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Page 1: L'ALTRO SGUARDO - DEMO
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Collana Perle d’Occidente - Edizioni Circolo Virtuoso

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DANIELE DE BLASI

L’altro sguardo

Edizioni Circolo Virtuoso

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L’altro sguardo - Daniele De Blasi

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“Qualcuno doveva aver calunniato Joseph K.,

perché senza che avesse fatto nulla di male,

una mattina fu arrestato.”

Franz Kafka, Il processo

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a Loris

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I

– Mi raccomando, ragazzi: non facciamo cazzate...– Dammi una sigaretta... – Le ho inite.– La vuoi una Merit?– Sì, basta che fumo...– Tieni...– Fammi accendere... – Forse dovremmo dire tutto... – Allora non hai capito un cazzo!– Ragà, dobbiamo essere tutti d’accordo, sennò siamo nella mer-da...– Tu come stai?– Cosa?– Tutto a posto?– Sì...– Allora facciamo così: ora ce ne andiamo, ma due alla volta. E per un po’ non dobbiamo uscire insieme, non ci dobbiamo telefo-nare, niente! Ci rivediamo qui tra una settimana... Va bene?– Va bene... – Ok... – Sì...

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II

Sapeva di vecchio quel casolare. Un intenso e penetrante odore di muffa ammorbava l’aria. Era in troppo evidente: chi ci abitava non badava troppo all’igiene e non puliva da mesi. Forse da anni.Da un inestrino opaco che dava sulla campagna circostante pro-veniva un debole fascio di luce che tagliava trasversalmente l’am-biente, creando un’atmosfera fortemente ambigua e sinistra.L’arredamento era misero: tre sedie impagliate; scaffali pieni di cianfrusaglie ino all’inverosimile e i cui vetri erano coperti di polvere; una vecchia credenza su cui era posto un televisore in bianco e nero; una specie di lavandino incrostato con un rubinet-to gocciolante e con accanto una piccola cucina da campo a due fornelli; uno straccio di cotone rosso appeso alla parete gialliccia e stantia; un letto a una piazza ad angolo tra due muri.Su una mensola parzialmente consumata dal tarlo erano ordinati due piatti piani, due fondi, due bicchieri di vetro e quattro posate. Ad una parete erano appese delle corone di pomodori. E poi ci-polle, aglio e persino delle salsicce di maiale.In un angolo, dentro uno scompartimento stagno di vetro dispo-sto sopra una tavola di legno appoggiata a due mattoni in pietra leccese, tre vipere strisciavano silenziose sopra 10 cm di sabbia. Alla parete opposta erano issate quattro gabbie con dei canarini multicolori che cinguettavano a festa.Sopra un tavolo di plastica tre cassette piene di uova di galli-na, prodotte dal pollaio sul retro della cascina, erano poste una sull’altra.Ad un tratto si aprì la porta e sul pavimento si proiettò un ret-tangolo di luce, al cui interno si stagliava l’ombra di un uomo di

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bassa statura, robusto, quasi senza collo, con in testa una coppola del tipo usato in Sicilia nel dopoguerra.In quel momento, un grosso scarafaggio attraversò il pavimento portandosi a spasso la sua ombra. Ignaro, come tutte le creature dell’universo, di come e di quando il suo destino si sarebbe com-piuto.L’uomo, di circa 40 anni, occhi scuri, mascella quadrata, si ac-corse dell’insetto e rimase immobile. Mentre lo scarafaggio, in-spiegabilmente, si avvicinò al suo piede. Forse scambiandolo con qualcosa di non umano.Quando poi l’insetto ebbe toccato la suola dello scarpone insudi-ciato dell’uomo, questi sollevò il piede e lo calpestò.Con gelida calma.Poi accese la TV e, con passi pesanti che fecero cigolare le travi di legno del pavimento, raggiunse una sedia.La TV mandava un Tg locale. Un giornalista annunciava:“Nella campagna salentina, in contrada La Maddalena, all’inter-no di una masseria fortiicata, sono stati rinvenuti i corpi senza vita di una prostituta e del suo “protettore”, con ogni probabili-tà entrambi minorennì e di origini slave. Gli inquirenti sono sul luogo a condurre le indagini. I particolari nel servizio di Nadia Toraldo...”.In quel momento, alla voce del giornalista si sovrappose il ru-more prodotto da un elicottero che volteggiava nelle immediate vicinanze.Era un pallido pomeriggio di un sabato d’ottobre nelle campagne piene di ulivi, delimitate da muri a secco, che si estendono per centinaia di ettari attorno alla città di Lecce.Per tutta la mattinata era piovuto, ma verso l’ora di pranzo aveva smesso. Anche se il cielo continuava ad essere una distesa grigia

