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STILE MERCEDES A FIRENZE LA PASSIONE DI GIORGIO PINCHIORRI - LO STILE DELLA NUOVA CLASSE E - UNA JOINT VENTURE NEL SEGNO DI MERCEDES - SPA A CINQUE STELLE - OFFICINE PANERAI: UNA STORIA TOSCANA LaRotonda

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la rotonda la rotonda la rotonda la rotonda la rotonda la rotonda la rotonda la rotonda

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Page 1: La Rotonda 1

S T I L E M E RC E D E S A F I R E N Z E

L A P A S S I O N E D I G I O R G I O P I N C H I O R R I - L O S T I L E D E L L A N U O V A C L A S S E E - U N A J O I N T V E N T U R E N E L S E G N O D I M E R C E D E S - S P A A C I N Q U E S T E L L E - O F F I C I N E P A N E R A I : U N A S T O R I A T O S C A N A

LaRotonda

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La prima volta che una donna fa girare la testa ad un gioiello.

ORBITAL COLLECTION

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Mercedes. Basterebbe scrivere questo nome per parlare di eccellenza, tanto più se

all’eccellenza stessa si uniscono l’arte, la tradizione, la storia e lo charme di Firenze. In questo contesto è nata “La Rotonda”, la rivista che presentiamo a Firenze e ai fiorentini e che vuol unire al marchio Mercedes-Benz le eccellenze della città, vista con gli occhi dei nostri clienti e di chi a Firenze ha voluto e vuole investire in termini di qualità e di immagine, ovvero uno staff affiatato di professionisti esperti e alla ricerca di continui miglioramenti.Con questo primo numero, che esce in occasione della presentazione della nuova Classe E, andiamo insieme alla scoperta della storia della nostra società e del marchio che rappresentiamo, una stella a tre punte che fa ormai parte della storia dell’auto ma anche di quella della società moderna. Un simbolo che affascina gli appassionati di auto da oltre un secolo e che si ritrova anche nelle versioni AMG, dove lo stile incontra la sportività.Ma Mercedes-Benz è anche un simbolo

di qualità e unisce personaggi e marchi che fanno grande Firenze, ognuno con le proprie peculiarità e la propria arte: Giorgio Pinchiorri e la sua cucina, Panerai e gli orologi, Ermenegildo Zegna, i gioielli Damiani e il Corpo Consolare fiorentino, riformatosi da pochi mesi e che ha già come partner Auto La Rotonda.Eccellenza è anche quella del Meyer, ospedale-modello e vanto della città, oppure quella dei musei, patrimonio di Firenze condiviso con tutto il mondo, che noi presentiamo partendo da quelli più piccoli ma ugualmente custodi di grandi tesori.E uscendo da Firenze, magari guidando una Mercedes, si può andare alle terme, immerse nel verde della Toscana o arrivare fino al JK Place, l’hotel più esclusivo di Capri, per godere del colore e del calore dell’estate che sta arrivando.“La Rotonda” arriva quindi a voi come nuovo strumento di informazione e curiosità del marchio Mercedes-Benz, sullo stile della città e per darci nuovi stimoli per raccontare Firenze e le sue bellezze.

EDITORIALE

LE ECCELLENZEE LE BELLEZZEDI FIRENZERACCONTATENELLE PAGINEDI “LA ROTONDA”

Antonio Di Resta, direttore della concessionaria “Auto La Rotonda” Firenze

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5 E D I T O R I A L E 9 L I B R O 1 1 C U R I O S I T À 1 2 I L P E R S O N A G G I O G i o r g i o P i n c h i o r r i 1 8 S T I L E L a n u o v a C l a s s e E 2 4 I N V E S T I M E N T I M i x d e l u x e 2 8 E S C L U S I V I T A ’ A M G 3 0 I N C I T T À I m u s e i s c o n o s c i u t i 3 4 O S P I T A L I T A ’ P a l a z z o B o r g h e s e3 6 N O V I T A ’ L a c o n c e s s i o n a r i a i n v i a G i o t t o 3 8 I N T O S C A N A L e s p a 4 2 T R A D I Z I O N E O f f i c i n e P a n e r a i 4 6 W E E K E N D J K P l a c e C a p r i 5 0 M A R K E T I N G I l B r a n d5 4 E C O I l p e n s i e r o v e r d e 5 6 H A N D M A D E B e s p o k e p e r l u i 6 0 A L F E M M I N I L E I l f a s c i n o d e i d i a m a n t i 6 4 C H A R I T Y I l M e y e r 6 6 N E L M O N D O I l c o r p o c o n s o l a r e

SOMMARIO

La Rotonda, stile Mercedes a Firenze n°1 in attesa di registrazione Direttore Responsabile Matteo Grazzini Direttori Editoriale Antonio Di Resta,

Costanza Gregoratti Redazione Guia Fantuzzi, Teresa Favi, Francesca Lombardi, Alessandra Lucarelli, Mila Montagni Impaginazione grafica

Chiara Bini, Fabiana Matteini, Alessandro Patrizi In copertina: particolare della nuova Classe E Rivista realizzata da Gruppo Editoriale S.r.l.

Via Piero della Francesa, 2 – 59100 Prato - Tel. 0574 730203 - [email protected] Stampa/Printing Tipografia Baroni & Gori

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Benz, Daimler, Maybach: tre nomi che hanno scritto le prime e intramontabili pagine della storia dell’automobile.

Tre per una stella, volume firmato da Franco Zagari con la prefazione di Bruno Sacco ed edito dalla Fondazione Negri, ne racconta le origini utilizzando una serie di scatti inediti, oltre alle immagini tratte dagli illustri archivi Daimler Chrysler. Più di 478 fotografie, cha raccontano dalle competizioni sulle Benz alla Targa Florio del 1907 o il Gran Premio Milwaukee del 1912 fino al 1955, anno in cui si conclude il ciclo di gare del secondo Dopoguerra. Un viaggio nel tempo, per scoprire la storia dei personaggi che hanno dato vita a uno dei brand più esclusivi del settore automobilistico. Una storia lunga e densa di avvenimenti importanti, che affonda le sue origini durante la Prima guerra mondiale. E’ stato proprio in quegli anni infatti che la Daimler Motoren Gesellschaft (DMG) decise di costruire aerei da combattimento e di allestire un grande stabilimento a Sindelfingen, località a 15 km da Stoccarda. Una produzione non particolarmente rilevante all’inizio: finita la guerra, finì anche la produzione degli aerei e, dopo una breve parentesi in cui sono stati realizzati anche mobili, l’azienda intraprese la progettazione e la costruzione delle prime carrozzerie. Era il 1920, e il nome dell’azienda era Sindelfingen Carrosserie. Ma dobbiamo aspettare il 17 ottobre del 1926, anno di fusione tra la Benz&Cie e la DMG, per la nascita della Daimler-Benz AG: è stato solo dopo questa data infatti che le vetture commercializzate dalla Casa porteranno il nome Mercedes-Benz. Per informazioni su Tre per una stella, rivolgersi alla Fondazione Negri (Via Calatafimi 7 Brescia, tel. 030.42020, www.negri.it)

TRE PER UNA STELLA

La storia della maison Mercedes

IL LIBRO | 9

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CURIOSITÀ | 11

Un negozio luminoso, con vi-sta su una delle piazze più salottiere di Firenze, piazza

della Repubblica: lo charme Merce-des da indossare abita qui. Lo spazio, in proprietà condivisa delle cinque più importanti concessionarie della maison in Toscana, è un armonico connubio d’interni in vetro e legno chiaro, che sembrano assorbire la luce esterna. L’atmosfera all’interno parla un linguag-gio di comfort, relax e tempo libero:

l’abbigliamento Mercedes nasce con una forte connotazione di svago, come se fosse pensato per lunghi weekend al mare o nella campagna francese. Il lusso ha i suoi codici, e la fuga ver-so altri orizzonti è sicuramente uno di questi.Si allineano perfettamente a questo concetto gli accessori e i capi in ven-dita a Firenze, come negli altri store del mondo: orologi da polso raffinati con lievi rimandi di sapore vintage, occhiali

e cappelli baseball perfetti per una gita con la cabrio iper-sportiva. Ma soprat-tutto la collezione di trolley, lucenti come la carrozzeria dei modelli più esclusivi della maison, e di borsoni in morbida nappa che declinano i toni pastello. Per la primavera estate 2009, per lei e per lui, giubbotti in pelle e sahariane in nylon, una selezione di capi in felpa e toni piccoli pezzi chic e understate-ment, come le polo in piquet con leg-geri bordi a contrasto.

SHOPPING

Lo stile di Mercedes in città

Il negozio in piazza della Repubblica a Firenze e la collezione PE 2009

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12 | IL PERSONAGGIO

30 ANNI AL TOPtesti Teresa Favi

Giorgio Pinchiorri ricorda i suoi esordi fatti di casualità ed eccellenze

Se non vi spaventa pagare un vino più di una Classe C, e volete fare un viaggio nella geografia, nel-

la storia e nella memoria mondiale del vino, dovreste già sapere che al civico 87 di via Ghibellina, all’interno del cin-quecentesco palazzo fiorentino Jaco-metti-Cioffi (a due passi dalla casa di Dante, da quella di Michelangelo, pro-prio nel palazzo dove nacque Giovan-ni da Verrazzano) c’è una cantina che esaudisce qualsiasi desiderio. Arredi d’epoca, nessuna insegna: tutti sanno che da trentacinque anni loro sono qui. Al primo piano l’Olimpo della gastrono-mia internazionale. Sottoterra una can-tina che fa invidia al mondo. Ricca, cli-matizzata, coi sipari scarlatti a difendere dalla luce, con cancelli a proteggere veri e propri tesori. Tutte le bottiglie sono sdraiate. Moltissime dentro scatole di legno come arrivano dalle cantine. 55 coperti, altrettante persone al lavoro tra sala e cucina, 3.700 referenze nella carta per oltre 130mila bottiglie, molte delle quali uniche e introvabili, altre pro-dotte in esclusiva. A cui si aggiungono un «Pinchiorri» a To-kyo, un altro a Nagoya e adesso quello di prossima apertura a Kyoto. Stessi piatti, stessi vini inarrivabili, stesso trion-

fo del gusto. Un patrimonio di milioni e milioni di euro. Una vera enciclopedia di sapori e saperi. A scegliere ogni bottiglia c’è Giorgio Pinchiorri, uno dei pochis-simi italiani veramente invidiati dai fran-cesi, che al vino e alla sua Enoteca ha dedicato la vita, in simbiosi con Annie Féolde (Anna per Giorgio che declina il suo nome all’italiana). Trentacinque anni e più di storia e tradizione, da osserva-tori privilegiati (e spesso lucidi anticipa-tori) dell’evoluzione del gusto italiano e internazionale. E’ vero che lei non beveva vino?Sì per molti anni ho preferito il chinotto, le bevande del bar del paese, non as-saggiavo nemmeno gli amari.Originario di Monzone di Pavullo in Emi-lia, che cosa l’ha portato a Firenze?Mia madre era la cuoca di una famiglia di sei fratelli a Palermo, cinque dei quali medici. Uno di essi si trasferì a Firenze e volle con sé mia madre. Quando diventai più grandicello decisi di raggiungerla, lasciando le zie con cui avevo vissuto fino ad allora a Monzone. Il primo passo per diventare “Giorgio Pinchiorri”.In realtà volevo dedicarmi alla carriera sportiva di ciclista, ma mi ruppi un brac-cio. Allora, per non essere a carico di

mia madre, mi iscrissi alla scuola alber-ghiera di via Farini, perché lì almeno non avevo il problema di mangiare. Dovevo studiare per cuoco, ma l’odore di pesce mi disgustava. Allora, grazie al fatto che sono abbastanza alto, mi dirottarono al corso per servizio in sala e barman. E il vino era ancora uno sconosciuto?Di fatto sì, mi affascinavano le lezioni sui grandi vini francesi gli Chateu, i Bor-deaux. Ma senza neanche sapere bene che cosa volessero dire concretamen-te quei grandi nomi altisonanti. Intanto continuavo a bere chinotti: pensi che quando mi iscrissi nel ’67 all’associazio-ne dei sommelier non sapevo ancora a cosa servisse quel taste de vin che tutti portavano al collo con orgoglio.Quand’è arrivata allora la folgorazione?Ero ancora studente quando fui man-dato dalla scuola a far pratica in Buca Lapi. Qui vennero una sera a cena Burt Lancaster e Antony Perkins. Gli furono serviti un Chateau Mouton, un Chateau Lafite 1949 e un Brunello Biondi Santi. Ecco, il primo innamoramento fu que-sto: assistere alla sacralità con cui tutto l’entourage del ristorante si adoperava intorno ai due attori e alla maniera in cui venivano servite queste tre grandi bot-tiglie di vino. Terminata la scuola partii

