi e l'esigenza della libertà culturale dell'insegnamento ecc ecc. Ma non si può prescindere dal riconoscere il profondo legame che unisce qualsiasi percorso ed organizzazione della formazione con le scelte politiche della società a cui appartiene. Senza paura bisogna rapportarsi ad esse chiedendo spazi di libertà d'espressione e di democrazia accettando comunque alcune linee guida generali che guidano l'azione istituzionali ed a cui i dirigenti devono attenersi e su cui debbono in qualche modo essere valutati.

Risposto da Pietro Maruca su 17 Giugno 2015 a 22:55 OK, Giuseppe. Non so se le tue considerazioni partono da una interpretazione di ciò che ho scritto. E' vero, ho fatto riferimento ai diversi approcci alla valutazione, citando il fatto che c'è chi dice che non si può fare alcuna valutazione oggettiva e chi si limita a considerare valida una sorta di autoanalisi. Queste posizioni, che non condivido, sono comunque presenti nel panorama scolastico. Il loro superamento dipende dalle buone pratiche e da quanto riuscirà ad essere convincente il sistema valutativo. Mi sono comunque dilungato di più su una terza ipotesi, scrivendo che una buona valutazione non può che essere comparativa. Tu scrivi che le direttive le deve dare il governo, o comunque la politica. Non mi pare di essere entrato nel merito. E' un altro discorso: che il governo dia le linee di indirizzo, che faccia svolgere prove e test uguali per tutti, che stabilisca altri criteri, la politica faccia come crede o come può. Sostengo solo che non può esserci valutazione seria senza comparazione. E la comparazione è possibile solo se i dati "si possono" comparare, perché risultano dalle stesse prove, queste sono state somministrate con uguali regole e garanzie, i dati sono stati tabulati senza equivoci,... Insomma, i dati dovranno alla fine essere messi a disposizione del preside e della scuola, ma la gestione delle procedure per arrivare ad essi è azzardato che venga lascata a ogni istituto senza un patto preciso sul rispetto di regole comuni. Faccio un esempio che risale a quando ancora lavoravo. Oggi spero che siano state prese le contromisure. Le prime somministrazioni INVALSI davano esiti molto positivi nelle scuole del sud, mentre le prove internazionali del P.I.S.A. collocavano le scuole meridionali molto al di sotto della media. C'erano procedure concordate in entrambi i casi, ma con una differenza: per le prove INVALSI i somministratori erano i docenti di classe. Per le prove P.I.S.A. arrivavano somministratori esterni, che adottavano criteri uniformi su tutto il territorio nazionale. Mi pare che negli ultimi anni anche l'INVALSI sia corsa ai ripari incaricando personale esterno appositamente formato (insegnanti di altre scuole, ex dirigenti scolastici ed ex insegnanti in pensione).

