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Settembre 2018
Rivista Minotauro, 2018, I, 8, 81-97
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Rivista Minotauro
L’EFFICACIA DELL’INTERVENTO PENALE CON GLI ADOLESCENTI
Alfio Maggiolini*, Alice Leoni**, Monica Picasso **
* Psicoterapeuta, Direttore della Scuola di Psicoterapia A.R.P.Ad.-Minotauro. Docente di Psicologia del
ciclo di vita, Università Bicocca-Milano. ** Psicologa.
Riassunto
Il dibattito sociale e politico sulla risposta ai reati minorili oscilla tra logiche sanzionatorie e riparative. Le ricerche meta-analitiche condotte negli Stati Uniti e in Europa, in realtà, dimostrano l’utilità di interventi che seguano una logica “terapeutica”. Mentre gli interventi ispirati da obiettivi di deterrenza sono controproducenti, diversi trattamenti, come quelli di counseling e multisistemici, sono efficaci nel ridurre le recidive. In Italia la misura della messa alla prova riduce del 10% il rischio di recidiva. Poiché molti adolescenti sottoposti a procedimenti penali hanno problemi psicologici, resta in realtà aperta la questione degli effetti del trattamento psicologico sulla riduzione delle recidive.
Parole chiave: Messa alla prova, efficacia, reati minorili.
Dal nothing works al what works
Quasi cinquant’anni fa un famoso studio sull’efficacia degli interventi penali concludeva
con l’affermazione che nessun intervento funzionava: nothing works (Martinson, 1974). Dagli
inizi degli anni ’90 ad oggi, invece, si è rivalutata l’efficacia riabilitativa del trattamento penale,
passando dal nothing works al what works, ossia alla ricerca dei fattori specifici che
contribuiscono a rendere efficace l’intervento. A questo dibattito ha contribuito in particolare
il modello Risk-Need-Responsivity (R-N-R) (Andrews, Bonta, 1995), che individua tre principi
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Maggiolini A., Leoni A., Picasso M. L’efficacia degli interventi penali con gli adolescenti
fondamentali alla base degli interventi efficaci:
• Valutare il livello di rischio di recidiva (principio del rischio).
• Individuare i bisogni che sono alla base del reato, i criminogenic needs (principio dei
bisogni).
• Prendere in considerazione la responsività dell’autore di reato, la sua possibilità di
collaborare in modo attivo all’intervento (principio della responsività).
Il principio del rischio sostiene che i delinquenti ad altro rischio dovrebbero beneficiare
di livelli di intervento più intensi e continuativi, mentre quelli a basso rischio dovrebbero
ricevere interventi meno intensi o in alcuni casi nessun tipo di intervento. Per livello di rischio
si intende la presenza di caratteristiche personali o di variabili dell’ambiente che sono
associate alla probabilità di commettere un nuovo reato.
I bisogni, i criminogenic needs, sono i fattori dinamici che, al contrario di fattori statici
quali l’età, il sesso o la storia criminale dell’individuo, possono essere modificati
dall’intervento psicosociale. Questi bisogni alla base dei reati possono essere tratti
attitudinali, come impulsività e scarsa tolleranza delle frustrazioni o difficoltà nel gestire le
emozioni, ma anche relazioni familiari disfunzionali o frequentazioni di gruppi antisociali.
Il principio della responsività, infine, afferma che gli interventi devono corrispondere il
più possibile alle caratteristiche dell’adolescente che commette un reato, tenendo anche
conto della sua motivazione ad intraprendere un percorso riabilitativo.
Sulla stessa linea si sono sviluppati diversi modelli specifici di intervento, che hanno in
parte modificato e integrato i tre principi. Il Good Lives Model (GLM, Ward, Mann, Gannon,
2007; Ward, Brown, 2004), per esempio, è un tipo di intervento che è fondato sul presupposto
che gli individui commettano reati soprattutto per mancanza di opportunità e di capacità di
realizzare i propri obiettivi in modo socialmente accettabile. Il GLM ridefinisce i criminogenic
needs, sottolineando che è importante distinguere i bisogni veri e propri (come il bisogno di
avere un valore sociale), dai problemi o modi inadeguati per soddisfare i bisogni (come
l’impulsività).
Di conseguenza, quando si progetta un trattamento penale, bisogna soprattutto
domandarsi che cosa aiuti una persona che ha commesso un reato a migliorare la propria
vita e a crescere, presupponendo che proprio il raggiungimento di questi obiettivi porti a una
riduzione del rischio. Questa prospettiva aumenta l’alleanza con il minore sottoposto a
procedimenti penali e il suo coinvolgimento attivo.
