lavoro italiano

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Poste Italiane SpA - Sped. in Abb. Post. DL 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46 art. 1 comma 1 DCB Roma) Anno 27 - N. 1 GENNAIO 2012 *ISSN: 2036-2765

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Tesseramento 2012

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Poste Italiane SpA - Sped. in Abb. Post. DL 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46 art. 1 comma 1 DCB Roma) Anno 27 - N. 1 GENNAIO 2012

*ISSN: 2036-2765

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John Kenneth Galbraith, nel libro “Sapere tutto o quasi sul-l’economia” del 1978, sostiene che l’economia, citando AlfredMarshall, “non è altro che lo studio dell’umanità nella produ-zione della sua vita” e aggiunge di suo: “lo studio del ruolodelle organizzazioni, di come gli uomini fanno appello allegrandi industrie, ai sindacati ed ai governi per soddisfare ipropri bisogni economici; lo studio degli scopi che questeorganizzazioni perseguono nella misura in cui s’accordano osi oppongono all’interesse generale. E infine come far preva-lere l’interesse della collettività1”.Prosegue: “i titoli dei giornali… parlano delle decisioni eco-nomiche dei governi. Se la gente non si sforza di capire, que-ste decisioni economiche, se non si fa, con cognizione dicausa, delle opinioni sue, se non le rende pubbliche, lasciatutto il potere nelle mani di chi capisce, o fa finta di capire ocrede di capire. E si può star sicuri che queste decisioniandranno di rado contro gli interessi di quelli che le prendonoo di quelli che costoro rappresentano”. Continua parlando delle persone comuni che: “sentono gli

economisti dire che i prezzi sono fissati dal gioco della libera concorrenza di molte piccole aziende nelquadro del mercato. Ma la realtà che vedono è un’altra: poche imprese giganti forniscono benzina, auto-mobili, prodotti chimici e farmaceutici, materiale elettrico e quantità di altri prodotti e servizi”. Infinesostiene: “un economista che lavora per una grande banca di new York non s’azzarda a proporre tesi con-trarie agli interessi dell’aziende, quali sono concepite dai suoi dirigenti. E costoro sono ben felici di alli-nearsi sulle dichiarazioni pubbliche di questo economista della provvidenza”. E’ un libro datato, ma molto istruttivo e consiglio di leggerlo, perché spiega in concreto tutto quello chegira intorno all’economia, ma, si può attualizzarlo ancor oggi, perché allora prefigurava quello che oggi èavvenuto ed avviene. La prima parte dimostra che fino a quando la vita delle persone era scandita dall’eco-nomia produttiva i parametri di riferimento e le regole erano abbastanza chiare. Tutto dipendeva da impre-se, sindacati e governi e tutto avveniva sulla base delle relazioni fra loro in modo da far prevalere l’inte-resse della collettività. Purtroppo con l’avvento della finanziarizzazione tutto è cambiato e le decisioni nonsono più prese per la collettività, ma per pochi che detengono le risorse finanziarie. La seconda parte invita i cittadini a farsi un’idea delle scelte economiche che vengono proposte e a parte-cipare, altrimenti saranno coloro che decidono a imporre scelte utili solo a chi le decide. Oggi la logica delneo liberismo ha ridotto la politica ad essere subalterna dell’economia senza regole e sta tentando di eli-minare qualsiasi organizzazione che associ individui potenzialmente contrari ai suoi disegni.Nella terza parte spiega come l’informazione può influenzare le menti, infatti, viene spiegato che la liberaconcorrenza produce effetti positivi per la cittadinanza, mentre poi i prodotti, e quindi i prezzi sono impo-sti sempre di più da poche aziende, magari multinazionali.Infine nella ultima parte illustra il legame fra economisti e banche (per cui spesso lavorano) e naturalmen-te essi non vanno contro i loro datori di lavoro si industriano per motivare come indispensabili le loro ricet-te economiche.Tutto ciò, oggi, si ripropone negli stessi termini. La messa in crisi delle associazioni rappresentative è ser-vita a ridimensionare di molto la democrazia partecipata. Addirittura vengono imposti governi che nonsono legittimati democraticamente e che hanno legami diretti o indiretti con le grandi banche. In Greciaviene imposto al governo di non svolgere un referendum popolare su misure economiche che stravolgono

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Il Fatto

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Crisi e Austerità: come se ne esce?di Antonio Foccillo

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Il Fatto

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la vita dei cittadini, viene sostituito George Papandreou con Lucas Papademos, economista ex governato-re della Banca centrale ed ex numero due della Bce, che in quanto tale ha tutte le carte in regola per anda-re ad occupare la poltrona di premier del governo di unità nazionale e chiedere ai cittadini greci sacrificiinimmaginabili. Bisogna essere consapevoli che stiamo rischiando di andare su un piano inclinato dove laforbice fra decisioni prese da organismi non legittimati democraticamente e cittadini si sta facendo semprepiù ampia con manifestazioni di protesta, sempre più forti, in tutto il mondo e con qualche rischio anchedi degenerazione. Il sindacato confederale, come ha fatto molte altre volte nella sua vita, deve essere in grado di fornire unasponda ai tanti malcontenti incanalandoli su una proposta di un nuovo modello economico per ridare spe-ranze ai lavoratori di un futuro migliore.In passato molte relazioni sindacali sono iniziate con la tesi di essere in un periodo di crisi e alla fine èdiventata un’abitudine, quasi come un rituale che si ripete stantio e senza pathos.Oggi che siamo veramente in una situazione drammatica sembra che abbiamo pudore nel doverlo ripetere.Si cerca di esorcizzare la parola crisi.Purtroppo è vera e sta procurando tantissimi guasti, sul piano sociale, economico, produttivo. Solo in Italia, ultimi dati Istat e Banca d’Italia sostengono che è aumentata la divaricazione fra povertà ericchezza, il paese ha un grado di disuguaglianza e di basso reddito che lo collocano agli ultimi posti deipaesi occidentali. L’occupazione perde sempre più pezzi e l’occupazione giovanile è sempre più in crisi ed è un problemagenerale in tutta Europa. La stessa Germania, per non parlare dei soliti paesi, che detta legge in Europa, hadichiarato lo stato di recessione.Bisogna uscire da questa situazione in cui tutto è a rischio. Ridare fiducia e speranza per un avveniremigliore.Bisogna puntare sulla crescita e sullo sviluppo e non farsi ingabbiare dalla crisi proponendo austerità.Bisogna avere il coraggio di imporre investimenti nella produzione.Paul Krugman scrive in un articolo dal titolo, “Non si cura la crisi con l’austerità”: “Nello specifico, si trat-ta del fallimento della dottrina dell’austerità, che da due anni a questa parte predomina nel dibattito poli-tico sia in Europa, sia, in buona misura, negli Stati Uniti… Mezzo secolo fa qualsiasi economista – o perquello che conta, qualsiasi studente di economia non ancora laureato che si fosse letto il libro di testoEconomics di Paul Samuelson – avrebbe potuto assicurarvi che l’austerità in piena depressione è una pes-sima idea. Ma policy maker, grandi esperti e – mi duole dirlo – molti economisti hanno deciso in buonaparte per ragioni prettamente politiche, di dimenticare ciò che erano soliti sapere. E milioni di lavoratoriadesso pagano il conto della loro premeditata amnesia”.Facciamo in modo che questa amnesia venga rimossa e combattiamo la crisi con un nuovo sviluppo. Nonè possibile che nove nuclei familiari su dieci2 non siano in grado di reggere uno choc economico imprevi-sto e che la decisione di avere un figlio sia oggi considerata un “fattore di vulnerabilità” finanziaria. Se nonsi invertono queste tendenze, se non si sollecita, con appropriate manovre, lo sviluppo, non solo saremoobbligati ad ulteriori manovre di 40 miliardi di euro l’anno, ma neghiamo ai nostri figli qualsiasi prospet-tiva per un futuro per cui valga la pena di credere e quindi operare per esserne parte attiva.

Note:1. John k. Galbraith – Nicole Sallinger – Tout savoir – ou presque – sur l’économie – editions du Seul 1978 2. Da uno studio dell’ANIA-Consumatori

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Angeletti, siamo entrati nel vivo del confrontocon il Governo sulla riforma del mercato dellavoro. La trattativa si prospetta complessaanche se il Governo è intenzionato a chiudere intempi brevi. Quali sono le tue previsioni?Come sempre, è difficile fare previsioni quandosono coinvolti interessi diversi tra loro. In realtà,l’obiettivo dichiarato è identico: contrastare ladisoccupazione e favorire la crescita, ma poi ledivergenze emergono quando si confrontano stru-menti e soluzioni. Noi abbiamo chiesto alGoverno se è interessato a fare un accordo o seintende, semplicemente, acquisire elementi diconoscenza circa le posizioni delle parti in campoper, poi, procedere unilateralmente. Il ministroElsa Fornero ci ha assicurato che puntano adun’intesa condivisa. Dunque, se così fosse, ciaspettiamo che accolgano una buona parte dellenostre osservazioni.

Le prospettive economiche per il nostro Paesenon sono affatto rosee: la recessione viene dataper scontata, così come una conseguente cre-scita della disoccupazione. Basterà una riformadel mercato del lavoro per affrontare questaemergenza?Una riforma del mercato del lavoro è sicuramente

importante per regolamentare meglio la flessibilità in entrata nel mondo del lavoro e per risponderealle esigenze di maggiore tutela per i giovani e le donne. Ma non bisogna nutrire soverchie speranzesulla possibilità che questa riforma generi posti di lavoro. Anzi, anche se raggiungessimo un’intesa, èmolto probabile che assisteremmo ad un peggioramento dei dati sull’occupazione. Perché non sono leleggi a creare lavoro: servono, da un lato, buone politiche economiche da parte dello Stato e, dall’al-tro, investimenti dei privati. Da questo punto di vista, una delle riforme urgenti, sia per la crescita deisalari sia per il successivo incremento dell’occupazione, è la riforma fiscale. Bisogna ridistribuire ilcarico fiscale a vantaggio dei lavoratori dipendenti e dei pensionati. Questo spostamento di ricchezzaaiuterebbe a rimettere in moto l’economia con tutto ciò che di positivo ne conseguirebbe.

Intanto, però, bisogna che siano garantiti gli strumenti per far fronte alla crisi occupazionale…Noi dobbiamo tutelare i singoli lavoratori difendendo, prioritariamente, i posti di lavoro. Se in questitre anni di crisi, la disoccupazione nel nostro Paese, pur essendo molto alta, è rimasta al di sotto dellamedia europea è perché siamo riusciti, grazie al vigente sistema degli ammortizzatori sociali, a tenerelegati i lavoratori al loro posto di lavoro: quegli strumenti, dunque, vanno preservati.

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Intervista a Luigi Angeletti

LAVORO ITALIANO

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Contrastare la disoccupazione e favorire la crescitaIntervista a LUIGI ANGELETTI Segretario Generale UILdi Antonio Passaro

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Intervista a Luigi Angeletti

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LAVORO ITALIANO

Altra questione delicata è quella della cosiddetta flessibilità in uscita. Per alcuni, questa espres-sione evoca direttamente l’articolo 18. E’ così difficile far capire che si tratta di due concettidiversi?Di articolo 18 si è parlato fin troppo e, spesso, a sproposito. Mi limito, dunque, ad un’osservazione: èragionevole, in una fase così complessa, accettare che si licenzi senza alcun motivo? Quanti altri disoc-cupati, senza che ve ne sia una ragione plausibile, vogliamo aggiungere a quelli generati dalla crisi?L’articolo 18 non c’entra nulla con la flessibilità: serve, semplicemente, ad evitare eventuali soprusi diqualche imprenditore. Se invece si pongono problemi di carattere economico, perché un’azienda chiude, si deve ristruttura-re, cambia missione produttiva, allora siamo di fronte ad un’altra questione. Già oggi, purtroppo,siamo costretti a fare i conti con questa realtà. E’ questa situazione che va gestita. E, probabilmente,va anche meglio regolamentata, proprio per affrontare efficacemente le conseguenze sociali che pos-sono scaturire da inevitabili decisioni aziendali.

E per quel che riguarda la cosiddetta flessibilità in ingresso nel mercato del lavoro?Anche in questo caso, siamo disponibili a discutere per risolvere una serie di disfunzioni che minanoil mercato del lavoro. In particolare, bisogna impedire il ricorso smodato alle partite IVA che, in real-tà, dissimulano veri e propri contratti di lavoro dipendente. Inoltre, si deve accettare l’idea di far costa-re di più il lavoro flessibile rispetto a quello stabile in modo da indurre gli imprenditori a farne usosolo nei casi di effettiva necessità.

Facciamo un passo indietro e parliamo di pensioni. Su questa materia, il Sindacato e i lavoratorihanno dovuto subire una decisione molto pesante. Ora, però, ci sono ripercussioni negative anchesulla trattativa in corso. E’ possibile immaginare nuove iniziative per recuperare lo svantaggioaccumulato sul terreno previdenziale?I sindacati hanno protestato, unitariamente, dando vita a settimane di mobilitazione con presidi dinan-zi alle sedi istituzionali e proclamando anche tre ore di sciopero nazionale. Il Governo, che risponde alogiche del tutto diverse da quelle ordinarie e che ha assunto impegni con l’Unione europea, non haascoltato le nostre ragioni e ha proseguito per la sua strada. A questo punto continuare ad alzare le bar-ricate senza essere sicuri di ottenere un risultato positivo avrebbe prodotto un doppio danno ai lavora-tori. Noi, però, insistiamo sulla necessità di procrastinare, almeno, gli effetti di quella riforma perchési possono generare ulteriori conseguenze negative in questa fase di recessione: molti lavoratoririschiano di uscire dai processi produttivi restando senza salario e senza pensione.

Un’ultima domanda. Qual è il tuo giudizio in merito al provvedimento sulle liberalizzazioni?Quelli sulle liberalizzazioni sono provvedimenti non formali che incidono sulla realtà economica delPaese. Rappresentano un primo passo verso la crescita ma ne va verificata l’effettiva attuazione ed effi-cacia. Si poteva fare di più: non è accettabile, ad esempio, il trattamento privilegiato riservato alleaziende pubbliche locali che restano, così, i feudi dei partiti. Ora, però, concentriamoci sui temi dellavoro. Lo ribadisco: ci aspettiamo altrettanta disponibilità da parte del Governo che non vorremmo ciascoltasse per cortesia e poi procedesse senza tenere conto delle nostre indicazioni.

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Sommario

LAVORO ITALIANO

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Gli articoli e le interviste rilasciate alla nostra Redazione, sono l’esclusivo pensierodei rispettivi autori e degli intervistati. La UIL e Lavoro Italiano ne pubblicano inte-gralmente i contenuti nel rispetto della libera opinione.

Editoriale• Crisi e Austerità: come se ne esce? - di A. Foccillo pag. 1

Intervista a Luigi Angeletti Segr. Generale UIL• Contrastare la disoccupazione e favorire la crescita - di A. Passaro pag. 3

Attualità• I Fondi possono contribuire a risolvere la competitività

Intervista a GUGLIELMO LOY, Segr. Confederale Uil - di G. Urbani pag. 7

Sindacale• RSU: una sfida per il sindacato - di B. Attili pag. 9

• L’importanza delle prossime RSU per il sindacato e la democrazia nei posti di lavoro - di A. Civica pag. 11

• RSU: vota UIL, una voce libera - di M. Di Menna pag. 13

• Rinnovo Rsu: grazie a tutte le lavoratrici ed i lavoratori - di G. Torluccio pag. 15

Contrattazione• Nuove assunzioni contro la crisi - di M. Masi pag. 17

Società• Il disagio della condizione anziana si sta allargando

a tutte le fasce di reddito - di R. Bellissima pag. 19

• La CONCORDIA: tra certezze tecnologiche e realtà umana - di S. Fortino pag. 23

• Piccola JOY e ZHOU ZENG... - di L. Scardaone pag. 25

• L’abolizione del valore legale del titolo di studio - di G. Paletta pag. 27

• E’ così difficile tener in considerazione gli anziani, le loro ragioni,il particolare modo d’essere e… - di G. Salvarani pag. 31

Il CorsivoLa giornata di lor signori - di P. Tusco pag. 33

Agorà• Una proposta che viene da lontano, in materia di pensioni - di A. Carpentieri pag. 35

• Morire a causa della carestia in questo mondo globalizzato - di P. N. pag. 37

Il Ricordo• ARIDE ROSSI, un cuore Italiano con la passione romagnola - di R. Balzani pag. 39

La Recensione• VANNI, il capitano che ha retto la barra nella giusta direzione - di P. N. pag. 41

• A proposito di Etica sociale e relazioni sindacali di ANTONIO FOCCILLO - di P. N. pag. 44

Inserto I• Rapporto Censis sulla situazione del Paese 2011 - di P. N.

Inserto II• INDICE LAVORO ITALIANO 2011 - a cura di P. Nenci

LAVORO ITALIANO

N. 01GENNAIO 2012

Direttore responsabileAntonio Foccillo

Direzione e AmministrazioneVia Lucullo, 600187 RomaTel. 06.47531

Fax [email protected]

Sede legaleVia dei Monti Parioli, 6

00197 Roma

Edizioni Lavoro ItalianoUff. Abbonamenti

06.4753386

StampaNuova Panetto&Petrelli

Via Martiri della Resistenza, 6106049 Spoleto (PG)

Tel. 0743.23041Fax 0743.220913

[email protected]

MENSILE UIL

Autorizzazione tribunale di Roma

del 16-11-1984 n. 402

Qualunque contributo è a titolo gratuito.

Anche se non pubblicati i testi restano di proprietà

di Lavoro Italiano.

La responsabilità dei contenuti

è sempre a carico degli autori.

In copertina:Manifesto Tesseramento 2012

Le foto presenti in questa pubblicazione

sono state tratte da internet e quindi considerate di pubblico dominio.

Chiuso nella prima parte del mese

di Gennaio 2012.

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Attualità

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I Fondi possono contribuire a risolvere la competitivitàIntervista a GUGLIELMO LOY, segretario confederale Uildi Gabriella Urbani*

Guglielmo Loy, segretario confederale Uil in questa intervista presenta il nuovo Avviso di Fon.Coop dedicato alla formazio-ne dei lavoratori neoassunti e illustra quale ruolo possono assumere i Fondi Interprofessionali in questa fase della crisi.Individuando nei Fondi una comprovata capacità di coinvolgere le imprese nelle pratiche della formazione continua, Loyauspica un progressivo allargamento della platea dei beneficiari della formazione stessa, come peraltro già avviene in altriPaesi europei, e rilancia la collaborazione Fondi Interprofessionali – Regioni in tema di politiche attive del lavoro.

Dottor Loy, recentemente fon.coop, il fondo interprofessionale per la formazione continua delleimprese cooperative, ha pubblicato un avviso innovativo che finanzia la formazione dei lavoratorineoassunti. Come giudica questa iniziativa? Abbiamo sempre sostenuto e condiviso interventi che allargassero in maniera equilibrata ma significati-va l’azione dei Fondi fuori dal recinto tradizionale regolato dalla legge istitutiva, che individuava nei solilavoratori dipendenti presso imprese versanti lo 0,30% i destinatari di azioni formative. A riguardo iFondi si sono mossi con cautela. Nel 2009 ci sono state le iniziative, tra cui quella di Fon.Coop, a favo-re dei lavoratori in sospensione (cassintegrazione o mobilità), poi l’accesso alla formazione è stato este-so ai lavoratori con contratti atipici, ma erano rimasti esclusi quanti, sempre a causa della crisi, avevanovisto rallentare la possibilità di ingresso in impresa. La nuova iniziativa del Fondo delle cooperativedimostra che le Parti sociali hanno compreso che la crisi sta operando un profondo cambiamento nel rap-

porto tra lavoratori ed imprese e che stanno diventando maturi i tempi per estendere le tutele della formazione ad una platea più vastapossibile di lavoratori. Vorrei ricordare che tutto il sistema si è mosso con saggezza: a partire dal 2009 il Governo, in accordo con leRegioni, ha destinato gran parte delle risorse FSE per la formazione al finanziamento degli ammortizzatori sociali in deroga, con-sentendo di mantenere vivo, in moltissimi contesti produttivi del nostro Paese, il legame tra impresa e lavoratore. E’ chiaro che unsimile intervento non potrà durare in eterno e che Il passaggio dalle politiche passive, necessarie per gestire l’emergenza, a quelleattive, a sostegno della ripresa, sarà decisivo. D’altro canto se è vero che in mancanza di una crescita robusta, è improbabile che lesole politiche attive possano da sole risolvere tutti i problemi, è evidente come, anche di fronte ad una crescita contenuta, siano pro-prio le politiche attive a consentire ai destinatari degli interventi formativi di acquisire quella dote di competenze e professionalitàindispensabili per quelle imprese che vogliono continuare ad essere competitive sul mercato globale. E su questo vorrei dire che,rispetto all’intervento pubblico, i Fondi interprofessionali hanno una sensibilità maggiore nel comprendere quali settori, quali areegeografiche, quali imprese possono “agganciare” la ripresa.

In Francia i Fondi interprofessionali, dal 1 gennaio 2012, hanno esteso la formazione finanziata da imprese e lavoratori alla pla-tea dei lavoratori disoccupati. Lei stesso sostiene che sia necessario che i Fondi, in Italia, allarghino le politiche di finanzia-mento ai lavoratori disoccupati e inoccupati. Non ritiene che destinare le risorse dello 0,30%, che sono versate sì dalle impre-se ma anche dai lavoratori, possa di fatto creare conflitti tra chi versa e chi non versa il contributo per la formazione?Se si trattasse di un intervento di tipo generalista, basato sul classico schema di programmazione regionale del FSE, con pubblica-zione di bandi che hanno per destinatari le agenzie formative che riqualificano persone non occupate o disoccupate, ma con scarsapropensione ad individuarne lo sbocco professionale, l’obiezione è assolutamente legittima. Ma se i destinatari sono imprese chesono già fidelizzate ai Fondi e che hanno nella loro programmazione discrete possibilità di allargamento della base occupazionale,il discorso è meno rischioso. Ritengo che l’Avviso 17 di Fon.Coop vada proprio in questa direzione. Per i lavoratori disoccupati oinoccupati un qualche legame con le imprese deve esistere. Mi spingo a dire che questo legame potrebbe essere anche generico, noncertificato, ma se non esistesse affatto saremmo nel campo dell’assistenza e del sussidio. I Fondi interprofessionali possono contri-buire a risolvere il nodo della competitività e dell’occupazione attraverso interventi mirati, non genericamente destinati a tutte leimprese, ma sostenendo quelle che stanno ad un passo dall’intraprendere politiche di sviluppo e di crescita, anche occupazionale.Queste imprese non sono poche e saranno quelle che permetteranno di attenuare il disagio occupazionale che, per il 2012, si preve-de in aumento. Queste imprese non vanno lasciate sole perché c’è il rischio che gestiscano solo l’ordinario e non investano. Se inve-ce possono ottenere un bonus occupazione perché si trovano in una determinata area geografica, se hanno uno sgravio dell’Irap peri contributi di donne e giovani e, in aggiunta, possono formare il nuovo assunto senza oneri aggiuntivi, allora questa sinergia di poli-tiche promosse da più soggetti contribuisce concretamente a creare occupazione.

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Attualità

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LAVORO ITALIANO

Ritiene Lei che l’azione dei Fondi, anche a favore di una maggiore occupazione, debba passare attraverso una maggiore colla-borazione con soggetti istituzionali quali i centri per l’impiego, ma anche con le regioni?Io credo si debba passare attraverso un diverso rapporto sia con chi ha competenza di gestione diretta dei servizi per l’impiego siacon quegli enti privati accreditati a svolgere tali servizi. Si deve intensificare la collaborazione Fondi-Regioni riguardo al finanzia-mento della formazione continua. L’esperienza toscana, come quella lombarda, che ha visto l’integrazione delle risorse regionali conquelle dei Fondi, è stata positiva e va replicata anche in altre Regioni. Credo che al riguardo esistano difficoltà di natura normativaben più discriminanti rispetto alla problematica dei lavoratori non versanti lo 0,30%, in quanto questi bandi congiunti sono rivolti siaalle imprese aderenti che a quelle non aderenti ai Fondi. Ritengo che queste esperienze abbiano un grande valore, anche simbolico,in quanto le Regioni sono titolari delle politiche attive del lavoro e questa collaborazione, soprattutto se indirizzata all’occupabilitàdei lavoratori, fa sì che i Fondi diventino soggetti attivi del mercato del lavoro.

Lei ha parlato delle imprese che, se opportunamente sostenute, possono essere fondamentali per la ripresa del Paese. Noncrede che la cultura della formazione sia, in Italia, troppo poco diffusa?E’ vero, ed è per questo che il modello di servizio alle imprese realizzato da Fon.Coop, che consiste in un’assistenza diffusa sul ter-ritorio per sensibilizzare, informare, trasferire conoscenze e buone pratiche formative è vincente e stiamo cercando di esportarloanche in altri Fondi. Diffondere tra le imprese, soprattutto tra PMI e microimprese, che la formazione è un formidabile volano di cre-scita è fattore decisivo. I Fondi non possono mettersi sullo stesso piano dell’offerta tradizionale del Fondo Sociale Europeo, si rischiadi snaturarne la mission, profondamente ancorata al sistema produttivo. C’è una spinta naturale che, con la diminuzione delle risor-se del Fse, si trasferisca la buona pratica dei Fondi nel sistema pubblico, ma si corre il rischio del contrario. E’ necessario, special-mente nell’attuale fase di crisi, spendere bene le risorse dei Fondi e rilanciare la loro specificità: l’Avviso di Fon. Coop va in questadirezione.

Che ruolo avranno i Fondi in merito alla definizione degli standard formativi per la verifica dei percorsi formativi, così come sta-bilito da Testo Unico sull’Apprendistato da poco emanato?Attraverso la gestione del Testo Unico sull’apprendistato apriremo un capitolo importante. Perché siamo obbligati in pochi mesi arivedere il sistema delle qualifiche e delle competenze professionali per via contrattuale. L’aver affidato alle parti sociali questa gran-de responsabilità, trascinerà con sé la questione della riscrittura delle qualifiche e quindi dei percorsi formativi e la certificazionedelle competenze. Si è giunti formalmente ad un equilibrio tra il ruolo e la funzione delle Regioni e quelle delle Parti Sociali attra-verso la contrattazione. Alcuni Fondi stanno ragionando come sostenere questo percorso, ma hanno una specificità settoriale, e perloro è quindi più facile, ma se dovesse funzionare, i Fondi potrebbero esprimere una sorta di partenariato tecnico alla contrattazio-ne. Non penso sia astrusa l’idea che i Fondi possano diventare l’Isfol delle Parti sociali, in quanto sono veri rappresentanti delleimprese, del mondo produttivo.

