l'amore conta

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Page 1: L'amore conta
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Carmen Laterza

L’AMORE CONTA romanzo

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Copyright © 2014 Carmen Laterza

Tutti i diritti riservati

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Ignoranti quem portum petat nullus suus ventus est.

Seneca

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Prologo

Non appena mi resi conto che sotto i miei piedi non c’era

più il sentiero tracciato, alzai lo sguardo e mi voltai indietro confusa: ero finita in un meraviglioso bosco di faggi.

I tronchi, alti e slanciati, lasciavano filtrare la luce del tardo pomeriggio, calda e avvolgente. Al suolo, foglie e muschio formavano un morbido tappeto, e in alto, le chiome verdeggianti frusciavano protettive; ma nessun segnale del sentiero, né per terra, né sui tronchi.

Non sapevo come e quando, ma era evidente che, mentre ragionavo tra me e me sul testo di S. Agostino e tutto il resto, mi ero distratta, ero uscita dal sentiero e ora stavo camminando a caso nel bosco.

“Bene, Irene, rifletti”, mi dissi. “La direzione è quella giusta perché non hai trovato bivi e non hai fatto svolte. Allora il sentiero deve essere poco lontano. Basta cercare!”

Istintivamente andai verso ovest, dove vedevo la luce del sole entrare tra gli alberi; e infatti da quella parte, dopo poche decine di metri, il bosco finiva, affacciandosi a ridosso di una strada sterrata che costeggiava la montagna.

Era sicuramente la strada principale, che si sviluppava parallela al sentiero che avevo appena perso.

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Mi sistemai meglio lo zaino rosso che avevo sulle spalle, e che cominciava a pesarmi un po’, e ripresi a camminare, salendo verso la cima.

Il mio pop swatch segnava le sette e mezza: erano già passate tre ore da quando avevo cominciato il percorso. Non mi ricordavo che il sentiero fosse così lungo e difficile. Probabilmente ero io a essere più lenta del solito perché ero fuori allenamento: quella era la prima vera uscita dell’anno.

Dopo le brutte giornate invernali, infatti, anche nei mesi di marzo e aprile eravamo stati impegnati tutte le domeniche a fare servizio in parrocchia, un po’ in preparazione alla Pasqua, un po’ per aiutare i missionari appena arrivati dal Congo a raccogliere fondi per la loro missione.

Poi finalmente era arrivato maggio, e Nicola e Caterina avevano annunciato l’uscita in montagna per il terzo fine settimana del mese.

– OK, ragazzi, allora il prossimo sabato facciamo un’uscita! – aveva esclamato Nicola.

– Eh sì, era ora! – continuò Caterina – Sennò che clan siamo? Il nostro motto è “buona strada” e qui non facciamo un passo da mesi!

– Si, vabbè, ma dove andiamo? – Un sentiero facile, vero Nicola? – Dove dormiamo? Non in tenda, ti prego! Il clan scout del S. Giorgio era molto piccolo e, oltre a

me e ad Anna, che eravamo entrate a farne parte a ottobre, c’erano solo altre quattro ragazze e due ragazzi. Tutti pigri.

Ma Nicola e Caterina erano capi entusiasti; proponevano ogni progetto come fosse un’avventura imperdibile e non si lasciavano certo smontare dalla nostra indolenza.

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– Andiamo a Casera Casavento, – ci comunicò Nicola – partenza dal piazzale delle corriere sabato dopo pranzo, alle due e mezza. Dormiremo nella Casa Scout di Andreis, ma portate il sacco a pelo!

Il sabato successivo, arrivati in piazza ad Andreis, ci dirigemmo a piedi fuori dal paese, proseguendo verso Bosplans, fino al punto in cui la strada fa una curva a destra, dove, al di là del guard rail, parte il sentiero 351.

Nicola tirò fuori delle fotocopie e le distribuì a tutti. – Sono tre testi molto belli che parlano della solitudine, –

disse – ma non quella triste e buia che fa paura e che nessuno dovrebbe mai vivere; no, la solitudine buona, quella positiva che ogni tanto dovremmo cercare per riflettere meglio su noi stessi.

Caterina cominciò a leggere ad alta voce, e io fui subito colpita da un passo di Sant’Agostino che recitava: “Non uscire da te, torna in te stesso, nell’interno dell’uomo abita la verità. E se troverai mutevole la tua natura, trascendi anche te stesso”. Mi sembrava che quella frase si riferisse proprio a me, perché mi sentivo così mutevole in quel periodo, ma non avevo capito bene cosa significasse trascendere da se stessi, e soprattutto come lo si potesse fare.

– Bene! – disse Caterina quando ebbe finito di leggere – Ora ciascuno di noi rifletterà in solitudine sui brani che abbiamo letto e sul loro significato. Quindi... – e fece una pausa a effetto come si fa con i bambini – facciamo deserto! – esclamò alla fine vittoriosa.