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IL PERSONAGGIO | 13

Giorgio Pinchiorri

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14 | IL PERSONAGGIO

subito per la Francia, alla ricerca di quei meravigliosi vini, a conoscere i produt-tori, le tecniche, a fare i primi acquisti.Come è nata l’Enoteca?Venne dopo il corso di sommelier. In quegli anni Firenze era più avanti di tan-te altre grandi città italiane sul fronte del vino: c’erano già sette bottiglierie impor-tanti. Una di queste era gestita da due fra-telli che decisero di aprire qualcosa di notevole: un’enoteca in piazza Signoria, ma poi una diatriba ereditaria bloccò i lavori. Allora fu trovato questo spazio in via Ghibellina ridotto a uno stato pieto-so dall’alluvione tanto che ci venivano a dormire i barboni. Eravamo nel ’70.

Fu un affare, perché l’affitto, molto bas-so, compensò i lavori. Qual era il suo ruolo all’inizio dell’attività?Si chiamava Enoteca Nazionale spa e io venni assunto come sommelier inca-ricato di cercare i vini e sceglierli: avevo buoni punteggi sul vino francese che in quegli anni cominciava ad essere ap-prezzato anche in Italia. Doveva far as-saggiare il vino ai clienti prima che que-sti decidessero di comprarlo. Era una cosa all’avanguardia, da pura enoteca: non c’era ristorante, niente che fosse legato all’idea di assaggio da accostare il vino.E quello che oggi è considerato uno dei dieci ristoranti migliori del mondo, quan-

d’è arrivato?Essendo aperti anche di pomeriggio cominciarono ad arrivare importanti personaggi e qualcuno cominciò a dire “certo, se ci fosse qualcosa da man-giare non sarebbe male...” Tempo un mese, cominciai a organiz-zarmi con pane, formaggio, salumi. La mia regola era: poco ma solo il me-glio. Allora successe che molti non ve-nivano più solo per comprare le botti-glie, ma per degustare un bicchiere di buon vino con del formaggio nelle belle sale del palazzo. Nel ’72 decidemmo di ampliarci un pochino, un piccolo fornello per fare qualche piatto caldo: i clienti arrivavano

Annie Féolde, con lo staff, nella cucina del ristorante fiorentino

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IL PERSONAGGIO | 15

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FATTORIA CASALBOSCO

Fattoria di Casalbosco s.r.l. Società agricola

Via Montalese, 117, Santomato (Pistoia) Italy

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Passione per il vino

Tradizione di fa miglia

Passion for wine

a family Legacy

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IL PERSONAGGIO | 17

GIORGIO PINCHIORRI, UNO DEI POCHISSIMI ITALIANI INVIDIATI DAI FRANCESI

verso le 19 e fino alle 20.30 si poteva mangiare qualcosa organizzato in forma di buffet. L’anno successivo arrivò an-che Anna a darmi una mano. Lei migliorò la cucina, perché era il suo lavoro, ma solo dopo un anno anco-ra cominciammo a fare qualche piatto espresso solo per pochi, importantissi-mi clienti. E il successo aumentò, proprio grazie ad Anna, ancora tanto da diventare più famosa la cucina che la bottiglieria. I due soci nel 1978 si resero conto che la bottiglieria non rendeva più, allora rilevai il tutto quello stesso anno. E nel gen-naio del ’79 nacque l’Enoteca Pinchior-ri: quest’anno festeggiamo i 30 anni.

Il suo maestro?Molti, ma su tutti Luigi Veronelli.Passioni?Donne, automobili, vino e ballo.L’automobile del cuore?Pur essendo un patito delle Ferrari, quel-la del cuore è una Mercedes. Ne ho avute molte... Nel ‘91 acquistai la prima 500L arrivata a Firenze. Ero orgogliosis-simo di quella nuova macchina un po’ particolare, anche perché l’avevo per-sonalizzata. Bene: mi viene consegnata il venerdì, la domenica vado a Milano, il tempo di parcheggiarla e dopo due ore non c’era più. Allora mi sono detto, potrò avere in futuro tutto quello che vo-glio, ma questa non l’avrò mai più.

Uno scorcio della cantina dell’Enoteca Pinchiorri

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18 | STILE

Esistono case perfette, im-peccabili nello stile e nei dettagli. Ma a cui manca

l’essenza dell’essere casa: il caldo e sicuro abbraccio di un luogo ac-cogliente, dove l’armonia sembra essere cucita su misura per l’ospi-te. A partire dagli anni ’80 i socio-logi hanno inoltre dimostrato che il desiderio di comfort e sicurezza va oltre le mura domestiche e coin-volge gli oggetti che ci circondano. La macchina non sfugge a questo impulso crescente e da mero og-getto del desiderio, simbolo di lus-so e potere, oggi deve rispondere a altre esigenze. Più contempora-

nee. La sicurezza in primis. Mer-cedes- Benz, da sempre in antici-po sui tempi, ha risposto colpo su colpo ai cambiamenti del mercato con la sua vasta gamma di modelli e motori. L’ultima nata della maison automo-bilistica, la Classe E berlina, va a sostituire la business car di mag-gior successo in Europa e rende il comfort un concetto à porter.E’ l’insieme dei dettagli a creare questa sensazione. All’esterno la linea è sinuosa ed elegante, di una bellezza non acerba ma profondamente me-ditata. La parte frontale è decisa,

leggermente appuntita, quasi ad aggredire l’asfalto. I fari, quattro, hanno recuperato la forma squadrata di memoria vin-tage. La zona posteriore invece è slanciata verso l’alto e conferisce forza all’immagine possente del-l’insieme. Le ampie nervature dei passaruota posteriori la rendono in costante assetto da slancio, come un felino pronto all’attacco. Dentro è tutta un’altra musica. La nuova Classe E colpisce per la rotondità degli elementi, per il de-sign morbido delle manopole e dei tasti. Anche la plancia è leggermente

BESTSELLERtesti Francesca Lombardi

Comfort e tecnologia: la nuova E ha più Classe

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sferica, quasi concava, come a porgersi verso il guidatore. L’uso dei materiali è sapiente: mo-danature in legno lucidissimo (di serie) o opaco si bilanciano, in un ritmico accostamento, a rifiniture in alluminio che parlano un linguaggio tecnologico e avant garde. Spazio privilegiato ai sedili del guidatore e del passeggero anteriore: nati dal-la progettazione e dall’attento col-laudo dei tecnici Mercedes-Benz consentono di compiere viaggi an-che molto lunghi con zero stress posturale. Caratterizzati dal design dei rivestimenti a bande tubolari opportunamente imbottite, que-

sto tipo di sedili sono un’esclusiva Mercedes-Benz. La tecnica messa a punto per la loro realizzazione si traduce nel-l’inserimento, direttamente sotto il rivestimento in tessuto o in pelle dei sedili, di una speciale schiu-ma che favorisce l’adattamento alla posizione e alla conformazione anatomica degli occupanti.I tecnici usano a questo proposito l’espressione ‘comfort istantaneo’. Per gli esperti l’eccellenza di un sedile non è definita soltanto dalla comodità, ma anche dalla sua du-rata e resistenza all’uso. Entrambe queste caratteristiche

L’USO DEI MATERIALI È SAPIENTE: MODANATURE IN LEGNO E RIFINITURE IN ALLUMINIO

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22 | STILE

vengono testate, in casa Merce-des, attraverso una serie di prove severe e collaudi serrati. Ad esem-pio nell’ambito di un test sulla re-sistenza dei sedili della Classe E, un robot è stato fatto scendere e salire nelle varie posizioni al-l’interno della macchina per circa 20 mila volte. Ma il comfort non parla in termini di resistenza e de-terioramento. Ecco perché, per i clienti della esclusiva maison, i sedili anteriori della Classe E compiono un mas-saggio a 7 zone, mentre la profon-dità del cuscino è regolata in base all’attrito sostenuto dai pneumatici

e i sostegni laterali si assettano in base alla situazione di marcia. Noblesse oblige di una vettura che si prende cura dei suoi passeg-geri. Ma l’attenzione di Classe E non si esaurisce in questi vezzi. E’ soprattutto tecnologia, che si de-clina in una serie di strumenti che rendono la guida sotto costante controllo.Il sistema Distronic Plus fornisce un controllo sui tempi di frenata, sulla presenza di veicoli nell’ango-lo morto e di ostacoli sulla strada, oltre a segnalare con vibrazioni sul volante i casi di sbandamento. Lo Speed Limit Assist riconosce i

limiti di velocità e avvisa tempesti-vamente il guidatore. Il Parktronic e l’Activeparktronic forniscono un valido aiuto per il parcheggio. A raccontarla così la nuova Clas-se E, disponibile nelle versioni Ele-gance, Avant Garde ed Executive, appare come uno strumento as-solutamente avveniristico. E sicuramente lo è, nella sostan-za e nella sua proiezione verso un controllo quasi totale delle condi-zione del guidatore. Ma la sua forza è proprio nel fat-to che lo fa con morbidezza, con complice accoglienza. In perfetto stile Mercedes-Benz.

