«l'altra notte in fondo al mare» © copyright simonelli editore€¦ · ci in casa fiquellafl?...

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    SSeeBBookook Istruzioni per l’uso

  • Maria Santini

    L’ALTRA NOTTE IN FONDO AL MARE

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    antini06 21-07-2004 18:32 Pagina 1

  • I PersonaggiCasa Rossetti:Riccardo Rossetti ricco industrialeElisabetta Rossetti sua figliaAlessandro Rossetti suo figlioCristina Violetti cognata di RiccardoConsuelo (Biagina Serughetti) seconda moglie di RiccardoAngelina domestica

    Casa Cesarani:Maria Cesarani impiegataAnnalisa Cesarani, sua figlia studentessaFelicita (Titti) Farandini pensionante

    Ottilia Giordano Malvezzi cantante liricaEdoardo Giordano suo maritoPhilip il segretario ingleseGeneviève Pagano ricca imprenditriceFederico Mario Fortuna cardiochirurgo, suo amanteVipsania (Nietta, Vipsy) Visdomini principessa, fidanzata di Federico Mario

    Eva Mastropiero attrice di prosaGiusini da Pra attrice di prosaJacopo Brenta attore di prosa

    Marsilio un uomo misteriosissimodon Diego suo tirapiedi

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  • Laltra notte in fondo al mare

    Il mio bimbo hanno gettato

    Or per farmi delirare

    Dicon chio labbia affogato

    A. Boito Mefistofele

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  • ELISABETTA

    Roma -Via di S.Valentinofine ottobre 1967

    Mio fratello Alessandro fu il primo ad ammalarsi, allinizio di ottobre. Un giornofiorente di salute, lindomani giallo di febbre in fondo al letto. Il medico? Escludevaquesto, escludeva questaltro, parlava genericamente di febbri gastriche...

    - Indigestione, insomma - disse quella nel suo tono annoiato da secondamoglie - il ragazzino mangia in modo così..., così... insomma tu lo vizi troppoanche in questo, Riccardo - concluse.

    In piedi di fronte a loro dallaltra parte del Iettino di Alex, io digrignavo lette-ralmente i denti.

    Ti piacerebbe, vero, cara la mia ex-morta di fame, che fosse qualcosa di peggio... ilbambino si aggrava, si toglie di mezzo, uno di meno con cui spartirsi leredità. E tu tela immagini a portata di mano, eh? Tutte le tue premure ipocrite per il cuore di papà,Riccardo qua, Riccardo là, lo sai che non puoi affaticarti, lo sai che devi stare a dieta.

    La porta si aprì ed entrò frettolosa la zia Cristina con un vassoio sul qualeera posata una tazza fumante. Bastò la sua presenza, così dolce, a dissiparele mie truci fantasie. La zia Cristina si occupava di noi due e di tutto landa-mento di casa da quando nostra madre si era ammalata... e continuava amandare avanti la baracca anche ora, specie di governante non pagata, per-ché quella potesse spassarsela senza pensieri.

    Ma perché, perché mio padre non ha sposato lei, la cognata, come tutti gliconsigliavano di fare quando la mamma è morta? Che bisogno cera di sbatter-

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  • ci in casa quella? La zia Cristina è giovane, più giovane di quella, carina, fine.E poi, anche se non dice niente perché è troppo signora, a me risulta che ci tene-va, a mio padre. Ma non ha saputo afferrare loccasione... troppi scrupoli. Lasorella appena morta, e lui tanto più grande di lei, e cosa dirà la gente e qui e lì...

    Vero è che papà non le ha lasciato molto tempo per riflettere.

    Settembre 1966, poco più di un anno fa. Con la mamma morta in aprile,dopo latroce, lentissima malattia...

    La zia Cristina entra in camera mia. Lì per lì non mi rendo conto di quantoè pallida.

    - Elisabetta - mi dice, atona - ha telefonato tuo padre da Nizza.- Ma che bello! - esclamo dimpulso - allora ritorna! E quando...La zia Cristina china la testa, confusa, come se fosse lei in colpa.- Domani... ma non sarà solo. Torna con la fidanzata...

