la verità del sangue

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Angelica Gagliardi, Fantasy Young Adult

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Page 1: La verità del sangue

Disponibile anche:

Libro: 15,00 euro (da ottobre 2011) e-book (download): 9,99 euro e-book su CD in libreria: 9,99 euro

Page 2: La verità del sangue

ANGELICA GAGLIARDI

LA VERITÀ DEL SANGUE

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Page 3: La verità del sangue

www.0111edizioni.com

www.ilclubdeilettori.com

LA VERITÀ DEL SANGUE Copyright © 2011 Zerounoundici Edizioni

Copyright © 2011 Angelica Gagliardi ISBN: 978-88-6307-389-8

In copertina: Immagine Shutterstock.com

Finito di stampare nel mese di Ottobre 2011 da Logo srl

Borgoricco - Padova

Page 4: La verità del sangue

A mia madre, per la sua infinita pazienza e la sua incondizionata fiducia in me:

mi ha insegnato a non arrendermi mai e a lottare sempre per quel-lo in cui credo.

A mio padre,

per la sua capacità di starmi accanto senza bisogno di parole: mi ha insegnato il coraggio dell’essere onesti, anche quando sembra

la via più difficile.

Insieme, mi avete insegnato l’amore.

Ai miei nonni, che mi ricordano ogni giorno che l’essere umili è la più grande

sfida e la più grande vittoria della vita.

E a te, amico mio, che sei volato in Cielo troppo presto,

insegnandomi il valore della vita e quanto essa sia preziosa.

Page 5: La verità del sangue

I° CAPITOLO. Nel salotto della villa in stile vittoriano regnava un atmosfera cupa, spet-trale: le tende di pesante broccato rosso - ormai logorate dalle termiti - che coprivano malamente le enormi vetrate della sala erano illuminare dalle fiamme del camino. Fuori, nuvole nere incupivano il cielo, già scu-ro per via dell’ora tarda. L’orologio a pendolo, unica cosa ancora funzio-nante, batté dodici rintocchi; il lampadario di cristallo, il solo oggetto ri-masto completamente intatto, defletteva la luce delle fiamme, creando ombre sinistre tutto intorno. Il tavolo di mogano lucido, lungo e rettango-lare, era il centro attorno al quale i due Signori tentavano di mantenere il controllo. Stare a contatto, per così tanto tempo, non era semplice per nessuno dei presenti. Il primo si schiarì la voce, richiamando l’attenzione sia della donna in piedi alle sue spalle, che dell’uomo seduto alle spalle dell’altro. «Il Signore degli Inferi ci ha concesso la sua presenza e il suo fuoco, per illuminare questa quanto meno inusuale riunione.» mormorò. Le fiamme del camino si alzarono di qualche centimetro. «Parla.» disse solamente l’altro. Il moro si passò una mano tra i capelli corvini, sospirando. «Credo tu sappia, Satanael.» fece notare Michael, rivolgendosi al Demo-nio chiamandolo per nome, essendo l’unico essere vivente ad averne il diritto. «Michael.» lo rimbeccò il Diavolo, dimostrando di avere anch’egli lo stesso diritto nei confronti dell’altro. La donna alle spalle del bruno arricciò il naso. «Non siamo qui per discutere i gradi di ognuno di noi. Il motivo è molto più serio.» decretò Michael, sistemandosi sulla sedia. Il Demonio sbuffò, facendo cadere una ciocca di capelli biondissimi sul-la fronte e, stendendo le lunghe gambe, poggiò i piedi sul tavolo. «Ti spiace parlare chiaramente?» gli domandò, terribilmente annoiato. «E sia. Come ben sai, fratello» al suono di quella parola Satanael quasi sputò sulla moquette «all’inizio del mese è sorta la Dodicesima Luna

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Piena dell’anno. Questo mese c’è spazio per un’altra lunazione completa, così al 31 ci sarà di nuovo la Luna Piena. La Tredicesima.» constatò l’uomo, suscitando la risata dell’altro. Satanael abbassò le gambe e si avvicinò al tavolo, poggiandovi i gomiti e tenendosi il viso con le mani; rise beffardo. «Per quanto tu possa sembra-re giovane, stai invecchiando Michael. Non vedo dove sia il problema: quando c’è spazio, dopo la Dodicesima Luna, cade sempre la Tredicesi-ma. Ti ricordi come si conta?» gli chiese, tentando di controllare la sua ilarità. «Certo Satanael, i conti tornano sempre. È per questo che sono qui. Quest’anno sono esattamente tremila anni che Derek è morto. E al 31 di-cembre ci sarà anche una Tredicesima Luna Piena.» rispose calmo Mi-chael. I Signori si guardarono intensamente: occhi azzurro ghiaccio in occhi verdi smeraldo. «Che combinazione! E che buffonata! Non dirmi che credi a quella stu-pida profezia! Chi ti ha convinto che è tutto vero? Un Arcangelo ubria-co?» domandò Satanael. Michael chiuse per un secondo gli occhi verdi, privando la stanza di due pietre preziose, per riaprirli subito dopo. «Nostro Padre.» disse in un sospiro, mentre l’Angelo dietro di lui china-va impercettibilmente il capo e il Demone alle spalle del biondo mostra-va un viso disgustato. Bastò quella frase a far cadere il silenzio in tutto il castello. Non uno spiffero osò spezzare la tensione che tagliava l’aria. Le nuvole fuori si addensarono, mentre il vento smise per un attimo di soffiare. Il Diavolo lo fulminò. «Stai dicendo che il nostro caro vecchio Padre ti ha rivelato che una Profezia, vecchia di millenni, si sta per compiere?» chiese. «Sì.» rispose semplicemente l’altro. «Ebbene?» calcò la mano Satanael. «Lo sai, Satanael. Potremo evitare di perdere solo collaborando.» si spa-zientì il bruno. «Tu, lurido schifoso!» esclamò il Diavolo, facendo frantumare i vetri della finestra, che sfrecciarono verso Michael, fermandosi a un millime-tro da lui, rimasto impassibile. «La razza umana è quanto di più mi di-sgusti a questo mondo. Cosa ti fa essere tanto stupido da convocarmi qui,

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rischiando la vita, per chiedermi di collaborare a salvare qualcosa che non vedo l’ora sia spazzata via, per sempre?» chiese. «Non puoi uccidermi, Satanael, lo sai.» gli disse Michael, indicando i pezzi di vetro. Il Diavolo rise malignamente. «Te no.» I suoi occhi di ghiaccio sfreccia-rono oltre le spalle del fratello e negli occhi verdi del Signore dei Cieli apparve la paura. «Satanael...» tentò di dire, ma era già troppo tardi. I gemiti dell’Angelo inondarono la stanza: i pezzi di vetro le si erano conficcati nel petto, sprofondandole nel cuore. Il sangue schizzò sulla parete alle spalle dell’Angelo, rovinando un magnifico dipinto. «Satanael!» urlò Michael, raggiungendo la donna. Un tuono squarciò il cielo, mentre le nuvole si addensarono intorno al vecchio Palazzo, ne-gando la vista della collina su cui sorgeva agli abitanti del villaggio. «O-ra è un Angelo! Non puoi ucciderla!» si chinò, prendendola tra le brac-cia. Il Diavolo rise di gusto. «Scommetti?» chiese, mentre, con una semplice occhiata, faceva riemergere i vetri dal petto della donna, in preda a spa-smi di dolore, per tornare, un secondo dopo, con un'altra occhiata diverti-ta, a conficcarli ancora, stavolta più in profondità. Il Demone scuro di pelle alle sue spalle ridacchiò. «Satanael, le ci vorranno mesi per morire: è un essere superiore, adesso. Non puoi farlo!» «Io sono superiore a lei. Posso eccome.» «Ti prego, salvala.» mormorò Michael, guardandolo implorante. Satanael rise ancora più forte. «Udite, Udite! Il Signore dei Cieli m'im-plora! Proprio a me! A me, che sono la rappresentazione vivente del fal-limento del suo adorato Padre, a me che sono l’Essere che più lo disgusta al mondo!» continuò, ridendo. «Ti prego...» ripeté l’uomo, tenendo tra le braccia il corpo martoriato della donna. I capelli biondissimi di lei ricadevano scomposti sulla veste di Michael. «Mi... cha... el...» sussurrò l’Angelo. Il Signore dei Cieli la guardò. «Non posso fare niente, Diana, è al mio livello. Non posso intervenire contro di lui, su altri che non siano esseri umani.» spiegò frustrato. La donna sorrise. «Tran... quil... lo. Il mio... cuore era a pez... zi già da... millenni.» disse, portandosi le mani al petto, da dove sgorgava un fiume

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di caldissimo sangue. Spostò il suo sguardo sul Diavolo, che la guardava disgustato e divertito allo stesso tempo. Il Demonio le sorrise. «Diana.» disse, chinando il capo in cenno di salu-to. L’Angelo perse i sensi. Michael si voltò di scatto verso Satanael: «Ti ama! Ti ama ancora! Come puoi lasciarla morire?» gridò, mentre le sue lacrime, cadute sul petto del-la donna, rallentavano il flusso di sangue. Il Diavolo sorrise condiscendente, come se dovesse rispiegare per l’ennesima volta la stessa cosa a un bambino. «Mio caro, sensibile e pu-ro» sputò quest’ultima parola come un insulto «Michael, a me non inte-ressa minimamente questa puttana.» disse indicandola. «Figurati i suoi sentimenti.» Si avviò verso la finestra. Michael lo guardò, disgustato. «Suvvia, Mic, non te la prendere! Io credo che ti sia andata fin troppo bene. Avrei potuto uccidere tutti gli altri Angeli che ti aspettano qui fuo-ri. Invece mi accontenterò della sua vita, per la seconda volta.» disse, prima di saltare dalla finestra e di sparire un attimo prima di toccare ter-ra, mentre la sua risata rimbombava nell’aria. Il Demone lo seguì, ridendo sguaiatamente. Michael chinò il capo sull’Angelo tra le sue braccia. Il viso era pallido, le labbra dischiuse. «Ci ho provato, Diana, perdonami.» sussurrò, sollevandola. Chiuse gli occhi un secondo, mentre la sua veste candida si macchiava di sangue. Un attimo dopo una schiera di Angeli erano radunati intorno a loro. «Portatela nel Limbo, io arriverò il prima possibile.» Si sporse verso uno degli Angeli, posandogli Diana tra le braccia, prima di scomparire. «Maledetti idioti!» urlò Satanael, rientrando nella sala del trono della sua fortezza. Il castello in cui alloggiava, precedentemente appartenuto a un lurido ti-ranno a cui aveva sottratto l’anima, era maestoso. Era stato così sublime, il volto di quell’idiota di suo fratello alla vista del corpo martoriato della bionda. Pura disperazione. Dalla finestra di quella sala, il Diavolo poteva osservare la distesa di ter-re che si aprivano dinanzi ai suoi avidi occhi.

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Aveva adorato il Settecento, con tutte quelle scoperte agricole, mentre l’Ottocento era stato un susseguirsi di rivolte e guerre (ancora meglio!). Adesso, quasi alla fine del Novecento, si ritrovava spesso a congratularsi con se stesso, per il modo in cui aveva reso quel luogo incontaminato: pareva non fossero passati gli anni e la gente viveva in un piccolo villag-gio. Il tipico luogo in cui tutti sanno tutto di tutti e in cui il miglior medi-co del paese è anche l’unico. In pratica un posto in cui vigono sempre le stesse superstizioni e credenze, in cui l’ignoranza rende la gente estre-mamente incline a peccare. Si versò un bicchiere di vino rosso e, dopo averlo bevuto tutto d'un sorso, lo lanciò con tutta la violenza possibile contro la porta. I mille pezzi di cristallo gli rimandarono la propria immagine: i capelli incredibilmente biondi e gli occhi di ghiaccio. Si distrasse per un momento, ripensando a quando, da piccolo, si chiede-va come mai lui e suo fratello fossero tanto diversi. Di come una inno-cente domanda da bambino lo avesse messo di fronte a una realtà che al-lora aveva trovato sconvolgente. Si perse con gli occhi nel fuoco del ca-mino. «Madre, madre!» «Cosa c’è, mio piccolo Angelo?» gli aveva domandato sua madre, inter-rompendo la lettura e sollevandolo in braccio. «Perché Michael ha i capelli neri e io invece li ho biondi? Non siamo forse fratelli?» Sua madre, spostandosi una ciocca di capelli corvini dalla fronte, aveva sorriso. «Ma certo che siete fratelli, Angelo mio. Ma vedi, mentre tu hai i capelli dello stesso colore del papà» aveva detto, indicando un loro ri-tratto, dipinto da un Angelo «Michael ha i capelli del mio colore.» Lui aveva storto il naso e l’aveva fissata imbronciato. «Ma guarda» aveva ripreso lei, indicando i suoi occhi azzurri «tu hai i miei stessi occhi.» Il piccolo Angelo aveva sorriso. «Ti voglio bene!» le aveva detto, ab-bracciandola. «Anch’io, Angelo mio.» Poi era entrato suo padre. «Cara, come stai?» le aveva domandato, avvicinandosi. «Bene.» aveva sorriso lei.

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Il Signore dei Cieli aveva guardato suo figlio. «Perché non sei al Corso degli Angeli?» gli aveva chiesto. «Padre, quel posto è noioso! Ci ripetono sempre le stesse cose: gli Ange-li sono esseri puri, nati per portare pace e giustizia. Gli Angeli non co-noscono la cattiveria, il male, l’invidia e la gelosia. Gli Angeli non si la-sciano sfiorare dai pregiudizi, né consentono all’egoismo di entrare nel loro cuore. Gli Angeli non sono presuntuosi, non disprezzano il prossi-mo, non peccano.» Sua madre gli aveva arruffato i capelli. «Ma che bravo, il mio giovanot-to! Hai imparato tutto a memoria!» gli aveva detto. Suo Padre era intervenuto: «Appunto, a memoria. Satanael, il fulcro del Corso, non è spiegarti cosa significa essere Angeli, ma farti diventare un Angelo nel cuore. Solo quando avrai interiorizzato e fatte tue tutte que-ste virtù, sarai un Angelo.» gli aveva spiegato. Il piccolo aveva ridacchiato. «Ma Padre, spiegatemi: voi siete il Signore dei Cieli, avete creato la Terra e gli uomini. Questi ultimi vi amano e vi temono, non farebbero nulla di malvagio. Allora perché esistono gli an-geli? A cosa servono? Non esiste niente di cattivo, né sulla Terra, né qui in Paradiso.» aveva detto, con la sua voce da bimbetto. Sua madre si era irrigidita, mentre gli occhi di suo padre avevano scin-tillato. «Figlio mio, gli uomini, per quanto siano tutti figli miei, hanno una parte oscura, nel profondo del loro cuore. Vedi, ho donato ad alcuni di loro, quelli che ritenevo più saggi, facoltà particolari: la capacità di leggere il futuro, di preparare pozioni guaritrici, di spostare oggetti col pensie-ro. L’ho fatto, perché così avrebbero potuto badare l’uno all’altro e io non avrei dovuto intervenire per aiutarli se non in caso di estremo biso-gno. Ma in alcuni di loro, la parte oscura ha avuto il sopravvento: han-no iniziato a farsi la guerra, a uccidere chi era dotato di questi poteri o di una mente brillante, per appropriarsi delle loro doti. Uno in partico-lare è spiccato sugli altri: a mano a mano, il suo cuore ha finito per riempirsi d’invidia e di odio, diventando saturo di malvagità. È diventa-to un essere maligno, che ha cominciato a cercare seguaci. E li ha trova-ti. Di conseguenza, ho dovuto formare una schiera di esseri completa-mente buoni, che aiutasse gli uomini a non cedere alla parte oscura.» gli aveva raccontato suo padre. Satanael aveva spalancato gli occhi blu, terrorizzato. «Ma è terribile.» aveva mormorato.