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Il DS e il comitato di valutazione d'istituto sono elementi indispensabili per un buon percorso valutativo nella scuola, ma le prove e i risultati sono più affidabili se gestiti da personale competente e non direttamente coinvolto nelle dinamiche dell'istituto. Giuseppe, non ho detto altro, se non che a mio parere i docenti dovrebbero essere incentivati ad avvicinarsi al processo valutativo partendo da un'adesione volontaria. Credo che sia il percorso più indolore per superare le polemiche. Ovviamente, in questo ragionamento entra anche la tua considerazione su una preparazione omogenea o uniforme di tutti i dirigenti scolastici. Il merito della valutazione è in ogni caso un'altra questione. Anch'io ritengo che si debba basare su indirizzi politici concordati, su linee guida che mettano in luce le ambizioni del Paese affidate ai docenti. Se intendi questo, siamo d'accordo. Se la tentazione diventasse invece che i contenuti debbano essere stabiliti rigorosamente, così come i ritmi di apprendimento e i livelli standard per passare alle classi successive, ho die forti dubbi. Non vorrei che, passato il principio, venisse un domani un ministro a dire che a scuola si deve negare l'evoluzione o che senza la conoscenza del teorema di Pitagora non si può accedere alla terza media. Perché non si può imporre il pensiero unico e neppure tornare a una scuola selettiva. Ma in merito a questo ci sono garanzie costituzionali, per fortuna. Giuseppe Ardizzone ha detto: Pietro il problema è che la valutazione di tutti i presidi risponda a criteri generali stabiliti e controllabili su tutto il territorio nazionale. Questo tipo di valutazione non può che rispondere al conseguimento di obiettivi general stabiliti politicamente dai governi in carica e tradotti in azioni specifiche dal ministero competente. E' a questo livello che vanno cercati gli strumenti di misurazione dei risultati. Ma di quali risultati ? La sintesi fra le diverse opinioni , le autonomie e le diverse parti sociali non può che essere politica. La stessa scienza non può considerarsi al di fuori del processo politico. A questo proposito non posso non riandare col pensiero all'aspro dibattito culturale che ci vide protagonisti nel '68 proprio sul tema della scienza e dei suoi rapporti con la politica. I difensori dell'apoliticità della scienza si trinceravano dietro le osservazioni di Max Weber che fu uno dei principali sostenitori di queste teorie, tuttavia in lui la preoccupazione di salvaguardare la libertà della ricerca e della scienza dall'ingerenza della politica nasceva dalla paure di un regime dittatoriale come quello nazista. Gli studenti invece dell'epoca intravedevano un preciso rapporto fra l'organizzazione scolastica e la politica economica e sociale di un paese e non riconoscendola sufficientemente democratica , partecipativa e tendente allo sviluppo della persona la contestavano. Ora capisco il ritorno di questi temi e l'esigenza della libertà culturale dell'insegnamento ecc ecc. Ma non si può prescindere dal riconoscere il profondo legame che unisce qualsiasi percorso ed organizzazione della formazione con le scelte politiche della società a cui appartiene. Senza paura bisogna rapportarsi ad esse chiedendo spazi di libertà d'espressione e di democrazia accettando comunque alcune linee guida generali che guidano l'azione istituzionali ed a cui i dirigenti devono attenersi e su cui debbono in qualche modo essere valutati.

Risposto da Giuseppe Ardizzone su 18 Giugno 2015 a 14:16 OK , su queste basi siamo d'accordo Pietro Maruca ha detto: OK, Giuseppe. Non so se le tue considerazioni partono da una interpretazione di ciò che ho scritto. E' vero, ho fatto riferimento ai diversi approcci alla valutazione, citando il fatto che c'è chi dice che non si può fare alcuna valutazione oggettiva e chi si limita a considerare valida una sorta di autoanalisi. Queste posizioni, che non condivido, sono comunque presenti nel panorama scolastico. Il loro superamento dipende dalle buone pratiche e da quanto riuscirà ad essere convincente il sistema valutativo. Mi sono comunque dilungato di più su una terza ipotesi, scrivendo che una buona valutazione non può che essere comparativa. Tu scrivi che le direttive le deve dare il governo, o comunque la politica. Non mi pare di essere entrato nel merito. E' un altro discorso: che il governo dia le linee di indirizzo, che faccia svolgere prove e test uguali per tutti, che stabilisca altri criteri, la politica faccia come crede o come può. Sostengo solo che non può esserci valutazione seria senza comparazione.