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e uniforme.L’elicottero dei carabinieri, il cui pilota comunicava con la cen-trale, volava sulle campagne circostanti, in direzione di un parco pieno di pini e d’abeti alti trenta metri che circondava una specie di grande masseria disabitata da decenni che aveva conservato intatta la sua architettura colonica.Nel piazzale antistante c’erano alcune auto dei carabinieri e di-versi curiosi, soprattutto contadini e persone che abitavano nelle immediate vicinanze. Mentre Nadia Toraldo, splendida trentenne dai capelli biondi ricci, armata di microfono e seguita da un cameraman, cercava di avvicinarsi al luogo transennato dai carabinieri, intervistando chiunque le capitasse a tiro.Un’auto scura percorreva il viale alberato della proprietà, diretta al piazzale antistante.Alla guida, il capitano Savelli, 39 anni, alto e robusto, brizzolato, pizzetto, auricolare all’orecchio destro, stava parlando con un suo collega del processo di primo grado contro un esponente emer-gente della malavita locale, accusato di associazione a delinquere e dell’omicidio di un negoziante che si era riiutato di pagare il pizzo:– ...Fosse per me gli darei l’ergastolo... Te lo dico io cosa succede: si fa un paio d’anni, poi ha l’illuminazione. E allora si pente, gli danno una villa in Svizzera, una nuova identità e uno stipendio per non fare un cazzo: è uno schifo... Che ci vuoi fare, così va il mondo... Senti, io sono quasi arrivato, casomai ci sentiamo più tardi... Va bene, ciao... Attraverso il parabrezza della sua auto, il capitano vide la gente morbosamente accalcata nel piazzale, mentre l’elicottero adesso volteggiava proprio sopra la masseria.

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L’auto di Savelli si fermò poco lontano.Il capitano uscì e chiuse la portiera. Indossava una giacca di pelle nera e dei jeans. Quando ebbe raggiunto il gruppo di persone, i carabinieri lo salutarono facendolo passare tra la piccola folla assiepata.Saverio Savelli era un uomo tutto d’un pezzo. Salentino di origini, si era laureato in giurisprudenza a 25 anni. Ma poi aveva deciso di abbandonare le aspirazioni di gioventù e partire in Accademia. In seguito era stato per 5 anni al Centro di Investigazioni Scien-tiiche della capitale. E, dopo un centinaio di “casi” risolti, aveva ottenuto il trasferimento nella sua regione, a Bari. E a Bari aveva conosciuto Giulia, se ne era innamorato e l’aveva sposata. Ma poi il matrimonio era andato in pezzi. Un po’ per colpa sua. Un po’ per colpa di lei. Per caso e per fortuna, poco dopo il divorzio, era stato trasferito d’uficio a Lecce, a guidare il Reparto Operativo dei Carabinieri. Adesso viveva da solo, in un appartamento situa-to al n. 68 di via Palmieri, proprio nel centro storico della città.Il brigadiere Fasiello, di origini napoletane, 32 anni, 75 kg per 1,70 m d’altezza, occhi azzurri e grosso naso al centro del viso ovale, gli andò incontro.– Insomma, che è successo? – gli chiese Savelli, avvicinandosi alla scalinata che portava alla balconata del primo piano.– Non è ancora chiaro, capìtano... – gli rispose il brigadiere, se-guendolo.Il capitano sì fermò per guardarsi intorno:– Chi vi ha chiamati? Fasiello gli indicò un Contadino intorno ai 60 anni, fermo poco lontano, accanto a due carabinieri: – Quel contadino... Era in un orto qui vicino... Ha sentito un urlo... Poi ha visto del fumo uscire da una inestra del primo piano e si è avvicinato. E ha visto quat-

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tro ragazzi che andavano via su due scooter... A quel punto ha chiamato in centrale... Mentre il brigadiere parlava, Savelli si era voltato verso i carabi-nieri che tenevano a bada giornalisti e curiosi e aveva notato, con un senso di disgusto, il modo in cui quelle persone si interessava-no all’accaduto.– Quella gente, mi dà ai nervi... – commentò.Poi, dirigendosi verso il Contadino, chiese: – Dov’è il maresciallo Marchesi?– È al primo piano... – gli rispose Fasiello, seguendolo.Savelli e il brigadiere raggiunsero il Contadino e i due carabinieri.– Buongiorno, capitano: è il signor Perrone... Ci ha chiamati lui... – salutò il carabiniere indicandogli il Contadino.– Buongiorno. Mi dica, signor Perrone. Mi spieghi cosa è succes-so... L’uomo cominciò a parlare gesticolando teatralmente: – Pratica-mente, io stavo nel mio orto, come ogni pomeriggio. Me ne vengo in campagna a coltivare insalata, inocchi... le solite cose che si piantano in questo periodo... – È lontano da qui il suo orto?– No, non è lontano: saranno due-trecento metri... Il Contadino si fermò, come per chiedere il permesso di conti-nuare.– Vada avanti... – invitò il capitano.Il Contadino si schiarì la voce, poi riprese: – Io stavo chinato a piantare i inocchi e, all’improvviso, ho... ho sentito urlare... come se qualcuno era caduto... all’inizio non ci ho fatto caso: qui vengono dai paesi vicini a... insomma, c’è sempre qualche putta-na: qualche volta si sentono dei lamenti, ho pensato che non era niente di grave... Poi ho visto uscire del fumo da una inestra, e