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Il Signore dei Cieli aveva sorriso. «Sì, figliolo, è terribile. Ma io confido che, prima o poi, gli Uomini rinsaviscano dalla pazzia alla quale si ab-bandonano. E se non riuscissi a vederlo con i miei occhi, sono certo che tu e tuo fratello riuscirete, insieme, in questo intento.» gli aveva detto, accarezzandogli la testa. Il piccolo era balzato a terra. «Te lo prometto, Padre.» «Apparite!» urlò. Un attimo dopo, cinque dei suoi più potenti e fidati Demoni, comparvero inginocchiati di fronte a lui. «Il Signore degli Inferi ci ha chiamati?» domandarono. Il Diavolo si versò un altro bicchiere di vino. «Convocate la vecchia strega.» «Perdoni la mia impertinenza, Signore, ma lei ha giurato a quella donna che l’avrebbe lasciata in pace in cambio...» Satanael schioccò le dita e il Demone esplose. «Ho detto chiamatemi la donna.» disse di nuovo. Gli altri quattro sparirono all’istante. Giurato? Il Diavolo rise. Un vero giuramento si firmava col sangue. «Oh mio Dio! C’è sangue dappertutto!» aveva sentito urlare. Era notte, camminava sulla Terra, poco lontano dal suo palazzo. Si dilettava ad ascoltare le assurde leggende che lo dipingevano come un essere cornuto - cosa che gli piaceva ben poco - e orribile, con un anello al naso, che viveva sottoterra. Che cosa avrebbero pensato quegli stupidi contadini del suo meraviglioso Castello? Certo, era estremamen-te diverso da quello in cui aveva abitato da bambino, ma era ugualmente regale. Quale più grande soddisfazione poteva trovare, se non la consapevolez-za che era proprio grazie a quei luridi esseri, gli umani, che poteva vive-re in superficie? Il suo mentore e maestro gliel’aveva spiegato: più c’è malvagità sulla Terra e nei cuori degli uomini, più i Demoni possono re-stare sulla Terra. Inizialmente vi aveva passato solo pochi anni. In seguito, grazie a tutte le malvagità che aveva commesso e fatto commettere agli uomini, aveva potuto stabilirsi sulla Terra a tempo indeterminato (cosa che faceva po-co piacere al suo caro fratellone).

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Sempre più di frequente, infatti, aveva visto arrivare schiere di giovani Angeli, pronti a difendere i loro protetti, a guidarli. E sempre più di fre-quente gli stessi erano morti per mano dei suoi Demoni. Si era avvicinato alla casa in questione, curioso di sentire chi provocas-se tanta paura, magari per complimentarsi con lui. Si era affacciato all’unica finestra: illuminata da una candela, una giovane donna, suda-ta e sporca di sangue, era intenta a passare le mani sul petto di un’altra donna, stesa invece in un letto dalle lenzuola sudice. «Oh Signore Dio, che sei nei Cieli...» aveva mormorato una terza donna, più anziana, in piedi accanto a lei. Satanael aveva storto la bocca, infastidito. Perché mai invocavano sempre suo Padre o suo fratello? «Ora basta, Margaret, così non mi aiuti!» aveva detto la bionda, mentre si allungava per terra, infilando una mano in una specie di borsa nera da medico ed estraendone una lama affilata. Nel piegarsi, la camicetta candida di lei, si era tirata sul petto, mostrandogli il seno prosperoso. «Cosa volete fare?» le aveva domandato la donna più anziana, fissando terrorizzata la lama. «Devo aprire di più la ferita, per ricucire i tessuti interni, altrimenti mo-rirà con un emorragia.» aveva spiegato brevemente la bionda. «Voi dovrete aiutarmi, Margaret.» aveva aggiunto, fissando intensamen-te la donna con i suoi occhi verdi. «Io? Oh no, Diana, vi prego, non potrei.» la vecchia donna aveva co-minciato a indietreggiare, fino a urtare un enorme cassettone con la schiena. La bionda, Diana, si era alzata anche lei, mostrando per intero la sua figura alta e snella. La gonna, stretta all’altezza della vita, le ricadeva morbida fino ai piedi. Aveva avanzato verso la donna. «Margaret, ascoltami: non posso farlo da sola. Mi serve che tu mi passi tutti gli strumenti che ti chiedo e che la tenga ferma.» le aveva detto, in-dicando la giovane donna incosciente nel letto. Satanael l’aveva guardata meglio: aveva la veste da notte strappata sul petto e, poco più in basso dello stomaco, una profonda ferita da taglio. La donna chiamata Margaret aveva tremato. «Vuoi aiutarmi a salvarla?» le aveva chiesto Diana, stringendole le ma-ni. «Va... va bene.»

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La giovane donna le aveva sorriso, mentre tornava a sedersi accanto al letto. «Mettiti qui.» aveva suggerito a Margaret, indicandole lo spazio tra la sua sedia e il piccolo comodino traboccante di bende, aghi, lacci. «Adesso, inciderò in questo punto.» Aveva tracciato il profilo della ferita con il dito. «E lei riprenderà conoscenza. Dovrai tenerla ferma, o ri-schierò di compromettere qualche organo.» Margaret aveva annuito, in lacrime. «Inizio.» aveva sussurrato Diana, passando la lama sulla candela più volte. Non appena l’ebbe posata sulla pelle della donna, lei aveva sussultato, spalancando gli occhi e la bocca contemporaneamente. Aveva comincia-to subito a urlare. «Margaret! Tienila giù!» aveva urlato la bionda. La vecchia donna aveva premuto le mani sulle spalle della giovane, co-stringendola a ristendersi. «La prego, signora, la prego...» aveva mormorato alla donna distesa, per calmarla. «Vi... vi ucciderà!» aveva urlato lei a Diana. «Vostro marito?» aveva chiesto la bionda, mentre, con abilità estraeva la lama. La donna nel letto aveva tirato un sospiro prima di rispondere. «Sì, lui vi uccide... rà... perché mi state salvando.» Diana aveva sorriso. «Per il momento vostro marito non è qui. E anche se lo fosse, non vi lascerei morire.» La donna aveva stretto gli occhi. «Grazie.» La bionda si era rivolta poi a Margaret. «Mi servono delle bende.» le aveva detto. La vecchia aveva guardato preoccupata la donna nel letto. « Potete lasciarmi, Margaret. Starò ferma.» l’aveva rassicurata lei. La donna le aveva lasciato le spalle e si era voltata a prendere le bende dal comodino. «Mi chiamo Catherine.» «Diana.» Satanael aveva fissato divertito la scena: dove si trovava il marito di quella donna? A ubriacarsi in qualche bordello, sicuramente. Aveva sperato che si decidesse a tornare a casa, per vedere la reazione della bionda.

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«Ecco.» aveva detto Margaret, porgendo a Diana le bende. «Stringi i denti.» aveva sussurrato lei a Catherine. Aveva tamponato la ferita ripetutamente. Quando fu certa che il sangue era stato, in gran parte, asciugato, aveva preso ago e filo. Dopo aver passato anche l’ago sulla fiamma, aveva ricucito i tessuti; la pelle della donna era livida. Catherine aveva stretto i denti, mordendosi le labbra. Margaret le aveva preso una mano. «Ho finito.» le aveva detto Diana, asciugandosi la fronte. La donna aveva sospirato. «Grazie.» Margaret aveva ricominciato a piangere. «Oh, Signora, che spavento! Ho temuto fosse morta!» Diana aveva sorriso. «È corsa a casa mia, sembrava spiritata. Sono riu-scita a prendere la borsa giusto in tempo, prima che mi trascinasse via. Deve volerle davvero molto bene.» aveva detto. Catherine aveva assentito, sfinita. «Margaret era la mia bambinaia. Mi ha cresciuta e quando i miei genitori hanno firmato il contratto matri-moniale mi hanno promesso che avrei potuto portarla con me.» Diana aveva annuito. «Perché le ha fatto questa?» le aveva chiesto, in-dicandole la ferita. «Gelosia. È convinto che non appena lui esce di casa il mio amante mi raggiunge.» le aveva risposto la giovane. «L’ha ferita e poi è uscito?» Catherine aveva annuito di nuovo. «In genere si limita a pestarmi, finché non ho più la forza di muovermi. Oggi ha passato il segno.» aveva detto, mentre una fitta di dolore le aveva invaso il corpo. «Deve restare a letto. Almeno il tempo necessario affinché si rimargini.» Diana aveva estratto una boccettina verde scuro dalla borsa. «E beva questo. Tre gocce, insieme a del vino bianco, ogni giorno.» Si era alzata. «Devo andare.» L’altra aveva sorriso. «La prego, mi dica come posso ricompensarla...» «Non ce n’è bisogno, si riguardi.» aveva risposto la bionda, mentre Margaret l’accompagnava alla porta. Satanael l’aveva seguita, rendendosi solo un ombra. La donna aveva in-dossato un semplice mantello. L’aveva vista stringersi nelle spalle per via del freddo: c’era la nebbia e l’umidità invadeva i vestiti, inzuppan-doli. La donna aveva camminato lungo lo stesso villaggio in cui viveva

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adesso il Diavolo, solo in un’epoca diversa, circa centocinquanta anni prima. Dopo aver svoltato a destra, l’aveva vista entrare in una piccola locan-da, l’unica abitazione sopravvissuta fino a ora e con la stessa proprieta-ria. Era rimasto in attesa per qualche secondo, poi una luce si era acce-sa in una delle finestre dell’ultimo piano. Aveva sorriso, malefico. «Mio Signore.» chiamò una voce. «Appari.» disse il Diavolo. Un Demone comparve nella stanza, insieme con una vecchia donna: completamente vestita di nero, i capelli grigi e le unghie a punta. «Lasciaci.» ordinò il biondo. Il Demone s’inchinò prima di svanire. «Vecchia Brisea.» mormorò il Diavolo, versandosi un nuovo bicchiere di vino rosso. «Cosa vuoi da me?» chiese la donna, senza voltarsi. Satanael sorrise. «Suvvia, che scortesia è mai questa! Sto cercando di es-sere... civile.» disse. La donna si girò verso di lui: i suoi occhi vitrei lo penetrarono. «Parla, Diavolo, cosa vuoi da me?» Lui sospirò, trangugiando il contenuto del bicchiere. «Vai dritta al sodo, Brisea, proprio come Diana. È una peculiarità che ammiro molto.» la provocò. Al sentir pronunciare il nome della giovane, la vecchia chiuse gli occhi, mentre i cristalli del lampadario cominciavano a tremare. «Non osare nominarla, non puoi, non più: fa parte della schiera degli Angeli e non hai più potere su di lei.» gli intimò, consapevole che non avrebbe mai potuto spaventarlo. Satanael rise, avvicinandosi alla donna e posandole le mani sulle spalle. A quel contatto, la strega si ritrasse, come se si fosse scottata. «Per questo ti ho convocato qui, mia cara strega. Quanti anni hai, Brisea? Quattrocento?» le chiese. «Trecentoventi. Che vuol dire che mi hai chiamata per Diana?» chiese la donna, agitandosi. Satanael si accarezzò il mento. «Mi ha sempre affascinato l’aspettativa di vita di voi streghe: ne ho conosciute di trecento, quattrocento, addirittura cinquecento anni. Davvero affascinante.» constatò il Diavolo. «Parla.» lo interruppe lei.

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Il Diavolo sbuffò. «D’accordo, ma ricorda che l’hai chiesto tu: oggi il mio caro fratellino ha deciso di farci il grande onore di venire a trovar-ci.» spiegò. Brisea affinò l’udito. «Michael è sceso sulla Terra?» domandò, incredu-la. Il Signore dei Cieli era ormai vecchissimo e suo Figlio Michael ne face-va le veci, scendendo sulla Terra solo nei rari casi di una minaccia e-stremamente pericolosa. Satanael annuì, certo che lei lo potesse vedere. «Sì, con una grande scor-ta di deliziosi Angioletti al seguito. Tra i quali...» terminò la frase a metà, lasciandole intendere la fine. «Diana.» mormorò la donna, mentre gli occhi ciechi le si inumidivano. «Sì, Diana.» confermò lui. La donna si portò le mani al cuore. «Perché mi dici questo?» Il Diavolo le girò intorno. «Vedi, i discorsi del mio santo fratellino mi annoiavano e così ho deciso di dare una scossa alla riunione...» rise. La donna sussultò. «Cosa le hai fatto?» gli chiese, terrorizzata. «Niente di che, l’ho uccisa.» Il respiro di Brisea si mozzò. Vacillò, tenendosi entrambe le mani strette sul cuore. «Maledetto, maledetto!» urlò, accasciandosi a terra, in sin-ghiozzi. Satanael s’inginocchiò accanto a lei e le prese le mani. «Su, Brisea, non piangere. Sapessi com’era bella, con tutte quelle schegge di vetro nel cuore. Oh, quasi dimenticavo: prima di chiudere gli occhi, mi ha chiesto di salutarti.» le sussurrò dolcemente. «Sei un bastardo.» disse lei, ritraendo bruscamente le mani. «Perché non mi uccidi e la fai finita?» gli disse. Il Diavolo, sinceramente contrariato, le accarezzò una guancia. «Oh, no, no, no, no! Mia cara, pensa che spreco sarebbe, ucciderti adesso! Ora che mi servi più che mai!» disse. La donna rise amaramente. «Cosa ti fa essere così stupido da credere che io ti aiuterò?» Satanael si unì alla sua risata. «Il semplice fatto che ti potrei torturare fi-no a quando non m’implorerai di riservarti la stessa morte che ho dato alla tua ignobile figlia non basta?» chiese. La donna scattò in piedi. «Fallo.» lo sfidò.

