le cose che non si dicono - chiara rodeghiero
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Chiara Rodeghiero
Le cose che
non si dicono
Alla Rella
Chiara Rodeghiero – Le cose che non si dicono
1
stanca
di voltarsi
tramonti svaniti
da terra
stelle
in
Chiara Rodeghiero – Le cose che non si dicono
2
Le cose che non si dicono
Le cose che non si dicono aleggiano sopra di noi come nubi
silenziose.
Quando se ne accumulano troppe diventano pesanti ed iniziano a
colare sulla fronte e sul collo. Le si scambia spesso per gocce di
sudore , e non ci si fa caso.
Ma, a ben osservare, hanno una consistenza , piuttosto
oleosa.
Alcune persone si ritrovano con i capelli sempre unti, e non
capiscono il perché. Invano, provano shampi e balsami di tutti i
tipi. Poi, per non fare brutte figure, spiegano che è ‘il gel effetto
bagnato’.
Le cose che non si dicono colano sulla pelle, la rendono
liquida, invadono i pori.
Certe persone corrono dal dermatologo e comprano creme
costosissime, che non serviranno a niente.
Hanno una nuvola sopra la testa, ma loro non lo sanno.
C’è chi invece se ne accorge e, eliminarla, escogita
trucchetti per non sporcarsi: così può continuare ad
alimentarne la massa col suo silenzio pieno di cose non
dette.
Bisogna ben guardarsi da di questo tipo.
E’ facile notarli: portano sempre dei cappelli in testa, o delle cuffiette,
anche mentre dormono. Indossano mantelle, k-way e aprono gli
ombrelli anche quando c’è il sole.
Chiara Rodeghiero – Le cose che non si dicono
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Ma le cose che non si dicono, quando arrivano a pesare
tonnellate, possono causare disastri e alluvioni.
E allora, loro non lo sanno, ma un ombrello non serve a
nulla.
Chiara Rodeghiero – Le cose che non si dicono
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Inno al polpastrello
Gioco a tamburellare con i polpastrelli sul vetro: fanno un suono
tondo, di pelle asciutta. Provo a chiedere al mio polpastrello se
sente il contatto con la superficie fredda. Che nome poi:
„polpastrello‟. Un giorno qualcuno si è messo lì seduto a guardarsi
le punta delle dita e si è domandato „e queste, come le
chiamiamo?‟. Forse aveva appena mangiato la polpa di pomodoro e
non si era lavato le mani, forse era un tipo un po‟ in carne e le sue
dita erano polpose, forse aveva la passione di pescare polpi, forse il
dottore gli aveva trovato i polipi. Forse amava dipingere coi pastelli
e poi ci dava dentro col bricolage coi suoi polpastrelli, e la sera
prima di dormire li tamburellava sui vetri per sgranchirseli. Oppure
non faceva nulla di tutto ciò e di notte guardava i film
dimenticandosi di avere persino le dita, figuriamoci i polpastrelli.
Polpastrello. Che potrebbe essere anche un nome da pipistrello,
oppure una marca di rastrelli.
Sta di fatto che i suddetti non godono di una gran sensibilità, se non
li alleni bene. A volte si danno le cose per scontate quando tocchi
qualcosa, ed è come non toccarlo veramente: l‟occhio precede il
tatto, e allora tanto vale guardare e basta.
Ad esempio, mi tocco il ginocchio, sempre usando uno dei dieci
polpastrelli di cui sono dotato. Lo sto toccando, e lo sento. Ma è il
signor polpastrello che sente il ginocchio o è il ginocchio che sente
il polpastrello? Mi soffermo a capire da che polo del mio corpo
viene questa presa di coscienza. Non trovo risposta, in realtà non
sento niente.
Abbraccio una lastra di vetro come se fosse un cuscino e mi
addormento.
Chiara Rodeghiero – Le cose che non si dicono
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Il paese dove le cose non si dicono mai
Avevo una vicina di casa una volta, quando abitavo nel paese dove
le cose non si dicono mai. Questa vicina aveva la strana mania dei
volantini pubblicitari che arrivano per posta. Si svegliava alle 7
ogni mattina e si piazzava davanti alla sua cassetta, ad aspettare che
arrivassero i ragazzi che li distribuivano porta a porta. Tutti erano
convinti che fosse la portinaia.