*Responsabile comunicazione e marketing di Fon.Coop

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Sindacale

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RSU: una sfida per il sindacatodi Benedetto Attili*

Tra poco più di un mese saremo chiamati ad eleggere, intutti i luoghi di lavoro, gli organismi unitari di rappresen-tanza. L’appuntamento con le urne, rimandato di due annirispetto alla scadenza naturale prevista dalla legge, rappre-senta un banco di prova inconfutabile e necessario permisurare la credibilità e la validità delle politiche sindacaliportate avanti in favore dei lavoratori pubblici. Ma non solo.Nel pubblico impiego il risultato elettorale concorre a deter-minare il grado di rappresentatività del sindacato e, conse-guentemente, l’ammissione alle trattative per i rinnovi con-trattuali, la titolarità delle prerogative sindacali, l’eserciziodei diritti sindacali nei luoghi di lavoro. E’ evidente dunquela grande responsabilità che risiede in capo non solo alleOO.SS., ma anche a tutti coloro che in vario modo sarannocoinvolti con funzioni diverse nella competizione elettora-le, quadri e dirigenti UIL PA, candidati, iscritti.Una responsabilità che si estende a tutti i lavoratori nelmomento in cui saranno chiamati ad esprimere il propriovoto. Allo stesso modo credo di potere affermare che analo-ga responsabilità debba essere avvertita da tutte le struttureconfederali della UIL da cui ci attendiamo, come già avve-

nuto nelle precedenti occasioni, un sostegno concreto e convinto, poichè l’affermazione delle liste dellecategorie del pubblico impiego deve rappresentare l’obiettivo comune. Il momento in cui ci troviamo nonci può indurre a facili ottimismi e non ci consente neanche di fare previsioni, ma sicuramente siamo ingrado di presentarci al giudizio dei lavoratori con le carte in regola. La storia passata della UIL PA e quel-la più recente, le nostre attività, la nostra politica sempre attenta ai bisogni ed alle aspettative dei lavorato-ri, l’autonomia ed il distacco da appartenenze ideologiche ci hanno consentito di agire in piena autonomiae di rispondere con azioni adeguate e proporzionate alle misure punitive e penalizzanti che, negli ultimianni, governi di colori diversi ma animati da intenti comuni, hanno adottato nei riguardi del pubblicoimpiego. A cominciare dalle pesantissime e inaccettabili misure introdotte a seguito della entrata in vigo-re della cosiddetta riforma Brunetta che ha di fatto interrotto il processo di privatizzazione del rapporto dilavoro, avviato nei primi anni ’90, riportando importanti materie di gestione e di organizzazione del rap-porto di lavoro sotto la competenza della legge, sottraendole alla contrattazione e riportando indietro le lan-cette dell’orologio della modernizzazione e dell’innovazione nella Pubblica amministrazione, nodo vitalee determinante per la crescita, lo sviluppo e l’equità. Ciò in aperto contrasto con gli accordi sottoscritti nel2009 sul nuovo modello contrattuale che ora sono validi per tutto il mondo del lavoro, tranne che per ilpubblico impiego. Una limitazione dei diritti fondamentali dei lavoratori e del sindacato difficilmente giu-stificabile in un paese che vuole annoverarsi tra le prime democrazie europee. Il voto di marzo 2012 si col-loca dunque al culmine di un lungo periodo, che temiamo non sia ancora terminato, caratterizzato inoltreda politiche di tagli indiscriminati alle risorse delle amministrazioni, dal blocco delle retribuzioni e dei rin-novi contrattuali, dai tagli degli organici, dal blocco delle assunzioni. Tutto questo accompagnato e giusti-ficato da una feroce ed indegna campagna mediatica in cui il lavoratore pubblico veniva dipinto come fan-nullone, improduttivo, principale artefice dell’inefficienza ed improduttività della pubblica amministrazio-ne. La UIL PA si è sempre opposta a questa visione con tutte le proprie forze e con tutti gli strumenti lega-li a disposizione, respingendo gli attacchi provenienti da ogni parte politica ed istituzionale, a volte inmodo bipartisan. La UIL PA, dopo lo sciopero e le proteste che avevano caratterizzato il 2010, anno di

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Sindacale

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implementazione della riforma Brunetta e di blocco della contrattazione nazionale, ha avviato fin dai primimesi del 2011 una campagna di comunicazione su tutto il territorio nazionale ed azioni di protesta chehanno permesso di rendere pubblico il malcontento dei lavoratori e di far conoscere le nostre ragioniall’esterno ed all’interno del mondo sindacale. Queste azioni hanno consentito di avviare una vertenza spe-cifica del pubblico impiego, fatta propria dalla UIL e condivisa dalle altre categorie di lavoratori, che con-tiene la nostra piattaforma programmatica, incentrata principalmente sulla richiesta, non negoziabile, diuna riapertura immediata della contrattazione e del ripristino di un corretto sistema di relazioni sindacaliall’interno del pubblico impiego. Voglio rapidamente ricordare le tappe della protesta: dalle petizioni perl’estensione al pubblico impiego della detassazione del salario di produttività ed il riconoscimento deibenefici di attività usurante, ai sit-in organizzati davanti ai palazzi della politica per chiedere una mano-vra più equa, che facesse pagare i costi della crisi a chi li aveva determinati. Fino ad arrivare, nel mese diottobre allo sciopero generale indetto dalla UIL per tutte le categorie del pubblico impiego e con la gran-de manifestazione a Roma, in Piazza Santi Apostoli il 28 ottobre. Nel mese di novembre abbiamo respin-to le ultime, strumentali e tardive proposte dell’ex ministro Brunetta di sottoscrivere accordi minimali edin perdita sulla contrattazione integrativa, inducendo anche altre OO.SS. a non firmare quegli accordi cheavrebbero significato un implicito avallo ad una riforma che non abbiamo voluto, che riteniamo inaccetta-bile, che continuiamo a respingere per i contenuti di forma e di sostanza e di cui stiamo continuando a chie-dere modifiche profonde, se non il ritiro. Al nuovo Governo insediatosi a metà del mese di novembre abbia-mo inviato gli auguri di buon lavoro e, contemporaneamente l’invito a farsi carico dei gravi problemi in cuiversa il pubblico impiego, chiedendo un deciso cambio di impostazione della politica economica che ridiaslancio alla pubblica amministrazione, che restituisca dignità ai lavoratori pubblici, che ripristini il sistemadi partecipazione sindacale, a cominciare dalla ripresa della contrattazione a tutti i livelli. Stiamo predispo-nendo un programma di nuove iniziative per tenere alta l’attenzione nel mondo del lavoro pubblico e tra lacittadinanza sui problemi che riguardano la pubblica amministrazione e sui contenuti della nostra verten-za. In tutte le principali città italiane i nostri quadri e dirigenti sindacali scenderanno in piazza, nei gazebopredisposti dalla UIL, mettendoci ancora una volta la “faccia”, per avvicinare i lavoratori e non solo, spie-gando le motivazioni della protesta e raccogliendo le opinioni, le preoccupazioni ed i suggerimenti di col-leghi e simpatizzanti, nell’ambito dell’evento CENTO PIAZZE. Chiediamo ai lavoratori dunque un votoconsapevole, scegliendo di votare i nostri candidati e le nostre liste per dare una riposta a quanti soffianosul fuoco della protesta e della delusione, sperando di dare spazio a frange di sindacalismo corporativo edestremista. Ciò potrebbe causare all’interno delle amministrazioni un caos ingovernabile e la fine della rap-presentanza sui luoghi di lavoro, con la delegittimazione delle RSU e l’affermarsi di metodi basati sulclientelismo, sulla gestione unilaterale delle risorse umane e finanziarie, sulla opacità nelle decisioni. Noici opporremo a tutto questo. Con il lavoro e l’impegno di tutti i nostri quadri e delle nostre strutture terri-toriali e nazionali sul territorio sono convinto che riusciremo ad ottenere un importante risultato alle pros-sime elezioni, quantomeno confermando il successo della precedente tornata elettorale.

*Segretario generale UIL PA

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L’importanza delle prossime RSU per il sindacato e la democrazia nei posti di lavoro di Alberto Civica*

Questa tornata di elezioni per le RSU si svolge inun periodo particolarmente difficile per il Paese,per i lavoratori e per il mondo del lavoro. La crisieconomica sta imponendo grandi sacrifici, che peril pubblico impiego si sommano alle politiche scel-lerate adottate dal precedente Governo. Il MinistroBrunetta ha colpito i lavoratori pubblici tacciando-li di “fannullonismo” e creando tutte le condizioniper ridimensionare fortemente il ruolo del sindaca-to nelle amministrazioni. I vincoli posti alla contrattazione, la scriteriata ideasu come distribuire la produttività o la “performan-ce”, l’eliminazione della difesa gratuita nei con-fronti delle sanzioni disciplinari a seguito dell’abo-lizione dei collegi di disciplina sono stati gli ele-menti portanti di una politica tesa ad indebolire il

sindacato e ad annientare il suo rapporto con i lavoratori. A questo vanno aggiunte le misure introdotte dal MinistroTremonti: blocco dei contratti collettivi, introduzione di un tetto agli stipendi (fermi al livello del 2010), taglio dellerisorse per il salario accessorio e conseguente riduzione delle retribuzioni dei dipendenti pubblici. Presi nel loroinsieme tali interventi hanno creato un groviglio inestricabile di norme ed una pervasività delle stesse in tutta lapubblica amministrazione, condizione che noi riteniamo, oggi più che ieri, la vera causa di inefficienza del siste-ma pubblico. Creata forse scientificamente per poter giustificare le esternalizzazione dei servizi pubblici, che sinoad oggi si sono comunque dimostrate inefficaci soprattutto non economiche. Nei comparti dell’Università, dellaRicerca e dell’AFAM abbiamo subìto anche gli effetti delle “fibrillazioni normative” del Ministro Gelmini, che sisono dimostrate fortemente deficitarie (termine che non vorremmo non rendesse l’idea di quello che pensiamo: èstato un disastro!). La riforma dell’Università è stata rappresentata come la soluzione di tutti i problemi: essa avreb-be dovuto facilitare l’ingresso dei giovani, contrastare il potere dei “baroni”, premiare il merito. Nei fatti, la rifor-ma si è rivelata esattamente per quello che è, ovvero un insieme di norme senza un reale obiettivo di innovazioneche di fatto concentrano e rafforzano ulteriormente il potere dei “baroni”. Studenti e ricercatori trovano nella leggeGelmini ostacoli infiniti, che vanno dalla precarizzazione strutturale (abolizione del ruolo dei ricercatori, trasfor-mati in figure esclusivamente a tempo determinato) all’aumento indiscriminato del numero chiuso, peraltro conquiz che finiscono sulle pagine dei giornali per le loro bislacche domande. A ciò si aggiunge la scarsità delle risor-se da destinare al diritto allo studio e quindi al merito, per arrivare a questi ultimi giorni ai provvedimenti delGoverno Monti, che hanno falcidiato le pensioni secondo la perversa ed improbabile logica di impoverire i padriper mantenere i figli. Con il risultato sinora certo di aver indebolito ed impoverito padri e figli insieme. L’avventodel Governo Monti ci ha inoltre regalato come ministro della Pubblica Istruzione il Prof. Profumo. Non temendodi certo confronti con i propri colleghi in fatto di trasparenza, il Prof. Profumo non si è ancora dimesso da presi-dente del CNR, creando una situazione paradossale e a nostra memoria unica nella storia del Paese. Abbiamo dovu-to infatti sentire che il Ministro Profumo avrebbe posto il problema dell’eventuale sua incompatibilità all’Antitrust,come se il problema non fosse il suo! Eppure, non più tardi di qualche mese fa, si era svolta la selezione per iPresidenti ed erano stati proposti al Ministro Gelmini una rosa di 5 nomi, tra cui è stato scelto il suo. A rigor dilogica, ci sono ben 4 nomi già selezionati come idonei per poter assolvere all’incarico prestigioso ed importante diPresidente del CNR. La coerenza del Prof. Profumo è impressionante. Da rettore del Politecnico ha proposto evotato uno Statuto che contrastava le norme della legge Gelmini, ma appena diventato Ministro ha immediatamen-te dato segnali di voler essere perfettamente in linea col suo predecessore. Se al Ministro Gelmini abbiamo sem-

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pre “concesso” le scusanti di essere debole, di non avere un curriculum scientifico adeguato, di essere etero diret-ta del Ministro del tesoro, tali limiti non possono essere certamente imputati al nuovo Ministro. Nondimeno, in per-fetta continuità con il precedente dicastero, egli si occupa di scuola secondo noi più per mandare messaggi di natu-ra elettoralistica (probabile che voglia proseguire nel futuro nell’attività politica?) trascurando l’Università, dimen-ticandosi degli Enti di ricerca, ignorando l’AFAM. In questo quadro, deve essere a tutti chiaro l’importanza delleprossime RSU per il sindacato e la democrazia nei posti di lavoro. Qualora non si raggiunga una larga partecipa-zione dei lavoratori, i vari Brunetta, Tremonti, Gelmini e Monti faranno probabilmente a gara per sostenere che laperdita di consenso nei confronti delle organizzazioni sindacali è un implicito riconoscimento della bontà dei lorointerventi. Avremmo così, oltre al danno di essere massacrati in quanto dipendenti pubblici, la beffa di vedere lasoddisfazione del carnefice e di udire qualche retriva sentenza su lavoratori e arretratezze del sindacato. Dobbiamofare di tutto affinché i lavoratori si rechino alle urne. E’ importante che un’alta affluenza alla RSU mandi un segna-le di unione tra lavoratori e sindacato, l’unico strumento rimasto per difendere e tutelare i loro diritti e per far sen-tire la loro voce. La UIL in questi anni di grandi difficoltà ha cercato di tenere sempre un comportamento equili-brato, fra la necessità di non stremare i lavoratori in lotte prive di reale incisività e quella di attivare azioni concre-te di contrasto alle politiche del Governo, impegnando i propri quadri in una attività quotidiana e capillare di oppo-sizione costruttiva, e non facendo mai mancare proposte concrete ed alternative. Nei comparti Università Ricercaed AFAM questa azione si è dispiegata avviando la causa per incostituzionalità sulle norme che tagliano le retri-buzioni in caso di malattia e impedendo la violazione delle norme del contratto nazionale ai tavoli contrattuali neglienti. Spesso abbiamo dovuto combattere anche con altre organizzazioni sindacali, che invece fanno della conve-nienza del momento la linea da seguire. Non abbiamo mai derubricato la parola mobiltazione dal nostro vocabo-lario e abbiamo ritenuto importante essere fra i promotori dello sciopero generale della UIL per tutte le categoriedel pubblico impiego, a dimostrazione che lo sciopero è un’arma importante ma va usata con parsimonia perché ilavoratori lo sciopero lo pagano. I nostri quadri e i lavoratori si candideranno nelle liste della UIL RUA convintidella bontà delle nostre posizioni e del nostro modo di fare sindacato. A loro insieme a noi spetta il compito di con-vincere i lavoratori a votare e a votare UIL RUA. Per quanto ci riguarda, continueremo a garantire il nostro impe-gno nei luoghi di lavoro, intensificando la presenza proprio laddove più difficile è la situazione: perché siamo con-vinti che un sindacalista debba farsi trovare vicino ai lavoratori proprio nei momenti di difficoltà e non soltantoquando invece ci sono applausi o parate pubbliche. E’ per questo che in questi mesi, come abbiamo sempre fatto

in passato, saremo accanto ai precari che rischiano il posto dilavoro. E saremo pronti laddove Rettori, Presidenti, Direttoridi Conservatori approfittano di un clima favorevole e tentanodi mettere in soggezione i lavoratori. Il nostro impegno è quel-lo di avviare iniziative nei confronti del Ministro della pubbli-ca istruzione finalizzate a stabilizzare i precari della ricerca edell’AFAM esattamente come sono stati stabilizzati i precaridella scuola. Chiederemo al Ministro della pubblica istruzio-ne di ridare risorse economiche ed umane, di prevedere nuoveassunzioni anche per i nostri comparti, di dare una soluzionedefinitiva ed un ordinamento finalmente stabile all’AFAM,collocandola in modo razionale ed adeguato all’interno delsistema universitario. Insieme alla Confederazione continue-remo nell’azione partita nel mese di ottobre con lo sciopero,diretta garantire le specificità del contratto dell’Università,della Ricerca, dell’AFAM e soprattutto ad operare una modi-fica significativa del decreto Brunetta, specie in quelle partiche prevedono inammissibili modalità di distribuzione dellerisorse in base alla perfomance e impongono vincoli alla con-trattazione. Siamo convinti che i lavoratori confermeranno laloro fiducia nella UIL RUA e che sapremo portare avanti tuttele iniziative su cui abbiamo preso impegno nei loro confronti.

*Segretario Generale UIL RUA

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RSU: vota UIL, una voce liberadi Massimo Di Menna

Vicini alle RSU. Si possono così sintetizzare le tante cose fatte dal nostro sin-dacato per qualificare e potenziare il ruolo di tanti insegnanti e personale atache hanno svolto, con il consenso dei loro colleghi, la funzione di rappresen-tante sindacale di scuola. Nessuna particolare ideologia, nessuna chiusuraconservatrice ma libera scelta basata sulla conoscenza dei problemi, sulla esi-genza di intese rapide, con tre riferimenti solidi: trasparenza; tutela dei diritti,qualità. Facile a dirsi ma ci vuole un sindacato laico e libero per favorire, sup-portare, aiutare tale funzione. In tutte le elezioni i risultati ci hanno dato ragio-ne e investito di maggiori responsabilità; in ogni elezione più voti e più elettidelle precedenti e, poi, ancora un maggior numero di iscritti. Tutto ciò qual-cosa vorrà dire. Abbiamo puntato sui candidati, persone libere che hanno perla loro correttezza, competenza, disponibilità, il consenso dei loro colleghi cheli votano perché li conoscono. La lista UIL è un valore aggiunto: la CGIL inun suo slogan scrive “non tutti i sindacati sono uguali”, su questo ha proprio ragione, perciò diciamo di votare l’identi-tà, lo stile UIL, una voce libera. La situazione sociale ed economica desta gravi preoccupazioni, per uscire dalla crisioccorre puntare sul lavoro, sulle competenze, sulla innovazione, sulla qualità; è quindi un fatto positivo un bagno di par-tecipazione e di democrazia con il rinnovo delle RSU ci saranno tanti confermati e tanti nuovi eletti. Si discute giusta-mente di rivedere il modello di sindacato, credo che questo sia un modello di sindacato moderno, davvero di massa, sin-tesi di tante persone che direttamente nei posti di lavoro sono la UIL. Nella scuola assumono un ruolo particolare perchérappresentano una parte importante di processi decisionali in quella che efficacemente il neo Ministro profumo ha defi-nito un’autonomia responsabile. Certo per il Ministro è un semplice impegno. Oggi non è così, con pochi soldi e tanta,troppa burocrazia. Con l’autonomia nelle scuole ci sono stati molteplici cambiamenti, non sempre positivi. La riduzionedi risorse finanziarie, i tagli agli organici, l’appesantimento burocratico, la carenza di una formazione concreta e finaliz-zata, la mancata modernizzazione degli assetti dei processi decisionali, rappresentano davvero troppe criticità, che comeUIL Scuola continuiamo ad evidenziare in tutte le sedi e le occasioni. La funzione sindacale della RSU non può certodare risposte e soluzioni, essendo il tutto rimesso a come il Governo, la politica nel suo insieme considerano il valoredella scuola, ma sicuramente un’attenta partecipazione agli aspetti che sono stati demandati alle relazioni sindacali di

scuola (contrattazione, informazione preventiva e successiva) e chefanno perno su un negoziato RSU - dirigente scolastico, può agevo-lare il lavoro complesso che si svolge. L’azione della UIL Scuola, eanche la nostra informativa, che si sviluppa con modalità comunica-tive semplici, mirano ad un ampliamento delle conoscenze e ad unoscambio delle esperienze, per fare in modo che le relazioni sindaca-li non siano generiche, né improntate al variare della disponibilitàdei dirigenti, ma ancorate a regole chiare e a rapidità di negoziato, acertezza di intese. In fondo in un clima sereno e di trasparenza silavora con maggiore tranquillità. Per la UIL il rispetto delle regole,la tutela dei diritti degli insegnanti e del personale ATA non config-gono con la qualità del servizio, a cui tanto teniamo. Insieme agliOrgani Collegiali, le RSU rappresentano i fondamentali principidella democrazia e della partecipazione, che dobbiamo difenderecontro i tentativi di trasformare i luoghi in cui si produce cultura e siformano i cittadini in uffici in cui domina la burocrazia, in cui il diri-gente comanda e gli impiegati eseguono. E’ con questa consapevo-lezza che tutti i dirigenti, territoriali e nazionali, stanno affrontandoquella che è una vera e propria campagna elettorale. C’è consapevo-lezza dell’importanza e impegno intelligente. I nostri candidati, inostri valori, le nostre idee sono il riferimento per tanti lavoratoridella scuola, per una parte importante della nostra scuola pubblica.

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Rinnovo Rsu: grazie a tutte le lavoratrici ed i lavoratoridi Giovanni Torluccio*

Il 5, 6 e 7 marzo 2012 siamo chiamati a vivere un momento digrande impegno, in totale autonomia ed in assoluta libertà: ilrinnovo delle RSU nei comparti delle autonomie locali e dellasanità. In primis, voglio ringraziare a nome di tutta la Segretarianazionale tutte le lavoratrici ed i lavoratori che si candiderannonelle nostre liste, che si impegneranno nelle commissioni elet-torali, che faranno gli scrutatori di seggio o i rappresentanti dilista, e che, dunque, saranno impegnati in prima linea in questoimportantissimo e delicato momento elettorale. Il rinnovo delleRSU è un diritto irrinunciabile dei lavoratori: è una straordina-ria occasione per liberalizzare energie, per rafforzare la demo-crazia e la partecipazione sindacale, per dare voce e ruolo a tutticoloro che ne sentano il desiderio e ne manifestino la disponibi-lità, per avviare nel modo più democratico e trasparente ungrande rinnovamento della rappresentanza sindacale a partireproprio dai posti di lavoro. Il nostro impegno sarà canalizzato al riconoscimento economico della profes-sionalità dei lavoratori dei nostri comparti, è siamo convinti che, indipendentemente dalla gogna mediati-ca a carico dei dipendenti pubblici, essi siano, più che mai, degni di questo nome e dell’importante ruoloa loro affidato. Le elezioni RSU rappresentano un importantissimo momento di confronto tra rappresen-tanti e rappresentati: rinnovarle votando UIL-FPL significa credere nel rilancio della contrattazione inte-grativa, quale leva indispensabile per esaltare le professionalità e migliorare l’efficienza delle amministra-zioni pubbliche. C’è bisogno infatti di un vero riconoscimento del lavoro pubblico: la civiltà di un Paesesi giudica per i servizi che offre ai cittadini, ed i lavoratori pubblici, nonostante continuino ad essere ogget-to di campagne denigratorie e criminalizzanti, con il proprio senso di responsabilità, hanno aiutato laPubblica Amministrazione a rispondere ai bisogni della cittadinanza. Con questo spirito, continueremo incessantemente ad impegnarci per rendere reale la fruizione di unimportante strumento di garanzia quale la previdenza complementare, a perseguire l’obiettivo di una pre-videnza equa, attraverso la revisione del sistema di calcolo dei trattamenti di fine servizio, l’abolizionedella trattenuta del 2,5% dei trattamenti di fine rapporto e l’estensione del riconoscimento dei lavori usu-ranti ai settori che rappresentiamo. Rivendichiamo inoltre una reale riduzione dei costi della politica edella spesa improduttiva. Ogni anno vengono spesi 250 milioni di euro per il Parlamento e ben oltre 40miliardi per i costi delle cariche politiche e fiduciarie di regioni, comuni, provincie, comunità montane ecc.Bisogna riqualificare la spesa pubblica anche attraverso il recupero degli sprechi per finanziare la contrat-tazione nazionale e integrativa. Continueremo a chiedere una riforma del fisco da cui ottenere un recupe-ro importante rispetto al netto in busta paga dei lavoratori dipendenti, pesantemente colpita dal blocco deicontratti, e, da subito, l’estensione della tassazione agevolata al 10% sul salario accessorio. Inoltre, laUIL-FPL chiede: una riorganizzazione degli ambiti territoriali delle amministrazioni locali e dellasanità eliminando sovrapposizioni e duplicazioni di organismi, di tempi e di procedure che rendono inef-ficienti i servizi e dilatano i costi. Per questo chiediamo la costituzione di Unioni di Comuni che pur man-tenendo vive le singole identità ne accorpino le funzioni, e la gestione di servizi in sinergia tra enti localie sanità, ridefinendo i bacini di utenza facendo coincidere gli ambiti territoriali delle strutture sanitarie conquelli del sociale. In questo processo, il rinnovo delle RSU riveste un ruolo fondamentale: i nostri rappre-sentanti potranno governare i processi che si stanno venendo a creare per il riassetto del territorio (unione

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dei Comuni e passaggio di funzioni in capo alle Province): il coinvolgimento dei lavoratori è lo strumentoin grado di gestire l’impatto derivante da nuove dotazioni organiche, funzioni ed inquadramenti economi-ci. La definizione di un nuovo modello di relazioni sindacali basata sul confronto e la partecipazioneche metta fine ad interpretazioni che tentano di imporre gestioni unilaterali del personale e dell’organizza-zione delle amministrazioni. Una alleanza con gli amministratori locali, lavoratori e cittadini per uncondiviso piano di rilancio di una amministrazione pubblica che ponga al centro della sua azione l’idea diun sistema di welfare e di servizi pubblici inclusivo, solidale, equo, democratico. Una modifica delle rego-le delle RSU: avremmo sicuramente preferito dopo aver definito i nuovi comparti, che la legge delega15/2009 riduce al numero di quattro rispetto al numero attuale di dodici. Per la dignità e la salvaguardiadelle RSU, fino all’ultimo abbiamo insistentemente sostenuto che il voto fosse espresso solo quando inuovi comparti fossero ridefiniti. La rappresentanza che uscirà dal voto doveva essere chiaramente ricon-ducibile agli ambiti settoriali definiti prima del voto stesso. Abbiamo inoltre sollecitato la necessaria revi-sione dello stesso regolamento delle Rsu, ormai datato e non più rispondente al nuovo modello contrattua-le. Proprio con l’obiettivo di rafforzare il quadro normativo delle RSU, appena passata la campagna elet-torale, continueremo a dare voce alle nostre idee, sempre mettendo al centro della nostra azione gli inte-ressi ed i diritti dei lavoratori. Affronteremo le RSU con questo spirito e siamo convinti che le nostre idee,ancora una volta, rafforzeranno il nostro progetto, contribuiranno a dare fiducia nelle prospettive di vita edi lavoro e per ricostruire un tessuto di partecipazione e di sviluppo.

* Segretario Generale UIL-FPL

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Nuove assunzioni contro la crisidi Massimo Masi

Sottoscritta l’ipotesi di accordo per il rinnovo del Contratto Nazionale del credito che verrà sotto-posto al giudizio dei lavoratori nelle prossime settimane.