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Il Diavolo la imitò, battendo le mani. «Brava, Brisea, complimenti, vedo che non mi temi. Bene, vediamo se ho qualcosa di più allettante da of-frirti.» le disse. «Niente di ciò che hai mi interessa.» rispose ferma la donna. «Sicura? Nemmeno la vita di Diana?» La donna sussultò. «Hai detto che...» si interruppe, confusa e speranzosa. «Che l’ho uccisa? Mi sorprendi mia saggia strega: non ricordi che gli Angeli sono esseri superiori, e, a differenza dei Demoni, impiegano mesi a morire? Devono prima perdere tutti i loro poteri, diventando normali esseri umani. Io l’ho ferita, io posso curarla. È inutile che chiedi aiuto a Michael, se non sei stupida, mi crederai. Se tu mi aiuti, io le salverò la vita. Hai la mia parola.» le disse. La vecchia rise. «La tua parola? Non vale niente.» sbottò lei. Lo schiaffo fu talmente violento che la fece cadere distesa per terra. Il sangue che le usciva dalla ferita alle labbra cominciò a gocciolare sul pa-vimento di marmo nero. «Non osare mai più insultare il mio orgoglio, lurida sgualdrina. Un vero giuramento si firma col sangue.» le disse, chinandosi a prenderle una goccia di liquido rosso col dito. Lei si ritrasse, terrorizzata. Il Diavolo si avvicinò al tavolino di cristallo, prendendo una coppa d’oro. Schioccò le dita, facendo comparire un pugnale. Si ferì la mano e fece gocciolare il suo sangue nella coppa. Poi afferrò la donna per un braccio, costringendola ad alzarsi. Le prese la mano e le incise il palmo. Brisea non emise alcun suono. Il sangue di entrambi si mescolò, sollevando riccioli di fumo, e poi scomparve. Il Diavolo leccò la sua ferita, che si richiuse all’istante. «Ora, ascolta cosa voglio da te.» disse alla donna.

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II° CAPITOLO «Brisea, non credi di aver rischiato troppo, questa volta?» le chiese la donna alla sua destra. I capelli ricci le incorniciavano il viso grazioso, scuro, come i suoi occhi. «Non ho altra scelta, Medea: si tratta di Diana.» rispose la vecchia, get-tando una manciata di erbe all’interno di un mortaio. Il vento batteva alla finestra, facendo tremare i vetri. Medea chiuse le tende, impedendo la visuale dall’esterno. Nonostante fosse passato molto tempo, chi praticava la magia non era ancora visto di buon occhio. Si av-vicinò alla vecchia strega, intenta a pestare le erbe. Brisea si perse nei ricordi di ciò che era accaduto poche ore prima. «Cosa ci guadagneresti tu?» gli aveva chiesto. «Non sono affari tuoi.» aveva risposto il Diavolo, accendendosi una si-garetta. «Credevo che tutto ciò che fosse umano ti disgustasse.» aveva detto la strega, alludendo al fumo. Satanael aveva riso. «Questa» aveva sollevato la sigaretta «è una delle poche cose che si salva.» Brisea si era alzata dalla poltrona su cui lui l’aveva spinta. «Fammi portare fuori.» aveva detto. Il Diavolo aveva sorriso. «Non gradisci la mia compagnia, Brisea?» le aveva chiesto. «No.» era stata la secca risposta. Satanael aveva sbuffato. «D’accordo, farò a meno di te. Ti consiglio di cambiare atteggiamento, comunque: potrei ucciderti semplicemente schioccando le dita.» le aveva detto, mentre brividi avevano invaso la schiena della donna. «Sai cosa voglio e per il momento non mi servi più.» aveva concluso il Diavolo. La donna si era avvicinata di qualche passo. «Come faccio a sapere che non ucciderai la ragazza?» aveva chiesto.

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Satanael si era alzato dalla poltrona nera. «Non lo puoi sapere.» l’aveva sfidata. «Allora non l’avrai.» «Devo ricordarti di Diana?» aveva aspirato un’altra boccata di fumo. La donna aveva sussultato. «Che tu sia maledetto!» aveva ruggito, stringendo i pugni. Satanael aveva schioccato le dita, ridendo. «Lo sono già.» aveva detto, mentre un Demone era comparso alle spalle della strega e poi era scomparso nuovamente con lei. «Ma ragiona: Diana è un Angelo ora, lui non può ferirla. E poi, il Signo-re è suo marito. Non la lascerebbe morire.» insistette la donna. Brisea, afferrando un pugnale d’argento, si voltò appena verso Medea. «Ascolta: tu sei giovane e capisco che tutto questo ti sembri assurdo, ma io non posso lasciare che la storia si ripeta senza fare nulla. Satanael e Michael sono allo stesso livello, l’uno non può prevalere sull’altro, se si scontrano apertamente. I loro poteri si contrastano solo sugli esseri uma-ni e, come hai detto tu, Diana ora è un Angelo.» si tagliò un dito, facendo cadere qualche goccia di sangue nel mortaio, poi ricominciò a pestare. «Allora» sospirò infine la riccia «cosa devo fare?» domandò. La vecchia strega sorrise. «Niente che ti metta in pericolo: prendi un gruppo di sorelle, massimo tre di voi, le più fidate. Attraversa il Confine, fino ad arrivare all’Antica Dimora. Assicurati che le barriere siano intatte e forti, che possano reggere attacchi di qualunque genere. Io vi raggiun-gerò lì con la ragazza.» spiegò Brisea. «L’Antica Dimora?» chiese incredula la strega. «Sì.» rispose la vecchia, posizionandosi al centro della stanza. «È davvero lei, allora.» mormorò Medea, sistemando quattro candele, rappresentanti i quattro elementi, intorno a Brisea. «Non ne ho dubbi.» rispose la strega, mentre si portava il mortaio alle labbra. «Mamma?» una voce dolce e sottile chiamò dal fondo delle scale. «Ci sei?» La bambina non ne era certa, ma le parve di sentire un’imprecazione det-ta sottovoce. «Arrivo, tesoro.» rispose rauca la voce di una donna.

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La bambina andò in cucina, dirigendosi immediatamente verso il frigori-fero: era affamata. Si versò un picchiere di succo di frutta mentre apriva una merendina. Si sedette su uno degli sgabelli attorno al tavolo della cucina a isola, soddisfatta. «Com’è andata a scuola?» chiese sua madre, entrando. «Bene. Oggi la maestra mi ha chiesto se conoscevo i nomi dei movimen-ti che fa la Terra, sia su se stessa, che intorno al sole: mi ha messo bra-vissima.» le raccontò la piccola. La donna sorrise, lisciandosi il tailleur grigio. «Sono fiera di te.» disse. La bambina rise, mostrando i denti sporchi di cioccolato. «Cosa ti ho detto riguardo ai dolci prima di pranzo, signorina?» «Ma mamma, avevo tanta fame!» protestò lei. «Se mi avessi dato un minuto, ti avrei preparato il pranzo.» ribatté la donna. «Ora fila a lavarti le mani e poi vieni a tavola.» le disse. La bambina sbuffò, alzandosi e correndo fuori. Rimasta sola, la donna si avvicinò al tavolo nella sala da pranzo, poi vi passo sopra una mano, accarezzandolo: poco dopo, la tavola era perfet-tamente imbandita. «Sei certa che funzioni?» domandò la riccia. La vecchia strega annuì. «È molto che non invoco un Angelo, ma ricordo i passaggi perfettamente.» rispose. Medea si accomodò sulla panca del piccolo tavolo di legno scuro, co-sparso d’ingredienti di tutti i tipi: c’erano spezie e oli ricavati da piante velenose, semi e polveri. Non mancavano una grande varietà di strumen-ti: dai tipici mortai alle coppe d’oro, dalle semplici bamboline voodoo a specchi finemente decorati a mano. Mentre Brisea ripeteva la formula per la terza volta, una sottile luce co-minciò a spargersi nella stanza, concentrandosi poi in un punto. Poco dopo, Michael apparve. Medea saltò in piedi, inchinandosi subito dopo. «Signore.» mormorò, impacciata. Lui sorrise. «Tu devi essere Medea, è un piacere conoscerti.» le disse. La giovane strega arrossì. «È un onore per me.» rispose. Michael si avvicinò a Brisea, prendendole le mani. «Brisea.» sussurrò. «Michael.» la donna chinò leggermente il capo in segno di saluto.

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«So perché mi hai invocato.» disse lui, senza darle il tempo di spiegare. «È vero, Diana è stata ferita, ed è stato Satanael a ferirla.» le confermò. La vecchia strega assentì. «Il Diavolo mi ha convocato stasera.» Il volto del Signore s’incupì. «Che cosa voleva da te, Brisea?» chiese. La donna si avvicinò al fornello, versò alcune spezie in un bollitore e ac-cese il fuoco. Immediatamente, un profumo di cannella invase l’aria. Brisea versò il liquido in due tazze, porgendone una a Michael e una a Medea. «Brisea, io posso andare... se...» mormorò quest’ultima, sentendosi im-barazzata. «No, devi ascoltare anche tu.» rispose lei, versandosi una tazza di bevan-da e accomodandosi. «Siediti, Michael.» ordinò. «Andras!» esclamò il Diavolo. Subito il Demone apparve, inchinandosi al suo cospetto. «Alzati, amico mio.» gli disse Satanael, tendendogli una mano. L’altro rise, afferrandola. «Siamo sentimentali, Satanael?» chiese. «Non tirare la corda, Andras, sono sempre il Diavolo.» «E io sono sempre il tuo unico amico.» rispose il Demone. Il Diavolo rise. «Touché.» gli porse un bicchiere di vino rosso, che l’altro prese volentieri. Si sedettero sulle poltrone di seta nera, sorseggiando. «Cosa ti serve?» chiese il Demone. «Oggi ho incontrato il mio caro fratello.» spiegò Satanael, mentre An-dras, stringendo gli occhi scuri come la notte, annuiva. «Mi ha parlato di una Tredicesima Luna.» continuò, lasciando che l’altro facesse le proprie deduzioni. Deduzioni che non tardarono ad arrivare. «Cazzo.» fu il commento. Il Diavolo annuì. «Sta tornando, Andras.» mormorò. Il Demone ghignò. «Sono il Capo della Sicurezza, Satanael, dirigo trenta Fazioni di Demoni: non passerà.» disse serio, sorseggiando nuovamente la bevanda. Satanael sorrise. «Mi fido di te, ma conosci le regole. Ci serve la ragaz-zina.» sussurrò pensoso, facendo roteare il bicchiere e il resto del suo contenuto. Andras si grattò le guance coperte di barba. «Vuoi che parta adesso?» domandò.

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Il Diavolo rise. «Io dovrei scomodare il Capo dei miei Demoni per una lurida umana?» «E allora perché mi hai convocato?» chiese il Demone, versandosi altro vino. «Vai a caccia Andras: voglio una donna. Una donna forte, che si ribelli.» gli ordinò, ripetendo le stesse parole di quasi ogni notte. «Sarò qui prima dell’alba.» disse il demone, prima di ruggire. Si alzò e, lentamente, il suo viso si tirò, mentre le sue unghie si allunga-vano. Gli occhi si assottigliarono, diventando completamente neri. Il Diavolo sorseggiò compiaciuto l’ennesimo bicchiere di vino e ghignò, pregustando il piacere che gli avrebbe dato sottomettere una donna, l’ennesima. Si voltò verso il fuoco, dove bruciavano i resti dell’ultima arrivata. «Papà, non spegnere la luce.» sussurrò la piccola, mentre i genitori le si-stemavano le coperte. L’uomo sorrise. «Ci siamo noi qui accanto, principessa, non aver paura.» le disse, dandole un bacio. Sua madre si chinò su di lei. «Fa’ sogni d’oro, piccola mia.» posò il libro di favole su comodino. «Domani finiremo la storia.» le promise. La bambina si accoccolò felice sotto le coperte, stringendo il coniglietto bianco a sé e i genitori uscirono, avviandosi verso la loro camera. L’uomo entrò in bagno, avvicinandosi alla vasca: toccò appena il fondo che, un attimo dopo, era pieno di acqua calda e di schiuma. «Dunque Michael, dimmi: come sta Diana?» chiese la strega, cercando di trattenere il tremore. L’Angelo chinò il capo, porgendole la mano. «Guarda tu stessa.» La donna sussultò: era troppo tempo che non entrava nella mente di qualcuno, figurarsi in quella del Signore dei Cieli. Fece un profondo re-spiro, mentre Medea la guardava, pallida. Brisea posò delicatamente una mano su quella di Michael. Avrebbe vissuto nei panni dell’Angelo tutto ciò che avrebbe visto. Aveva attraversato una barriera d’acqua protettiva, arrivando nel Lim-bo. Si era guardato intorno: tutto era di un grigio pallido, quasi bian-

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co. Gli Angeli stavano volando da una parte all’altra: racchiusi all’interno di piccoli e semitrasparenti bozzoli, i cuoricini dei prossimi nati stavano battendo rumorosamente. Quando qualche bozzolo si apriva, subito un Angelo prendeva il piccolo cuore tra le mani, per avvicinarsi poi alla sommità del cielo e attendere il soffio divino. Dopodiché il cuoricino era immerso nel fiume sottostante che l’avrebbe portato sulla Terra. Michael era rimasto, come sempre, incantato da quei gesti. Si era riscosso poco dopo, aveva attraversato il Limbo e poi una tenda d’aria, che portava al reparto degli Angeli feriti. Impalpabili fiocchi di nuvole costituivano i letti dei feriti. Aveva indivi-duato Diana e le si era avvicinato: era pallida, spenta. «Come sta?» aveva chiesto all’Angelo accanto a lui. «Non bene.» aveva risposto lei. Michael le aveva preso una mano, portandosela al viso e chiuse gli oc-chi. «Mio Signore...» aveva mormorato l’Angelo. «Sì?» aveva risposto lui, riaprendo gli occhi. «Mi perdoni, ma ho bisogno di sapere da chi è stata ferita.» Il Signore dei Cieli aveva chinato il capo. «Mio fratello.» aveva detto, sottovoce. L’Angelo aveva annuito, senza proferire parola. «Michael.» aveva detto la donna, lasciando da parte i convenevoli. «Ci conosciamo da quando frequentavamo il Corso, io tu e... lui.» aveva mormorato. «Sì, Hariel, per questo lo sto dicendo a te: mi fido.» «Le tue lacrime possono concederle qualche giorno, ma niente di più.» Michael aveva annuito, richiudendo gli occhi. «Lo so.» «Devi andare da lui, devi convincerlo.» «Hariel, l’ultima volta che sono stato da lui, ha ferito a morte Diana! Sembra che tutti, di fronte all’arrivo della Tredicesima Luna, abbiano dimenticato gli ultimi millenni: Satanael non è più mio fratello. È l’essere più malvagio che ci sia. È il Diavolo.» non si era reso conto di avere quasi urlato. «Padre?» aveva chiamato una vocina. Il Signore dei Cieli si era voltato, senza lasciare la mano di Diana. Aveva visto suo figlio, i capelli biondissimi come quelli di sua madre e gli occhi verdi come i suoi, mano nella mano con suo Padre.