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Maggiolini A., Leoni A., Picasso M. L’efficacia degli interventi penali con gli adolescenti
Psicoterapia evolutiva per gli adolescenti antisociali
In Italia il Minotauro ha sviluppato un modello di intervento nell’ambito dei servizi della
giustizia minorile della Lombardia, in un’attività avviata nel 1992 e proseguita
ininterrottamente fino ad oggi, prima in convenzione con il Ministero della giustizia e poi con
l’ATS di Milano. Nell’ambito di questa collaborazione gli psicoterapeuti dell’equipe incontrano
mediamente circa 150 minori l’anno, con interventi di valutazione e supporto psicologico,
nell’Ufficio di Servizio Sociale per i Minorenni (USSM) e presso il Centro di Prima Accoglienza
(CPA). I presupposti teorici e gli orientamenti tecnici che guidano questo intervento sono stati
pubblicati in libri e articoli. Il volume più recente è Senza paura, senza pietà. Valutazione e
trattamento degli adolescenti antisociali (Maggiolini, 2014) e l’articolo più recente è
Developmental psychotherapy for antisocial adolescents (Maggiolini, Suigo, 2018). Questo
modello combina l’attenzione al significato del reato e alle intenzioni inconsce che lo
motivano (in una prospettiva psicoanalitica), con un intervento che unisce supporto
psicologico e progetto educativo. Il significato del reato è interpretato in relazione ai bisogni
evolutivi del minore (come per esempio un bisogno di valore sociale). Il progetto di intervento
psicoterapeutico e educativo è orientato a rispondere a questo bisogno e non solo a ridurre
i fattori di rischio, come l’impulsività, la freddezza emotiva, l’abuso di sostanze o la
frequentazione di gruppi devianti.
Le ricerche sull’efficacia
La rinnovata fiducia nell’efficacia degli interventi penali ha portato a realizzare
numerose ricerche sull’esito del trattamento penale, nel solco del movimento dell’evidence-
based practice. L’idea guida di questo approccio è che la dimostrazione dell’efficacia di
specifici metodi di intervento dovrebbe essere alla base della loro diffusione.
Negli Stati Uniti, in anni recenti, Lipsey (2000, 2009, 2010, 2016) ha condotto diverse
meta-analisi, con l’obiettivo di indagare l’efficacia degli interventi penali rivolti agli adolescenti.
Le meta-analisi sono ricerche che confrontano i risultati di diversi altri studi, che passano in
rassegna, valutando esiti positivi e negativi e dando loro il giusto peso. Realizzando queste
meta-analisi Lipsey si è posto l’obiettivo di rispondere in particolare a due domande: i
programmi di intervento in ambito penale riducono la recidiva? se sì, quali sono i più efficaci?
A questo scopo ha riassunto i risultati di più di 500 studi, effettuati tra il 1958 e il 2016,
che avevano come oggetto interventi rivolti a ragazzi tra i 12 e i 21 anni, di varie etnie e
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Maggiolini A., Leoni A., Picasso M. L’efficacia degli interventi penali con gli adolescenti
sottoposti a procedimenti penali per diversi reati. In generale, i risultati di queste meta-analisi
hanno dimostrato che gli interventi penali sono efficaci, con un effect-size statisticamente
significativo, nel ridurre le recidive.
E’ giusto quindi intervenire con gli adolescenti che commettono reati, non solo per dare
una risposta sociale ai comportamenti delinquenziali, ma anche per produrre dei
cambiamenti e ridurre in modo significativo il rischio di recidiva.
Si stima, tuttavia, che la riduzione della recidiva si aggiri attorno al 6-12%, un dato che
non appare particolarmente incoraggiante, anche se i risultati sono di difficile interpretazione,
a causa della grande differenza tra gli studi presi in considerazione. È interessante rilevare,
comunque, che gli interventi sono più efficaci proprio per i giovani che hanno un livello di
rischio più elevato e non per chi ha un livello di rischio ridotto.
Gli interventi più efficaci
Per rispondere alla domanda su quali interventi siano più efficaci, l’analisi si è
concentrata sulle diverse variabili responsabili della grandezza dell’effetto nel ridurre le
recidive. I risultati hanno mostrato, innanzitutto, che le variabili demografiche (come l’età, il
genere e l’etnia) non sono particolarmente rilevanti. Gli interventi che hanno dimostrato
maggior efficacia sono quelli impostati su una filosofia di tipo “terapeutico”, cioè orientati a
fornire supporto e a produrre un cambiamento.
