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L’Endocrinologo (2014) 15:165–171DOI 10.1007/s40619-014-0060-7

R A S S E G NA

L’apoplessia ipofisaria: riconoscerla rapidamente e trattarlacorrettamente

Salvatore Cannavò · Adriana Albani ·Francesca Granata · Felice Esposito · Flavio Angileri

Pubblicato online: 29 luglio 2014© Springer International Publishing AG 2014

Sommario L’apoplessia ipofisaria rappresenta un’emer-genza medico-chirurgica la cui gestione compete a unesperto team multidisciplinare composto da endocrino-logi, radiologi, oculisti e neurochirurghi. Una tempesti-va diagnosi e un’adeguata valutazione delle conseguenzeneuro-oftalmologiche e endocrinologiche sono essenzialiper l’adozione di interventi terapeutici equilibrati ed effica-ci, finalizzati primariamente alla salvaguardia delle capacitàvisive. Il rischio di ipopituitarismo è elevato e l’iposurre-nalismo in particolare svolge un ruolo cruciale sul decorsoclinico.

Parole chiave Ipopituitarismo · Cecità · Cefalea · Ipofisi ·Apoplessia

Proposta da Renato Cozzi.

Materiale elettronico supplementare La versione elettronicadi questo articolo (DOI:10.1007/s40619-014-0060-7) contienemateriale supplementare, disponibile per gli utenti autorizzati.

S. Cannavò (B)Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, AOUPoliclinico G. Martino, Via Consolare Valeria, 1, 98125 Messina,Italiae-mail: [email protected]

S. Cannavò · A. AlbaniDipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Università diMessina, Messina, Italia

F. GranataDipartimento di Scienze Biomediche e delle ImmaginiMorfologiche e Funzionali, Università di Messina, Messina, Italia

F. Esposito · F. AngileriDipartimento di Neuroscienze, Università di Messina, Messina,Italia

Introduzione

L’apoplessia ipofisaria consiste nella necrosi, di tipo emor-ragico o ischemico, dell’ipofisi. In molti casi essa determinadrammatiche conseguenze neurologiche, oftalmologiche edendocrine, e può richiedere un rapido intervento decompres-sivo. Per tale motivo rappresenta una delle rare emergen-ze sanitarie che l’endocrinologo non solo deve conoscere,ma che deve soprattutto saper gestire in collaborazione conun team multidisciplinare. Il primo tumore ipofisario mas-sivamente emorragico è stato descritto da Pearce Bailey nel1898, ma il termine apoplessia ipofisaria è stato coniato solonel 1950 da Brougham et al., che descrissero il conseguentequadro clinico in alcuni pazienti [1]. Tuttavia, sebbene taleevento sia conosciuto da decenni, le modalità di trattamen-to e i tempi di intervento sono ancora ampiamente dibattuti,anche per la carenza di specifiche linee guida. Per questomotivo la gestione del paziente con apoplessia ipofisaria èspesso individualizzata su base empirica e l’esito clinico èinevitabilmente condizionato dal livello di esperienza che unteam multidisciplinare ha potuto acquisire sul campo.

Un preesistente, anche se misconosciuto, tumore ipofisa-rio (soprattutto non secernente) rappresenta il fattore pre-disponente della necrosi ipofisaria in circa l’80% dei pa-zienti. Si stima che l’incidenza di emorragia intra-lesionalenel contesto di un adenoma ipofisario sia cinque volte supe-riore rispetto ad altre neoplasie intracraniche. Tuttavia, l’a-poplessia si può verificare anche in altre lesioni espansivedell’ipofisi, quali quelle di natura autoimmune, o addiritturain una ghiandola ipofisaria verosimilmente sana, per esem-pio in corso di gravi eventi ipovolemici durante il parto o ilpuerperio (Sindrome di Sheehan) [2]. Secondo dati di let-teratura, almeno un quarto dei pazienti che sono andati in-contro ad apoplessia ipofisaria soffriva di ipertensione arte-riosa o aveva fatto recente uso di farmaci anticoagulanti o

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antiaggreganti. Per esempio, essa è stata descritta in segui-to a interventi cardiochirurgici che comportano fluttuazionipressorie e trombolisi. Un ruolo precipitante è stato attri-buito anche all’uso di dopamino-agonisti (sia all’inizio chedopo la sospensione della terapia) o di estro-progestinici. Inaltri casi l’apoplessia ipofisaria è stata diagnosticata dopo ra-dioterapia della regione ipotalamo-ipofisaria o dopo traumacranico [2]. Infine, essa è stata descritta in pazienti con vo-luminosi tumori ipofisari dopo l’esecuzione di test dinamiciper la valutazione della funzione ipotalamo-ipofisaria [3].