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«Mio Signore.» si era inchinata Hariel al Signore dei Cieli. «Mia cara Hariel.» aveva risposto lui. «Vi lascio.» aveva detto la donna, volando via. Michael aveva guardato suo Padre. «Perché l’avete portato qui?» gli aveva chiesto. «Voleva vedere sua madre, non è forse così, Emmanuel?» aveva risposto l’uomo, guardando il nipotino. «Sì, nonno.» aveva confermato il bambino, lasciandogli la mano e avvi-cinandosi a suo Padre. «Cos’ha mia Madre?» aveva domandato, sollevandosi in aria, poiché il letto era troppo alto per lui. Suo Padre lo aveva preso in braccio. «Tua Madre non sta bene, Emma-nuel. È ferita.» aveva spiegato al bambino, che si era chinato ad acca-rezzare il viso di Diana. «Come si è ferita?» aveva domandato, mentre Michael aveva lanciato un’occhiata a suo Padre. «Ne riparleremo, ora da un bacio a tua Madre e poi torna al Corso.» Il piccolo Angelo era sfuggito alle braccia del Padre. «No. Voglio sape-re quando potrò tornare a trovare la mamma.» aveva detto. «Emmanuel...» Michael era pronto a una ramanzina. «Molto presto, piccolo mio.» era intervenuto il nonno, tendendogli la mano. «Me lo prometti?» gli aveva chiesto il piccolo. «Te lo prometto.» aveva sorriso il Signore dei Cieli, accarezzando la fronte di Diana, che aveva ripreso un leggero colore. Emmanuel era tornato a sollevarsi in aria, nonostante lo sforzo che gli fosse costato: era ancora alle prima armi con le lezioni di volo. Aveva sfiorato la guancia della Madre con un leggero bacio, mentre una lacrima di lei gli aveva bagnato le labbra. «Ti voglio bene Madre.» le aveva sussurrato, prima di voltarsi verso il Padre. Michael gli aveva teso le braccia e il piccolo Angelo vi si era gettato dentro. Il Signore dei Cieli aveva stretto suo figlio. Brisea si sentì afferrare le spalle. Solo allora, si rese conto di avere avuto un mancamento. «Ti senti bene?» le chiese pallido Michael.

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«Adesso, sì.» sussurrò la donna, ancora scossa. L’Angelo era tornato al suo posto, col volto più angosciato di prima: ri-vivere quei momenti era stato doloroso anche per lui. «Emmanuel vi somiglia molto.» gli disse, ripensando al piccolo, biondis-simo Angelo. Michael annuì. «Mi ricorda molto Diana.» sorrise, malinconico. «Come avete fatto a convincere il resto degli Angeli?» domandò Brisea. Conoscendo i forti valori e il temperamento degli Angeli, non si sarebbe meravigliata se Michael le avesse detto che non ci erano riusciti. «Te lo farei vedere, ma credo che tu abbia bisogno di riposo.» le rispose l’Angelo. «Non importa, mi basta sapere che ci aiuteranno.» disse la strega. Medea si agitò sulla sedia e, per la prima volta dall’apparizione di Mi-chael, prese la parola. «Aiuteranno? A proteggere la bambina?» chiese, imbarazzata. Brisea le sorrise gentilmente. «Sì, Medea.» le disse. «Ma io credevo... che dovessero essere le streghe a proteggerla...» mor-morò, confusa. Michael si accomodò meglio sulla sedia, mentre Brisea si affrettava a spiegarle. «Vedi, Medea, in realtà a proteggere questa piccola umana dovranno es-sere ben tre fazioni distinte: gli Angeli, le Streghe e i Demoni.» disse. Medea sussultò. «I Demoni?»– le uscì quasi come un urlo. Michael intervenne per tranquillizzarla. «La cosa non fa impazzire di gioia neanche me.» le rivelò. «Ma queste sono le regole, queste sono le clausole della Profezia.» spiegò, tentando di convincersene anche lui. Medea prese un profondo respiro. «Ma io credevo che fosse tutta colpa dei Demoni... allora perché dovremo aiutarli?» domandò. Brisea intervenne. «Perché siamo molto meglio di loro. Perché ne va del-la vita di una bambina innocente. Perché questa cosa avrà ripercussioni su tutti noi. Per Diana. Ognuno ha le sue ragioni.» disse la strega. Medea chinò il capo, sotto quell’informale richiamo. Michael prese nuovamente la parola. «Molto bene, Brisea, ora spiegami: mio fratello ha negato a me il suo aiuto, perché l’ha offerto a te?» le do-mandò. «Mi ha fatto giurare, un giuramento firmato con il sangue, che gli avrei dato qualcosa in cambio. Qualcosa che lui desidera, qualcosa che non potrebbe mai ottenere da solo.» confessò la donna.

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Michael sbiancò. «Brisea... cosa gli hai...» balbettò. La vecchia strega chinò il capo. «L’ho fatto per Diana.» sussurrò. «Mio Signore.» mormorò una voce divertita, precedendo la comparsa di Andras e, insieme a lui, un altro Demone si chinò al cospetto di Satanael, senza però lasciare il braccio della giovane donna che portava con sé. «Aaman.» lo salutò il Diavolo, facendogli cenno di alzarsi. «Mostratemi cosa avete per me.» disse. Il Demone ghignò, spingendo la giovane malamente più avanti, mentre Andras faceva lo stesso con l’altra. Satanael le guardò come se fossero opere a una mostra e lui dovesse de-cidere se acquistarle o gettarle via: erano entrambe alte, magre, dalle forme morbide. Il viso spaventato della prima rimandava a quello terro-rizzato della seconda. Entrambe bionde, con gli occhi miele. «Sono sorelle, non hanno più di vent’anni.» spiegò Andras. «Chi siete? Perché ci avete condotte qui?» chiese la donna a sinistra, stringendosi alla sorella. Il Diavolo rise. «Non parlare, se non sei interpellata.» disse, girando at-torno alle due ragazze. «La prego, Signore...» mormorò l’altra, spaventata. Satanael si avvicinò, fissandola negli occhi. «Taci.» le intimò. Le due giovani chinarono il capo, stringendosi tra loro e cercando di co-prirsi alla meglio, dato che erano in camicia da notte. «Dove le avete trovate?» chiese il Diavolo ad Andras. Il Demone si sedette al solito posto. «Erano in una casa non troppo lon-tano dal villaggio.» spiegò. «Dormivano con la finestra aperta.» aggiun-se. Satanael sorrise. «E tu ne hai approfittato.» ironizzò. L’altro sghignazzò. «Come ti chiami?» chiese alla ragazza a sinistra. «Erika.» rispose lei, tenendo gli occhi bassi. Il Diavolo si accese una sigaretta e, espirando una nuvola di fumo, mor-morò: «Erika. Prendo lei. Dell’altra, fatene ciò che volete.» disse, mentre l’interessata lo fissava terrorizzata. Andras si alzò, avvicinandosi all’altra giovane, mentre Aaman faceva lo stesso. Le due ragazze si abbracciarono, singhiozzando. Satanael fece un segno ai Demoni, che le afferrarono per le spalle, separandole senza fati-

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ca. Le giovani cercarono di dimenarsi, ma la forza sovrumana degli esse-ri che le tenevano impedì loro qualsiasi movimento. «No, vi prego...» urlava la ragazza tra le braccia di Aaman, guardando con occhi supplicanti prima la sorella, poi Satanael. Quest’ultimo la fissò disgustato. «Portatela via.» disse. La ragazza di nome Erika si voltò verso di lui. «Dove la portano?» chie-se, mentre una profonda angoscia le inondava gli occhi. «Non sono affari tuoi.» le rispose Andras, strattonandola appena. Dopodiché sparì, seguito dall’altro Demone che aveva con sé l’altra gio-vane. Erika rimase in piedi in mezzo alla camera, fissando, in stato di shock, il punto in cui sua sorella era svanita. «Bene, veniamo a noi.» mormorò Satanael, avvicinandosi. «Cosa vuoi da me?» domandò la ragazza, indietreggiando. Il Diavolo rise. «Voglio il tuo corpo.» le disse, spingendola sul letto. «E la tua anima.» aggiunse, schioccando le dita e accendendo la candela sul-lo specchio dietro di loro. La ragazza chiuse gli occhi, terrorizzata. «Rivedrò... mi... mia sorella?» chiese, stringendosi le gambe al petto. «Prima di quanto pensi.» fu la risposta divertita. Michael salutò Brisea. «Allora, domani mattina, all’alba, ti raggiungerò qui. Insieme a me, ci saranno due dei miei più fidati Angeli.» le disse. La strega assentì. «Arrivederci, Michael.» rispose lei. L’Angelo svanì, dopo aver fatto un cenno con la mano anche a Medea. «E adesso?» chiese la giovane strega, arruffandosi i capelli ricci. «Adesso cosa?» «I Demoni.» Medea rabbrividì. «Hai detto che ci servono anche loro.» «Ci serviranno.» fu la risposta della strega. «Per adesso, è meglio che portiamo la piccola all’Antica Dimora. Con Michael e gli Angeli che ci accompagnano, non avremo problemi, non rischieremo. Dopodiché pen-seremo a Satanael.» Brisea s’infilò nel corridoio. «Va a dormire, Medea, domani dovrai partire presto.» le consigliò. La riccia annuì, scossa. La vecchia strega si sistemò sui cuscini. Era davvero sfinita. Tutta la concentrazione che aveva dovuto usare per entrare nella testa di Michael l’aveva indebolita. Inoltre, i sentimenti dell’Angelo le avevano invaso il cuore, riempiendolo di angoscia, paura, dolore e tristezza. Michael aveva

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un grave peso sulle spalle. Collaborare con Satanael era una vera tortura per lui. La vecchia strega guardò fuori dalla finestra: la Luna piena regnava so-vrana in cielo. La Dodicesima Luna. Satanael guardò la donna accanto a sé: le labbra e gli occhi tumefatti, i capelli in disordine, i graffi su gambe braccia, seguiti da altrettanti lividi. Il Diavolo non sapeva con certezza se fosse svenuta o se avesse avuto la pessima idea di addormentarsi. Si accese una sigaretta, aspirando con a-vidità. Erano millenni ormai che niente riusciva a dargli il piacere, il pia-cere puro. Alla luce del fuoco, che ardeva nel camino, notò due graffietti, più piccoli di quelli che le aveva procurato lui, risplendere sulle sue braccia. Li osservò attentamente per un secondo, poi capì: a graffiarla era stata la sorella, nel tentativo di non farsi staccare da lei. Rise malignamente, mentre la sollevava in braccio e la gettava nel fuoco. Le urla della ragazza gli inebriarono i sensi, mentre lei bruciava davanti ai suoi occhi.

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III° CAPITOLO «Medea.» una voce raggiunse la giovane donna nel sonno profondo. Aprì gli occhi, ancora intorpidita dal calore del letto. «Brisea, che succede?» domandò, vendendo la vecchia strega ancora in tenuta da notte, con una piccola candela in mano, ai piedi del suo letto. «Prendi la vestaglia ed esci. Cerca di fare in fretta.» le disse, uscendo. La riccia fece come le era stato detto e raggiunse la vecchia in cucina: al centro della stanza, Michael e altri due uomini, probabilmente Angeli, discutevano animatamente tra di loro. Di lato, incredula, Medea vide il Diavolo. Lo riconobbe immediatamente: Brisea gliel’aveva descritto più volte, sotto sua insistenza. Gli occhi di ghiaccio la trapassarono, freddi e divertiti. I capelli biondis-simi ondeggiavano a ogni suo movimento. Dietro di lui, c’erano un uo-mo leggermente più alto e una donna, dagli occhi spiritati. «Cosa sta succedendo? Cielo, Brisea, c’è il Diavolo in casa nostra!» mormorò isterica, avvicinandosi alla vecchia. Brisea le prese la mano, tranquillizzandola. «Ascoltami bene, Medea: tra un ora dovremo partire.» le disse. La riccia si voltò in stato di shock verso l’orologio. «Sono appena le tre!» protestò. «E poi credevo che solo alcuni di noi sarebbero partiti.» sussurrò. Il biondo sorrise, avvicinandosi. «Mia cara... Medea, dico bene?» le do-mandò, mentre la giovane strega indietreggiava. «Vedi, strega, io vengo a sapere molto cose, anzi, a dire il vero, le vengo a sapere tutte. E non sono stato molto felice di sapermi escluso dalla vostra piccola gita.» le spiegò, giocando con i suoi capelli. La donna sentì la testa girarle, mentre gli occhi del Diavolo le imprigio-navano l’anima. «Satanael.» intervenne Michael, avvicinandosi. Il Demonio spezzò il contatto, lasciandola libera. La donna tremò, ri-scuotendosi.

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«Vedi, Medea» le disse il Signore dei Cieli «abbiamo saputo che la stra-da fino al confine è piena di suoi fidati servitori. Per questo motivo, è meglio che tutti i rappresentanti delle tre Fazioni siano presenti, quando trasferiremo la bambina all’Antica Dimora.» concluse Michael. La riccia annuì. «Antica Dimora?» domandò il Diavolo. «Avete scelto un luogo in cui i poteri di ognuno di noi saranno dimezzati.» commentò. Michael annuì. «Ma allo stesso tempo, le difese intorno alla Dimora sono impenetrabili e anche i suoi poteri sono dimezzati.» rispose. Satanael annuì, poco convinto. «Dimmi fratellino» esordì improvvisa-mente, illuminandosi «come sta la tua dolce sposa?» gli chiese. Michael si pietrificò così come Brisea. I due Angeli, seduti dall’altro lato della stanza, si alzarono indignati. «Va bene così.» disse Michael, alzando una mano verso di loro, per fer-marli e i due si risedettero, contrariati. Gli occhi verdi di Michael si pian-tarono in quelli di ghiaccio del fratello. «Lo sai come sta, Satanael.» ri-spose, tombale. Il Diavolo sorrise. «In effetti, hai ragione.» gli disse, mentre la donna ac-canto ad Andras rideva sguaiatamente. Medea la fissò disgustata, chiedendosi come potesse una donna tanto bella, essere così volgare. Mentre formulava questo pensiero, vide la di-retta interessata contrarsi in una morsa di dolore, un secondo prima di esplodere. Andras incrociò le braccia e, sospirando, scosse il capo. Gli Angeli fissarono increduli le dita di Satanael, che avevano segnato la morte del Demone con uno schiocco. «Che c’è?» chiese il Diavolo, consapevole di tutti gli sguardi puntati su di lui. «Sono una persona raffinata e non mi piacciono le volgarità.» dis-se semplicemente. «Mamma, mamma!» urlò la piccola, sedendosi al centro dell’enorme let-to. La donna accorse, seguita dall’uomo, che ancora tentava di infilare la ve-staglia blu. «Che succede piccola?» le domandarono, accendendo la luce e avvici-nandosi. Si sedettero entrambi sul letto e la piccola si gettò tra le loro braccia. L’uomo le accarezzò i capelli, mentre la donna le asciugava una lacrima.