Ci sono diversi tipi di interventi che rientrano in questa categoria: interventi di
counseling, progetti orientati all’incremento di competenze, servizi multipli e interventi di tipo
riparativo, come la mediazione con la vittima e la probation. Questi interventi efficaci,
mediamente arrivano a produrre una riduzione del 10% della recidiva.
Nella Figura 1, tratta da Lipsey (2010) si vede che i trattamenti che sono ispirati da
logiche di controllo e di punizione (Discipline e Deterrence), in realtà, hanno un effetto
negativo sul rischio di recidiva. Ad esempio, molto diffusi in anni precedenti erano gli scare
straight programs (Petrosino, Turpin-Petrosino e Buehler, 2003), interventi con cui si cercava
di spaventare il minore mostrandogli le conseguenze della propria condotta criminale
attraverso incontri con detenuti e visite alle prigioni. Questi progetti hanno dimostrato di
avere, al contrario di quanto ci si aspettasse, un effetto negativo sulla recidiva. Anche i famosi
boot camps, nati negli Stati Uniti negli anni Ottanta, veri e propri campi militari per rieducare
i ragazzi al rispetto delle regole e della disciplina, hanno dimostrato di non apportare risultati
positivi alla riabilitazione del minore ma, al contrario, di aumentarne il rischio di recidiva
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Maggiolini A., Leoni A., Picasso M. L’efficacia degli interventi penali con gli adolescenti
(Wilson, MacKenzie, Mitchell, 2005).
Gli interventi centrati sul controllo (Surveillance), pur non essendo ispirati da una logica
di trattamento, hanno una qualche efficacia, soprattutto se rivolti a situazioni più
compromesse. In questo tipo di intervento rientrano anche gli interventi di probation, che pur
lasciando un certo grado di libertà al minore, tengono costantemente monitorato il suo
andamento durante l’implementazione del programma. Gli interventi che hanno dimostrato
maggior efficacia, invece, sono, in ordine di importanza, il counseling, la promozione di
capacità (Skill building), interventi multidisciplinari (Multiple services) e gli interventi di
giustizia riparativa (Restorative).
Figura 1. Riduzione del rischio di recidiva dei programmi in base al tipo di
filosofia di intervento.
In Improving the effectiveness of Juvenile Justice Programs. Lipsey, 2010, p.24.
Nell’area dello Skill building, gli interventi più efficaci sono quelli cognitivo-
comportamentali (Cognitive-behavioral), che sono soprattutto orientati a ridurre i
comportamenti impulsivi dell’individuo, anche attraverso lo sviluppo di nuove competenze,
per esempio nella gestione delle emozioni, in particolare della rabbia (figura 2). Questi
programmi riducono la recidiva di più del 25%. In particolare, si sono dimostrati efficaci
terapie cognitivo-comportamentali quali il Reasoning and Rehabilitation program (Ross,
Fabiano e Ewles, 1988), un programma che ha l’obiettivo di modificare il pensiero impulsivo,
egocentrico, rigido e illogico, insegnando ai ragazzi a pensare prima di agire, considerando
le conseguenze dei propri comportamenti e valutando delle alternative e dei modi diversi di
rispondere a problemi interpersonali. Un altro intervento rilevante in questa categoria è
l’Aggression replacement training (Goldstein e Glick, 1989) che ha l’obiettivo di insegnare
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Maggiolini A., Leoni A., Picasso M. L’efficacia degli interventi penali con gli adolescenti
comportamenti pro-sociali attraverso il modelling e role-playing, e una gestione efficace della
rabbia e delle situazioni che la provocano, identificando dei trigger attraverso tecniche di
controllo della rabbia.
Anche altri tipi di intervento sono efficaci, come programmi orientati a modificare il
comportamento (Behavioral), ad aumentare abilità sociali (Social skills), alla ripresa di scuola
e lavoro (Academic e Job related) e progetti che ingaggiano l’adolescente a raggiungere
determinati obiettivi (Challenge).
Figura 2. Riduzione di recidiva dei programmi in base alle caratteristiche
generali dei trattamenti entro la categoria “Skill building”.
In Improving the effectiveness of Juvenile Justice Programs. Lipsey, 2010, p.
26.
I programmi riparativi (Restorative) hanno l’obiettivo di “riparare” i danni conseguenti al
comportamento delinquenziale, attraverso una sorta di compensazione reale o simbolica nei
confronti della vittima. In questa categoria rientra la Restitution, in cui il minore è spinto a
risarcire finanziariamente la vittima del proprio agito o a svolgere servizi socialmente utili per
risarcire la comunità. Nella mediazione, il minore si scusa con la vittima durante lo
svolgimento di colloqui diretti sotto supervisione di un mediatore.
