la sinfonia del cuore risuona nel silenzio

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A.V.O. Associazione Volontari Ospedalieri onlus Corso Dante 58 - 12100 CUNEO Tel. 0171 696729/67038 - [email protected] Convegno Regionale AVO Piemonte Giornata dell’ascolto 15 settembre 2012 la sinfonia del cuore risuona nel silenzio A V O CUNEO SSOCIAZIONE OLONTARI SPEDALIERI Iniziativa realizzata con il CSV Società Solidale Non commerciabile

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A.V.O.Associazione Volontari Ospedalieri onlus

Corso Dante 58 - 12100 CUNEOTel. 0171 696729/67038 - [email protected]

Convegno Regionale AVO Piemonte

Giornata dell’ascolt o

15 settembre 2012

la sinfonia del cuorerisuonanel silenzio

AVO

CUNEO

SSOCIAZIONE

O L O N T A R I

SPEDALIERI

Iniziativa realizzata con il CSV Società SolidaleNon commerciabile

30 anni di AVO Cuneo2

Giornata dell’ascolt o

QUANDO? Sabato 15 Settembre dalle ore 10 alle ore 13 e dalle ore 15 alle ore 18.

DOVE? Al mattino in 6 diversi luoghi del Centro Storico di Cuneo (Duomo, Contrada

Mondovì, Chiostro del Museo, Chiesa Ex S. Francesco, S. Ambrogio, Palazzo Comunale).

Al pomeriggio al Teatro Toselli e alle 18 in Duomo.CON CHI? Banda Musicale di Boves, Corale Pacem in Terris, Associazione Orchestra

B. Bruni, Lou Serpent. e con gli attori Annalisa Aragno, Alessio Giusti e Christian Mariotti,

PERCHÉ? Per provare a chiudere gli occhi e a concentrarsi su suoni, silenzi e parole.

Perchè ascoltare significa essere attenti, recepire con cura e saper intonarsi con l’altro.

Giornata di sensibilizzazione all’ascolto per la celebrazione dei 30 ANNI dell’AVO Cuneo, Associazione Volontari Ospedalieri

1. Duomo

2. Contrada Mondovì

3. Chiostro del Museo

4. Chiesa Ex S. Francesco

5. S. Ambrogio

6. Palazzo Comunale

7. Teatro Toselli

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Giornata dell’ascolt o

3 A.V.O.Associazione Volontari Ospedalieri onlus

Corso Dante 58 - 12100 CUNEOTel. 0171 696729/67038 - [email protected]

1. Grazie a tutti i volontari che sono entrati a far parte della no-stra famiglia scegliendo di dedicare un po’ del loro tempo, delle loro vite, dei loro pensieri all’AVO;

2. Grazie agli ammalati che con i loro silenzi, i loro sguardi rico-noscenti, il loro tacito dolore ci hanno insegnato quanto valore abbia la dignità;

3. Grazie a chi, trent’anni fa, capì quanto bisogno ci fosse di tra-smettere concreta partecipazione alle solitudini e alla sofferen-za, precorrendo una necessità che nel tempo è diventata sempre più impellente;

4. Grazie ai nostri fondatori e al primo presidente Angelo Valmaggia per averci insegnato la corretezza, l’onestà e la passione e per aver-ci lasciato in eredità un tesoro da coltivare;

5. Grazie a tutti i volontari che non sono più con noi su questa terra ma che sentiamo sempre a noi accanto, con la loro mano rassicu-rante appoggiata leggera sulle nostre spalle;

6. Grazie alla Federavo e all’organizzazione che ha saputo crea-re, senza la quale nessun traguardo sarebbe stato raggiunto; tra i tanti nomi ricordo quelli di Giuseppe, Leonardo, Marina, Maria Teresa, Renato: da loro abbiamo appreso molto, copiato il giusto, ammirato la pacatezza, la serenità e la forza dell’impegno;

7. Grazie al nostro sorriso, ultima arma da sfoderare quando non troviamo parole, quando sentiamo i silenzi diventare pesanti, quando le lacrime vorrebbero avere il sopravvento e ci sentiamo tanto piccoli;

8. Grazie ai nostri genitori, che hanno saputo insegnarci tra i principi dell’educazione anche il rispetto degli altri e la sensibili-tà verso chi è più debole;

9. Grazie anche alle nostre mogli, ai nostri mariti, ai figli e a tutti gli altri famigliari a cui abbiamo rubato un po’ di tempo e di attenzioni, pur sotto il loro benevolo sguardo complice;

10. Grazie ai grandi maestri del pensiero che ci hanno ispirato, a chi ha fatto dell’amore verso gli altri uno scopo di vita, specie a quelli che hanno dovuto lottare per questo ed anche sacrificare se stessi;

11. Grazie a chi ha voluto dare norme e leggi al mondo del volon-tariato, dettando i criteri del nostro operare ed unendo al cuore la mente e il raziocinio;

12. Grazie alle strutture ospedaliere che hanno capito l’importan-za della nostra presenza accanto agli ammalati e ci hanno accolti come parte integrante del sistema sanitario;

13. Grazie al primo bicchiere d’acqua offerto dal Professor Longhini, prima goccia – letterale – da cui tutto ebbe inizio e che è arrivata ancora integra sino a noi dopo tanti anni;

14. Grazie a tutti quei medici che oltre alla loro professionalità e competenza hanno imparato a guardare negli occhi, con sguardo fermo e sincero, gli ammalati che hanno di fronte;

15. Grazie a tutti gli artisti che con la loro eccellenza ci hanno ac-compagnati in questi anni regalandoci momenti di musica, canti, parole recitate, concerti, arrivando a toccare dritto il fondo dei nostri cuori;

16. Grazie a tutti coloro che hanno tenuto per anni lezioni di for-mazione ai corsi per i nostri volontari, insegnandoci prima di tut-to che l’essenza del nostro servizio non è cosa dobbiamo fare, ma cosa dobbiamo essere;

17. Grazie a chi si è avvicinato a noi e poi ci ha abbandonato per i più svariati motivi; gli abbiamo comunque inserito un piccolo seme nel cuore che ci auguriamo possa portargli sempre nuovi frutti nell’anima;

18. Grazie a tutto il personale che lavora in ospedale, che sa ed ha saputo accogliere i nostri camici azzurri con cortesia pur se oberato da carichi di lavoro pesanti e stressato dalla tensione di un’attività difficile e faticosa;

19. Grazie al Piccolo Principe, che ci ha insegnato che “Non si vede bene che col cuore: l’essenziale è invisibile agli occhi”;

20. Grazie ai 35.000 volontari AVO di tutta Italia: sapere di essere in tanti in molti casi è di grande conforto ed aiuta a sentirsi famiglia;

21. Grazie a tutte le splendide persone che si sono succedute in questi anni nella nostra segreteria. Ognuna di loro ha lasciato un segno: un po’ amiche, un po’ confidenti, spesso consolatrici, mol-te volte fini psicologhe, tutte insieme hanno costruito un piccolo miracolo che continua a ripetersi giorno dopo giorno e grazie al quale noi possiamo andare avanti;

22. Grazie a tutti gli enti, banche, società, privati che con il loro contributo costante hanno permesso di svolgere manifestazioni, iniziative, corsi di formazione e tutte le altre attività collegate al nostro servizio;

23. Grazie a tutti i volontari che si sono fatti carico di partecipare attivamente alla gestione dell’associazione, a tutti i consiglieri, i tesorieri, i revisori dei conti, i probiviri che hanno preso per mano l’AVO e l’hanno fatta crescere;

24. Grazie ai giornali, alle radio e alle TV che hanno voluto conce-derci spazio per diffondere il più possibile le nostre iniziative e a tutti i volontari che hanno sentito il bisogno di scrivere le loro sen-sazioni sui nostri giornalini periodici, per condividerle con tutti;

25. Grazie ai Giovani AVO che si sono avvicinati ad un volontariato difficile e ci hanno messo cuore e impegno; dobbiamo forse delle scuse a loro per non essere stati sempre in grado di capire le loro necessità, per averli trascurati, per non essere riusciti – spesso – a farli restare insieme a noi;

26. Grazie ai volontari vecchi, stanchi e sfiniti, che tuttavia non si vogliono far vincere dall’età e continuano il loro servizio con sem-pre maggiore dedizione, con sempre più grande umiltà;

27. Grazie ai nostri amici psicologi, che ci hanno sempre fatto capire –o almeno hanno tentato – chi siamo veramente, spiegandoci che non dobbiamo sentirci né dei santi né degli eroi, ma solo donne e uomini di buona volontà e con un po’ di tempo da dedicare agli altri;

28. Grazie ai tanti amici stranieri che abbiamo incontrato nel no-stro cammino, volontari ed ammalati, da tutti abbiamo saputo co-gliere la bellezza della loro diversità, a tutti speriamo di essere riusciti a far sentire il senso più vero dell’accoglienza;

29. Grazie ai volontari di Boves e di Caraglio con i quali siamo diventati un solido gruppo affiatato, condividendo esperienze e fi-nalità e ritrovandoci spesso un po’ più uniti proprio grazie al loro spirito socializzante;

30. Grazie alla nostra fede, non importa quale, con cui riuscia-mo a guardarci dentro, a trovare un senso al nostro andare, ad ascoltare il nostro cuore e ad addomentarci la sera in pace con noi stessi.

30 volte grazie

Massimo Silumbra

QUANDO? Sabato 15 Settembre dalle ore 10 alle ore 13 e dalle ore 15 alle ore 18.

DOVE? Al mattino in 6 diversi luoghi del Centro Storico di Cuneo (Duomo, Contrada

Mondovì, Chiostro del Museo, Chiesa Ex S. Francesco, S. Ambrogio, Palazzo Comunale).

Al pomeriggio al Teatro Toselli e alle 18 in Duomo.CON CHI? Banda Musicale di Boves, Corale Pacem in Terris, Associazione Orchestra

B. Bruni, Lou Serpent. e con gli attori Annalisa Aragno, Alessio Giusti e Christian Mariotti,

PERCHÉ? Per provare a chiudere gli occhi e a concentrarsi su suoni, silenzi e parole.

Perchè ascoltare significa essere attenti, recepire con cura e saper intonarsi con l’altro.