Crescita salariale con recupero dell’inflazione a regime, incremento di occupa-zione stabile a favore soprattutto dei giovani, consolidamento dell’AreaContrattuale, con possibile rientro di attività esternalizzate.Sono questi i tre elementi di grande portata, in particolare sotto il profilo socia-le, che contraddistinguono l’ipotesi di accordo raggiunta a Roma lo scorso gio-vedì 19 gennaio per il rinnovo del Contratto Nazionale del credito, scaduto il 31dicembre 2010.L’intesa è stata conseguita in un contesto di estrema difficoltà per l’economiamondiale e per il Paese, che inevitabilmente ha notevoli ripercussioni anche nelsettore bancario e ha quindi condizionato tutta la trattativa con l’AssociazioneBancaria, che aveva avviato il confronto respingendo in modo completo lerichieste sindacali in termini economici e l’impianto complessivo dellaPiattaforma rivendicativa.Tra gli obiettivi principali delle Organizzazioni Sindacali, che hanno affrontato

la stagione del rinnovo con grande spirito unitario, vi erano, oltre un incremento salariale in linea con l’in-flazione, la crescita occupazionale stabile, in particolare giovanile, e la modifica di un modello di bancaconcentrato sulla ricerca esasperata di profitto a breve termine, tramite strumenti finanziari rischiosi per laclientela e l’intero sistema economico e lo sviluppo di sistemi premianti non contrattati che sono originedi pressioni commerciali invasive sui lavoratori.In linea con questa impostazione è stata definita la possibilità di contenere l’erogazione di sistemi incenti-vanti e si è definita l’istituzione di un Fondo per l’Occupazione, alimentato in via solidaristica con il con-tributo di una giornata lavorativa da parte di tutto il personale bancario, tramite il quale le aziende che pro-cederanno a nuove assunzioni potranno beneficiare di un contributo di circa 2.500 euro all’anno. In quest’ambito assume grande rilievo avere portato nell’ambito del confronto la necessità improrogabileche il top management partecipi in modo concreto all’obiettivo di crescita occupazionale e al generaleobiettivo di una equa distribuzione della ricchezza nel settore.In merito il presidente dell’Abi Giuseppe Mussari ha dato prova di avere raccolto le sollecitazioni di partesindacale su questo tema, inviando una lettera a tutte le aziende bancarie, affinché il top management par-tecipi con almeno il 4% delle loro retribuzioni al Fondo per l’Occupazione e non procedano a incrementieconomici dei loro compensi nei prossimi tre anni.Questo risultato rappresenta un primo, ma fondamentale passo in avanti in una battaglia per un serio con-tenimento dei compensi dei vertici aziendali e un riequilibrio della loro ormai insostenibile sproporzionecon le retribuzioni medie dei dipendenti, che la Uilca ha chiesto con forza in ogni sede negli ultimi anni.Il sindacato sarà quindi impegnato in un assiduo controllo che i vertici bancari partecipino in modo con-creto a un progetto a favore del sistema, che in futuro, in un mutato scenario economico, andrebbe integra-to dal contributo diretto delle aziende.Secondo stime dell’Abi la crescita occupazionale nei prossimi 5 anni tramite il Fondo per l’Occupazionepotrebbe riguardare circa 32.500 giovani.Le nuove assunzioni saranno prevalentemente effettuate con Contratto di Apprendistato attraverso un sala-rio di ingresso ridotto del 18 per cento, a fronte del quale vi saranno condizioni maggiorate nei versamen-ti aziendali in previdenza complementare. Queste condizioni di avvio del rapporto di lavoro avranno dura-ta 4 anni. Il risultato conseguito va affiancato a quanto condiviso con l’Abi in riferimento all’Area

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Contrattuale, che è stata consolidata, prevedendo il rientro nel settore del credito di attività già oggetto diesternalizzazione e il ricorso ai Contratti Complementari, già normati dal Contratto Nazionale e mai uti-lizzati, che prevedono per specifiche attività 40 ore di lavoro settimanale e un salario ridotto del 20%.Anche questi elementi concorreranno al mantenimento e alla crescita dei livelli occupazionali, con l’aspet-to di valore di recuperare lavorazioni che in passato le banche avevano ritenuto più conveniente portarefuori dal sistema bancario.Sempre in ottica di incremento delle assunzioni, in collegamento con l’obiettivo di aumentare la produtti-vità e le possibilità per aziende e lavoratori di offrire un servizio migliore e più efficace alla clientela, inottica di crescita competitiva, è stata condivisa l’apertura degli sportelli bancari dalle 8 alle 20, dopo unconfronto sindacale di 10 giorni, e la possibile anticipazione dalle 7 o proroga dalle 20 alle 22 solo previoaccordo con il sindacato.In merito all’aspetto economico è stato definito un aumento complessivo di 170 euro per la figura mediaprofessionale, con erogazioni di 46 euro il 30 giugno 2012, 47 euro il 30 giugno 2013 e 77 euro il 30 giu-gno 2014, che rappresenta la data di chiusura della valenza contrattuale.Questa soluzione è compensata, in ragione dell’attuale difficile situazione economica, dalla rinuncia agliarretrati e temporaneamente dal blocco degli scatti di anzianità per un anno e mezzo (dal 1° gennaio 2013al 30 giugno 2014) e dall’erogazione degli incrementi in qualità di Elementi Distinti di Retribuzione (Edr:non incide su nessuna voce indiretta legata alla retribuzione).Insomma: un contratto difficile, in una situazione politica, sindacale ed economica difficile.Un contratto, però, che vuole provare a dare una risposta, che speriamo venga raccolta anche dalle altrecategorie, aumentare l’occupazione è possibile!!!

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Società

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Il disagio della condizione anziana si sta allargando a tutte le fasce di redditodi Romano Bellissima*

La Società italiana di gerontologia e geriatriaha recentemente calcolato che 1 milione dianziani italiani è malnutrito perché non ha soldisufficienti per fare una spesa adeguata e di con-seguenza ogni giorno assume circa 400 caloriein meno, soprattutto derivanti da proteine nobi-li, quali carne e pesce. La malnutrizione haconseguenze pesanti sulla salute e produce unaumento delle probabilità di ricovero e dellamortalità.Questo dato drammatico, che evidenzia la con-dizione di difficoltà estrema, umiliazione e pri-vazione di centinaia di migliaia di anziani, ètuttavia solo una delle spie del disagio e delleristrettezze in cui vive oggi un numero sempremaggiore di persone anziane. Quasi 8 milionidi pensionati, il 46% circa di tutti i pensionati italiani, riceve pensioni di importo inferiore ai mille euro. Edi questi, 5 milioni circa sono donne.È chiaro che a vivere le maggiori difficoltà sono le pensionate e i pensionati con le pensioni di importo piùmodesto. Tuttavia, il disagio della condizione anziana si sta allargando a tutte le fasce di reddito. Negli ulti-mi 15, 20 anni circa, infatti, tutti i pensionati hanno perso progressivamente potere d’acquisto, per una seriedi motivi, ma principalmente perché la rivalutazione delle pensioni non solo è stata affidata unicamenteall’inflazione Istat, senza collegamenti né al monte salari né alla crescita del Pil, ma lo si è fatto anche conmodalità inadeguate. Nel corso degli anni, infatti, non tutte le pensioni sono state rivalutate integralmenteall’inflazione Istat, in alcuni anni l’indicizzazione è stata del tutto bloccata alle pensioni di importo più ele-vato e inoltre il paniere utilizzato per la rilevazione Istat non tiene conto della specificità di beni e serviziconsumati dai pensionati, in particolare per quanto riguarda le spese socio sanitarie. Oggi, anche pensionidi importo medio, tra i mille e i duemila euro lordi mensili sono inadeguate - soprattutto nelle grandi città–- a far fronte alla crescita del costo della vita, dei beni, dei servizi, delle accise, della fiscalità locale. Sitratta, oltretutto, di pensioni previdenziali, ottenute cioè grazie ai contributi derivanti da decenni di lavorodipendente. I pensionati in queste fasce di reddito sono, peraltro, la maggioranza degli iscritti al sindacatoconfederale e cominciano a esprimere un certo disagio rispetto all’efficacia dello stesso sindacato nel rap-presentare e difendere i loro interessi. Le difficoltà della popolazione anziana negli ultimi tempi sono statein qualche modo ‘offuscate’ dalla drammatica crisi che stiamo attraversando. Con l’aumento del numerodei disoccupati e degli inoccupati, il peggiorare delle condizioni di vita di milioni di giovani e di famigliecon figli, la crisi di tante piccole e medie aziende, i pensionati, disponendo di un reddito fisso e certo,cominciano ad essere considerati da molti - compresi editorialisti illustri, politici ed economisti - una fasciadi italiani in qualche modo privilegiata.È senz’altro vero che le pensioni rappresentano oggi un’entrata sicura (e ci auguriamo che la situazionenon cambi…), ma ritenere che per questo i pensionati vivano tutti nell’agiatezza vuol dire alimentare unvero pregiudizio, che come sindacato dobbiamo contrastare con forza. Le persone anziane costituisconoormai il 20% dell’intera popolazione italiana. Condannarle a un futuro di progressiva povertà ha conse-guenze negative per l’intera società italiana e per l’economia. Sono infatti acquirenti e consumatori soprat-tutto di beni e servizi prodotti ed erogati in Italia e dunque alimentano quei consumi interni oggi in parti-

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colare crisi. Ridurre questi consumi ha un indubbio effetto recessivo e alimenta quella spirale nefasta chesta portando la Grecia sull’orlo del default. Le persone anziane, soprattutto le donne, hanno inoltre rappre-sentato, e ancora rappresentano, un sostegno fondamentale per i figli e i nipoti, in termini di aiuti econo-mici e materiali. Un peggioramento, infine, delle loro condizioni di vita, come ben esplicitato dalla Societàdi gerontologia e geriatria per quanto riguarda l’alimentazione (ma si potrebbero anche fare altri esempi,quali la riduzione del riscaldamento o il minor ricorso ai servizi sanitari, soprattutto per quanto riguarda laprevenzione, la diagnosi precoce, le cure odontoiatriche) produce inevitabilmente un aumento delle pato-logie e dei ricoveri e dunque, a meno di adottare un piano di eutanasia di massa più o meno esplicito, unaumento delle spese della sanità. Gli ultimi Governi hanno, però, trascurato i bisogni della popolazioneanziana e penalizzato i pensionati. La manovra estiva del precedente Governo Berlusconi ha peggiorato lemodalità di rivalutazione delle pensioni all’inflazione (modalità che, ripeto, consideravamo già inadegua-te a conservare il potere d’acquisto delle pensioni) e il Governo Monti (con il cosiddetto decreto SalvaItalia, convertito nella legge 214/2011) ha fatto ancora peggio, bloccando la rivalutazione per il prossimobiennio a tutte le pensioni di importo superiore a 3 volte il minimo, circa 1.400 euro lordi. Anche se i Sindacati hanno ottenuto, grazie alla mobilitazione e all’azione di pressione sull’opinione pub-blica, un parziale miglioramento, perché la prima versione della manovra Monti prevedeva il blocco tota-le della rivalutazione sopra 2 volte il minimo, circa 900 euro lordi, la misura resta particolarmente iniqua,anche perché 50 euro in più di pensione possono determinare l’eliminazione totale dell’indicizzazione. Vainoltre considerato che il blocco è previsto per due anni, ma la mancata perequazione avrà conseguenze sututte le pensioni future oggi bloccate, che non recupereranno mai l’importo perso. Si deve poi valutare chel’inflazione è ormai sopra il 3% e che da oltre 5 anni i prezzi dei beni di prima necessità (quelli più acqui-stati dai pensionati) aumentano più dell’inflazione globale. Anche la reintroduzione dell’imposta comuna-le sulla prima casa, ex Ici, ora Imu, colpisce in modo pesante le persone anziane, soprattutto quelle chevivono sole. La Uil ha stimato che gli anziani possessori di casa siano circa 9 milioni, su un totale di 12milioni di ultra65enni, cioè circa il 75% delle persone anziane è interessato da questa misura. L’Imu, impo-sta municipale sulle abitazioni, era già prevista dal decreto sul federalismo fiscale municipale, ma ilGoverno Monti ne ha anticipato l’istituzione al 2012 e ha esteso la sua applicazione alle abitazioni princi-pali. Ha inoltre aumentato le rendite catastali. Per la prima casa è prevista una detrazione di 200 euro pertutti e una ulteriore detrazione di 50 euro per ogni figlio con meno di 26 anni che risieda e dimori abitual-mente nell’abitazione. Questo ci sembra particolarmente iniquo, perché si tratta di una ulteriore detrazio-ne che non è collegata né al reddito, né al fatto che il figlio sia a carico. Così, una famiglia benestante condue figli che magari lavorano e hanno buone retribuzioni può avere 300 euro di detrazione e una pensio-nata ultra80enne vedova con una pensione bassa ha invece una detrazione di soli 200 euro. Inoltre, nonessendo l’Imu una imposta progressiva, pesa ovviamente di più sui redditi medio bassi. Come Uilp e Uilabbiamo evidenziato come la reintroduzione dell’Imu sulla prima casa penalizza soprattutto i pensionati ei lavoratori dipendenti e abbiamo chiesto un’attenzione particolare verso le persone anziane, soprattutto aquelle che vivono sole, che sono in maggioranza donne molto anziane e vedove. Né bisogna dimenticaretutti gli ulteriori aumenti dell’Iva e delle accise su benzina, gasolio e gpl, che avranno ripercussioni suiprezzi dei beni e dei servizi, e dell’addizionale Irpef regionale, che passa dallo 0,9% al 1,23%, con ulterio-ri possibilità di aumento delle singole Regioni. Un’altra misura contenuta nella manovra Monti che pena-lizza le persone anziane è quella relativa al limite per i pagamenti in contanti, che interessa anche il paga-mento delle pensioni. Come Uilp, abbiamo espresso congiuntamente alla Confederazione il nostro giudi-zio negativo, evidenziando come la Uil si è sempre battuta e si batte per ridurre la soglia dell’uso del con-tante quale elemento fondamentale per la lotta all’evasione fiscale. Non capiamo tuttavia per quale ragio-ne debbano essere interessate da questa misura anche le pensioni, su cui i pensionati pagano le tasse allafonte. Per questo abbiamo chiesto al Governo di trovare una soluzione tecnica per evitare che milioni dipensionati, soprattutto i più anziani, debbano subire ingiustificate complicazioni, preoccupazioni e aggra-vi di costi. La norma inoltre non tiene neppure conto della specificità della condizione di tutti quei pensio-nati che, privi di altre entrate, superano i mille euro di pensione solo una o due volte l’anno, quando cioèricevono la tredicesima e/o la cosiddetta quattordicesima (vale a dire l’aumento introdotto con l’accordo

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del 2007 realizzato con l’ultimo Governo Prodi). Per ridurre i disagi che questa norma sta arrecando a tantianziani, abbiamo avuto un recente incontro con l’Inps, e l’istituto previdenziale ha dato la sua disponibili-tà a trovare soluzioni idonee e condivise. Ci rendiamo perfettamente conto della gravità della crisi, ma nonè pensabile che per salvare l’Italia i sacrifici si debbano chiedere solo ai percettori di redditi fissi, lavora-tori dipendenti e pensionati, per l’unica ragione che sono coloro dai quali si possono ottenere subito risor-se certe. Questa parte di cittadini italiani già paga la quasi totalità dell’Irpef e attraverso la fiscalità finan-zia una buona parte del nostro sistema di welfare. È una situazione ormai insostenibile. Il recupero del-l’evasione e dell’elusione fiscale e previdenziale è oggi una assoluta emergenza, non solo per ragioni diequità, ma proprio per ragioni di sostenibilità economica. Inoltre, se non si affronta seriamente questo pro-blema, continuerà ad essere distorto qualunque ragionamento sulla compartecipazione alla spesa sociale esanitaria legato al reddito. Ad esempio, le ipotesi di eliminare l’esenzione dei ticket sui farmaci per i mala-ti cronici con redditi medio alti e di introdurre nuovi ticket su ricoveri ospedalieri, due ipotesi recentemen-te avanzate dal ministro della Salute Renato Balduzzi, suscitano la nostra perplessità in via generale, per-ché ci sembra mettano in discussione l’universalità del nostro Servizio sanitario nazionale, colpendo per-sone malate e dunque in condizioni di particolare fragilità. Ma in ogni caso non si può pensare di gradua-re la compartecipazione alla spesa sanitaria adottando gli attuali criteri di ricchezza derivanti dalle dichia-razioni dei redditi o dalle autocertificazioni dell’Isee, strumento che si è dimostrato fortemente inadegua-to a certificare la reale ricchezza dei cittadini. Analogo ragionamento vale per le prestazioni sociali. Servedunque una riflessione seria e pensiamo che la Uil debba porre particolare attenzione alla revisionedell’Isee prevista dalla manovra Monti dello scorso dicembre e che rimanda a una serie di ulteriori decre-ti. Una revisione dell’Isee è senz’altro necessaria, ma non deve essere l’occasione per ridurre in misuramassiccia le prestazioni assistenziali. Inoltre ribadiamo che anche nella rideterminazione dell’Isee debba-no essere tenute nel giusto conto le specificità delle persone anziane e in particolare di quelle che vivonosole. Un altro aspetto, strettamente connesso all’erogazione delle prestazioni sociali, socio sanitarie e sani-tarie, su cui richiamare l’attenzione è la tutela delle persone non autosufficienti e delle loro famiglie. IlGoverno Berlusconi ha eliminato il finanziamento al Fondo nazionale per le non autosufficienze, che ave-vamo ottenuto con l’ultimo Governo Prodi, una decisione confermata dall’attuale Governo Monti. La leggenazionale chiesta dai Sindacati dei pensionati e dalle confederazioni non è stata mai approvata. Oggi dun-que non esiste alcuna strategia nazionale, né alcun finanziamento mirato per far fronte a quella che si deli-nea sempre più una vera emergenza per il nostro Paese, mentre a livello regionale le politiche e le dispo-nibilità finanziarie variano enormemente, producendo grandissime disparità nell’assistenza tra cittadinidelle diverse aree geografiche. Questo tema è stato al centro delle ultime piattaforme rivendicative dellaUil. Pur essendo consapevoli della situazione drammatica delle finanze pubbliche, è necessario rilanciarlocon decisione. Noi continuiamo a ritenere prioritarie le politiche volte a permettere alle persone anziane dicontinuare a vivere nelle proprie case e nei propri ambiti familiari. In assenza di una rete omogenea e ade-guata di servizi sul territorio, questo oggi avviene soprattutto grazie al lavoro di cura, sia gratuito dei fami-liari (in maggioranza donne), con notevoli costi sociali e psicologici, sia retribuito degli assistenti familia-ri, anch’essi in gran parte donne, le cosiddette badanti, con una serie di problemi per quanto riguarda gliaspetti economici e relazionali. Sono in gran parte donne anche le persone assistite, che rappresentano oggila grande maggioranza delle persone anziane disabili. Anziani assistiti e assistenti familiari sono due cate-gorie di persone fragili, bisognose entrambe di tutele e di rappresentanza. Non va però dimenticata nean-che la necessità di strutture residenziali, ponendo molta attenzione all’accreditamento, alle verifiche e aicontrolli, anche per evitare istituti lager, che purtroppo, come dimostrano gli ultimi terribili fatti di crona-ca, sono probabilmente più diffusi di quanto si pensi. Con l’aumento della durata media di vita e la ridu-zione del numero di figli e dei componenti i nuclei familiari, il numero di anziani soli è destinato a cresce-re ulteriormente. Dobbiamo cominciare a pensare un progetto complessivo, con una serie di soluzioni arti-colate, per evitare che un domani centinaia di migliaia di persone anziane siano completamente abbando-nate a se stesse, preda di speculatori, o addirittura di aguzzini, senza scrupoli.

*Segretario Generale Uil Pensionati

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La CONCORDIA: tra certezze tecnologiche e realtà umanadi Santino Fortino

L’incidente della nave Concordia Costa ha colpito tutti noi, ma in particolare chiunque sia mai andato permare e magari proprio in crociera. E’ da molti anni che viaggiare non viene più percepito come una realeavventura, come qualcosa in cui è insito un pericolo, come è stato per secoli fino ai tempi, tutto sommato,recenti. Partivi e non era così pacifico che sarebbe andato tutto bene, a maggior ragione se andavi per mare.Eri in balia di forze che non potevi controllare, ti inoltravi in un “sistema” sconosciuto. Col tempo, però,la tecnologia moderna ci ha dato l’illusione che l’imponderabile fosse sempre sotto controllo.La strumentazione sofisticata, i mille sistemi di rilevazione, le comunicazioni continue; non si è mai soliin viaggio. Eppure, l’imponderabile esiste e sta sempre dietro l’angolo, che si chiami errore umano o unaforza della natura contro la quale non si hanno difese. In crociera, per rimanere al tragico caso, chi vuolepuò illudersi di stare in un albergo a cinque stelle; la nave è così grande e così attrezzata che il rollio nonsi percepisce più se non c’è un mare molto grosso, per il resto si hanno tutte le comodità della terra fermae mille motivi di distrazione e di divertimento. Puoi dimenticarti di stare in mare, tanto più che i viaggi ditrasferimento si effettuano quasi sempre di notte. Ora tutta questa sicurezza e tranquillità è messa in discus-sione fortemente ma non solo dal punto di vista tecnico, ma anche dal punto di vista personale e psicolo-gico. La Concordia, la tragedia di quella bella nave con circa 4200 tra passeggeri e lavoratori imbarcati, ciha fatto sentire come quando dalle sfarzose sale e dallo scintillio di migliaia di luci colorate, passi a fareuna passeggiata all’aperto di sera su uno dei ponti. Le certezze e le tranquillità scompaiono all’improvvi-so di fronte alla vista di una solitudine immensa, buia e schiacciante del mare aperto.La tragedia del Giglio ha provocato un corto circuito. Saranno gli inquirenti a far luce e accertare le dina-miche e responsabilità, ma le paure ora restano vive. La nave da crociera ha urtato uno scoglio perché cosi,da tempo, si usava fare; deviare dalla rotta programmata per vedere e farsi vedere dai turisti sia dall’isolache dalla nave stessa, per una sorta di spettacolo e di saluto a cui è stato dato anche un nome “l’inchino”,per un gesto trasgressivo e rischioso che rompesse la routine, nella certezza che tanto non sarebbe potutoaccadere nulla. Si fa fatica a pensare a una cosa del genere, ma è così. Perché il Comandante si sarebbecomportato in un modo così irrazionale, zigzagando tra i fondali del parco protetto del Giglio? Se si potes-se dire che era impazzito di colpo, o che fosse stato vittima di un improvviso black-out forse ci sentirem-mo meglio. Ma, probabilmente, la spiegazione è che quell’uomo, su cui ora pesano pesantissime respon-sabilità a parte la sua coscienza, è stato vittima di una sindrome più diffusa di quanto non si creda: la sin-drome della “certezza dell’invulnerabilità”.Improbabile per lui, che la Concordia campione e prodigio tecnologico, una meraviglia dell’uomo, capacedi affrontare tutto, andasse ad incagliarsi su un maledetto piccolo scoglio come un “gozzo” qualsiasi.Ma non si è di fronte ad un folle o un mostro, siamo di fronte a uno di noi con le nostre debolezze, a unodi quelli che fa cose fuori regole per tanto tempo e la fa sempre franca per cui questa diventa poi la norma,una persona che non si rende più conto della irresponsabilità e dell’incoscienza: la sindrome della invul-nerabilità appunto.Nel nostro vivere quotidiano e nel nostro mondo del trasporto quante volte ognuno di noi nelle sue funzio-ni o nell’espletamento di ogni lavorazione, ha fatto cose fuori regola, a volte per favorire il lavoro stesso,a discapito della sicurezza.Tanto non è mai accaduto nulla, che vuoi che succeda? Niente sempre meno una volta, questa volta!La tecnologia moderna in forza della sua qualità e capacità di fare prodigi, invita ad affidarsi ad essa, senzariserve, in una sorta di magia, allora la vigilanza viene meno e l’uomo diventa vulnerabile non avendo gliocchi per vedere l’essenziale e la realtà. Un vecchio assunto ma sempre da riproporre recita: la tecnologianon ha le capacità dell’uomo con la sua anima. Chissà forse la natura sfida ogni tanto le certezze della tec-nologia e spesso vince, ma a pagare è sempre la realtà umana.

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Piccola JOY e ZHOU ZENG...di Luigi Scardaone*

Scenderemo in Piazza insieme a tutti quei cittadini che hanno a cuore l’unico futuro possibile per questaCittà: un futuro di solidarietà, di condivisione, di integrazione e inclusione, di sicurezza e legalità” questesono le parole con cui la UIL la CGIL e la CISL di Roma hanno comunicato la loro adesione alla fiacco-lata con cui sono stati ricordati ZHOU ZENG e la piccola JOY.A qualche sprovveduto saranno apparse parole retoriche, a qualche altro saranno apparse quasi come unautopia, a noi no. Sono parole, forse troppo poche, che riassumono per molti di noi il credo di una vita. Perquelli che, come noi, sono cresciuti all’ombra dei Padri del “Manifesto di Ventotene” non sono parolesenza senso e senza filo logico. Oggi con una politica italiana basata tutta sulla “dissacrazione” dei princi-pi regolatori della nostra società vogliamo, noi sognatori, rispolverare i valori che ci hanno fatto crescerecome persone e come società. In uno dei corsi di formazione sindacale cui ho partecipato presso la nostrascuola di formazione di Lavinio (quanti anni sono passati) il nostro formatore Peppe Bonello, per farcimeglio comprendere i valori cui la UIL si ispirava, citò una massima di Willy Brantd: “Se devo dire cosa,accanto alla pace, che è più importante di ogni altra cosa, allora la mia risposta senza se e senza ma è:Libertà! La libertà, per tanti, non per pochi. Libertà di coscienza e di opinione. Anche Libertà dalle diffi-coltà e dalla paura!”. Garantire tutto ciò è, secondo noi, compito della Politica attraverso opportunità dipartecipazione di tutti alla educazione, al benessere, alla cultura, al lavoro ed alla democrazia. Tanto oggiquanto domani. Giustizia sociale vuol dire anche giustizia distributiva intesa soprattutto come distribuzio-ne delle opportunità. Così essa diviene anche giustizia tra generazioni. Giustizia è per noi solidarietà socia-le. La forza della solidarietà è, infatti, la base e la esperienza fondamentale del movimento dei lavoratori.I nostri predecessori, più di cento anni fa, hanno fondato sindacati, cooperative, associazioni di arti emestieri per risolvere con la solidarietà i problemi e creare così una serie di norme consolidate. Oggi que-sta variabile della solidarietà è divenuta un principio organizzativo della società in cui crediamo. Questo èil principio sul quale noi intendiamo organizzare la nostra convivenza. Doveri e Diritti... solo una societàdove i vari soggetti sono pronti ad aiutarsi reciprocamente è una società dove il benessere duraturo è pos-sibile da realizzare. Ma sindacato è anche sano pragmatismo. Il nocciolo del pensiero ispiratore delMovimento sindacale era e resta l’emancipazione anche del singolo attraverso l’abilitazione dei singoli allaLibertà. La Libertà strada e meta allo stesso tempo, forse una utopia od un futuro lontano? No! Noi voglia-mo la libertà che è possibile ed attuabile attraverso la giustizia sociale e la solidarietà. E possiamo preten-derlo, noi della Uil, perché siamo da sempre stati il sindacato responsabile naturalmente inscritto nella sini-stra sociale, un sindacato capace di misurarsi con le cose possibili, un sindacato con il coraggio e la forzadi non rincorrere sogni irrealizzabili, ma di converso un sindacato capace di fare il proprio mestiere, cioèrealizzare accordi e firmare contratti.

*Segretario Generale Uil Roma e Lazio

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L’abolizione del valore legale del titolo di studiodi Giovanni Paletta

Il valore legale del titolo di studio ha rilevanza giuridica poiché l’attribuzione di un determinato titolo distudio da parte di una competente autorità scolastica o accademica produce determinati effetti giuridici, lacui efficacia è garantita a quei titoli di studio riconosciuti “ufficialmente” dal nostro ordinamento giuridi-co affermandone quindi la diversità rispetto ad altri attestati di istruzione e formazione.Il governo Monti, con il decreto semplificazioni vuole abolire il valore legale del titolo di studio, misurasostenuta già dall’ex ministro Gelmini, del cui operato è intenzionato a proseguire la realizzazione, anchese, dopo le polemiche suscitate dalla notizia, l’ha momentaneamente accantonato per un approfondimen-to, che intanto ci proponiamo di fare noi in queste righe. Quindi cominciamo col dire che i titoli di studioin Italia, non sono pezzi di carta rilasciati da diplomifici, come spesso sentiamo dire dai liberisti, che a tuttii costi devono trasformare il nostro modello sociale quello americano.E’ da sottolineare che in quasi tutti i Paesi non esistono le “fabbriche di titoli”, cioè organizzazioni a scopodi lucro che rilasciano titoli di studio a pagamento senza un adeguato ciclo di studi, solo in alcuni Statiamericani, tali organizzazioni possono operare legalmente. Quasi ovunque la presenza di albi e ordini pro-fessionali è associata al requisito del possesso di un titolo di studio avente valore giuridico.Per limitarci all’Europa, in tutti i Paesi il potere di conferire titoli di studio è assegnato dallo Stato allescuole e alle università, pubbliche o private e il Consiglio d’Europa ha ribadito la responsabilità pubblicain materia di istruzione superiore e di ricerca con una raccomandazione del 2007 la cui successiva messaa punto, nel corso del Processo di Bologna, definisce uno schema generale dei cicli di studio accademici,su cui ogni Stato dovrà conformare i propri corsi di studio nazionali.La VII Commissione del Senato, ha compiuto una indagine conoscitiva sul “valore legale” dei titoli di stu-dio (Senato della Repubblica. Commissione 7a - Istruzione pubblica, beni culturali - Indagini conoscitive.Effetti connessi all’eventuale abolizione del valore legale del diploma di laurea. Si veda anche il Dossierrealizzato all’uopo dal Servizio Studi del Senato: Dossier 280. Il valore legale del titolo di studio. Contestoeuropeo ed elementi di legislazione comparata) e nel corso delle audizioni le OOSS (ADU, ANDU,CISAL?Docenti universitari, CISL Università, CNRU, CNU, CoNPAss, FLC CGIL, LINK, RETE29Aprile, SNALS-Università, UDU, UGL-Università, UILPA-UR, USB-Pubblico impiego)dell’Università, in un documento unitario, hanno sottolineato come il valore legale del titolo di studio rap-presenti un elemento di certezza indispensabile nel nostro Paese e una funzione di garanzia dello Stato sul-l’equità e sulla correttezza dei rapporti tra i cittadini, che individua con certezza i contenuti di conoscen-za da acquisire nell’Università. Hanno anche avanzato l’obiezione - fondamentale sul piano sociale - chei sacerdoti del liberismo sistematicamente non prendono in considerazione -: Consideriamo il mantenimen-to del valore legale del titolo di studio un dato centrale del sistema universitario italiano e paventiamo chela sua abolizione possa incrementare le diseguaglianze sociali ed economiche.A sua volta il Consiglio Universitario Nazionale (CUN), non ideologicamente contrario al provvedimen-to, afferma che se l’abolizione del valore legale del titolo di studio mira a creare una situazione in cui ititoli accademici acquisiscano un valore sociale differenziato, essa non è sufficiente né tantomeno neces-saria perché in Italia, non si è formato un “mercato del prodotto” il cui oggetto sia costituito dal “titolodi laurea di qualità” in quanto né la PA né le imprese rivolgono alle università una domanda specifica intal senso selezionando i laureati di qualità. Prosegue Infine evidenziando come l’abolizione del valorelegale della laurea darebbe un maggior peso agli ordini professionali che potrebbero influenzare pesante-mente le scelte culturali degli atenei.In Italia esiste - ricorda La Conferenza dei Rettori delle Università italiane (CRUI) - l’obbligatorietà diautorizzazione dello Stato per l’istituzione di università (pubbliche, private o telematiche che siano) com-petenti a “rilasciare titoli aventi valore legale” quindi esprime dubbi sulla abrogazione del titolo di studioe propone l’utilizzo delle procedure di valutazione con evidenza pubblica così come procedure di accredi-tamento rigorose.