    La fidanzata!Cinquantacinque anni, vedovo da cinque mesi, un cuore scassato, due figli,

    lazienda... e il commendator Riccardo Rossetti pensava bene di risposarsi -e lo fece subito, il tempo di preparare le carte - con una ventottenne dal pedi-gree assai dubbio. Una di quelle donnine che frequentano le feste dei ricchi,sulla costa Azzurra e non si sa mai chi le ha invitate. Tipetti che toccano il cielocon un dito se riescono ad avere una relazione anche breve con un uomofacoltoso... E proprio a quella doveva capitare di fare il colpo gobbo: e aspese di mio padre?

    - Non dire così, Elisabetta - mormorò la zia Cristina - magari è una ragazzadeliziosa che farà un sacco di bene a Riccardo... e anche Alex ha bisogno diuna mamma.

    - Alex ha me e te!

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  • ...arriva quella.Sono tornati con la Mercedes (papà adora guidare) e noi tre li aspettiamo in

    casa. Prima salgono Giovanni e Angelina con i bagagli: quelli soliti di papà einsieme ad essi un mare di valigie e sacche di cuoio tempestate di borchie efibbie. Di un rosso aggressivo il cuoio: rutilante come oro il metallo. Ci avreiscommesso: la scelta inevitabile di una donnetta precedentemente abituata avaligie di plastica.

    Finalmente entrano loro due.- Alex! Elisabetta! - esclama papà abbracciandoci con la solita esuberanza

    e passando poi a sfiorare con un bacetto la guancia della zia Cristina. E subi-to, accennando alla persona in seta pura, smeraldone di fidanzamento e largavera doro massiccio al dito:

    - E questa è Consuelo...Quella è alta, magra ma con un seno esuberante. Pallidissima: su quel

    pallore spiccano due grandi occhi neri, truccatissimi, e delle labbra dipinte diun rosso violento. I capelli lunghi, neri, lisci, sono spartiti in mezzo.

    In poche parole, la moglie di Dracula, come la battezzerà Alex. Dice a tutti noi alcune gentili banalità, parlando con una traccia ben udibile

    di accento settentrionale. Intanto i suoi occhi guardinghi si impadroniscono diogni particolare: me, Alex, la zia Cristina, il lusso dellambiente...

    Mero preparata a trovarla antipatica ma devo dire quel suo aspetto daMorticia Addams mi facilita enormemente il compito.

    Consuelo! Non si chiamava così, ovvio. Lei andava dicendo che il nomeglielo aveva messo la madre in onore della nonna spagnola. Non so se la-vesse inventata, questa ascendenza esotica, ma le carte del matrimonio par-lavano chiaro:

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  • Serughetti Biagina, nata a Caronno Pertusella (Varese), il 12 dicembre 1938.

    Serughetti Biagina. Biagina, anzi la Biagina, che sempre più spesso preva-leva sulla sofisticata Consuelo. Bastava per esempio che si alterasse perchéil suo accento dialettale si facesse denso come morchia. A tavola faceva usodi stuzzicadenti dietro la mano chiusa. Al mattino appariva a colazione con gliocchi malamente struccati e i capelli spettinati.

    Devo essere sincera: allinizio non diede troppo fastidio. Aveva desiderio dilusso e di mondanità ed ebbe luno e laltra: mio padre, tronfio come un pic-cione, ci teneva ad esibire la sposina. In cambio quella non interferiva nellacose di casa anzi fu ben contenta che la zia Cristina acconsentisse a rimane-re con noi un altro po. Un po che si dilatò nel tempo perché la zia ci volevatroppo bene per lasciarci.

    I guai, quando cominciarono - e fu ben presto - non partirono da attriti con noifigliastri o con la dolce Cristina ma soltanto dalla filosofia di vita della Biagina.Fra le varie tipologie di donnine furbe che sposano il ricco, lei rappresentavaquella con famiglia invadente: i Biaginidi, come li battezzammo, un nugolo diparenti ai quali era affezionatissima. Fratelli, sorelle, cugini, nipoti, limmanca-bile vecchia madre adorata e un paio di zie. E tutti avevano bisogno di qualco-sa: il posto, la raccomandazione, un finanziamento... mamma e zie necessita-vano di cure costose e villeggiature al mare, in montagna, in luoghi termali.