30 anni di AVO Cuneo4

Trenta anni sono passati in un soffio. Ricordo bene i primi incerti passi nei reparti del Santa Croce, con il timore di sbaglia-re, di essere fraintesi nel nostro desiderio di aiutare il malato e di stargli vicino, con affetto e discrezione, per invogliarlo a

nutrirsi quando la stanchezza e la solitudine lo rendevano apatico e spento.

Oggi siamo adulti e il nostro “prendersi cura”, senza interferire nelle cure che spettano ai medici e agli infermieri, è apprez-zato e perfino lodato.

Possiamo essere fieri di questo lungo cammino insieme e della stima e dell’affetto che legano tra loro i volontari AVO. Non pensavo che saremmo riusciti a tanto.

Quando, da co-fondatrice e responsabile dell’associazione nei suoi primi vent’anni, ho lasciato il timone a Massimo Silumbra, sapevo che non potevo fare una scelta migliore. A lui va tutta la mia gratitudine per l’entusiasmo e la dedizione con cui guida l’AVO da un decennio. Volontario tra volontari motivati e preparati, grazie al suo impegno.

Nel frattempo io, volontaria AVO per sempre, ho potuto dedicarmi ad un’altra causa, sempre nel solco dell’aiuto fraterno al malato grave. Con la Fondazione ADAS Onlus possiamo oggi portare nella casa del paziente l’assistenza specialistica del controllo del dolore e di tanti altri gravi sintomi, oltre all’appoggio psicologico e all’aiuto materiale delle nostre bravissime OSS.

Ricordo comunque con grande affetto tutti i volontari che negli anni hanno lavorato con noi e mi auguro di conoscere di per-sona anche gli ultimi che si sono aggiunti al gruppo.

Non è mai tardi per festeggiare e questo è un grande traguardo. Viva l’AVO!

Mariangela Brunelli Buzzi

Trent’anni passati in un soffio

La parola di un uomo

è il più duraturo dei materiali.

(Arthur Schopenhauer)

Trent’anni passati in un soffio

5 A.V.O.Associazione Volontari Ospedalieri onlus

Corso Dante 58 - 12100 CUNEOTel. 0171 696729/67038 - [email protected]

Da alcuni mesi ho l’onore e l’onere di aver accettato la nomina a Direttore Generale dell’Azienda Ospedaliera

S.Croce e Carle di Cuneo. Onore: ho la fortuna di far parte e dirigere un Ospedale che ha nella competenza professionale uno dei suoi maggiori punti di forza; questo ho potuto constatarlo e valutarlo fin dai primi incontri con Direttori di Dipartimento, di Struttura Complessa e Coordinatori. Un secondo punto di forza che si evince dagli incontri coi professionisti dell’ ASO è la di-sponibilità al cambiamento, non da intendersi come volon-tà di sminuire ciò chae è stato costruito nel passato, bensì nell’accettare le opportunità di crescita organizzativa che ci portino ad un miglioramento costante della qualità delle prestazioni professionali e dell’assistenza.Terzo e non ultimo punto di forza che traspare non solo all’interno dell’Azienda ma anche dalle Istituzioni locali, dai Politici del territorio , dalle Associazioni del Volontariato e da singoli cittadini che mi hanno contattato è lo spesso-re della storia del nostro Ospedale, vissuta con orgoglio e testimoniata da un forte spirito di appartenenza che lega tutto il territorio a questo suo S. Croce e Carle.

Oneri: gli obiettivi firmati all’accettazione del mandato sono di notevole spessore; il pareggio di bilancio in que-sto e nei prossimi due anni certamente problematico se si considera che il S. Croce è da anni un ospedale virtuo-so anche nei conti e che ha sempre cercato di utilizzare risorse umane ed economiche senza sprecare e che per questa ragione viene penalizzato quando i tagli sono li-neari e non prevedono diversificazioni tra aziende. In un momento di grave crisi economica nazionale e regionale è problematico il continuare a fornire prestazioni profes-sionali ed assistenziali utili ai cittadini e di elevata qualità. Altro obiettivo è quello di riorganizzare il S. Croce come struttura che in Provincia offra soprattutto risposta a pa-tologie ad alta intensità di cure e di assistenza. Da almeno un mese ci stiamo organizzando anche in stretta sinergia col territorio, almeno della CN1. Una difficoltà è sicura-mente la vetustà della struttura logistica che ci obbliga a ridefinire l’organizzazione dell’intensità di cura in spazi purtroppo vincolati.Fortunatamente tra i punti di forza della nostra realtà sanitaria c’è la solida collaborazione e la certezza di po-ter sempre contare sulle Associazioni del Volontariato, in

particolare sull’A.V.O. La trentennale collaborazione tra A.V.O. ed Azienda Ospedaliera ha permesso di realizzare milioni di “gesti del prendersi cura” delle persone ricove-rate che ritengo parte integrante e sostanziale del tempo di degenza. Assistere malati soli, anche nel momento del pasto, alternarsi ai familiari impossibilitati ad un’assi-stenza più assidua, il saper ascoltare, il saper asciuga-re una lacrima, il porgere anche solo un sorso d’acqua ad una persona che sta vivendo momenti di fragilità che la rendono non autosufficiente, sono gesti di profonda umanità che hanno permesso in questi 30 anni all’ASO di Cuneo di essere un Ospedale in cui il prendersi cura è un valore pregnante e concreto che ci permette di continuare ad umanizzarci anche quando le tecnologie superspecia-listiche di cui siamo dotati e costantemente implementia-mo potrebbero allontanare il rapporto con la persona-individuo. Il sentimento della riconoscenza mi stimola a felicitarmi con l’ A.V.O., col suo Presidente, con tutti i volontari che negli anni hanno scelto di prendersi cura dei cittadini ri-coverati nel nostro Ospedale.Grazie perché ci siete, grazie per quel che siete e sapete dare, grazie perché senza la vostra generosità i pazienti del S. Croce e Carle sarebbero privati di decine di migliaia di ore di assistenza qualificata che avete donato in que-sti 30 anni; e lo sarebbero anche la Direzione, i Medici, gli Infermieri e gli operatori tutti che lavorano in questa Azienda.Grazie perché nelle ore che dedicate ai nostri ammalati mettete in pratica quanto avete appreso e continuate ad apprendere in corsi di formazione ed in quella continua formazione che vi deriva dal confronto con l’altro, volon-tario AVO o paziente. Uno dei fattori motivanti del vostro essere Volontari Ospedalieri è quello di avvicinarvi all’al-tro chiedendovi : “se fossi al Suo posto, come mi piace-rebbe essere trattato?” Questo valore, l’empatia, è ciò che unisce vostro e nostro operato in Ospedale e ci permette di continuare ad investire risorse insostituibili a far cre-scere l’umanizzazione della sanità.A tutti Voi per conto di tutte le persone che sono l’ASO S.Croce e Carle di Cuneo il mio augurio di Buon Anniversario A.V.O. e GRAZIE!

I gesti del prendersi cura L’ Azienda Ospedaliera “S. Croce e Carle”

Giovanna BaraldiDirettore Generale

30 anni di AVO Cuneo6

Cos’e l’ascolt o?

No n è difficile oggi raccogliere l’osservazione che non si ha più tempo per ascoltare.

E tale difetto è anche comprensibile, perché ascoltare è dif-ficile. Infatti tale azione richiede tempo ed energie. E non sempre l’altro esprime parole, concetti che mi interessano o può esporre dei vissuti pesanti che non vorresti ascoltare. Poi l’ascolto richiede la capacità di accogliere l’altro, il suo pensiero, il suo dire che può essere nuovo e quindi estraneo al mio modo di pensare. Ed in genere noi leggiamo, ascoltia-mo… con ciò che abbiamo in testa o nel cuore, cioè con ciò che già conosciamo. Teniamo anche conto della cultura in cui viviamo. L’organo privilegiato dell’epoca moderna è diventato l’occhio: le varie invenzioni (il microscopio, il cannocchiale, i raggi X, le lenti, il cinema, la televisione, il computer…) sono diventate le armi che l’uomo ha a disposizione per allargare il suo potere sul mondo. Quasi tutto è fatto passare attraverso la vista.Tutti elementi che dicono la difficoltà dell’ascolto.Anche se l’ascolto di per sé dovrebbe essere molto comune, quotidiano.La comunicazione tra gli uomini avviene attraverso degli or-gani, in particolare attraverso degli orifizi, dei buchi. Gli oc-chi, la bocca noi li apriamo e li chiudiamo quando vogliamo e nel sonno stanno chiusi. L’orecchio, invece, è sempre aperto. Posso chiudere la bocca e dire ‘faccio silenzio’; chiudere gli occhi e dire ‘non vedo’. Posso tapparmi le orecchie ma que-sto chiede il movimento di un altro organo e posso turarmi le orecchie ma se il rumore è forte, lo sento. Le orecchie sono sempre aperte, il loro campo è di 360° gradi e prendono tutto, ogni rumore. L’ascolto tra l’altro è la prima esperienza che facciamo nel grembo di nostra madre.Ma anche se ascoltare sembra un’operazione abituale, quasi banale, ci rendiamo conto che l’ascolto autentico è raro e dif-ficile. Sentiamo parole, messaggi, notizie, ma non li ascoltia-mo. Costantemente immersi in rumori di vario tipo, sollecitati da messaggi multiformi, non conosciamo più il silenzio come ambiente e condizione indispensabile all’ascolto dell’altro. Sempre più incapaci di silenzio fecondo, finiamo anche per smarrire l’arte dell’ascolto: lungi dal considerarlo un’op-portunità preziosa, subiamo come pratica fastidiosa il dover “stare a sentire” qualcuno mentre, dal canto nostro, siamo sempre pronti a parlare, riversando i nostri confusi bisogni su chiunque si trovi a portata di voce.