L’esordio clinico

L’apoplessia ipofisaria è più frequente nella 5a e 6a deca-de di vita e nel sesso maschile. Essa può evolvere in ma-niera rapida (acuta) o relativamente lenta e progressiva (su-bacuta), in relazione all’entità dell’emorragia, all’estensio-ne dell’edema e alla formazione di tessuto necrotico. In cir-ca un quarto dei casi può anche decorrere in maniera più omeno asintomatica e il suo riscontro può divenire del tuttocasuale in corso di indagini radiologiche. La classica sin-drome clinica associata all’apoplessia ipofisaria è costitui-ta da improvvisa insorgenza di cefalea, in genere violentae non responsiva agli analgesici, rapidissima e drammaticariduzione del visus, vomito e, nei casi più gravi, compro-missione dello stato cognitivo [4]. Tale corteo sintomatolo-gico può porre problemi di diagnosi differenziale con l’e-morragia subaracnoidea, la meningite batterica o l’ischemiacerebrale, soprattutto se la presenza di un tumore ipofisa-rio non è nota. Tuttavia, il principale problema è costituitodal frequente mancato riconoscimento dell’apoplessia ipo-fisaria al momento dell’accesso in pronto soccorso, con laconseguente adozione di misure terapeutiche inadeguate ocontroindicate. Invece, un quadro radiologico suggestivo eun’adeguata raccolta anamnestica, che miri al rilievo di sin-tomi di ipogonadismo più o meno recenti o di altri segni didisfunzione ipofisaria, permettono di porre la corretta dia-gnosi (Tabella 1). Infatti, l’apoplessia causa frequentementeipopituitarismo, essendo presenti deficit di uno o più ormo-ni anteroipofisari in almeno i 3/4 dei pazienti già all’esor-dio (Tabella 2) [5]. L’iposurrenalismo centrale affligge ol-tre il 70% dei casi e può determinare conseguenze clinicheimmediate e drammatiche, fino al decesso. Poiché cefalea,perdita del visus, ipotensione, nausea e, a volte, shock pos-sono richiedere la rapida somministrazione di steroidi gli-coattivi ad alte dosi, è necessario che le indagini endocrino-logiche, soprattutto la valutazione della funzione surrenale,siano eseguite preliminarmente. Quasi il 45% dei pazien-ti va incontro a iponatremia di entità medio-grave, causataappunto dall’ipocortisolismo o, più raramente, dall’inappro-priata secrezione di ormone antidiuretico. Deficit di ormone

Tabella 1 Quadro clinico

Cefalea 97%

Nausea 75%

Vomito 53%

Deficit visivi 82%

Deficit del campo visivo 36%

Paresi oculare 46%

Paralisi del III nervo cranico 41%

Paralisi del IV nervo cranico 9%

Paralisi del VI nervo cranico 23%

Meningismo 25%

Tabella 2 Le alterazioni endocrine

Iposurrenalismo 70–83%

Ipogonadismo 42–79%

Ipotiroidismo 50–68%

Iperprolattinemia 6–38%

Ipoprolattinemia 24%

Deficit di GH 16–80%

Panipopituitarismo 50–70%

tireotropo (TSH) e di gonadotropine (LH e FSH) sono do-cumentati all’esordio in oltre il 50 e 42% dei pazienti, ri-spettivamente, ma in genere manifestano i loro effetti soloa distanza di settimane se sono causati proprio dalla necrosiipofisaria. Il meccanismo patogenetico dei deficit endocri-ni è relativamente complesso e spesso non univoco. In al-cuni casi la funzione ipofisaria era compromessa già primadell’evento apoplettico per la presenza del tumore ipofisa-rio, mentre in molti altri la compromissione della funzioneendocrina è direttamente imputabile alla necrosi massiva eimprovvisa del tessuto ipofisario. Zayour et al. hanno dimo-strato che l’apoplessia ipofisaria determina un drammaticoaumento della pressione intrasellare, con conseguente ulte-riore danno del tessuto sano residuo, e hanno sostenuto chei livelli circolanti di PRL rappresentano un eccellente mar-ker dell’estensione dell’apoplessia, in maniera inversamenteproporzionale, e un affidabile indice prognostico delle pos-sibilità di recupero funzionale dell’ipofisi [6]. D’altra par-te, anche eventuali segni e sintomi di acromegalia o iper-cortisolismo vanno ricercati con attenzione. Infatti, l’apo-plessia ipofisaria è un evento tutt’altro che raro nei pazienticon voluminosi adenomi GH o ACTH-secernenti, che a vol-te possono restare paucisintomatici e quindi misconosciutiper molti anni [5].