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La rinuncia al valore legale – afferma la CRUI – significherebbe affidare soltanto agli ordini professiona-li la responsabilità della selezione dei soggetti atti all’esercizio delle professioni regolate dalla legge.In Europa, la Convenzione di Lisbona (nell’aprile 1997) proponeva, fra l’altro, di aumentare la quantità,la qualità e la trasparenza dell’informazione disponibile sui sistemi nazionali d’istruzione superiore, sulleuniversità e i loro programmi, sull’offerta formativa, sui titoli di studio anche attraverso lo sviluppo deicentri nazionali d’informazione sulla mobilità e il riconoscimento dei titoli e la diffusione di nuovi stru-menti di certificazione come il “supplemento di diploma” (Il Supplemento di Diploma, previsto dalla con-venzione di Lisbona, è un certificato che riporta, secondo modelli conformi a quelli adottati dai paesieuropei, le principali indicazioni relative al curriculum specifico seguito dallo studente per conseguire iltitolo. La ratifica della Convenzione di Lisbona da parte italiana è avvenuta con la legge 11 luglio 2002,n. 148 ed alla cui introduzione si doveva provvedere con la legge 240/210) per consentire ai diplomati dellascuola superiore di accedere alle università di tutti i Paesi firmatari; per facilitare gli scambi accademicistudenteschi garantendo il riconoscimento dei periodi e dei cicli di studio effettuati all’estero; per utilizza-re i titoli accademici nazionali finali per l’accesso al mercato del lavoro e delle professioni regolate in tuttii Paesi o per proseguire gli studi a livello più avanzato.Il 25 maggio 1998, i Ministri dell’Università di Italia, Francia, Germania e Regno Unito si sono impegna-ti Dichiarazione della Sorbona ad armonizzare l’architettura dei sistemi europei di istruzione superiore percreare uno spazio aperto dell’istruzione superiore, sviluppando un quadro per l’insegnamento e l’appren-dimento che rafforzi la mobilità. L’anno successivo, i Ministri dell’Università di 27 Paesi europei, riuniti aBologna, (Dichiarazione di Bologna) si sono impegnati a coordinare le proprie politiche per conseguire intempi brevi, e comunque entro il primo decennio del 2000, l’adozione di un sistema di titoli di sempliceleggibilità e comparabilità, anche tramite l’implementazione del Diploma Supplement, al fine di favorirel’”occupabilità” dei cittadini europei e la competitività internazionale del sistema europeo dell’istruzionesuperiore; la promozione della cooperazione europea nella valutazione della qualità al fine di definire cri-teri e metodologie comparabili; la promozione della necessaria dimensione europea dell’istruzione supe-riore, con particolare riguardo allo sviluppo dei curricula, alla cooperazione fra istituzioni, agli schemi dimobilità e ai programmi integrati di studio, formazione e ricerca.L’idea che l’istruzione universitaria debba essere considerata un bene pubblico, che è e deve restare unaresponsabilità pubblica è presente nel Comunicato di Praga (2001) e successivamente nel Comunicato diBerlino del 2003. Infine nel 2007, il Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa ha individuato le prin-cipali categorie (con la raccomandazione CM/Rec(2007)6) della responsabilità pubblica per l’insegnamen-to superiore e la ricerca. Tale responsabilità è esclusiva per la definizione del quadro generale dell’insegna-mento superiore e della ricerca. Inoltre deve assicurare la parità d’accesso di tutti i cittadini all’istruzionesuperiore e garantire che la ricerca di base resti un bene pubblico. Infine è ritenuta sostanziale per il finan-ziamento dell’istruzione superiore e della ricerca, per la fornitura dell’istruzione superiore e della ricer-ca, per la promozione del finanziamento e della fornitura da parte di altre fonti nell’ambito del quadrodefinito dalle autorità pubbliche. Appare evidente che questa cosiddetta liberalizzazione, su cui insistonotutti i nostri governi liberisti di destra e di sinistra, contrasti profondamente con le politiche di istruzionedefinite in Europa. Il quadro della cooperazione europea in materia si è ormai allargato a 47 Paesi ed iMinistri dell’Università dei Paesi partecipanti (che sono oggi 47 Albania, Andorra, Armenia, Austria,Azerbaijan, Belgio, Bosnia e Herzegovina, Bulgaria, Città del Vaticano, Croazia, Cipro, Danimarca,Estonia, Finlandia, Francia, Georgia, Germania, Grecia, Islanda, Irlanda, Italia, Lettonia, Liechtenstein,Lituania, Lussemburgo, Malta, Moldavia, Norvegia, Olanda, Polonia, Portogallo, Regno Unito,Repubblica Ceca, Repubblica ex-Yugoslava di Macedonia, Repubblica Slovacca, Romania, Russia, Serbiae Montenegro, Slovenia, Spagna, Svezia, Svizzera, Turchia, Ucraina, Ungheria. Ad essi si è da ultimoaggiunto il Kazakhstan) si incontrano ogni due anni per valutare i risultati raggiunti, formulare ulterioriindicazioni e stabilire le priorità per il biennio successivo. Dopo Bologna (1999), i Ministri si sono riunitia Praga nel 2001, a Berlino nel 2003, a Bergen nel 2005, a Londra nel 2007, a Lovanio nel 2009 e a Vienna-Budapest nel 2010. Il prossimo incontro si terrà a Bucarest nel 2012.Il Governo Monti aveva deciso di presentare alle Camere un provvedimento, poi accantonato, contenente

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molte novità. La prima era di togliere nei concorsi pubblici il vincolo del tipo di laurea, a meno che nonoccorra una competenza specifica. La seconda prevedeva la sparizione del voto di laurea come elementodi punteggio nei concorsi pubblici, infine prevedeva un diverso accreditamento delle singole università, perdare loro una catalogazione di merito. La Confindustria non poteva non essere d’accordo con una mossa che – a suo avviso - «va sicuramentenella direzione di una vera liberalizzazione» e ha sottolineato anche come proteggere il «consumatore diformazione» (leggi studente) circa la qualità del prodotto che si sceglie per aiutare quel «consumatore» acapire quale sia l’ateneo giusto e quale assolutamente da evitare.Quindi, sullo sfondo c’è il progetto di introdurre la differenziazione tra università di «serie A» e «serie B»,tra atenei ricchi e che possono quindi dedicarsi anche alla ricerca d’eccellenza e atenei poveri, destinati aprodurre più laureati possibili con fondi decrescenti.In tal modo si compromette definitivamente quella mobilità sociale, continuamente richiamata nei docu-menti europei, ma che non interessa al Governo Monti, il quale intende concentrare le eccellenze in pocherealtà, lasciando che tutti gli altri atenei, qualora riescano a sopravvivere economicamente, svolgano atti-vità derubricate a rango inferiore, pregiudicando quindi l’omogeneità del nostro sistema universitario, fon-data sull’inscindibilità tra ricerca e didattica. Tutto ciò trova favorevoli, tra i tanti, Francesco Giavazzi, Alberto Alesina, Margherita Hack e AndreaIchino, che hanno sottoscritto un appello a favore dell’abolizione del valore legale del titolo di studio incui affermano che La premessa per una riforma del sistema universitario basata sulla concorrenza e ilriconoscimento del merito individuale è l’abolizione del valore legale del titolo di studio, accompagnatada un lato dalla libera imposizione delle tasse universitarie, dall’altro dalla creazione di un sistemamoderno di borse di studio volto a contribuire al finanziamento degli studi universitari dei più capaci emeritevoli. Più che Liberare l’Università questo obiettivo sembra essere fondamentalmente legato a sug-gestioni ideologiche ed anche i tecnocrati del Governo Monti, con l’abolizione del valore legale del titolodi studio, pongono sostanzialmente la contrapposizione ideologica fra il modello “liberista” degli StatiUniti a quello “corporativo” italiano. Se non fosse così si sarebbero accorti che da decenni la situazione ècambiata, come spiega Finocchietti del CIMEA (Il CIMEA - Centro di Informazione sulla Mobilità ele Equivalenze Accademiche è nato nel 1984 su iniziativa della Fondazione Rui e opera sulla base di unaconvenzione con il MIUR (Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca). È il centro italianodella rete Naric (National Academic Recognition Information Centres)) : in Italia c’è già stata una libera-lizzazione che ha depotenziato il valore legale a favore dell’autonomia degli atenei che definiscono la pro-pria offerta formativa. Un provvedimento in tal senso - prosegue Finocchietti invece di ottenere una con-correnza verso l’alto tra atenei produrrà una competizione al ribasso. Si verranno così a creare fabbrichedi diplomi contro le quali già oggi ci si difende a fatica. Eliminando, o riducendo, la protezione legale, siaprirebbe il campo ad un grandissimo numero di atenei fasulli, con titoli privi di contenuto. Concludendo possiamo dire che questo progetto mescola suggestioni liberiste e prevedibili ricadute lobbi-stiche ma non permette di avviare un serio e sereno dibattito sulle politiche della ricerca e dell’organizza-zione della conoscenza in Italia, dove, nel frattempo, gli Atenei versano in situazioni economiche disastro-se, determinate dai tagli al fondo di finanziamento di questi ultimi anni. Non siamo certamente contrariall’adozione di un diverso modello organizzativo del sistema scolastico e universitario, basato sui principidella selezione meritocratica di professori, studenti e personale amministrativo e sulla competizione traistituti scolastici ed atenei. Ma, poiché i principi del merito e della concorrenza comportano la rinunciaall’eguaglianza sia formale che sostanziale nei risultati della attività didattica, vorremmo che venga anchegarantita la libertà formale e sostanziale di accesso agli studi e un efficace sistema di diritto – formale esostanziale - allo studio che pongano su un piano paritario tutti gli studenti, o se preferite i “consumatori”.In sintesi, fermo restando il valore legale dei titoli di studio, la riforma dei sistemi di accreditamento e dicertificazione deve essere accompagnata da una politica che assicuri a tutti i meritevoli il reale accesso ailivelli più alti di istruzione, indipendentemente dalle condizioni sociali, geografiche e di reddito.

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E’ così difficile tener in considerazione gli anziani,le loro ragioni, il particolare modo d’essere e…di Gianni Salvarani

Sulla crisi economica, finanziaria, produttiva ed occupazionale si è scritto e si continua giustamente a scri-vere molto, tenuto conto non solo del suo permanere, ma soprattutto di un possibile aggravamento, un peri-colo più che latente.Crisi che sta incidendo più di quanto ancora non se ne sia potuto quantificare la portata e quindi misurar-ne tutti gli effetti in ogni suo aspetto, in particolare su quello psicologico e sui danni che questi possonoavere sull’equilibrio e sulla condizione sulle persone. Ciò in quanto è più semplice calcolare economica-mente quanto un provvedimento possa incidere sul bilancio familiare, ma quanto quello stesso provvedi-mento possa essere traumatico psicologicamente è molto più difficile, anche se il danno si potrebbe facil-mente verificare ascoltando di più le categorie dei diretti interessati. E’ questo un aspetto che non va sot-tovalutato ed ancor meno taciuto. Occorre, quindi, una maggiore sensibilità per cercare di capirne la dirom-penza dell’effettiva portata delle sue negative conseguenze verso tutti. Basti pensare al trauma subito dachi perde il posto di lavoro e se capofamiglia monoreddito cosa può significare per il futuro suo e dei fami-liari, oppure quello di un giovane che ha affidato al posto di lavoro la costruzione del proprio futuro: casa,famiglia, figli, scuola etc. Queste situazioni derivano da problemi più grandi ed importanti meritevoli, inaltro contesto, d’approfondimento, ma sotto l’aspetto psicologico non sono meno importanti i problemi chefanno carico alla parte più debole ed esposta della popolazione: gli anziani, i pensionati ad iniziare dalprovvedimento che obbliga tutti i pensionati ad aprire un conto corrente, bancario o postale, per riscuote-re la pensione e dotarsi di carta di credito. Bancomat o carte prepagate per le loro spese quotidiane. Ciòsignifica imporre una condizione “contro natura” che urta contro la loro sensibilità, toglie loro il piacere direcarsi alla posta ed incassare in contanti la pensione, la gioia di poter gestire con figli e nipoti il proprio“gruzzoletto”, in altre parole la soddisfazione di sentirsi ancora protagonisti diretti della loro condizione enon schiavi del rapporto burocratico con banca e carte di varia natura. Era proprio indispensabile arrivare fino a questo livello per affermare il principio della tracciabilità deldenaro? Vale la pena procurare a milioni d’anziani questo “dispiacere” provocare questa alterazione nellaloro condizione di vita? Non dimenticando che in molte zone dell’estrema periferia del Paese, quelle inter-

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ne e o di montagna di quasi tutte le regioni, sarà difficile anche l’uso delle carte di credito e l’unico mododi poter spendere sarà quello di prelevare dalla posta o dalla banca il contante con notevole perdita di tempoe soprattutto aggravio di spese se gli istituti di credito non concederanno almeno un certo numero d’ope-razioni gratis ai detentori di conti con redditi solo di pensione. Cosa si scatena nella mente del pensionatocostretto ad un simile tour de force? Quali conseguenze per il costo d’eventuali errori non tempestivamen-te e adeguatamente segnalati o prevenuti?Interventi che se giustificano il loro corso con la finalizzazione di colpire gli evasori e quanti sistematica-mente eludono il fisco è difficile pensare che questa massa si nasconda fra i pensionati e gli anziani! Bensapendo che i pensionati, con loro i lavoratori dipendenti, sono una delle categorie che pagano tutte le tassecon il prelievo alla fonte e quindi quando la pensione arriva per la riscossione è già stata depurata delletasse, ed essendo tracciabile fin dalla sua partenza! Un altro provvedimento che finirà per far saltare l’equi-librio mentale di molti anziani, prima ancora che quello economico, è riferito alla tassazione sulla casa. Lacasa per la quasi totalità degli anziani è il bene rifugio per eccellenza, già provare ad espiantare un anzia-no dal luogo dove ha le sue radici per sistemarlo altrove è un grave problema con ricadute psicologichemolto pesanti, figurarsi gli effetti che si producono creando timori per eventuali difficoltà economiche nelmantenere la propria abitazione di fronte ad un aumento della tassazione. Possibile che non si riesca a sepa-rare, fare differenti valutazioni fra patrimoni e patrimoni, fra possessori di case, possibile che ogni provve-dimento debba essere per forza preso in modo indiscriminato, magari per timore di evidenziare che soloquelli che hanno di più devono pagare di più. Nonostante l’insufficiente e in qualche caso non funziona-mento della macchina fiscale italiana, non è impossibile e neppure tanto difficile individuare chi sono ipensionati e gli anziani che vivono nell’unica abitazione di proprietà e quindi escluderli dagli aumenti ditassazione.Sulle magre pensioni di tanti anziani graveranno i pesi dei non pochi aumenti diretti e indiretti che si pro-durranno con i recenti provvedimenti, dalle tariffe ai prezzi, giustizia sociale vuole che almeno quelli diret-ti sia fatto il possibile per evitarli, sapendo che prima d’ogni altro effetto le conseguenze negative sarannoancora una volata quelle psicologiche.

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La giornata di lor signoridi Prometeo Tusco

La notizia probabilmente non è proprio di quelle che fanno gioire. Ma per completezza diinformazione e per senso civico la riprendiamo anche noi. Nei primi giorni dell’anno, congli italiani già rabbuiati per la mazzata di tasse da pagare e per l’incremento del costo dellavita, uno spiraglio di luce ha illuminato le loro tristi esistenze. Hanno appreso che nonerano soli a soffrire. Anche i parlamentari condividevano con tutti gli altri italiani una esi-stenza grama e piena di stenti. La dura vita dei parlamentari inizia con la lettura dei quo-tidiani. Fin qui niente di male e nulla di originale. Tanti lo fanno. Chi per passione, chi perpuro diletto. La novità è che viene considerata un’attività lavorativa. Ameno così ci infor-mano gli onorevoli SPOSETTI e MATTEOLI. Due personaggi di peso nei rispettivi schiera-menti, Partito Democratico e Popolo della Libertà. A questo punto una curiosità sorgeimmediata e spontanea, anche è dal contesto giornalistico la cosa non è chiara. Si tratta dilavoro usurante? Sono previste facilitazioni previdenziali?L’ottimo SPOSETTI, inoltre, ci informa che il caffè non lo prende al bar della Camera, è asuo dire fa proprio schifo. Che vitaccia... la Camera non mette nemmeno a disposizionedei suoi esponenti i mezzi minimi e decenti di sussistenza. Possiamo fare qualcosa, perallietare le loro sofferenze? E anche qui sorge la domanda: ma caro onorevole, è non se lo prende a casa sua senzalamentarsi? Dopo il caffè e la lettura dei quotidiani, la dura giornata degli esimi deputatiprosegue. Snervante e senza soste. Vediamo come. Devono presidiare il territorio, girarequello che rimane delle gloriose sezioni, incontrare i propri affezionati elettori e quasiquasi, visto che c’è anche il tempo, bisogna fare lo sforzo di incontrare anche la stampalocale. E così dopo una dura giornata, tutta dedicata al lavoro politico - chissà che diràWeber dalla sua tomba, visto che aveva dedicato un suo studio alla materia? - viene l’oradi ritirarsi a casa per godere del meritato riposo. Pronti ad affrontare l’indomani. Mentrel’austero e burbero MATTEOLI non ha concesso il bis, nel senso che non è apparso in tra-smissioni televisive, il suo sodale, la sua spalla ideale non si è risparmiato. Ha continuatoad imperversare via etere a difendere l’indifendibile. Con la sua faccia da mongolo, redu-ce da un banchetto tribale colmo di libagioni e di danze, ha continuato a sfornare numeria cui non crede nessuno. L’apoteosi l’ha raggiunta quando ha dichiarato che i parlamenta-ri italiani sono vessati, è pagano l’IRPEF più alta degli omologhi transalpini. Sublime, stra-ordinario, incredibile: non ci sono aggettivi per definire un simile rappresentante del popo-lo. Pare che, sotto sotto, dica: riduceteci l’imposizione fiscale a noi parlamentari. Per unaquestione di equità. Poi si vedrà la riforma complessiva del fisco, intanto cominciamo daqualche parte. Ovviamente da noi, cioè da loro, dalla casta, da lor signori. C’è veramenteda piangere. Atteggiamenti simili, tenuti dal duo comico MATTEOLI-SPOSETTI, degni eredidi Franco e Ciccio, secondo voi quali atteggiamenti alimentano, la passione per la politicao il gelido vento dell’antipolitica? Pensateci bene prima di rispondere.

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Una proposta che viene da lontano, in materia di pensionidi Alfredo Carpentieri

Mi permetto di usare la tribuna di Lavoro Italiano per sottoporre all’attenzione della Uil una proposta dimodifica in materia di pensioni. In particolare mi riferisco al sistema di contributi da riscatto per lavorosvolto all’estero in paesi non convenzionati.Attualmente nei requisiti amministrativi si prevede (vedi la pagina web dell’Inps www.inps.it ) che “Larichiesta di riscatto per lavoro all’estero può essere avanzata anche se il richiedente non risulta mai assi-curato presso l’Inps”. La normativa è la seguente:

Contributi da riscatto per LAVORO ALL’ESTERO IN PAESI NON CONVENZIONATI

(www.inps.it)

Una normativa che ritengo – sebbene negli anni precedenti possa aver avuto la sua coerenza – merita oggi,alla luce dei tanti cambiamenti che anche il sistema previdenziale italiano sta attraversando, una revisionefondamentale, volta a garantire diritti omogenei a tutti i cittadini italiani.Il riscatto lavoro estero infatti serve a dare la possibilità, anche agli italiani emigrati nei paesi dove non c’èuna convenzione previdenziale, di raggiungere il diritto alla pensione. Nei paesi convenzionati infatti siaccumulano gli anni lavorati in Italia con quelli lavorati nei paesi di emigrazione e questo diritto è ambi-valente, vale cioè sia per gli italiani sia per i cittadini del paese in questione.Per attivare il diritto alla pensione è ovviamente necessario avere un periodo – anche minimo, dipende poidalla convenzione – di contribuzione in ciascuno dei due paesi. La mia proposta parte proprio da questopresupposto e semplicemente chiede di adeguare la normativa sul riscatto lavoro estero alla casisticaprevista dalle convenzioni, modificando dunque il requisito amministrativo prevedendo almeno unasettimana di contribuzione in Italia (o il servizio militare) per poter accedere al diritto al riscatto.L’importanza di questa modifica è sostanziale: la mia esperienza di operatore di patronato all’estero mi hafatto vedere come in realtà i cittadini italiani, nati in Italia ed emigrati, hanno spesso piccoli periodi di con-tribuzione che in definitiva non possono utilizzare se non riscattando onerosamente il lavoro estero. Spessoquesti cittadini non possono permettersi il riscatto e non hanno la pensione, viceversa italodiscendenti, di

Legge 30 aprile 1969, n. 153

Legge 16 aprile 1974, n. 114

Circ. 183 del 30.7.1990

Legge 30 aprile 1969, n. 153 (in Suppl. ordinario alla Gazz. Uff., 30 aprile, n.111). - Revisione degli ordinamenti pensionisticie norme in materia di sicurezza sociale.

Legge 16 aprile 1974, n. 114(in Gazz. Uff., 2 maggio, n. 113). - Conversione in legge, con modificazioni, deldecreto-legge 2 marzo 1974, n. 30, concernentenorme per il miglioramento di alcuni trattamentiprevidenziali ed assistenziali.

Circolare n. 183 del 30 luglio 1990 Oggetto: Sentenza della Corte Costituzione n.568/1989.Parziale illegittimità costituzionale dell’art. 13, 4e 5 comma, della legge 12.8.1962, n. 1338.

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passaporto italiano, che non hanno però mai lavorato in Italia, ma spesso titolari di pensioni locale (di paesidove magari la famiglia vive da più di una generazione e dove quindi radicano completamente avendo nellagrande maggioranza dei casi la doppia cittadinanza e talvolta ignorando anche la lingua italiana) possonovantaggiosamente pagare un riscatto poichè essendo in alcuni casi ultrasettantenni riscuotono subito gliarretrati, in pratica il riscatto è a costo zero!La Uil ovviamente è vicina alle esigenze anche degli italodiscendenti – attraverso il patronato Ital e la UIM– ma vale la pena sottolineare che questa situazione di fatto è discriminatoria, consente solo ad alcuni diottenere una pensione, spesso proprio a chi vive già agiatamente, mentre che ha più bisogno non può paga-re il riscatto e forse sarebbe più interessato ad altre forme di tutela (iniziando dalla formazione linguistica)che invece non riescono a raggiungere sempre in maniera soddisfacente gli italiani all’estero.Inoltre appare evidente che la soluzione migliore e più equa sarebbe quella di stipulare nuove convenzio-ni che consentono anche agli immigrati di raggiungere più facilmente il diritto alla pensione. Ma in attesadelle convenzioni (che chi sa quando e se mai verranno fatte) intanto varrebbe la pena aggiustare il tiro suiriscatti lavoro estero. Questa normativa, in definitiva, appare non solo discriminatoria ma anche superatadai tempi, soprattutto in questi tempi di crisi, e anche le ripetute affermazioni del presidente dellaRepubblica Napolitano in materia di nuova cittadinanza indicano che rispetto al 1990 qualcosa è cambia-to, in modo profondo e sostanziale.Ritengo che la Uil possa allora valutare se presentare al ministro Fornero questa idea, che è coraggiosa –perchè in realtà i patronati all’estero potrebbero fare qualche punto in meno, ma in questo modo dimostra-no ancora di avere l’equità e la giustizia sociale come principali ispiratori delle proprie politiche – e van-taggiosa per le casse dell’Inps.

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Pubblicato l’Indice globale della fame 2011Morire a causa della carestia in questo mondo globalizzatodi P.N.