L’ascolto, quindi, è un tema essenziale per la vita dell’uomo, ma è anche una condizione minacciata all’interno della nostra situazione culturale.Ma che cos’è l’ascolto?Comunemente è inteso come un lasciare che l’altro parli. Infatti il primo rapporto tra me e l’altro è così: l’altro parla e io ascolto. Prima del che cosa dice, ascolto la sua voce: so che l’altro c’è. Quindi ascoltare significa anzitutto esserci. Sono qui per te: se tu parli, io ti ascolto. E questo dice una passività. L’occhio, la bocca, la mano sono modalità della presa. Con la parola, gli occhi io riesco ad ag-gredire. Con l’orecchio non posso nulla, è pura passività. E in questo senso ascoltare diventa anche simbolo del voler bene e dell’apprezzare. L’ascolto corrisponde al desiderio/bisogno di essere com-presi e apprezzati, accolti e non subiti, compresi nel proprio modo di sentire e non soltanto in vista di un agire.Ascoltare da un lato vale come essere attenti, recepire con cura. Dall’altro, vale come assimilare interiormente, dar retta, seguire, obbedire e mettere in pratica (in molte lingue ascoltare e obbedire si esprimono con un’unica parola e dal modo, dal tono con il quale viene detto ‘ascolta’, capisci che è sottinteso ‘obbedisci’).Allora l’ascolto diventa la capacità di intonarsi con l’altro.Per dire questo uso degli esempi. Per cambiare le marce del-la macchina è importante sentire il motore; un bravo pilota sa suggerire ai meccanici dove intervenire sul motore per-ché sente che qualcosa non gira, non suona bene. Prima di un concerto, di uno spettacolo teatrale, di una partita… l’artista, il calciatore, l’atleta entra nello spazio della rappresentazione per ascoltare quell’ambiente, sentire l’atmosfera, intonarsi con il luogo.In proposito esperienza fastidiosa è la stonatura. Non ti intoni con la melodia. E in questo senso per intonazione possiamo intendere anche il tenere il ritmo dell’altro. Pensiamo la fatica che si fa in un’assemblea liturgica a recitare all’unisono una preghiera corale. Ognuno tiene il suo ritmo, non si ascolta il ritmo di chi è accanto. Non per nulla un gruppo, una corale, ma anche un legame, si dice che è ‘affiatato’ perché ha come ritmo il fiato dell’altro.Se l’ascolto è intonazione, allora ogni relazione, ogni incontro sarà diverso, sempre da inventare perché l’intonazione con l’altro non è mai data in anticipo. Va trovata.

Cos’e l’ascolt o?

7 A.V.O.Associazione Volontari Ospedalieri onlus

Corso Dante 58 - 12100 CUNEOTel. 0171 696729/67038 - [email protected]

Diventa importante fare attenzione a ciò che si ascolta, a chi, al modo con cui si ascolta. L’orecchio è chiamato al discerni-mento (Così come attraverso il palato noi discerniamo i gu-sti). All’orecchio possono arrivare suoni, rumori, parole. Per compiere questo discernimento devo imparare a distinguere dal suono che mi arriva come l’altro si pone con me: se vuole sfogarsi oppure farmi una confidenza, se… o se….E per questo nell’ascolto assume molta importanza ‘la riso-nanza’: cioè ciò che accade in chi ascolta, perché essa istru-isce sul senso di ciò che va accadendo. Ciò che l’altro dice come risuona dentro di me, cosa provoca? E dovrò anche es-sere capace ad ascoltare i silenzi dell’altro, quello che non dice. Sovente ti accorgi che un colloquio possiede una forza tra-sformatrice. Il colloquio è riuscito non tanto perché sei venuto a sapere delle cose, ma quando quell’ascolto ha lasciato in te qualcosa che ti ha cambiato. Infatti nella relazione l’ascolto è sempre un prendersi cura: di quello cha hai udito e di ciò che risuona dentro di te. E quindi il rispondere, dopo aver ascoltato, diventa anche una responsabilità.Accanto all’ascolto dell’altro vi è un’arte difficile, un ‘lavoro’ faticoso che è l’ascolto di se stessi, del proprio profondo, del maestro interiore come lo chiamava sant’Agostino. Si tratta di ascoltare le ‘intuizioni’ e le ‘parole’ che emergono dall’ “uomo nascosto del cuore”.Nella fede ebraico – cristiana l’ascolto è fondamentale.La storia, nella tradizione ebraica, prende avvio dall’ascolto. Dio parla e l’uomo, un popolo, ascolta. E il tempo della storia, i giorni che si vivono, sono il luogo della risposta, fino alla fine. Per questo è comprensibile come nella Bibbia diventi martel-

lante, ripetuto l’invito ad ascoltare. E non per nulla una delle regole monastiche più famose, quella di san Benedetto, inizia così: “Ascolta, figlio mio, gli insegnamenti del maestro e apri docilmente il tuo cuore; accogli volentieri i consigli ispirati dal suo amore paterno e mettili in pratica”.Samuele prima di diventare re chiede a Dio un cuore che ascolta. Richiesta che piace a Dio: “Siccome tu mi hai doman-dato questo e non hai domandato per te né una lunga vita, né la ricchezza, né la morte dei tuoi nemici (tutte condizioni essenziali per un re da poter esercitare così il suo potere) io ti dono un cuore sapiente e intelligente”, che sono gli effetti di un cuore che ascolta.Non è che siccome sei intelligente allora ascolti. Ma: poiché ascolti sarai sapiente e intelligente. Saprai intonarti con le persone e le situazioni. Saprai discernere le parole e i silenzi dell’altro e saprai anche sostenere la responsabilità del ri-spondere. Sarai attento ad evitare ‘le stonature’.“Quando l’orecchio si affina diventa un occhio”, scriveva Rumi, poeta e mistico persiano del XIII secolo. Un ascolto/occhio che ti permette di riconoscere che tutto parla, poiché niente è senza voce. Come dice Silvie Germani “uomini e donne, bambini e anziani, sani e ammalati, ricchi e poveri, i libri, la terra, gli oceani, il cielo, le montagne, i corsi d’acqua, le foreste, i deserti, il vento, gli animali… sono grandi testi in cui bisbigliano voci, sogni, odori e colori, significati e domande”.Chiedere un cuore ascoltante è chiedere la cosa migliore.

Sebastiano Carlo Vallati

30 anni di AVO Cuneo8

Porto volentieri, a nome del CSV Società Solidale che rappresento, il mio saluto per il 30^ anniversario di fondazione della Vostra Associazione.

L’AVO di Cuneo opera da 30 anni sul territorio, offrendo un servizio essenziale e qualificato di assistenza a tutti coloro che non si trovano nella pienezza dei propri mezzi fisici e psichici. Il loro impegno e dedizione a favore degli altri è quanto mai importante in questo momento storico particolarmente difficile di crisi economica e di sofferenza per molte famiglie. Gli anziani, gli ammalati si vanno a collocare in quelle fasce più deboli della popolazione che faticano a far sentire la propria voce, con il rischio che si accrescano la loro sofferenza, il disagio e la solitudineIl volontariato è una meravigliosa fonte, sovente silenziosa e nascosta, di carità e di aiuto: l’impegno dei volontari è diven-tato essenziale perché attraverso i loro piccoli e quotidiani gesti, consentono a chi soffre di non mollare mai. Per questo il servizio reso dall’associazione AVO, che a Cuneo conta 160 volontari con un ammontare di ore di assistenza rese nel 2011 pari a 15.000, rappresenta un gesto concreto che, se anche non può eliminare il dolore, lo può accompagnare e alleviare. Penso che sia doveroso ringraziare queste persone perché, dedicando parte del loro tempo ai meno fortunati, rendono un servizio di primaria importanza non solo agli ammalati, ma anche alle strutture ospedaliere. La loro opera di assistenza assicura ai degenti una presenza amica, offre calore umano attraverso il dialogo e l’ascolto e promuove la serenità e la speranza in chi è ammalato: tutte cose di fondamentale importanza per chi si ritrova a dover passare le proprie giornate all’interno dell’ospedale.I volontari AVO, e quanti si impegnano in questa tipologia di volontariato, mettono in pratica con il proprio operato un pre-ciso modo di vivere nella società, in cui la gratuità e il dono di sé sono valori primari e indispensabili. Voglio però sottolineare che il volontario, che opera con i malati, non offre solo un servizio alla collettività, ma anche a se stesso: la storia e i valori dei sofferenti che incontra rappresentano un grande aiuto per far tesoro del dono della salute e per apprezzare le cose semplici, ridimensionando i piccoli problemi della quotidianità.Una testimone di quanto si possa reagire alla sofferenza con l’amore è Madre Teresa di Calcutta, la “matita di Dio”. Con il suo incessante impegno e la sua dedizione al prossimo ci ha dimostrato che, quand’anche ciascuno di noi non sia in grado di cambiare il mondo e risolvere i grandi problemi che affliggono la comunità, ha sicuramente la possibilità di migliorare la qualità della vita di una persona sofferente.Ognuno di noi ha insita in se stesso una propensione all’aiuto del prossimo, soprattutto nei momenti di difficoltà delle persone a cui è legato; più difficile è aprire la porta del cuore e farsi prossimo verso chi non conosciamo. Non sempre servono risposte puntuali, a volte basta la carità che, come dice San Paolo, “è paziente e benigna”.Da dieci anni come Centro Servizi per il Volontariato affianchiamo le Associazioni di volontariato e siamo testimoni del loro incessante impegno a favore della collettività. Ai volontari Avo di Cuneo voglio porre un ringraziamento per l’impor-tante messaggio di speranza che sanno dare a quanti vivono il dolore, e un augurio, affinché resistano e si rafforzino le motivazioni che li spingono a compiere questo servizio di amore e aiuto al prossimo.Come affermava Paolo VI nel decreto “Apostolicam Actuositatem” : “Il più grande comandamento della Legge è amare Dio con tutto il cuore e il prossimo come se stessi. (cfr. Mt 22,37 – 40). Cristo ha fatto proprio questo precetto verso il prossimo e lo ha arricchito di un nuovo significato, avendo identificato se stesso con i fratelli come soggetto della carità e dicendo: “Ogni volta che voi avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Mt 25,40).”

Giorgio Groppo Presidente CSV Società Solidale

I volontari: una presenza amica

Le amicizie non sono spiegabili

e non bisogna spiegarle se non si vuole ucciderle.