Per lei la pubblicità era la cosa più colorata del mondo e riceverla
le metteva allegria.
Da anni collezionava negli scaffali in soggiorno tutti i depliant e i
volantini dividendoli per sfumatura di colore. Non era cosa facile,
spiegava, perché quando arrivano quelli dei supermercati che sono
pieni di colori non si sa bene da che parte collocarli. Certo, c‟è
sempre una certa prevalenza di giallo e di rosso, ma specie nei
periodi promozionali c‟è un tale miscuglio di colori freddi e caldi
insieme che non si sa proprio dove metterli. E allora si fa una
scelta, si mette il tutto su una bilancia e si decide se c‟è più giallo o
più blu. E‟ dato di fatto che i colori freddi pesano di più, quindi
bisogna tener conto d‟un certo margine d‟errore in difetto,
esprimibile con la seguente formula: caldo = pigreco freddo/2.
Eppur questa formula, spiegava la mia vicina, vale solo per i
volantini dei supermercati, mentre per quelli delle palestre, dei
finanziamenti a tasso zero, dei massaggi a domicilio e delle pompe
funebri cambiano le regole. Innanzitutto è indispensabile
razionalizzarne il campo cromatico. Dividere la sfumatura in colore
esteriore e colore interiore. Il primo è il colore così come appare. Il
secondo è il colore visto con l‟occhio di un daltonico. La mia
vicina aveva degli occhiali apposta per vedere le cose in modo
daltonico.
Diceva che così il colore mostra tutti i suoi caratteri, ed è un
passaggio indispensabile se si vuole catalogare il volantino senza
Chiara Rodeghiero – Le cose che non si dicono
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paura di sbagliare. Conoscere il colore in tutte le sue sfaccettature,
andare a fondo nella sua psiche, non soffermandosi alla
superficialità. Diceva ad esempio che le pubblicità delle palestre,
apparentemente dai colori vispi e tonici, se uno li guarda con gli
occhi di un daltonico prendono sfumature fiacche e poco salubri.
Al contrario, i volantini delle pompe funebri celano colori frivoli e
frizzanti.
I bianchi e i neri, essendo colori assoluti, occupavano due scaffali
agli estremi opposti del soggiorno della mia vicina. Quello dei
bianchi era posizionato di fronte alla finestra, perché la luce ne
conservasse il candore. Per rientrare nella categoria dei volantini
bianchi non dovevano contenere più del 4,3% di inchiostro nero o
colorato. La mia vicina calcolava quindi la superficie totale del
foglio e con una formula algebrica complicatissima ne stimava la
percentuale di inchiostro nero o colorato contenuto. Sottraeva tare,
lodava lordi e barava netti. Se la percentuale del colore superava di
poco la soglia consentita, allora ritagliava qualche lettera con le
forbicine, e lasciava dei buchetti. Le lettere ritagliate non le
buttava, le metteva tutte in una scatola e giocava a comporre frasi.
Viceversa i volantini neri potevano contenere al massimo il 4,3% di
inchiostro bianco o colorato. La mia vicina copriva qualche parola
di troppo con la pece e la morfina. Questo scaffale era coperto da
un telo di stoffa pesante, perché sennò i neri si sbiadivano, a lungo
andare.
Un giorno la mia vicina smise di collezionare volantini pubblicitari.
Dicono che una mattina ricevette una lettera: una busta bianca, con
un foglio dentro.
Il giorno dopo la sua casa era vuota: se n‟era andata senza dire
niente, come facevano tutti nel paese dove le cose non si dicono
mai.
Chiara Rodeghiero – Le cose che non si dicono
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MUTILATO
A incontra B e capiscono di essere simili dal primo sguardo.
Parlano e forse ridono un po‟.
Capiscono di essere veramente simili quando notano di avere la
stessa quantità di piedi e di mani (in numero qui non precisato).
A era molto bello, viziato, insaziabile, amava dominare la scena e
parlava omettendo le consonanti.