– Evvai! – dissero insieme Enrico e Davide, dandosi il cinque e caricando la voce di finto entusiasmo.

– Ma che significa? – chiesi io.

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– Significa che ciascuno di noi cammina da solo lungo il sentiero. – spiegò Nicola – Io parto per primo; poi, a turno, ciascuno di voi aspetta cinque minuti e parte a sua volta. Quando c’è un bivio io mi fermo, aspetto il secondo, gli mostro la strada giusta e poi riparto. Lui aspetta il terzo e così via.

– Stasera dopo cena facciamo il cerchio e condividiamo le riflessioni che abbiamo fatto durante il sentiero. – concluse Caterina.

– OK, chi parte dopo di me? – chiese Nicola. – Posso stare per ultima? – domandai io. – E allora io penultima! – disse subito Anna. Nicola e Caterina si guardarono un po’ indecisi, forse

perché io e Anna eravamo le più piccole del gruppo. – Dai, ti prego, – insistette Anna – questo sentiero

l’abbiamo fatto anche l’estate scorsa, al Cantiere estivo del noviziato! Lo conosciamo!

– Ah si? – le sussurrai all’orecchio. Io proprio non me lo ricordavo, ma non ho mai avuto

buona memoria per le strade; figuriamoci per i sentieri di montagna.

Comunque, Nicola partì per primo e io per ultima. Mi piaceva l’idea di non avere nessuno dietro e di poter andare lentamente, senza paura di essere raggiunta.

Il panorama era suggestivo e mi ripagava della fatica della salita. Non rammentavo davvero di aver fatto così tanta strada in salita l’anno prima, al Cantiere estivo, ma forse quella volta, in compagnia, chiacchierando con gli altri del gruppo, di tutta quella strada non me ne ero neppure accorta.

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Il sole di maggio scaldava piacevolmente i miei capelli. Le parole di Sant’Agostino mi giravano per la testa e

richiamavano un susseguirsi di pensieri: il prof di matematica, quello stronzo, che mi aveva interrogato due volte nella stessa settimana, la Valentina della IV C, che aveva fatto l’oca con Alessandro dicendogli che lui meritava molto di più di una sciacquetta come me, e lui, che invece di difendermi non aveva risposto nulla.

Insomma, non riuscivo a trascendere me stessa. Ma in compenso avevo trasceso i confini del sentiero.

Camminai ancora per un’ora lungo la strada sterrata, che saliva in modo dolce ma continuo, godendomi lo spettacolo del tramonto dietro il Col Nudo.

Quando vidi il sole sparire definitivamente dietro le montagne, ebbi la conferma che era davvero tardi. Erano già le otto e mezza: di lì a poco si sarebbe fatto buio e io non avevo nemmeno una torcia.

Sicuramente quella strada mi stava facendo fare un percorso molto più lungo di quello che avrei fatto se non avessi perso il sentiero, ma ormai non potevo che seguirla. Gli altri mi stavano sicuramente aspettando con preoccupazione; non potevo fermarmi.

Il rumore del motore arrivò prima della vista del Mitsubishi Pajero che, con i fari accesi, scendeva verso di me.

“Che faccio? Lo fermo? Non lo fermo? E se lo fermo che gli dico? Ma, se non lo fermo, rimango col dubbio. Sì, ma se è un maniaco? Maniaco o no, qui stasera non passerà nessun altro...”

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Mentre discutevo con me stessa, il mio braccio si alzò da solo facendo segno al conducente di fermarsi.

– Mi scusi, signore, ha mica visto un gruppo di scout nella casera in cima alla montagna?

– No, in cima non c’è nessuno... – disse lui lentamente – e non c’è nessuna casera – e mi guardò come ad attendere la domanda successiva.

Io non dissi niente: non sapevo cosa dire, non sapevo cosa pensare.

– Ti sei persa? Non hai una cartina? – fece lui. – No, cioè sì, in parte... – farfugliai io – Ho perso il

sentiero, nel bosco, ma la direzione è quella giusta, lo so, devo andare a Casera Casavento... – dissi indicando con la mano la montagna.

– Ma Casera Casavento è da tutt’altra parte – esclamò lui – ed è molto lontana da qui! Come hai fatto a finire fin quassù? Non ti hanno insegnato che in montagna, quando ci si perde, si va verso valle e non verso monte?

Mi fece salire in macchina e cominciammo a scendere lungo la strada che io avevo appena salito inutilmente. Guidando, lui continuava a parlare; mi chiese altre cose, ma io non riuscivo a rispondere: lo sentivo ma non lo ascoltavo; guardavo davanti a me ma non vedevo niente.