(Max Jacob)

9 A.V.O.Associazione Volontari Ospedalieri onlus

Corso Dante 58 - 12100 CUNEOTel. 0171 696729/67038 - [email protected]

E’ una vita che mi dicono che devo ascoltare.Hanno cominciato i miei genitori da bambino usando

continuamente questo verbo. Mai che potessi fare di testa mia. Potevano essere consigli di comportamento riguar-danti le normali attività quotidiane o indicazioni su quale fosse il modo più opportuno per sedersi a tavola. La pre-messa era sempre quel verbo maledetto. Se poi io non ero perfetto nell’eseguire quanto mi era stato spiegato il verbo prendeva una piega molto negativa: “Non ascolti mai quello che ti dico”. La scuola poteva essere un’ottima via d’uscita da questo regime che sembrava privilegiare l’or-gano dell’udito su tutti gli altri. Finalmente qualcuno che ci facesse usare anche il tatto con matite, penne, gomme, colori e la vista con lavagne e libri. Delusione. Anche qui bisognava ascoltare. Esattamente come a casa c’erano due modalità per affermare la priorità del verbo, quella positi-va e quella negativa. La prima tendeva ad esaltare i vantag-gi di seguire bene la lezione. In questo modo si imparava molto più efficacemente senza impiegare troppo tempo a studiare. La seconda era la punizione sotto forma di brutti voti e di note. Poi c’è stato il passaggio alla modernità che mi ha rovinato. Mi raccontavano che un tempo, terminata la scuola, si era liberi di giocare con gli amici. Io non sono stato più così fortunato perché ho dovuto fare i famigerati corsi. Quindi invece di giocare tranquillamente a pallone sono andato alla scuola di calcio dove un adulto tiranno per farsi ascoltare gridava ferocemente o fischiava con tutto il

fiato che aveva in corpo. Per non parlare del corso di ingle-se dove ci facevano ascoltare delle ridicole conversazioni invece di vedere dei divertentissimi film. OK, parentesi in-fantile e adolescenziale terminata, siamo a posto. E inve-ce no. Si presentano nuovi professionisti dell’ascolto, ma del mio e non del loro. In casa si chiamano moglie, figli, suocera. Sul lavoro hanno il nome di capoufficio e colle-ghi. Bisogna ascoltare tutti, qualsiasi scemenza dicano e non si può neppure far finta di nulla perché se ne accorgo-no subito e ti rimbrottano vivacemente. Infine la scoperta delle scoperte: l’altro. L’hanno messo dappertutto e mi sta anche bene. Mi rendo perfettamente conto che non sono solo al mondo e che ci sono tante persone in difficoltà. Se ci guardiamo intorno capiamo quanto siamo fortunati. Ma che sia importante e necessario ascoltare gli altri questa pro-prio non mi va giù. Ognuno è libero di fare quello che vuole e faccia il percorso di vita che ritiene più opportuno. Se è in difficoltà è il momento buono di ascoltare e fare quello che gli dicono. Non posso neanche pensare che invece sia io a dover ascoltare quel famoso “altro” che neppure conosco. Se vuole aiuto ha soltanto da chiederlo e in qualche modo si vedrà come intervenire efficacemente.Chi si riconosce in questa descrizione non faccia il volontario.

Aldo Lamberto

Non ho piu vogliadi ascoltare gli altri

Alla fine ricorderemo non

le parole dei nostri nemici,

ma il silenzio dei nostri amici.

(Martin Luther King)

Il parere provocatorio del lo psicologo

30 anni di AVO Cuneo10

L’Associazione Orchestra B. Bruni della Città di Cuneo partecipa alla giornata di festeggiamenti per i 30

anni di attività dell’Associazione Volontari Ospedalieri di Cuneo. E lo fa tanto più volentieri, in quanto questa gior-nata è stata dedicata dagli amici promotori dell’A.V.O. all’ascolto.

Chi fa musica chiede innanzitutto ascolto, ma non solo quello del pubblico, pur fondamentale per la comunica-zione musicale.

Chiede e dà ascolto a chi suona insieme a lui e quanto più se ne sa mettere in campo, tanto più la musica passa fra i singoli esecutori e poi fra questi e le persone disposte ad ascoltarla appunto.

Così sente anche il silenzio: quell’attimo indispensabile che precede e separa la musica che sta per iniziare dai “rumori del mondo”; le pause, veri e propri respiri (o so-spiri, o singhiozzi) del discorso musicale; lo spegnersi dell’accordo finale in un momento di vuoto che incornicia la musica che c’è stata, e, come al voltare dell’ultima pagina per chiudere il libro ap-

pena terminato, ci permette di staccarci da ciò che abbia-mo suonato o ascoltato per riatterrare nel presente.

Anche così, nella giornata che l’AVO di Cuneo ha voluto de-dicare alle varie forme ed ai diversi significati dell’ascolto, si possono avvicinare i tre momenti che l’Orchestra Bruni propone.

Tre luoghi diversi ma egualmente significativi della nostra città (la Chiesa cattedrale, il chiostro e la sala del Museo civico), tre differenti “organici” con altrettanti program-mi musicali (l’orchestra d’archi, il quintetto di fiati, il duo flauto e arpa) per incontrare un linguaggio, quello musi-cale, che dell’ascolto si nutre e per ringraziare con questo l’AVO di Cuneo per la sua attività, augurando a noi ed alla nostra Città di trovarla in piena forza fra altri 30.

Associazione Orchestra “B. Bruni”

Chi Fa Musica Chiede Asc olt o

11 A.V.O.Associazione Volontari Ospedalieri onlus

Corso Dante 58 - 12100 CUNEOTel. 0171 696729/67038 - [email protected]

Nel 1982 nasceva, col contributo di 12 volontari, la sezio-ne locale dell’AVO. Nell’anniversario dei 30 anni di vita,

vede la luce anche a Cuneo il gruppo AVO Giovani. Il battesimo ufficiale è stata la partecipazione al Convegno Regionale AVO Giovani che si è tenuto a Savigliano lo scorso 16 giugno. Nel titolo del Convegno è evidenziata l’importanza di un gruppo AVO Giovani: “I giovani nell’AVO: una risorsa da valorizzare”.

Per i “non addetti ai lavori”, l’AVO Giovani è un gruppo so-stenuto e promosso dall’AVO, formato dai giovani volontari di tutte le AVO locali che, oltre al servizio di volontariato nelle proprie strutture, si dedicano all’organizzazione ed allo svi-luppo dell’AVO. Pertanto, non semplicemente un gruppo che raccoglie i volontari sotto una certa soglia di età, ma il mo-mento nel quale i giovani si impegnano in modo organizzato.

L’AVO Giovani è, innanzitutto, centro di aggregazione, di diver-timento, di condivisione e confronto di scelte, idee e valori, nel rispetto e nella valorizzazione delle reciproche differenze; luogo nel quale avvicinare i giovani al volontariato attraver-so un rapporto di vicendevole sostegno ed ascolto; labora-torio, all’interno del quale ci si confronta e si portano idee e competenze, in modo che ne tragga beneficio l’associazione e, conseguentemente, anche la società, dove le competenze sono state acquisite.

E’ importante che i valori fondanti del volontariato e dell’AVO - solidarietà, “gratuità” del bene, sussidia-rietà, centralità dell’essere umano, relazione e con-divisione con l’altro - siano sempre più radicati nelle persone che, coltivandoli nel loro servizio di volontari, li trasferiscono nel quotidiano agire all’interno della società civile.

Se “libertà è partecipazione”, l’AVO Giovani vuole quindi contribuire alla formazione di cittadini liberi, responsabi-li e socialmente impegnati, attraverso una partecipazio-ne attiva e propositiva in cui i giovani possano esprimere i loro “talenti”. Alcuni nel tempo continueranno la loro attività

nel mondo del volontariato, alcuni sceglieranno altre vie, ma tutti avranno vissuto un’esperienza in grado di contribuire a renderli buoni cittadini. La formazione di questa cittadinanza responsabile deve passare anche e soprattutto attraverso i giovani, che rappresentano il futuro della nostra società e forniscono linfa vitale col loro bagaglio di idee ed entusiasmo: ecco perché i giovani rappresentano un’importante risorsa da valorizzare.

La recente Conferenza Nazionale dei Delegati Regionali dell’AVO Giovani, che si è tenuta ad Isili (CA) nello scorso no-vembre, è stata l’esempio di tutto questo: entusiasmo, alle-gria, gioia di stare insieme, ma anche aperto confronto sugli argomenti trattati. Sono state gettate le basi per una nuova fisionomia dell’AVO Giovani, sulla base delle esperienze pas-sate e tenendo conto dei continuo evolversi della società. E’ stata lanciata una sfida al futuro: futuro che inizia oggi e sfida che Cuneo vuole raccogliere, anche col contributo di giovani (e meno giovani) che leggendo queste poche righe vogliano mettersi in gioco e dare il loro piccolo grande contributo alla costruzione di una società, perché no, migliore.

Alessandro Demontis

2012 ... i pr imi passi de l l ’Av0 giovani

30 anni di AVO Cuneo12

Accanto al malato

Ho visto nascere l’associazione Avo Cuneo frequentando, nel 1982, il primo corso per volontari, ho la tessera n. 10

e presto servizio presso l’ospedale Santa Croce di Cuneo da circa trent’anni, con alcuni periodi di sospensione per motivi di famiglia. Ho iniziato il servizio accanto ai sofferenti aiutandoli nelle ore dei pasti; inizialmente ero un po’ titubante, temevo di non essere all’altezza dell’impegno che mi ero assunta, ma il sorriso dei primi pazienti e i loro occhi pieni di gratitu-dine mi hanno subito rincuorata dandomi anche la spinta a proseguire. A volte l’approccio con alcuni degenti non è stato facile, allora cercavo di stare loro accanto in silenzio, pronta a cogliere un segnale di aiuto, o semplicemente sorridendo, per accattivarmi la loro fiducia. Sono stati tanti i momenti in cui il paziente chiedeva solamente di essere ascoltato, di ave-re un po’ di comprensione o parole di incoraggiamento. Una forte stretta di mano nel momento del saluto, e qualche volta anche un leggero bacio sulla guancia, lo sguardo che mi ac-compagnava fino all’uscita dalla camera mi davano la carica ad affrontare le mie difficoltà familiari. Se la degenza si pro-traeva per più giorni, si creava un legame di amicizia fraterna con il paziente che mi riempiva il cuore di una gioia immensa.

Quando sono stati cambiati gli orari di distribuzione dei pasti, non potendo più conciliarli con le mie esigenze familiari, ho offerto per un po’ di tempo la mia collaborazione all’ufficio di segreteria. Raggiunta la pensione, avendo quindi più tempo a disposizione, mi sto ora dedicando al servizio di volontariato in pronto soccorso. Qui la collaborazione del volontario Avo è molto varia: dall’accoglienza del paziente nell’atrio venendo-gli incontro con un saluto, un sorriso o con una sedia a rotelle quando ci sono difficoltà di deambulazione, all’accompagna-re una persona in un ambulatorio o dandogli semplicemente

alcune indicazioni; dall’offerta di un po’ di compagnia mentre, in barella, si aspetta il turno per una visita, una radiografia o per conoscere l’esito finale degli esami, al portare un cusci-no, una coperta, un bicchiere d’acqua per alleviare le soffe-renze. Sono soprattutto gli anziani soli ad avere bisogno del semplice contatto umano per sentirsi meno spaesati, mentre medici e infermieri prestano le prime cure.