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E la comparazione è possibile solo se i dati "si possono" comparare, perché risultano dalle stesse prove, queste sono state somministrate con uguali regole e garanzie, i dati sono stati tabulati senza equivoci,... Insomma, i dati dovranno alla fine essere messi a disposizione del preside e della scuola, ma la gestione delle procedure per arrivare ad essi è azzardato che venga lascata a ogni istituto senza un patto preciso sul rispetto di regole comuni. Faccio un esempio che risale a quando ancora lavoravo. Oggi spero che siano state prese le contromisure. Le prime somministrazioni INVALSI davano esiti molto positivi nelle scuole del sud, mentre le prove internazionali del P.I.S.A. collocavano le scuole meridionali molto al di sotto della media. C'erano procedure concordate in entrambi i casi, ma con una differenza: per le prove INVALSI i somministratori erano i docenti di classe. Per le prove P.I.S.A. arrivavano somministratori esterni, che adottavano criteri uniformi su tutto il territorio nazionale. Mi pare che negli ultimi anni anche l'INVALSI sia corsa ai ripari incaricando personale esterno appositamente formato (insegnanti di altre scuole, ex dirigenti scolastici ed ex insegnanti in pensione). Il DS e il comitato di valutazione d'istituto sono elementi indispensabili per un buon percorso valutativo nella scuola, ma le prove e i risultati sono più affidabili se gestiti da personale competente e non direttamente coinvolto nelle dinamiche dell'istituto. Giuseppe, non ho detto altro, se non che a mio parere i docenti dovrebbero essere incentivati ad avvicinarsi al processo valutativo partendo da un'adesione volontaria. Credo che sia il percorso più indolore per superare le polemiche. Ovviamente, in questo ragionamento entra anche la tua considerazione su una preparazione omogenea o uniforme di tutti i dirigenti scolastici. Il merito della valutazione è in ogni caso un'altra questione. Anch'io ritengo che si debba basare su indirizzi politici concordati, su linee guida che mettano in luce le ambizioni del Paese affidate ai docenti. Se intendi questo, siamo d'accordo. Se la tentazione diventasse invece che i contenuti debbano essere stabiliti rigorosamente, così come i ritmi di apprendimento e i livelli standard per passare alle classi successive, ho die forti dubbi. Non vorrei che, passato il principio, venisse un domani un ministro a dire che a scuola si deve negare l'evoluzione o che senza la conoscenza del teorema di Pitagora non si può accedere alla terza media. Perché non si può imporre il pensiero unico e neppure tornare a una scuola selettiva. Ma in merito a questo ci sono garanzie costituzionali, per fortuna. Giuseppe Ardizzone ha detto: Pietro il problema è che la valutazione di tutti i presidi risponda a criteri generali stabiliti e controllabili su tutto il territorio nazionale. Questo tipo di valutazione non può che rispondere al conseguimento di obiettivi general stabiliti politicamente dai governi in carica e tradotti in azioni specifiche dal ministero competente. E' a questo livello che vanno cercati gli strumenti di misurazione dei risultati. Ma di quali risultati ? La sintesi fra le diverse opinioni , le autonomie e le diverse parti sociali non può che essere politica. La stessa scienza non può considerarsi al di fuori del processo politico. A questo proposito non posso non riandare col pensiero all'aspro dibattito culturale che ci vide protagonisti nel '68 proprio sul tema della scienza e dei suoi rapporti con la politica. I difensori dell'apoliticità della scienza si trinceravano dietro le osservazioni di Max Weber che fu uno dei principali sostenitori di queste teorie, tuttavia in lui la preoccupazione di salvaguardare la libertà della ricerca e della scienza dall'ingerenza della politica nasceva dalla paure di un regime dittatoriale come quello nazista. Gli studenti invece dell'epoca intravedevano un preciso rapporto fra l'organizzazione scolastica e la politica economica e sociale di un paese e non riconoscendola sufficientemente democratica , partecipativa e tendente allo sviluppo della persona la contestavano. Ora capisco il ritorno di questi temi e l'esigenza della libertà culturale dell'insegnamento ecc ecc. Ma non si può prescindere dal riconoscere il profondo legame che unisce qualsiasi percorso ed organizzazione della formazione con le scelte politiche della società a cui appartiene. Senza paura bisogna rapportarsi ad esse chiedendo spazi di libertà d'espressione e di democrazia accettando comunque alcune linee guida generali che guidano l'azione istituzionali ed a cui i dirigenti devono attenersi e su cui debbono in qualche modo essere valutati.

Risposto da Ezio Ferrero su 18 Giugno 2015 a 23:57 Pietro, forse non mi sono spiegato.