Le ricerche meta-analitiche dimostrano, tuttavia, che ci sono anche programmi non
efficaci. Per esempio, non sono efficaci gli interventi in comunità che sono attuati seguendo
la logica della milieu therapy, caratterizzata dal fatto che gli ospiti si assumono la
responsabilità di sé stessi e degli altri pazienti appartenenti alla comunità. Anche i programmi
basati essenzialmente sull'astinenza dalle sostanze non sono efficaci, così come quelli di
wilderness, in cui gli adolescenti sono posti in condizioni ambientali difficili, dove devono
imparare a cavarsela sviluppando la capacità di superare sfide impegnative. Anche i
programmi orientati esclusivamente alla ricerca e al mantenimento di un lavoro e quelli che
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Maggiolini A., Leoni A., Picasso M. L’efficacia degli interventi penali con gli adolescenti
prevedono un rilascio anticipato con la libertà condizionale non sono particolarmente efficaci.
Nel determinare l’efficacia degli interventi non è solo importante il modello teorico e la
tecnica, ma anche il modo in cui vengono realizzati, in particolare la loro durata e la qualità
professionale del personale che li realizza. I trattamenti non devono essere troppo brevi, ma
nemmeno protrarsi per periodi troppo prolungati, e soprattutto devono essere commisurati ai
livelli di rischio e alla responsività del minore, e non solo alla gravità del reato. Anche la
stabilità del personale dei servizi è fondamentale. Il turnover e il drop out dello staff, infatti,
impediscono che modelli di intervento teoricamente adeguati ed efficaci possano raggiungere
i risultati attesi.
In sintesi, i risultati delle meta-analisi di Lipsey indicano che l’intervento ideale con gli
adolescenti che commettono reati dovrebbe:
• Avere come target di intervento principalmente soggetti ad alto rischio.
• Adottare una filosofia “terapeutica” di intervento, che si concentri cioè sulle
modificazioni del comportamento disfunzionale del soggetto, focalizzandosi sul
suo sviluppo personale e sui suoi punti di forza, riducendo al minimo interventi di
tipo deterrente o punitivo e di controllo.
• Essere applicato in maniera adeguata, calibrando l’intensità e la frequenza in
modo individualizzato.
Il contesto europeo
In Europa, Lösel (2010) ha condotto una meta-analisi di 700 studi, riscontrando una
percentuale di riduzione della recidiva tra il 10 e il 30%, in un rischio di recidiva che è
mediamente del 50%. Anche le ricerche di Lösel confermano che le sanzioni pure e le misure
deterrenti hanno un effetto nullo o negativo, e che i maggiori risultati sono ottenuti con minori
ad alto rischio.
Nonostante non esista un gold standard program, anche dalle sue analisi derivano
importanti indicazioni:
• Il livello culturale e di scolarizzazione dell’adolescente è un fattore protettivo.
• Sono utili programmi di formazione professionale e di aiuto a trovare lavoro.
• L’inserimento in comunità è efficace.
Per quanto riguarda gli orientamenti teorici e metodologici, si confermano efficaci i
programmi cognitivo-comportamentali, come quelli orientati alla gestione della rabbia e
all’acquisizione di abilità interpersonali, ma anche le psicoterapie multisistemiche, che
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Maggiolini A., Leoni A., Picasso M. L’efficacia degli interventi penali con gli adolescenti
intervengono sulla famiglia e sul contesto di vita dell’adolescente, e i programmi di giustizia
riparativa, in cui gli adolescenti svolgono lavori socialmente utili o attività di mediazione. Il
trattamento farmacologico è parzialmente efficace nei casi in cui i minori abusano di
sostanze. In sintesi, vi è una certa sovrapposizione tra i risultati degli studi meta-analitici
americani ed europei.
La messa alla prova nel codice di procedura penale minorile italiano
Non esistono ricerche meta-analitiche sull’efficacia degli interventi penali con i
minorenni in Italia e più in generale non vi sono programmi condotti con gruppi di controllo. I
dati forniti dal Ministero della giustizia (https://www.giustizia.it/giustizia/it/mg_12_4.wp)
riguardano il numero, il tipo dei reati e le variabili demografiche, mentre sono scarsi i dati sui
programmi di intervento e sulla loro efficacia. In anni recenti, tuttavia, sono state condotte
importanti ricerche a cura del Ministero della giustizia sulle recidive e sull’efficacia della
messa alla prova.