Anche i parenti, spesso, scambiano volentieri qualche parola per ingannare il tempo d’attesa o l’ansia per un referto me-dico.

Essere volontari in ospedale comporta un’attenzione par-ticolare all’altro che si trova in una situazione di debolezza, malattia, dolore. Non si tratta tanto di una buona azione, ma soprattutto di una “buona relazione” in cui l’accompagnatore, con modi discreti, si pone in una situazione di radicale ac-coglienza e ascolta, divenendo una presenza autentica per il sofferente.

Padre Arnaldo Pangrazzi, nel suo libro “I volti della sofferen-za e i cuori della speranza”, dice anche che chi si offre con il proprio tempo, in amicizia e spirito di servizio, per cercare di alleviare almeno in parte le sofferenze umane, trova in tale offerta una ricompensa e una via per dare un senso più am-pio e profondo alla propria vita.

Franca Ramero

con dolcezza e discrezione

Per predicare basta avere in memoria

molte parole; per comunicare è necessario

partecipare ciò che si vive.

(Oreste Benzi)

13 A.V.O.Associazione Volontari Ospedalieri onlus

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Che cosa e’ l’AVO? Sono ormai alcuni anni che presto il mio servizio come vo-lontaria nell’ospedale di Caraglio e molti ricordi, molti volti e molte brevi frasi sono scolpite nella mia mente e nel mio cuore. Ho iniziato per caso, invitata ad una giornata di pre-sentazione di questa associazione. Sono rimasta colpita, in particolare, da una frase di Don Sebastiano: i malati, talvol-ta, hanno bisogno semplicemente di un bicchiere d’acqua, ma ci vuole qualcuno che, in mezzo alle mille incombenze di un ospedale, si accorga di questo bisogno. Così ho fre-quentato il corso di preparazione e sono entrata nell’AVO. Questa esperienza mi ha insegnato a fermarmi, in silenzio, di fronte alla malattia, alla vecchiaia e alla morte. Ho im-parato ad OSSERVARE per capire le necessità dell’Altro quando mancano le parole e ad ASCOLTARE, in silenzio,

quando le parole ci sono. In questa società frenetica dove l’imperativo è correre, restare eternamente giovani e ren-dere al massimo, l’AVO ti insegna che esiste un’altra realtà che ti tende la mano e ti invita a frenare la tua corsa e a par-lare solo con gli occhi. Sono tanti i nomi custoditi nel cuo-re di persone che ho conosciuto e che ci hanno lasciato. Ricordo i loro occhi lucidi, le loro mani stanche e nodose che si posavano sulle mie, le canzoni cantate insieme, gli sguardi che si incrociavano in un dato momento: era il loro modo semplice e silenzioso, ma efficace ed in-cisivo per dirti “GRAZIE”. Grazie che ci sei, grazie che esiste l’AVO. Patrizia Combale AVO di Caraglio

Testimonianza di una neo-volontaria Sempre più assillati da giorni pieni di impegni, preoccupazioni, incombenze, problemi e programmi ci dimentichiamo di sentire il “dentro”.Essere volontaria AVO per me è fermarmi, indossare il camice azzurro e per un’ora seguire il cuore.Affacciandomi nelle varie camere dell’Ospedale incontro l’AL-TRO ed è così facile, naturale, arricchente condividere un po’ di tante storie. Spesso i malati sono assistiti dalle loro famiglie ma c’è sempre chi ha bisogno di una parola di incoraggia-mento, di un braccio a cui appoggiarsi, di un sorriso.Quanti occhi curiosi, talvolta diffidenti ma poi umidi di com-mozione e gratitudine.Quanta fragilità nella malattia e quante silenziose richieste di condivisione aspettano briciole del nostro tempo.

Nea Martini Dall’Ospedale di Comunità di Boves

“La cosa” che a noi da’ gioia al cuore.L’AVO di Caraglio è nata circa 24 anni fa per aiutare la signora Mariuccia, una persona sola, con tanta voglia di compagnia e sen-za la possibilità di camminare. Con il “passa-parola” si riuscì ad organizzare vari turni per starle vicino all’ora dei pasti e, a volte, nel pomeriggio. Nello stesso tempo ci si rese utili anche nei con-fronti di altri ammalati: così, a poco a poco, il gruppo è aumentato e le persone disponibili ad offrire il loro aiuto trovarono nell’AVO un’Associazione già consolidata in sede provinciale, che dava una preparazione ed un appoggio. Alla morte di Mariuccia il rapporto affettuoso con gli ospiti della “Casa Protetta” ci spinse a conti-nuare l’opera intrapresa, che ora si estende alla contigua ASL. La richiesta di collaborazione continuativa con il passar del tempo è cresciuta e le adesioni di nuove volontarie hanno consentito una risposta adeguata.Il tempo che dedichiamo agli anziani ed il relativo piccolo sacrifi-cio è ripagato dalla soddisfazione di vederli felici, cosa che a noi dà gioia al cuore.

Cosi’ nacque l’AVO di Boves Era la primavera di 28 anni fa che nasceva l’Avo a Boves; l’idea di impegnare il tempo libero al volonta-riato balenava spesso alla mia mente, ma in che dire-zione? L’occasione non tardò ad arrivare. Mia cugina Mariella, già iscritta all’Avo di Cuneo, mi segnalava una signora bisognosa che lei aveva seguito a Cuneo e che veniva trasferita all’Ospedale di Boves. Mi reco al suo capezzale e trovo una donna con pochi anni più di me paralizzata agli arti superiori e inferiori che mi racconta la sua triste sorte: oltre al suo stato di sa-lute anche famigliare, ricordo aveva una mosca sul viso che le dava fastidio e non poteva liberarsene; l’abbracciai forte e piangemmo assieme. Ripresami

pensai subito di non essere adatta a questo

tipo di volontariato, ma quando giunse il momento di salutarla, lei con occhi implo-ranti mi chiese di tornare presto perché aveva bisogno della mia presenza e della mia comprensione.Stupita di tutto ciò, non potendo deluderla le promisi che sarei tornata e giorno dopo giorno una forza interiore mi spingeva da lei e continuai a seguirla per tutto il periodo del-la sua degenza con più coraggio. Grazie Agata, mi hai insegnato ad essere più sensibile nei con-fronti di chi soffre. A questo punto ero pronta e decisa: mi sarei iscritta al gruppo Avo. Ricordo un sabato mattina mi recai in sede e incontrai un’altra persona di Boves con le mie stesse intenzioni, Rosa Maria: a lei la tessera n. 1, a me la n. 2. Nacque così l’Avo di Boves.

Le sezioni di Boves e Caraglio

30 anni di AVO Cuneo14

Aiutare ci unisce

“Trova il tempo di essere amico: è la strada della felicità.”Madre Teresa di Calcutta

Mi accingo a scrivere non per un addio all’AVO, ma per prepararmi in maniera meno traumatica all’addio che dovrò dare nel 2013 per lasciare spazio ai giovani.L’AVO mi è stato portato a conoscenza da Mariangela Buzzi, negli anni ’90. Per la mia professione non mi è stato possibile diventare volontaria fino al ’96.Conoscevo già la malattia, la sofferenza e il dolore per la perdita di persone carissime.Sono stata vicino a mia figlia in coma a 3 mesi di vita, ho assistito mio marito colpito da un aneurisma celebrale per 7 anni, personalmente sono riuscita a superare un tumore maligno e infine sono stata vicino a mio nipote di 15 giorni al quale è stata diagnostica una prognosi infausta risultata errata. In questi periodi della mia vita mi ha aiutato la Fede, la forza di lottare, i miei figli, la speranza.L’AVO ha aggiunto l’esperienza degli altri, la saggezza nei racconti degli anziani mi ha fatto riflettere quali siano le cose vera-mente importanti, aiutandomi a crescere, a credere negli incontri e nell’amicizia e quindi a migliorarmi.Mariangela e in seguito Massimo mi hanno dato la loro amicizia e il coraggio per affrontare sempre nuove sfide. Dall’ AVO ho imparato che essere volontario significa essere disponibile verso l’altro, saper ascoltare, cercare di trovare il lato positivo anche quando sembra che il malato non ti voglia accogliere.L’AVO è una scuola di vita, avendo una grande funzione pedagogica.Ho anche imparato quali siano i veri valori della vita la famiglia, la solidarietà, l’empatia e il rispetto per la persona.Tante sono le persone che vorrei ringraziare, tutte speciali, e non potendole ringraziare tutte, ringrazio l’AVO che ha saputo regalarmi il calore di un sorriso, la bellezza del dare gratuito e soprattutto del ricevere.Mi auguro di aver saputo trasmettere questi grandi valori a tutti coloro che hanno partecipato ai corsi di formazione e che ho potuto conoscere meglio nei tanti colloqui di questi anni.

Eliana Saracco Rossaro Silenzio prima di nascere, silenzio

dopo la morte, la vita è puro rumore

tra due insondabili silenzi.