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«Oh, papà! È stato terribile! Ho visto te e la mamma... e sangue... e...» riprese a singhiozzare. I genitori si guardarono, stupiti. «Piccola, è stato solo un brutto sogno, noi siamo qui con te, stiamo bene e non ti lasceremo mai.» le dissero. La bambina annuì, rassicurata, e i genitori le rimboccarono le coperte. «Dormi principessa.» Spensero la luce e chiusero la porta. Una volta in camera si guardarono, preoccupati. «Dovremo fare qualcosa?» domandò l’uomo. «No, lo sai.» fu la risposta secca. «Ma certo. Ci prepariamo a una bella gita, un campeggio!» Medea bor-bottava frasi sconnesse, mentre preparava la sua sacca da viaggio. «An-diamo tutti felici e contenti a passeggio col Diavolo!» continuò. Brisea, ormai vestita, le si avvicinò. «Calmati, bevi questo.» le disse, porgendole una tazza fumante. La riccia le scostò malamente la mano. «Non voglio bere niente!» escla-mò. «Mi stava rubando l’anima, Brisea! La mia anima!» alluse all’episodio di poco prima con Satanael. La vecchia strega le sorrise. «No, Medea, non ti stava rubando l’anima. Satanael è tante cose, ma non uno sciocco. Tu sei un essere umano, an-che se dotata di poteri magici: questo significa che sarebbe bastata un’occhiata di Michael a salvarti.» le spiegò, porgendole nuovamente la tazza. Medea la afferrò. «Allora cosa stava facendo?» le domandò. «Probabilmente leggeva nei tuoi ricordi, cercava qualche incantesimo... nessuna sa mai con certezza quali siano i piani del Diavolo.» le rispose la vecchia, mettendosi la borsa in spalla. «Ma Brisea, ragiona: è il Diavolo, non è sicuro che venga con noi!» pro-testò la giovane strega. Brisea rise. «Vedi, mia giovane amica, è la cosa più assurda di questo mondo ma, ora come ora, il fatto di avere Satanael con noi, è il modo più sicuro di agire.» le disse. La riccia la guardò perplessa. «Sei certa di stare bene, Brisea?» le chiese. «Sto benissimo, andiamo.» detto questo, la vecchia imboccò la porta. «Satanael.» la voce di Michael lo riscosse dai suoi pensieri. Il biondo alzò gli occhi, trovandosi suo fratello di fronte. «Che vuoi?» gli chiese scocciato.

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«Parlare.» rispose il moro. «Ti prego, Michael, risparmiami la parte drammatica e struggente di quando, a metà film, i due fratelli, separati dalla sorte, si ritrovano.» dis-se, alzandosi. Michael sorrise. «Non m’interessa “ritrovarti”.» disse. «Voglio solo che ti sia ben chiara una cosa: sono qui, fianco a fianco con te, solo perché è ciò che vuole nostro padre. Certo, io voglio che questa bambina viva, che i miei Angeli continuino a proteggere le persone, ma tutto questo passa in secondo piano, quando penso a te.» gli disse, a un palmo dalla sua nu-ca. Satanael si voltò, fissando il fratello negli occhi. «Attento, fratellino: gli Angeli non possono odiare.» lo avvertì, ripetendo una delle frasi che gli avevano ripetuto fino alla nausea quando, da bambino, aveva frequentato il Corso. «Con te ho fatto un eccezione secoli fa.» rispose Michael. «So che anche tu non vuoi perdere il tuo regno, quindi credevo che quando ti ho contat-tato la scorsa notte per offrirti di collaborare avresti accettato. Invece hai ferito mia moglie e poi sei andato da sua madre a proporle un patto. Per-ché?» domandò. Il Diavolo rise. «Credi davvero che io ti risponda?» lo schernì. Michael chiuse gli occhi, cercando di calmarsi. Satanael si voltò nuova-mente verso la finestra e, nonostante il buio pesto, poté distinguere niti-damente tutte le case, gli alberi, gli animali. «È strano: gli uomini ci ve-dono, anzi ti vedono, come un essere perfetto, credono che tu non possa odiare, soffrire, punire. Non immaginano che per colpa della loro cattive-ria, non vi è sempre lo stesso “Signore dei Cieli”. Quando di tuo Padre resterà solo il soffio vitale, sarai tu a prendere definitivamente il suo po-sto. E per colpa della loro cattiveria, anche di te un giorno, tra millenni certo, resterà solo l’anima. Non osano pensare che tu abbia una moglie, che provi piacere ad amarla, in tutti i sensi. E, certamente, non si sogna-no neppure che tu possa procreare un figlio, come gli altri Angeli.» disse il Diavolo, sorridendo. Michael rimase in silenzio, guardando anche lui nel buio. Non riuscì a vedere nulla. «Brisea, mi dispiace.» mormorò la strega, mentre si accingevano a rag-giungere la cucina. «Di cosa?» le chiese la vecchia, fermandosi.

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«Per Diana.» rispose Medea, chinando il capo. La strega sorrise, sfiorandole il viso. «Ti ringrazio.» le disse. Si guardarono per un secondo, confortandosi a vicenda. «Bene, chiamerò le altre sorelle.» le comunicò la riccia. «No, andremo solo noi due.» la fermò la vecchia. La riccia sgranò gli occhi. «Solo noi due? Con il Diavolo?» chiese, men-tre i deliri ricominciavano. «No, verrà anche Michael e uno dei suoi migliori Angeli, oltre che An-dras.» le spiegò Brisea. «Andras?» ripeté la riccia, confusa. La vecchia strega sbuffò. «Hai presente quell’omone scuro di pelle?» le rispose. «Ma quello è un Demone!» urlò Medea. «Lo so!» «E tu lo hai chiamato per nome!» la riccia era di nuovo isterica. «Calmati, Medea! Occorrono due streghe, due Angeli e due Demoni, per formare le Fazioni!» le spiegò. «Ma tu l’hai chiamato per nome!» Continuarono così lungo tutto il corridoio, fino a che non furono in cuci-na. «Che succede?» domandò Aniel, l’unico Angelo rimasto con loro: Mi-chael aveva mandato l’altro al Limbo. «Niente, tutto a posto.» si affrettò a dire Brisea, mentre Medea rimase incantata a osservare il giovane: i capelli castano chiari, gli occhi noccio-la. Sembrava risplendere di luce propria, nonostante fosse notte. L’Angelo le regalò un sorriso e la giovane strega si sentì subito carica di energie. «Aniel rappresenta, in un certo senso, il sole, l’energia.» le spiegò sotto-voce Brisea. «Siamo pronti?» chiese Michael, allontanandosi dal fratello. Gli altri annuirono, indossando i propri mantelli: neri per Satanael e An-dras, bianchi per Michael e Aniel, dorati per le streghe. Uscirono nello stesso ordine e Brisea incantò la casa: nessuno vi avrebbe messo piede. «Se, a questo punto, qualcuno tira fuori una navicella aliena, potremo af-fermare di essere in un film di quel tizio, quell’umano... Spielberg!» rise Andras. Michael sorrise. «Non crederai che andremo a piedi, vero?» gli doman-dò.

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Il Demone lo guardò curioso. «E come allora? Voleremo sulle scope?» disse, indicando quelle che Medea e Brisea stringevano tra le mani. «Mi spiace deluderti, ma queste non sono scope volanti: non mi è mai piaciuto volare, quindi l’ho sempre fatto il meno possibile.» gli rispose Brisea. «Ma stavolta dovrai farlo.» le sorrise Michael. La strega annuì, mentre Andras batteva le mani. «Allora voleremo dav-vero sulle scope?» «Ancora? No! Voleremo su di un normalissimo aereo!» rispose spazien-tita Medea. «Aereo?» domandò Satanael. «Io posso benissimo sparire e riapparire dove voglio, perché dovrei prendere un aereo?» Andras confermò, an-nuendo violentemente. Michael sbuffò. «Perché il tratto è troppo lungo e Medea e Brisea sono umane, non possono svanire per così tanto.» spiegò. «Ma se quando la convoco lei scompare con i miei Demoni!» ribatté il Diavolo. «Eppure parliamo la stessa lingua!» esclamò Michael. «Il tratto dal vil-laggio al tuo Palazzo è brevissimo! Superare l’oceano è un'altra cosa!» disse. Satanael sbuffò. «Allora ci vediamo lì.» decretò. «No!» mormorò Brisea. «Dobbiamo restare insieme! È pericoloso!» e-sclamò. Satanael rise. «Non per me.» disse. «Se arrivi da solo, avvertiranno un dislivello.» intervenne Aniel, con vo-ce calma e melodiosa. «Prego?» chiese il Diavolo. «Possono sentire le cariche positive e negative del territorio in cui si tro-vano. Tu sei il Signore del Male, come tale hai la più grande carica nega-tiva esistente. Così come il mio Signore, Michael, ha quella positiva. Se arrivate insieme, le cariche si annulleranno a vicenda, impedendo la no-stra localizzazione. Ma se uno dei due va per primo, è finita.» concluse. Satanael sbuffò sonoramente. «Merda.» sbottò. Michael sorrise all’Angelo e prese Brisea per mano. Aniel fece lo stesso con Medea, che tremò al contatto con lui. «Appariremo un paio di metri prima dell’aeroporto, fin lì è sicuro.» disse Michael al fratello, prima di sparire in una luce fievole insieme a Brisea, seguito da Aniel e Medea.

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«Non dire niente.» sbottò Satanael verso Andras, che ridacchiava sotto i baffi. Scomparvero nel buio. «Scomparire con te è più piacevole.» commentò Brisea, una volta riap-parsi proprio dietro l’aeroporto. «Quando Satanael mi fa portare da lui, fa un caldo bestiale.» gli spiegò. L’Angelo sorrise, indicandole la scopa. «A cosa ti serve?» le chiese. Prima di poter rispondere Aniel e Medea apparvero al loro fianco. «Stai bene?» chiese la vecchia strega alla riccia. «Mi gira la testa…» rispose lei. «È normale se è la prima volta.» spiegò Aniel, sorreggendola. La strega annuì. L’oscurità si concentrò in un punto, annunciando l’arrivo di Satanael e Andras. «Possiamo andare.» disse Michael, porgendo il braccio a Brisea. «Sai, l’acutezza mentale non è mai stata una tua caratteristica, Mic, nemmeno da bambino.» lo schernì Satanael, alzando un sopracciglio. Michael lo guardò interrogativo. «Ti sembra il momento di giocare all’enigmista?» gli chiese. Il Diavolo sbuffò. «Guardaci idiota! Non vedi come siamo vestiti? Passe-remo sicuramente inosservati.» esclamò il biondo, spazientito. Si avvicinarono alla cassa per fare i biglietti, divisi in gruppi di tre. Bri-sea, Medea e Aniel furono i primi: si erano cambiati, trasformando i pro-pri abiti. Medea aveva reso le scope un unico bastone da passeggio e lo aveva porto a una offesa Brisea. «Questa me la paghi.» le aveva sussurrato la strega, mentre Satanael ri-deva a crepapelle. Ora eccola lì: a trecentoventi anni, una brillante strega camminava infa-gottata in un lungo cappotto beige, appoggiata a un bastone! Guardò di sbieco Medea, avvolta in un cappotto simile al suo, leggermente più stretto. Sorrideva a un elegantissimo Aniel, in giacca e cravatta. La signorina alla casa comunicò loro di affrettarsi: il volo sarebbe partito in meno di un’ora. Satanael si avvicinò e prese i biglietti per gli altri. La sua giacca di pelle nera s’intonava alla sua anima, pensò la strega. Mi-chael invece si lisciava la cravatta chiara; Brisea aveva sempre stentato a credere che fossero fratelli.

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Satanael sorrise ammiccante alla cassiera, che arrossì. Andras rise, pas-sandosi una mano sui comodi jeans. «Muoviti, Satanael.» lo rimproverò Michael. Il Diavolo lo fulminò con un’occhiata e salutò la donna con un cenno del capo. «I vostri bagagli?» domandò l’hostess al check-in. Satanael avanzò verso di lei, fissandola negli occhi. «Tutto a posto. Viaggio di lavoro?» chiese la giovane, sorridendo. Michael annuì. Si sedettero nelle ampie e comode poltrone della prima classe: Satanael era stato irremovibile su quel punto. La voce del pilota li raggiunse, co-municandogli che stavano per decollare e augurando un buon viaggio a tutti. Brisea chiuse gli occhi e la musica che fuoriusciva dall’altoparlante la fece perdere. «Ciao, mamma.» l’aveva salutata Diana. «Ciao piccola, dove vai?» le aveva chiesto una molto più giovane Brise-a. Era ormai un mese che sua figlia si comportava in modo strano. Usciva di mattina presto e rincasava a tarda sera. «Torno presto.» era stata la risposta della bionda, ormai già fuori dalla porta. La strega aveva chinato il capo, poi aveva preso il mantello ed era usci-ta. «Buongiorno.» aveva salutato entrando in chiesa, ma nessuna le aveva risposto. Era il 1710, la caccia alle streghe di Salem si era conclusa da diciasset-te anni, ma la gente continuava a temere alcune donne, credendole serve del Demonio. Brisea era una di loro. Molte volte aveva aiutato gli abitanti di Furious Angels con le sue po-zioni a base di erbe e durante i vent’anni di caccia alle streghe, in cui giovani innocenti erano morti per accuse infondate, le vere streghe si erano salvate grazie alla loro magia, proprio come Brisea. Diana era nata nel 1689, un po’ prima della fine delle persecuzioni. E, come sua madre, era stata additata come strega. Tuttavia, col passare del tempo, la piccola era diventata una tale bellezza che nessuno era riuscito ad aver paura di lei.

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Tuttora, a ventuno anni compiuti, la ragazza era uno splendore. Aveva scelto di diventare medico, mestiere prettamente maschile all’epoca; questo le aveva creato parecchi problemi. I clienti erano pochi, ma alla ragazza era andata bene così. Brisea si era inginocchiata e aveva pregato il Signore dei Cieli di pro-teggere la sua bambina. Era stato allora che una risata aveva attirato la sua attenzione. Si era voltata, ma nessuno, a parte lei, dava segno di a-vere udito qualcosa. La strega si era alzata ed era uscita, incamminandosi nel bosco. Per le persone quella zona della foresta era pericolosa e impraticabile, ma per Brisea era un piccolo fornitore personale: era lì che andava a prendere le erbe per le sue pozioni, riconoscendole e raccogliendole nel modo giusto. Il cielo si era oscurato, dandole un presagio di sventura. Brisea aveva udito ancora quella risata, che conosceva bene: la risata di Diana. Al centro della radura, l’aveva vista: la giovane era distesa su di una coperta, accanto a lei un uomo biondissimo. Si erano stuzzicati con dei fili d’erba e si erano abbracciati. Il cuore di Brisea aveva perso un colpo: i suoi poteri l’avevano messa in guardia. L’aura intorno al giovane era nera. «Diana!» l’aveva richiamata. La giovane aveva sussultato, poi si era alzata. «Mamma! Che ci fai qui?» le aveva chiesto più arrabbiata che spaventata. «Torna immediatamente a casa!» le aveva ordinato, mentre la bionda, incredula, era corsa via, umiliata. «Brisea.» aveva detto il biondo, alzandosi e sistemandosi i vestiti. «So cosa sei.» gli aveva detto lei, innalzando una barriera contro di lui. Satanael aveva riso, avanzando, e aveva frantumato la protezione senza problemi. «Cosa vuoi?» gli aveva chiesto e lo aveva guardato dritto negli occhi, sentendosi risucchiare l’essenza vitale. «Voglio tua figlia.» le aveva risposto, incrociando la braccia e appog-giandosi al tronco di un albero. «Stai lontano da lei, non ha poteri.» gli aveva detto la strega. La risata melodiosa del Diavolo aveva raggiunto ogni angolo del bosco. «Stai mentendo, Brisea. Lo sai benissimo che è dotata di magia. Sebbene non sia la stessa che alberga in te. Comunque non è il suo potere che voglio: voglio lei.» le aveva spiegato il biondo.