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allora mi sono avvicinato piano piano e da dietro un muretto ho visto questi ragazzi che si mettevano i caschi e andavano via con due vespette... E poi ho telefonato... – Ho capito... E lei li conosce questi ragazzi? Li ha visti altre vol-te? – domandò Savelli.– No, questo no. Non li conosco: non li ho mai visti...– Ma saprebbe riconoscerli se li vedesse?– Sì, penso di sì... Più o meno...– Mi dica una cosa: li ha visti solo quando andavano via o anche quando sono arrivati?– Anche quando sono arrivati...– Che ora poteva essere?– Le 3 e mezza, mi pare che erano le 3 e mezza.– Si ricorda di che colore erano le vespette?– Scure... di colore scuro, tutte e due...– Un’altra cosa, signor Perrone: dopo che i ragazzi sono andati via, lei ci ha chiamati subito o ha fatto qualcos’altro?– Sono tornato alla cascina, che avevo il telefono, e ho chiamato subito... – Non è entrato a vedere cosa era successo?– No...– Perché non è entrato?– Eh... ho... ho avuto un po’ paura... – ...Però si è avvicinato... – Sì, ma... ma stavo nascosto...A quel punto, il capitano issò per un istante il Contadino, come se non fosse troppo convinto della sua sincerità. Poi chiese ai due carabinieri di mettere tutto a verbale e ringraziò l’uomo.In un angolo, sotto alla balconata del primo piano, era parcheg-giato uno scooter rosso, accanto al quale un carabiniere addetto

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ai rilievi stava prendendo delle impronte e un altro, armato di macchina fotograica, faceva alcune fotograie.– Di chi è quello scooter? – chiese Savelli al brigadiere.– Stiamo controllando: con ogni probabilità era del “protettore” della ragazza...Il capitano lanciò un’occhiata allo scooter e vide che il bauletto era aperto e che in alcune buste di plastica sigillate c’erano delle carte d’identità, un cappellino con visiera Levi’s e un pacchetto di Camel Lights.– Sono i documenti delle vittime? – proseguì Savelli indicando le buste.– Sì, il maresciallo ha già trasmesso i dati... – rispose Fasiello.– Mi raccomando, nulla al caso.– Agli ordini, capitano. Savelli lasciò Fasiello a prendersi cura della situazione e raggiun-se il terrazzino del primo piano, incrociando altri carabinieri che scendevano per la scalinata.Saverio Savelli sapeva il fatto suo. Non aggrediva le persone, so-prattutto quando le loro conidenze potevano rivelare informa-zioni importanti per le sue indagini. Il suo metodo consisteva nel mettere i suoi interlocutori a proprio agio. E poi fare in modo che fossero loro stessi a volergli raccontare quanto sapevano. E di solito funzionava.Certo, qualche volta era costretto ad usare le maniere forti. Ma doveva valerne la pena. Doveva essere sicuro che fosse l’unica possibilità di ottenere quello che cercava. Altrimenti lasciava per-dere. Prendeva tempo. E, con pazienza, aspettava. E ascoltava. E osservava con attenzione ogni più piccolo dettaglio: un gesto istintivo della mano, un tremare involontario delle labbra, un im-provviso oscurarsi dello sguardo. Aveva imparato a “leggere” die-

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tro le cose. Per questo, molto spesso, era riuscito a venire a capo di “situazioni”, così le chiamava lui, più che mai ingarbugliate.Savelli raggiunse la balconata, quindi si appoggiò al cornicione e guardò in basso, verso il piazzale antistante.Osservò per qualche istante i numerosi curiosi parlottare tra loro, alcuni carabinieri che prendevano i calchi delle impronte delle gomme degli scooter sullo sterrato e un altro carabiniere che con una telecamera riprendeva ogni più piccolo dettaglio.Poi si voltò a guardare verso l’interno della masseria.Sulla balconata si affacciava l’entrata della sala centrale del pri-mo piano.Il capitano entrò e prese a guardarsi intorno, soffermandosi su qualunque particolare potesse aiutarlo a capire cosa diavolo fosse successo.

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Ogni riferimento a cose, persone o fatti reali, è puramente casua-le.

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Ringraziamenti

Ringrazio tutti quelli che hanno letto e apprezzato il mio primo romanzo, Eclypse. Sperando abbiano avuto lo stesso piacere a leggere L’altro sguardo.Ringrazio le persone che hanno creduto e continuano a credere in me e nel fatto che io possa diventare, attraverso la narrativa, un discreto testimone del mio tempo.E ringrazio in particolare: i miei genitori e la mia famiglia e i miei amici. Nonché: Avarino Ferraboschi, il mio agente letterario; Alessandro Cingolani, il mio editore; Leone Toledo, il mio con-sulente personale; Elena Agrimelli, la mia psico-terapeuta; Mau-rizio Aiuto, tenente dei carabinieri in pensione...

Daniele De Blasi

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L’ALTRO SGUARDO

di Daniele De Blasi

A cura dell’Istituto di Arti Terapie e Scienze Creative

ISBN: 978-88-97521-32-7

Ed. Circolo Virtuoso

Data pubblicazione: 31 Agosto 2012

Prezzo: € 9,50