Finalmente una buona notizia sul frontedella fame: il mondo è un pochino menoaffamato. Lo affermano i dati dell’Indice globaledella fame pubblicati nell’ottobre scor-so. A livello mondiale l’indice è scesodal 19,7 del 1990 al 14,6 del 2011 maciò non significa che la fame non conti-nui a mordere e a far morire: in 26 Paesila situazione permane allarmante oestremamente allarmante. Nell’Africasub sahariana l’indice è diminuito negliultimi vent’anni del 18%, in Asia meri-dionale del 25%, in nord Africa e nelmedio oriente del 39%. In America lati-na, nel sud est asiatico e nei Caraibi ladiminuzione della fame è stata del 44%.Gli indici regionali più alti restanonell’Asia meridionale (22,6) enell’Africa sub sahariana (20,5). Questo Global hunher index è uno stru-mento statistico messo a punto dal Foodpolicy research institute di Washingtonin collaborazione con varie ong (tra cuil’italiana Cesvi). Per il 2011 l’Indice hapreso in esame 122 Paesi in via di svi-luppo e in transizione e 81 di loro sonostati inseriti nella classifica indagandoanche sulle cause: nel 2008 la ricercaaveva studiato gli investimenti in agri-coltura, l’anno dopo aveva preso in con-siderazione il legame tra la questione digenere e la fame mostrando le scarseopportunità di educazione e di accessoalla salute delle donne e la loro sofferen-za di fame. Nel 2010 l’analisi ha appro-fondito il tema della malnutrizioneinfantile e le condizioni dei primi millegiorni di vita di un neonato. Nel 2011 lamaggior attenzione è stata riservata allavolatilità dei prezzi alimentari e allaspeculazione, ai cambiamento climatici

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e all’espansione dei biocarburanti. In complesso – dice l’Indice – in confronto al 1990 solo pochi Paesihanno ottenuto risultati significativi nella riduzione della fame abbassando il proprio indice del 50%; sitratta dell’Albania della Turchia, del Kuwait e dell’Iran; del Messico, del Perù e del Nicaragua; dellaMalaysia e delle isole Figi e in Africa del Ghana il quale è riuscito a ridurre il numero degli affamati di piùdel 50%. Buoni progressi sono stati compiuti anche dall’Angola, dall’Etiopia, dal Mozambico e dal Niger.Situazione del tutto opposta quella della Repubblica del Congo dove a causa di un lungo conflitto internoe di una situazione politica ancora instabile l’indice della fame è addirittura aumentato del 63%. A propo-sito dell’Africa – il continente da sempre a maggior densità di affamati – risulta che in Algeria, Egitto,Libia e Tunisia il problema è ormai risolto anche se persistono altri problemi di non facile e immediatasoluzione. I Paesi con un indice giudicato “altamente allarmante” sono, oltre alla Rd del Congo, il Burundi,l’Eritrea e il Ciad. Caso a parte quello della Somalia, così disastrata dai conflitti interni che gli istituti diricerca non è riuscito neppure a trovare i dati necessari per capire la situazione. I commentatori fanno anchenotare che i dati dell’Indice pubblicati nell’ottobre 2011 si riferiscono ai mesi precedenti e per il Cornod’Africa non sono né definitivi, né ufficiali per cui in realtà non si sa cosa stia succedendo in questo iniziodel 2012, la ricerca ha dovuto accontentarsi dei dati più aggiornati che ha avuto a disposizione. Tra i Paesiche hanno offerto le prestazioni peggiori ci sono il Burundi il cui indice è salito da 31,4 a 37,9, le Comore(da 22 a 26), lo Swaziland (da 9 a 10,5) e Costa d’Avorio (da 16 a 18), Burundi e Ciad sono Paesi da sem-pre in situazione d’allarme. E’ inaccettabile che si continui a morire di fame - commenta Luca Alinovi,responsabile Fao per la Somalia - la carestia il realtà dovrebbe essere un problema medievale. In effetti sichiede alla Somalia di fare buona politica ma con la fame in corpo e le lotta quotidiana per sfarsi non èpossibile fare nessuna politica. Il famoso programma di Maputo che doveva destinare allo sviluppo agri-colo il 10% dei bilanci nazionali annuali in Somalia non è stato neppure tentato, non si è arrivati neppureall’uno per cento. E’ una zona dove l’acqua non manca e da secoli è stato sviluppato un notevole sistemairriguo eppure continua a soffrire di carestie impensabili. Si calcola che siano 13 milioni le persone delCorno d’Africa che necessitano di aiuti per far fronte ad una crisi che perdura ormai da 60 anni: 4 milioniin Somalia, 4 milioni e mezzo in Etiopia, 3,75 milioni in Kenya e 145 mila a Gibuti. La Fao è preoccupa-ta anche per il Sudan: 235 mila persone sono a rischio carestia nelle zone di confine tra Sudan e Sud Sudan.Ma la zona più disastrata resta la Somalia; dati del luglio scorso indicavano in tre regioni del Paese con unaumento del 30% di malnutrizione acuta per i bambini al di sotto dei cinque anni. Chissà quanti di lorosono già morti. Oggi la carestia si sarebbe estesa ad altre tre regioni: 4 milioni di somali (più della metàdella popolazione) versano in gravi difficoltà alimentari. Di questi - denuncia Nigrizia - almeno 750 milasono a rischio di morte nei primi mesi del 2012. Già dal novembre 2010 la Fao aveva lanciato l’allarmeSomalia ripetendo poi con insistenza ma fino a quando non si è arrivati alla fame nera la reazione interna-zionale è stata molto debole. Infatti l’agenzia dell’Onu è in grado di intervenire solo quando i Paesi dona-tori forniscono i mezzi per farlo. Purtroppo bisogna dimostrare che la gente muore letteralmente per famee che i bambini più piccoli non superano i primi anni di vita per raccogliere gli aiuti. Non ci preoccupia-mo delle ingenti cifre messe in campo per la crisi finanziaria delle banche internazionali - dice sempreAlinovi - ma alla notizia che milioni di musulmani muoiono di fame diventiamo taccagni e non riusciamoa trovare un miliardo e mezzo di dollari per soccorrerli. E’ drammatico che in Paesi cattolici come l’Italia- conclude - si sia perso il senso dell’orrore della morte per fame.

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ARIDE ROSSI, un cuore Italiano con la passione romagnoladi Roberto Balzani

Aride Rossi ha incrociato la vitadi moltissime generazioni. Erauna delle sue caratteristiche, loattraeva riuscire a parlare edaprire un contatto con i giovani.Aride ha vissuto alcuni pezzidella vita del paese assolutamen-te fondamentali. Il primo, subitonel dopoguerra – lui era nato nel-l’aprile del 1922 a Forlimpopoli– durante la grande stagionedella trasformazione del paese.Sono gli anni Cinquanta, in unazona come quella padana nellaquale si consuma la fine del brac-ciantato. Aride Rossi vive unadelle grandi fasi storiche dellavita contadina da un punto di

vista privilegiato, quello della UIL Terra. Il bracciantato storico nasce a metà degli anni Cinquantadell’800, si esaurisce grosso modo un secolo dopo, in alcune aree ben precise del Nord e del Sud del paese.Dall’altra parte vi era la mezzadria, l’altra grande forma storica di organizzazione dei lavoratori della terra.Inizia da un’esperienza che è una delle più arcaiche del sindacalismo perché per una parte cospicua deiprimi anni del ‘900, quella dell’Altobelli, era proprio legato ai lavoratori della terra. Su quello si eranocostituite le prime forme di organizzazione di massa in tantissime parti del paese che erano state in nucel’origine del vero sindacato, anche quando il sindacato operaio nel vero senso della parola era limitato apochissime aree del paese, quelle in cui esisteva una vera industrializzazione. Sappiamo che questa eramolto limitata fino agli anni del secondo dopoguerra.Aride Rossi mi aveva raccontato di una vicenda che mi tocca anche personalmente, che faceva parte di uncostume tipicamente ottocentesco, e cioè di una contesa fra un bracciante e un mezzadro che era stata por-tata ad un giurì d’onore all’interno del circolo Mazzini del Partito Repubblicano di Forlì. Una volta succedeva anche questo. I problemi di carattere personale venivano in qualche modo sottopostiad una specie di giudizio supremo dei saggi del partito, soprattutto in queste aree storiche, riprendendo unaforma già esistente e che è documentata dal 1870. A capo di questo giurì c’era mio nonno che era statoeletto nel 1946 in Consiglio Comunale. Apparteneva ad una generazione precedente, aveva fatto la grandeguerra, quindi apparteneva alla generazione dei repubblicani precedente a lui. Se lo ricordava come unomone imponente, quale era, e mi disse: “mi avvicinai timoroso, difendevo le ragioni del bracciante, nonper una ragione di classe, ma proprio per una ragione di principio. Secondo me aveva ragione il braccian-te e non il mezzadro. Alla fine questo giurì mi diede ragione, nonostante pensassi che questi signori fosse-ro orientati maggiormente verso la parte più benestante, che avessero qualche pregiudizio”. Difese cosìbene questo bracciante che vinse il giurì d’onore. Lui lo ricordava come una delle prime forme di questoincontro con un mondo fondamentalmente arcaico, che è quello in cui comincia a fare la sua prima espe-rienza che poi, naturalmente, lo porta in tutt’altra sede. Vi sarà, poi, l’esperienza della UIL negli anni ’60 e soprattutto quella europea, un’altra fase della sua vitache sicuramente lo proietta in un ambiente completamente diverso.

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Poi vi è l’altra grande parte della vita di Aride Rossi, quella del ritorno alla politica, una volta abbandona-ta l’esperienza sindacale da protagonista. E’ un ritorno alla politica dopo il 1978 che conosce bene la miagenerazione. Coincide con la fase post Ugo La Malfa, con la stagione dei governi Spadolini dal 1981-82,il quale vuole Aride Rossi vicino a sé come consulente a Palazzo Chigi. Aride poi diventa senatore nellanuova legislatura fra l’83 e l’87. Nell’86 viene chiamato in extremis a fare un’operazione importante, quel-la di supplire Lando Conti che era stato ucciso dalle brigate rosse e diventa presidente dell’AGC per treanni. Era difficilissimo coprire un vuoto come quello lasciato da Conti che era diventato, di fatto, un mar-tire del terrorismo in quel momento. E nel mondo di area laica si individua Aride Rossi come la figura dicarisma, l’autorità morale per riuscire a fare questo trapasso.Tutta la parte successiva, della gestazione di quella che potremmo chiamare una fase di seconda repubbli-ca, viene da lui interpretata come il bisogno di recuperare questa sorta di unità della democrazia. Questo èil punto intorno al quale gira tutta la sua riflessione, prima l’alleanza democratica, poi il tentativo succes-sivo di riuscire a creare dei luoghi di discussione per i democratici, per i riformisti, al di là della spaccatu-ra nei partiti che era stata all’origine della crisi della prima repubblica che lui aveva vissuto da dentro. Nondimentichiamolo, perché gli anni ‘80 fino ai primi anni ’90, lo vedono protagonista direttamente a Roma.Tuttavia in quel periodo lui si accorge del venire meno della forma di solidarietà dei partiti della primarepubblica che aveva retto tutto l’assetto istituzionale del paese, fino alla fase del terrorismo. A quel punto,la sua riflessione si concentra su come riarticolare il quadro politico italiano in un momento di grande divi-sione dei partiti che è originata dagli eventi di fine ‘800 fino a quelli della rivoluzione di ottobre. Di comericomporre un’Italia diversa, dove ci sono da una parte i conservatori e, dall’altra, i democratici. Grossomodo ripristinando una forma di una democrazia classica. Naturalmente, anche su questo terreno ArideRossi ha incontrato tantissimi giovani. Fin dai tempi della Federazione Giovanile Repubblicana, ArideRossi presenziava sempre ai congressi dell’FGR, ma la sua partecipazione era fissa perché era uno dei luo-ghi in cui il confronto con i ragazzi, sentire cosa dicevano, sentire anche le loro ingenuità e le loro corbel-lerie (e ne dicevamo tantissime!), era uno dei suoi divertimenti e anche uno dei modi per insegnarci. La sua era una sorta di innata pedagogia politica, aveva questo istinto educativo, umano, empatico, che erafatto apposta per superare le frizioni e per cercare nelle persone quello che poteva farle andare d’accordo.Era questo lo spirito con cui noi l’abbiamo vissuto, quelli della mia generazione che hanno avuto la fortu-na di ascoltarlo e averlo vicino per tanti e tanti anni.Questo ci parla di un personaggio straordinario che ha vissuto in contesti diversissimi e che non è stato unafigura monotematica (senza nulla togliere alle figure monotematiche). La sua è stata un’esperienza plurale che gli ha consentito di venire a contatto con mondi e con pezzi d’Italiacosì diversi da renderlo davvero uno dei testimoni della seconda metà del ‘900. Sia a livello territoriale,perché Aride Rossi ha conosciuto un’Italia sbrancata del secondo dopoguerra e, come sindacalista, è statouno dei sarti che l’ha messa insieme; sia a livello nazionale, nel tentativo alla fine degli anni ’80 di riusci-re a salvaguardare il grande afflato costituzionale che veniva meno nella crisi dei partiti. Non dobbiamodimenticare che nel nostro paese, al di là di Tangentopoli, la crisi dei partiti vi era già nella realtà dei fattidegli anni ‘80 del 900. Voglio ricordare tutta la retorica spadoliniana del partito della democrazia negli anni ‘80, cioè, il tentativodi andare al di là dello schema dei partiti tradizionali, in quel momento impossibile, e poi la fase del mareaperto e la sua scelta di testimoniare, comunque, una visione che poi era sempre stata la sua fin da queglianni famosi del dopoguerra passati a contatto con questo mondo di contadini, di mezzadri e di braccianti.Sembra un ricordo lontano, quasi sprofondato nel Medioevo del paese, ed invece è semplicemente la real-tà di due generazioni fa. Il mio è un ricordo e un ringraziamento anche da romagnolo, perché Aride non è stato solo un grande ita-liano, è stato un uomo che ha bene rappresentato lo spirito, la passione e la forza della mia terra, e l’hafatto con generosità e anche con grande buonsenso. Per questo dobbiamo essergli molto grati.

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Gli anni della mia segreteria UilVanni, il capitano che ha retto la barra nella giustadirezionedi P. N.

Un libro – a cura di Camillo Benevento – sull’esperienza sindacale di Raffaele Vanni: una lungaintervista, una serie di contributi, una antologia di scritti e di interventi sulla stampa, un piccoloalbum di foto. Un omaggio dovuto al Segretario confederale che nel 1972 rifiutò l’unità organica epropose un patto di consultazione permanete, la Federazione unitaria

Nel 1972 era stato da poco eletto nel Consiglio di fabbrica con scheda bianca – massima espressione allo-ra di unità sindacale – che arrivò la notizia che l’unità sindacale non si faceva più. E proprio per colpa delmio segretario Vanni. Ha esordito così, suscitando l’ilarità generale, Luigi Angeletti alla presentazione deGli anni della mia segreteria generale Uil, il libro scritto a più mani che ripercorre i momenti più impor-tanti dell’impegno di Raffaele Vanni al vertice della Uil. Il libro, curato da Camillo Benevento ed edito daPironti è stato presentato il 19 gennaio scorso nella sala della biblioteca del Cnel.Ha aperto la serie degli interventi Domenico Proietti definendo il volume una riflessione su un periodomolto importante che ha segnato tutta la strada futura della Uil. Dopo l’impegno in segreteria generaleVanni ha continuato il suo servizio permanente effettivo nel sindacato per farne uno strumento di parteci-pazione e concertazione, uno strumento moderno basato sul filone della cultura laica, democratica e rifor-mista, a servizio dei lavoratori e in grado di sintonizzarsi continuamente con la realtà. Camillo Beneventoha ricordato come Vanni nel 1950 fosse il più giovane fra i dirigenti della neonata Uil e come da subito viabbia trasfuso l’idea del confronto e della partecipazione. Non fu mai un uomo per tutte le stagioni e permantenere in equilibrio un sindacato animato da più filoni culturali e politici contrastò l’idea del sindaca-to socialista puntando invece verso una forma laburista, soprattutto attraverso la pubblicazione de LaStrada. Giorgio Bogi ha voluto sottolineare come per una organizzazione sindacale non sia sufficiente l’in-dipendenza dai partiti, quello di cui ha veramente bisogno è quell’indipendenza più profonda che diventaautonomia, capacità cioè di saper cogliere e rispondere alle esigenze del mondo del lavoro senza lasciarsiprendere da altre esigenze. La Uil si propose come sindacato autonomo e cioè come soggetto politico nondi uno o più partiti, bensì dell’intera società e dei suoi bisogni. Era difficile all’inizio essere autonomi, altempo dei partiti di massa così ideologizzati, ma non fu certo più facile negli anni dell’instabilità e poi nel‘68 e nella fase attraversata dalla violenza terroristica. Eppure il sindacato è riuscito a porsi come sogget-to di programmazione e concertazione e a diventare un forte interlocutore per i governi che ciclicamentehanno bisogno di aiuti esterni per superare situazioni bloccate da gruppi o interessi particolari. Proprio per-chè autonomo e laico il sindacato è in grado di superare questi blocchi e deve insistere per tener alte la pro-pria autonomia e laicità e deve insistere perchè il governo Monti non si limiti ad ascoltarlo ma accetti laconcertazione. Lo dovevi proprio fare questo libro, ha detto a Vanni Bruno Boco. Avevi ricevuto molte cat-tiverie, sei stato male interpretato e invece negli anni ‘70 eri stato preveggente, avevi capito la debolezzadel progetto unitario ed hai avuto il coraggio di rendere questo servizio alla Uil rifiutandolo, difendendogelosamente il valore dell’autonomia del sindacato, insistendo su un modello di società basata sul mondodel lavoro e non degli schieramenti, un modello aperto al dialogo con tutti: forze politiche, governi,imprenditori. Difensore della Uil, Vanni ha sempre creduto nell’unità d’azione e non ha mai sottovalutatoi limiti di un’azione sindacale frantumata. E’ sempre stato un dirigente unitario, sia all’interno che verso lealtre organizzazioni ed è sempre stato un uomo che cercava l’innovazione. Progettava infatti sempre nuovesoluzioni negoziali e contrattuali senza perdere di vista le piccole realtà, la partecipazione, la bilateralità.Mimmo Carrieri ha detto che questo libro è stato un po’ una scoperta: negli anni ‘70 la Uil ha evitato difarsi risucchiare da Cisl e da Cgil contestando le loro posizioni egemoniche. Vanni allora ha praticato con

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molto pragmatismo la strada della laicità che è sempre stato un tratto caratteriale della Uil e a posteriori sipuò affermare che la scelta di Vanni fu più pragmatica di quella voluta dalla Cgil e più unitaria di quellavoluta dalla Cisl; sottrarsi all’idea di unità organica fu una scelta allora molto criticata ma Vanni avevacapito che era spinta da forze esterne, dai partiti. E in nome dell’autonomia e della laicità la rifiutò. Chivoleva quel tipo di unità non aveva valutato neppure la forza statica degli organismi organizzativi di cia-scun gruppo. Oggi che i partiti di massa si sono sciolti l’autonomia e l’indipendenza non sono più moltoattuali; resta invece sempre valido il concetto di sindacato soggetto politico, ha una grande forza socialeperchè il soggetto che rappresenta il mondo del lavoro (non è dunque un soggetto parziale) e questo è lospazio che deve valorizzare ed utilizzare perchè ha la capacità di avanzare proposte di sintesi che interes-sano una vastissima platea di cittadini. A questo punto ha preso la parola anche Luigi Angeletti che dopola battuta che abbiamo riferito all’inizio ha affermato che nel 1972 non era d’accordo con Vanni ma poi hacapito che aveva ragione. Allora Vanni scelse la strada più difficile, sembrò andare contro gli interessi stes-si del sindacato, invece seppe capire che l’unità organica era una strada sbagliata e la rifiutò anche se tuttilo spingevano ad intraprenderla. Aveva capito che quel tipo di unità era fallimentare e infatti i metalmec-canici che allora erano i più unitari, oggi sono i più divisi. E molti altri che volevano quel tipo di unitàhanno poi sbattuto la testa contro la realtà, contro la loro incapacità di leggere e capire la realtà. Per ses-sant’anni il compito del sindacato è stato quello di ridurre le ingiustizie del capitalismo e di ridurre le dif-ferenze della società. Oggi ci troviamo di fronte ad un fatto nuovo, oggi quel capitalismo non produce piùricchezza, oggi è subentrato il capitalismo finanziario che mette in difficoltà la sinistra ma crea problemianche alla destra. Oggi la difesa del posto di lavoro non può più essere come quella di ieri: lotti per difen-dere l’occupazione alla Fincantieri ma se la Fincantieri non riesce a vendere i suoi prodotti come può con-tinuare a produrli? Questa è la vera sfida. Ora il sindacato continua a vuol essere un soggetto politico macome soggetto cosa ha da dire? In un Paese che cambia velocemente bisogna essere capaci di dare rispo-ste tempestive ed adeguate. La Cgil, ad esempio, sta discutendo per comprendere il senso di questo cam-biamento e convincere tutti i suoi ma intanto tutto continua a cambiare e quando essa arriva ad una con-clusione tutto è già di nuovo cambiato. Il governo ci dice che se siamo disuniti con noi non ci discute maquando ci presentiamo uniti non accetta la nostra idea. Ma abbiamo un’idea vincente da proporre? Questaè la nostra sfida e le nostre risposte devono essere date con urgenza. Neppure l’Europa ci aiuta è mentrenoi discutiamo di contrattazione la Bce dice al nostro governo di non perdere tempo e dettare le regole.Insomma, il momento è tutt’altro che facile e l’esperienza di Vanni degli anni ‘70 può ancora insegnarcimolto. E’ sempre interessante riandare al passato e capire sempre meglio quello che allora successe – hadetto Massimo Mascini – quando il sindacato era diviso al proprio interno e Vanni uscì dall’impasse conla proposta della Federazione unitaria; se poi anche questa esperienza si esaurì sta a dimostrare che anchel’unità organica non era possibile. D’altra parte il sindacato non era più figlio dei partiti, era cresciuto, eraveramente autonomo, aveva un suo ruolo nella società. Oggi, ha ragione Angeletti, il sindacato ha nuovedifficoltà, soffre di una calo di rappresentatività. Ma deve continuare a mantenere quel ruolo di interessegenerale che ebbe in passato. Da parte sua il governo Monti avrebbe tutto l’interesse a fare una vera con-certazione, tanto più che ciò non lo porterebbe a scelte obbligate.

IL LIBROGli anni della mia segreteria generale si apre con una lunga intervista di Camillo Benevento a RaffaeleVanni: dieci domande e dieci esaurienti risposte. Più sei contributi, una ormai introvabile rassegna stampadell’epoca e una ventina di foto, documento prezioso quanto i testi perchè ci rendono le immagini del pas-sato e il volto di molti amici che per la Uil hanno speso il tempo migliore della loro vita e alcuni dei qualiora non ci sono più. L’attenzione del lettore va subito all’esplosiva intervista che Vanni rilasciò a GiulianoFerrieri per L’Europeo del 2 marzo 1972 (ma in edicola la settimana prima): “Clamorosa intervista con ilsegretario della Uil, L’unità sindacale è impossibile”. In sostanza Vanni affermava che l’unità sindacale nonera possibile è si correva il rischio di una spaccatura verticale del sindacato e non voleva essere proprio luia favorirla. Tutto da buttare il lavoro fatto nelle famose assise di Firenze? No, rispondeva Vanni, io propon-go “un patto permanente di consultazione fra i tre grandi sindacati italiani che salvi da una parte l’unità

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d’azione e dall’altra l’autonomia di ciascuna delle tre confederazioni”. E allora tutto quel lavorio deiConsigli generali? L’accordo di Firenze – era la risposta – comportava una eventuale, e cioè non automa-tica, conferma sulla base dei risultati di un bilancio sulle formule che avevamo scritto come presidio del-l’unità: erano davvero unitarie? Il bilancio per la Uil era risultato negativo è non poteva accettare la con-flittualità permanente come metodo per risolvere i problemi ma proponeva invece quello della programma-zione, del dialogo e della trattativa. Il mio compito è quello di difendere l’unità intersindacale da un lato enaturalmente quella della Uil; una unità che non fosse di tutti i lavoratori non sarebbe accettabile dalla Uil;nè sarebbe accettabile una unità che diventasse una affiliazione politica o una unità che vanificasse il suopatrimonio di diversificazione e maturazione durate venti anni. La proposta è dunque quella di una consul-tazione permanente che abbia come strumenti i centri operativi unitari delle tre confederazioni. E’ tutta daleggere, dopo quarant’anni ha ancora molto da dire. Nell’intervista iniziale del libro invece, sollecitato daBenevento, Vanni ripercorre per sommi capi tutta la sua vicenda politico-sindacale ed è piena di spunti perchi voglia capire la Uil di oggi alla luce del suo passato. Il primo dei contributi – tutti motivati, nessunoformale o di comodo – è firmato da Fabio Canapa: ci rende il pensiero di Vanni come lo colse direttamen-te dal convegno dei sindacalisti repubblicani al teatro Belli di Roma (novembre 1966) e sottolinea: non miè mai accaduto in tanti anni di frequenza di vedere Vanni non controllato: nella buona e nella cattiva sorte.A volte magari preoccupato e a volte soddisfatto, a volte proprio arrabbiato ma sempre attento a compren-dere i motivi e ad intuire le conseguenze. Boco ha raccontato l’esperienza di Vanni alla Uiltucs, l’introdu-zione della politica delle strutture e l’autonomia ricercata rispetto alla Confederazione che resero più fortela categoria. Pino Quarenghi ha scritto di ammirare in lui la tenacia, la pazienza nel perseguire gli obiet-tivi, la capacità di adattarsi rapidamente alle circostanze senza mai perdere di vista il disegno generale.Giorgio Liverani che parla del “disaccordo” con Vanni sul freno al processo di unità, scrive di conserva-re il ricordo del suo coraggio, della sua abilità e soprattutto della sua dedizione alla causa del sindacato.Infine Proietti che ha scritto di ammirare il suo spirito di servizio continuo: lasciata la segreteria non èandato a cercare posti di prestigio nè si è messo a riposo ma ha continuato a lavorare nel sindacato. Dellaantologia di scritti e interviste si è detto; va segnata, tra l’altro, l’intervista di Giampaolo Pansa per La

Stampa (27 maggio 1971) dove Vanni si con-fessa più che altrove; dice che il suo obiettivonon è fare la rivoluzione ma cambiare le cosepiano piano; preferisco fare un passo in menoche farne uno indietro poi. Ho soprattutto unapaura: se il sistema entra in crisi chi ne farà lespese saranno i lavoratori per primi e più avan-ti: bisogna avere il senso del limite della nostrapotenza. Staccate dal testo queste frasi forsedicono poco ma per chi conosce Vanni sono deitratti che ne disegnano tutto il ritratto. A chiu-sura l’intervento in prima persona di Vanni stes-so: poco più di due paginette, come è nel suostile, come a scusarsi: ho avuto molti dubbi ascrivere qualcosa e ripete: il sindacato deiConsigli proposto dalla Flm rimaneva un sinda-cato di corporazione, evitava ogni coniugazionetra l’interesse di classe e l’interesse generale. Ilsalario variabile indipendente è solo un esem-pio. L’interesse della Uil, invece, fin dalla suafondazione è stato di garantire l’unità d’azionedel mondo del lavoro “Ci definiamo soggettopolitico autonomo ma stentiamo a trarne lenaturali conseguenze”.

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A proposito di Etica sociale e relazioni sindacali di ANTONIO FOCCILLO

Un nuovo modello di società guidato da principivalidi per tuttidi Piero Nenci

La persona deve tornare ad essere al centro di ogni azione economica sociale e politica. Un’iniziativadi dimensione europea per ripristinare condizioni di equilibrio nella gestione delle risorse a favore del-l’intera collettività.