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«Vuoi il suo corpo, ma non l’avrai!» aveva esclamato la donna. «Chi ti dice che non l’abbia già avuto?» l’aveva schernita lui. «E co-munque, te lo ripeto, voglio lei.» aveva detto, prima di sparire nel buio. Brisea aveva pianto. Pianto per la consapevolezza di quanto grave fossa la situazione in cui la sua bella figlia si era andata a cacciare. Tornata alla locanda, l’aveva raggiunta in camera. «Mi hai umiliata!» l’aveva aggredita con gli occhi rossi Diana. «Ascoltami, tesoro.» le aveva detto la madre, ma la ragazza l’aveva i-gnorata. «Non capisci, hai rovinato tutto!» aveva urlato. Brisea le aveva assestato uno schiaffo per calmarla. Diana si era zittita e la strega l’aveva fatta sedere. «Ascoltami bene, Diana: non devi vedere quell’uomo mai più, sono stata chiara?» La bionda l’aveva fissata. «No.» era stata la risposta secca. «Diana!» «Perché non dovrei vederlo più? Lo amo!» aveva urlato la ragazza. Brisea aveva sussultato. «Non sai quello che dici! Non sai lui chi è!» Diana aveva chinato il capo, colpevole. La strega aveva guardato quegli occhi limpidi diventare più scuri. «Mi dispiace mamma...» aveva mormorato Diana. «Tu sai chi è lui?» le aveva chiesto incredula Brisea. Diana aveva annuito. Un secondo schiaffo l’aveva colpita, ma stavolta la ragazza parve ria-nimata. «Ascoltami, se solo lo conoscessi...» aveva provato, ma la voce lapidaria di Brisea l’aveva fermata. «Finché vivrai in casa mia, non lo vedrai più.» Quella sera stessa, Diana era andata via. «Signora, tutto bene?» le chiese una giovane donna, porgendole un cu-scino. «Tenga, con questo starà più comoda.» le sorrise. Brisea prese il cuscino e se lo sistemò dietro il capo, poi ringrazio la donna. Di fronte a lei, Satanael faceva roteare lo champagne nel lungo bicchiere; quando la vide lo sollevò verso di lei e poi bevve.

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IV° CAPITOLO «Annuncio ai signori viaggiatori: l’Aereo atterrerà tra pochi minuti, sie-te pregati di allacciare le cinture di sicurezza.» La voce del pilota inondò la stanza e i passeggeri si affrettarono a esegui-re gli ordini. Una donna, dai capelli grigi e con gli occhiali sulla punta del naso, strin-se gli occhi: il suo profumo pesante aveva stordito i sensi del Diavolo, rendendolo particolarmente nervoso. «Che Dio ci assista.» mormorò la donna, mentre i presenti portavano gli occhi su di lei. Michael chiuse gli occhi, mentre Satanael non riuscì a trattenere un ghi-gno. L’aereo cominciò a sobbalzare, facendo accendere e spegnere le lu-ci. I bicchieri, riposti nella credenza del bar della prima classe, tintinnarono, battendo uno contro l’altro. Brisea strinse i denti: non amava volare, né sulla scopa né sugli aerei. La donna dal profumo pesante cominciò a respirare profondamente. «Oh cielo, stiamo precipitando!» esclamò, col terrore negli occhi. Satanael rise, deliziato. Poco dopo, appena in tempo perché alla donna non venisse un attacco di cuore, l’aereo atterrò con tranquillità. Il Diavolo si voltò verso suo fratello, che gli sedeva accanto. «Non limitarmi il divertimento.» lo minacciò. «Non ho intenzione di limitarlo, ma di negartelo direttamente.» ribatté il moro. L’altro rise. «Mai fare arrabbiare il Diavolo.» rispose. Michael strinse gli occhi, percependo una nota minacciosa nelle parole ilari dell’altro. «Aiuto, presto! Questa donna non respira!» urlò una hostess. «Buongiorno, tesoro.» salutò la donna, intenta a mettersi il rossetto. La bambina era entrata nel bagno dei genitori e ora se ne stava, come ogni mattina, seduta a osservare la madre che si truccava.

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«Posso metterne un po’?» le chiese, spazzolandosi i capelli corvini. La donna sorrise. «Quando sarai più grande.» le promise. «Ma ho già dieci anni!» protestò la piccola. «Hai preparato lo zaino?» «Sì. Mi fai la treccia?» domandò la bambina, lasciando che la madre le pettinasse i boccoli, rendendoli morbide onde. La donna li intrecciò con abilità. «Andiamo a fare colazione, siamo in ritardo!» la madre la trascinò di sot-to, dove la aspettava un’abbondante colazione. «Non provarci mai più, Satanael!» urlò Michael, mentre uscivano dall’aeroporto. La donna era morta: arresto cardiaco. Il Diavolo rise. «Pensavi davvero che me ne sarei stato buono, che maga-ri avrei compiuto anche qualche impresa eroica?» ribatté. «Hai ucciso una donna!» «Una?» Andras ghignò, mentre Aniel li fissava disgustato. «Michael, ora basta, non abbiamo tempo per questo.» s’intromise Brisea. «Dobbiamo andare.» disse, indicando il sole alto in cielo. Avevano viaggiato tutta la notte, non c’era il tempo per riposarsi. «Andare dove, esattamente? Non abbiamo la minima idea di dove sia questa mocciosa.» sbuffò il Demone moro, osservando il gigantesco car-tello recante la scritta: Benvenuti a San Francisco. La vecchia strega sorrise, afferrando il bastone. «Mi serve un posto riparato.» disse al Signore, che assentì, avviandosi verso il retro dell’aeroporto. Michael mormorò qualche parola, isolando la zona, mentre la donna fa-ceva segno a Medea di avvicinarsi. La riccia si posizionò di fronte a Bri-sea. «Tieni questo dall’estremità opposta alla mia, canalizzerò un po’ della tua energia, non spezzare il contatto.» la istruì brevemente. «Mihi viam monsters Duc coram te Regina Mihi viam monstres.» mormorò, tenendo tra le mani l’altra estremità del bastone. Quando l’energia cominciò a fluire all’esterno del suo corpo, Medea re-presse un brivido: si sentiva svuotata, leggera. Il bastone si sbriciolò len-tamente, diventando un cumulo di cenere. «Bell’incantesimo, perfetto!» commentò sarcastico Satanael.

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La cenere si mosse come guidata da una folata di vento e cominciò a vol-teggiare davanti a loro. «Seguiamola.» disse semplicemente Brisea, facendo un cenno Aniel, che si accostò alla riccia, per ridarle parte delle energie perse. «Oggi ti viene a riprendere papà.» le disse sua madre, mentre la piccola scendeva dall’auto. «Va bene.» scoccò un rapido bacio alla donna che le sorrise e si avviò verso le scale della scuola. La donna rimase a osservarla, finché non fu entrata. Poi mise in moto, sparendo dalla strada. «Ciao, Angie!» la bambina salutò l’amica incontrata nei corridoi. «È una casa.» costatò Andras spazientito. Erano due ore che se ne stavano fermi davanti alla villetta. Avevano attraversato il paese in macchine gialle, “taxi”, gli aveva detto Michael: San Francisco era una città enorme, caotica nel centro, dove vi erano palazzi altissimi, contenenti uffici amministrativi e case d’aste; ma in periferia, dove appunto sorgeva la villetta in questione, vigeva un cli-ma di tranquillità e semplicità. Il viale in cui erano entrati, era largo e pulito, costeggiato, su entrambi i lati, per tutta la sua lunghezza, di alberi. La villetta era una delle ultime: le travi bianche e levigate del solido legno con cui era costruita contra-stavano con il colore che ricompieva gli interni, visibile dall’esterno poi-ché le tende non erano state tirate. Pesca. Le pareti erano un timido Pe-sca. Michael aveva provveduto a nascondere la loro presenza, ma il Demone cominciava seriamente ad annoiarsi. Satanael non era da meno. Quasi tutti gli Angeli esistenti erano stati maledetti e perfino qualche Demone aveva subito la noia e il nervosismo del Diavolo. Decine e deci-ne di sigarette consumante e spente, giacevano disordinate sull’erba per-fettamente curata del giardino. «Dobbiamo aspettare.» disse Michael, avvicinandosi a Brisea. «Come ti senti?» le chiese, vedendola pallida. «Sono solo stanca.» lo rassicurò. «Tu piuttosto: perché non vai a vedere come sta Diana?» gli sussurrò.

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Il Signore rimase in bilico per qualche secondo: non voleva lasciare Bri-sea e Medea sole, ma il desiderio di conoscere le condizioni di sua mo-glie era innegabile. «Aniel?» chiamò. «Credi che se andassi per qualche ora, il dislivello si avvertirebbe?» gli chiese. L’Angelo moro ci pensò su. «Non dovrebbe, dato che siamo protetti.» alluse alla zona che Michael aveva circoscritto, rendendola invisibile agli altri. «Se resteremo tutti all’interno, non ci saranno problemi.» confermò sicu-ro, lanciando un’occhiata al biondo. «Perché lui deve andarsene a spasso e io me ne devo stare qua dentro?» si lamentò lui. Medea lo fulminò. «Michael non se ne va a spasso, va a vedere le condi-zioni di sua moglie, che è in fin di vita per colpa tua!» sbottò. Tutti la fissarono in silenzio. La riccia arrossì: aveva chiamato il Signore per nome! «Ti ringrazio.» mormorò quest’ultimo, prima di sparire. «Papà!» esclamò la bambina, catapultandosi tra le braccia dell’uomo, che la aspettava in fondo alle scale. «Salve Principessa! Com’è andata?» le chiese, prendendo lo zaino dalle spalle della piccola. «Bene, domani Angie potrà pranzare da noi?» domandò lei, salendo in macchina. «Chiederemo alla mamma!» promise il padre, mettendo in moto. La donna s’incamminò lungo il vialetto, dopo aver parcheggiato. Diede un rapido sguardo alle aiuole colme di rose che ne delineavano il sentiero e salì i pochi gradini dell’ingresso. I capelli biondi le incorniciavano il viso ed erano fermati con un ferma-glio alla nuca. Il pantalone nero e la giacca dello stesso colore s’intravedevano appena, sotto il cappotto lungo. La donna aprì la porta e se la richiuse alle spalle. «Che facciamo?» domandò Medea, fissando Aniel. «Dobbiamo essere certi che la bambina sia qui.» rispose lui. Mentre pronunciava queste parole, una macchina blu scuro si fermò nel vialetto, dietro quella della donna. Un uomo dai capelli chiari scese, fece il giro e aprì la portiera.

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«Prego, Principessa.» sorrise, tenendo una valigetta da lavoro con la ma-no libera. L’attenzione di tutti si focalizzò nel punto in cui la portiera fu chiusa. Pochi secondi dopo, da dietro la macchina, spuntò una bambina. I capelli corvini, legati in una treccia che le arrivava al fondoschiena, il visetto pulito. Era minuta, leggermente bassa per la sua età; le labbra carnose, che non stavano mai ferme, quando sorrideva assumevano la forma di un piccolo cuore. Il naso era piccolo e dritto, camminava impettita, siste-mandosi il colletto turchese della camicetta che s’intravedeva dal ma-glioncino. Quando sollevò lo sguardo, i presenti smisero di respirare: i suoi occhi erano azzurri, azzurri come il ghiaccio, quasi trasparenti. Era-no talmente puliti, puri che trapassavano l’anima. L’uomo le aprì la porta, seguendola in casa. Passò qualche minuto. «Caspita.» mormorò infine Andras, arruffandosi i capelli. Brisea sorrise, consapevole di quanto quella bambina fosse speciale, lei più di tutti gli altri. «Che aspettiamo? Andiamo a prenderla.» disse Satanael, avviandosi ver-so la porta. «Fermo!» la voce della vecchia strega lo bloccò. «Se esci dalla zona, percepiranno la tua presenza, dobbiamo aspettare Michael.» decretò la donna. «Mi avete rotto, io entro.» rispose il biondo e senza curarsi di attendere una risposta, s’incamminò lungo il vialetto. Le rose delle aiuole cambiavano automaticamente colore al suo passag-gio, diventando di un nero intenso. Aniel e Andras lo seguirono subito, anche se per motivi diversi. Dall’interno della casa, si udì un tonfo. Medea e Brisea corsero dietro ai tre, che erano arrivati alla porta di legno bianca. Satanael la spalancò, entrando. Il tonfo che aveva sentito era il segnale che si erano accorti di lui. «Dove siete, è inutile che vi nascondete!» urlò annoiato, avviandosi su per le scale. La vecchia strega lo seguì, mentre Medea si avviava con Aniel verso la cucina e Andras andava in salotto. Giunto di sopra, si guardò intorno: il corridoio era abbastanza largo e vi erano tre porte, una a destra, una a sinistra e l’ultima di fronte a lui. Attaccate al muro, centinaia di foto che ritraevano i tre: sulla neve, al parco giochi, a Halloween, ai compleanni.

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«Una vera famigliola felice!» sospirò, scuotendo il capo. «Datemi la bambina e non vi succederà niente!» disse sarcastico, aprendo la porta sulla sinistra, che scoprii essere la camera da letto: vuota. Camminò ancora, aprendo quella di fronte: bagno, vuoto. Brisea, dietro di lui, sussultava a ogni piccolo rumore. Quando Medea e Aniel lo rag-giunsero, seguiti da Andras, capì che il resto della casa era vuota: rima-neva solo quella stanza. Senza esitare oltre, spalancò la porta ed entrò in quella che doveva essere la camera della bambina. In piedi, dietro il letto a baldacchino, l’uomo e la donna erano alle spalle della piccola, cingendola con le braccia. «Salve.» salutò il Diavolo, entrando. «È permesso?» chiese. «Vattene, qui non c’è niente per te.» disse l’uomo. «Davvero? Allora scusate il disturbo, ce ne andiamo!» esclamò, mentre gli altri lo guardavano sconcertati. La donna sollevò una mano nella quale apparve un coltello. Intanto, la piccola, ignara di ciò che accadeva dietro di lei, fissava Satanael negli occhi, senza timore. «Lasciate la ragazzina.» ordinò ai due. «Tu» indicò la bambina «vieni qui.» Gli occhi azzurri di lei scintillarono. «Non ci penso minimamente.» ri-spose. Andras ghignò, divertito. «Ti ho detto di venire qui, adesso.» ripeté il Diavolo, irritato. «E io ti ho detto di no.» ribatté lei, mentre le guance le si arrossavano per il nervosismo. La donna alle sue spalle sollevò il coltello. Satanael schioccò le dita e le urla della bionda invasero l’aria: il coltello, ancora tra le sue mani, le si era piantato nel cuore. L’uomo si avventò sul biondo, che senza scomporsi, parve abbracciarlo. Un secondo dopo, il braccio di Satanael trapassò l’addome dell’uomo, uscendone un secondo dopo, lasciandovi un discreto buco, mentre il braccio del Diavolo risultava perfettamente pulito. La piccola rimase immobile a fissare i suoi genitori. «Mamma!» si chinò, scuotendola. «Papà!» superò il Diavolo di corsa, precipitandosi accanto all’uomo. La sua gonna bianca s’inzuppò di mac-chie scarlatte, così come le sue mani. «Papà!» ripeté, cominciando a singhiozzare. «Satanael, dobbiamo andare.» mormorò Andras, agitato.