I deficit visivi e le alterazioni della motilità oculare sonofrequentissimi [4]. Una ingravescente compromissione delvisus si verifica in oltre l’80% dei pazienti e si può conclu-dere con la completa cecità a distanza di poche ore dall’in-sorgenza della cefalea. Circa la metà dei pazienti riferiscono

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Fig. 1 Immagini RMNT1-dipendentipre-contrastografiche inproiezione coronale (A) esagittale (B). Presenza divoluminosa massa a sede intra esoprasellare con iperintensitàperiferica legata a prodotti didegradazione dell’eme(metaemoglobina). Il chiasmaottico è compresso (freccia)

diplopia e oltre il 90% di essi presenta paresi oculare perparalisi del III, del VI o, meno frequentemente, del IV ner-vo cranico (Tabella 1). In almeno un terzo dei casi il campovisivo è soggettivamente ridotto, ma la perimetria compute-rizzata è in grado di evidenziare vaste aree di scotoma as-soluto, e soprattutto relativo, praticamente in tutti i pazienti.D’altra parte, la valutazione del campo visivo, mediante pe-rimetro computerizzato o cinetico, non solo ha finalità dia-gnostiche, ma è essenziale soprattutto per decidere tempi emodi dell’approccio terapeutico.

La diagnosi radiologica

L’incidentale individuazione di aree di necrosi e di emorra-gia nel contesto di un adenoma ipofisario è un evento fre-quente in corso di indagini neuroradiologiche eseguite me-diante risonanza magnetica nucleare (RMN) o tomografiacomputerizzata (TC). Tale evenienza, definita come apo-plessia ipofisaria subacuta o subclinica (perché la sintoma-tologia è generalmente modesta o del tutto assente) si ve-rifica nel 14–22% dei pazienti con macroadenoma ipofisa-rio. Invece, emorragie massive associate a un quadro clinicorilevante sono osservate solo nello 0,6–9,0% di essi.

Nel paziente con apoplessia ipofisaria, sia la TC che laRMN dimostrano la presenza di una neoformazione a svi-luppo intra e soprasellare tipicamente disomogenea per lacoesistenza di aree solide e aree emorragiche. In fase acu-ta, la TC evidenzia aree di iperdensità intralesionali lega-te alla presenza di sanguinamento recente, mentre in fasesubacuta o cronica la presenza di prodotti di degradazionedell’eme non sono rilevabili, perché tipicamente ipodensie conseguentemente non differenziabili da aree cistiche onecrotiche intra-lesionali. La TC consente anche l’accura-ta valutazione di eventuali gravi complicanze endocraniche

dell’apoplessia ipofisaria, quali l’emorragia sub-aracnoideao l’ischemia cerebrale [7]. È del tutto evidente che la pre-senza di tali complicanze ha un ruolo critico per le decisionida assumere a breve termine nella gestione del paziente conapoplessia ipofisaria.

La RMN della regione ipotalamo-ipofisaria rappresentail principale strumento diagnostico, soprattutto in fase su-bacuta e cronica. La sua sensibilità nella individuazione disanguinamento intra-lesionale risulta nettamente superiorerispetto alla TC dopo le prime 12 ore dall’esordio clinico.Nelle scansioni T1 dipendenti pre-contrastografiche, è pos-sibile evidenziare generalmente aree intra-lesionali a eleva-to segnale, espressione della presenza di metaemoglobinaconseguente al sanguinamento subacuto. Tali quote lesionalisono più comunemente disposte in sede periferica (Fig. 1).Nelle scansioni T2 dipendenti, le aree emorragiche dimo-strano frequentemente basso segnale (Fig. 2), mentre le areecistiche assumono un aspetto iperintenso. In entrambe le se-quenze, è possibile riscontrare un livello fluido-fluido intra-lesionale (Fig. 3), in cui la quota declive corrisponde a sedi-mento di globuli rossi, mentre la quota craniale è rappresen-tata da metaemoglobina libera extracellulare. Dopo la som-ministrazione di gadolinio sono possibili differenti quadridi impregnazione contrastografica, ma comunemente si os-serva un’impregnazione periferica della neoformazione, conaspetto a cercine (Fig. 4). La RMN consente, inoltre, un’a-gevole valutazione dell’infiltrazione dei seni cavernosi e delgrado di compressione sul chiasma ottico [8].