B odiava le vocali e le parole con l‟accento, collezionava imbuti e
starnutiva quando vedeva qualcosa di blu.
A non prendeva mai l‟aspirina, per una questione di principio, e
adorava imitare il verso del tordo australiano.
B cenava solo a lume di candela, odiava l‟odore della candeggina e
la marmellata di castagne.
A faceva la spesa senza carrello, si lavava i piedi facendo i
gargarismi e dopo colazione dava da mangiare alle rane nello
stagno.
B portava un anello di perla di cozza, suonava l‟organo e aveva un
gatto senza coda.
Durante una cena a lume di candela, A contava romanticamente i
piedi e le mani di B, scialacquando sommesse parole piene di
vocali.
B guardava A con occhi fertili gongolandosi in quelle dolci
dichiarazioni, e contando e ricontando mani e piedi del compagno.
Assurda combinazione, strepitosa coincidenza trovare un essere
dotato di egual numero di arti! Né più ne meno, era segno del
destino.
Ma fu durante quella cena di sapiente passione e di raffinate
pietanze che A si tagliò accidentalmente un arto affettando una
coscia di merluzzo.
Osservando il compagno mutilato, B tornò a contare i propri arti. E
poi quelli dell‟altro, e ancora i propri, e quelli del compagno.
Chiara Rodeghiero – Le cose che non si dicono
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Cercando rassicurazioni sulla somiglianza con lui, si perdeva coi
numeri, e non si capacitava che i conti non tornassero.
Poi finalmente capì, si alzò, e se ne andò a cercare qualcuno che
avesse tante mani e tanti piedi quanti lui ne aveva.
Chiara Rodeghiero – Le cose che non si dicono
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Valentina
Quando Valentina si spogliò la prima volta pensai che doveva
essere stata investita da un treno.
La sua pelle bianca era cucita e ricucita, una bambola di pezza dalle
mille cicatrici. Il seno sodo era al tatto un piacevole trastullo, ma il
capezzolo nero stonava: un bottone cucito.
Il mio sguardo percorse la verticalità del suo corpo, così come si
presentava, guardavo il suo ombelico e con un dito lo penetrai.
Aveva una circonferenza di una decina di centimetri, e potevo
rigirarci mezza mano senza problemi. Ci infilai un braccio,
aspettandomi di ritrarlo insanguinato ma così non fu.
Avvicinai il naso al suo pube e sentii un odore di campo di
papaveri. Ripensai al viaggio in Olanda quando avevo 20 anni.
Pensai ai mulini, e scesi verso i bassi fondi, immersi le dita in un
fiume fresco che era il suo pube.
Era bagnata fino al midollo. Cominciai a spargere quel liquido
tutt‟attorno, fino a bagnarle le labbra. I piedi. I capelli. Le
ginocchia.
Mi lavai gli occhi e mi tolsi il sonno dalle membra, poiché non mi
ero ancora del tutto svegliato. E dopo essermi lavato la faccia per
bene le dissi „ora ho bisogno di un caffè‟.
Chiara Rodeghiero – Le cose che non si dicono
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PORNO
L‟occhio languido nel buio velato della stanza, sdraiata tra le
lenzuola Laila segue con lo sguardo la sagoma di quell‟ometto
gracile e ossuto che, ancora spasimante, si riveste lentamente.
A letto è un disastro. Spesso si chiede perché mai l‟abbia sposato...
Osserva l‟ombra nera che il suo corpo esile proietta sulle pareti,
facendolo sembrare dieci volte più imponente, e immagina che essa
possa staccarsi dai muri e strisciare fino al suo letto per riempirla di
un piacere che con suo marito non ha mai provato... Insinuandosi
tra le sue cosce, assaporerà la sua essenza, mentre con le dita
percorrerà ogni centimetro della sua pelle, scrutando in ogni piega
della sua femminilità.
Laila inizia a toccarsi mentre pensa ad una lingua che le sfiora il
clitoride, prima lentamente poi sempre più insistente... un
incessante movimento rotatorio che le dà i brividi in tutto il corpo.