Una nuova impostazione del sistemaeconomico sorretto da un rinnovatospirito etico e guidato da un coraggio-so modello politico: è questa, in sinte-si, la formula che Antonio Foccillosuggerisce per aprire uno sbocco, dareal Paese la possibilità di uscire dal pan-tano e procedere verso un futuro di svi-luppo. Un agile volume edito daAracne nel novembre scorso e quindidi stretta attualità, contemporaneo aquanto si sta svolgendo in questi gior-ni per tentare l’uscita dalla crisi che hatravolto l’Europa e colpito in particola-re l’Italia soffocata dal debito e blocca-ta dalla recessione questo Etica socia-le e relazioni industriali: una organicaserie di riflessioni che caparbiamenteripropone temi che avevamo dimenti-cato, tutti presi dall’esaltazione di unosviluppo senza limiti ma che avevacome fondamento un’economia virtua-le la quale nella realtà ha saputo darcisolo impoverimento e disoccupazione,ha saputo creare un clima di paura e discontro. E’ dunque il momento di rien-trare in noi, di riprendere il filo delpensiero, di ragionare sulle cose reali,di discuterne con gli altri, di cercaresoluzioni valide.L’autore si rifà all’abc della socialità:

cos’è l’etica, come ci devono guidare i principi etici nella società, quale deve essere il corretto agire socia-le e politico di un Paese moderno. E i vari soggetti come dovrebbero attenervisi. Oggi, scrive l’autore, lapolitica sembra voler essere l’espressione dell’energia del potere: prevalere, prevalere ad ogni costo, anchesvendendo se stessi e i principi sui quali abbiamo costruito la Repubblica. Viceversa “bisogna tornare avolare alto”, una classe politica seria deve impegnarci l’anima in ciò che fa. Da qui la necessità di ricrea-re “una cultura di idee” da non confondere con le vecchie rigide ideologie, una cultura che sia partecipatae condivisa ma che sia lontana da quella logica liberista che ha spersonalizzato i cittadini, ha irriso ad ogni

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carica ideale: “Bisogna tornare a riconoscersi in un ideale di vita positivo, umanistico”, bisogna di nuovo“far riferimento a valori sociali e non solo individualistici ed utilitaristici”. Riposizionarsi sull’ethos: ilrichiamo è stato ripetuto di recente anche dalla massima autorità della Chiesa e dal nostro Presidente dellaRepubblica.Con questo spirito di nuovo umanesimo anche il sindacato ha un suo ruolo e un suo compito in quel com-plesso di relazioni coi diversi gruppi sociali coi quali compete e collabora nella costruzione della società.In tema di relazioni industriali, Foccillo richiama le analisi di molti studiosi, ne traccia lo sviluppo, ne ana-lizza gli elementi principali, ne descrive i vari modelli e ricostruisce la storia delle relazioni industriali inItalia dal dopoguerra in poi, fino al mito della globalizzazione. E ora, per la società e il sindacato, qualefuturo? Reintrodurre una serie di regole per precisare diritti e doveri di ciascun soggetto sociale dovrebbeessere il punto di partenza; quindi “un grande sforzo elaborativo per ridare autorità ad una nuova societàdove la libertà economica e politica si coniuga con la solidarietà e, ancor più, con l’etica della responsabi-lità sociale”. Il primo problema non è soltanto come ricostruire una prospettiva di sviluppo che favoriscaoccupazione vera e duratura, che produca ricchezza e la sappia distribuire in modo più equo, quanto rimet-tere insieme nuove regole che possano introdurre nel processo economico il concetto e il valore dell’equi-tà. E subito dopo occorre un nuovo modello economico che superi di slancio i meccanismi speculativi chela confusione e la indecisione politica hanno favorito in tutta l’Eurozona. Insomma è assolutamente neces-sario insistere: “Va individuato e sperimentato un nuovo modello di società fondata su un nuovo sistemaeconomico e sociale in grado di ridare un po’ di credibilità alla politica e far sì che la persona ritorni adessere al centro di ogni azione economica, sociale e politica”. E, naturalmente, su una vasta base di equi-tà bisognerà che tra le forze sociali si raggiunga un nuovo patto per lo sviluppo. Lo abbiamo già fatto nel1945, e più volte nei decenni successivi; oggi diventa ancora più impellente rinnovarlo: va ricreata una con-dizione di sviluppo produttivo che ridia fiato all’economia reale, bisogna ridistribuire più reddito perché lefamiglie dispongano di un maggior potere d’acquisto (agendo anche attraverso la leva fiscale), vanno ade-guati gli ammortizzatori sociali per chi perde il lavoro e quindi tentare di risolvere con la stabilità, ovvia-mente gradatamente, i tanti contratti di flessibilità che sono stati imposti come panacea per il rilancio pro-duttivo ed economico e che oggi, con la crisi, sono i primi a pagare. Infine non possiamo che augurarci chela politica torni a svolgere la funzione che le è propria con scelte che ripristino il bene comune in un pro-cesso di sviluppo condiviso nell’interesse di tutti e non dei soliti furbi fortunati. Proprio come etica coman-da.

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ASSICURAZIONE CASALINGHE/I CONTRO GLI INFORTUNI IN AMBITO DOMESTICO

Rimane sempre elevato il numero degli infortuni che si verificano ogni anno nelle nostre abitazioni, che interessano soprattutto donne,anziani e bambini. È indispensabile promuovere una informazione più ampia sull’“Assicurazione delle casalinghe” e agire sul fronte della prevenzione degliinfortuni domestici, per limitare questo fenomeno non sempre adeguatamente conosciuto.Chiunque svolga attività di casalinga o casalingo a tempo pieno, di età compresa tra i 18 e i 65 anni, deve pagare entro il 31 gennaio diogni anno il premio di euro 12,91 all’Inail, secondo le modalità e requisiti che appresso esaminiamo.L’obbligatorietà di questa assicurazione è stata introdotta dalla Legge n. 493/99, cosiddetta “Assicurazione casalinghe”, che prevede latutela degli infortuni avvenuti in ambito domestico e interventi mirati alla prevenzione.Questo tipo di assicurazione è demandata all’Inail, l’Istituto che già gestisce l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoroe le malattie professionali ai sensi del Dpr 1124/65, solo per le parti espressamente previste dalla legge.

Chi si deve assicurare e attività protetteDevono assicurarsi le donne o gli uomini, di età compresa tra i 18 ed i 65 anni, che svolgono in via non occasionale, gratuitamente esenza vincolo di subordinazione, lavoro finalizzato alle cure della propria famiglia e dell’ambiente in cui vivono. Sono esclusi coloro che sono occupati in attività che comporti l’iscrizione a forme obbligatorie di previdenza sociale. Nonostante l’Inail includa tra i soggetti tenuti a tale obbligo anche i titolari di pensione di invalidità a prescindere dal grado di invalidi-tà stessa, il Patronato Ital-Uil ritiene che ogni caso vada valutato attentamente e che, comunque, debbano essere esclusi dall’obbligo delversamento i titolari di indennità di accompagnamento, considerati la finalità e i requisiti richiesti per l’ottenimento di tale prestazione.L’attività protetta è quella rivolta alla cura della propria famiglia svolta in ambito domestico, intendendo come tale la casa di abitazio-ne e le sue pertinenze come il garage, la cantina, i balconi, ecc. e le parti condominiali in comune, scale, androni ecc.., nonché quellascelta per trascorrere le vacanze, purché si trovi sul territorio nazionale.

Eventi tutelatiSono tutelati gli infortuni per causa violenta avvenuti in ambito domestico che determinino una inabilità permanente pari o superioreal 27%. Da maggio 2006 la tutela assicurativa è stata estesa anche ai casi di infortuni mortali, con decreto ministeriale. Come precisa l’Inail, rientrano nella tutela assicurativa anche gli infortuni avvenuti per attività connesse ad interventi di piccola manu-tenzione (ad es. idraulica, elettricità, ecc.) che non richiedono una particolare preparazione tecnica, e quelli avvenuti per la presenza incasa di animali domestici (cani, gatti, conigli,...). Inoltre nell’attività finalizzata alla cura dell’ambiente domestico, sono da ricompren-dere, ad esempio la predisposizione dell’alloggio, la preparazione dei pasti ed altro, non solo per componenti della propria famiglia, maanche per gli ospiti.

La rendita per inabilità permanentePer conseguire le prestazioni da parte dell’Inail, è necessario essere in regola con il pagamento del premio, ovvero, se esonerato da dettopagamento per motivi reddituali, in regola con il solo obbligo della iscrizione (autocertificazione di esonero). Non si applica infatti il principio della automaticità delle prestazioni, come in generale previsto per l’assicurazione obbligatoria controgli infortuni sul lavoro e le malattie professionali.Se l’invalidità permanente subita è pari o superiore al 27% per gli infortuni occorsi a partire dal 1° gennaio 2007 o al 33% per quellioccorsi fino al 31 dicembre 2006, spetterà una rendita calcolata in base alla retribuzione minima fissata per l’industria e al grado di meno-mazione riportata.La valutazione delle menomazioni è effettuata secondo la tabella e i criteri fissati dal Testo Unico 1124/65, senza applicare il nuovo regi-me introdotto dal decreto legislativo n.38 del 2000 (“danno biologico”). Come si vede sono indennizzati casi di una certa gravità. La ren-dita non è revisionabile per espressa disposizione normativa, ed è soggetta alla sola rivalutazione disposta dal citato T.U. n. 1124/65.Non sono indennizzati gli infortuni dai quali derivi esclusivamente una invalidità temporanea.

Rendita ai superstiti ed assegno funerarioSono tutelati anche i casi di infortunio mortale. Qualora il decesso derivi direttamente dall’infortunio, sia che si verifichi successivamen-te ed in conseguenza di un infortunio già indennizzato, verrà corrisposta una rendita ai superstiti, per la liquidazione della quale èassunta come retribuzione convenzionale la retribuzione annua minima fissata per il calcolo delle rendite del settore industriale, secon-do le seguenti percentuali fissate dall’art. 85 del T.U. 1124/65: 50% al coniuge; 20% ai figli di età inferiore ai 18 anni, fino a 21 anni sestudenti di scuola media superiore o professionale, fino a 26 anni se studenti universitari, per tutta la durata del corso normale di laurea.Inoltre, ai figli inabili, senza limiti di età, finché permane l’inabilità; 40% ai figli orfani di entrambi i genitori. In mancanza di coniuge efigli: 20% a ciascuno degli ascendenti e dei genitori del lavoratore deceduto se viventi a carico; 20% a ciascuno dei fratelli se viventi acarico.Viene corrisposto anche l’assegno funerario con le stesse modalità previste per il settore industria.E’ importante segnalare che per i familiari superstiti di persone assicurate, decedute dal 1° gennaio 2007 a causa di infortuni verifi-catisi in ambito domestico, è prevista la erogazione di determinate prestazioni, a carico del “Fondo di sostegno per i familiari dellevittime di gravi infortuni sul lavoro”. Le prestazioni sono corrisposte dall’Inail e consistono: in un beneficio “una tantum” il cui

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importo è determinato sulla base del numero dei familiari superstiti della persona deceduta, secondo le quattro tipologie indicate condecreti ministeriali; in una anticipazione della rendita ai superstiti pari a tre mensilità della rendita annua, calcolata sul minimale dilegge per la liquidazione delle rendite. La domanda per la richiesta della rendita diretta o della rendita ai superstiti deve essere presentata all’Inail su apposito modulo dispo-nibile anche presso gli uffici del Patronato Ital Uil, che offrono tutela e assistenza gratuite per tutto l’iter della pratica.

Come ci si assicuraPer assicurarsi si deve pagare un premio annuo di Euro 12,91, tranne i casi di esenzione per motivi di reddito, come vedremo appresso. In caso di prima iscrizione, il pagamento del premio dovrà essere effettuato alla data di maturazione dei requisiti assicurativi, compi-mento del 18° anno oppure cessazione della propria attività lavorativa, utilizzando l’apposito bollettino disponibile anche presso ilPatronato Ital.Per rinnovare l’assicurazione, il premio deve essere pagato entro il 31 gennaio e l’assicurazione decorrerà dal 1° gennaio dell’anno stes-so. Se invece viene effettuato successivamente al 31 gennaio, l’assicurazione decorrerà dal giorno successivo al pagamento.Questo importo non è frazionabile su base mensile, ed è deducibile ai fini fiscali. A coloro che si sono già iscritti negli anni passati l’Inail invia, entro la fine di ogni anno, una lettera con il bollettino precompilato con-tenente i dati dell’assicurato e l’importo da versare entro il 31 gennaio.Si può effettuare il pagamento del premio assicurativo on line, per la prima iscrizione e per il rinnovo, con carta di credito Visa oMastercard, carta prepagata Postepay o conto Bancoposta.Nel caso di inosservanza dell’obbligo del versamento del premio assicurativo è dovuta una somma aggiuntiva di importo non superioreall’ammontare del premio stesso, graduabile in relazione al periodo dell’inadempimento.Sono esentati dal pagamento del premio coloro che hanno un reddito individuale lordo per l’anno precedente non superiore a 4.648,11Euro e se appartenenti a nuclei familiari con reddito complessivo lordo non superiore a 9.296,22 Euro. Per questi il premio è a caricodello Stato. In caso di prima iscrizione gli interessati devono compilare il modulo di autocertificazione che attesti il possesso dei requi-siti per l’esonero. Chi si è iscritto precedentemente con l’autocertificazione, nel caso in cui rientri ancora nei limiti di reddito, resta auto-maticamente iscritto, nel caso invece li superi dovrà pagare il premio entro il 31 gennaio. Se è venuto meno anche uno solo dei requisiti richiesti per l’assicurazione deve comunicare la variazione intervenuta all’Inail, chieden-do la cancellazione con l’apposito modulo predisposto, anche questo disponibile presso gli uffici Ital-Uil. Coloro che raggiungono i requisiti per l’assicurazione dopo la data del 31 gennaio sono tenuti al versamento del premio, o alla presen-tazione del modello di autocertificazione, al momento in cui maturano i requisiti stessi.

Tutela infortuni domestici occorsi ai nonni ed altro. Indicazioni dell’InailSi segnala infine che l’Inail, in risposta ad alcuni quesiti, con nota del 2011, fornisce chiarimenti per l’ammissibilità alla tutela di even-ti occorsi ai nonni nell’attività di cura ai propri nipoti nonché di eventi occorsi in roulotte, prefabbricati ed altri alloggi di fortuna.Riguardo la prima questione, l’Istituto ritiene che deve essere ammesso a tutela l’infortunio occorso ai nonni durante l’attività di curadei nipotini, in quanto detta attività (es. preparazione pasti, ecc.) è finalizzata alla cura dell’”ambiente domestico” che, pur non essendoespressamente definito dal legislatore, include non soltanto i componenti del nucleo familiare strettamente inteso e cioè stabilmentedimoranti con l’assicurato, ma anche gli ospiti, e quindi i nipoti che vengono affidati ai nonni dai genitori. Precisiamo che naturalmente devono ricorrere tutti i requisiti richiesti dalla legge n. 493/1999 “Norme per la tutela della salute nelle abi-tazioni e istituzione dell’assicurazione contro gli infortuni domestici” (es. età, pagamento del premio all’Inail, ecc.). Altra problematica esaminata dall’Inail è quella se debbano essere ammessi a tutela gli infortuni occorsi in roulotte, prefabbricati ed altri“alloggi di fortuna”. L’Inail già nel 2001 aveva ritenuto che fossero da considerare assimilabili agli “immobili di civile abitazione” (legge n. 493/1999) le strut-ture mobili assegnate (roulotte, prefabbricati) ai fini abitativi ed in via provvisoria, a seguito di calamità naturali (terremoti, alluvioni,ecc.). Questa interpretazione estensiva nasce sul presupposto che il legislatore nel riferirsi a “immobile di civile abitazione” non abbia intesorecepire la nozione tecnica rilevante ai fini urbanistici e catastali, ma innanzitutto escludere dalla tutela gli eventi verificatisi in ambien-ti destinati ad uso diverso da quello abitativo.Pertanto – conclude la nota – si ritiene che siano indennizzabili anche gli infortuni occorsi in roulotte utilizzata durante un periodo divacanza e in roulotte, prefabbricato o altro alloggio di fortuna, stabilmente destinato ad abitazione per comprovata impossibilità dell’as-sicurato di disporre di un “immobile di civile abitazione”.

La modulistica è reperibile presso gli uffici del Patronato Ital Uil, che offre tutela e assistenza gratuite a tutticoloro che sono soggetti a questo obbligo assicurativo: iscrizione, richiesta di prestazioni, eventuale ricor-so qualora non si concordi con il provvedimento dell’Inail.

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Rapporto Censis sulla situazione del Paese 2011

Un’Italia deboluccia ma con molti sintomi di vitalità da scoprire e rafforzare

di Piero Nenci

E’ sempre interessante sfogliare le pagine di questa ricerca e lasciarsi prendere dall’avventura deidati e delle analisi che ci fanno scoprire un Paese del quale altrimenti conosceremmo solo la minu-scola parte dove personalmente viviamo. E’ particolarmente importante farlo per capire se ilPaese, che stenta ma cerca in tutti i modi di uscire dalla crisi, ce la farà. Ed è interessante leg-gere queste tesi proprio mentre un nuovo governo tenta una sterzata e una spinta di reni per farcitenere il passo coi nostri partner europei.

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Andiamo all’ospedale a trovare nostra madre Italia gravemente ammalata. Attorno al letto un consulto di medici. Ansiosichiediamo subito notizie. E’ fragile, è in uno stato come fuori dal mondo, pare incapace di prendere coscienza della propriasituazione, sembra passiva e si lascia almeno in parte manipolare dagli altri – ci risponde il primario; che aggiunge – stascontando una triplice grave trascuratezza: un abnorme debito di energia e una notevole impreparazione di fronte a questapandemia che ci ha colpiti tutti come se per troppo tempo sia vissuta in uno stato di confusione e di abulia. La diagnosi nonci sorprende, da tempo ce ne eravamo accorti, lo avevamo denunciato ma chi doveva e poteva intervenire ha tergiversato, haperso tempo, ha cercato altrove. Forse è anche colpa nostra: potevamo insistere di più, essere più determinanti e incisivi.Comunque chiediamo al primario: ce la farà? Si salverà? Dagli esami – risponde – abbiamo colto segni positivi: si avverto-no segnali forti di un’inversione di rotta; sembra che la ragione riprenda il sopravvento sullo stato comatoso dell’emotivitàconfusa; ora cerchiamo di dare forza al potenziale di crescita che pure si coglie. Sì, credo proprio che mamma Italia ce lafarà. Questa Italia così violenta e così fragile; così tenera e così disperata; bella come il giorno e cattiva come il tempo quan-do il tempo è cattivo… Fuori metafora – ma col Censis le metafore non sono fuori luogo – leggiamo l’ultimo Rapporto peravere una conferma sulla situazione del Paese che il sindacato da tempo ha denunciato e per la quale ha chiesto un serioimpegno risolutore avanzando quelle proposte di sua competenza che riteneva necessarie ed urgenti perché si ponesse final-mente mano ad un’opera di risanamento. E per avere indicazioni e segnali che non stiamo precipitando nel baratro del nonritorno ma che, sia pure con fatica e tempo, si possa ridare speranza a questa nostra disastrata società. Così come abbiamofatto nel ’45 e, per altri versi, anche nei decenni successivi. Sempre chiedendoci perché non riusciamo a darci governi piùattenti e più capaci? Perché ogni tanto ci lasciamo accecare dai venditori di fumo?I pilastri dell’italianitàLe prime righe del Rapporto sono poco confortanti: “Con dolore e vergogna abbiamo vissuto in questi ultimi mesi una retro-cessione evidente della nostra immagine nazionale dovuta alla caduta del nostro peso economico e politico nelle vicendeinternazionali ed europee”. Tre le gravi insipienze in cui siamo scioccamente caduti: non ci siamo resi conto che da tempoandavamo in rosso e che i nostri debiti crescevano come montagne; ci siamo fatti cogliere di sorpresa dall’attacco specula-tivo che ha trovato nella nostra finanza il punto debole d’accesso; abbiamo risposto al pericolo con confusione e impoten-za. Ora dobbiamo essere tutti consapevoli che la nostra Italia (Italietta verrebbe da dire in questo caso) è fragile a causa diuna crisi che viene dall’esterno, cioè dal non governo della finanza globalizzata, e al suo interno dimostra stanchezza e nonsa reagire alla caduta dell’occupazione e dei consumi. Ai ricercatori del Censis il Paese appare come fuori di testa o fuoridal mondo, non ha più la stoffa del socio fondatore dell’Europa. Fragile e confuso, corre il rischio di farsi dirigere dagli altri,di accettare programmi formulati altrove, si limita a svolgere i compitini che altri gli dettano. Cosa siamo diventati? Perchétanta confusione di idee da non riuscire a renderci conto della situazione e da non riuscire a prendere decisioni autonome?Insomma, cosa resta del modello italiano? A questa domanda cominciano ad arrivare risposte positive: sembra proprio chela maggioranza degli italiani (più del 57%) sia disponibile a sacrificare il proprio tornaconto per risollevare le sorti dellapatria, anche se il 46% restringe tale disponibilità ai soli casi eccezionali, ma questo che stiamo vivendo per l’appunto è pro-prio un caso d’eccezione. I residenti del centro (68,4%), i laureati (66%), le persone tra i 45 e i 64 anni (65%), i residentinelle città maggiori (63,7%), quelli con un reddito medio (62%) e i maschi (61,3%) sono i gruppi sociali che più si dichia-rano disponibili a sacrificare l’interesse particolare per quello generale, soprattutto in casi eccezionali come questo. E’l’emergenza e la maggioranza – chi non l’ha mai fatto e chi non ha mai smesso – si dice pronta a rimboccarsi le maniche,a spalare il fango e a ricostruire. Perché si sentono comunque italiani, dice il 46% dei cittadini (o solo italiani specifica il19%). I localisti sono il 31%, i cittadini del mondo il 15 e quelli che non vogliono uscire da casa propria poco più del 7%.Viene da chiedersi intorno a quale valore si compatti il senso di italianità. Bene: il 65,4% risponde che il valore fondantedel Paese è la famiglia (al sud questo valore è di 10 punti più alto); ma anche il gusto del nostro saper vivere, afferma il 25%(e al nord est questo valore è di 4 punti più alto). Un quinto della popolazione dice che il valore fondante dell’Italia è la suareligione (nord est e isole arrivano al 25,4%). Un altro quinto indica l’amore per il bello di cui il nostro Paese è così ricco(al nord ovest è il 30,4% a dirlo). Un terzo quinto dice che il valore dell’Italia è nel suo spirito di intraprendenza (e al nordovest si arriva al 26%). Infine per l’11% il valore che accumuna gli italiani sono i legami comunitari locali (valore che alnord est è indicato dal 16,5%). Ecco questi i pilastri su cui poggia l’italianità.I valori che dovrebbero guidarciSiccome una società non è immobile ma corpo vivo di cui i membri sono le cellule si è cercato di indagare anche sui valori chedovrebbero segnare la strada da percorrere: gli italiani hanno indicato al primo posto la moralità e l’onestà senza le quali la con-vivenza sociale diventa impossibile: sono i più anziani a parlare di moralità e onestà; i più giovani puntano soprattutto sul rispet-to degli altri, delle loro idee e del loro modo di vivere. Un terzo dei cittadini preferisce indicare la solidarietà che, a ben inter-pretare, contiene sia la moralità che il rispetto degli altri. Per un quarto degli interpellati il valore che dovrebbe guidarci è laserietà, per un quinto è l’impegno politico, l’impegno nella cosa pubblica e – si spera – un impegno disinteressato e lontano daqualsiasi conflitto di interessi. Viene poi proposta la laboriosità, il far bene il proprio mestiere, l’essere responsabili dei compi-ti che ci sono stati affidati. Per un 15% di cittadini il valore-guida della società dovrebbe essere la fede religiosa, senza alcunaggettivo qualificante, nel senso che la religiosità potrebbe contenere anche tutti i valori precedenti. Il 6,7 % ha accennato al“gusto della vita” e il 5% non ha saputo esimersi dal chiedere autorità, un baubau che metta tutti in riga e li faccia marciare.

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Stima e autostimaMa noi italiani siamo come ci vediamo? E gli altri come ci vedono? C’è a New York un Reputation Institute che ogni annocompie un monitoraggio attraverso quarantamila e più interviste per misurare fiducia, stima, ammirazione, interesse di unacinquantina di Paesi. Ebbene nel 2009 eravamo quotati al 12° posto su 34, nel 2011 siamo scesi al 14° su cinquanta. Nonmale, dunque. Davanti a noi ci sono i soliti scandinavi, Austria, Svizzera e Germania ma godono di peggior reputazioneinglesi, francesi, spagnoli e greci. Il Censis ha messo queste graduatorie a confronto con quelle della nostra autostima: nel2009 gli italiani si ponevano al 26° posto su 33 e nel 2011 al 35° su 37. Dunque siamo uno dei Paesi al mondo dove è piùsignificativo lo scarto tra quello che all’estero si pensa dell’Italia (nonostante quanto hanno raccontato di noi i media in que-sti ultimi anni) e quello che noi stessi riteniamo sia la reputazione di cui gode il Paese. Non è che finalmente abbiamo aper-to gli occhi o siamo diventati improvvisamente pessimisti. Probabilmente l’autopercezione di una cattiva reputazionedell’Italia all’estero ci deriva dalla nostra insoddisfazione quotidiana: solo l’11% infatti si dichiara molto soddisfatto di comevive (e il 60 abbastanza soddisfatto), al 20° posto in una lista di 32. Tutti i nostri maggiori partner si dicono più soddisfattidi noi della propria vita: il 35% degli inglesi, il 24 dei tedeschi, il 18 dei francesi e persino il 14 degli spagnoli (ma solo il6% dei greci).Razionalità ed emozioniDa anni, ci racconta il Rapporto, noi italiani a causa di un bipolarismo mal digerito ci sentiamo in dovere di schierarci adestra o a sinistra, con gli immigrati o contro, professandoci laici o cattolici proprio come in uno stadio di calcio. I mediapoi hanno sguazzato in questi antagonismi facendone uno spettacolo continuo: basta un’occhiata ad un confronto/dibattitoper assistere ad un incontro di pugilato. Oggi però par di cogliere qualcosa di diverso, i percorsi identitari sembrano cam-biare: dopo anni in cui l’io si è risolto nell’appartenere a questa o a quella fazione, a questo o a quel gruppo, si avvertonoforti segnali di un’inversione di rotta: l’io sta riconquistando il primato in questa società frastornata e confusa e ciò fa pen-sare ad una riaffermazione della persona. Una ricerca specifica del Censis tra persone di oltre 50 anni cui è stato chiestoquali fossero le radici della loro identità personale ha dato questi risultati: il 44,6% ha indicato la propria esperienza, il 43l’eredità culturale della propria famiglia, il 42 il proprio carattere. L’appartenenza politica è stata indicata da appena l’unoper cento, quella religiosa da meno del 4 e quella dell’appartenenza ad uno status socio-economico dal 4,5%. Dunque l’iden-tità viene percepita più in chiave esistenziale che sociale come se l’individuo stesse ritirando la delega che aveva dato a que-sto o a quello schieramento. Tutto ciò è positivo: riassunzione di responsabilità, riporre al centro la razionalità ma è allo stes-so tempo non privo di rischi perché potrebbe sfociare nel grande partito dell’astensione e del disimpegno. Se è vero che stariprendendo peso la ragione sull’emozione (la partita è finita), da cosa ti fai guidare? Dalla mia testa, ha risposto più del66%, dal cuore ha detto quasi il 9%, dai desideri ha aggiunto il 7%. Il 17,7% ha risposto di lasciarsi guidare dall’impulsodel momento e, quindi, anche dall’improvvisa irrazionalità come dimostrano tanti casi dolorosi di cui ci parlano anche trop-po spesso le cronache dei giornali. Per avere una riprova dell’avanzare della razionalità nella debole società italiana è statochiesto come vorrebbero che fosse la classe dirigente cui affidare le sorti del Paese. Il 60% la vorrebbe di specchiata onestàpubblica e privata. Il 43% la vorrebbe dotata di saggezza e consapevolezza. Il 37% vuole gente preparata e competente (alnord ovest è più del 43% a chiedere queste doti). Il 12% desidererebbe persone carismatiche e il 7% (ma al nord est sono il9%) vorrebbe gente di polso, con carattere forte e volitivo. Ora, a parte i carismatici e chi pensa magari al manganello, lastragrande maggioranza degli italiani vorrebbe una classe dirigente dotata di attributi di piena razionalità, si sono stancati difarsi guidare da eccentrici barzellettieri, da chi vive sopra le righe e non conosce i reali problemi della gente.Il ristagno economicoMa mentre si guarda ad un prossimo futuro dobbiamo fare i conti con la crisi economica che ci impedisce di fare qualchepasso avanti. Il fatto è – sostiene il Censis – che ci troviamo nel bel mezzo di un ristagno economico. Chi ce ne farà usci-re? Non certo il governo, sostiene il 76% degli italiani (visto che appena il 24% dichiara la sua fiducia nel palazzo) e nep-pure i membri del parlamento, dice il 74% (visto che appena il 26% ha fiducia in questa istituzione elettiva. In altri Paesigoverni e Parlamenti raccolgono maggio consenso dai loro governati: rispettivamente il 40 e il 46% in Germania, il 28 e il31% in Francia, il 32 e il 29% nel Regno Unito. Forse saranno i sindacati a spingere per uscire dal pantano? Il 32% dichia-ra la propria fiducia in queste organizzazioni ma anche in questo caso riscuotono maggior fiducia i sindacati di altri Paesi:in Inghilterra il 35%, in Germania e Francia il 44%. Saranno i media ad ottenere dei risultati? Solo il 40% degli italiani hafiducia in loro (in media nell’Ue la fiducia arriva al 50%). Allora la giustizia? In questa istituzione è il 42% a nutrire fidu-cia mentre la media europea è più alta di cinque punti. Né è alta come una volta la fiducia degli italiani nelle elezioni, vistole alte percentuali degli indecisi e di quanti dichiarano apertamente di voler disertare il dovere del voto. Neppure la sceltadel bipolarismo politico ci ha aiutati: gli italiani lo hanno interpretato come strumento delegittimante, come una guerra fred-da; e lo stesso hanno fatto i parlamentari poiché (dati Openpolis) su 99 votazioni chiave dell’ultima legislatura di Berlusconisolo 4 sono stati i provvedimenti legislativi condivisi (proroga degli sfratti, sbarramento per le elezioni europee, stalking,quote rosa nei Cda) anche se si trattava di approvare provvedimenti necessari o utili per tutta la popolazione. Insomma –scrive il Rapporto – “la politica, anziché essere luogo di confronto, dell’incanalamento dei conflitti, della ricerca di media-zioni è diventata quello della contrapposizione, della esasperazione, della incompatibilità culturale e morale”. Guardiamoallora alla classe dirigente, a quei circa 450 mila che vengono considerati come “decisori” (più di 13 mila politici in posi-