Lo studio RMN può essere utilmente integrato da scan-sioni ottenute con tecniche “speciali”, quali le sequenzeT2-dipendenti Gradient-Echo (GE) e Diffusion-WeightedImages (DWI) [9]. Le sequenze GE risultano particolarmen-te utili nell’individuazione di foci emorragici nel contesto diun macroadenoma ipofisario, sia in fase acuta che in fase

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Fig. 2 Immagini RMNT2-dipendenti in proiezionecoronale. La massa èdisomogeneamente ipointensasenza evidenza di aree cisticheintralesionali. Si notal’iperintensità del piano mucosodel seno sfenoidale a sinistra,espressione di processoflogistico reattivo (frecce)

Fig. 3 Immagini RMN T2-dipendenti in proiezione sagittale (A) e coronale (B, C). Presenza di livello fluido-fluido intralesionale (asterisco);quota fluida iperintensa (B), quota declive ipointensa corrispondente a sedimento di globuli rossi (C)

cronica. In tali immagini, i prodotti di degradazione dell’e-me appaiono marcatamente ipointensi in quanto responsabi-li di fini disomogeneità locali del campo magnetico. In casipiù rari, tali sequenze consentono di evidenziare un quadrodi emosiderosi leptomeningea, un vero e proprio tatuaggioemosiderinico, dovuto al ripetuto sanguinamento del tumoreipofisario. Le immagini DWI consentono invece una precoceindividuazione di aree di necrosi, marcatamente iperintense,nel contesto del tumore.

Alcuni autori, infine, hanno segnalato il possibile riscon-tro di ispessimento del piano mucoso del seno sfenoidale neipazienti con apoplessia ipofisaria [10]. Tale evenienza sa-rebbe espressione di un processo flogistico reattivo (Fig. 2)e appare ben valutabile sia in TC che in RMN.

È necessario ricordare, tuttavia, che il riscontro neuro-radiologico di sanguinamento nel contesto di una forma-zione espansiva sellare è fortemente suggestivo di apo-

plessia ipofisaria, ma non patognomonico. Altre entitàanatomo-patologiche, infatti, possono dar luogo a talequadro (metastasi, craniofaringioma, ipofisite) e, pertan-to, il quadro neuroradiologico va sempre correlato ai daticlinico-anamnestici e di laboratorio.

Le strategie terapeutiche

Il corretto approccio al paziente con apoplessia ipofisariarappresenta un argomento assai controverso. Infatti, se unintervento chirurgico in urgenza può essere necessario perdecomprimere le vie ottiche in caso di grave perdita delvisus, sempre maggiori evidenze dimostrano che un atteg-giamento meno invasivo può garantire un outcome similese non migliore sia dal punto di vista neuro-oftalmologico

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Fig. 4 Immagini RMNT1-dipendentipost-contrastografiche in duediversi casi di apoplessiapituitaria (A, B e C, D).(A, B) Intensa impregnazionecontrastografica periferica dellaneoformazione con nucleo abasso segnale; (C, D) intensaimpregnazione contrastograficaperiferica cui si associa lapresenza di circoscritto nodulosolido intralesionale (freccia)

che endocrinologico, quantomeno nei pazienti con altera-zioni visive modeste o in progressiva remissione [11]. D’al-tra parte, mentre la compromissione dello stato di coscienzarappresenta certamente un’indicazione chirurgica in urgen-za, non tutti i tipi di deficit neuro-oftalmologico richiedonoun intervento altrettanto immediato.