Sempre più intenso... un‟eccitazione che cresce ogni secondo,
inarrestabile come un tornado. Il Grande Uomo d‟Ombra le offre il
suo grosso membro teso, glielo porge davanti al viso mentre
affonda ancora la testa tra le sue gambe. Lei lo prende tra le labbra,
sensualmente lo accarezza con la lingua, poi lo succhia piena di
libidine riempiendosi la bocca più che può, fino alla gola.
La lingua dell‟Uomo Nero si spinge verso i bassifondi umidi e
remoti di Laila ed entra dentro di lei gustandone il sapore, mentre
con le dita le allarga le grandi labbra.
Il corpo di Laila è tutto un fremito...
Grondante di eccitazione, Laila dirige il membro turgido
dell‟Uomo verso la sua fregna bagnata e dilatata. Esso sembra
trovare la strada da solo, e in un attimo è dentro di lei.
La scopa con violenza, la sbatte senza pietà, la tira a sé per
possederla totalmente. La forza dell‟Uomo d‟Ombra è tanta che
Laila se ne sente sopraffatta, sembra che lui la voglia quasi
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soffocare... La penetra con un tale ardore, come volesse entrarle
dentro con tutto il corpo, e lacerarla.
Laila gode, sente di essere dominata, le piace il movimento di
quell‟Uomo, così forte...
Sente una vampata di calore che parte dalla pancia e l‟avvolge
come un fuoco, è pervasa da brividi lungo la schiena, sente il suo
corpo pulsare in un crescendo ritmico che esplode in un boato
dentro di lei. Urla, Laila, mentre viene, e si appresta a ricevere gli
ultimi colpi prima che l‟Uomo d‟Ombra la bagni col suo piacere...
Poi lui la riempie col suo sperma, le viene dentro, e Laila
rabbrividisce nel sentire i liquidi caldi dell‟Uomo congiungersi ai
suoi, in un‟effusione di odori e sapori. Ama quel profumo di
sesso...
“Sei bagnata, amore...”
Eccolo lì, l‟ometto gracile e ossuto. Appena uscito dal bagno, con
la sua faccetta compiaciuta, lavato e pulito pronto per andare al
lavoro.
“E‟ stato bello anche per me, peccato che ora devo andare in
ufficio, altrimenti ti fotterei tutto il giorno”
Laila non risponde, rimane inerme distesa sul letto fissando le
pareti bianche della stanza.
Ha acceso la luce, il pivellino, e il Grande Uomo d‟Ombra si è
dissolto nel nulla, insieme a tutte le fantasie di Laila.
Il marito evidentemente compiaciuto per le proprie performance
sessuali, bacia Laila sulla fronte prima di uscire dalla porta.
“A stasera, amore. Vedrai che faremo il bis”.
Chiara Rodeghiero – Le cose che non si dicono
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AlfaPsico
Prendo Anxiolit un paio di volte al giorno giusto quando sono
stressato per cui non badare se a volte sono un po‟ ansioso, ma
basta un po‟di Chloradurat che ritorno col sorriso, certo un po‟da
ebete, ma una buona dose di Dalmadorm mi fa sembrare quasi
intelligente, e poi ci dormo su. Quando mi sveglio faccio colazione
con del sano Entumin che ti dà il giusto equilibrio, e di solito ci
mischio del Floxyfral oppure del Gamonil. Non chiedetemi quale
preferisco tra l‟Haldol o l‟Imap, poiché son due cose estremamente
diverse, ma quando non ce la faccio più mi do‟ al Largactil. L‟altro
giorno assaporavo il mio Melleril quando mi prese la smania di
avere del buon Noctamid allora uscii a procurarmelo portandomi
dietro la confezione di Oblivon, che non si sa mai, ma sbagliai e
presi la scatola dell‟Orap. Fa niente, va bene lo stesso. Mia zia mi
rifornii di Pertofran e con l‟occasione ingoiai un paio di
Quilonorm. Tornato a casa prima del mio riposino mi feci di
Risperdal giusto il necessario per prepararmi ad assaggiare il
Semap, e mentre sognavo, il Temesta mi girava in testa e col
flacone di Urbanyl in mano annegai in un mare di Valium.