    Ma la Biagina sottovalutava mio padre tanto quanto sopravvalutava il pro-prio fascino. I primi tempi papà assunse, raccomandò, sborsò, prenotò: poisbolliti gli ardori delle nuove nozze, ricordò di essere il commendator RiccardoRossetti, un duro che aveva creato la sua tanto fiorente azienda partendo daalcune dissestate fabbrichette ereditate dal padre e chiuse istantaneamente icordoni della borsa. Non solo: quando si accorse che la Biagina tentava

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  • comunque di farlo fesso, senza esitare bloccò il conto in banca che le avevaintestato.

    - Sei troppo buona, Consuelo - le disse, impassibile di fronte agli strilli e allelacrime - i tuoi parenti pensano solo a sfruttarti. È per il tuo bene che agiscocosì. Un giorno lo capirai e mi sarai grata.

    Ma quel giorno non venne mai. Ben presto si aggiunse un nuovo motivo didisaccordo. Serughetti Biagina dichiarò che non era disposta ad accontentar-si del nostro attico con superattico, pur prestigioso, pure immenso: voleva la-bitazione dei suoi sogni, la villa. Lontano dalla città, circondata da un parco,provvista di piscina: considerando poi il fatto che sicuramente avrebbe volutoarredarla a suo gusto, sfarzosa e pacchiana da non dirsi. Figurarsi mio padre,che ha una paura quasi patologica dei delinquenti e si sente tranquillo soltan-to allultimo piano del nostro ben custodito condominio.

    Così la Biagina combattè la sua seconda battaglia persa: ma neppure papàpoteva cantar vittoria perché il rapporto stava decisamente incrinandosi.

    Ogni discussione fu però sospesa per le vacanze - era il luglio di questan-no - che ci videro tutti separati: i due coniugi sullo yacht di amici, io inInghilterra e Alex a Portofino con la zia Cristina. Ma quando ci ritrovammo, asettembre, quella non tardò molto a riprendere le ostilità. A quanto parevapapà, complice il chiaro di luna sul mare, aveva rinnovato gli ardori nuzialifacendo alla sposina qualche promessa che adesso sera rimangiato. Così laBiagina era furiosa.

    Fu a questo punto che Alex si ammalò.

    Stette poco bene per tre settimane ma non sembrava nulla di serio. E forseper la nefasta influenza della Biagina, che minimizzava, forse perché nessu-no di noi poteva concepire che a un bambino sano e robusto come Alex potes-se capitare qualcosa di grave, non ci preoccupammo molto. Il medico veniva,

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  • prescriveva purganti e sciroppi: in poche parole, non si preoccupava neppurelui.

    Finché in cinque ore la situazione precipitò e il mio fratellino morì.

    Ricorderò sempre la sera precedente alla morte di Alex perché fu allora checoncepii il dubbio.

    Ero entrata in camera di mio fratello per dargli la buonanotte e - quale stupo-re - mi trovai di fronte alla Biagina che tentava di dargli una qualche medicina.Seduta sul letto accanto a lui, cercava di mettergli un cucchiaino fra le labbramentre Alex voltava con abilità la testa da una parte e dallaltra, piagnucolando.

    - È amaro! - protestava. E la Biagina, più vampiresca che mai nel suo abi-tino nero, insisteva con voce di puro zucchero: - Ma su, Alex, su!

    - Come mai... - cominciai io ma mi interruppi. Non mi sembrava educatochieder conto di quella che in fondo era una gentilezza da parte sua. Ma leidovette capire perché si affrettò a spiegarmi: - Mi ha pregato Cristina, leiaveva altro da fare.

    Stranissimo: la zia che aveva qualcosa di più impellente dellassistenza alnipotino adorato? E in ogni caso avrebbe chiesto a me o alla fidata Angelinadi dargli la medicina, non certo a lei. Più tardi infatti la zia Cristina confermò ilmio sospetto:

    - Io chiedere a quella di andare da Alex? Non me lo sono mai sognato!Così cominciò il mio dubbio.