Appena formulata la diagnosi, se presenti alterazionineuro-oftalmologiche e anche in assenza di evidenti segnio sintomi di ipocortisolismo, trova indicazione la sommi-nistrazione di idrocortisone 100–200 mg in bolo, previodosaggio dei parametri di funzione ipofisaria e di routinechimico-clinica. Durante le successive 48 ore, l’infusione diidrocortisone deve essere continuativamente assicurata congraduale riduzione della posologia (2–4 mg/ora in infusio-ne continua i.v. o 50–100 mg ogni 6 ore i.m.), in conside-razione dell’evoluzione del quadro clinico. Superata la faseacuta e risolti eventuali nausea e vomito, la terapia steroideapuò essere somministrata per via orale (idrocortisone 10 mg,1 cp × 3 al giorno, o cortisone acetato 25 mg, 1 cp × 2 algiorno). In presenza di deficit visivo o di oftalmoplegia puòessere presa in considerazione anche la somministrazione didesametasone 4 mg i.m. ogni 12 ore, in associazione all’in-fusione di idrocortisone a dosi ridotte. Qualora i dosaggi or-monali eseguiti al momento della diagnosi dovessero dimo-strare ridotti livelli di FT4, è indicata la somministrazione diL-tiroxina a dosi sostitutive.

Per quanto riguarda l’approccio chirurgico, i dati dellaletteratura dimostrano che la rapida decompressione dellevie ottiche induce in genere esiti favorevoli nei pazienti condeficit dell’acuità visiva o del campo visivo, soprattutto seingravescente, ma può non comportare benefici evidenti perle alterazioni dell’oculomozione, conseguenti alla compro-missione del III, IV o VI nervo cranico, che rappresentanospesso un esito permanente dell’apoplessia ipofisaria. Inol-tre, il posizionamento di una derivazione ventricolare ester-na può trovare indicazione quando le alterazioni dello statodi coscienza siano indotte dall’incremento della pressioneintracranica per idrocefalo, in attesa che la stabilizzazioneemodinamica renda possibile la successiva decompressionechirurgica.

In assenza di condizioni che impongono un approccio im-mediato, l’intervento chirurgico può essere differito di gior-ni o settimane fino a divenire, in alcuni casi, superfluo per lospontaneo shrinkage della massa ipofisaria. Secondo alcuniautori un trattamento chirurgico differito, ma comunque en-tro 7–8 giorni dall’esordio clinico, è associato a un miglioroutcome neuro-oftalmologico ed endocrinologico [5]. Inol-tre, il ricorso alla chirurgia in elezione consente una migliorestabilizzazione del profilo emodinamico e la compensazio-ne di eventuali deficit endocrini, con conseguente riduzio-ne del rischio anestesiologico, oltre che il ricorso a un neu-

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Fig. 5 Algoritmodiagnostico-terapeutico per ilpaziente con sospetta apoplessiaipofisaria (modificato da [1])

rochirurgo esperto nello specifico campo dell’accesso allasella turcica mediante tecnica microchirurgica o, ancor me-glio, endoscopica, che operi nell’ambito di un team multi-disciplinare. Infatti, un intervento chirurgico differito deveessere finalizzato anche all’asportazione radicale del tessu-to tumorale residuo e alla prevenzione di ulteriori emorragieintralesionali. Rajasekaran et al. hanno proposto un algorit-mo diagnostico-terapeutico che rappresenta una delle pochelinee guida disponibili in materia (Fig. 5) [1].

Recentemente, gli stessi autori hanno anche suggeritol’adozione di uno score di valutazione del paziente con apo-plessia ipofisaria in fase acuta, finalizzato all’obiettiva in-dividuazione del miglior percorso terapeutico [12]. Esso sibasa sull’attribuzione di un punteggio complessivo risultan-te dalla somma di 3 parametri neuro-oftalmologici—acuitàvisiva (grado 0, 1 o 2), presenza di deficit campimetrici (gra-do 0, 1 o 2) e paresi oculare (grado 0, 1 o 2)—e del Gla-sgow Coma Scale (grado 0, 2 o 4). Lo score totale che nerisulta, compreso fra 0 e 10, rappresenta in maniera diretta-

mente proporzionale il grado di compromissione neurologi-ca e neuro-oftalmologica del paziente con apoplessia ipo-fisaria. Tale metodo di valutazione potrebbe costituire unutile supporto nella pratica clinica, se validato in casisti-che sufficientemente ampie di pazienti assistiti presso cen-tri di riferimento per il trattamento dei tumori della regioneipotalamo-ipofisaria.