Chiara Rodeghiero – Le cose che non si dicono
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Scivolo
Scivolo su un ramarro e mi rammarico. Raccolgo le foglie bagnate
e costruisco una ragnatela da fare invidia ai ragni del quartiere. Il
lago è bagnato e ci verso le farfalle bruciate dal vento gelato. Mi
trovo sola sul letto rovente di sesso e bagnato di brina di questa
mattina. Ma covare uova fresche non può che causare guai, e me ne
guardo bene. Rigiro pane e sequoie trovate per caso rincasando e
accarezzo il ramarro catarroso che ormai giace sul ciglio. Mi
aggrappo a un sopracciglio e batto il battiscopa ruotando bulbi
oculari repressi, unendo gioiose tristezze sul far dell‟alba.
E‟ bello dire cose senza senso quando sei triste, e dire cose con
senso non avrebbe senso perché tanto non interessano a nessuno.
Catturo polli autostradali con la speranza di aprire un casello e
vincere la lotteria. Dolce è la batteria quando si scarica, e il caffè
amaro quando non c‟è lo zucchero. Colleziono perdigiorno per
ritrovare la voglia di avere voglia. Rotolo su carta igienica usata e
spero che la cacca evapori e piovano calamari.
Miro e ammiro ma non stiro.
Chiara Rodeghiero – Le cose che non si dicono
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Questionario di una prostituta
Con le mani ancora umide dei nostri liquidi mi porse un fascicolo
di una mezza dozzina di fogli. Poi chiese il permesso di ritirarsi alla
toilette, per sistemarsi. Nudo sul letto sfogliai le pagine, e lessi.
Barrare il grado di soddisfacimento, per ogni domanda, in scala
da 1 a 10.
1. Pensa che il rapporto qualità-prezzo sia adeguato?
2. Consiglierebbe il servizio ad un amico?
3. Il suo giudizio sulle condizioni igieniche.
4. La prestazione orale è stata di suo gradimento?
5. Dia un giudizio complessivo al rapporto consumato.
6. ...
A seguire c‟era un ampio spazio vuoto in cui avrei dovuto inserire
osservazioni e critiche tese al miglioramento del servizio. Veniva
richiesta la mia mail, per ricevere addirittura una newsletter.
Era la prima volta che mi capitava di compilare un questionario di
tal genere dopo una scopata. Apprezzai comunque la premura che
Jàmilla, così diceva di chiamarsi, dimostrava verso i suoi clienti.
Era effettivamente una di classe, curata e profumata a dovere, mica
una di quelle donnacce di strada. Lavorava in proprio e riceveva gli
„ospiti‟ a casa sua, un openspace al quarto piano di un elegante
palazzo vicino al centro.
Compilai il questionario velocemente, assegnando generosamente
10 a tutte le domande.
Quando Jàmilla uscì dal bagno di nuovo truccata pettinata e vestita
raccolse i fogli dalle mie mani e ci diede un‟occhiata. Notai il suo
disappunto nel vedere i miei „10‟ scribacchiati di fretta come se
neanche avessi letto le domande, e gli spazi vuoti nelle
„osservazioni e critiche‟. Feci un sorrisino ebete, come per dire „era
Chiara Rodeghiero – Le cose che non si dicono
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tutto perfetto‟.
“Deve vestirsi, signor Erre” disse composta e severa “c‟è un altro
cliente dopo di lei”.
E infatti, quando uscii nell‟atrio vidi un signore sulla cinquantina
che leggeva una di quelle riviste per uomini, seduto sulla poltrona
rossa di Jàmilla.
“Prego, è il suo turno” disse la donna, affabile e professionale come
la segretaria di uno studio medico, e quello interruppe subito la
lettura.
Un paio di giorni dopo ero in ufficio e come ogni mattina aprii la
posta elettronica.
Cari clienti -diceva la newsletter numero 1 di Jàmilla- in allegato
vi mando la statistica dei questionari a cui avete risposto durante
le vostre frequentazioni. Volevo inoltre informarvi che da oggi per
tutto il mese di marzo potrete usufruire di uno sconto sulle attività
orali. Vi aspetto, Jàmilla.
Effettivamente sapeva farsi pubblicità. La volta successiva che
andai al suo „studio‟ c‟erano già cinque uomini in attesa nell‟atrio.