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zione dirigenziale), quasi 75 mila dirigenti della pubblica amministrazione, più di 187 mila imprenditori e amministratoridi grandi aziende): le donne sono meno di un quinto, quelli che hanno meno di 45 anni sono meno del 40% e i laureati pocopiù del 43: il problema vero, dice in Censis, non è tanto quello del ricambio generazionale quanto quello della ricostruzio-ne di un contesto sociale in cui l’assunzione di ruoli di responsabilità collettiva torni ad essere una scelta sfidante e social-mente gratificante, di cui rendere conto ma anche di cui essere orgogliosi, piuttosto che considerarla un’oasi di privilegio.Ma questo, ci sembra, è come aspettarsi una palingenesi.Un sistema che poco si rinnovaNaturalmente non è solo colpa della macchina dello Stato se siamo in fase di economia calante e non sappiamo come inver-tire il percorso, c’è una crisi economica che ci deprime tutti. Nell’ultimo decennio mentre il numero degli occupati è cre-sciuto del 7,5% il pil in termini reali non salito più del 4. Il sistema non va, sembra affaticato ed ansante: tra il 2000 e il2010 la Germania ha registrato un incremento occupazionale del 3% e una crescita del pil del 9,7; la Francia ha trovato il5% in più di posti di lavoro mentre il pil è salito del 12%; e così il Regno Unito: più 5,7 di occupazione, più 17,7 di pil. Danoi, il contrario: più 7,5 di occupati e solo più 4 di pil: dunque il nostro lavoro è meno competitivo di quello degli altri, lacrescita occupazionale è stata di cattiva qualità. Infatti una tabella che illustra la produttività oraria del lavoro nei Paesi euro-pei ci colloca al penultimo posto, di appena un punto sopra l’indice 100. Lontani dall’Italia la Norvegia con 175 punti, laFrancia con 133, la Germania con 124, il Regno Unito con 107; peggio di noi solo il Portogallo con 65 punti rispetto all’in-dice 100. Il valore aggiunto dei servizi cresce pochissimo, solo il terziario avanzato è aumentato del 3,5% ma ci ha battutipersino la Spagna con un +11% e tutti gli altri. Ovviamente la mancata crescita dei settori a più alto valore aggiunto ha con-dizionato fortemente le dinamiche del declino della nostra produttività. Siamo in piena crisi e appunto per questo le impre-se dovrebbero essere maggiormente incentivate ad avviare percorsi di ristrutturazione e riorganizzazione; invece le impre-se italiane sembrano restie a farlo: i dati Eurofond relativi agli ultimi tre anni ci vedono all’ultimo posto fra i maggiori Paesieuropei che hanno puntato al superamento della crisi attraverso riorganizzazioni ed innovazioni. In testa la solita Svezia doveil 50% delle aziende negli ultimi anni hanno operato ristrutturazioni e riorganizzazioni e il 57%hanno introdotto nuovi pro-cessi o nuove tecnologie. Così il Regno Unito: 40% di aziende ristrutturate e 49 con innovazioni, la Germania: 31% ristrut-turate e 44 innovate, la Spagna 24,7% di aziende ristrutturate e 37,6 di aziende con innovazioni, la Francia con 35% di azien-de ristrutturate e 36,4 di aziende con nuove tecnologie. In Italia solo il 23,5% delle aziende hanno proceduto a riorganizzar-si e appena il 33,5% hanno adottato nuovi processi o nuove tecnologie. Un sistema formativo stonatoE c’è un’altra malattia che affligge il nostro Paese, quella della non adeguata formazione: i giovani si iscrivono ancora inmassa alla scuola superiore ma un quarto di loro non riesce a concludere. Inoltre il 65% dei diplomati si iscrive all’univer-sità ma un quinto di loro lascia già al secondo anno. A cui va aggiunta la spendibilità del titolo di studio. Il fatto è – criticail Censis – che il sistema formativo italiano, nonostante le varie iniziative adottate, presenta una serie di punti critici: spes-so è roba vecchia con nome nuovo, spesso e una pedissequa osservanza di norme comunitarie e spesso mancano le risorsela attuare le iniziative decise. Il risultato è quello di una formazione inadeguata alle richieste del mondo del lavoro. Lo testi-monia una ricerca del ministero e delle Camere del lavoro sulle assunzioni non stagionali delle imprese nel 2011. Un quin-to delle richieste risulterà di difficile reperimento: metà per mancanza di candidati e metà per inadeguatezza della loro pre-parazione e questo sia a livello universitario che a tutti gli altri livelli inferiori. Il rovescio della medaglia è che se nel 2007l’11% dei laureati era ancora senza lavoro ad un anno di distanza dal conseguimento della laurea, nel 2009 tale percentua-le ha superato il 16%. La scarsa corrispondenza tra domanda di lavoro e output del sistema educativo si manifesta, natural-mente, anche nel sottoinquadramento degli occupati rispetto al titolo di studio; lo testimonia l’Istat secondo cui il 49% deilaureati e il 46,5 dei diplomati svolgono un lavoro al di sotto delle loro rispettive competenze.Il serbatoio delle famiglieIn tempo di crisi e con un debito pubblico esorbitante si è tornati a frugare nella ricchezza delle famiglie, possibile pozzocui attingere per riequilibrare i conti della nazione. Secondo dati di Bankitalia la ricchezza netta delle famiglie italiane nel2009 era di 8 miliardi e 588 milioni di euro: il 68,5% frutto di attività reali (abitazioni, terreni, fabbricati vari, oggetti) e ilresto frutto di attività finanziarie. Spiega il Censis che la quota di valore aggiunto prodotta dalle famiglie è particolarmenteelevata; sommata a quello delle istituzioni sociali private raggiunge i 400 miliardi di euro e rappresenta quasi il 29% deltotale; in Germania è del 23,4%, in Francia non arriva al 21 e nel Regno Unito non supera il 18%. Rapportando il valoreaggiunto prodotto dalle famiglie al reddito disponibile si ottiene una sorta di indice della capacità di autofinanziamento dellaspesa, indipendentemente dai redditi da lavoro e da capitale e dal saldo dei trasferimenti di altri settori. Questo indice risul-ta in Italia del 37,8% simile a quello della Spagna e notevolmente superiore a quelli calcolabili in Germania (30,8%),Francia (27%) e Regno Unito (22,4%). Stando sempre al reddito familiare bisogna però distinguere fra reddito da produ-zione di artigiani, commercianti, agricoltori, professionisti (società semplici o imprese individuali fino ad un massimo dicinque dipendenti) e reddito da consumi (fitti figurativi di abitazioni di proprietà, attività dei portieri, dei custodi, dei dome-stici, produzione agricola per uso familiare, manutenzione in proprio delle abitazioni). La prima è scesa, nell’ultimo decen-nio, dal 22,6 al 18,8%; la seconda è salita, compensando la prima, dal 5,8 al 9,8%. Nel 2010 il valore dei servizi resi allefamiglie dalle abitazioni di proprietà direttamente abitate ha raggiunto i 125 miliardi di euro che rappresenta il 13,5% della

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spesa delle famiglie, il 12,3% del reddito disponibile, il 9% del valore aggiunto e l’8% del pil. Negli anni ’70 corrisponde-va a solo il 3% del pil. Alla crescita del flusso dei fitti imputati ha riscontro la crescita del numero di abitazioni posseduteche nel 2009 Bankitalia ha stimato in 4.800 miliardi di euro (l’Agenzia del territorio arriva ad una stima di 600 miliardisuperiore). Questa elevata propensione delle famiglie italiane ad investire i propri risparmi in abitazioni – considerata in pas-sato come segno di arretratezza e di inefficienza del mercato finanziario – alla fine si è dimostrata vincente mettendo al ripa-ro i risparmi dalla bolla immobiliare che ha colpito altri Paesi anche se ha provocato un irrigamento della capacità di spesadelle famiglie. In definitiva la ricchezza netta complessiva posseduta dalle famiglie, in termini reali è cresciuta nell’ultimodecennio del 22%. Ma nello stesso lasso di tempo anche la popolazione è cresciuta e il numero dei componenti familiari siè ridotto cosicché la ricchezza pro capite risulta aumentata di solo il 15% e quella per famiglia di solo il 4%. Comunque nelcomplesso aggregato delle famiglie, a fronte della riduzione di circa 50 miliardi di euro a prezzi 2011 del reddito disponi-bile ha reagito mantenendo quasi invariato il livello reale dei consumi finali (e aumentando quindi la quota di reddito a ciòdestinata), riducendo poco più che proporzionalmente gli investimenti fissi (il tasso di investimento è rimasto invariato) econtraendo significativamente gli accantonamenti netti di tipo finanziario. Ora, conclude il Rapporto, questo insieme dicomportamenti sembrano delineare una percezione della crisi come passaggio congiunturale: resta possibile difendere illivello dei consumi e continuare a mantenere il bene casa, riducendo semmai solo la componente di accumulazione finan-ziaria.Esportare necesse estSe le famiglie restano sostanzialmente al sicuro di fronte alla crisi, è, però necessario sfruttare altri mezzi per risalire dallasituazione di ristagno in cui il Paese si è venuto a trovare, puntando subito ad un’espansione delle esportazioni che sono unadelle poche variabili non ristagnanti. Infatti se nel 2010 le esportazioni sono cresciute del 15% e nel primo semestre del 2011del 16% significa che alcuni settori del made in Italy hanno ancora dell’appeal, quello a maggior valore aggiunto e con piùcapacità di innovazione tecnologica come il farmaceutico, il chimico e quello degli apparecchi di precisione. Il quadro com-plessivo non è semplice e va interpretato con cautela: nel 2010 l’Italia ha subito una riduzione della sua quota mondiale dimercato: la nostra fettina del 3,2% si è assottigliata al 2,9%: siamo rimasti competitivi solo sulla sponda sud delMediterraneo e abbiamo incrementato la nostra presenza in Medio ed Estremo Oriente e in alcuni Paesi sudamericani masiamo passati dal settimo all’ottavo posto nell’elenco degli esportatori (superati dal Sud Corea). Inoltre se nel 2010 le nostreesportazioni sono aumentate del 15%, questo dato va messo confronto col calo del 20% dell’anno prima. Il saldo finale dellabilancia dei pagamenti, soprattutto a causa dei prodotti energetici ormai fuori controllo da ormai due anni, resta molto nega-tivo e tuttavia il comparto manifatturiero è positivo. Insomma – sostiene il Censis – il quadro generale è più dinamico diquel che sembra e il commercio estero può rappresentare il volano della ripresa. Lo iato tra le performance mediocri delsistema produttivo interno e la crescita sostenuta sui mercati esteri è il segno della contraddizione che il sistema italiano stavivendo, totalmente ingessato nei processi interni ma ancora con capacità competitiva e di crescita fuori dai confini di casa,soprattutto sui mercati lontani poiché i tassi più elevati di incremento delle esportazioni si sono registrate in Usa, in Brasile,in Cina, in Russia e in Turchia. L’imperativo per la ripresa è dunque quello di allargare l’influenza geoeconomicca italianadiventando punto di riferimento per tutta l’area mediterranea ed orientale: Non si tratta di sogni, sostiene il Rapporto: glielementi su cui fondare tale posizionamento sono tutti alla portata; bisogna sfruttare i flussi migratori sviluppando, attraver-so una progressiva integrazione di persone e culture, una maggior attenzione alla domanda interna dei Paesi da cui proven-gono i flussi; bisogna intercettare le esigenze di crescita economica e di sviluppo produttivo proponendo il nostro modellodi crescita come soluzione alternativa a quelle tradizionali del capitalismo industriale (grandi complessi, concentrazione dicapitali); e, naturalmente, vanno focalizzate energie e risorse su aree la cui vicinanza ci consente di operare in modo coe-rente con le dimensioni di media potenza che ci caratterizzano. Altro elemento da sfruttare a pieno è la nostra qualità delcibo e il nostro stile di vita. Sull’agricoltura la crisi non ha avuto un impatto troppo pesante; va inoltre ricordato che l’inci-denza del settore agricolo sull’intera economia è più di quei 30 miliardi che contribuiscono al nostro pil: essa ha contribui-to e sostiene tutt’ora lo sviluppo di importanti specializzazioni manifatturiere (a cominciare dalle macchine agricole e daitrattori, da tutto quello che è necessario nelle serre e per il confezionamento dei prodotti); sono i prodotti agricoli che rap-presentano un quinto di tutte le spese delle famiglie; le specialità agricole locali favoriscono una larga fascia di turismo;l’agricoltura contribuisce con le biomasse a consolidare la nostra capacità produttiva di energia. Inoltre il settore agricolo èmolto meno spezzettato di una volta: la dimensione media delle aziende nell’ultimo decennio è aumentata del 44%; le azien-de si sono concentrate evitando un’eccessiva dispersione di energie, è cresciuta significativamente la produttività e l’impie-go di manodopera non familiare. Il settore vitivinicolo ha acquistato un’importanza che tutti ci riconoscono. E dunque ilmondo agricolo deve essere sfruttato al meglio per spingere verso la ripresa.Valorizzare la presenza degli stranieriGli immigrati costituiscono una componente silenziosa ma numerosa che ormai contribuisce alla ricchezza dell’Italia. Sonooltre 4 milioni e mezzo ed entro il 2020 gli stranieri arriveranno a 7 milioni, quelli che lavorano regolarmente sono oltre duemilioni. Sono giovani, meno pagati e più flessibili degli italiani. Quelli che si sono fatti imprenditori, nonostante la crisi,dimostrano una vitalità inaspettata. I titolari di impresa stranieri sono meno dell’11% del totale dei piccoli imprenditori maa Prato sono quasi il 40%, a Firenze più del 20, a Milano sono un quinto del totale, a Trieste più del 18 a Roma quasi il

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17%. Flessibili con gli orari e competitivi coi prezzi nei loro negozi c’è sempre clientela: A Milano, Torino e Genova unterzo dei dettaglianti sono stranieri e sono poco meno numerosi a Palermo, Verona e Firenze. A Bologna, Catania e Romasono un quinto del totale. Molto attive anche le donne, soprattutto cinesi e rumene. Il settore in cui operano maggiormenteè quello del welfare, soprattutto nelle famiglie: i lavoratori domestici iscritti all’Inps sono 711 mila. Certo non sempre laprofessionalità dei lavoratori a domicilio è di buon livello ma visto che la domanda è in continua crescita e gli italiani nonrispondono volentieri (soprattutto nel campo sanitario e infermieristico) perché non facilitare l’accesso degli stranieri a que-ste professioni introducendo canali preferenziali di ingresso e ponendo gli infermieri professionali al di fuori delle quoteannuali stabilite dal decreto dei flussi? La situazione attuale infatti vede più di 39 mila stranieri su 391 mila iscritti all’albo,con una crescita del 24% negli ultimi quattro anni. Insomma il 10% degli infermieri che operano da noi sono stranieri, matale percentuale al centro nord arriva anche al 12%. Quello degli stranieri è un contributo molto importante e crescente, peril momento legato al lavoro e ai consumi ma che nelle aspettative degli immigrati si deve espandere a tutti i settori della vitaquotidiana; essi sono infatti convinti che la presenza straniera in Italia continuerà ad aumentare ed inevitabilmente influen-zerà tutto il nostro tradizionale modo di vivere.I giovaniE siccome “possiamo e dobbiamo farcela” come ci ammonisce e ci sprona il Presidente della Repubblica, andiamo a cer-care nel Rapporto alcuni punti forti sui quali si potrebbe far leva proprio per risalire la china della crisi. Uno dei punti forzadi ogni Paese è la sua gioventù. Com’è quella italiana? Subito un dato positivo: gli abbandoni scolastici negli ultimi cinqueanni sono diminuiti: dal 23 al 19%; nelle isole gli abbandoni prima del diploma sono ancora un quarto del totale degli iscrit-ti al primo anno ma sono diminuiti di cinque punti; al centro sono il 15% e sono calati di due punti. Particolarmente alto iltasso di abbandoni dopo i primi due anni della media superiore che al sud interessano un quinto degli iscritti al primo anno.Dunque un miglioramento in atto nell’iter formativo che, purtroppo, non riesce ad estendersi ai quartieri cittadini più degra-dati e in quelle zone dove intervengono fattori di disagio personale, familiare e sociale difficilmente affrontabili senza unintervento di tutte le forze e le istituzioni del territorio. Il disagio giovanile non si supera senza un preciso coordinamentodi tutte le energie disponibili che supportino la scuola. Interrogati in proposito, un migliaio di dirigenti scolastici hanno datoqueste risposte: enti locali, famiglie ed organismi del terzo settore intervengono sui vari aspetti delle difficoltà degli studen-ti in poco più della metà dei casi. Più scarso l’interessamento degli organismi della formazione professionale, non arriva al35% dei casi; ancora inferiore l’intervento delle aziende che non arriva al 15%. Supera invece la metà dei casi l’interventodelle parrocchie dove hanno sede le scuole. Disagio giovanile espresso a chiare lettere, secondo i dati di Eurostat, quandoci si accorge che in Europa 8 milioni e 250 mila persone in età da lavoro sono così scoraggiate da smettere di cercare unnuovo impiego dopo quello o quelli che hanno perso; tra loro 2 milioni e 700 mila italiani: è proprio da noi che l’esercitodegli scoraggiati è più folto, sono l’11% mentre tedeschi e francesi non sono così sfiduciati, appena poco più dell’uno percento ha smesso di bussare in cerca di occupazione.Il sommerso in crescitaParallelamente l’oscuro mondo del sommerso tiene, anzi cresce. Un’eloquente tabella del Rapporto dimostra che tra il 2008e il 2010, mentre il lavoro regolare ha perso un 4%, il lavoro irregolare è cresciuto di uno 0,6%. Interessante esaminare isingoli settori: nel mondo degli autonomi il lavoro regolare è calato del 3,2 e quello irregolare cresciuto del 2,7. Nei com-parti dei dipendenti il lavoro regolare è diminuito del 4,4% e quello irregolare è rimasto stabile, non avrebbe perso neppu-re una sola unità. Poi entrando nei vari settori di attività si trova che nell’industria, mentre il lavoro regolare ha perso il10,5%, quello irregolare ha guadagnato il 5,5. E nell’edilizia, addirittura il lavoro irregolare ha guadagnato un 9% mentrequello regolare ha perso il 3,6. Anche l’agricoltura ha dato il suo contributo di crescita al lavoro irregolare, con un puntopercentuale mezzo in più (quello regolare ha perso lo 0,7). Così nei servizi, in particolare quelli rese alle imprese: il som-merso è lievitato dell’8,4% mentre il lavoro palese ha perso un punto percentuale mezzo. Insomma la crisi ha bloccato quel-la lenta ma progressiva emersione del sommerso. Ora nel quadro di una politica di rilancio dell’economia bisognerà ripren-dere anche tutte le iniziative atte a ridurre questa forma illegale di impiego. Sono necessarie, sostiene il Censis, una serie diinterventi strutturali e cioè: sgravi e/o contributi finalizzati all’abbassamento del costo del lavoro, soprattutto al centro nord;politiche di settore per far crescere il volume di affari in agricoltura; naturalmente vanno intensificati i controlli e inaspritele sanzioni ma vanno anche snellite le procedure per l’impiego di manodopera nei periodi delle raccolte e dei picchi di lavo-ro. Bisognerà operare anche sul sistema degli ammortizzatori sociali. E siccome una certa parte del lavoro irregolare afflui-sce ad affari loschi o è diretto dalla criminalità organizzata sarà necessario operare in tale direzione e colpire ogni forma disfruttamento del lavoro. Ma proprio perché una massa di questi lavoratori invisibili sono stranieri immigrati, da qui la neces-sità di rivedere le quote per il loro impiego. Una immobilità molto mobileUno dei malesseri più antichi del nostro mercato del lavoro – scrive il Rapporto – è il suo inguaribile immobilismo; dichia-razione di principio se ne fanno a iosa ma sotto sotto resta la convinzione che un posto di lavoro deve essere a vita. Su que-sto stato di cose si innesta il dibattito sul famoso articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Però, eccepisce il Censis, a benguardare sono poco più di 10 milioni i lavoratori che ne possono usufruire, circa il 45% degli occupati. Inoltre lo stessoambito di tale articolo è andato col tempo restringendosi: l’accordo del 2002 per chi faceva nuove assunzioni e superava

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così il limite dei 15 dipendenti costituiva di fatto una sospensione implicita della norma; l’art. 8 della finanziaria del luglio2011 che autorizzava intese aziendali anche in deroga all’art. 18 sanciva nei fatti la possibilità di un superamento consen-suale della norma. Poi se si osservano le statistiche, anche solo quelle del 2010, si vede che più di due terzi delle uscite dalmondo del lavoro sono riconducibili a scelte imprenditoriali (condizioni del mercato, volontà di licenziare, necessità diristrutturare ecc.), meno di un quinto è dovuto a cause d’altro genere come pensionamenti o scadenza di contratti a termi-ne). Insomma, in poche parole, c’è già una buona mobilità, che bisogno si sente di chiedere nuove regole, di indire una guer-ra contro l’art. 18. Però – osserva sempre il Censis – malgrado sul fronte delle uscite il sistema si mostri più aperto di quan-to una certa opinione diffusa lasci intendere, la nostra struttura occupazionale continua ad avere tratti di rigidità come nonse ne trovano in Europa, ma fa parte più della nostra mentalità che dell’eccessiva rigidità di un diritto. E’ emblematico cheda noi il tasso di anzianità aziendale sia superiore a quello dei principali Paesi europei: più del 50% lavora da più di 10 nellamedesima azienda; anzianità che si riduce al 44,6% dei tedeschi, al 43,3% dei francesi, al 32,5% degli inglesi. E non solo:quando si fa concreto il pericolo di perdere l’occupazione solo 4% dei lavoratori italiani si attiva per trovare un nuovo sboc-co. Lo fanno di più i giovani, quanti hanno un lavoro precario e chi ha un contratto di collaborazione ma sempre in misuranotevolmente inferiore rispetto ai loro colleghi europei. Eppure sono proprio gli italiani i più numerosi a dichiarare il tumo-re di perdere la loro attuale occupazione. Perché tale fenomeno? Le cause sono molteplici: il mercato del lavoro non favo-risce atteggiamenti intraprendenti da parte di chi cerca un impiego e la stessa offerta del lavoro è atavicamente resistente amuoversi sul territorio in cerca di nuove opportunità. Ma mance anche un sistema di welfare a sostegno di chi si butta nelrischio e, infine, la struttura produttiva italiana è caratterizzata da una rete di piccole e piccolissime imprese che non favo-risce certo gli spostamenti.I nuovi italianiSono gli stranieri che hanno scelto di vivere e lavorare da noi: 4 milioni e mezzo (il 7,5% della popolazione totale) che nel2020 potrebbero diventare sette milioni (l’11% della popolazione). Interrogati di proposito essi dicono che il nostro Paesenon va al tracollo; dal loro punto di vista nel 2020 l’Italia starà economicamente meglio (65 risposte su cento), aumenteran-no i flussi turistici (80 risposte), utilizzeremo più energia alternativa (84 risposte). Gli stranieri aumenteranno (82,6%) masarà anche più aperto al mondo (74%), più solidale (68%), più giusto (64,6) e con più attenzione ai rapporti di vicinato e diamicizia (62,7%).Ma i nuovi italiani guardano con occhi sinceri anche alla realtà del presente e indicano alcuni problemi che pesano oggi eprobabilmente anche nel prossimo futuro sul nostro Paese: la disoccupazione di lunga durata (dice il 54%) e quindi la pover-tà (aggiunge il 41,5). Non cesserà l’emigrazione clandestina (35%), non finirà tanto presto l’isolamento sociale (26%) e lanon autosufficienza degli anziani e loro che in moltissimi casi fanno i badanti conoscono bene questo problema (21,6%).Temono che criminalità, disagio abitativo, prostituzione e marginalità minorile non saranno facilmente superabili. Comefare per rendere l’Italia più competitiva e quindi in grado di riprendersi? Il 56,6% ha risposto: che bisogna intervenire sulleaziende, il 32 sulla scuola, il 32,5 sulla giustizia. Altri settori su cui intervenire per uscire dal pantano ed offrire a tutti nuoveprospettive sono la pubblica amministrazione (24%), fisco e sanità (20%), assistenza sociale (18%) e trasporti (15%).L’informazione politicaNon è una novità, scrive il Censis, che per informarsi riguardo all’agenda politica del Paese, gli italiani prediligano la tele-visione. Ora si è notato che quasi la metà degli abbonati, quando va in onda un programma di dibattito politico, non cam-bia programma e non spegne l’apparecchio ma si accomoda, ascolta, approva o si indigna. Certo non sono più i vecchi pro-grammi dove i vecchi leader esponevano le loro idee e proponevano le loro soluzioni: ora tutto è vivacizzato, spettacolariz-zato, gli scontri sono molti frequenti, il parlare è chiaro (o lo sembra) e dunque i programmi invitano, non respingono. Sonosoprattutto i maschi a seguirli ma anche le donne non mancano (quasi il 47%), sono soprattutto gli ultra sessantacinquennima anche u n trenta per cento di giovani con meno di trent’anni, sono più i più istruiti ma anche chi ha appena la licenzamedia (più del 48%) è un fedele spettatore. Perché tanto interesse? Per due ragioni, sembra: i frizzanti confronti tematicisostenuti o contrastati dalla presenza del pubblico che talvolta sembra un’arena mediatica, l’azione di un conduttore quasisempre preparato e spesso politicamente orientato; il secondo motivo è dato dalla contingente situazione socio-politica par-ticolarmente difficile e surriscaldata. In conclusione però a noi sembra un elemento del tutto positivo che tanta gente passidai programmi di intrattenimento a quelli dell’informazione politica, che segua e partecipi. Anche così si prende coscienzae ci si prepara a collaborare al risanamento del Paese. Il valore del mareAltro elemento positivo, da potenziare e sfruttare per superare la crisi è il settore del mare. Per un Paese che sta immersonel bel mezzo del Mediterraneo come un ponte lanciato verso una ventina di Paesi e con tre sbocchi aperti verso il nord est,il sud est e l’ovest ce ne sarebbero di occasioni da utilizzare. Il settore marittimo, ci informa il Rapporto, concorre col 2,6%alla formazione del pil nazionale e dà occupazione al 2% della forza lavoro. Dopo la crisi del 2008 il settore si va ripren-dendo. Nel 2010 abbiamo avuto il primato dei croceristi (5,4 milioni di passeggeri, un quinto dei visitatori europeidell’Europa via mare. E i dati del 2011 si prevedono in crescita. Via mare lascia l’84% delle merci italiane e sempre viamare arriva l’81% delle importazioni. Con più di mille settecento navi siamo tra le flotte più imponenti del mondo (15,8milioni di stazza lorda) e siamo i secondi per le navi-traghetto. In fatto di cantieristica abbiamo raggiunto il secondo posto