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Una vista della concessionaria Auto La Rotonda nella nuova sede al Macrolotto

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Un binomio Puglia-Umbria per acquistare una pre-stigiosa concessionaria nella culla dell’arte italia-na, un mix tra due realtà imprenditoriali come

esempio di interazione per migliorare servizi e reti commer-ciali già ottimi. L’accordo tra il Gruppo Maldarizzi, presente in Puglia con più marche, e il Gruppo Centralmotor, attivo in Lazio e Umbria, ha portato a una nuova proprietà della concessionaria Auto La Rotonda, un’acquisizione che fa crescere i gruppi, che rappresentano società leader nel segmento auto. Ai vertici dei due gruppi due imprendi-tori con le idee chiare, una programmazione comune, la voglia di creare una realtà di valore anche fuori dai pro-pri territori e soprattutto legati da un’amicizia decennale, Francesco Maldarizzi e Stefano Foschi.La scoperta della società che ha acquisito Auto La Ro-tonda parte dalla Puglia. Dottore Commercialista, fonda-tore di società come Motoria, Millenia S.r.l., Centaura e Sogesa, dal 1992 Console Onorario degli Stati Uniti del Messico, dal 1995 Commendatore, componente del Comitato Esecutivo della Confcommercio di Bari e pre-sidente dell’Assomotorizzazione di Bari e Provincia: tutto questo è Francesco Maldarizzi, amministratore delegato del gruppo omonimo e presidente della società che ha acquisito Auto La Rotonda: “Con le tre sedi della conces-sionaria – spiega Maldarizzi – copriamo un’ampia parte del territorio fiorentino, visto che con quella di via Giotto siamo in centro e con quella di Figline serviamo tutto il Valdarno. Quella del Macrolotto, che poteva sembrare una concessionaria molto bella ma un po’ isolata, nel giro di breve tempo diventerà centrale, visto che quella zona

MIX DELUXEtesti Matteo Grazzini foto New Press Photo

Una joint venture nel segno di Mercedes

INVESTIMENTI | 25

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26 | INVESTIMENTI

è in continua evoluzione ed è ormai collegata alla città”.Una città che trae dal fascino dell’ar-te e dal turismo gran parte delle sue risorse economiche e d’immagine: “Abbiamo scelto Firenze anche per questo – conclude Maldarizzi – per-chè ha un territorio tra i più interes-santi d’Italia e, con Roma e Milano, è tra le città più conosciute d’Italia. Quando si è presentata l’occasione di acquistare Auto La Rotonda io e il mio socio ci siamo trovati subito d’accordo, anche perchè il brand Mercedes mancava ai nostri rispettivi gruppi”.La conferma a questa strategia commerciale arriva da Stefano Fo-schi, che di Auto La Rotonda spa è amministratore delegato e che nel settore auto ha una lunga e positiva esperienza.“La scelta di Firenze – dice – è stata legata ad almeno tre aspetti, che vanno al di là dell’opportunità di comprare la concessionaria. Intanto la possibilità di acquisire il marchio Mercedes-Benz, sempre ambito sul mercato. Poi il fatto di arrivare

in una città che con la sua arte e la sua notorietà nel mondo splen-de di luce propria e ci fa lavorare in un contesto da sogno. Infine c’è il fatto che un imprenditore è sempre voglioso di mettersi in gioco e con-frontarsi con nuovi obiettivi e per noi, abituati a realtà un po’ più ristrette e provinciali, misurarsi con una realtà più grande e con una concorrenza maggiore è stato come raccogliere con piacere una sfida”. Tutte ottime motivazioni che devono fare an-che i conti con una situazione non facile per il settore automobilistico: “Di certo viviamo in un momento in cui economia e finanza non ci aiu-tano – spiega ancora l’imprenditore umbro – ma l’impatto con la città è stato buono. Firenze è bella ma anche difficile, visto che dobbiamo scoprirla e conoscerne gli abitanti ma appena passerà la crisi saremo in grado di far funzionare appieno i nostri progetti. Ma già con l’apertura della nuova sede di via Giotto abbia-mo avuto attestazioni e complimenti che ci aiutano e ci danno la forza per combattere”.

Stefano Foschi e Francesco Maldarizzi

“ABBIAMO SCELTO FIRENZE

PERCHÉ CON ROMA E MILANO,

È TRA LE CITTÀ PIÙ CONOSCIUTE

E INTERESSANTI D’ITALIA”

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Alcuni scatti degli interni e degli esterni della concessionaria e i proprietari con lo staff di Firenze

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28 |ESCLUSIVITÀ

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ESCLUSIVITÀ | 29

AMG, tre lettere che sono di-ventate nel mondo sinonimo di personalizzazione, dinamismo,

esclusività. Negli ultimi quarant’anni Mercedes-AMG GmbH si è trasformata da semplice allestitore di vetture di lusso a costruttore automobilistico autonomo: era il 1° giugno del 1967 quando Hans Werner Aufrecht e il socio Erhard Mel-cher fondarono l’azienda (la terza lettera dell’acronimo è data dal luogo di nasci-ta del primo, Großaspach ndr). Oggi AMG è il marchio high-performance del Mercedes Car Group. Veri e pro-pri esemplari di culto per gli intenditori e appassionati del settore automobilisti-co, che scelgono i prodotti AMG per le sue caratteristiche sportive degne però del lusso e dell’alta qualità garantita da un brand come Mercedes. Sportività sì, ma di sapore artigianale, e in grado di regalare intense emozioni di guida sia per percorsi quotidiani, sia per quelli che richiedono una dinamica di mar-cia più spiccata. Difficile resistere alle caratteristiche prestazionali dei modelli AMG che stanno riscuotendo successi a livello internazionale, in modo partico-

lare in Italia, dove sono proposti in soli cinque corner esclusivi ed altamente selezionati. Uno dei più recenti è quello istituito presso la concessionaria Auto La Ro-tonda di Firenze: un angolo ad hoc, che propone un servizio di promozione e assistenza pronto a soddisfare le richie-ste dei clienti più esigenti, che scelgono high-tecnology, erogazione di potenza e capacità frenante eccezionale, dinami-ca di marcia ed agilità senza paragoni. E che non resistono al rombo dei famosi V8 caratteristici di ogni AMG.Ultima nata della famiglia, la supersporti-va Mercedes SLS, la prima vettura pro-gettata autonomamente dalla divisione AMG nei suoi oltre 40 anni di storia: nello sviluppo della nuova Mercedes ad ali di gabbiano, i progettisti AMG hanno sfruttato il know-how degli specialisti del Mercedes Technology Center di Sin-delfingen, soddisfacendo l’obiettivo di trasformare la SLS AMG in una perfetta sintesi dei punti di forza dei marchi Mer-cedes e AMG.Per l’esordio dovremo aspettare la pri-mavera 2010.

IL MOTORE DI UNA STELLAtesti Alessandra Lucarelli

High performance del Mercedes Car Group

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30 | IN CITTA’

I l museo dei musei per eccellenza è quello degli Uffizi a Firenze, il primo nel-la storia accessibile al pubblico (fin dal

1591 era visibile a chiunque ne facesse richiesta al Granduca) e certamente uno dei musei più noti nel mondo. Ma Firenze ospita una costellazione vera e propria di musei, meno conosciuti ma non per que-sto meno affascinanti. Proviamo a traccia-re un itinerario, ricordandosi che per tutto il Polo Museale Fiorentino il numero per le prenotazioni è 055.294883. Al numero 38 di via della Colonna (arteria centrale che, dal quartiere residenziale di piazza D’Azeglio, porta verso piazza San Marco) c’è il più antico Museo Archeolo-gico d’Italia: uno scrigno di tesori eccezio-nali, basterebbe a renderlo appetibile solo il vaso François. Perfettamente ricostruito con i pezzi ritrovati dagli archeologi il gran-de cratere attico del 570 a.C. racconta le storie dell’Iliade. Ma c’è anche altro: bronzi, ceramiche, oggetti, sarcofagi, monili dell’ar-te e della vita etrusca, greca e romana. In un’immersione in un tempo lontano ci con-

ducono anche la chimera di bronzo dalle fauci spalancate, il bell’Antinoo, favorito dell’imperatore Adriano, la grande testa di cavallo presa a modello da tutta la scultura successiva, i geometrici riccioli degli enig-matici koùroi greci, i sarcofagi etruschi, le mummie del Museo Egizio.Pochi passi e, in via Alfani 78, ci imbattia-mo in un luogo unico. Il Museo dell’Opificio delle Pietre Dure, laboratorio creato alla fine del Cinquecento dal granduca Ferdinan-do I e tradizionalmente legato al restauro di mosaici in pietre, che si è poi esteso al restauro di tutte le arti e ha traslocato alla Fortezza, lasciando in via degli Alfani un caleidoscopio di pietre dure e marmi po-licromi. A due passi da piazza Signoria, il Museo del Bargello, via del Proconsolo 4. Acco-glie, come in un efficace riassunto dell’epo-ca, alcune delle opere più importanti del Ri-nascimento: i capolavori di Donatello, Luca della Robbia, Verrocchio, Michelangelo, Cellini, tutti in un imponente edificio della metà del Duecento, già di per sé degno

di una visita, costruito per il Capitano del popolo e diventato poi sede del podestà e del Consiglio di giustizia. Qui ci si imbatte in una serie di sculture impossibili da di-menticare. I due David di Donatello, quello giovanile in marmo e quello più maturo in bronzo che, nella loro armonia tridimensio-nale rappresentano il primo nudo della cul-tura occidentale dai tempi dell’arte romana; il busto di Niccolò da Uzzano capolavoro di realismo, il plastico Bacco ebbro di Miche-langelo, il moderno David del Verrocchio, una collezione di maioliche tale da fare la storia della maiolica in Italia, le due formelle per il Battistero prove della gara storica fra Ghiberti e Brunelleschi.Una delle testimonianze più alte dell’arte di Michelangelo è al numero 6 di piazza Aldo-brandini, in un’area che fa parte del com-plesso della basilica di San Lorenzo, confu-sa tra le bancarelle chiassose dell’omonimo mercato. Sono le Cappelle Medicee desti-nata ad accogliere i resti mortali dei due magnifici, Lorenzo e Giuliano de’ Medici. Qui, Michelangelo crea una grandiosa al-

ANDAR PER MUSEItesti Teresa Favi - foto Lucia Baldini

Itinerario inedito tra i meno conosciuti di Firenze

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Cappelle Medicee

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Dall’alto in senso orario: Cappelle Medicee, Museo del Bargello, Palazzo Pitti e Museo Archeologico (Firenze)

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IN CITTA’ | 33

legoria dello scorrere del tempo attraver-so figure potenti ma affondate in un’inerzia lontana. Il Giorno duro e scattante, la Notte figura femminile levigata, lucente di marmo e pallida di luna, l’Aurora che lentamente si risveglia e il Crepuscolo in bilico sul filo che riporta al sonno.Due gioielli di esposizioni sono ospitate invece nel quartiere d’Oltrarno, nel grande complesso di palazzo Pitti dove ha sede anche la Galleria d’Arte Moderna. Uno di questi è il Museo degli Argenti detto anche il Tesoro dei Medici (sebbene alcuni pezzi rechino la data dell’epoca successiva dei Lorena), istituito nella seconda metà dell’Ot-tocento è ospitato nell’ala Nord del palaz-zo. Il museo contiene una vasta collezione di pezzi inestimabili di oreficeria, argenteria, cristalli, opere in avorio e in pietre due. Tra i pezzi più pregiati: una doppia coppa in ametista, un’opera in porfido raffigurante Venere e Amore di Pier Maria Serbaldi det-to “Il Tagliacarte”, opere in ebano e pietre dure intarsiate, come lo Stipo d’Alemania, vasi d’avorio tornito e uno di Giovanni An-tonio Maggiore da Milano, che è il pezzo più antico conosciuto in questa specialità artistica (1582), vasi e coppe in pietre due e cristallo di rocca dalle fogge bizzarre e insolite. Un paradiso per gli appassionati di arti minori. L’ala conosciuta come Palazzi-na della Meridiana, fu costruita su incarico di Pietro Leopoldo di Lorena nel 1776, sul lato meridionale del palazzo.Vi ha sede dal 1983 la Galleria del Costume con una col-lezione di oltre seimila manufatti tra abiti an-