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La differenza che faccio tra interno ed esterno è fra un processo interno alla organizzazione (che può essere costituita da più unità) e valido all'interno della organizzazione stessa ed un processo che deve produrre risultati validi all'esterno della organizzazione. Una azienda che ha più sedi, magari in diversi paesi, ha processi di valutazione che hanno validità INTERNA (a fini di miglioramento delle prestazioni, di carriera, di stipendio etc.), che sono ovviamente omogenei fra i vari uffici (quindi confrontabili). La certificazione è l'acquisizione di un "bollino" che ha validità ESTERNA rispetto alla organizzazione e permette ad esempio di partecipare a certe gare, di acquisire maggiore punteggio etc. Quindi è, e DEVE essere, condotto da un ente TERZO. La scuola può benissimo avere strumenti di valutazione INTERNI, omogenei nel territorio nazionale, amministrati dai suoi dirigenti. Le INVALSI possono essere uno degli strumenti e, non a caso, sono invise e boicottate.

Risposto da Cristina Favati su 24 Giugno 2015 a 19:54 http://www.repubblica.it/scuola/2015/06/23/news/buona_scuola_ecco_i...

Risposto da Cristina Favati su 24 Giugno 2015 a 21:07 http://www.linkiesta.it/blogs/actarus/caro-prof La lettera di un genitore

Risposto da Fabio Colasanti su 24 Giugno 2015 a 22:15 Trovo la lettera del genitore perfetta. Cristina Favati ha detto: http://www.linkiesta.it/blogs/actarus/caro-prof La lettera di un genitore

Risposto da Alberto Rotondi su 25 Giugno 2015 a 7:28 Anche io. Che la scuola superiore non aiuti i ragazzi a studiare e ad accettare la competizione è sacrosanto. Sforna vasi di coccio in un mondo di vasi di ferro. E molti professori approvano. All'università poi il risveglio è duro, se si fanno facoltà tecnico scientifiche, che sono selettive. Fabio Colasanti ha detto: Trovo la lettera del genitore perfetta. Cristina Favati ha detto: http://www.linkiesta.it/blogs/actarus/caro-prof La lettera di un genitore

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Risposto da Romano Meloni su 4 Luglio 2015 a 15:48 A proposito del tentativo di una timida differenziazione dei diplomi di laurea a seconda dell'Ateneo nel quale sono stati conseguiti, Mario Panizza, rettore di Roma Tre, ha un giudizio sprezzante: "Propongono la brutta copia del modello americano. In Italia professori percepiscono stipendi unificati e soprattutto sono selezionati attraverso valutazioni "garantite" a livello nazionale, proprio per assicurare a tutti gli studenti di avere docenti con competenze standardizzate da mediane prestabilite". Dai rettori agli studenti, è rivolta totale contro la norma che "va... Incredibile. Si direbbe che casca dal pero!

Risposto da Pietro Maruca su 4 Luglio 2015 a 17:33 Romano, giusto ieri ho commentato nella mia pagina in modo favorevole l'emendamento che punta a differenziare la valuazione degli atenei. Ad un'obiezione che considerava il livellamento un problema economico, dato che gli studenti delle famiglie meno ricche non possono permettersi certe istituzioni private, ho risposto facendo riferimento alla pagina che indico in calce, dalla quale si evince che i diplomifici e i laureifici sono soprattutto privati o sedi staccate, che promuovono cani e porci per poter sopravvivere. http://www.loschiaffo.org/diplomifici-e-laureifici-verso.../ E' comunque vero: in questo clima così ostile, ogni riforma non funziona come un intervento di restauro, bensì come un rompighiaccio, con l'obiettivo di aprire percorsi. Ci sarà tempo dopo per lavorare di fino. Romano Meloni ha detto: A proposito del tentativo di una timida differenziazione dei diplomi di laurea a seconda dell'Ateneo nel quale sono stati conseguiti, Mario Panizza, rettore di Roma Tre, ha un giudizio sprezzante: "Propongono la brutta copia del modello americano. In Italia professori percepiscono stipendi unificati e soprattutto sono selezionati attraverso valutazioni "garantite" a livello nazionale, proprio per assicurare a tutti gli studenti di avere docenti con competenze standardizzate da mediane prestabilite". Dai rettori agli studenti, è rivolta totale contro la norma che "va... Incredibile. Si direbbe che casca dal pero!

Risposto da Cristina Favati su 9 Luglio 2015 a 12:22 Approvata la riforma in via definitiva. http://www.deputatipd.it/blog/scuola

Risposto da Fabio Colasanti su 4 Agosto 2015 a 12:45

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Un articolo da leggere. http://www.scuola24.ilsole24ore.com/art/scuola/2015-07-08/la-bufera...