(Isabel Allende)

15 A.V.O.Associazione Volontari Ospedalieri onlus

Corso Dante 58 - 12100 CUNEOTel. 0171 696729/67038 - [email protected]

Ti invio, caro Nicandro la stesura del discorso da me tenuto su come si ascolta, perché tu sappia disporti in

modo corretto all’ascolto di chi si rivolge a te con la voce della persuasione, ora che hai indossato la toga virile e ti sei liberato da chi ti dava ordini.Penso comunque che non ti dispiacerà ascoltare qualche preliminare osservazione sul senso dell’udito, che, a det-ta di Teofrasto, è esposto più di ogni altro alle passioni, dato che non c’è niente che si veda, si gusti o si tocchi, che produca sconvolgimenti, turbamenti o sbigottimenti paragonabili a quelli che afferrano l’anima quando l’udito è investito da certi frastuoni, strepiti o rimbombi. Ma a ben guardare esso ha più legami con la ragione che con la passione, perché se è vero che molte sono le zone e le parti del corpo che offrono al vizio una via d’accesso per cui arriva ad attaccarsi all’anima, per la virtù l’unica presa è data invece dalle orecchie dei giovani, sempre-ché siano pure e tenute fin dall’inizio al riparo dai guasti dell’adulazione e dal contagio di discorsi cattivi. Per que-sto Senocrate invitava ad applicare i paraorecchi ai ragaz-zi più che ai lottatori, perché a questi ultimi i colpi sfigu-ravano le orecchie, mentre ai primi i discorsi distorcono il carattere. Egli non intendeva, comunque che dovessero porsi in una sorta di isolamento acustico o diventare sor-di: consigliava solo di proteggerli dai discorsi cattivi pri-ma che altri buoni, come guardie allevate dalla filosofia a protezione del carattere, non ne avessero saldamente oc-cupato la postazione più precaria e maggiormente espo-sta alla voce della persuasione. L’antico Biante, quando Amasi gli chiese di inviargli la porzione di vittima sacri-ficale che a suo giudizio fosse migliore e al tempo stesso peggiore, ne recise la lingua e gliela mandò, intendendo dire che nella parola sono insiti i danni e i vantaggi più grandi. La maggior parte delle persone, quando bacia te-neramente i propri piccoli, ne prende le orecchie tra le mani e li invita a fare altrettanto, con scherzosa allusione

al fatto che essi devono amare soprattutto chi fa loro del bene attraverso le orecchie.I bravi allevatori rendono sensibile al morso la bocca dei cavalli: così i bravi educatori rendono sensibili alle pa-role le orecchie dei ragazzi insegnando loro non a par-lare molto, ma ad ascoltare molto. Nel tessere gli elogi di Epaminonda, Spintaro diceva che non era facile incon-trare uno che sapesse di più e parlasse di meno. E la natura, si dice, ha dato a ciascuno di noi due orecchie ma una lingua sola, perché siamo tenuti ad ascoltare più che a parlare.Il silenzio, dunque, è ornamento sicuro per un giovane in ogni circostanza, ma lo è in modo particolare quando, ascoltando un altro, evita di agitarsi o di abbaiare ad ogni sua affermazione, e anche se il discorso non gli è troppo gradito, pazienta ed attende che chi sta dissertando sia arrivato alla conclusione; e non appena ha finito si guarda dall’investirlo subito di obiezioni, ma, come dice Eschine, lascia passare un po’ di tempo per consentire all’altro di apportare eventuali integrazioni o di rettificare e soppri-mere qualche passaggio. Chi si mette subito a controbat-tere finisce per non ascoltare e non essere ascoltato, e interrompendo il discorso di un altro rimedia una brutta figura. Se invece ha preso l’abitudine di ascoltare in modo controllato e rispettoso, riesce a recepire e a far suo un discorso utile e sa discernere meglio e smascherare l’inutilità o falsità di un altro, e per di più dà di sé l’imma-gine di una persona che ama la verità e non le dispute, ed è aliena dall’essere avventata o polemica.Dobbiamo perciò trasferire il giudizio da chi parla a noi stessi, valutando se anche noi non cadiamo inconscia-mente in qualche errore del genere. Non c’è cosa al mon-do più facile di criticare il prossimo, ma è atteggiamento inutile e vano se non ci porta a correggere o prevenire analoghi errori.

L’ arte di ascoltare qualche anno prima che nascesse l’AVO...L’ arte di ascoltare (de recta ratione audiendi di Plutarco di Cheronea)

30 anni di AVO Cuneo16

“C’era una volta……..”. Cominciavano così le favole del buon tempo antico quando si credeva alle buone fa-

tine, agli gnomi, agli orchi, che soltanto più le creazioni Disneyane ripropongono al giorno d’oggi.Ebbene a Cuneo c’era una volta un gruppetto di persone d i buona volontà che, avendo già qualche esperienza di assi-stenza ai malati in Ospedale e avendo saputo di analoghe ini-ziative a Monza e Milano, pensarono di dare forma giuridica alla loro attività e, riunitesi presso il Notaio Bruno Gallo, sot-toscrissero l’atto costitutivo dell’AVO di Cuneo.Era il 22 aprile 1982.E così una trentina di volontari, formatisi nel corso effettua-to in precedenza, cominciarono ad operare apertamente nell’Ospedale S.Croce.Si ebbero inizialmente delle difficoltà con il personale ospe-daliero che temeva fosse una concorrenza nel proprio campo di lavoro; ma in base alla legge 833/78 che prevedeva già e, per la prima volta nella legislazione italiana (art. 45), la pre-senza del volontario negli ospedali, la legge regionale n. 20 dell’aprile 1982 ufficializzava la posizione del volontariato ospedaliero in Piemonte. Per cui superata ogni difficoltà, si addiveniva nel giugno 1982 alla stipulazione di regolare con-venzione con l’U.S.S.L. 58, convenzione che è stata una delle prime in Piemonte.Seguivano le convenzioni con le U.S.S.L. 60 di Borgo e 59 di Dronero e nel 1986 l’adesione alla FederAVO che allora riuni-va le prime 80 AVO di tutta Italia.La nostra azione proseguiva, così regolarmente e senza pro-blemi e i primi 30 volontari diventavano ben presto 100 e più.

Nel 1992 veniva festeggiato con un riuscito Convegno nel sa-lone della Provincia il primo decennio di attività in cui i volon-tari modestamente, con il dono gratuito di tempo, di disponi-bilità, di amicizia hanno saputo stare accanto al malato solo, confortandolo con la presenza, la parola, il piccolo servizio.Nel 1993 con decreto del Presidente della Regione n. 726, l’AVO di Cuneo è stata iscritta nell’Albo Regionale del volon-tariato, nella sezione socio-assistenziale e recentemente è stata pure iscritta nell’analogo Albo del Comune di Cuneo.Nel 1992 lo Statuto delle AVO è stato aggiornato per adeguar-lo ai contenuti della legge-quadro nel volontariato e nel 1996 è stato approvato il Regolamento dell’AVO di Cuneo che, svi-luppando le norme statutarie di base, ne regola il funziona-mento anche dal punto di vista amministrativo.Ho ricordato quanto sopra che sembra soltanto un’arida esposizione di date e dati perché in realtà come ha detto in un Convegno il nostro Presidente Nazionale Prof. Longhini, la speranza di un mondo della sanità sempre più umano e rispettoso della persona, è affidato alla presenza di un volon-tariato discreto, attento ed umile, ma nel contempo serio, ben preparato e adeguato alle norme e disposizioni vigenti.Vorrei concludere in questo quindicesimo anniversario dell’AVO di Cuneo ringraziando tutti i volontari che in questi anni hanno dato il loro cuore a tante persone, prima scono-sciute, in un afflato di amore e di solidarietà.

Angelo Valmaggia

15 ° Anno della fondazione dell’AVO di Cuneo

Quelli che amano il silenzio trovino altra

gente che ama il silenzio e creino silenzio

e pace gli uni per gli altri.

(Thomas Merton)

Riportiamo il testo scritto nel 1997 dall’ allora presidente Angelo Valmaggia

17 A.V.O.Associazione Volontari Ospedalieri onlus

Corso Dante 58 - 12100 CUNEOTel. 0171 696729/67038 - [email protected]

Pochi giorni fa sono stata invitata a parlare dell’Adas e del ruolo del volontariato nelle Cure Palliative ad un corso

organizzato dalla Regione Piemonte. Non amo affatto “gio-care fuori casa” e mi sento inadeguata soprattutto quando gli ascoltatori sono Medici e infermieri, ma ho accettato e ob-bedito per spirito di servizio. Ho parlato così anche dell’AVO e dei volontari che si prestano ad assistere gli ammalati di tumore in fase avanzata al loro domicilio. Avevo bisogno di un esempio pratico e dalla mole dei ricordi è emerso Giuseppe F., che avevo archiviato e murato in una delle caselle della mia memoria che non intendevo più riaprire. Perché gli ave-vo voluto troppo bene e la sua morte mi aveva fatto troppo soffrire. Ma ho rivisto i suoi teneri occhi azzurri, che non cercavano compassione ma amicizia, e ho pensato di farlo rivivere per tutti noi. L’avevo incontrato per caso in Otorino, mentre assistevo un altro ammalato. Era solo come un cane, abbruttito dal male; gli avevano tolto la laringe e la possibi-lità di parlare; il cancro aveva fatto il resto, riempiendogli il capo e il collo di metastasi cutanee orribili a vedersi. Stava accucciato nel suo letto oppure vagava nel corridoio, uomo ombra, uomo fantasma, perché nessuno osava guardarlo, tanto ero sporco e brutto. Non mi è stato facile farmi accetta-re. Ricordo la prima volta che sono riuscita a fargli cambiare il pigiama, la stretta al cuore che ho provato quando ho pre-so tra le braccia quel povero mucchietto di ossa per aiutar-lo a rivestirsi. Ma le nostre comunicazioni restavano tattili, sguardi e poco più. Finchè

un giorno ha preso il quaderno e la matita che gli avevo por-tato e ha scritto la prima frase di quella che sarebbe diven-tata una lunga confessione, una grande dimostrazione di fi-ducia e di amicizia. Ha scritto: “non sono sempre stato solo”. Con quell’inizio mi ha fatto entrare nella sua vita, ha rotto l’isolamento che si era creato attorno anni prima, quando gli era morta di cancro, a 36 anni, la moglie. Quando la sorella della moglie gli aveva portato via i suoi due bambini, con la scusa di allevarli, e non glieli aveva più fatti vedere. Quando si era licenziato dal lavoro in Italia per cercare i figli in Francia e stabilirsi con loro, ma questi lo avevano rifiutato. Quando era rientrato in Italia, ormai solo, respinto da tutti, senza lavoro, senza amici, senza più voglia di vivere. Penso che l’amicizia dei volontari l’abbia aiutato a reinserirsi nel mondo civile, gli abbia restituito un ruolo nella società. Parlare di lui oggi vuol dire non dimenticarlo, riconoscere che ha avuto una parte importante nel nostro vissuto quotidiano, che l’affetto ricam-biato era una cosa seria, duratura, oltre la morte.

Mariangela Brunelli Buzzi

Un drammatico ricordo

La banalizzazione è il prezzo

della comunicazione.