Il sistema penale minorile italiano è regolato dal Codice di procedura penale minorile
448/88, che è ispirato da una logica di intervento psicosociale più che punitiva, seguendo
principi di responsabilizzazione del minore, con l’intento di non sradicarlo per quanto
possibile dal suo contesto di sviluppo, e basandosi su un giudizio che tenga conto
dell’accertamento della sua personalità e della valutazione del suo contesto famigliare.
Una misura caratteristica del Codice di procedura penale minorile italiano è la messa
alla prova, contenuta negli artt. 27 e 28 del DPR 488/88. In base a questa misura, durante
un procedimento penale in cui è coinvolto un minorenne, il giudice può decidere di
sospendere il processo per un periodo non superiore a tre anni per metterlo alla prova. La
misura vale per ogni tipo di reato, dai più lievi ai più gravi, come l’omicidio. Questa misura è
stata estesa recentemente anche agli adulti, seppure con qualche limitazione.
Secondo l’art. 27 comma 2 del Dlgs 1989 n. 272, il percorso di messa alla prova deve
prevedere:
• Il coinvolgimento del minore, del nucleo familiare e degli ambienti di vita del soggetto.
• Gli impegni che il minore si assume.
• La modalità di partecipazione al progetto degli operatori della giustizia e dei servizi
dell’ente locale.
• Eventuali modalità di attuazione per riparare le conseguenze del reato e promuovere
la conciliazione tra minore e parte offesa.
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Maggiolini A., Leoni A., Picasso M. L’efficacia degli interventi penali con gli adolescenti
Durante la messa alla prova il minore si impegna a seguire le prescrizioni socio-psico-
educative concordate. Se l’esito della messa alla prova è positivo, in base all’art. 28 del DPR
488/88 il reato è considerato estinto e il minore prosciolto. L’efficacia dell’intervento è
garantita non tanto dalla riduzione dei fattori di rischio, grazie alle limitazioni che esso impone,
ma soprattutto da un supporto ai processi evolutivi del minore. Per portare a compimento
questo processo, è necessaria la collaborazione di professionisti afferenti a servizi diversi: la
figura di riferimento è l’assistente sociale, il cui lavoro è però affiancato da educatori e
psicologi.
Insieme alla permanenza a casa, alle prescrizioni, al non luogo a procedere per
irrilevanza del fatto e al perdono giudiziale, la messa alla prova rappresenta una delle misure
volte ad evitare l’istituzionalizzazione del minore, attraverso l’inserimento in percorsi
alternativi alla detenzione. Il contatto con il sistema penale, infatti, può costituire un rischio
per il minore, compromettendo lo sviluppo della sua personalità e la sua identità sociale,
anche per effetto di processi di etichettamento.
Nel corso dei decenni le disposizioni di messa alla prova sono aumentate (Ministero
della Giustizia, 20161).
Figura 3. Messe alla prova in Italia dal 2004 al 2016. Ministero della giustizia,
2016.
1 Per approfondimenti, cfr. https://www.giustizia.it/giustizia/it/mg_1_14_1.page?facetNode_1=0_6&facetNode_2=0_6_2&facetNode_3=0_6_2_8&contentId=SST46733&previsiousPage=mg_1_14
1,996
2,348.2
2,700.4
3,052.6
3,404.8
3,757
2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014 2015 2016
ANDAMENTO MAP 2004-2016
anni
npr
ovve
dim
enti
Map
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Maggiolini A., Leoni A., Picasso M. L’efficacia degli interventi penali con gli adolescenti
Mediamente in circa l’80% dei casi le messe alla prova hanno un esito penale positivo,
un dato relativamente omogeneo su tutto il territorio nazionale.
Figura 4. Esiti positivi e negativi della messa alla prova. Ministero della
giustizia, 2016.
L’efficacia della messa alla prova
La maggior parte delle messe alla prova ha esito positivo, ma è difficile avere dati sui
fattori che ne determinano l’esito e sull’efficacia di questa misura nel ridurre le recidive.
Le opinioni degli operatori sono in genere positive. In un’indagine qualitativa condotta
presso l’U.S.S.M. di Bologna (Prati, Nascetti, 2013), gli assistenti sociali sostengono un
effetto globalmente positivo della messa alla prova. Tra le variabili sottolineano l’importanza
del contesto familiare e delle caratteristiche personali del ragazzo, senza significative
differenze di genere o nazionalità, a parte la maggiore difficoltà di accesso alle misure e alle
risorse da parte di specifici gruppi culturali, come rom e sinti. Specifiche attività possono
essere più efficaci per diversi utenti, come il percorso psicologico per i sex offenders, i corsi
di alfabetizzazione e i percorsi per ottenere il permesso di soggiorno per gli stranieri, i corsi
professionali per chi ha difficoltà a terminare la scuola.