    ...poche ore dopo tutto era finito per il mio piccolo, tenero fratellino. Neppureil tempo di trasferirlo in clinica: lambulanza arrivava e lui moriva.

    Ricordo che fui io ad affrontare il medico. Papà sera sentito male e lave-vano imbottito di sedativi, la zia Cristina si stava occupando delle incomben-ze pratiche seguite a quella morte atroce e la Biagina non si vedeva in giro.

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  • - Voglio lautopsia! - avevo gridato - non si muore così a sette anni!Stavo ancora insistendo quando il dottore se ne andò senza darmi assolu-

    tamente retta, lasciando il certificato di morte (gastrite acuta) sul ripiano dellascrivania, in studio. Scuoteva la testa, evidentemente contrariato dalla ragaz-zina sconvolta che rendeva le cose più difficili per tutti e specialmente per ilpovero commendator Rossetti, malato di cuore.

    Che potevo fare? Avevo diciassette anni e capivo che nessuno mi avrebbedato retta. Confidai i miei sospetti alla zia Cristina, col risultato di scombusso-larla completamente: vista la sua reazione di dolore e di diniego decisi chenon era assolutamente il caso di parlarne a mio padre.

    Del resto non ebbi modo di rimuginare per molto dolore e rabbia: la seradopo i funerali di Alex cominciai a sentirmi male anchio.

    Due giorni dopo.Spalanco gli occhi nel buio.Sono nel mio letto. Il buio mi avvolge. Giro con fatica la testa verso il como-

    dino: la sveglia dal quadrante fosforescente segna le 23.55.Provo un forte senso di angoscia. Perché? Non è la consapevolezza che

    domattina sarò ricoverata in clinica: ho insistito io per andarci. Quasi quasi rimpiango di non aver preso il sonnifero, qualche ora fa. E dire

    che me lha portato Angelina, e di lei mi fido. Tanti anni che è a servizio danoi... Ma lidea di cadere in un sonno profondo, di perdere il controllo di unasituazione che mi terrorizza, è stata insopportabile. Così, per non addolorarela zia Cristina a cui certamente Angelina avrebbe riferito il mio rifiuto, mi sonocacciata la pillola in bocca e non appena ho potuto lho sputata.

    Danubio blu, uh-uh uh-uh.Che centra il Danubio blu, adesso? Perché mi è venuto alla mente? Mi

    rivolto nel letto, smaniosa.

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  • Bel Danubio blu, uh-uh uh-uh.Un gelido terrore mi attanaglia. Il valzer non si è formato nella mia mente. Non sono sola.Cè qualcuno nella stanza. È quel qualcuno che sta mugolando pianissimo,

    certamente senza rendersene conto, la musica del Danubio Blu. Con la speranza di sbagliarmi, giro piano piano gli occhi. Il buio non è com-

    patto perché un lieve chiarore filtra dalle persiane accostate. Quando il miosguardo si posa sulla sinistra ho un tuffo al cuore: intravedo una sagoma piùnera del nero della stanza, unombra sottile che sta accanto al tavolino ovesono poggiate le mie medicine. È da lì che arriva larcano, asessuato mugo-lio:

    Danubio blu, uh-uh uh-uh.Urlo mentre annaspo a cercare il pulsante dellabat-jour sul comodino: urlo

    ancora mentre premo e ripremo senza risultato. Dopo si scoprirà che la spinaè stata sfilata dalla presa. Le mie grida comunque fanno effetto perché un atti-mo dopo non cè più nessuno vicino al tavolino. La porta del bagno si apresilenziosamente, rivelando un buio diverso, e rimane semiaperta. Cè unaltrauscita, lì, che dà sul corridoio.

    E allimprovviso la camera è illuminata e piena di gente, cè la zia Cristinastravolta, seguita da Angelina terrorizzata, cè mio padre, pallidissimo, e cè...sfacciataggine! quella, con i suoi occhi malamente struccati e le labbra esan-gui... barcolla quando io le punto il dito contro e balbetto con quel po di voceche mi è rimasta:

    - Medicina... veleno... Consuelo!