tichi (i più datati risalgono addirittura al XVI secolo), accessori, costumi teatrali e cine-matografici di grande rilevanza documenta-ria. E’ l’unico museo italiano a tracciare una storia dettagliata delle mode che si sono susseguite nei secoli grazie alla presenza di modelli esclusivi che hanno fatto la storia di maison della moda moderna e contem-poranea, come Valentino, Giorgio Armani, Gianni Versace, Emilio Pucci e Yves Saint Laurent. Gran parte degli esemplari esposti proviene da donazioni private e pubbliche, a volte con la cessione di interi guardaroba di personaggi celebri. Sono pervenuti così gli abiti della nobildonna siciliana, una del-le donne più eleganti della Belle époque, Franca Florio, o quello di Eleonora Duse. Fra le rarità, gli abiti funebri del Granduca Cosimo I, di sua moglie Eleonora di Tole-do e del loro figlio Don Garcia deceduto in tenera età a causa della malaria. Abiti della più ricercata e fine fattura che furono utiliz-zati per le cerimonie funebri nelle quali veni-vano mostrate le salme, mentre sappiamo che quelli per la vera e propria sepoltura erano abiti ben più semplici.Da Palazzo Pitti, a partire dal 4 aprile, sarà sufficiente aggiungere qualche passo e arrivare in piazza de’ Mozzi e respirare a pieni polmoni l’anelito della golden age del mercato d’arte che investì il capoluogo toscano tra la fine dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento sotto l’egida di Bernard Berenson. Riapre infatti, dopo un lungo restauro durato dieci anni, il Museo Bardini costruito per lascito testamentario

dell’antiquario Stefano Bardini protagonista di quella temperie collezionistica e proba-bilmente il maggiore antiquario italiano degli ultimi cento anni. Alla sua scomparsa, nel 1922, il museo venne ereditato dal Comu-ne di Firenze, da cui in seguito passò al Polo Museale Fiorentino di diretta pertinen-za statale. Danneggiato seriamente duran-te l’alluvione del 1966 e chiuso per restauri per circa un decennio, riapre finalmente le sue porte con un ordine che intende rico-struire l’itinerario espositivo voluto dal suo fondatore e alterato nel corso degli anni a più riprese. Ospita un caleidoscopico co-smo di 3600 opere tra dipinti, sculture in marmo, pietra, bronzo, legno, armature, ceramiche, monete, strumenti musicali, arazzi e ancora arredi dall’antichità etrusca e greco-romana fino al Barocco. Il palazzo che ospita il museo varrebbe solo di per sé una visita. Costruito dal grande mercante e collezionista nel 1880, è la risultante di un pasticcio eclettico, frutto dell’acquisi-zione di svariati edifici di varie epoche, di cui fece utilizzare materiali di spoglio quali pietre medievali e rinascimentali, architravi scolpite, portali, camini, scalinate, soffitti a cassettoni dipinti. E tra i pezzi cult della collezione spiccano dipinti del Tintoretto e del Guercino, trenta disegni del Tiepolo e tre opere da secoli emblematiche nella vita quotidiana di Firenze, sostituite in loco da copie: il Cinghiale in bronzo di Pietro Tacca dalla Fontana del Porcellino, il Diavolino del Giambologna, e il Marzocco dorato dall’ar-chitrave di Palazzo Vecchio.

Foto tratte da Capolavori in bianco e nero edito da Sillabe. Su concessione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali. Si ringrazia la Soprintendenza Speciale per il Polo Museale

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34 | OSPITALITÀ

Camminando - spesso di fretta a causa degli impegni quotidiani - per Via Ghibellina, forse non noterem-

mo questo palazzo in tutta la sua equilibrata e sobria maestosità se non schivandone gli eleganti e inusuali cippi marmorei; solo attra-versando la strada è possibile individuarne infatti il prospetto, tanto esteso da risultare sacrificato nella pur larga via Ghibellina. Fra i rari esempi di architettura neoclassica a Fi-renze, Palazzo Borghese è noto per la figura del suo proprietario, o meglio di sua moglie, Paolina Bonaparte, la sorella prediletta di Na-poleone, che però - e questo è meno noto - non lo abitò mai. Ella aveva sposato il prin-cipe romano Camillo Borghese nel 1803, a 23 anni, e con lui si era trasferita a Roma. La città però la annoiò presto, e, pur aven-dovi trovato un discreto numero di amanti, la giudicava provinciale e bigotta. Così già alla fine dell’anno successivo era tornata a Parigi. Paolina, la cui vita fu avvincente quasi quanto quella del fratello, impetuosa, ego-centrica, desiderosa di appagare appieno la sua voluttuosità che sembra sia stata dav-vero eclatante, amante della vita di corte e dello sfarzo, (ma l’unica dei fratelli ad andare a trovare Napoleone nell’esilio all’Elba e ad abbellirne la residenza separandosi dai suoi gioielli), non poteva accontentarsi di Roma. Al marito - e ai posteri - avrebbe lasciato la sua immagine nelle fattezze di Venere vin-citrice, provocando, oltre che per la sua condotta coniugale discutibile, scandalo per la nudità in cui Canova l’aveva ritratta. Il principe Camillo, invece, che comunque grazie a questo matrimonio aveva consegui-to cariche e onori, alla caduta di Napoleo-ne decise di stabilirsi a Firenze. Egli aveva infatti ereditato dalla madre, discendente di Maria Salviati madre del Granduca Cosimo I, un palazzo in Via Ghibellina, che ampliò con l’acquisto di altre case confinanti. Al-

l’inizio dei lavori, nel luglio 1821, al 29enne architetto Gaetano Baccani fu imposto di consegnare il nuovo palazzo, compresi gli arredi e gli affreschi, per il Carnevale 1822, perché il principe Borghese, nell’occasione dei festeggiamenti per le nuove nozze del granduca, si era impegnato col sovrano a organizzare anche lui una bella festa, a patto però che il suo nuovo palazzo fosse pronto. Malgrado i tempi strettissimi (oggi pressoché impensabili), il Baccani riuscì nell’impresa; e l’inaugurazione fu celebrata con una ma-gnifica festa anche se il granduca non poté parteciparvi a causa del lutto per la morte del cognato. Sarebbero seguiti poi altri numerosi ricevimenti, e il palazzo, ammirato da visitatori italiani e stranieri, divenne luogo privilegiato di incontro della mondanità, tanto da richiama-re a Firenze, verso il 1824, anche l’irrequieta ed errante Paolina, ormai gravemente ma-lata, che preferì però soggiornare alla villa Strozzi di Montughi (l’attuale villa Fabbricotti) dove morirà l’anno seguente; e solo le sue spoglie varcarono i portoni del palazzo, di-rette a Roma, per riposare, finalmente, nella cappella Borghese di Santa Maria Maggiore. In suo onore Camillo avrebbe chiamato Villa Paolina la residenza di Quinto che in quegli anni stava facendo rinnovare e decorare. Possiamo ancora oggi immaginare l’ospi-te di uno degli sfarzosi ricevimenti che qui vi si tennero, il quale, arrivando in carrozza, sarebbe stato forse un po’ intimorito dall’im-magine suggestiva delle sentinelle egizie illu-minate dalla fiamma tremolante delle torce, probabile ricordo napoleonico della Campa-gna d’Egitto; quindi, lasciata la carrozza nelle ampie rimesse, avrebbe potuto apprezzare l’androne con le colonne quattrocentesche, mantenuto anche dai rinnovamenti seicente-schi dell’architetto Gherardo Silvani, forse a riecheggiare l’origine più antica della dimora e della Famiglia. Al primo piano, attraversan-

do le numerose sale - ben 30 in origine - avrebbe commentato la rapidità con cui era stato approntato tanto splendore. Gli affre-schi furono eseguiti dai pittori più in voga al tempo, oggi ormai dimenticati; accomunati da una tavolozza ricca, calda e luminosa, si cimentarono tutti con stile vivace e grazioso in temi leggeri inneggianti a Bacco e a Vene-re, cioè alle feste e alle gioie galanti, i temi a cui il proprietario aveva voluto dedicare que-sta sua nuova residenza. Attratto poi dalle note vivaci dell’orchestra, il nostro ospite sa-rebbe arrivato quindi alla monumentale sala delle feste, l’odierno Salone degli Specchi, ancora oggi arredato coi mobili originali, (ec-cetto la grande lumiera dell’epoca di Firenze Capitale), e sarebbe infine entrato nella sce-nografica Galleria, abbagliato dal tripudio di ori, luci e cristalli e incantato dalla ricchezza degli arredi e delle decorazioni, dalle colon-ne e i pavimenti in marmo, alle sculture nelle nicchie, fino agli stucchi alle pareti e ai soffitti. Sollevando lo sguardo in alto, poi, avrebbe ammirato gli affreschi raffiguranti Bacco che incontra Arianna nell’Isola di Nasso (volta de-stra, opera di Nicola Monti), L’educazione di Bacco (volta sinistra, di Giuseppe Bezzuoli) e nella cupola il Trionfo di Bacco e Arianna di Gaspero Martellini. Anche dopo la morte del principe Camillo il palazzo continuò ad ospi-tare numerosi ricevimenti: dal 1843 alcuni ambienti del piano nobile furono affittati alla Nuova Società del Casino di Firenze che in tempi più recenti sarebbe diventato il Circolo Borghese. Ed è proprio grazie alle numero-se e illustri istituzioni che si sono avvicendate negli anni e che continuano a svolgere at-tività culturali e di ospitalità e a promuovere presentazioni artistiche che Palazzo Borghe-se - pur necessitando la struttura di qualche intervento - ancora oggi mostra al visitatore questi ambienti ancora intatti in tutto lo splen-dore dai tempi del principe Camillo.

IL PALAZZO DELLE FESTEtesti Guia Fantuzzi

Storia del palazzo appartenuto a Paolina Bonaparte

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La Galleria di Palazzo Borghese

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EVENTO | 37

Una sede strategica nel cuore di Firenze, a due passi dall’Arno,

vicino a Santa Croce e con il piazzale Michelangelo e il Forte Belvedere all’oriz-zonte ma anche facilmente raggiungibile in auto, grazie a viale Amendola e a via Gioberti.Il nuovo spazio della concessionaria Auto La Rotonda di via Giotto è una vera rarità nel centro di Firenze, dove spazi vendita e assistenza per auto sono mosche bianche. “Con la sede di

via Giotto – spiega Francesco Maldarizzi – abbiamo voluto dare un servizio ai cit-tadini ma anche agli albergatori, perché in una città di turismo e di affari come Firenze può capitare che ci sia qualche possessore di Mercedes che necessi-ta di un intervento e avere un punto di riferimento vicino evita perdite di tempo prezioso”.La sede, inaugurata il 20 febbraio alla presenza dell’assessore comunale Eu-genio Giani, ha il parcheggio interno, il

reparto vendita per il nuovo e l’usato (di ogni marca), un’officina per il post ven-dita e il magazzino ricambi, tutto su una superficie di quasi 4 mila metri quadrati.Una delle peculiarità dello spazio di via Giotto è l’orario continuato, sia per la vendita che per l’assistenza: nel primo caso, dal lunedì al sabato, gli uffici sono aperti dalle 9 alle 19, mentre l’officina e il magazzino ricambi sono aperti dalle 8,30 alle 18,30 dal lunedì al venerdì e dalle 8,30 alle 12,30 il sabato.