La prognosi

La prognosi endocrina e neuro-oftalmologica dell’apoples-sia ipofisaria dipende inevitabilmente da come il pazienteviene gestito durante la fase acuta e subacuta. Quasi para-dossalmente, le condizioni inizialmente più complesse pos-sono esitare favorevolmente se le corrette misure terapeuti-che vengono adottate con competenza e tempestività, mentreforme meno gravi possono comportare danni endocrinologi-ci o neuro-oftalmologici permanenti se riconosciute tardiva-

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mente e se l’approccio terapeutico è incongruo e intempe-stivo. L’esito a medio e lungo termine dell’apoplessia ipo-fisaria è condizionato: (1) dal tipo di danno (compressivo odistruttivo) dell’ipofisi; (2) dalla compressione delle struttu-re neurovascolari (delle vie ottiche e dei nervi oculomotori)attigue alla cavità sellare; e (3) dall’eventuale stravaso ema-tico subaracnoideo (evenienza rara) che comporta il rischiodi vasospasmo e conseguente danno ischemico cerebrale.

Le più gravi alterazioni neurologiche, neuro-oftalmolo-giche ed endocrine sono conseguenza soprattutto dell’iper-tensione endosellare causata dalla rapida espansione dellamassa ipofisaria [6]. La reversibilità di tali alterazioni è di-rettamente correlata alla tempestività del trattamento medi-co o chirurgico che, se da una parte deve mirare alla de-compressione delle vie ottiche e dei seni cavernosi, dall’altradovrebbe garantire la salvaguardia della funzione ipofisariaresidua [13]. Tuttavia, essendo carenti le evidenze della cor-relazione fra il tipo di trattamento adottato e la reversibilitàdelle alterazioni endocrine, la scelta terapeutica mira prio-ritariamente alla salvaguardia o al recupero della funzionevisiva [5]. Per quanto riguarda i deficit endocrini, mentre l’i-posurrenalismo centrale causa precocemente manifestazionicliniche, l’ipotiroidismo, l’ipogonadismo o il deficit di or-mone somatotropo possono manifestarsi progressivamentenelle settimane, nei mesi o, addirittura, negli anni successi-vi e, per tale motivo, una periodica rivalutazione, sia basa-le che dinamica, della funzione ipofisaria è necessaria [4].Mentre l’ipopituitarismo è un esito estremamente frequentedell’apoplessia ipofisaria, il diabete insipido centrale è estre-mamente raro, forse a causa delle caratteristiche anatomichee della struttura vascolare della neuroipofisi o del suo ruolofunzionale.

In ultimo, Pal et al. hanno segnalato che la ricrescita deltumore ipofisario residuo si verifica nel 21,4% dei pazientientro 5 anni dall’apoplessia e conseguentemente la periodi-ca sorveglianza radiologica è raccomandata, soprattutto neicasi non sottoposti a radioterapia [14]. Tale rischio di ri-crescita non sembra differente nei tumori secernenti o nonsecernenti.

Conclusioni

L’apoplessia ipofisaria è difficile da diagnosticare e da trat-tare, anche per la carenza di specifiche linee guida. Rappre-senta in molti casi una condizione di grave emergenza cli-nica che richiede competenze specifiche multidisciplinari.La decompressione chirurgica può essere necessaria quandola compromissione visiva è rapidamente ingravescente, e laterapia cortisonica ad alte dosi o il posizionamento di unaderivazione liquorale risultano inefficaci. L’intervento di unneurochirurgo esperto in chirurgia ipofisaria è comunque in-dicato entro 7–8 giorni dalla diagnosi quando le alterazioni

del campo visivo sono stazionarie, o anche successivamentese persiste l’oftalmoplegia. Il trattamento farmacologico consteroidi ad alte dosi rappresenta la terapia di elezione quan-do la sintomatologia è sfumata. In caso di ipopituitarismo laterapia sostitutiva deve essere appropriata e la funzione ipo-fisaria rivalutata periodicamente, potendosi verificare sia larisoluzione che la comparsa di nuovi deficit.

Conflitto di interesse Gli autori Salvatore Cannavò, Adriana Alba-ni, Francesca Granata, Felice Esposito e Flavio Angileri dichiarano dinon avere conflitti di interessi.

Consenso informato Lo studio presentato in questo articolo non harichiesto sperimentazione umana.

Studi sugli animali Gli autori di questo articolo non hanno eseguitostudi sugli animali.

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