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Presto sarebbero arrivati e loro non erano al massimo delle forze. Il Dia-volo tirò via la bambina, costringendola ad alzarsi. Lei si guardò le mani, ricoperte di sangue. «Muoviti, ragazzina!» le urlò il biondo. La piccola non accennò a muoversi: era paralizzata. Il terrore e l’angoscia avevano preso il sopravvento, gelandole il sangue nelle vene e allo stesso tempo gli arti, impedendole qualsiasi movimento. «Sei sorda? Dobbiamo muoverci, non sono morti!» le disse l’uomo, scuotendola con violenza. La bambina tornò a fissare le due sagome, apparentemente immobili, sul pavimento deliziosamente rivestito di moquette color pesca. Le era sem-pre piaciuto quel colore, pensò. L’uomo, furioso, sollevò facilmente quell’esile corpo, caricandosela in malo modo in spalla, come un sacco di patate vuoto. Vuoto, proprio quello che sentiva lei. Gli occhi fissi sulle mani insanguinate. Sangue del suo sangue. Quello era il suo, il loro sangue? Sentì la testa girarle, ma non riuscì a capire se fosse per via di quello che era accaduto quella notte o perché la stavano trasportando a testa in giù. Si lasciò andare a quel torpore, a quel buio che le appannava gli occhi, a quell’incoscienza che, sperava, le avrebbe dato un minimo di sollievo. L’ultima cosa che ricordò, di quel giorno, fu l’inteso odore di tabacco che la raggiunse in fondo al buio. «Dannazione, dannazione!» esclamò Michael, furioso. «Come ti è venu-to in mente?» chiese al fratello, che se ne stava tranquillamente alla fine-stra a fumare una sigaretta. «Fottiti, idiota: la bambina è qui, punto.» rispose, espirando il fumo. Avevano prenotato due camere nell’Hotel più vicino, dividendosi. Brise-a, Medea e la piccola erano nella stanza accanto: la bambina era svenuta e l’avevano messa a letto, nel tentativo di farla riposare. «Se fossero arrivati…» continuò il Signore. «Ma non sono arrivati, quindi smettila.» I due si guardarono intensamente, esprimendosi tutto l’odio reciproco. L’Angelo girava nervoso per la misera stanza, passandosi di tanto in tan-to una mano nei capelli castani. «Lei come sta?» chiese poi Michael, rivolto ad Aniel. Lui alzò le spalle. «È scossa, ora dorme.» gli spiegò.

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Andras imitò Satanael, alzandosi dal divano su cui si era accomodato e accendendosi una sigaretta. «È davvero una bambina bellissima.» disse, ottenendo l’approvazione di Aniel. «Credo dovremo svegliarla, parlarle, cercare almeno di rassicurarla.» propose l’Angelo. Michael annuì, avviandosi verso la porta, seguito dal biondo. «Partiremo stasera, non appena sarà calato il sole.» comunicò agli altri due. Medea accarezzò i morbidi boccoli corvini della bambina. «Povera piccola.» sussurrò. Brisea si sedette dall’altro lato del letto. «È davvero bellissima.» disse, osservando il visetto perfetto e candido. La giovane strega annuì. «È così tranquilla: non può nemmeno immaginare cosa la aspetta.» disse. Un colpo alla porta le fece sussultare. «Brisea, sono Michael.» la voce del moro arrivò attutita dalla porta. La strega girò la chiave, aprendo. I due entrarono, posizionandosi ai pie-di del letto. Michael osservò la bambina per qualche secondo, incantato. «Svegliala, Brisea.» disse infine. La strega si avvicinò al letto, posizionando una boccetta sotto il naso del-la piccola. Lei strinse leggermente gli occhi, prima di aprirli: l’argento puro saettò nella stanza. Si tirò a sedere stordita, fissando i presenti uno a uno. «Ciao, io mi chiamo Michael.» sorrise il moro, avvicinandosi. Lei si schiacciò contro la testata del letto. «Dove sono? Che volete?» chiese, con voce stranamente ferma. Per essere una ragazzina, aveva sangue freddo, sorrise il Demonio. «Tu!» la bambina lo indicò. «Hai ucciso i miei genitori!» esclamò furio-sa. Satanael s’inchinò leggermente. «Colpevole.» le rispose. «Vedi, piccola, se mi lasci spiegare io…» tentò Michael, ma lei scattò in piedi sul letto. Avanzò veloce, fino a raggiungere il margine, trovandosi di fronte al Diavolo, che la scrutò curioso.

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Il visetto della piccola era rosso per la rabbia quando i loro occhi si scon-trarono, facendo scintille. Poi Satanael si rese conto di stare fissando una parete. Quando si era vol-tato? No, lui non si era voltato, era stata la ragazzina: l’aveva schiaffeg-giato! Tornò a voltarsi verso di lei, che gli stava ancora davanti. Il silenzio era palpabile, così come la paura che attanagliava le due streghe. Il biondo rimase in silenzio, a guardare quella cosa minuscola che lo ricambiava spavalda; solo lui poteva vedere lo sforzo che stava facendo per trattene-re limpidi goccioloni d’acqua negli occhi di cristallo. Sorrise. «Complimenti, ragazzina.» disse infine, dandole una leggera spinta che la fece ricadere seduta, mentre gli altri tiravano un sospiro di sollievo. «Non sono una ragazzina e ho un nome: mi chiamo Selene.» rispose lei, sedendosi lontano da tutti loro. «Satanael.» si presentò lui. «Non m’interessa chi sei: hai ucciso i miei genitori, sei solo un mostro.» disse, con gli occhi limpidi e voce sicura. Il Diavolo ghignò. «Hai indovinato, ragazzina.» le strizzò l’occhio.

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V° CAPITOLO «Se mi dite quale parte di “Io con voi non vengo da nessuna parte!” non vi è chiara, io ve la spiego volentieri.» esclamò la bambina: si era acco-modata sulla poltrona davanti alla finestra, con le ginocchia strette al pet-to, senza mai distogliere lo sguardo da loro. Non appena qualcuno tentava di avvicinarsi a lei, cominciava a urlare come un’ossessa, mettendo in allarme l’intero staff dell’Hotel. Alla fine avevano rinunciato, accomodandosi lontano da lei, che non aveva saputo nascondere un lampo di soddisfazione. «Capisco che per te sia una situazione…» mormorò Brisea, venendo in-terrotta per l’ennesima volta. La ragazzina alzò il mento, spavalda. «Le persone più assurde che tu ab-bia mai visto ti hanno mai ucciso i genitori e poi rapita, portata in un al-bergo e tentato di convincerti a salire su un aereo per andare chissà do-ve?» domandò, tutto di un fiato. «No, ma…» rispose la strega. «Allora non capisci niente.» ribatté sicura Selene. Michael sospirò, scompigliandosi i capelli. «Per favore, Selene ascoltami: almeno lascia che ti spieghi il motivo di questo viaggio.» la implorò. La bambina lo osservò attenta: vi era qualcosa di estremamente familiare in lui, qualcosa di positivo, come una carezza, una calore improvviso. I suoi occhi erano verdi, un verde così intenso da costringerla a sbattere le ciglia se vi si soffermava troppo a lungo. Non ne conosceva la ragione, ma sapeva di potersi fidare di quell’uomo. «Parla.» gli disse, mentre lui s’illuminava. «Ci sono tante cose che tu non conosci: il mondo che vedi, in cui vivi, non è l’unico. Una minaccia grava su questo mondo e sui nostri.» fece una pausa indicando se stesso e Satanael. Selene si soffermò per un attimo sul Diavolo: era biondissimo, con i ca-pelli molto più chiari di quelli della mamma. A questo pensiero le si strinse il cuore e dovette scuotere la testa per impedire alle lacrime di ca-

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dere. Gli occhi di ghiaccio, di un azzurro intenso, somigliavano forse ai suoi, ma erano spietati e malvagi. Odiava quell’uomo, chiunque fosse. «Tu devi aiutarci a fare in modo che queste brutte cose non avvengano.» disse la voce del moro, attirando su di sé l’attenzione della piccola. «Io? Mi avete presa per una specie di super eroe?» chiese, ironica. Michael le sorrise. «No, piccola, ci è stato detto che solo tu puoi aiutarci, per questo siamo qui.» rispose. Selene piantò gli occhioni nei suoi. «Voi siete venuti a casa mia e avete ucciso i miei genitori, adesso mi parlate di mondi, al di fuori del mio, e mi chiedete aiuto: siete davvero così stupidi da pensare che, anche se vi credessi, vi aiuterei?» le sue parole furono un sussurro, gelido quanto il suo sguardo. Nessuno fiatò. «Vedi, ragazzina, fino a ora siamo stati tanto gentili e ti abbiamo lasciata sfogare, ma adesso ascoltami bene: tu verrai con noi, consenziente o me-no, chiaro?» domandò Satanael, sporgendosi verso di lei. Brisea si frappose tra loro. «Non minacciarla, Satanael.» lo fulminò. «Non sfidarmi, strega.» sussurrò il biondo. «Strega?» ripeté la bambina, guardando prima l’uno poi l’altra. La vecchia si voltò verso di lei, sorridendo. «Sì, Selene, io sono una Strega.» le disse. La piccola parve riflettere sulla notizia. In realtà, Selene era in preda al panico: era rimasta sola, totalmente sola al mondo. Il solo pensiero che non avrebbe mai più rivisto la mamma e il papà, che non avrebbe più sentito il loro profumo o assaporato i loro baci, la facevano scivolare in una disperazione folle. Inoltre era nelle mani di un gruppo di pazzi, di malati, che volevano portarla chissà dove, per farle chissà che. Sentì freddo, il freddo della paura, mischiata alla consapevolezza di essere so-la. Le immagini dei suoi genitori riversi a terra, mentre il loro sangue co-lorava la moquette, le ritornarono in mente come flash. Si guardò la gon-na, recante ancora macchie scarlatte, mentre le mani dovevano esserle state pulite mentre era priva di sensi. Non si era mai soffermata a pensare a quanto amasse la sua vita e le persone che ne facevano parte e non a-veva mai pensato a quanto fosse stata fortunata. E adesso le era stato tol-to tutto. Un battere nervoso sulla porta la fece sussultare. Il moro si alzò, mentre il biondo si avvicinava alla porta. «Siamo noi.» mormorò una voce dolce.

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La porta si aprì e altre due figure si aggiunsero a quello, già incredibile, scenario: il primo, un uomo alto e robusto, scuro di pelle, fece spavaldo il suo ingresso sfoggiando un sorriso molto simile a quello del biondo. Il secondo, anche lui alto ma meno piantato, moro e con gli occhi il cui co-lore faceva venire in mente a Selene il cioccolato, chiuse delicatamente la porta, sorridendole timidamente. La piccola ci mise un secondo per catalogarli entrambi. «Che problemi ci sono, Aniel?» chiese l’uomo più gentile, mentre la donna con i capelli ricci sfiorava quello che era appena entrato con lo sguardo. «Dobbiamo andare, Michael, si sono accorti di quello che è successo, nessuno di noi è al sicuro.» rispose occhi di cioccolato, indicando la pic-cola con un cenno del capo. Brisea si chinò su di lei. «Avevo una figlia, con un carattere molto simile al tuo.» le disse. «Non ti chiedo di fidarti di me, ma nemmeno di diffida-re a priori: qui sei in pericolo, che tu ci creda o no e, anche se mi addolo-ra ammetterlo, Satanael ha ragione, verrai con noi, che tu lo voglia o no.» aggiunse. «Bel modo di conquistarti la mia fiducia, complimenti.» rispose Selene, trapassandola con lo sguardo. La vecchia strega sorrise. «Non darai a nessuno di noi la tua fiducia, mia piccola Selene, almeno non prima di aver ascoltato tutta la storia.» af-fermò la donna. «Brisea, adesso.» ripeté Aniel. La strega le tese la mano, ma la piccola la ignorò, alzandosi e sisteman-dosi la gonna. Michael le si avvicinò, porgendole la mano. «Non aver paura di quello che accadrà adesso.» le sussurrò, afferrando delicatamente la manina del-la piccola. Brisea prese l’altra. «Ci vediamo lì.» mormorò, prima di sparire. Selene tentò di chiudere gli occhi, senza riuscirvi: non sapeva cosa caspi-ta fosse successo, sapeva solo che qualcosa l’aveva afferrata, trascinan-dola in una specie di girotondo lento ma sicuro. Il vento le faceva ondeg-giare i capelli, ormai liberi dalla treccia, e lacrimare gli occhi. Poi, com’era venuto, il vortice scomparve e lei si ritrovò alle spalle dell’aeroporto di San Francisco. Tentò di mantenere l’equilibrio, nono-stante le girasse furiosamente la testa. Due braccia forti la sostennero per

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le spalle e si voltò appena in tempo per vedere due occhi verdi che la so-vrastavano. Poi perse i sensi. Satanael prese posto, reclinando il sedile della prima classe, quel tanto che bastava per osservare la bambina, che gli giaceva di fronte: doveva essere svenuta poco prima del suo arrivo, poiché l’aveva trovata in brac-cio a Michael. Non era stato un problema salire sull’aereo, come non lo era stato all’andata. La piccola era stata sistemata sul comodo sedile, con tanto di cuscino e coperta, e dormiva beata. Michael, al suo fianco, ne controllava ogni semplice respiro. Il biondo guardò fuori, dove il sole era appena tramontato, lasciando il posto a una pallida Luna crescente nel cielo di quel 21 Dicembre. Man mano che passavano le ore e l’aereo avanzava, il cielo s’incupiva, la pioggia si intensificava, così come i tuoni. Poco prima dell’alba, la voce del pilota annunciò nuove turbolenze, invitando i passeggeri a tenere la calma. Satanael si voltò nuovamente verso la piccola che, nonostante il traballa-re violento dell’aereo e i rumorosi tuoni che squarciavano l’aria, conti-nuava a dormire. Suo fratello incrociò il suo sguardo, incatenandolo. Qualche minuto dopo, le luci della pista si accesero: mentre l’aereo co-minciava la fase di atterraggio, Satanael lanciò uno sguardo oltre la mon-tagna che s’intravedeva. Era già mattina e non avrebbero avuto il tempo di fermarsi a risposare: potevano giusto cambiarsi d’abito e concedere una colazione alla bambina. Quest’ultima, scossa ripetutamente sia da Brisea che da Michael, si decise finalmente ad aprire gli occhi, sbadi-gliando. «Dove siamo?» chiese, guardandosi intorno. «In aereo, dobbiamo scendere.» le rispose Brisea, mentre lei si tirava a sedere. «Aereo?» ripeté, incredula. «Aereo per dove?» Michael la guidò verso il portellone, posizionandole un mantello sulle spalle. La piccola, conquistata dal nuovo abito, ne accarezzò il tessuto, osservandone il colore: argento. Selene camminava lenta, in mezzo a Brisea e Michael; davanti a lei, a-vanzavano il biondo che aveva capito chiamarsi Satanael e quello scuro di pelle, mentre dietro stavano la riccia e occhi di cioccolato. Sbuffò.