In ambito nazionale disponiamo dei risultati di un’importante indagine quantitativa sulla
recidiva nei percorsi penali dei minori autori di reato, che è stata pubblicata nel 2013 sui
Quaderni dell’Osservatorio sulla devianza minorile in Europa. L’indagine, realizzata nel 2010,
ha coinvolto un campione di 1.110 minori sottoposti a procedimenti penali, tutti nati nel 1987.
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Maggiolini A., Leoni A., Picasso M. L’efficacia degli interventi penali con gli adolescenti
Il campione è rappresentativo: è il 15% di tutti i minori presi in carico in Italia.
Qualche dato anagrafico: i minori sono per l’80% italiani, prevalentemente maschi, gli
stranieri provengono in particolare da Marocco, Romania e Ex-Jugoslavia; il 51% è composto
da studenti, un terzo con percorso scolastico regolare, un terzo irregolare e un terzo con
abbandono.
Nella maggioranza dei casi vivono con entrambi i genitori (61%), una minoranza con
genitori separati (13%) o con un solo genitore (13%), e nel 2% si tratta di figli adottati.
Rispetto alla popolazione generale sono sovrarappresentati gli adolescenti che
appartengono a famiglie con 4 o più figli (22%, mentre solo il 13% è figlio unico). Nel 17%
dei casi hanno parenti con procedimenti penali, nella maggior parte dei casi il padre.
L’età del primo reato è per il 35% a 17 anni e per il 27% a 16 anni. I reati più diffusi
sono quelli contro il patrimonio (50%), prevalentemente furti. Quando sono contro la persona,
si tratta prevalentemente di lesioni. Il 13% dei reati è costituito dalla violazione della legge
stupefacenti, per lo più cannabinoidi. I minori che fanno parte della criminalità organizzata
sono una minoranza (4%) e anche i problemi psicologi accertati sono poco frequenti (14%).
Quanti sono i minori che ottengono la messa alla prova? In realtà solo il 21% dei minori
è trattato in messa alla prova. La condanna riguarda un numero ancora più ridotto di
adolescenti, il 17% dei casi. Che percorso seguono, quindi, gli altri minori sottoposti a
procedimenti penali? L’esito del procedimento penale, in realtà, si distribuisce negli altri casi
tra perdono giudiziale (26%), irrilevanza del fatto (18%), non luogo a procedere per altri motivi
(6%), archiviazione (4%), remissione di querela (4%) e assoluzione o proscioglimento (8%).
La recidiva nella messa alla prova
La ricerca conferma che l’85% delle messe alla prova ha esito positivo, ma il dato più
interessante riguarda la recidiva. Verificando la recidiva dei minori nati nel 1987 quando
hanno 23 anni, il 69% non è recidivo, un dato più elevato di quello di Lösel.
Del 31% di recidivi:
- II 12% ha recidiva soltanto da minorenne.
- Il 9% da minorenne e da adulto (in totale quindi il 21% da minorenne).
- Il 10% soltanto da adulto.
Circa un adolescente su tre, quindi, è recidivo e il 34% compie il secondo reato entro 6
mesi, mentre il 73% nei due anni.
Quali sono i fattori di rischio per la recidiva? Tendono ad avere tassi di recidiva più
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Maggiolini A., Leoni A., Picasso M. L’efficacia degli interventi penali con gli adolescenti
elevati gli stranieri 48% (55% femmine, soprattutto ragazze nomadi), mentre la percentuale
di recidiva degli italiani è del 28% (27% femmine). La recidiva è più elevata nei nomadi (67%),
negli adolescenti che hanno un solo genitore (58%) o sono affidati ad un parente (64%).
Anche gli adolescenti che hanno genitori con precedenti penali hanno un rischio elevato
(56%), così come quelli che vivono in famiglie conflittuali (46%). Questi dati confermano
l’importanza del contesto, in particolare famigliare, nel determinare il rischio di recidiva. In
relazione ai reati, la recidiva è più elevata per reati contro il patrimonio (rapina 53% e furto
43%), seguiti dalla violazione legge stupefacenti (30%). I reati più gravi come l’omicidio o la
violenza sessuale, invece, hanno percentuali più ridotte.
Al di là delle variabili relative ai minori e al loro contesto evolutivo, la domanda è se la
messa alla prova sia efficace nel ridurre le recidive. La risposta è positiva, in effetti, perché
riduce di circa 10 punti percentuali il tasso di recidiva.