VIA GIOTTO

Il nuovo spazio Mercedes nel cuore della città

Inaugurazione della nuova sede Mercedes di via Giotto (Firenze)

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38 | FUORI CITTÀ

SPA STYLEtesti Teresa Favi

S e associate gli stabilimenti ter-mali all’idea di persone ricche e annoiate che cercano un po’

di svago, dovrete aggiornarvi. Almeno in Toscana. Dove da qualche anno le acque termali sono diventate un vero e proprio elemento determinante nello stile di vita di chi ama godersi la vita. Stabilimenti a cinque stelle, con grandi piscine all’aperto e vista su paessaggi mozzafiato. Centri dedicati al benes-sere e atmosfere ovattate di lusso dove le terapie dolci si sono così affi-nate da sostituirsi al bisturi. Ma anche luoghi dell’anima dove abbandonarsi fosse pure per un giorno solo a una coccola privata, immersi nell’acqua calda, sguardo perso in una natura da fiaba, stress devitalizzato almeno per il tempo del soggiorno. Ne abbiamo scelti alcuni: perché varrebbe la pena anche soltanto vederli, perché eccel-lenze internazionali, perché restauri recenti ne hanno esaltato fascino e servizi.BAGNO VIGNONI: LA PERLA TOSCANAPer chi non ha mai visto Bagno Vigno-ni, la sua scoperta lascia un ricordo

indelebile. Siamo nel cuore della Val d’Orcia, uno scherzo dell’architettura medioevale ha voluto che la piazza del paese non fosse altro che una gigan-tesca piscina di pietra colma d’acqua fumante intorno alla quale si è svilup-pato il piccolo borgo. In questo gran-de impluvium, circondato da portici di chiaro stampo rinascimentale, è stata convogliata l’acqua termale sulfurea, leggermente radioattiva, già famosa in epoca romana.Uno dei luoghi più amati dai viaggiatori nell’800 da Montaigne a D’Annunzio, nel ‘900 dai registi (da Andrei Tarko-vskij per Nostalgia a Carlo Verdone che nella grande vasca rettangolare ha girato la scena del bagno notturno di Al lupo al lupo). Caldissima alla sor-gente (sgorga a 51°C) l’acqua fumiga dalla grande vasca e rende fiabesco questo paesino a pochi chilometri da San Quirico d’Orcia, importante sta-zione per i pellegrini che percorrevano la via Francigena diretti a Roma. La vasca termale, oggi solo da guardare perché non più balneabile, nella sua immobilità e silenziosità evoca ancora

la presenza di Santa Caterina e la aura di potere di Lorenzo il Magnifico che qui venne a curarsi: una piazza d’ac-qua dove fino a pochi anni fa il bagno in notturna era uno “sballo” da sen-sazioni forti. Ma a San Quirico d’Orcia ci si può consolare all’Adler Thermae Spa & Welness Resort. Un’oasi di be-nessere e relax a cinque stelle: rige-neranti bagni nelle piscine con acqua termale (ben 1.000 mq tra piscine ter-mali e non), saune purificanti al vapo-re, il Calidarium alle erbe e la speciale Grotta salina sotterranea con i benefici sali del Mar Morto. FONTEVERDE E SATURNIA:LE ECCELLENZE Immersi nei paesaggi italiani più bel-li secondo l’Unesco, due simboli del buon vivere e del lusso che hanno conquistato titoli e premi come le mi-gliori spa termali d’Europa. Sono le Terme di Fonteverde e quelle di Satur-nia, con trattamenti e servizi all’avan-guardia. Alle porte di San Casciano dei Bagni, un aggregato di case in pietra noto fin dal Medioevo per le sue sorgenti

Un percorso ad hoc tra le terme più belle e innovative di Toscana

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FUORI CITTÀ | 39Terme di Saturnia

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termali, con una bella piazza-terrazza che guarda le colline, si apre il Fonte-verde Natural Spa Resort, tra le prime dieci migliori fonti termali al mondo e prima Spa italiana nel 2008 secon-do la classifica della rivista americana SpaFinder. Il lussuoso buen retiro ha fatto del soggiorno termale un lifestyle e ha sviluppato trattamenti puntando sui prodotti naturali del territorio, sale, olio d’oliva ed erbe aromatiche. Era la residenza medicea del granduca Fer-dinando I, oggi è un elegante hotel 5 stelle con camere (in tutto 78) e suite accoglienti, arredi a tinte calde e vista panoramica sulla valle. La Spa è dota-ta di numerose piscine termali esterne e di una nuova piscina d’acqua fredda che godono di un panorama scon-finato sulle colline. Nella zona Antico Mediterraneo si trova la piscina dove praticare il Watsu (il massaggio Shia-tsu in acqua); in un’ulteriore vasca si snoda il percorso coperto Bioaquam, drenante e tonificante. Per liberare il corpo dalle tossine e sciogliere le ten-sioni muscolari c’è il Salidarium, un let-to di cristalli di sale marino a 39 gradi,

che stimola la circolazione sanguigna e quella linfatica. Da abbinare al Bio-balancing: il trattamento inizia con uno scrub a base di olio d’oliva, sale ed essenza di rosmarino, prosegue con una doccia di acqua termale e un massaggio lenitivo a base di avena, ricca di minerali e vitamina B. Per poi finire con un massaggio con olio d’oliva caldo. Per il volto, ottimo il Mediterra-neo-Viso, un trattamento rigenerante e antiossidante a base di miele, fango termale, olio d’oliva e qualche goccia di limone. Da San Casciano, attraver-sando i calanchi e poi il Monte Amiata si arriva nella Maremma Toscana. Qui le Terme di Saturnia Spa & Golf Re-sort, hanno inaugurato da pochi anni un campo da golf riservato solo agli ospiti. Un percorso di nove buche che emoziona per l’unicità della posizione, fra i borghi di Saturnia, Montemerano, Poggio Murella. Affiliate alla catena dei The Leading Hotels of the World, le Terme di Saturnia offrono terapie anti-stress innovative. L’acqua di Saturnia, che scorre a 700 metri di profondità e zampilla a 37,5 gradi, assicura effetti

benefici sull’apparato cardiocircolato-rio, muscolare e scheletrico. Un’oasi di relax dove vengono messi a punto anche programmi personalizzati che puntano all’armonia tra corpo e men-te, come il percorso Limpha. Via libera quindi, a interventi termali ed estetici su misura. Come il trattamento Uli-vitas, energizzante e tonificante: un massaggio con un mix di olio d’oliva, oli essenziali ed estratto di basilico. Il Nutrimelis è indicato per pelli affatica-te, restituisce luminosità e libera dalle tossine, nutrendo con miele e oli es-senziali. BAGNI DI PISA E CASCIANA TERME:LE RISCOPERTESi narra che le proprietà dell’acqua cal-cico sulfurea che sgorga a 37 gradi a Cascina Terme, nel cuore della Valdera in provincia di Pisa, sia stata scoperta dalla contessa Matilde di Canossa nel-l’XI secolo. Tempi sono ormai lontani e la nuova frontiera delle vacanze ter-mali, tra cura dei dettagli e charme, è rifiorita due anni fa a Casciana Terme, quando è entrata in funzione la strut-tura di un centro benessere, accanto

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Terme di Saturnia

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alle vecchie terme. Negli spazi di Villa Borri completamente restaurata, oltre al relax galleggiante nella piscina del sale, al bagno turco, ai massaggi del caminetto, agli idromassaggi di ogni tipo, fino al bucato dell’ anima in un vecchio lavatoio in mezzo al parco dove scorre l’acqua termale. Infine si può alloggiare in uno dei 22 apparta-menti di varie dimensioni ricavati nelle case coloniche intorno, con 95 po-sti letto. Non monolocali, ma vere e proprie case, con soggiorni, camere da letto e cucine super accessoriate, room service oppure svariate opzioni da Grand hotel. E’ invece terminato da neanche un anno il recupero integrale di un’altra splendida dimora termale, incuneata tra i Monti Pisani e le Alpi Apuane, il Parco di San Rossore e il mar Tirreno, a pochi chilometri dalla mondana Ver-silia e da Tirrenia, meta ambita degli appassionati del golf con i suoi campi da 9 e 18 buche. Parliamo dei Bagni di Pisa a San Giuliano Terme, acque conosciute a tutta la nobiltà europea dal 1743, quando il granduca di To-

scana, Francesco Stefano Lorena, ne fece la propria residenza estiva e luo-go di incontro mondano. Oggi, dopo una ristrutturazione che ha riportato le terme e la villa agli splen-dori settecenteschi si può godere di un’esclusiva Natural Spa Resort dove natura e privacy si fondono ad ambien-ti di grande fascino che vale la pena godersi in tutto il loro splendore da poco ritrovato. Suite e camere affre-scate dai soffitti altissimi, pavimenti in marmo fanno da anticamera al repar-to termale che basa sui benefici di ac-que solfato calcico magnesiche a 40 e 38 gradi. Qui non sono da perdere le applicazioni dei famosi e miracolosi fanghi maturi, il microgommage, un sorprendente trattamento di ringiova-nimento per il viso e il godibile Oligo Plancton Termale che rimineralizza e reidrata la pelle del corpo attraverso uno speciale impacco di oligominera-li e miscele tonificanti, coccola idea-le dopo una full immersion di sole. E non dimenticare un angolo prezioso: l’Hammam dei Granduchi, una gotta termale con una piccola cascata.

STABILIMENTI A CINQUE STELLE, CON GRANDI PISCINE ALL’APERTOE VISTASU PAESSAGGI MOZZAFIATO

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Dall’alto in senso orario: Bagni di Pisa, Fonteverde, Bagni di Pisa, San Casciano e Fonteverde

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DAL MARE PROFONDOtesti Teresa Favi

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La classicità è misura di universalità. Per dire “è un classico” quando si parla di un’opera dell’ingegno e del-

la creatività è necessario che in quell’opera stessa siano contemplati i tre momenti del tempo: presente, passato e futuro. Oggi Offi cine Panerai è una delle maison d’hor-logerie italiane più apprezzate nel mondo dai cultori dei segnatempo. Perché è un classico in fatto di stile: anche l’occhio meno esperto riconosce al primo sguardo le coordinate di quei tratti maschili, forti, so-vradimensionati, e marziali, ma anche per-ché è uno dei casi più rappresentativi del-l’eccellenza italiana. Quando ne prendi in mano uno “senti” la costruzione artigianale, la solidità mista alla bellezza di linee essen-ziali, la meticolosità tecnologica che deriva da una storia eccezionale narrata, attra-verso una carrellata di immagini d’archivio, anche nel libro di Giampaolo Negretti, Pa-nerai Historia ed. Offi cine Panerai.GLI ESORDIGiovanni Panerai, il capostipite, aprì alla metà dell’Ottocento sul ponte alle Grazie un negozio di orologi. Era il primo a Firenze e iniziarono i contatti con le più antiche e prestigiose case svizzere. Nel 1876 i lavori per l’ampliamento del ponte, con la demo-lizione degli edifi ci, costrinsero Panerai a traslocare. Fu allora che cominciarono gli spostamenti dell’Orologeria G. Panerai & C. (prima in via Cavour, poi via Cimatori, viale Volta, via Bixio, via Amici, piazza Gali-leo Ferraris) fi no alla sede attuale, al n. 3 di

piazza San Giovanni.Nel frattempo il piccolo negozio era di-ventato un’impresa: non solo vendita, ma anche magazzino di pezzi di ricambio, ac-cessori e utensili per la meccanica di pre-cisione, con un laboratorio per la riparazio-ne che costituì la prima scuola di orologeria di Firenze.A Giovanni successe il fi glio Guido che già nei primi anni del secolo iniziò a stampare un catalogo da inviare ai clienti perché an-che da lontano potessero fare gli ordini per corrispondenza. Risale a questo periodo anche un accordo con le Ferrovie dello Stato: ai ferrovieri veniva fornito un orolo-gio pagato trattenendo ogni mese dallo stipendio una certa cifra.Il buon nome e la serietà dell’azienda fanno sì che Panerai diventi concessionaria delle più importanti marche svizzere, tra queste la Rolex, con cui Guido e il fi glio Giuseppe avranno rapporti strettissimi ed esclusivi.LA TRASFORMAZIONE TECNOLOGICAAll’inizio del Novecento, con le forniture per le Ferrovie erano iniziate anche quelle per il ministero della Difesa, legate alla strumen-tazione e derivate dalla specializzazione in lenti speciali avviata da Guido, la “Guido Panerai ottica e meccanica di precisione”.La trasformazione tecnologica è rapidis-sima e già nei mesi precedenti la prima guerra mondiale, Panerai forniva alla Re-gia Marina Militare prodotti molto sofi sticati. Come le mire Ronconi al radiomir, la cui caratteristica era l’autoluminosità che con-