(Nicolás Gómez Dávila)

30 anni di AVO Cuneo18

Mentre ancora eri fuori dal reparto e ti infilavi i sopra-scarpe di plastica blu, lo sentivi già attaccato al campa-

nello a protestare che le quattro ore di dialisi erano passate, a lamentarsi che tutti gli altri se ne erano già andati a casa e lui no, era ancora lì, attaccato alla macchina.Buon vecchio Grato, dalle sette vite come i gatti, e come i gat-ti sempre pronto a graffiarti e farti le fusa, a imprecare e a chiederti subito scusa…Una vita intensa la tua, di duro lavoro nei campi scoscesi del-la Valle Grana; una terra ostile, non facile da domare proprio come il tuo carattere aspro e tenero allo stesso tempo.Non ti eri mai sposato, anzi, non ti eri mai “voluto sposare”, sottintendendo che di occasioni ne avresti avute più di una perché eri sempre stato un bell’uomo, ma che di tempo per pensare ad una moglie ne avevi avuto poco.Come una quercia sei vissuto forte, vigoroso e sano, finchè le tue radici non hanno incominciato a cedere sotto il peso delle tante stagioni vissute e sei così finito a soffrire in un letto, attaccato ad una macchina, con i reni a pezzi, i polmoni affa-ticati, le gambe che non ti reggevano quasi più.Com’eri profondo, caro Grato, nella semplicità dei tuoi ra-gionamenti, nel ricordo preciso dei tuoi racconti di gioventù, nel tuo modo sereno di affrontare una vecchiaia difficile, la solitudine e una malattia che già sapevi non ti avrebbe dato scampo.Quante caramelle ci hai regalato, come sei riuscito, senza saperlo, a renderci più dolce il nostro vivere con la tua burbera voglia disperata di non mollare, di tenere duro…Ricordo ancora i miei primi turni da volontario in dialisi ed il timore che quasi incutevi nell’imporre come un preciso ri-tuale per rivestirti: “I pantaloni vanno messi così, con la riga diritta e la camicia deve avere il colletto sotto alla maglia e attento ad infilare le scarpe che i piedi mi fanno male e ve-diamo poi di non dimenticare “la mustra”,l’orologio, sotto al cuscino…”Poi, una volta alzato dal letto, ancora forte sulle gambe an-che se già appoggiato al bastone, partivi ondeggiando per il corridoio, sotto il mio sguardo preoccupato, e andavi in bagno a fumarti la tua sacrosanta cicca, tra le proteste inascoltate delle infermiere.

E quante liti, che discussioni, quali scenate per due minuti di ritardo nello stacco dalla macchina (ovviamente secondo la tua concezione del tempo) perché gli aghi facevano male, perché le gambe avevano i crampi e le braccia prudevano e nessuno riusciva a farti niente.Quante urla, quante imprecazioni, quanti Santi evocati con benevolo abuso di dottrina e comandamenti!Con il tempo, come le piante d’autunno lassù in Valle Grana, hai perso l’energia e la vita, volate via come le foglie ingiallite al primo soffio di vento un po’ più freddo e te ne sei andato con la stessa dignità con cui sempre avevi vissuto.Quel letto, vuoto, per diverse settimane ha lasciato in noi il senso di una perdita preziosa; nel reparto il silenzio era an-cora più profondo, privo delle tue grida, dei tuoi lamenti, del tuo scampanellare.Caro, vecchio Grato, ora che davvero puoi fumare sereno su nel cielo, tira anche per noi, con profonda comprensione, una nota della tua cicca, perché possiamo ancora imparare ad apprezzare il piacere di vivere!

Massimo Silumbra

Grato, per sempre.

19 A.V.O.Associazione Volontari Ospedalieri onlus

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Piccolo, minuto, stretto nel suo pigiama rosso fuoco; il viso color del pigiama: emaciato, ematomi più scuri

sugli zigomi sporgenti; gli occhi chiari, profondi, sereni. Un solo dente in una bocca grande, più grande in quel viso pic-colo, grinzito dal sole.Appoggiata, la schiena, a tre cuscini; le gambe penzoloni che riuscivano appena appena a sfiorare il pavimento; ap-poggiate, le mani a pugni chiusi, sul letto; le braccia, lungo il corpo magro, per sostenersi che gli girava un po’ la testa. Si preparava a mangiare: da due o tre giorni mangiava di nuovo: non tanto, ma mangiava. In ospedale si dorme sem-pre, non si può mangiare. Non sapeva perché lo avessero portato in ospedale. Ricordava di essere nel campo quando il campanile aveva suonato mezzogiorno. Poi si era sveglia-to con il pigiama rosso e tutti quei tubi infilati nelle braccia, secche, scarne, bluastre. Aveva dei nipoti in Francia che, da quando avevano saputo che, avrebbe “lasciato” il ciabot all’altro nipote che ora gli guardava le capre e il mulo, non si erano più fatti vedere. Il mulo da un anno non lavorava ed era grasso come un maiale.“Vendilo” gli disse l’uomo disteso sul terzo letto, il viso al soffitto, gli occhi chiusi che sembrava dormisse. “Vendilo e con i soldi ti fai mettere i denti e la pianti di mangiare solo toma .. per questo ti sei ammalato”.Un altro uomo, nel secondo letto, coricato sul fianco, il se-dere nudo, fuori dal pigiama, soffocò la risata nel cuscino.

“No, non lo venderò mai” disse “moriremo insieme” e co-minciò ad aspirare il brodo che gli piaceva di più dei mac-cheroni e subito dopo schiacciava il formaggio molle, con la lingua, contro il palato e deglutiva bevendo un po’ di quel vino che si era fatto lui e sperava che non gli andasse a male che, adesso, a Pasqua doveva “tirarlo” nelle damigia-ne; non gli avrebbe messo il bisolfito che alla fine gli dava un gustaccio che non si poteva bere.Lentamente si lasciò cadere sul dorso, tirò su le gambe, una dopo l’altra; sistemò i cuscini contro la spalliera del letto; si aiutò con le braccia, scivolò contro i cuscini e disse che era quasi primavera e che le talpe gli avrebbero ro-vinato tutto il campo. E che lui all’imbrunire, nel campo, ritto, immobile, il mento appoggiato sul dorso delle mani, appoggiate sul manico della zappa, aspettava delle ore, come un gatto che aspetta il topo, in silenzio a guardare e a pensare. Spesso in quella posizione si appisolava e quando si svegliava la talpa era già passata e aveva fatto appena più in là dei suoi piedi, un cumulo di terra fresca e fino a domani sera non si sarebbe fatta più viva; perché doveva prenderla viva per schiacciarle solo il muso, senza rovi-nare la pelliccia, perché così non valeva più nulla. Dopo un po’, disse che avrebbe fatto due passi, che gli sembrava di non digerire.L’uomo del terzo letto gli disse che il suo stomaco non era più abituato a mangiare, per questo non digeriva e che non

mangiava per lasciare i soldi ai nipoti.L’uomo dal pigiama rosso, si era avvicinato al suo letto e brandiva il bastone fingendo di volerlo picchiare.Poi si voltò: si appoggiò al suo bastone: “Mi sento stanco”, disse. Si lasciò cadere sul letto, si sistemò le coperte sul-le gambe che erano sempre schiacciate, guardò il soffitto con i suoi piccoli occhi chiari.Cinque minuti dopo l’infermiera, con la siringa in mano, gli disse di voltarsi.L’uomo dal pigiama rosso, era già morto.

Davide Borgna

L ’uomo dal pigiama rosso

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“Ricordo nella piccola città i vicini donarsi dalla soglia il pane, i fiori da trapianto …. o scambiarsi attraverso i mu-riccioli fuoco, notizie e una parola buona. Perciò mi fa l’ef-fetto di una morsa ogni porta sbattuta. Oh, se la gente del mondo, sorda, estranea, decidesse di porgersi attraverso le barriere di propria iniziativa, mani e cuore!” Quante volte questi versi della poetessa russa B. Dimitrova, mi sono tornati in mente e mi hanno fatto riflettere sul signi-ficato del Volontariato ed in particolare del nostro servizio, soprattutto stando vicina ad anziani contadini che magari per la prima volta hanno lasciato il loro paesino per il ricovero in ospedale. Sono persino diffidenti o quanto meno stupiti di ve-

derci con il grembiule azzurro vicino a loro e più di una volta timorosi ci hanno chiesto …”ma quanto costa?” e quando sen-tono che è “gratis”, si stupiscono, increduli, dopo altri incontri si aprono alla confidenza e ricordano i tempi in cui tra vicini di casa si aiutavano nelle necessità, nella sofferenza e nella gioia. Si stabilisce un rapporto caldo di affetto fra loro e noi e ci raccontano episodi ricchi di significato, di verità semplici, anche divertenti, di quel mondo in cui la solidarietà, parola oggi “troppo di moda”, era parte del loro vivere quotidiano: si sentivano spontaneamente responsabili del destino comune e del Bene comune.

Luciana Cussino Conti

Sensazioni

Christian Mariotti La Rosa: nato a Saluzzo nel 1986. Laureato al DAMS di Bologna. Ha frequentato il corso biennale di formazione “Teatro del Marchesato”, il la-boratorio di “lIbero Teatro in movimento” con Gianni De Feo e il seminario “La voce narrante” con Stefano Benni, Dario Fo, Umberto Petrin e Fabio Vignaroli. Nel triennio 2009/2012 si è distinto nella Scuola del Taetro Stabile di Torino diretta da Valter Malosti. In questo periodo ha preso parte a svariati spettacoli teatra-li con testi che vanno da Shakespeare a Tolstoj, da Schnitzler a Moliere. Nel suo cirriculum vi sono an-che alcune partecipazione a programmi televisivi.

Reciteranno il 15 settembreAlessio Giusti: nato nel 1973. Folgorato dall’interpretazione di Pamela Villoresi nell’”Antigone” di Anouilh, decide di dedicarsi alla recita-zione. Tre anni di corso con il regista Alberto Gagnarli e l’attrice Simonetta Potolicchio, doppiaggio presso la ANCAM vox video di Firenze. Entra nella compagnia fiorentina di Beppe Ghiglioni con la quale porta sulle scene “Mandragola” di Machiavelli e “La do-dicesima notte” di Shakespeare coprendo in entrambe il ruolo di protagonista. Con la Banda Improvvisa interpreta il testo “Ulixes” dello scrittore Stefano Beccastrini e “Se una notte d’inverno” con alcuni acrobati del Cirque du Soleil per la re-gia di Valeria Campo. Entra nella compagnia di Frederique Feliciano nel 2006 portando in scena “Il maleficio della Falena” di Lorca e il monologo “Il gelato non vale l’eter-nità” in cui interpreta in contemporanea 6 personaggi. Suoi sono gli spettacoli “Facciamo l’appello” e “Fosforo, ovvero quanti fiammiferi si possono ottenere da un’arin-ga”. Dal 2009 collabora con la poetessa italo/svizze-ra Silvana Lattmann. Nello stesso anno fonda l’ass. Artimede e il laboratorio teatrale ad essa connesso insieme all’attrice friulana Anna Ambrosio. Variegata e ricca la sua attività di lettore che spazia dalla pre-sentazione di libri a spettacoli di lettura.