Ero assolutamente bloccata da una sensazione di smarrimento totale che non avevo mai provato prima in vita mia. E non era la semplice paura di essermi persa. Nel bosco mi ero accorta di aver perso il sentiero, sì, ma non avevo avuto paura. Avevo ragionato; sapevo qual era la direzione giusta, e in quella direzione avevo continuato ad andare.

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Avevo un punto di riferimento e, trovandomi in difficoltà, avevo chiesto indicazioni.

Ora invece scoprivo che quello che prima avevo pensato essere giusto, in realtà era sbagliato, e che mi ero persa molto prima di averlo capito.

Non era la possibilità di perdermi “fuori di me” che mi spaventava, quanto piuttosto la consapevolezza lancinante che contro la perdita di orientamento “dentro di me” non c’erano bussole.

O almeno, io non le avevo.

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Se c’è un momento nella vita in cui senti che non hai più

tempo da perdere, che devi fare qualcosa, ora, adesso o mai più, che la parte migliore se n’è già andata senza che tu nemmeno te ne accorgessi, cosicché l’unica cosa che ti rimane da fare è raccogliere quello che resta e dargli un senso... bene, quel momento per me è arrivato stanotte.

Non riesco a prendere sonno, come sempre negli ultimi tempi. Sono a letto già da mezz’ora o forse più, e cerco di rilassarmi, mentre faccio mentalmente la lista della spesa; penso che domani andrò in farmacia a dire a quel dottorino che la melatonina non mi fa proprio un bel niente, lui che era preoccupato che io ne prendessi due compresse alla volta.

Arriva Luca, che si perde a guardare le trasmissioni sportive della seconda serata, e in quattro e quattr’otto si mette a russare.

Ecco, in questo preciso istante, invece di tirargli il solito calcio perché smetta per un po’ di emettere quel suono, invece di maledire la sua velocità nell’addormentarsi, e dare la colpa ai pensieri che lui non ha e io sì, ho una visione netta, precisa e abbagliante: ho 38 anni e non ho più tempo da perdere.

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Cosa ho combinato finora nella mia vita? Cosa faccio qui, accanto a quest’uomo che russa tranquillo? Che senso ha tutto questo?

Le labbra di Luca continuano a tremolare, producendo sbuffi, alternati a rumorosi mugolii che incatenano i miei occhi sul suo viso.

Vedo la maschera di un uomo che faccio fatica a riconoscere, e pure il suo corpo, ancora tonico e longilineo, da parecchio tempo è diventato a me sconosciuto.

Se un tempo l’amore ha gettato un ponte tra due sponde lontane, ora resta solo il filo sottile della distanza a segnare la fragile unione delle nostre anime straniere.

Mi sento soffocare, mi sento inutile. Allora mi alzo, vado in soggiorno e attacco il mio viso

alla finestra. Il mio fiato pesante disegna sul vetro un piccolo cerchio appannato che lentamente si asciuga, riflettendo l’immagine di una donna che si osserva con gli occhi spalancati: anch’io non mi riconosco più. E mi compatisco pensando che, se veramente in questo tempo riuscissi a conoscermi, avrei paura di vivere con me stessa.

Mi allontano dalla finestra così, provando a fuggire da quella figura estranea che mi interroga. Anche a distanza, però, continuo a scorgerne i contorni: come un fantasma, l’esile figura riflessa se ne sta immobile a fissarmi, sfumando impercettibilmente. Colpa, o merito, dello schermo del portatile, rimasto acceso sul tavolino; la sua luce riflessa diventa potente, in quel buio freddo che c’è nella stanza.

Mi volto e trovo conforto proprio nel salvaschermo colorato, che producendosi in una serie infinita di ghirigori,

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ha il potere di catturare la mia attenzione e rilassarmi. Affondo il mio corpo nella poltrona e, mentre premo il primo tasto che mi capita sotto le dita, sono consapevole che quel groviglio armonico di linee e di forme senza senso mi abbandonerà per lasciare di nuovo spazio alla mia inquietudine. Navigo a vista tra le tante pagine internet che si aprono come matrioske, ognuna portatrice di una vastità di informazioni, luoghi e immagini che mi confonde piacevolmente.

Non so ancora cosa sto cercando, ma so che lo scoprirò quando l’avrò trovato. L’unica cosa da fare è cercare.

Sento che ho sbagliato a non farlo prima. Mi chiedo come ho fatto a non capire che questa insoddisfazione che mi respira attorno da anni non è altro che la voce di una ricerca trascurata, incompiuta, abbandonata, che mi chiama prepotentemente a sé.

Avrei potuto fare molte cose. Potrei ancora fare molte cose. E invece mi sono fermata, adagiata in una banale normalità. Mi sono accontentata di ciò che mi è arrivato. Ma ho veramente scelto io?