sentiva l’uso delle armi anche al buio. Il segreto della luminosità era nella sostan-za impiegata – un composto di solfuro di zinco fosforescente, bromuro di radium e mesotorio – e nel metodo di applicazione. Anziché lavorato in pasta o in vernice, il ra-diomir veniva utilizzato in polvere in tubetti di vetro a tenuta ermetica che venivano inseriti sui congegni di puntamento. Con questo sistema quelle mire non avevano rivali in fatto di luminosità, cosa che fruttò all’azienda forniture di migliaia di fucili, can-nini e sistemi per il lancio dei siluri.La collaborazione tra le Offi cine Panerai e la Marina non si limita però alle sole mire: ven-gono realizzati anche calcolatori meccanici e traguardi di puntamento per il lancio di si-luri e vari dispositivi a tempo per lo scoppio dei siluri e mine. E nel corso della seconda guerra mondiale il rapporto diventa ancora più intenso, con una serie di prodotti forniti che spazia dagli orologi alle bussole, dai dispositivi a tempo e di puntamento a quelli di illuminazione e segnalazione.UN CULT DELL’OROLOGERIA MILITARE. RADIOMIRQuando gli orologi Radiomir nacquero facevano parte di un progetto militare ri-servatissimo. Nel 1936 l’azienda fi orenti-na consegnò al Comando del 1° gruppo sommergibili il primo esemplare di orologio al radiomir. Ma la carriera di questi orologi prese il via solo due anni dopo quando si passò alla produzione. Di grandi dimen-sioni (47 mm. di diametro), cassa a forma

Tra imprese economiche, tecnologiche e belliche la storia eccezionale di Offi cine Panerai

A sinistra: Luminor 47 mm (1950). Sopra: Luminor Chrono GMT 44 mm (1950) - titanio;Luminor Chrono Daylight 44 mm - titanio; Radiomir Tourbillon GMT 47 mm - platino

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di cuscino con le anse a filo saldate e la corona a vite, il largo cinturino montato in origine era in cuoio ingrassato e fustellato, e poteva essere allacciato anche sopra la tuta subacquea. Erano costruiti partendo da una cassa e da un movimento realizzati e forniti in esclusiva dalla Rolex di Ginevra. Vennero applicate una serie di modifiche, le più significative riguardano però il qua-drante e la corona di carica. Al primo, ri-progettato, venne applicata la tecnologia dei tubetti al radiomir e i grandi numeri arabi brillavano grazie a una specie di serbatoio di sostanza autoluminosa applicata sotto il quadrante. Per assicurare la tenuta sta-gna dell’orologio, la corona, inizialmente a vite, fu trasformata in un dispositivo a leva. Questa innovazione consentiva agli orologi di scendere fino a 200 metri di profondità (un record assoluto per l’epoca) e contrad-distingue ancora oggi i Panerai.VERSO LA PRODUZIONE CIVILEAl termine del conflitto la produzione degli orologi Panerai riprende e, utilizzando gli stock di magazzino, vengono costruiti mo-delli uguali ai precendenti, tranne la dicitura sul quadrante, marcato Radiomir o con le scritte Marina Militare o Luminor, o entram-

be. La cassa è con corona a vite o a leva, mentre i movimenti sono Rolex o Angelus. Da questo momento la sostanza autoillu-minante al radio viene sostituita dalla verni-ce non radioattiva Luminor. La produzione solo militare del Radiomir venne ampliata nei primi anni ’50. Ma fu solo nel 1993 che le Officine Panerai cominciarono a produr-re una serie, numerata e a tiratura limitata, di modelli destinati anche al mercato civi-le. Oltre al classico Luminor e al Luminor Marina (con cassa rivestita in titanio neo e quadrante con piccoli secondi), venne co-struito anche il Mare Nostrum, la riedizione di un cronografo realizzato a livello di pro-totipo nel 1942 che riprendeva il nome dai contaminuti per siluri e che era progettato a suo tempo per gli ufficiali di coperta.OFFICINE PANERAI/VENDÔMEDal 1997, con l’acquisizione di Officine Pa-nerai da parte del Vendôme Luxury Group, gli degli incursori italiani sono stati sviluppa-ti, migliorati e arricchiti di contenuti tecnici e di funzioni, rispettando sempre le speci-fiche tecniche militari originarie, il fascino e i valori storici di un orologio, il Radiomir, che in fondo è il padre di tutti i modelli Panerai, e che ormai è diventato una leggenda.

ANCHE L’OCCHIO MENO ESPERTO

RICONOSCEAL PRIMO

SGUARDOLE COORDINATE

DI QUEI TRATTI MASCHILI, FORTI

E MARZIALI

Radiomir Mare Nostrum

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L a terrazza è bella da togliere il fiato: come la prua di una nave taglia il mare di Capri in due e

sembra scagliarsi con la potenza di una freccia verso quel cielo blu intenso.Il Jk Place di Capri, nato dal collaudato binomio creativo tra il suo proprietario, Ori Kafri, e l’architetto fiorentino Maurizio Bonan, esporta sull’isola lo stile del ge-mello fiorentino e il senso d’intimità che ti abbraccia, appena varcato l’ingresso. Come se un amico raffinato ti accoglies-se nella sua casa al mare. A uno sguar-do più attento si scopre che il mood è profondamente caprese: nei colori, il blu e il bianco intrecciato con il giallo dei li-moni; nelle reminiscenze classiche che si fondono con dettagli orientali, da terra di frontiera come lo sono le terre di mare. Un mix charmant, che rintraccia un re-

trogusto glamour negli scatti in bianco e nero degli ospiti eccellenti dell’isola, ap-pesi con nonchalance privata alle pareti del salone principale.Inizialmente villa privata (Villa Bovaro, co-struita nel 1878), il Jk Place di Capri, a Marina Grande, è stato prima Hotel Continental, poi Mètropole e infine, negli anni ’80, Hotel Palatium. Dei 125 anni di storia, la struttura attuale conserva la posizione a picco sul mare, le imponenti colonne inglesi della sala da pranzo e la scacchiera in marmo di Trani dell’ingresso principale. Soprattutto è ri-masta immutata l’atmosfera aristocratica e chic, che parla di un lusso per pochi e invita a un ozio dorato, da consumarsi negli spazi luminosi dell’albergo come nei vicoli stretti che si arrampicano fino alla Piazzetta.

L’arredamento dell’albergo è rigorosa-mente bespoke: lampade, sedute, tap-pezzerie, talvolta vintage, sono state più spesso create dall’architetto Bonan su misura per gli spazi della struttura. Si sus-seguono, in un crescendo di seduzioni visive, il candore dei divani in pelle bianca e dei busti neoclassici di fine Ottocento, solo in apparente contrasto con il gran-de tavolo orientaleggiante della sala da pranzo, presente nella struttura già prima del recente restauro. Al bar scandisco-no il ritmo camini in marmo di derivazione francese, che creano la scenografia più adatta a pendant antichi e pregiati.Le ventidue camere con vista sul mare o sul giardino hanno tutti i comfort che la tecnologia attuale consente: lettori cd e dvd, internet e tv a cristalli liquidi, discre-tamente celati dalle tappezzerie raffinate,

OZIO MEDITERRANEOtesti Francesca Lombardi

Il Jk Place di Capri, un buen retiro molto esclusivo e che profuma di mare

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dai tendaggi leggeri e abbondanti che si muovono al caldo vento dell’isola. I bagni sono un capitolo a parte, per l’ampiezza della zona servizi, con rifiniture in marmo grigio Bardiglio e mosaici in marmo di Carrara, e l’ eleganza della piccola anti-camera con la consolle per il trucco.La discesa al mare è possibile attraverso una strada che si srotola rapida dall’ho-tel fino alla spiaggia privata. Ma, talvolta, non è meno bello indugiare nel grande giardino e nuotare, silenzio intorno, nella piscina, riscaldata all’occorrenza. Magari assaggiando le proposte di cucina medi-terranea dello chef dell’hotel, disponibili a ogni ora del giorno.I trattamenti della JK spa, antistante alla

piscina e con annessa una tecnologica zona fitness, nascono dal connubio tra filosofie orientali e tradizione occidentale: scrub e trattamenti ai fanghi preparano la pelle a rigeneranti bagni di sole per un benessere tout court.Da non perdere la colazione. Soprattut-to la mattina presto, quando la jeunesse dorè ospite dell’albergo ancora dorme e la terrazza, in legno laccato e tek, è splendidamente vuota. Tra un grappolo di uva succosa e un delizioso croissant mignon lo sguardo si perde tra cielo e mare. Con confini visivi si perdono anche quelli temporali: piaceri da Grecia classi-ca o capricci da viziata monarchia fran-cese. Soltanto piaceri, ça va sans dire.

L’USODEI MATERIALI

È SAPIENTE: MODANATURE

IN LEGNOE RIFINITURE

IN ALLUMINIO

Sopra: una vista della terrazza del Jk Place di Capri. A destra: gli interni dell’hotel e una veduta degli spazi esterni

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IL BRANDtesti Matteo Grazzini

Un simbolo di vittoria per un marchio che ha fatto la storia

UNA STELLA A TRE PUNTE CONTORNATA DA UNA CORONA DI ALLORO PER UN ABBINAMENTODI SUCCESSO

MARKETING | 51

U na stella a tre punte dentro un cerchio. Descritto così il simbolo della Mercedes-Benz sembra un

puro e facile esercizio di stile geometrico, addirittura freddo e senza appeal. Ma quel cerchio e il suo contenuto sono una parte importante della storia e del costume del-l’Europa e del resto del mondo, un brand riconoscibile e riconosciuto ad ogni latitu-dine e longitudine che solo negli ultimi anni è stato stilizzato e reso essenziale nella sua versione attuale.Oltre ottanta anni fa infatti, quando Daim-ler-Motored-Gesellschaft e Benz & Cie si unirono, abbinarono anche i loro simboli, una stella a tre punte simbolo di vittoria e una corona di alloro, anche questa emble-ma di successi. Pare che Gottlieb Daimler vedesse nella stella a tre punte l’ambizione di creare veicoli per viaggiare non solo sulla terraferma, ma anche in cielo e in acqua.Da quel giorno il design e il marketing hanno fatto il loro corso, trasformando la corona nel cerchio attuale e lasciando invece so-stanzialmente intatta la stella.Il risultato di questa evoluzione è un marchio conosciuto come pochi altri al mondo, in tempi in cui l’immagine e la comunicatività dei simboli sono parte integrante del suc-

cesso commerciale.Nella classifica 2008 dei primi cento brand globali a più alto valore economico e con le migliori performance competitive sul mer-cato mondiale Mercedes-Benz, con la sua stella a tre punte, è undicesima, con per-centuali in crescita rispetto al passato: un riconoscimento per chi, sul marchio e sullo stile che rappresenta, ripone parte del suc-cesso della casa automobilistica.Da molti anni, e nel nuovo secolo in partico-lare, l’importanza dei brand nel campo del marketing è cresciuta in modo esponenzia-le, fungendo da valore aggiunto al prodotto, in qualsiasi settore, da quelli in cui la qualità può essere testata in modo personale (au-tomobili, alimentare, abbigliamento) a quelli in cui invece è l’occhio a fare da giudice (informatica, economia, finanza...).La stella a tre punte è in buona, anzi ottima compagnia, con aziende che, nel proprio campo, rappresentano l’élite mondiale: bevande dolci e gassate, processori per computer, programmatori di informatica, produttori di telefoni cellulari, motori di ricer-ca su Internet, fast food e fumetti.E l’importanza della notorietà di un marchio è aumentata negli ultimi anni perchè in au-mento sono anche le vie per raggiungere