Risposto da Giampaolo Carboniero su 5 Agosto 2015 a 2:40 L'articolo, artatamente, distingue tra chi difendeva la scuola così com'è e chi la voleva riformare, il che non mi sembra molto obiettivo, visto che chi voleva una scuola diversa comunque non difendeva l'attuale; ma tant'è, per un giornale confindustriale è normale difendere una riforma che trasferisce nella scuola gli stessi parametri dell'azienda; vedrete che tra qualche anno si tornerà a metterci mano, come accade di solito in Italia ad ogni cambio di governo. Fabio Colasanti ha detto: Un articolo da leggere. http://www.scuola24.ilsole24ore.com/art/scuola/2015-07-08/la-bufera...

Risposto da Fabio Colasanti su 20 Settembre 2015 a 12:33 Quessto è quello che fanno i francesi: http://www.lastampa.it/2015/09/18/esteri/nelle-scuole-francesi-tutt... Non dovremmo anche noi dare un po' più di importanza all'insegnamento dell'italiano? Ma non per fare i temi di letteratura italiana che hanno afflitto la mia gioventù, ma per insegnare a fare un riassunto, a scrivere una lettera, a scrivere un courriculum vitae. Si deve insegnare l'italiano, per far si che i giovani possano utilizzare meglio la lingua nelle situazioni concrete e per colmare le differenze culturali che spesso appaiono non appena un giovane apre bocca o scrive due righe. Qualche giorno fa ho letto un articolo di Umberto Eco che tuonava contro la dilagante abitudine di dare del "tu" anche a persone che si incontrano la prima volta. Spiegava come da sistematicamente del "lei" a chiunque gli da del tu nei negozi. Mi ha fatto piacere; sono d'accordo con lui.

Risposto da Giampaolo Carboniero su 20 Settembre 2015 a 21:00 Sono d'accordo. ( in latino:curriculum vitae) Fabio Colasanti ha detto: Quessto è quello che fanno i francesi: http://www.lastampa.it/2015/09/18/esteri/nelle-scuole-francesi-tutt... Non dovremmo anche noi dare un po' più di importanza all'insegnamento dell'italiano? Ma non per fare i temi di letteratura italiana che hanno afflitto la mia gioventù, ma per insegnare a fare un riassunto, a scrivere una lettera, a scrivere un courriculum vitae. Si deve insegnare l'italiano, per far si che i giovani possano utilizzare meglio la lingua nelle situazioni concrete e per colmare le differenze culturali che spesso appaiono non appena un giovane apre bocca o scrive due righe. Qualche giorno fa ho letto un articolo di Umberto Eco che tuonava contro la dilagante abitudine di dare del "tu" anche a persone che si incontrano la prima volta. Spiegava come da sistematicamente del "lei" a chiunque gli da del tu nei negozi. Mi ha fatto piacere; sono d'accordo con lui.