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Si sentiva in trappola. Osservò i loro mantelli, rimanendo incantata da quello strano modo di vestire. Camminarono lungo una strada non pavimentata e il terreno, bagnato per via della pioggia, le schizzò sulla gonna, rovinandola definitivamente. Meglio, pensò la piccola, avrebbe coperto le tracce di sangue. Una lacri-ma le percorse la guancia e lei si affrettò a nascondersi dentro l’enorme cappuccio. Dopo cinque minuti di tragitto, la strada si assottigliò, divenendo un via-letto: da lì, era possibile vedere un piccolo paesino, costituito da un via-lone centrale e edifici, all’apparenza piuttosto vecchi, che ne costeggia-vano i lati. Tra un edificio e l’altro, piccoli vialetti creavano una specie di rete, che però, notò Selene, portavano sempre tutti di nuovo al vialone principale. Scesero lo stretto sentiero, senza invertire le posizioni e, quando arriva-rono, il gruppo si strinse ancora più compatto intorno a lei, sottraendola allo sguardo curioso delle donne e degli uomini della città. Alzando gli occhi, Selene notò un piccolo cartello di legno, assicurato a una vecchia e malandata trave, con un trio di chiodi arrugginiti: Benve-nuti a Furious Angels. Che città era? Mai sentita nominare. Sperò con tutta se stessa di essere ancora negli Stati Uniti. Per distrarsi, osservò la gente del luogo: gli uomini erano per la maggior parte vestiti in modo semplice, forse leggermente all’antica, con i panta-loni dal taglio stile fine ottocento. Le donne non erano da meno, con ca-micette strette in vita e gonne larghe fino alle ginocchia o addirittura alle caviglie. Sembrava un paesino uscito da un romanzo di Jane Austin: era come se il tempo non fosse trascorso in quel luogo. Sollevò ancora lo sguardo, fissandolo su di una piccola collina che co-minciava al limitare del paese: risalendo il ripido pendio con gli occhi, vide una villa, molto simile a un Palazzo Reale, all’apparenza disabitato. Lo vide ingrandirsi man mano che vi si avvicinavano e solo quando fu-rono in cima alla collina, si rese conto di essere stata nuovamente cattu-rata dal vortice d’aria. Stavolta però non svenne, si limitò a dondolare instabile sul posto per qualche secondo. «Benvenuti a casa mia.» esclamò, sorridendo in modo cattivo Satanael. «Casa tua?» chiese la bambina, facendosi largo tra Michael e Brisea a spintoni.

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Lui annuì, schioccando le dita: le porte alte e imponenti si aprirono, rive-lando un immenso giardino interno. Una mano si posò sulla spalla di Selene e la spinse delicatamente all’interno: guidata da Brisea e Michael, attraversò il cortile, osservando incantata le piante ben curate e i fiori che vi crescevano, tutti rigorosa-mente scuri: dalle rose nere, alle Alstroemeria viola. Nella maestosa fon-tana centrale, costruita in pietra, da una sagoma di donna con le mani ri-volte a palmi in su, sgorgava un getto d’acqua su cui galleggiavano bel-lissime ninfee. Giunsero dinnanzi alle porte del Palazzo, che si aprirono lasciando libero il passaggio: l’ingresso, illuminato da un enorme lampadario di cristallo, era immenso e un tappeto rosso con ricami dorati conduceva alle scale, che si trovavano di fronte, ai cui lati due corridoi conducevano a due pic-cole porte. «Quella a destra è la cucina, quella a sinistra porta agli alloggi della ser-vitù.» spiegò Satanael, divertito: in realtà, la porta a sinistra portava all’alloggio dei suoi Demoni, ma era meglio tralasciare i dettagli. Li condusse lungo la scalinata, divertito dall’espressione tesa di Michael e Aniel, che si guardavano cauti intorno. In cima, si allungavano due cor-ridoi, uno a destra e uno a sinistra. «Portano alle Torri. In quella sinistra c’è la mia stanza, la destra è per… gli ospiti.» ghignò. Di fronte a loro, tre porte identiche, separate da metri di muro ricoperto di opere d’arte preziose. «Ogni stanza contiene tutto il necessario per cambiarvi e un bagno.» fece un leggero inchino, indicandole. Brisea circondò le spalle di Selene, afferrando la mano di Medea e le tra-scinò nella prima porta a sinistra. Michael e Aniel rimasero immobili. «Mic, muoviti, non c’è tempo per i tuoi complessi mentali, tra meno di un ora dovremo ripartire, quindi muovi il culo.» gli ordinò il Diavolo. Fulminandolo, il moro entrò nella stanza centrale, seguito dall’Angelo. Satanael rise divertito. «Devo cambiarmi anch’io, Andras. Prima di an-dare, ordina di preparare qualcosa da mangiare.» gli disse, avviandosi verso la Torre.

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Medea s’illuminò, alla vista della indecente quantità di abiti femminili presenti nell’armadio: vi erano sottovesti, gonne, abiti da sera e camicet-te, scarpe, cappelli, cappotti. Era il paradiso! Selene le si affiancò, constatando con piacere che vi erano anche abiti della sua misura. Brisea le richiamò. «Prendete ognuna una valigia.» disse loro, indicano quelle riposte sul fondo dell’armadio. Le posizionarono sul letto, aperte. «Adesso ascoltatemi bene: indossate qualcosa di comodo e caldo. Nella vostra valigia dovrete mettere quanti più capi possibili.» spiegò. «Selene, della tua misura, porterai solo gli abiti che indossi, per il resto, prendi taglie via via più grandi.» aggiunse. «Perché?» domandò la piccola. «Lo capirai quando saremo arrivati.» rispose la strega, cominciando a piegare e riporre alcuni abiti nella sua valigia. «Arrivati dove? Non ci fermiamo qui?» si lamentò Selene, ormai del tut-to distratta dagli abiti. La vecchia scosse la testa, facendo ondeggiare i capelli grigi. «Sbrigate-vi, non avete molto tempo.» Selene, terribilmente scocciata e sul punto di una crisi di pianto, fu spedi-ta in bagno con i nuovi vestiti. Si spogliò in fretta, cercando di non far cadere gli occhi sulle macchie scarlatte della gonna. S’immerse sotto la doccia calda, lasciando finalmente che le lacrime le scivolassero via. Che era successo alla sua vita? Aveva solo dieci anni, dannazione, aveva bisogni di sua madre e suo pa-dre! Fino ad allora aveva represso la paura di trovarsi con degli scono-sciuti, degli estranei e ora era finita chissà dove, in una città mai sentita nominare. Si accasciò nella doccia, sconvolta dai singhiozzi. Lasciò che l’acqua calda la riscaldasse, nonostante dentro il freddo le a-vesse congelato il cuore. Quando la voce preoccupata di Medea la riscosse dallo stato di semi-coscienza cui si era abbandonata, si affrettò a chiudere l’acqua e ad a-sciugarsi veloce. Infilò le pesanti calze di lana bianche, sistemandovi dentro la camicia bianca a maniche lunghe. Mise entrambe le gambe nel buco della gonna rosa, agganciando i bottoni e poi infilò il maglioncino dello stesso colo-re. Si sedette sul wc, chinandosi ad afferrare le scarpette da ginnastica bianche e, rossa per la fatica, le allacciò. Scavò nei vari mobili, alla ri-

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cerca di una spazzola e un phon, che trovò nell’ultimo cassetto. Quando i suoi capelli furono nuovamente delle onde setose che terminavano in meravigliosi boccoli, uscì. Brisea aveva appena chiuso la sua valigia e le indicò un cappotto bianco e un completo di guanti, sciarpa e cappello rosa, sorridendole. Poi entrò in bagno, cedendo poco dopo il posto alla riccia. «Perché devo mettere anche il mantello se ho già il cappotto?» chiese Se-lene, unendo i due petali di rosa che formavano il gancio di quest’ultimo. Avevano mangiato velocemente, uscendo di corsa: il bagaglio di Selene lo aveva preso Michael, sollevandolo senza fatica. Quest’ultimo, elegan-temente ricoperto di un pantalone blu con giacca e cravatta coordinate, sorrise. «Ci serviranno per attraversare il Confine.» le disse. «Il Confine?» ripeté lei. Il moro annuì. «Il Confine è una specie di barriera che fa penetrare solo determinati esseri: questi mantelli sono intrisi di una polvere proveniente da elementi dell’interno del Confine, che gli permette di riconoscerci e quindi di farci passare.» le spiegò. La piccola annuì, nonostante non le fosse ben chiara la situazione. «E come fanno gli altri?» domandò. «Non passano, sono deviati e si convincono a tornare indietro.» rispose secco l’assassino dei suoi genitori, venendo completamente ignorato. «Ci vorrà molto per arrivare?» Stavolta fu Aniel a rispondere. «Circa quattro ore.» disse. La bambina sbuffò. Satanael si accese una sigaretta, camminando nei comodi pantaloni neri. Uno sbuffo di fumo gli uscì dalle labbra, alzandosi verso il cielo. «Ci vorrà molto per arrivare?» aveva chiesto la voce di Diana, che ar-rancava dietro di lui. Satanael aveva riso. «Siamo quasi arrivati.» le aveva porto una mano, aiutandola a scavalcare l’ennesimo tronco. La bionda gli aveva depositato un leggero bacio sulle labbra, quando si erano fermati. Lui l’aveva spinta leggermente in avanti. Diana aveva spalancato gli occhi, di fronte alla maestosità del Palazzo.

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«Tu vivi qui?» gli aveva chiesto. «Devi essere molto ricco.» lo aveva canzonato. Il Diavolo aveva aperto le porte: lei non aveva ancora capito chi lui fos-se in realtà, ma lui era deciso a dirglielo, quel giorno stesso. La voleva, voleva che lei sapesse, che lo odiasse e tentasse di resistergli. L’aveva condotta in giro per il castello, l’aveva vista illuminarsi di fronte ai qua-dri più orribili. Poi l’aveva guidata nella Torre, da cui le aveva mostrato le sue terre sconfinate. Dietro di lei, aveva cominciato a parlare. «Diana, tutto quello che vedi, il villaggio, la gente, le terre, mi appar-tengono. Io sono qualcuno che tu odi, che hai imparato giustamente a temere.» lei si era irrigidita tra le sue braccia. «Che stai dicendo?» aveva chiesto, guardandolo tra lo scherzoso e lo spaventato. «Io sono il Diavolo.» le aveva detto. La ragazza, che con una madre come Brisea aveva imparato a fidarsi del suo istinto, aveva fatto un balzo all’indietro, appiattendosi contro la parete. Lui aveva sorriso, come se fosse stato deliziato da quella visione. «Mi stai facendo paura, Satanael, smettila.» aveva tentato di dire. Il biondo le si era avvicinato, incatenandola con lo sguardo. «Mi temi, Diana?» le aveva domandato. Lei aveva scosso decisa il capo. «Mi ami?» La ragazza aveva spalancato gli occhi verdi. «No!» aveva esclamato, spingendolo via. Satanael aveva riso. Proprio quello che voleva: per secoli aveva cercato una donna con quel fuoco negli occhi, con quel temperamento. Era stufo delle sciocche che gli si concedevano facilmente: voleva una donna che si ribellasse, che lui avrebbe dovuto sottomettere, domare, con un’enorme fatica. E Diana era quella donna. L’aveva capito quando, quella sera, aveva ignorato le minacce della madre ed era uscita, per recarsi a casa di quella donna, quella Catheri-ne. Lei non rispettava le regole, non si sottometteva a nessuno, lui com-preso. E il Diavolo si sarebbe deliziato nel torturarla, psicologicamente e fisicamente. Avrebbe goduto della sua rabbia e del suo disprezzo. «Concediti a me, Diana.» le aveva sussurrato. «Mai.» aveva risposto, prima di fuggire via.

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La pioggia sottile che cominciò a cadere costrinse tutti a calare sulle pro-prie teste i cappucci. Michael diede un’occhiata a Selene, accanto a lui e a Satanael, alle sue spalle. L’espressione distratta li accomunava. Aniel si fermò di botto, percependo il movimento alla loro destra in modo niti-do, proprio come tutti gli altri. Assunsero velocemente le stesse posizioni di quando avevano fatto il loro ingresso nel villaggio, con Selene nel centro. «Che succede?» domandò la piccola, sporgendosi per tentare di vedere. La voce del biondo la raggiunse. «Sembrava strano che fosse andato tut-to liscio.» costatò. Con i sensi allerta, rimasero in attesa. «Alla tua destra, Andras!» esclamò Satanael, mentre il Demone si volta-va: un uomo basso, con una fitta barba scura e gli occhi piccoli, si avvi-cinò, girando intorno al gruppo. Subito dopo, una donna magra, con i capelli rosso fiamma, saettò alla si-nistra di Michael, che si strinse a Brisea, impedendo la visuale di Selene. Si aggiunsero altre figure: Aniel provò a contarli, cosa non facile dato che si muovevano a una velocità non indifferente: erano in otto. «Satanael, dobbiamo portarla via.» mormorò Michael. «Vai.» gli disse il biondo. L’uomo si voltò, prendendo la piccola tra le braccia: alla vista della bambina, tutti e otto scattarono, emettendo uno stridulo richiamo. «Adesso!» esclamò Satanael. Michael scomparve con Selene. Dalla foresta, uscì camminando una donna: alta, con il mento piccolo e le labbra coperte di rossetto. Il Diavolo ghignò. «Faye.» la salutò. «Satana.» rispose lei. «Satana-el.» la corresse lui, facendola scoppiare in una risata. «Hai perso il tuo appellativo divino quando hai tradito.» mormorò, fer-mandosi ad alcuni metri da lui. «Vattene, Faye o morirai.» le disse, stringendo gli occhi. «Mi manda lui.» cantilenò lei. «Non potete farcela, Satana. Arrenditi e ti concederà una morte veloce.» Stavolta fu il biondo a ridere. «Vattene Faye.» ripeté, osservando con-temporaneamente gli altri otto che si disponevano in formazione di attac-co. «Addio, Satana.» gli disse, sorridendo, prima di dare il via all’attacco.

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FINE ANTEPRIMA

CONTINUA…

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