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UNA COPERTURA MEDIATICA GLOBALE CHE PUÒ FAREDI UN MARCHIOUN MUST,UNA VERA ISTITUZIONE

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gli occhi dei consumatori: lo “spot” nel cor-so dei secoli è passato dai manifesti affissi sui muri alla radio, dalla tv in bianco e nero agli schermi cinematografici, dalle sponso-rizzazioni sportive ai monitor dei computer attraverso la rete globale, fatta di telefoni cellulari, e-mail e siti Internet. Una copertura mediatica globale che può fare di un mar-chio un must, una vera e propria istituzione, un simbolo da collezionare e sfoggiare, fino alle deviazioni di metà anni ’80, quando il cosiddetto “mirino” diventò un feticcio da estirpare con forza dai cofani delle automo-bili facendo disperare i proprietari, “orfani” di un segno di riconoscibilità e tradizione.Non per niente dal 2007 Mercedes-Benz ha deciso di incentrare sulla stella a tre pun-te le nuove campagne pubblicitarie con un progetto di marketing visuale sviluppato in-ternamente all’azienda, con la collaborazio-ne dell’agenzia Claus Koch Identity GmbH. Come non ricordare il viaggio di una Mer-cedes Classe E tra vento, pioggia, cantieri stradali e traffico, con il simbolo sul cofano urtato e spostato da un ciclista maldestro e poi rimesso a posto da un bambino che attraversa la strada sulle strisce accom-pagnato dalla mamma? Un messaggio neppure troppo subliminale del valore della stella a tre punte e della ritrovata sensibilità dei più giovani verso uno dei simboli della tradizione e della qualità. E la campagna colse nel segno, facendo arrivare i suoi ef-fetti positivi nelle vendite e nella visibilità del marchio fino a oggi, come testimonia ap-punto la crescita di Mercedes-Benz nella classifica dei brand.

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L’ anno verde. Così, da più parti, è stato ribattezzato il 2009, dodici mesi da vivere all’insegna del-

l’ecocompatibilità e delle energie rinnovabili. La spinta di sensibilizzazione verso l’ecologia, iniziata già da alcuni anni, ha avuto un impul-so notevole dall’avvento sulla scena mondiale di Barack Obama, con il suo programma di riduzione dell’inquinamento e di sostegno ai progetti ecocompatibili. Il nuovo presidente a stelle e strisce ha in-fatti un programma energetico e ambientale innovativo basato sul “business verde”: “Ci sono nuove energie da imbrigliare” ha detto dopo l’elezione pensando al sole e al vento,

ai cambiamenti climatici, allo sviluppo delle fonti rinnovabili e all’efficienza energetica. “Ci vuole un Green New Deal” ha aggiunto il segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-Moon per far capire al mondo intero che è arrivato il momento di tutelare il pianeta dalla lenta distruzione e di ridare all’ambiente il ruo-lo preminente che gli spetta, è proprio il caso di dirlo, per natura.Per questo l’ecologia sta diventando sempre più un valore: sociale, economico, d’immagi-ne e politico.Nel mondo del tessile e dell’abbigliamento, per esempio, “eco-friendly” è la parola d’or-dine già da qualche stagione, anche se per

ora il messaggio diretto ai consumatori sulla bontà e la qualità di prodotti biologici è arriva-to solo parzialmente, anche per la difficoltà che incontra questo tema delicato nel far breccia nelle mentalità dei clienti. Società di certificazione, produttori e associazioni di tu-tela di marchio e prodotti si impegnano a fon-do per dare al suffisso “eco” un valore ancora più alto. Nell’edilizia invece l’utilizzo di materiali non inquinanti, di fonti di approvvigionamento di energia rinnovabili e di tecniche che con-sentano lo sfruttamento delle risorse naturali per illuminare o riscaldare la casa segnano la differenza tra un progetto vetusto e uno che guarda al presente e al futuro.

IL PENSIERO VERDEtesti Matteo Grazzini

Un futuro all’insegna dell’ecompatibilità e delle energie rinnovabili

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ECO | 55

IL NUOVO PRESIDENTE

AMERICANO HA UN PROGRAMMA

AMBIENTALE INNOVATIVO

BASATO SUL “BUSINESS

VERDE”

E in questo “pensare verde” non poteva far eccezione la mobilità, che dai combustibili fossili trae ancora larga parte della propulsio-ne per i motori e che quindi deve adattarsi al-l’esaurimento graduale delle fonti e allo sviluppo di nuove tecnologie.Nel campo automobilistico il tema è stato affron-tato più volte nel corso degli ultimi anni e l’atten-zione verso il rispetto ambientale è cresciuta, sia per la sensibilità delle case produttrici che per gli obblighi imposti dalle normative in termi-ni di emissioni: gli standard di qualità dell’aria, i blocchi della circolazione per evitare lo smog, il tetto delle emissioni di anidride carbonica e gli accordi di Kyoto hanno contribuito ad accele-

rare la presa di coscienza di produttori e utenti. Normale, ovvio e giusto quindi che l’attenzione di progettisti e tecnici si sia concentrata sulla ricerca dell’impatto zero. Mercedes-Benz sarà la prima casa costruttrice a vendere sia vettu-re ibride che a emissioni zero: scendendo nel tecnico questo obiettivo sarà raggiunto con la S400 BlueHybrid, con un V6 3.5 da 279 Cv che in determinate situazioni, individuate con l’ausilio dell’elettronica, verrà coadiuvato da un motore elettrico da 20 Cv, con 160 Nm di coppia con una potenza complessiva di 299 Cv e una coppia massima di 385 Nm. Tutto questo con l’ausilio della batteria a ioni di litio, sviluppata e brevettata dall’azienda di Stoc-

carda. In più c’è lo studio di una propulsione a pila a combustibile e l’ottimizzazione dei motori a combustione, che dovrebbe portare ad un motore DiesOtto con emissioni di CO2 pari a quelle di una citycar.Stessi concetti anche per la nuova Classe E, con la riduzione delle cilindrate dei motori e la riduzione dei consumi del 20%: è stata adottata l’iniezione diretta del carburante, che permette emissioni pari a 139 grammi di CO2 per chilometro. Inoltre tutte le motorizzazioni della nuova Classe E rispettano le normative Euro 5, mentre la E 350 BlueTEC è già in re-gola anche con la normativa Euro 6, in vigore dal 2014.

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V olete provare un comfort al quale sarà poi difficile ri-nunciare? Entrate nel mondo della sartoria su misura e per farlo nel migliore dei modi, scegliete tessuti di

altissima qualità. A Firenze tutto questo è possibile nel flagship store di Ermenegildo Zegna di via de’ Tornabuoni, boutique di proprietà dell’azienda biellese dove si possono trovare tutte le collezioni sia di abbigliamento che di pelletteria che di acces-sori, compreso il fiore all’occhiello del servizio su misura.E’ il direttore del negozio, Michele Piscopo, a illustrarci i passi che il cliente compie per raggiungere l’obiettivo di un capo totalmente esclusivo e personalizzato. Innanzitutto è neces-sario decidere di che tipo di abito si ha bisogno. Attualmente il più richiesto è la giacca business, a seguire l’immancabile abito intero da cerimonia e poi c’è una piccola richiesta di abiti particolari, dal frac al tight. Indubbiamente l’abito business è quello che richiede la maggiore attenzione, essendo di solito sottoposto a stress da viaggio e da trasporto in piccole valigie e richiedendo adeguamenti climatici per il manager che vola da Roma a Stoccolma.A seconda delle esigenze, dunque, è essenziale la scelta dei tessuti, che da Zegna può essere fatta all’interno di una selezione che comprende la bellezza di oltre quattrocento tessuti. Del resto è necessario rammentare che Ermenegildo Zegna nasce come lanificio produttore di tessuti di altissima gamma, prima che come marchio di abbigliamento di lus-so. Dalla migliore tradizione biellese di drapperia, dunque, nascono i due campionari che sono sempre reperibili in ne-gozio: quello stagionale e quello di tessuti classici che viene rivisto ogni quattro anni.

SU MISURAtesti Elisa Signorini

Quanto di meglio si possa indossare

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Nella collezione primavera/estate di que-st’anno, ad esempio, le novità sono il Traveller Micronsphere, un tessuto trat-tato con il loto e da questo reso inattac-cabile da sporco e sostanze liquide che scivolano via, oppure l’High Performance Cool Effect, che garantisce un effetto re-frigerante, oppure ancora il Trofeo 600, ultima evoluzione di uno storico leggeris-simo tessuto di Zegna.Volendo farsi davvero un regalo ecce-zionale, un campionario assolutamente

speciale è quello dei tessuti realizzati in edizione limitata: un abito in vicuña co-sta circa dodicimila euro, assolutamente ben spesi a detta dei clienti Zegna che non hanno resistito a questa tentazione. Oppure c’è il vellus aureum, un tessu-to prodotto solo su richiesta del cliente, col suo nome sulla cimosa, per garantire una totale esclusività: unico difetto un’at-tesa necessariamente un po’ più lunga. Se un ‘normale’ abito su misura necessi-ta di una lavorazione di quattro settimane

per questo occorrono sei mesi, d’altro canto, però, è possibile sceglierne co-lore e fantasia.Una volta definiti modello, tessuto e det-tagli, il capo va in lavorazione e il cliente dovrà sostenere almeno due prove or-ganizzate dal sarto interno alla boutique, prove che potranno svolgersi sia in ne-gozio che in ufficio, a seconda delle esi-genze del cliente.Tante piccole attenzioni che indubbia-mente gratificano il cliente e fanno na-

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scere un rapporto stretto con il personale della boutique, tanto che dopo qualche anno di collaborazione, c’è chi commis-siona l’intero guardaroba fidandosi com-pletamente di chi ha ormai ben chiari i suoi gusti e le sue necessità.Al negozio di via de’ Tornabuoni fanno riferimento numerosi clienti toscani, ma anche più numerosi sono i clienti stranie-ri che approfittano dei viaggi per fissare prove, ritirare i capi o svolgere l’annua-le controllo che Zegna garantisce: una

sorta di revisione per rimettere il capo a puntino. Giacche, abiti, camicie, panta-loni, cravatte, cappotti, cinture: tutti que-sti capi rientrano nel servizio su misura di Zegna. Ultima scommessa è il su misura sulla pelletteria e sulle scarpe.“Indubbiamente indossare abiti su misu-ra è un lusso al quale, una volta provato, è difficile rinunciare – ammette il diretto-re del negozio, Michele Piscopo – così come è difficile spiegare quali siano i vantaggi che il su misura dà: in fondo

ciascuno si trova bene in un buon abito della propria taglia, ma provate ad avere il confronto col su misura”. Una manica che cade esattamente dove deve, asole fatte a mano, una spalla perfettamente tagliata: piccoli comfort che vanno pro-vati direttamente. Un mondo affascinan-te che sembra portare indietro nel tempo a quando vestirsi era più un’arte e una passione che una necessità, a quando il fast fashion era un’espressione scono-sciuta.