    Fu così che mi salvai e la Biagina fu perduta.Scoprirono che aveva usato larsenico sia con Alex che con me. La boc-

    cetta che, fuggendo terrorizzata, aveva lasciato sul tavolino di camera

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  • mia, quella notte, ne conteneva tanto da finirmi: era quella di un medici-nale che prendevo al risveglio, svuotata del suo contenuto onesto. Altroveleno fu trovato in un paio di eleganti doposci di volpe, in fondo alla suascarpiera.

    Chiaro il piano di quella. Si sarebbe liberata di noi figli, gli eredi natu-rali, e poi, sicuramente, anche di papà. Per fortuna sua e mia - ma non diAlex, purtroppo - la Biagina era scema: solo una scema poteva organizza-re un duplice delitto in maniera così grossolana.

    Lei negò, naturalmente, negò tutto. Dalla mia camera udii i suoi strillidisperati mentre la portavano via. Mi dissero che si aggrappava ai mobili,alle persone, che si buttava in terra a corpo morto. Insomma, uscì di casanostra trascinandosi e trascinata, con la bava alla bocca.

    Tre giorni dopo, in carcere, preda di una crisi di disperato furore, quel-la picchiò ripetutamente la testa contro il muro della cella e morì. Una finetragica ma anche ridicola e plebea, molto in stile con lei.

    Ammazzandosi, la Biagina ci aveva fatto un favore non piccolo: vennemeno la necessità di un processo e il cancan dei giornali, non sostenutodalla presenza delleroina negativa, si esaurì in pochi giorni. Papà nondovette pensare ad avvocati e alla separazione... Era libero.

    È di nuovo notte e di nuovo sono nel mio letto. Poso il libro che leggevo emi accingo a spegnere la luce quando, dopo una lieve bussata, entra la ziaCristina. Ha pianto ma gli occhi le brillano.

    - Elisabetta - mi dice con la sua voce dolce - so che è troppo prestorispetto a tutto, a mia sorella, ad Alex ed anche a quella disgraziata... ma...

    Esultante, non la lascio finire: - ...Ma papà ti ha chiesto di sposarlo. Vero?Turbata come una ragazzina, lei accenna di sì.

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  • - Riccardo mi ha detto: Cristina, vorresti prenderti cura di me? Lo vedi cheguai combino,lasciato a me stesso... - la zia si terge altre lacrime e prosegue- oh, Elisabetta, se non fosse per Alex come sarei felice! - e ci abbracciamostrettamente, piangendo di dolore e gioia insieme.

    Adesso tutto andrà bene. Finito il rischio di un bis della Serughetti Biagina,saremo una famiglia: papà, io e questangelo. La gioia futura ci è costata unprezzo altissimo e non lo scorderemo mai: ma almeno ci stiamo avviandosulla strada della normalità.

    Devo essere passata dal pianto al sonno perché mi trovo appoggiata aicuscini mentre la mano della zia Cristina si libera dolcemente della mia. Vorreidirle resta ancora, parliamo ancora ma non ne ho la forza. È bello rimanerein un torpore beato mentre la zia si protende a spegnere la lampada del como-dino, mi sfiora la fronte con un ultimo bacio e poi, alla luce che proviene dallaporta aperta sul corridoio, savvia a uscire.

    Danubio blu, uh-uh uh-uhPerché non posso dimenticare, neanche stasera, lorribile mugolio dellas-

    sassina soddisfatta?Bel Danubio blu, uh-uh uh-uhColpo tremendo: improvvisamente mi rendo conto che stavolta non è

    come le altre notti. Il mio non è un ricordo. Con gli occhi sbarrati seguo lal-ta e sottile figura della zia che, sempre mugolando gioiosamente, esce dallacamera mentre fa volteggiare la gonna, in un accenno di movimento didanza:

    Uh-uh uh-uh-uhbel Danubio blu...E chiude delicatamente la porta dietro di sé.