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Risposto da giovanni de sio cesari su 21 Settembre 2015 a 11:51 Fabio Gia da una quindicina anni nelle prove di maturità si è affiancata ( e praticamente sostituita) ai temi tradizionali altre forme di espressione e comprensione scritta. seguendo un indirizzo gia presente nella scuola dagli anni 80 Il problema pero è che nel mondo moderno, globale e informatizzato, la espressione scritta si usa sempre di meno; una volta i ragazzi scrivevano lettere di amore ora si usano SMS e facebook. Considera poi che anche la espressione orale completa, organica e chiara è in effetti uno scritto recitato: iI linguaggio, diciamo cosi, naturale, quello comune di tutti i giorni , è cosa molto diversa perche è significativo solo nel contesto nel quale avviene. mentre la espressione scritta ed orale organica invece è sempre stata una acquisizione scolastica. Il fatto allora che questa capacita ha poche occasioni di uso concreto nella vita comune rende questo acquisizione molte fragile e incerta Ci sono valenti ingegneri e medici che non sanno esprimersi Pero noi ragioniamo attraverso i discorsi fatti di parole: non sapere fare discorsi è un limite essenziale per il pensiero Per quanto riguarda l’uso del tu : ogni uso linguistico (e non) varia nel tempo: prima si usava il voi anche in famiglia. Attualmenteil voi ( che non dovrebbe mai usarsi) e il leiperde terreno di fronte al tu. Non vedo perche questa evoluzione sia considerata negativa. In inglese e in portoghese il voi e il lei hanno sostituito gia da molto tempo il tu: in italiano facciamo il cammino inverso e il tu assorbe il voi e il lei Il lei è sentuito come un fatto formale da usarsi solo in occasioni sempre piu rare: A volte rovescia poi il suo signifcato e da espressione di rispetto cortesia doiviene un modo scortese di tenere a distanza una persona considerta non all’altezza di noi . Fabio Colasanti ha detto: Quessto è quello che fanno i francesi: http://www.lastampa.it/2015/09/18/esteri/nelle-scuole-francesi-tutt... Non dovremmo anche noi dare un po' più di importanza all'insegnamento dell'italiano? Ma non per fare i temi di letteratura italiana che hanno afflitto la mia gioventù, ma per insegnare a fare un riassunto, a scrivere una lettera, a scrivere un courriculum vitae. Si deve insegnare l'italiano, per far si che i giovani possano utilizzare meglio la lingua nelle situazioni concrete e per colmare le differenze culturali che spesso appaiono non appena un giovane apre bocca o scrive due righe. Qualche giorno fa ho letto un articolo di Umberto Eco che tuonava contro la dilagante abitudine di dare del "tu" anche a persone che si incontrano la prima volta. Spiegava come da sistematicamente del "lei" a chiunque gli da del tu nei negozi. Mi ha fatto piacere; sono d'accordo con lui.

Risposto da Fabio Colasanti su 25 Settembre 2015 a 1:20 Giovanni, grazie dell'informazione sull'introduzione di vere prove di uso della lingua a fianco (peccato che non sia "al posto") dei temi di letteratura italiana. Sono d'accordo con te sul fatto che i giovani hanno rare occasioni di scrivere decentemente. Purtroppo questo si rivela poi un handicap nel mondo del lavoro (con il solito vantaggio per quelli che vengono da famiglie dove si fa attenzione a queste cose). Noi che scriviamo in questo Forum abbiamo più pratica di scrittura di moltissime altre persone. Oltre a tutto dobbiamo fare una pratica utilissima di costruzione delle argomentazioni, dobbiamo dare una struttura logica ai nostri testi per sostenere in maniera efficace questa o quella tesi che difendiamo. Vengo all'uso del "tu". Io considero il tu da parte di persone che non conosco come una forma di familiarità che non gradisco. Se per caso un commesso o una commessa in un negozio mi si rivolge con il "tu" cerco sempre una maniera di rispondere sottolineando il "lei". Credo che solo in spagnolo sia comune una familiarità di questo tipo. In inglese non c'è la distinzione tra il "tu" e il lei, ma ci sono tante altri elemnti del linguaggio che distinguono la conversazione di tipo familiare con un amico da quella con una persona che non si conosce. In francese e tedesco poi la formalità nel