Anna dice che siamo sempre noi a sceglierci ciò che ci capita, anche se a volte sembra che siano le cose o le persone a scegliere noi, o, peggio, a scegliere per noi. Invece, dice Anna, in fondo c’è una nostra scelta, non sempre consapevole, ma chiara e istintiva, che ci porta a scegliere di frequentare un posto invece di un altro, una persona invece di un’altra e così via, creando contingenze uniche e irripetibili, apparentemente casuali, ma in realtà causali.

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Ad Anna piace molto accostare questi due termini, così vicini nella forma e così lontani nella sostanza, emblemi di un mondo in cui dominano le sfumature, e in cui noi ci ostiniamo a chiamare bianco e nero ciò che in realtà è solo grigio molto chiaro o molto scuro.

Secondo lei sono le nostre piccole scelte quotidiane, e non il caso, a segnare le impercettibili ma continue variazioni di rotta, che alla distanza si amplificano e ci portano in luoghi imprevisti, sulla scia di un forte vento al quale spiegare le vele o in una rada di scogli sommersi dalle onde.

Ho scelto davvero io di essere qui adesso, questa notte, seduta di fronte a uno stupido monitor a cercare la mia vita?

Se sono stata io, non me ne sono resa conto. Ma adesso voglio rimediare, voglio ripartire. Potrei restare qui, ferma a rimuginare su ciò che in me è

morto, ma posso anche partire alla ricerca di quello che ho perso finora.

Il banner pubblicitario del sito di Meetic mi lampeggia fastidiosamente davanti agli occhi, richiamando la mia attenzione.

Ho visto la pubblicità in televisione; ho letto anche un articolo su una qualche rivista femminile: sembra che sia uno dei siti di incontri più frequentato in Italia e che permetta di effettuare ricerche molto dettagliate.

Ci clicco sopra. Sorrido dinanzi a questo strano scherzo del caso: mentre

ho appena scoperto di dover fare i conti con i cadaveri delle mie illusioni, in una dolorosa e solitaria apnea nelle mie

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emozioni, mi ritrovo in un sito che offre nuovi spazi di fuga e di sogno.

Posso rimandare a domani l’introspezione negli angoli bui della mia anima: stasera mi lascio attrarre dalla luce viva di questo schermo e mi tuffo nel mare di primi piani di uomini e donne che si apre sotto i miei occhi, nella homepage del sito.

Alcuni di loro hanno visi interessanti, altri vuoti, altri buffi. Ma tutti hanno il fascino della promessa. Tutti sembrano credere all’illusione del piacere.

Seleziono l’opzione “sono una donna che cerca un uomo”, inserisco un indirizzo email valido, un nickname e una password, e subito mi trovo davanti a una nuova lista di nomi e di volti.

Osservandoli bene a uno a uno, mi sembrano tutti visi piuttosto comuni e banali, ma io non ho voglia di terminare il mio svago così presto.

Mi dico che devo andare oltre le apparenze e decido di esaminare altri volti, sperando di trovarne qualcuno capace di alimentare il mio improvviso desiderio d’ignoto.

Cerco di capire come si fa una ricerca avanzata, per togliere almeno gli sbarbatelli di vent’anni dall’elenco dei risultati. Non credo che abbiano molto da dire, e comunque non resisterei mai accanto a un uomo ai cui occhi io sia già vecchia in partenza.

Imposto quindi il filtro di ricerca per la fascia di età 35-49 anni, e seleziono l’opzione “con foto”.

Ci sono molti altri parametri di ricerca che il sito mi propone di aggiungere, il primo dei quali è lo stato civile, ma io non esprimo nessuna preferenza e lancio la ricerca.

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Perché dovrei limitarmi solo ai single? Gli sposati o i divorziati sono forse meno interessanti? Io stessa sono sposata, eppure stanotte sono qui a cercare. E poi su Meetic ciascuno può dare di sé le informazioni che vuole.

I parametri fisici mi interessano ancora meno: altezza, peso, corporatura, colore di occhi e capelli, sono tutti filtri possibili per la ricerca, ma a me stanotte basta soltanto una foto, per trovare uno sguardo che mi faccia sognare, anche solo per un attimo.

La ricerca mi restituisce più di mille risultati; mi perdo a scorrerli tutti. Ci sono garfield e snoopy, aquilaselvaggia e luposolitario, theraven e theparty, cucciolo72 e orsetto68, ilprincipe e linafferrabile, rambo e bladerunner, soloxte e tu6mia, folletto e mattacchione, avatar e spiderman, ticredo e philosophy, lultimoromantico e tiprendoetiportovia, ulisse e orlando, splendido e bellissimo, salentonelcuore e forzaroma; e poi ci sono lucio, mario, leo, carlo, andrea, marco, walter e tanti altri.