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PARTNERSHIP | 61

I ndossare un diamante vuol dire avere addosso un fram-mento di eternità, tanto è affascinante e misteriosa la storia di queste pietre. Ci ha introdotti ad essa uno dei maggiori

esperti cittadini in materia, Filippo Gosi, direttore della boutique Damiani di Firenze, uno scrigno in via de’ Tornabuoni dove cia-scuno potrà trovare il giusto gioiello per la propria compagna, visto che nella maggior parte dei casi chi acquista è un uomo e lo fa per una donna; ma anche per se stesso, dato che sono in au-mento gli acquisti per autogratificazione. “Sono circa un migliaio gli ingressi in negozio in un anno – commenta Gosi – il 35% in media esce con un acquisto”. A quante cifre sia l’acquisto non è dato saperlo, ma la variazione può essere davvero sensibile.I diamanti erano frammenti di stelle o di lacrime degli dei per gli an-tichi greci. Ma i primi conoscitori dei diamanti sono stati gli indiani che attribuivano loro qualità magiche e li usavano di solito per rappresentare gli occhi delle divinità nelle loro raffigurazioni. Solo i grandi sacerdoti potevano indossarli e pare che fino al 1200 dopo Cristo nessuna di queste pietre abbia lasciato l’India.Di certo oggi sappiamo che il diamante è carbonio, così come la più modesta grafite delle matite, che il suo punto di fusione è di circa 4000 gradi centigradi, cioè due volte e mezzo più alto del punto di fusione dell’acciaio. Sappiamo anche che si trat-ta della gemma più dura presente in natura e che può essere scalfita solo da un altro diamante. Ma qui terminano le cognizio-ni scientifiche e sull’origine di questa preziosa gemma gli stessi geologi non hanno certezze: nessuno sa perchè miliardi di anni fa le forze naturali di calore e pressione presenti nelle viscere della Terra trasformarono il carbonio in diamante, nessuno sa perché

comunque questo processo ha dato vita a un numero piuttosto limitato di queste pietre, sappiamo solo che il maggior numero di diamanti oggi si trova nei filoni di kimberlite o lamproite. In effetti è più facile pensare che si tratti di frammenti di stelle.La preziosità del diamante non dipende solo dalla sua antica ori-gine e dalle oggettive qualità di trasparenza e lucentezza, dipen-de soprattutto dalla sua rarità: devono essere estratte e lavorate 250 tonnellate di kimberlite per ottenere un diamante da gemma di un carato di buona qualità. Non tutti i diamanti infatti hanno le caratteristiche per poter essere destinati alla gioielleria e di questi solo il 5% supera il carato.Il peso in carati è una delle “quattro C” che determinano il valore della pietra: Colour, Clarity, Carat weight e Cut.Il colore innanzitutto: esistono diamanti neri, blu, rosa, marroni. Celebri sono l’azzurro Hope, che si dice portasse sfortuna, il rosa Condè, il verde di Dresda, il Wittelsbach blu. Quello più prezioso è il bianco, tanto più il diamante è puro quanto più si avvicina alla totale assenza di colore.La purezza, che è data dalla minore quantità di inclusioni, ossia di infinitesimali tracce di carbonio o di altri cristalli. La maggioran-za di esse è invisibile ad occhio nudo e la classificazione va dal diamante IF (internally flawless) privo di segni interni, al VVSI (very very small inclusions) al VSI (very small inclusions) fino al P (piquè) ossia con segni visibili a occhio nudo.Il peso in carati è la caratteristica più spesso considerata ma non sempre la più importante, essendo difficile scegliere tra una mag-giore caratura di un diamante meno puro e la minore caratura di un diamante perfetto.

IL FASCINO DEI DIAMANTItesti Elisa Signorini

Un prezioso decalogo sulle caratteristiche della pietra più esclusiva

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Infine il taglio, l’unica caratteristica influen-zata dall’uomo ed anche la più importan-te perché più alta è la qualità del taglio maggiore è la brillantezza che il diamante sprigiona. Esistono vere e proprie formu-le matematiche elaborate negli anni per garantire le migliori proporzioni (il taglio in effetti non va confuso con la forma) e con-siderando le dimensioni della pietra è facile immaginare quanto nei secoli scorsi fosse importante l’abilità del tagliatore. Oggi la tecnologia aiuta, ma nei casi più importanti si continua a ricorrere al taglio artigianale. Si dice che il tagliatore del Cullinan sia sve-nuto dopo avere ottenuto il taglio voluto, tanta era l’aspettativa davanti al diaman-te più grande al mondo, mai estratto: la pietra grezza estratta dalla miniera in Sud Africa pesava 3.106 carati e fu donato a Re Edoardo VII per il suo compleanno nel 1907. Il taglio fu eseguito dopo un lungo studio da J. Asscher di Amsterdam e ne furono ottenute nove pietre importanti (dai

530 carati del Cullinan I, detto la “Stella d’Africa”, ai 4,40 del Cullinan IX) oltre ad altri 96 diamanti più piccoli.Oggi indubbiamente il diamante è il rega-lo più importante, quasi sempre simbo-lo d’amore, ma solo in tempi recenti ha assunto questo ruolo: il primo anello di fidanzamento con un diamante fu rega-lato nel 1477 dall’Arciduca Massimilano d’Austria a Maria di Borgogna. Oggi ac-canto al solitario di fidanzamento, è con-suetudine regalare la veretta di diamanti per un anniversario, a significare l’amore senza fine, oppure un trilogy per la nascita di un figlio. Ma l’aneddoto probabilmente più simpatico è quello legato al sopran-nome che gli anelli con diamanti avevano durante il regno di Elisabetta I d’Inghilterra, “scribbling rings”, per la moda di usarli per scribacchiare messaggi d’amore sui vetri delle finestre. Pare che la stessa regina comunicasse in questo modo con Sir Walter Raleigh.

ESISTONO FORMULE

MATEMATICHE PER GARANTIRE

LE MIGLIORI PROPORZIONI

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Un momento della lavorazione di un gioiello Damiani

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L’Ospedale Pediatrico Meyer è da anni top leader nel-l’eccellenza sanitaria, nel-

la ricerca scientifica e nei progetti di assistenza dei suoi piccoli e impor-tanti pazienti. Attività sanitarie come Neurologia, Reumatolgia Pediatrica o l’Unità Interdisciplinare per la diagnosi e la cura dei difetti congeniti e della patologia fetale, rappresentano i fiori all’occhiello della pediatria italiana, in-sieme al progetto di promozione dei percorsi assistenziali a pazienti con patologie tumorali o a quello studiato per ridurre le problematiche correlate alle ostruzioni pediatriche. Importanti anche le novità per il Dipartimento di Oncoematologia, grazie al nuovo re-parto per i trapianti di midollo e a un grande laboratorio per le terapie cel-lulari. Non ultimo il sostegno all’imple-mentazione delle attività chirurgiche e alle azioni previste per la trasforma-zione del Pronto Soccorso in Trauma Center Pediatrico. Fondamentale, al-l’interno della struttura, è l’accoglienza dei bambini e delle loro famiglie, volta a rendere il più sopportabile possibi-

le il periodo di degenza e il contatto con una struttura ospedaliera. Picco-li progetti ideati per aiutare i bambini a superare lo stress, come le situa-zioni di svago e di gioco che si sono sviluppate grazie alle attività svolte da professionisti, come i clown in cor-sia, i musicisti, l’attività assistita con gli animali e la ludoteca. A rendere possibile tutto questo è la Fondazio-ne Meyer, una sorta di collegamento fra la società civile e l’Ospedale, che lavora costantemente per un aiuto e un sostegno alla realizzazione di tut-te quelle azioni che danno un valore aggiunto all’attività del Meyer, che lo rendono sempre più qualificato sotto il profilo tecnico-scientifico e sempre più apprezzato e caro all’opinione pubblica. Il radicamento del Meyer sul territorio, e la qualità del soggiorno dei bambini e delle famiglie in ospedale, sono gli obiettivi principali della Fon-dazione Meyer. Obiettivi che riesce a raggiungere grazie al sostegno di molti privati e delle imprese che scel-gono di fare piccole e grandi donazio-ni in varie occasioni.

REGALA UN SORRISO

Il claim della Fondazione dell’Ospedale Pediatrico Meyer

- DIRETTAMENTEpresso la Fondazione Meyer in viale Pieraccini 24 – Firenze Tel. 055/5662316www.fondazione.meyer.it [email protected] TRAMITE BOLLETTINO POSTALEC/C n. 17256512 intestato a Fondazione Ospedale Meyer- TRAMITE BONIFICO BANCARIOIT 20 G 01030 02834 000001763248 (IBAN)- 5 PER MILLECodice Fiscale 94080470480

COME DONARE ALLA FONDAZIONE MEYER

CHARITY | 64

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DIPLOMAZIA SULL’ARNOtesti Matteo Grazzini

La rinascita del Corpo Consolare di Firenze, rappresentanza internazionale

F irenze città del mondo. Così è e così appare la città anche nei dipinti in tanti palazzi del centro

storico. La vocazione storica, artisti-ca e turistica di Firenze trova una sua nuova dimensione anche nella rinasci-ta del corpo consolare che, dopo una parentesi nell’aggregazione regionale, torna a essere una realtà autonoma.D’altronde Firenze ha 52 Consolati, in rappresentanza di paesi di tutto il mon-do e poche altre città in Italia possono vantare numeri così alti e importanti in un luogo dove, tra cittadini stranieri re-sidenti e turisti, la Babele di lingue è in continua crescita.A febbraio il corpo consolare fiorenti-no, che prevede l’adesione volontaria da parte dei vari Consoli, ha avuto un primo battesimo, con la creazione del consiglio direttivo, formato da Guido Bastianelli (Yemen), Cosimo Di Noce-ra (Messico), Fernanda Martelli (Capo Verde) e Ferenc Ungar (Ungheria) e presieduto dall’avvocato Alessandro Berti, Console Onorario di Danimarca. La figura del Console trova così una nuova definizione anche in città, grazie a iniziative non solo collegate al corpo diplomatico o alla rappresentanza, ma anche alla vita sociale, culturale ed economica di Firenze: giusto per fare alcuni esempi sono da ricordare la realizzazione, in accordo con la Cna,

di una locandina (in italiano e inglese) da diffondere negli esercizi pubblici per evidenziare i comportamenti da evi-tare per non incorrere in sanzioni, la convenzione con l’Istituto Agronomico d’Oltremare e il protocollo d’intesa con l’Università di Firenze per la collocazio-ne di stagisti presso le sedi dei con-solati.Ma il Console ha anche un ruolo isti-tuzionale ben definito, che è quello di rappresentare un paese quando e dove l’Ambasciata non è presen-te, fornendo assistenza ai cittadini od organizzando eventi e visite ufficiali e ovviando a problemi logistici e cono-scitivi che potrebbe avere l’Ambasciata stessa.I consoli possono essere “Onorari” e “di Carriera”: il secondo è dipendente del Ministero degli Esteri del Paese di invio, il primo no e non è retribuito.A Firenze i Consoli Onorari sono 52, quelli di Carriera 4 e rappresenta-no Stati Uniti, Cina, Gran Bretagna e Perù, ma nel giro di pochi mesi verran-no aperte altre sedi consolari. E tra le varie novità del rinato Corpo Consolare di Firenze c’è anche l’accor-do stipulato con Auto La Rotonda: la concessionaria è già stata sponsor di varie iniziative dei Consoli e ha fornito le auto per alcune manifestazioni, come ad esempio il Carnevale multietnico.

Lungarno A. Vespucci (Firenze)