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  • OTTILIA GENEVIÈVE EVA

    1. Parma, 15 dicembre 1986Villa delle Viole Blu

    Ottilia, in giacchetta tempestata di jais e lunga gonna nera, schiacciava il belnasino contro il vetro della finestra a scrutare fuori nella nebbia, così fitta chele fioche lanterne giallastre, in giardino, non bastavano a dissiparla. Quel buiofluttuante le permetteva di illudersi di essere ancora a casa, a Spoleto. Il foltodi alberi che appariva e spariva sommerso da vaporosi veli di nebbia parevaproseguire allinfinito, tuttintorno, suggerendo allimmaginazione una serie dicolline boscose. Ma londulato paesaggio umbro era solo una fantasia strug-gente: in realtà oltre il giardino si stendeva una campagna piatta, formata dalunghi campi ben coltivati a tratti interrotti da una linea decisa di pioppi alti esvettanti: la bassa padana, terra di Verdi.

    egli è delitto... punizion sonio!Ottilia voltò bruscamente le spalle alla finestra. Quella sera brumosa, quel

    giardino spettrale, quella casa non sua le facevano risuonare in testa, doloro-samente, lesclamazione esultante e disperata insieme dellinfelice Rigoletto.Lei, Ottilia, un delitto orribile laveva commesso: la punizione non era arrivata.Non ancora...

    Un brivido la scosse. Poter essere alla villa, a Spoleto, lontano dalla recitaimminente, al sicuro, al riparo! Per quanto anche lì, in quello che da tanti anniera il suo porto tranquillo, si sentiva sempre meno protetta.

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  • Egli è delitto... punizion son io!Delitto. Ma avrebbe potuto comportarsi diversamente, allora? Però questo

    non scusava, non assolveva. Un brivido più profondo traversò il suo essere.Langoscia montava. Cercò di concentrarsi su quello che aveva intorno. Quelbellissimo studio in mogano e cuoio biondo, per esempio: i due Tiepolo delsalone sottostante... la camera da letto mansardata, tutta velluto color zaffiro,trine fiamminghe e candide pelli dorso: il padrone di casa laveva fatta allesti-re apposta per lei.

    La villa le era stata prestata, per le tre settimane in cui doveva rimanere aParma, impegnata al Regio, da un ammiratore miliardario. Ce nera sempreuno, quando la Giordano Malvezzi era in tournée, essendo nota a tutte le lati-tudini lidiosincrasia della famosa primadonna per gli alberghi. Lammiratoreparmense era un vecchio scapolo arido con la religione del lavoro e la fissa-zione della lirica: tantè vero che il nome dato alla sua villa, non era altro cheun acronimo pazientemente formato con i nomi di alcune sue eroine lirichepreferite:

    D (esdemona), El (isabetta), L (ucia), E (lvira), VIO (letta), LE (onora), B (utterfly), L (i)U

    ...dove Desdemona, si premurava sempre di spiegare, valeva per Verdi eper Rossini, Elisabetta per Verdi e Wagner e LE per tutte le Leonore.

    La sua vita erano i Consigli di amministrazione e i teatri dopera: la casasolo un simbolo di prestigio. Non fosse stato per questo, non lavrebbe nep-pure avuta. Essa era quindi uno scenario freddo cui laroma del cuoio e lamorbidezza dei velluti non bastavano a dare una scintilla di calore: tantosarebbe valso andare in albergo, pensava Ottilia. E di nuovo provò una fitta dinostalgia per il dolce rifugio di casa sua.

    Ma quella sensazione di sottile, smaniosa e in fondo non spiacevole malin-conia non durò che un istante: perché di colpo - e il cuore le balzò in gola - la

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  • cantante si accorse che la porta foderata in cuoio biondo, quella porta che leiaveva richiuso così accuratamente, ora era semiaperta.

    Delitto, punizione...- Cè qualcuno? - la voce rotta, tremante, le sembrava quella di unaltra per-

    sona.Non cera dubbio: la fessura si andava allargando. Ottilia sentì il terrore for-

    micolare su per la nuca. Che sbaglio rimanere sola: ecco che adesso si tro-vava in balia del silenzioso, strisciante, invisibile nemico.