Qualcuno è a petto nudo o in costume, qualcun altro è in giacca e cravatta; la maggior parte indossa una maglietta o una camicia sbottonata. C’è chi sorride, chi è pensieroso e chi fa il duro con gli occhiali da sole; chi ti scruta, chi fa una smorfia buffa e chi guarda un punto lontano; c’è chi è calvo e chi ha una folta criniera; ci sono i biondi, i mori, i grigi. Molte foto sono fatte in vacanza o in momenti di svago, ma ci sono anche molti autoscatti fatti in macchina, o davanti allo specchio.

Alcuni trentacinquenni dimostrano meno della loro età e sembrano studentelli appena usciti dalle aule universitarie; altri, ultra quarantacinquenni, sembrano invece molto più

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vecchi. Penso che forse hanno mentito, sia gli uni che gli altri.

Visti così, tutti questi volti sconosciuti, messi in fila per sei senza resto di niente, compongono un catalogo assai triste, nonostante i molti sorrisi. Non c’è vita in queste foto; non c’è spazio per la personalità: sembra la vetrina affollata di oggetti in saldo, in un negozio a fine stagione, quando gli articoli migliori sono stati già venduti.

Mi demoralizzo ma non desisto. Luca di là continua a russare.

Mi lascio guidare dall’istinto e clicco su qualche foto: voglio provare a scoprire chi c’è dietro, chi c’è dentro. Leggo qualche profilo, e in questo modo mi pare che i personaggi comincino a prendere vita, facendo emergere le differenze tra loro: ci sono i timidi, i presuntuosi, i romantici, i disillusi, i sintetici, i logorroici. Lordbyron scrive apertamente “Voglio divertirmi, astenersi perditempo”, mentre salvoS si dichiara “alla ricerca della donna giusta”; marco755 chiede “io so di essere una persona che vale la pena conoscere. E tu?”, laddove solare6_1 lascia invece “a te il piacere di scoprirmi”; andrea_aa scrive “cerco una persona inteligente”, e rapper36 non ha tempo da perdere, perché “se mi devo descrivere ci perdo giorni”.

Quello che più mi colpisce è che tutti, proprio tutti, sottolineano di essere alla ricerca di una donna tranquilla, calma, conciliante, rilassata e rilassante; ciascuno usa un’espressione diversa, ma il concetto è chiaro: cerco una donna che non rompa le palle.

Cosa significa “una donna tranquilla”? Una che non ti chieda dove vai, perché esci o a che ora torni? Che se ne stia

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a casa impassibile mentre tu te ne vai in giro a divertirti con gli amici e che magari, nel frattempo, visto che c’è, sistemi un po’ il tuo disordine? Una che non abbia pretese o aspettative, ma che sia felice di soddisfare le tue?

Ma allora tu non cerchi una compagna: tu cerchi una mamma!

E poi, se anche una donna così esistesse davvero, perché mai dovrebbe scegliere te?

Cosa le offri tu in cambio? Cosa fai per meritartela? Scommetto che il romanticismo che oggi millanti non durerà oltre il primo mese, e che la tua creatività non sarà sufficiente a trovare un bel localino dove portarla a cena, diverso dalle cinque pizzerie che frequenti di solito. Come pure che il piacere per la lettura che qui dichiari di avere non vada oltre i fumetti di Tex Willer che hai letto quando avevi dieci anni.

Mi sto innervosendo; qui non c’è niente per me. Sto per chiudere la pagina web quando vedo un simbolo

che lampeggia in basso a destra nella schermata. Clicco e si apre una nuova finestra con una chat. Papero_881 è in attesa di una mia risposta:

– Ciao, anche tu non riesci a dormire? Cosa vorrà questo adesso? Vabbè scopriamolo, tanto, se

mi rompo, chiudo la pagina e buona notte. Gli rispondo solo: – già... – tentando di rimanere sul

vago. – Ti capita spesso? – Cosa? Di non riuscire a dormire? – Sì. – Già...

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OK, Irene, puoi fare di meglio. – E a te? – riprendo io. – Sempre... Amo la notte! E aggiunge una faccina di quelle che fanno l’occhiolino. Così discorrendo vengo a sapere che Papero_881 in

realtà si chiama Paolo, ha 43 anni, è di Roma e fa il camionista. Quando lavora preferisce guidare di notte, perché c’è meno traffico, e così l’abitudine lo fa star sveglio anche quando è a casa e potrebbe dormire. È single ma frequenta Meetic già da 7 anni, e ha avuto molte storie con donne che ha conosciuto qui dentro.

– Allora vuol dire che sei qui per divertirti, non per trovare la donna giusta... – concludo io.