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in Europa per l’attrezzatura delle navi, abbiamo una posizione di eccellenza per le barche da diporto, siamo secondi dopola Grecia per i battelli da pesca ed abbiamo saputo sviluppare un’interessante produzione di acquacoltura. Ora la crisi nonha risparmiato neppure questo settore che ha visto ridimensionata la propria capacità di incidere sullo scenario economiconazionale. Per cui sarà necessario adottare precise politiche di rilancio perché il cluster marittimo italiano torni ad essere unmotore propulsore dell’intera economia.La partecipazione dei cittadiniDunque si parla di progetti, di rilancio, di sviluppo, di nuove opere ma in taluni casi le popolazioni dove quei progettidovrebbero essere realizzati e quelle opere costruite si oppongono e ritardano in maniera plateale la loro esecuzione condanni economici notevoli come Lavoro Italiano ha già avuto occasione di illustrare. Si tratta di quei casi che vengono ormaidefiniti nimby (non nel mio cortile, non vicino a casa mia, non nel mio Comune, non nella mia valle o sul mio monte, nonnel mio collegio elettorale). Proseguendo con questa logica non si potrebbero fare nuove strade, nuovi acquedotti o istalla-re nuove antenne televisive. Il fatto è – commenta il Censis – che la gente non si fida più: né della politica, né dei governi,né delle imprese che dovrebbero realizzare le nuove opere. Le Comunità si sentono tagliate fuori dai processi decisionali,non si sentono tutelate, temono per la propria salute e l’ambiente in cui abitano. Il fenomeno riguarda ogni tipo di impian-to: da quelli per lo smaltimento dei rifiuti, agli impianti per la produzione di energia, dai rigassificatori alle nuove struttureviarie eccetera. Per cui il nostro Paese si trova sempre più in situazione di stallo e se nel 2005 furono contestate 104 opere,nel 2010 ne furono contestate 320. Non ci sono solo i cittadini ad opporsi, anche la politica cavalca allegramente la tigre senon rientra nei propri interessi elettoralistici. Che fare? Il Rapporto sostiene che in questo genere di cose sbagliano un po’tutti, le cause dei no sono molteplici ma riassumibili in una deficienza di informazione e dialogo; per uscire dallo stallo biso-gnerebbe approcciare i vari problemi sempre in una prospettiva di informazione chiara e corretta e di partecipazione. Le isti-tuzioni rappresentative hanno bisogno di un supplemento di legittimazione che può essere fornito dall’interlocuzione diret-ta coi cittadini. L’inclusione della società civile nella formulazione delle politiche pubbliche è emersa sempre più come unaqualità imprescindibile di democrazia. Un esempio ci viene dalla Francia dove l’obiezione alla costruzione di impianti ener-getici nucleari è stata superata con un dibattito pubblico organizzato e finanziato dalle stesse aziende che dovevano costruir-li. Esempi di partecipazione condivisa ci sono stati anche da noi: a Castelfalfi (Firenze) antico borgo medievale dove la tede-sca Tui Ag ha progettato ristrutturazioni e impianti turistici per 4 mila persone; i timori dei residenti del Comune diMontaione sono stati superati appunto con la partecipazione di tutti gli interessati e d’altra parte la Toscana è l’unica regio-ne che si sia dotata di una legge ad hoc per questi casi (lr 69/2007). Ma anche a Genova in occasione della presentazionedel progetto per le due gronde, quella di levante e quella di ponente, studiate per snellire e alleggerire in traffico autostrada-le attorno al capoluogo. L’interesse per questa materia va crescendo al punto che nell’ambito delle azioni Pon Gas 2007-2013 attuate dalla Funzione pubblica, sono state realizzate realtà laboriatoriali e specifiche azioni di accompagnamento inCampania, Puglia e Calabria su processi, metodi e strumenti della progettazione partecipata rivolte agli amministratoriregionali e locali, ai rappresentanti del partenariato, dell’associazionismo, delle professioni e della cittadinanza.Naturalmente non si tratta di un processo semplice e spesso proprio la scelta delle metodologie da adottare per coinvolgerepiù cittadini può risultate vincente. Un’idea credibileComunque, sia per trovare la strada migliore per uscire dalla crisi che per risolvere problemi di nuovi impianti e nuove opere(e anche per far digerire nuove tasse) quello che conta è saper mettere in campo un’idea credibile, capace di ridare fiducia.A metà del 2011, scrive il Censis, la metà delle famiglie italiane vedeva il Paese profondamente disorientato, privo di ideecostruttive e più del 45% giudicava la classe dirigente inadeguata ad indicare vie d’uscita. Solo l’11% ha espresso fiducianella vitalità del Paese. Infatti da troppo tempo l’Italia non cresce, non compie quel salto di qualità che gli permette di affron-tare in maniera seria quelle riforme strutturali di cui ha urgente bisogno. Certo se ne parla, convegni e libri ne discutono mabisogna poi passare all’azione. Il Paese è in deficit di politiche organiche, chiare e mirate e con un orizzonte di medio perio-do in materia di sviluppo, di impresa e di lavoro. Passare all’azione e tornare a crescere – ripete più volte il Rapporto Censis– è possibile ma bisogna far ricorso alle molte risorse di cui il Paese dispone e alle quali abbiamo accennato nei paragrafiprecedenti. Il tentativo l’ha infine operato il Presidente della Repubblica chiamando al governo un gruppo di tecnici di altolivello che dalle prime mosse sembra muoversi abbastanza bene. Che sia questo il punto di svolta? Che sia il governo Montiad avere le idee credibili per uscire dalla crisi e ridare slancio all’Italia con idee credibili e condivisibili? La gente sta a guar-dare ed oggi è forse presto per registrare una recuperata fiducia. Il sondaggio Mannheimer del 27 dicembre, imperniato pro-prio sulla fiducia della gente, ha dato queste risposte: nel dicembre 2010 erano il 32% a pensare che l’anno a venire sareb-be stato migliore per loro personalmente; nel dicembre 2011 solo il 14% ha espresso tale convinzione. E, viceversa, il 20%che temeva un anno peggiore è salito al 48%. Rispetto all’intero Paese nel dicembre 2010 il 32% si diceva ottimista, nel2011 gli ottimisti sono calati al 16 e i pessimisti dal 34 sono saliti al 59%.

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a cura di Piero Nenci

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Interviste al Segretario generale Luigi AngelettiA cura di Antonio Passaro• Lo sviluppo deve essere l’obiettivo prioritario

che parti sociali e governo, insieme, devono per-seguire - 1

• Tagliare i costi della politica per recuperare risor-se da destinare allo sviluppo - 2

• Il sistema delle relazioni sindacali deve porsi ilproblema del suo prodotto: l’accordo - 3

• La ricchezza italiana è fondata sul lavoro - 4• L’unità sindacale è l’unità delle persone che

lavorano - 5• La competitività e la produttività aziendale: pre-

supposti per una crescita occupazionale e salaria-le - 6

• Non si possono chiedere sacrifici ai cittadinisenza un segno di compartecipazione della classepolitica - 7/8

• Riforma fiscale: per giungere ad una redistribu-zione della ricchezza - 9

• I governi sono utili se fanno delle scelte - 10• Vanno modificate soprattutto le misure previden-

ziali e fiscali - 11• 2011, anno tra i più difficili: recessione e disoc-

cupazione - 12

Agorà• Innovazione tecnologica e funzione documentaria P. Saija - 1• Il motivo di una convenzione A. Carpentieri - 2• Adulto, attivo e occupato: la tua sveglia suona

sempre… prima M.C. Mastroeni - 2• Movimento operaio italiano e nuovi scenari S. Pasqualetto - 2• L’Italia dei riformisti e delle riforme!G. Salvarani - 2• Ancora attuale la lezione di Olof Palme e l’espe-

rienza del riformismo scandinavoS. Veronese - 2• L’impresa moderna come living companyG. Zuccarello - 2• L’immigrazione nella seconda decade del XXI

secoloG. Casucci - 3• Progetto BenEssereIntegratiG. Pirone - 3• Auguri a Raffaele VanniP. Saija - 3

• Il fanatismo religioso uccide ancora ma nonmuore la speranza

A. Scandura - 3• Più sindacato e più EuropaC. Benevento - 4• Innovazione digitale in tribunaleG. Mele - 4• Un dibattito al convegno organizzato

dall’Associazione The PolisP. Nenci - 4• Immigrazione, integrazione e povertàG. Paletta - 4• Tutti a Roma per Giovanni Paolo II, “Santo subito”A. Scandura - 4 • Coniuge under 35: niente reversibilità. M.C. Mastroeni - 5• L’urgente necessità di rivitalizzare un’etica socia-

le (convegno The Polis)P. Nenci - 5• Tavolo unico di regia per lo sviluppo e la legalitàS. Pasqualetto - 5• Il mondo è solo dei furbi (e disonesti) o è anche

degli altri?G. Salvarani - 5• Un giorno offline… ed è sindrome da vuoto digi-

taleM.C. Mastroeni - 6• “Lavoro e Costituzione”S. Pasqualetto - 6• Gesti di ordinaria cortesia. Un buongiorno o un

semplice sorrisoM.C. Mastroeni - 7/8• I top manager… all’italianaG. Salvarani - 7/8• In cerca di un lavoro che non si trovaM. De Angelis - 9• Le cose certe da fare e non fare ad una certa etàM.C. Mastroeni - 9• La fiumana che cerca rifugioP.N. -9• Codice di comportamentoG. Salvarani - 9• L’attualità dei valori socialistiA. Carpentieri - 11• Il web ci rende ricchi?G. Mele - 11• Il Rapporto 2010 del Global finanzial integrityP. Nenci - 11• Una rinnovata classe dirigenteS. Pasqualetto - 11

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• Quale polizia? Ce ne sono 14G. Salvarani - 11• La ricerca del “prezzo verde”. Nel periodo di

calo del consumismo sfrenato è una soluzione?M.C. Mastroeni - 12 • Convegno Koinè. Come uscire dal pantanoP. Nenci - 12• Poteri forti e sperimentazioni di nuova democraziaG. Paletta - 12

Approfondimento• La sfida della modernizzazione della scuola ita-

lianaM. Di Menna - 3• Crescita: una svolta dall’Europa della ricerca e

della tecnologia?I. Ippoliti - 9• Attacco all’Europa G.P. - 10

Attualità• Dopo il referendum del 14 gennaio a Mirafiori.

Giorgio Benvenuto: analogie e diversitàP. Nenci - 1• Cessione del quinto e previdenza complementare:

il caso delle coperture assicurative accessorieM. Abatecola - 2• Le ragioni della rivolta in NordafricaA. Margelletti - 2 • Nucleare, OggiW. Galbusera - 3 • La qualità in SanitàServizio Cittadinanza e salute - 4• Bassi redditi, tasse elevate, disoccupazione e pre-

carietà: la vita negata alle nuove generazioniP. G. - 5• Nuove regole per contratti di lavoro e rappresen-

tatività sindacaleM. Ballistreri - 6• Dlgs 231/01: un’opportunità anche per i fondi

pensioneM. Abatecola - 7/8• Uno studio della Banca mondiale: l’importanza

delle rimesse degli emigratiP. N. - 7/8• Lotta alla contraffazione e all’importazione ille-

gale di medicinaliS. Ricci - 10• Il piano di rilancio dell’azienda AleniaUfficio stampa Alenia - 10

• Una previdenza sostenibile e più stabile chealtrove

R. Bellissima - 11 • Il sistema previdenziale fra sostenibilità e ade-

guatezzaD. Proietti - 11

Il corsivo• Eterogenesi di … FiniPrometeo Tusco - 2• Io e il CaimanoP. Tusco - 3• Altri Tempi P. Tusco - 4• Il tesoriere sulfureoP. Tusco - 4• Il pastore errante senza più greggeP. Tusco - 5• Il vento del cambiamentoP. Tusco - 6• E se l’orco fosse innocente?P. Tusco - 6 • L’infame commediaP. Tusco - 7/8• I furbacchioniP. Tusco - 7/8• I furbacchioni (parte seconda e terza)P. Tusco - 9• I furbacchioni (V e VI episodio)P. Tusco - 10• Come faremo senza di loro?P. Tusco - 11• E’ tutto inutile. Fanno finta di non capireP. Tusco - 12

Cultura• Leggere è rileggere. La minestra di verdura. A

proposito di Controcorrente di J.-K. HuysmansG. Balella - 1• Leggere è rileggere. Il gigante e il nostro cuore.

Riflessioni sui racconti di Guy de MaupassantG. Balella - 2 • Leggere è rileggere. Il turismo dell’anima: Morte

per acqua di T.S. EliotG. Balella - 3• La vittoria del “film da Oscar”S. Orazi - 3• Leggere è rileggere. Quel che resta della luna, il

fascino di Darthùla, poema ossianicoG. Balella - 5

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LAVORO ITALIANO

• Leggere è rileggere. Il sentimento della vigilia.E’ proprio impossibile la gratitudine?

G. Balella - 6• Proposta Uil Unsa: riduzione dell’aliquota iva al

10% per opere di espressione artisticaN. A. Rossi - 6• Leggere è rileggere. No hay camino; oppure c’è?G. Balella - 7/8• Un racconto infantile particolare e significativoA. Carpentieri - 7/8• Il lungo viaggio di Harry PotterS. Orazi - 7/8• Leggere è rileggere. Cine Yara: HabanastationG. Balella - 9• Leggere è rileggere. Retori in versi, E non, E il

Carducci?G. Balella - 12• Le idi di marzo di George ClooneyS. Orazi - 12

Economia• Uno sviluppo senza lavoro?G. Paletta - 1• La proposta Holland per la ripresa europea di

Galéon PinotA cura della Redazione - 1• Il governo italiano e la speculazione internazio-

naleV. Russo - 1• Per il sindacato europeo solo gli e-bond di

Tremonti, rivisti, salveranno il welfareG. Mele - 2• L’evoluzione della democrazia. Dalla Repubblica

fondata sul lavoro al laissez-faireG. Paletta - 2 • Il sisma e l’impatto sull’economia mondialeG. Paletta - 3• Per non perdere una generazione di giovaniA. Croce - 4• Il ruolo delle agenzie di rating nella crisi dei

debiti sovrani. Eccessi e paradossiA. Ponti - 4• Salari bassi e cuneo fiscale elevato. Cresce la

pressione sulla retribuzione realeG. Paletta - 5• Le buone intenzioni del G20 hanno le gambe

corteA. Ponti - 5• Crisi finanziaria e debiti sovraniG. Paletta - 6

• Il grande bluffA. Ponti - 6• Whatever works (basta che funzioni)A. Ponti - 7/8• Un altro Patto per la crescita come nel 2002?V. Russo - 7/8• L’economia del narcotraffico e il suo possibile

smantellamento legalizzando le drogheA. Carpentieri - 9• La pensione non è una benevolenza dello StatoG. Paletta - 9• Alcuni scenari di riforma del settore finanziarioA. Ponti - 9• Un crollo simbolicoA. Carpentieri - 10• Crescita e debito sovrano: dove va l’Europa?C. Cedrone - 10• La stabilità monetaria contro il lavoro e le politi-

che socialiG. Paletta - 10• La vera emergenza non sono i debiti ma la disoc-

cupazione giovanileA. Ponti - 10• Rigore e sviluppo devono marciare insiemeS. Roazzi - 10• Alla ricerca di una via d’uscita (Convegno The

Polis- Eurispes)P. N. - 11• Il gioco del cerinoA. Ponti - 11• Sovranità nazionale e pareggio di bilancioV. Russo - 11• I possibili impatti sulle forme pensionistiche

complementari del Dlg 28/2010 in tema dimediazione

M. Abatecola - 12 • Un triste NataleA. Carpentieri - 12• L’asta di liquidità a tre anni della Bce e la man-

cata fiducia dei mercatiM. C. Sole - 12

ElzeviroE se il nord…A. C. - 12

Il fatto/Editoriale• Democrazia, maggioranza e rappresentativitàA. Foccillo - 1

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Inserto IILAVORO ITALIANO

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• Sulle ali della libertàA. Foccillo - 2• Per un “uovo patto sociale”A. Foccillo - 3• La crisi del modello socialdemocratico e le

nuove esigenze della cittadinanza: il sindacatocome strumento

A. Foccillo - 4• Uscire dall’impasse e determinare sviluppo,

occupazione e potere d’acquistoA. Foccillo - 5• Siamo alla svolta?A. Foccillo - 6• Un nuovo modello economicoA. Foccillo - 7/8• Una nuova campagna della Uil: la riforma fiscaleA. Foccillo - 9• Legittimità e legittimazione democratica A. Foccillo - 10• Eppure bisogna uscirneA. Foccillo - 11 • E’ ancora forte il bisogno di sindacatoA. Foccillo - 12

Inserto• L’indagine del Rapporto Censis 2010 sulla situa-

zione del PaeseP. Nenci - 1• Indice di Lavoro Italiano 2010P. Nenci - 1• Le due Italie e tutte quelle bandiere nelle strade

delle nostre città nel 1961 (Unità d’Italia I)P. Nenci - 2• Dieci capitoli del XXIII Rapporto Italia di

EurispesP. Nenci - 3• Le difficoltà del nuovo Stato e un’economia tutta

da costruire (Unità d’Italia II)P. Nenci - 4• Redditi dichiarati, redditi evasi e imposte recupe-

rateA cura del Servizio politiche fiscali e previden-ziali - 5• Anche il mondo del lavoro fece la sua parte

(unità d’Italia III)P. Nenci - 5• Dopo la sentenza su Osama Bin Laden. Giustizia

è fatta?P. Nenci - 6• La comunicazione pubblicitaria, substrato della

nostra societàP. Nenci - 7/8• Le quattro sanguinose giornate di Milano del

1898P. Nenci - 9• Il piccolo grande mondo dei lavoratori della terraP. Nenci - 10• L’annosa irrisolta questione meridionaleP. Nenci - 11• Il piccolo grande mondo della famiglia di oggiP. Nenci - 12

InternazionaleL’Islam si rinnovaP. Nenci - 4

Intervista• Cesare Damiano: Un sindacato unito contribui-

rebbe a battere il neoliberismoP. Nenci - 2• Gian Maria Fara: Le nostre grandi potenzialità

non riescono a diventare fonte di energiaP.N. - 10

Lavoro• Il mediatore civileF. Tarra - 2

La recensione• Riedita la Guida alle rappresentanze sindacali

unitarie: il sindacato nei luoghi di lavoro (a curadi Antonio Ascenzi)

P.N. - 2• Riflessioni di un protagonista sulla politica dei

redditi e la concertazioneN.A. Rossi - 3• Immagini dell’Impero. Storia fotografica degli

italiani in A.O.I.F. Di Lalla - 10• Quale sindacato per il nuovo millennio?S. Danesi - 12

Il ricordo• Giancarlo Fornari: uno di noiS. Tutino - 1• Ad un mese dalla scomparsa di Giancarlo

Fornari: abbiamo perso un uomo di valoreP. Nenci - 1• In ricordo di Antonio LandolfiG. Salvarani - 3

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Inserto II

Gennaio 2012 - n. 01

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LAVORO ITALIANO

• Antonio LandolfiP. Saija - 4• Una testimonianza sulla figura di Bruno VisentiniG. Benvenuto - 11

Primo Maggio• Primo Maggio: un romanzo tra memoria e rap-

presentazioneS. Gambari - 5• Primo Maggio: Edmondo De AmicisP. Saija - 5

Sindacale• Mirafiori il giorno dopoG. Cortese - 1• Fiat: referendum a MirafioriR. Palombella - 1• Salute e sviluppo nella Sanità che cambiaA cura del servizio Politiche di cittadinanza esalute - 1• La Ces va a congresso: idee forti per battere la

crisi economicaL. Visentini - 1• Non dobbiamo rinunciare alla nostra identitàB. Attili - 2• Dall’Uniat all’UniatF. Pascucci - 2 • Campagna Uil: Meno costi della politica = meno

tasseA cura del servizio Politiche territoriali - 2• 2011. Il risveglio del MediterraneoA. Rea - 2• Sanità privata: necessario un intervento a tutto

campo - 2G. Torluccio - 2• Valori e propostaR. Vanni - 3• Una piattaforma per un nuovo modello di bancaM. Masi - 4• I sindacati dei pensionati a Venezia per il VI con-

gresso FerpaG. Salvarani - 4• Decreto omnibus: abrogazione delle disposizioni

relative alla realizzazione di nuovi impiantinucleari

P. Carcassi - 5• Elaborazione Uil sulle dichiarazioni dei redditi

2010D. Proietti - 5• Alto Adige Sud Tirol: rivendichiamo una forte

politica socialeT. Serafini - 5• Stati generali delle costruzioni 2011: qualità del

lavoro e del costruire, formazione e tutelaA. Correale - 6• Fincantieri e non soloP. Massa - 6• Attendere, pregoG. Pirone - 6• Castellammare, ovvero i cantieri navaliG. Sgambati - 6• Crisi economica e territorio: l’Italia che fatica a

ripartire!G. Stamegna - 6• Bilancio Ital: innovazione e investimentiG. De Santis - 7/8• Banche e assicurazioni, rinnovi contrattuali lon-

taniF. Furlan - 7/8• Fincantieri: una crisi annunciataM. Ghini - 7/8• Bilancio sociale: l’Ital mette enfasi sul consuntivoS. La Ragione - 7/8• L’Europa e l’Italia di fronte ai fermenti del

NordafricaP. Nenci - 7/8• Manovra finanziaria: un altro schiaffo ai dipen-

denti pubblici G. Torluccio - 7/8• Amianto: a che punto è la notteUfficio politiche della cittadinanza - 7/8• XII Congresso Ces: la crisi e la nuova governan-

ce europeaL. Visentini - 7/8• L’Abruzzo cerca di uscire dal girone infernaleR. Campo - 9• Lavoro dignitoso per i lavoratori migranti in

situazione di precarietàG. Casucci - 9• Un contributo della Uil-Rua al nuovo presidente

del CnrA. Civica - 9• La scuola, sede di integrazione, coesione sociale,

innovazione, ricerca. Ma ha bisogno di sceltelungimiranti

M. Di Menna - 9• I cento anni di attività dell’Agenzia Onu del

lavoroP. Nenci - 9• La formazione sindacale. Un percorso storico:

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Inserto IILAVORO ITALIANO

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dal docente al computer (e ritorno)P. Saija e R. Calzolari - 9• La crisi è una grande occasione di cambiamento,

impone di ripensare l’Europa che vogliamoL. Visentini - 9• Relazioni sindacali nella P.A. per valorizzare il

servizio pubblico e lo sviluppo del PaeseB. Attili - 10• Stranieri residenti e diritti di cittadinanza: riav-

viare il dialogo sulle pdl già presentateG. Casucci - 10• 50° anniversario della Carta sociale europeaG. Cortese - 10• Il Nobel per la pace alle donne africaneM. Mannino - 10• Avviata la trattativa per Termini ImereseR. Palombella - 10• Ridateci l’Italia. Ora le riforme per il lavoroD. Proietti - 10• Puglia: la crisi è vissuta con preoccupazione e

speranzaA. Pugliese - 10• Sabato 15 ottobre: Roma bloccata!L. Scardaone - 10• Riflessione sulla Basilicata. Il sudC. Vaccaro - 10• Un patto di genere per la salute e la sicurezza sul

lavoroM.P. Mannino - 11• La speranza riparte dai giovani con gli stivali di

gommaP.A. Massa - 11• Oltre l’emergenzaG. Menis - 11• Alenia: intesa raggiunta coi sindacati sul Piano di

rilancioUfficio stampa Alenia - 11• Fra tagli e sacrifici l’edilizia resta un volano per

la ripresaA. Correale - 12• Disabilità e lavoro, un legame indissolubile per

una vera integrazioneS. Ricci - 12• Una ricorrenza: L’adesione della Uil all’IcftuP. Saija - 12• La flessibilità possibile: parliamo di sommini-

strazioneD. Silvestri - 12

Società• Nell’epoca dell’I-tutto la lingua italiana dov’è e

dove va?M.C. Mastroeni - 1• Contestazione? Impegno politico? “Rivoluzione”?

o voglia e bisogno di partecipare?G. Salvarani - 1• Il deficit strutturale del mercato alimentare glo-

bale: aumenti dei prezzi, prodotti poco sicuri erischio di rivolte

G. Zuccarello - 1• Indignati e non soloG. Salvarani - 6• Ripensare il modello di cittadinanza, di società e

di contratto socialeG. Casucci - 12

Speciale L’Aquila• Il Patto per lo sviluppo dell’AbruzzoR. Campo - 5• Abruzzo: da regione ‘canaglia’ siamo diventati

regione ‘virtuosa’G. Chiodi - 5• La priorità è garantire la ricostruzione del tessuto

economico e socialeP. Paolelli - 5• Storia di una ricostruzione virtuale senza inizio e

senza fineM. Cattini - 6

150 anni dell’Unità d’Italia• Mezzogiorno e Risorgimento. Una Unità da com-

pletareA. Ghirelli - 1• Per amore di PatriaD. Proietti - 3• Il lungo percorso dell’Unità dal Risorgimento ai

giorni nostriS. Roazzi - 3• Il progressivo contributo del mondo del lavoro

all’Unità d’ItaliaP. Neglie - 6• 1911: anno socialmente difficile e con una guerra

in corsoP. Nenci - 6

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Inserto II

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VIII

LAVORO ITALIANO

GLI AUTORIM. Abatecola - nn .2, 7/8, 12A.C. - n. 12B. Attili - nn. 2, 10G. Balella - nn. 1, 2, 3, 5, 6, 7/8, 9, 12M. Ballistreri - n. 6R. Bellissima - n. 11C. Benevento - n. 4G. Benvenuto - n. 11R. Campo - nn. 5, 9R. Calzolari - n. 9P. Carcassi - n. 5A. Carpentieri - nn. 2, 7/8, 9, 10, 11, 12G. Casucci - nn. 3, 9, 10, 12M. Cattini - n. 6C. Cedrone - n. 10G. Chiodi - n. 5A. Civica - n. 9A. Correale - nn. 6, 12G. Cortese - nn. 1, 10A. Croce - n. 4S. Danesi - n. 12M. De Angelis - n. 9G. De Santis - n. 7/8F. Di Lalla - n. 10M. Di Menna - nn. 3, 9G.M. Fara - n. 10A. Foccillo - nn. 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7/8, 9, 10, 11, 12F. Furlan - n. 7/8W. Galbusera - n. 3S. Gambari - n. 5M. Ghini - n. 7/8A. Ghirelli - n. 1I. Ippoliti - n. 9S. La Ragione - n. 7/8M.P. Mannino - nn. 10, 11A. Margelletti - n. 2M. Masi - n. 4P. Massa - n. 6P.A. Massa - n.11M.C. Mastroeni - nn. 1, 2, 5, 6, 7/8, 9, 10, 12G. Menis - n. 11

G. Mele - nn. 2, 4, 11P. Neglie - n. 6P. Nenci - nn. 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7/8, 9, 10, 11, 12S. Orazi - nn. 3, 7/8, 12G. Paletta - nn. 1, 2, 3, 4, 5, 6, 9, 10, 12R. Palombella - nn. 1, 10P. Paolelli - n. 5F. Pascucci - n. 2S. Pasqualetto - nn. 2, 5, 6, 11A. Passaro - nn. 1, 2, 3, 4, 5, 6., 7/8, 9, 10, 11, 12G. Pirone - n. 3, 6Politiche cittadinanza e salute - n. 1, 7/8Politiche fiscali e previdenziali - n. 5Politiche territoriali - n. 2A. Ponti - nn. 4, 5, 6, 7/8, 9, 10, 11D. Proietti - nn. 3, 5, 10, 11A. Pugliese - n. 10A. Rea - nn. 2S. Ricci - nn. 10, 12S. Roazzi - nn. 3, 10N.A. Rossi - nn 3, 6V. Russo - nn. 1, 7/8, 11P. Saija - nn. 1, 3, 4, 5, 9, 12G. Salvarani - nn. 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7/8, 9, 11A. Scandura - nn. 3, 4L. Scardaone - 10T. Serafini - nn. 5, 7/8G. Sgambati - n. 6D. Silvestri - n.12M.C. Sole - n. 12G. Stamegna - n. 6F. Tarra - n. 2G. Torluccio - nn. 2, 7/8P. Tusco - nn. 2, 3, 4, 5, 6, 7/8, 9, 10, 11, 12S. Tutino - n. 1C. Vaccaro - n. 10R. Vanni - n. 3S. Veronese - n. 2L. Visentini - nn. 1, 7/8, 9Ufficio stampa Alenia - nn. 10, 11 G. Zuccarello - nn. 1, 2

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