    Che fare?... cera unaltra porta, nella stanza, che dava in un salottino: da lìavrebbe potuto scappare nel corridoio...

    ... per ritrovarsi di fronte alla cosa che stava strisciando dentro?Fu soltanto la paura a dettarle la mossa decisiva: quasi indipendentemente

    dalla volontà, il suo corpo si mosse, volò alla porta: una folata fredda la inve-stì, aumentando il suo raccapriccio, mentre con entrambe le mani afferrava ilpomolo di ottone, spingeva, chiudeva. Alla fine, madida di sudore freddo,Ottilia rimase appoggiata al battente: tremava tutta.

    Non cera chiave, purtroppo. Si guardò intorno. Nellangolo più vicino cera unpesante sgabello. Lo afferrò con una mano - laltra tratteneva la porta - e lo tra-scinò a bloccare il battente. Poi indietreggiò verso la scrivania e il telefono interno.

    Tuttavia non chiamò nessuno. Sentiva diminuire la morsa dellangoscia. Isuoi occhi non si staccavano dallo sgabello, è vero, ma la sua parte raziona-le riemergeva analizzando la sensazione provata nel momento in cui si eraappoggiata alla porta: quella folata fredda che aveva sentito non aveva nulladi misterioso. Il corridoio del primo piano, che terminava con una grandevetrata, era il regno delle correnti.

    Solo il vento era stato il suo nemico. Pian piano il respiro affannoso di Ottilia si calmò. La paura divenne disagio.

    Non voleva rimanere più sola ma daltra parte lidea di spostare lo sgabello e

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  • affrontare il corridoio semibuio e percorso da quei soffi inquieti non le sorride-va. Avrebbe chiamato Philip, non Edoardo, dato che aveva una cosa da farein camera da letto e suo marito non doveva assolutamente accorgersene. Lecompresse stavolta le avrebbe nascoste nel fazzolettino e poi nella taschinadella pochette sperando in bene: ormai Edoardo si fidava così poco di lei chearrivava al punto di perquisirle tutti i probabili nascondigli.

    Dopo uno spavento come quello provato, ragionava Ottilia, non poteva farediversamente. Suo marito aveva un bel dire che quella robaccia influiva sullaqualità della sua prestazione: forse era vero ma la scelta era fra cantare malee non cantare affatto.

    - Ottilia. Sei qui? Ottilia?...Lo sgabello davanti alla porta si mosse e scivolò di lato, sospinto dal bat-

    tente di cuoio che veniva aperto in maniera così palese e autoritaria da nonlasciare spazio alla paura.

    Ed ecco Edoardo, proprio lui, con la solita aria preoccupata e inquisitrice.- Perché ti sei barricata qui? Cosa stai combinando? Mica avrai...- No, non ho fatto niente - non ancora. mio caro - Volevo stare un po sola.

    È un delitto?Delitto. Punizione.- Ti ho cercata dappertutto. Dobbiamo andare.Le labbra di Ottilia si sbiancarono. - Andare? Adesso? Ma è troppo presto.- Col cavolo! - sbottò lui, esasperato - non vedi che nebbia? E meno male

    che entri al secondo atto, se no rischiavamo di far tardi lo stesso - sospirò - sesi potesse stare in albergo, vicino al teatro, come persone normali...

    - Che vuoi dire, che sono pazza?- Ma quando mai - Edoardo si sarebbe preso a calci: quando la moglie

    cominciava a prendere nel senso peggiore quello che le si diceva erano guaiseri. Prese un tono più dolce. - Avanti, su. Ti prendo la pelliccia.

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  • - lo non vengo - affermò Ottilia con voce bassa ma chiara - stasera noncanto. Anzi non voglio mai più fare Azucena. Mai più un Trovatore mi sonospiegata?