– In effetti ho smesso di cercarla. – Cioè? – Mi sono iscritto al sito perché volevo cercare la donna

giusta, la storia importante, ma poi ho conosciuto solo donne alle quali interessava divertirsi e passare una serata diversa... così mi sono adeguato! ;–)

– Dai, non ci credo! – Sì, è così, credimi. Molte donne qui dentro sono solo in

cerca di avventure. – Io no! – ci tengo a sottolineare. – Lo so, si vede. – E da cosa? – Da come scrivi, dalle domande che fai... – Perché? Che domande faccio? – “Semplici”... senza offesa! Sono le stesse domande che

farei anch’io se conoscessi una ragazza a una festa, e volessi fare il carino.

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– Qui invece non vuoi fare il carino? – Sì, certo, ma non devo esserlo a tutti i costi. Qui posso

essere sincero, posso essere diretto come nella realtà non potrò mai essere. Qui è tutto più facile.

– Più facile? A me sembra tutto più difficile, nascosti dietro un nickname!

– Il nickname non conta niente, serve solo per registrarsi. A parte questo, però, qui le relazioni sono molto più dirette: non ci sono tutte le convenzioni che ci sono nella realtà tra uomini e donne. Qui tutti parlano chiaro, senza tanti giri di parole o sottointesi...

– Vedo... È per questo che, nel vostro profilo, voi uomini scrivete che volete una donna tranquilla, che non rompa?

– Ah ah ah! Sì, certo! È esattamente quello che pensiamo, ma là fuori non potremmo mai dirlo o, se lo facessimo, saremmo etichettati come cafoni egoisti!

– Eh già... ;–) – Sì, magari lo siamo sul serio, ma vuoi mettere? Almeno

qui dentro capisci subito chi hai davanti e che intenzioni ha: se ti piace, vai avanti nella conoscenza, altrimenti passi a un altro. Intendo dire che qui dentro trovi di tutto, c’è chi vuole una storia seria, c’è chi vuole solo un’avventura, c’è anche chi vuole solo amicizia... come là fuori del resto. Dipende solo da ciò che cerchi.

– È questo il problema... – Beh, se non sai cosa cerchi, di sicuro non lo troverai

qui! Anzi, rischi di confonderti le idee, proprio perché l’offerta è così vasta!

– Visto che tu sei un esperto e io una principiante assoluta, svelami qualche trucco per orientarmi qui dentro:

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io sto cercando nuovi stimoli, ma non sono in cerca di avventure!

– Non ci sono trucchi; ci vuole metodo! Tanto per cominciare completa il tuo profilo, metti una bella foto, scrivi qualcosa su di te. Poi fai la tua ricerca impostando l’intervallo di età che ti interessa; se non sei disposta a viaggiare restringi il campo d’azione alla tua area geografica. Leggiti i profili nei dettagli, senza fretta, tanto da qui non scappa nessuno, e poi aspetta. Ogni utente viene avvisato dal sistema se tu visiti il suo profilo, e immancabilmente poi lui andrà a vedere il tuo, e ti scriverà un messaggio. Lasciati guidare dall’istinto: vedrai che capirai subito chi ti può interessare e chi no. Da lì in poi comincia la vera conoscenza: ci si scrive un po’, via mail o in chat, poi magari si passa alle telefonate e infine ci si vede di persona. Il percorso può durare mesi, oppure soltanto poche ore. Dipende da entrambi... Dipende da te!

Paolo-Papero mi rilancia nuovamente la palla e io ho l’impressione di non aver concluso molto stanotte: ho solo perso molte ore di sonno. Sono le cinque meno dieci, e domani sarò uno straccio. Per fortuna è sabato e posso dormire un po’ di più, ma comunque è meglio staccare. Lo ringrazio e lo saluto.

– Allora buona notte, mi ha fatto piacere conoscerti. – scrive lui.

– Buona notte anche a te, il piacere è stato mio. – Buona notte. – Buona notte.

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Spengo il computer e torno in camera. Luca ora dorme sul fianco e non russa più; io mi infilo nelle lenzuola fredde e cerco di pensare a qualcosa di bello per addormentarmi.

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2

Conobbi Luca nell’agosto del 2007, al matrimonio di

Anna: io ero la testimone della sposa; lui non era nemmeno sulla lista degli invitati.

– Ciao Anna, congratulazioni! Sei bellissima! – disse Franco, baciando sua cugina fuori dalla chiesa – Ti presento Luca, un mio caro amico.

– Auguri! – Luca le strinse la mano e si avvicinò per darle i baci di rito. Anna lo lasciò fare. Dal giorno prima, chiunque la incontrasse la voleva baciare e lei, solitamente poco espansiva, sapeva bene che quello era il pegno che ogni sposa doveva pagare.

– L’ho portato con me, visto che Marianna non è potuta venire. – continuò Franco velocemente, prima che qualcun altro reclamasse le attenzioni della sposa – Spero non ti dispiaccia.