Minori Recidiva a 60 mesi Recidiva a 72 mesi
Senza messa alla prova 29% 31%
Con messa alla prova 19% 20%
Tabella 1. Tasso di recidiva dei minorenni autori di reato (AAVV., 2013, Totaro,
2015)
Un confronto con gli altri esiti penali mostra che i condannati hanno un rischio del 63%,
mentre i minori che hanno il perdono del 34%, l’assoluzione del 27%, il proscioglimento del
14%, l’archiviazione del 18%, la remissione di querela del 19%, l’irrilevanza del 19% e altri
motivi di non luogo a procedere del 22%.
Tra i fattori di rischio di commettere un altro reato, pur avendo usufruito della messa
alla prova, vi sono l’essere straniero (in particolare i minori provenienti dall’Europa dell’est e
dall’America latina), avere un percorso scolastico irregolare, commettere il primo reato con
altri minorenni, fare uso di sostanze, essere inserito nella criminalità organizzata e vivere in
una famiglia conflittuale o monogenitoriale. I nomadi hanno un rischio elevatissimo (90%).
Fattori protettivi sono invece essere studente e femmina.
In sostanza, la messa alla prova si conferma come un provvedimento efficace e con
un basso tasso di recidiva.
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Maggiolini A., Leoni A., Picasso M. L’efficacia degli interventi penali con gli adolescenti
Una ricerca in Lombardia
De Natale (2015) ha condotto un’ampia ricerca sull’esito della messa alla prova, relativa
ai casi del tribunale per i minorenni di Milano dal 1998 al 2008, per un totale di 1.395
provvedimenti di messa alla prova. La ricerca individua le variabili significative che
distinguono messe alla prova con esiti positivi e negativi. L’indagine ha preso in
considerazione:
• Il profilo dei minori.
• Le caratteristiche socio-demografiche e anagrafiche dei familiari dei minori e/o del
contesto ospitante.
• La tipologia di reato.
• Il percorso e l’esito della messa alla prova.
Il profilo tipico del minore in messa alla prova nel Tribunale di Milano è prevalentemente
quello di un maschio (93.6%) di 17-18 anni (40.7%) italiano (71.5%). I ragazzi stranieri
tendenzialmente provengono da paesi del Nord Africa e si trovano in situazione di
clandestinità (47.8% dei ragazzi stranieri). Gli adolescenti sono spesso studenti delle scuole
superiori, diplomati alle scuole medie inferiori (77.9%), ma con percorsi scolastici spesso
caratterizzati da interruzioni e ripetenze.
Gli adolescenti in messa alla prova hanno spesso traumi da separazione genitoriale o
migratori, disturbi o problematiche psicologiche, fragilità emotiva e/o abuso occasionale di
sostanze (80.8%). Nella gran parte dei casi (70.8%) hanno avuto una presa in carico da parte
dei servizi (soprattutto servizi sociali territoriali) precedentemente al reato. Tendenzialmente
hanno un solo reato, più spesso contro il patrimonio (33.4%) o per violazione della legge sugli
stupefacenti (16%).
Questo dato è da sottolineare, perché è diverso da quello che si ritrova nella
precedente ricerca, in quanto indica una significativa presenza di problemi psicologici e di
una storia pregressa di interventi psicosociali.
Dallo studio emerge che tra le variabili associate ad una maggiore probabilità di
ottenere esito positivo al termine del percorso di messa alla prova vi sono:
• Essere studenti.
• Aver intrapreso un percorso di sostegno psicologico e attività di volontariato o
socialmente utili.
• Essere collocati in comunità.
• Avere un buon grado di collaborazione e condivisione del progetto da parte della
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Maggiolini A., Leoni A., Picasso M. L’efficacia degli interventi penali con gli adolescenti
madre e ancor di più del padre.
• Anche i minori che hanno ottenuto una proroga del progetto hanno maggiori
probabilità di concludere la messa alla prova in modo positivo.
Di contro, le variabili più frequentemente associate ad una maggiore probabilità di
concludere in modo negativo il progetto, sono:
• Essere disoccupato o in cerca di una prima occupazione.
• La presenza di problemi psicologici.
• L’abuso di alcool.
• Precedenti segnalazioni ai servizi.
• Precedenti denunce e precedenti condanne definitive.
• Vivere in una famiglia ricostruita, senza struttura o estesa, con tutore affidatario o
in comunità.
• Problemi psicologici, sociali o sanitari del padre.
• Precedenti segnalazioni ai servizi del nucleo familiare.