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linguaggio con persone che non si conoscono è di rigore e il passaggio a forme più familiari è lunghissimo con il "Toi" e "Du" molto difficili da raggiungere. Nelle altre lingue si utilizzano quasi sempre dei termini per designare le persone che introducono un'idea di rispetto e di formalità. Non ci si rivolge mai ad una persona chiamandola semplicemente per il suo cognome, come purtroppo i conduttori fanno spesso nei nostri talk shows: "Bersani, ci dica cosa pensa di ....". Nelle altre lingue si è sempre chiamati con un titolo, se questo è giustificato o con il termine "signor" ("Señor Bersani, Herr Bersani, Mister Bersani, Monsieur Bersani, Kirie Bersani, ecc)". Non si è mai "Bersani". Vedo l'uso del "tu" ne confronti di persone che non si conoscono come un aspetto di una perdita generalizzata di buone maniere e di cortesia che mi sembra avanzare in maniera preoccupante. giovanni de sio cesari ha detto: Fabio Gia da una quindicina anni nelle prove di maturità si è affiancata ( e praticamente sostituita) ai temi tradizionali altre forme di espressione e comprensione scritta. seguendo un indirizzo gia presente nella scuola dagli anni 80 Il problema pero è che nel mondo moderno, globale e informatizzato, la espressione scritta si usa sempre di meno; una volta i ragazzi scrivevano lettere di amore ora si usano SMS e facebook. Considera poi che anche la espressione orale completa, organica e chiara è in effetti uno scritto recitato: iI linguaggio, diciamo cosi, naturale, quello comune di tutti i giorni , è cosa molto diversa perche è significativo solo nel contesto nel quale avviene. mentre la espressione scritta ed orale organica invece è sempre stata una acquisizione scolastica. Il fatto allora che questa capacita ha poche occasioni di uso concreto nella vita comune rende questo acquisizione molte fragile e incerta Ci sono valenti ingegneri e medici che non sanno esprimersi Pero noi ragioniamo attraverso i discorsi fatti di parole: non sapere fare discorsi è un limite essenziale per il pensiero Per quanto riguarda l’uso del tu : ogni uso linguistico (e non) varia nel tempo: prima si usava il voi anche in famiglia. Attualmenteil voi ( che non dovrebbe mai usarsi) e il leiperde terreno di fronte al tu. Non vedo perche questa evoluzione sia considerata negativa. In inglese e in portoghese il voi e il lei hanno sostituito gia da molto tempo il tu: in italiano facciamo il cammino inverso e il tu assorbe il voi e il lei Il lei è sentuito come un fatto formale da usarsi solo in occasioni sempre piu rare: A volte rovescia poi il suo signifcato e da espressione di rispetto cortesia doiviene un modo scortese di tenere a distanza una persona considerta non all’altezza di noi .

Risposto da Fabio Colasanti su 17 Ottobre 2015 a 9:52 Abbiamo sempre saputo che i paesi asiatici attribuiscono all'insegnamento un'importanza molto maggiore di quella che gli viene attribuita da noi e nel resto del mondo. La cosa risale nel tempo, per esempio al fatto che già secoli fa in Cina e in Corea non esisteva un'aristocrazia ereditaria, ma che il suo ruolo era assunto dagli alti funzionari della corte che venivano assunti per concorso. Abbiamo sempre sentito storie sulla pressione che viene esercitata sugli studenti in Giappone e in altri paesi. Negli Stati Uniti tutte le statistiche mostrano che gli studenti di origine asiatica hanno risultati nettamente migliori degli altri, non certo per ragioni genetiche, ma perché le famiglie esercitano una maggiore pressione sui loro figli perché studino con profitto. Federico Rampini ha scritto tanto anche su di questo (e ha invitato ogni giovane a fare un'esperienza di studio o di lavoro in Asia). Ma quello che ho letto stamattina sul Financial Times supera ogni limite. La notizia viene da Hong Kong dove si sono sviluppate tante scuole private che fanno un sacco di soldi grazie al fatto che i genitori sono continuamente alla ricerca di scuole che preparino ancora meglio i loro figli ai gradi successivi del processo formativo (in chiaro, i genitori cercano scuole dure che bocciano alla grande e non scuole che regalano le promozioni). Due di queste scuole private di successo sono la Beacon Group e la Modern Education. La Beacon Group ha un professore di cinese di 28 anni, Lam Yat-yan, che è diventato famosissimo. Girano storie sulla sua capacità di motivare gli studenti e sull'effetto che questo avrebbe sui risultati dei suoi studenti negli esami di stato. La Beacon Group ha recentemente indicato nella documentazione che ha presentato per essere quotata in borsa che il 40 per cento dei suoi incassi (incassi totali per 38 milioni di euro) era dovuto al suo migliore insegnante, Lam Yat-yam. La Modern Education ha appena reso noto di aver offerto a Lam Yat-yan, un salario lordo di 10 milioni di euro all'anno se disposto a lasciare la sua scuola attuale e se riuscisse a portare alla nuova scuola almeno 25mila studenti !

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