– Ma no, certo, figurati! – Anna guardava alternativamente il cugino e il suo amico, cercando di capire se quello che stava accadendo avrebbe richiesto una modifica alla disposizione dei tavoli del ristorante – Ma perché, Marianna non sta bene?

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– No, cioè... non lo so... comunque credo di no. – Franco tentennava – Ci siamo lasciati la settimana scorsa. – disse infine tutto d’un fiato.

– Ah, mi dispiace... non lo sapevo. – Non te l’ho detto perché immaginavo che fossi presa

dai preparativi. Comunque, visto che ormai ti avevamo confermato il posto per due, ho pensato...

“E visto che ormai mi avevate dato la busta per due...” pensò Anna. Ma non disse niente, limitandosi a sorridere.

– Anna! Congratulazioni! Come sei bella! – la voce squillante della zia Ivana interruppe quel silenzio. E Anna fu distratta da altri saluti e altri baci.

Io avevo assistito a tutta la scena: immaginavo i pensieri di Anna, ma avevo notato anche l’imbarazzo del neo-invitato.

Luca sembrava infatti a disagio, la mascella contratta, il pomo d’Adamo che andava su e giù mentre Franco parlava con Anna, lo sguardo basso come a chiedere scusa per essersi lasciato convincere dall’amico a presentarsi così a un matrimonio.

Franco, invece, appena Anna si era voltata, aveva dismesso il sorriso da cerimonia dal volto; aveva dato una vigorosa pacca sulla spalla all’amico, a sancire il successo della sua spavalderia, e l’aveva lasciato solo in mezzo al sagrato, per andare a fare il cascamorto vicino a due giovani invitate, apparentemente senza fidanzato. C’è sempre chi vede nei matrimoni una ghiotta occasione di nuovi incontri.

Anche Anna la pensava così, e durante i mesi precedenti, mentre l’aiutavo con i preparativi, spesso mi aveva ripetuto

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che secondo lei al suo matrimonio io avrei potuto conoscere qualcuno di interessante.

– Anna, conosco tutti i tuoi invitati under 40! – replicavo io – A meno che tu non mi voglia appioppare un tuo vecchio zio...

– Ma tu che ne sai, magari in chiesa... – Sì, un prete! Adesso facciamo Uccelli di Rovo 2! – Ma no, stupida, non intendo un prete! Magari uno che è

lì di passaggio... – In chiesa? Un bel giovane di passaggio in chiesa di

sabato mattina? – OK, va bene... allora al ristorante: un cameriere, un

invitato di un altro matrimonio, oppure un musicista, o un fotografo, che da lontano ti scopre col suo telescopio e ti chiede di farti immortalare da lui in privato!

– Teleobiettivo, Anna, non telescopio! E comunque io non voglio essere scoperta da nessuno. Vengo al tuo matrimonio soltanto perché è il tuo, altrimenti me ne andrei al mare!

– Sbagli, mia cara! I matrimoni sono ottime occasioni per conoscere gente nuova!

Me l’aveva ripetuto tante volte, ma ora era troppo impegnata a farsi baciare da tutti per ricordarselo, o per voltarsi e farmi l’occhiolino.

Pensai che dopo ne avremmo riso insieme; mi diressi verso Luca e allungai la mano verso di lui:

– Ciao, io sono Irene, la comare! – Piacere, io sono Luca, l’imbucato! Scoppiammo a ridere, e la tensione di entrambi si sciolse

in quella stretta di mano.

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– Ti ho visto in chiesa, – riprese lui – quando hai letto quel brano. Bella interpretazione; voce chiara e squillante!

– Non ci conosciamo e già mi prendi in giro? – No, non mi permetterei mai! Almeno non oggi: tu sei la

testimone della sposa e io ho già fatto una bella figuraccia! – Non mi sembra che la figuraccia l’abbia fatta tu... –

dissi inclinando la testa nella direzione di Franco. – Ma sono io che ho accettato la sua proposta. – rispose

lui con eleganza. – Non so perché l’ho fatto; ti assicuro che non è mia abitudine imbucarmi alle feste. Anzi, a dire la verità, ai matrimoni non ci vado nemmeno quando sono invitato!

– Anche a me non piacciono molto, ma a questo, come vedi, non potevo mancare.

– Allora era destino! Luca mi guardò intensamente e mi sorrise. Io abbassai lo

sguardo sulle mie mani e mi accorsi che stavo stropicciando i lunghi guanti di raso della sposa; col pensiero, ringraziai Anna di averli dimenticati in chiesa e aver dato così uno sfogo alle mie mani nervose.

– Vado a mettere a posto questi, – ripresi indicando i guanti – ma non ti allontanare, che adesso facciamo le foto di gruppo!