I risultati mostrano, dunque, come le variabili associate ad un esito positivo abbiano più
a che fare con gli elementi costitutivi del percorso di messa alla prova, mentre hanno meno
rilevanza le caratteristiche personali o familiari; al contrario, per l’esito negativo il peso
maggiore è dato dalle caratteristiche personali e familiari degli adolescenti.
Per quanto riguarda il rischio di recidiva, i ragazzi che concludono positivamente il
proprio progetto penale commettono un nuovo reato nel 31.66% dei casi, mentre per quelli
che concludono negativamente il proprio percorso la percentuale è del 70.23%, un dato
confrontabile con quello della ricerca nazionale che riguarda i condannati (63%). La
percentuale del 31% è maggiore di quella che si trova nella ricerca nazionale, del 20%, e
paragonabile al dato della recidiva a 6 anni per chi non ha avuto la messa alla prova. Per chi
ottiene un esito negativo è più probabile commettere almeno tre o più reati (52.85%).
Nel commentare questi dati occorre tener presente che questa ricerca non confronta
le messe alla prova con altri provvedimenti, ma esiti positivi e negativi delle messe alla prova.
L’arco temporale e i criteri in cui sono calcolate le recidive, inoltre, non sono simili, perché
nell’indagine nazionale sono stati considerati i minori dopo 5 e 6 anni, con un’indagine di
follow up, mentre nella ricerca lombarda sono state ricavate le recidive all’interno del periodo
di osservazione.
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Maggiolini A., Leoni A., Picasso M. L’efficacia degli interventi penali con gli adolescenti
Conclusioni
In sintesi, le ricerche internazionali mostrano che l’intervento penale con gli adolescenti
può essere efficace nel ridurre le recidive, anche nei ragazzi che hanno un rischio elevato,
soprattutto se orientato a valutare i fattori di rischio, a tener conto dei bisogni che sono alla
base del reato e a costruire un’alleanza con il minore. Gli interventi non dovrebbero essere
orientati da logiche punitive o di controllo, quanto piuttosto da logiche riparative, di sviluppo
di capacità e di responsabilità. La percentuale di riduzione delle recidive è significativa, ma
ancora lontana dall’essere soddisfacente.
In Italia i modelli di intervento che si sono sviluppati attorno alla messa alla prova hanno
esiti positivi nella maggior parte dei casi e i primi studi sul rischio di recidiva mostrano che la
messa alla prova ha un tasso più basso di altri provvedimenti, in particolare della condanna.
Restano aperti, tuttavia, molti interrogativi. Occorrerebbe per esempio analizzare le
caratteristiche dei minori che non sono condannati e non entrano in messa alla prova
(perdono, archiviazione, e altri provvedimenti) e che hanno tassi di recidiva relativamente
bassi per vedere qual è il loro livello di rischio.
Un altro dato da approfondire è il livello di problematicità psicologica e psicopatologica
dei minori. Diversi studi, infatti, hanno confermato che i giovani che entrano nel circuito
penale e in particolare i detenuti hanno una probabilità da tre a cinque volte superiore alla
popolazione generale di sviluppare un disturbo mentale (Teplin, Abram, McClelland, Dulcan
e Mericle, 2002; Wasserman et al., 2002; Vermerein, 2003; Retz et al., 2004; Steiner, Garcia,
Matthews, 1997). Il disturbo della condotta, in particolare, è la diagnosi più comune negli
adolescenti delinquenti, accanto a quello oppositivo provocatorio (Boesky, 2002; Moffit,
Lahey e Caspi, 2003; Vermeiren, Ruchkin, Koposov e Schwab-Stone, 2003). Anche gli
adolescenti che abusano di sostanze corrono un rischio maggiore di incorrere in un
comportamento criminale (Moffit et al., 2000). In una ricerca condotta presso l’USSM di
Milano (Maggiolini, Ciceri, Pisa, Belli, 2009), con il sistema Aseba (Achenbach e Rescorla,
2001), il 38% degli adolescenti ha problemi esternalizzanti e il 29% internalizzanti. Il confronto
tra i disturbi psicopatologici valutati dagli operatori e un indice di rischio di recidiva mostra
che il 91,2% degli adolescenti con un alto indice di rischio ha un livello clinicamente
significativo di problemi di rilevanza psicopatologica. Il fatto che il disagio psicopatologico sia
soprattutto presente tra i minori che sono a rischio di recidiva, porta a ritenere che l’intervento
psicologico possa essere utile nel ridurre le recidive.
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Maggiolini A., Leoni A., Picasso M. L’efficacia degli interventi penali con gli adolescenti
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