Annalisa Aragno: nata nel 19…(è sempre una signora!). ha frequentato la scuola del Teatro del Marchesato di Saluzzo con la quale ha collaborato fino al 2010. Ha partecipato in veste di protagonista in spettacoli quale “Molto rumore per nulla” di W. Shakespeare e “Porte chiuse” di J.P. Sartre. Dal 2006 lavora come infermiera nell’Ho-spice di Busca. Attualmente collabora con la compagnia Primo Atto. Si occupa dell’organizza-zione di spettacoli finalizzati alla diffusione della filosofia delle cure palliative.

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Il monaco Enzo Bianchi, priore della comunità di Bose, recentemente in un’intervista ha detto che sarebbe contento di venir ricordato come un uomo che ascoltava. Dice Bianchi “Ascoltare è anzitutto accettare di sacrificare ciò che ci pare sempre più prezioso: il tempo. Occorre tempo per ascoltare, un tempo vissuto senza fretta, angoscia; occorre la consa-pevolezza che si deve decidere di ascoltare. D’altronde l’ascolto è la prima forma di rispetto e di attenzione verso l’altro, la prima modalità di accoglienza della sua presenza. Sappiamo per esperienza che l’altro non sempre pronuncia parole di reale interesse, che l’altro spesso chiacchiera o parla a se stesso. Ma se è vero che l’ascolto esige sforzo e pazienza, è altrettanto vero che solo un ascolto autentico sa discernere e trarre lezioni anche da dialoghi apparentemente insulsi… Ascoltare significa essere attenti, accogliere le parole di chi ci sta di fronte ma anche, più in profondità, tentare di ascol-tare ciò che egli vuole comunicare al di là di quanto riesce ad esprimere: per questo è necessario impegnarsi a cogliere anche il suo “non detto”, ciò che egli sottintende, addirittura nasconde. Solo attraverso questo quotidiano esercizio si può giungere a una comunicazione vera, a un ascolto autentico capace di far esister l’altro e dargli consistenza”.

Enzo Bianchi: um uomo che ascolta

Coloro che amano dovrebbero

stare spesso silenziosi.

(Charles Morgan)

GRUPPO OCCITANO “LOU SERPENT”Il gruppo nasce nel 1999 da un idea del chitarrista Marco Imberti che raccoglie con sè l’entusiasmo di giovani musicisti della provincia di Cuneo. Sul palco si alternano organetti e flauti affiancati da una forte componente rock elettrica.Dal 2003 la collaborazione con l’organettista Fausto Chiapello porta ad un lento ma marcato cambiamento, se-gno dell’evoluzione della musica del terzo millennio, che creerà quel suono folk moderno che ben distingue la for-mazione 2009 dei Lou Serpent: chitarre acustiche, per-cussioni e l’introduzione per alcuni brani della ghironda.Da sempre i Lou Serpent hanno creduto nei brani can-tati in lingua occitana, molti d’autore, e grazie alla can-tante Adriana Gazzera entrata nel 2005 offrono un valido spettacolo d’ascolto che li ha spinti a suonare molto fuori provincia.

BANDA MUSICALE CITTADINA “SILVIO PELLICO” LA RUMOROSAGià nel periodo successivo alle Guerre di Indipendenza esisteva in Boves la Banda Musicale. Nel 1902 viene fondata la Banda Musicale “Silvio Pellico”, che attualmente ha un organico di circa 40 elementi, la maggioranza dei quali sono giova-ni che hanno maturato la loro preparazione mu-sicale nella Scuola di Musica o nei Corsi Triennali di Orientamento Musicale. Ha svolto e svolge la sua attività concertistica in Francia, Spagna, a Roma presso la Santa Sede alla presenza del Santo Padre, a Mandello del Lario, a Biella, a Boves, a Cuneo ed a numerose località della Provincia, in occasione di manife-stazioni, raduni bandistici e celebrazioni com-memorative di particolare rilievo. La banda annovera tra le sue fila anche il vice-presiden-te dell’AVO Cuneo, Franco Macario.

Suoneranno il 15 settembre

30 anni di AVO Cuneo22

Un signore maturo con un orecchio acerboUn giorno sul diretto Capranica-ViterboVidi salire un uomo con un orecchio acerbo.Non era tanto giovane, anzi era maturato,tutto, tranne l’orecchio, che acerbo era restato.Cambiai subito posto per essergli vicinoE poter osservare il fenomeno per benino.“Signore, gli dissi dunque, lei ha una certa età,di quell’orecchio verde che cosa se ne fa?”Rispose gentilmente: “Dica pure che sono vecchio.Di giovane mi è rimasto soltanto quest’orecchio.E’ un orecchio bambino, mi serve per capireLe cose che i grandi non stanno mai a sentire:ascolto quel che dicono gli alberi, gli uccelli,le nuvole che passano, i sassi, i ruscelli,capisco anche i bambini quando dicono coseche a un orecchio maturo sembrano misteriose…”Così disse il signore con un orecchio acerboQuel giorno sul diretto Capranica-Viterbo.G. Rodari

Orecchio acerboLa semplicità è la gloria dell’espressione.

(Walt Whitman)

CORO POLIFONICO “PACEM IN TERRIS”Il Coro polifonico Pacem in Terris, realtà dell’Associazione Coro Pacem in Terris è una comunità di persone di diverse età provenienti da differenti realtà parrocchiali della diocesi, con lo scopo di offrire un cammino di crescita personale e co-munitaria nella fede in Cristo; strumenti di tale servizio e di tale crescita sono prioritariamente la preghiera e l’annuncio della Parola di Dio attraverso il linguaggio universale del-la musica e del canto. Il carisma del Coro consiste nel far scoprire o riscoprire la gioia della preghiera attraverso la musica e il canto. Ogni concerto è vissuto come preghiera, lode al Signore e riflessione sia dagli stessi coristi sia dai fedeli che vi assistono. Il fine del Coro si realizza se ogni partecipante adotta atteggiamenti comuni al cammino di fede della singola persona e della comunità stessa, che diano ai suoi componenti e a chiunque venga a contatto con questa realtà un aiuto concreto per vivere da cri-stiani nel mondo per manifestare la gioia della fede e lo stupore innanzi alla bellezza del creato e dell’arte, non solo attraverso il canto, ma con tutta la propria vita.

Il Coro non sostituisce in alcun modo il compito di animazione liturgica parrocchiale, al quale ogni

membro è chiamato a prendere parte nella realtà comunitaria di provenienza. Il Coro si impegna a collaborare attivamente con i cori e le cantorie

delle parrocchie ospitanti per creare un clima di fraternità e amicizia tra i membri del Coro

e le comunità dove si svolgono i concerti.

ORCHESTRA “BARTOLOMEO BRUNI” L’orchestra, intitolata ad Antonio Bartolomeo Bruni, violinista e compositore (1757-1821), viene fondata nella città di Cuneo nel 1953, per iniziativa di Giovanni Mosca, suo infaticabile animatore e direttore per mezzo secolo.In questi oltre cinquant’anni di attività artistica l’Orchestra ha portato la musica di diverse epoche e generi in centi-naia di centri grandi e piccoli della nostra Provincia, dove i concerti del «Bruni», affollati sempre da un pubblico attento e amico, costituiscono un appuntamento atteso, in molti casi annualmente ripetuto ormai da molto tempo.Costituitasi in Associazione senza fini di lucro dal 1986, ha fra i suoi scopi la capillare opera di diffusione della cultura musi-cale sul nostro territorio, rivolta in particolare ai giovani. A tal fine ha dato vita al progetto Orchestranoi che nel corso di que-sti ultimi quattro anni ha coinvolto centinaia di alunni delle Scuole Elementari di Cuneo nella pratica su uno strumento, sia individual-mente, sia in esperienze di musica d’insieme.Nel corso degli anni dalle file dell’Orchestra sono passate diecine di strumentisti, per molti dei quali l’esperienza del «Bruni» ha costituito l’inizio di un’attività professionale che li vede ora impegnati negli orga-nici delle maggiori istituzioni lirico-sinfoniche italiane.La formazione, particolarmente impegnata in ambito cameristico e sinfoni-co, é attiva ormai da alcune stagioni anche nel circuito lirico della nostra re-gione e della Liguria con esecuzioni di La traviata, Il trovatore, Nabucco, Tosca, La bohéme, Madama Butterfly, Cavalleria rusticana ed altri titoli ancora.

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PROGETTAZIONE: Supporto nell’individuazione di idee progettuali e nella loro elaborazione e presentazione. Per informa-zioni: [email protected] Ricerca, aggiornamento e comunicazione dei bandi di finanziamento pubblici e privati. Collaborazione a progetti di Associazioni di volontariato per l'avvio e la realizzazione di specifiche attività. Analisi delle esi-genze del territorio e promozione di progetti che ad esse sappiano rispondere, in collaborazione con le istituzioni pubbliche e private. Monitoraggio dei progetti sul territorio. Per informazioni: [email protected].

FORMAZIONE: Attività formative e di approfondimento organizzate e proposte da Società Solidale su temi e problematiche di interesse per il volontariato al fine di qualificarne l’attività e di diffondere la cultura della solidarietà. Attività formative di settore in collaborazione con una o più associazioni di volontariato. Per informazioni: [email protected].

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Cariche sociali Consiglio AVO così composto:- Presidente: Massimo Silumbra- Vice Presidente: Franco Macario- Consiglieri: Buzzi Mariangela, Caramia Margaria Anna, Ganarin Broilo Olga, Macario Franchino Tersilla, Ramero Bernardi Franca, Savy Adelaide- Collegio dei Probiviri: Cesana Franco, Saracco Rossaro Eliana- Collegio dei Revisori: Bagnis Enrica, Caraglio Vittorio, Marabotto Gilberta- Tesoriere: Daniela Cussino.

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Un ringraziamento sentito a chi ha sostenuto e permesso l’inziativa:

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