Mi voltai e andai verso Anna, che era ancora assediata da conoscenti e sconosciuti, per riprendere il mio ruolo di testimone e organizzatrice del matrimonio. Sapevo che Luca mi stava guardando, ma cercai di rimanere voltata di spalle, perché non si accorgesse del sorriso che avevo stampato in faccia.

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Anche al ristorante restammo distanti, io sempre impegnata vicino ad Anna, lui seduto al tavolo dei cugini. Ogni tanto lanciavo un’occhiata dalla sua parte e incontravo immancabilmente il suo sguardo; allora mi affrettavo a guardare altrove, fingendo di cercare qualcun altro, ma sentivo i suoi occhi che mi seguivano, e la cosa mi piaceva.

Mi guardava con calma mentre io correvo da una parte all’altra della sala per organizzare gli scherzi agli sposi, restava seduto mentre io ballavo la macarena o seguivo la sposa nel trenino brasiliano, rimaneva perfettamente a suo agio in giacca e cravatta mentre quasi tutti gli altri uomini se le erano tolte, e avevano arrotolato le maniche delle camicie.

Insomma, mi aspettava. Alla fine cedetti: dopo la consegna delle bomboniere,

quando alcuni invitati se ne erano già andati e gli sposi ballavano un lento, andai a sedermi vicino a lui, su una panchina in ferro battuto dipinta di bianco, nella veranda aperta sul giardino. Il caldo e i rumori della sala sembravano lontani.

– Come va? Ti sei divertito? – cominciai io. – Sì, è stato un bel matrimonio! Complimenti a chi l’ha

organizzato. – disse sorridendomi – Non avevo mai partecipato a un matrimonio così divertente!

– Beh, certo... visto che non ci vai mai! – OK, ne ho visti pochi, e forse non faccio testo, ma se

ho smesso di andarci è proprio perché di solito i matrimoni sono noiosi. Oggi invece avete fatto molti giochi che hanno coinvolto tutti, non solo gli sposi... Mi sono proprio divertito!

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– Hai uno strano modo di divertirti. – dissi io ironizzando – Sei rimasto sempre seduto!

– Allora mi hai guardato! – i suoi occhi si illuminarono – Lo sapevo che fingevi...

Io distolsi lo sguardo per un momento; sapevo che ormai non potevo più contare sul trucco per nascondere il rossore del mio viso: speravo solo di essere sufficientemente in controluce.

– Ti ho guardato ogni tanto, – ripresi, volutamente ostentando un’aria di sufficienza – come ho guardato tutti gli altri invitati. Era mio compito assicurarmi che tutto fosse a posto. E anche adesso, sto facendo il mio dovere, accertandomi che tu sia a tuo agio come ospite.

– Oh, certo... – annuì lui – In effetti sei stata una wedding planner molto efficiente. E hai capito che io avevo bisogno di te, in questo preciso istante, per sentirmi perfettamente a mio agio. Dovresti farlo per mestiere.

– Ti diverti a prendermi in giro. Fai sempre così o è una tecnica che usi solo con le ragazze che non conosci?

– Non ti sto prendendo in giro! Sono più serio di quanto pensi. E poi non è vero che non ti conosco.

– Ah, no? Tu mi conosci? – Si, molto. – Ma se non abbiamo parlato di niente! – Non serve, io ti ho osservato tutto il giorno. Era vero, lo sapevo anch’io, ma sentirglielo dire con una

tale sicurezza mi fece sentire a disagio, come se fossi stata spiata di nascosto.

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Ebbi la forte tentazione di chiedergli cosa aveva capito di me da quella lunga osservazione, ma la paura di sentire cose vere mi trattenne.

– Non vale, tu potevi stare a guardare e a “studiare” chi volevi; io no, perché ero impegnata. Ora tu sei in vantaggio.

– Beh, puoi sempre recuperare... – E come? – La settimana prossima esci con me e mi fai tutte le

domande che vuoi per conoscermi: mi metto a tua completa disposizione!

– Ah ah! Questo sì che è un metodo davvero originale per chiedere a una ragazza di uscire!

– Allora, facciamo venerdì. Senza aspettare una mia risposta prese un tovagliolo di

carta e tirò fuori dalla tasca una penna che evidentemente aveva recuperato per l’occasione.

– Guarda che io non ho detto di sì! – puntualizzai io, mentre lui scriveva.

– Non serve. La mia non era una domanda. Mi porse il tovagliolo su cui aveva scritto il suo numero

di cellulare e si alzò. – Vado a salutare gli sposi, noi ci vediamo venerdì. Ciao

Irene. Rientrò nella sala, si avvicinò ad Anna ed Emanuele, li

salutò e poi si incamminò verso l’uscita. Senza voltarsi.