    Per un attimo rimasero a guardarsi, misurando le forze per la prossimabattaglia. Due personaggi molto diversi. Ottilia era una bella donna alta,appena un poco più formosa che in giovinezza. Il suo volto, un temposplendido, cominciava ad essere appesantito da un accenno di doppiomento ma i suoi grandi occhi chiari erano pur sempre strepitosi. Edoardoera alquanto più basso della moglie: un po stempiato, aveva lineamentipiacevoli ma la sua grande chance era rappresentata dalla figura snella daragazzo. Edoardo il vanitoso, lo chiamava Ottilia. Per mantenere quellafigura scattante, infatti, il marito si sottoponeva a sacrifici che con il passardegli anni divenivano sempre più eroici: diete, massaggi, sfibrante attivitàsportiva.

    Un giorno o laltro ci resterà, come tanti cinquantenni che abusano del pro-prio cuore.E allora io cosa farò?...

    Così, in fin dei conti, non ci fu battaglia. Ottilia sera intenerita sulla sorte diquel marito che non amava ma da cui dipendeva, rendendo facile lopera dipersuasione che Iui intraprese in tono accorato.

    - Cara, su, non fare così. Non è successo niente. Sai come ti amano qui...Amore. Spesso Ottilia aveva chiesto ad Edoardo, nel corso del loro lungo e

    travagliato matrimonio, perché le rimaneva accanto. Perché ti voglio bene,aveva sempre risposto lui: ed alla vanità della primadonna sarebbe piaciutocrederlo ma la ragione si opponeva. Prima di tutto anche lei aveva semprespergiurato di amarlo mentre aveva soltanto bisogno che Edoardo, abile efidato, le organizzasse la vita e la carriera: e poi quale amore avrebbe resisti-to a quasi ventanni di capricci, bizzarrie e tradimenti consumati con eccita-zione nevrotica, senza il minimo rispetto, né riguardo, né pietà? E le mille volte

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  • che gli aveva detto ti lascio? Anche un uomo più nobile di suo marito si sareb-be disamorato.

    Amore a parte, quali fossero i veri sentimenti di Edoardo nel suoi con-fronti non lavrebbe saputo mai. Fastidio e antipatia, magari invidia - ilmarito era stato ai suoi tempi un tenorino svociato - compensati dal lussomiliardario del loro tenore d vita e mascherati da una strisciante ipocri-sia? Tolleranza, comprensione, affetto cameratesco? Pura e semplicepietà?

    - Tutto passerà, vedrai - continuava lui con voce carezzevole, ignaro dellavorio mentale della moglie - abbi fiducia. E segui la cura, invece di prende-re quelle porcherie là - le fece dolcemente ganascino - Un minuto e torno.Vado a prenderti la pelliccia.

    Le compresse!- No, vado io - disse lei in un tono che si augurò naturale - ho bisogno del

    bagno. Faccio subito - e prima che lui potesse replicare corse via, non più sen-sibile alla inquietante atmosfera del corridoio.

    Edoardo esitò un attimo, poi rinunciò a seguirla. Tanto se voleva imbro-gliarlo ci sarebbe riuscita in ogni modo.

    Stessa seraTeatro Regio di Parma

    stride la vampala folla indomita...

    Seduta sul cofano della camionetta, un fucile sulle ginocchia, OttiliaGiordano Malvezzi dominava la scena e il teatro: così come quando, neiTrovatori tradizionali, appariva avvolta in un manto rosso e carica di rutilantigioielli barbarici. La sua Azucena era ed era sempre stata unaffascinante regi-

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    ISBN 88-7647-038-7Romanzi

    «Laltra notte in fondo al mare»di Maria Santini

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  • INDICE

    ELISABETTA

    OTTILIA GENEVIÈVE EVA

    MARIA

    FATTI

    ANCORA MARIA

    EVA

    GENEVIÈVE

    OTTILIA

    MARIA E TITTI DA EVA

    MARIA

    MARIA E TITTI DA GENEVIÈVE

    CHEZ ZIA ANGELINA

    EVA

    MARIA

    VIPSANIA

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  • MARIA E TITTI DA OTTILIA

    EVA

    MARIA

    ANCORA MARIA

    CHEZ ZIA ANGELINA 2

    MARIA

    GENEVIÈVE

    ANNALISA

    EVA

    MATER INTEMERATA

    ...QUALCHE TEMPO DOPO

    LAUTRICE

    LICENZA DUSO

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    COPERTINA

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