Un cartello appeso sopra il divano ricordava ‘il mese dell’attività
orale’, con sconto del 40% sul prezzo. Inoltre Jàmilla includeva
nell‟offerta sconti per pulizie dentali grazie alla convenzione con
un tale dentista dottor Pi, ovviamente cliente affezionato.
Ebbi da aspettare parecchio, ma d‟altra parte si sa che in periodo di
saldi è così.
La settimana successiva arrivò un‟altra newsletter, la numero 2.
Gentili clienti -diceva- sono lieta di annunciarvi che è partita la
lotteria che vi darà l’opportunità di vincere fantastici premi! Più
saranno le vostre visite e maggiori saranno le possibilità di essere
estratti! In palio:
3°premio: una notte non-stop di prestazioni gratuite
2°premio: cena offerta presso il ristorante ‘da Gi’ e
pernottamento presso Motel dieci stelle luxor in suite con
idromassaggio e prestazioni eccezionali
1°premio: week end a Tremori Island, tutto incluso, alloggio
presso hotel del signor Acca, quindici stelle, passeggiata pseudo
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romantica sul lungo Dravo e due giorni si prestazioni deluxe. La
seconda notte è prevista la presenza di un’ulteriore collaboratrice
(in allegato foto e curriculum)
Felice di potervi offrire questa occasione, auguro a tutti buona
fortuna! Vostra Jàmilla.
Non sono mai stato un tipo da enalotto, lotterie e bingo. Tuttavia,
essendo ormai cliente abituale di Jàmilla, divenni più assiduo nelle
mie visite, che non si sa mai.
Non vinsi nulla.
Era comunque un grande affare frequentare Jàmilla. Meglio di un
supermercato. Ogni giorno cambiava la merce in vetrina, o per lo
meno era così brava a rigirarla sugli scaffali che ti sembrava fosse
sempre una novità.
Le sue mail raggiungevano i clienti, sempre più numerosi, ad ogni
angolo della città, e proponevano offerte vantaggiosissime. Oltre a
servizi sessuali a prezzo competitivo, Jàmilla distribuiva buoni
sconti per il supermercato, la farmacia e l‟idraulico.
Il suo giro di clienti si ampliava di giorno in giorno.
Aprile era ‘il mese della sega’, così inventò una campagna
pubblicitaria d‟effetto in cui, oltre alle ovvie prestazioni sessuali,
pubblicizzava il falegname della bottega all‟angolo di via Pozz, a
pochi metri dall‟ ‟ufficio‟ di Jàmilla. Cosicché questo ricambiò il
favore costruendole due divani elegantissimi in legno di frassino
con dei gargouille scolpiti e vari intarsi d‟oro. Perfetti per la sala
d‟aspetto di Jàmilla, dove intanto si accodavano sempre più clienti.
Presto comparve la macchinetta con il numerino, come dal
macellaio, così non si litigava per la precedenza e si poteva andare
a fumare un sigaro senza perdere la priorità.
A Maggio Jàmilla mise un distributore automatico di bevande nella
sala d‟attesa. Si fece costruire dal falegname una libreria e vi
espose delle riviste erotiche e fumetti porno. I clienti contribuirono
volentieri a portare i loro giornaletti, così „le mogli non li
avrebbero trovati in casa‟. Si creò una sorta di biblioteca, con tanto
di prestito e scambio. Venne da sé che a Giugno Jàmilla istituì una
tessera per i soci, e promosse ‘il mese della cultura porno’.
Chiara Rodeghiero – Le cose che non si dicono
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Organizzò addirittura degli incontri con gente famosa: venne
Citriolina Pomp, la famosa pornostar, che era stata sua compagna
di banco al liceo. Questa tenne una conferenza e furono proiettate
delle scene tra i suoi migliori film. Poi fu invitato Rocco Segafredo,
emblema del macho, che diede pratici consigli al pubblico con
varie dimostrazioni. E infine il signor Giulio Perduro, il nonno
novantaduenne di Jàmilla, vecchio lupo di mare, conforto ed
esempio per chi temeva con gli anni di perdere la propria virilità.
Da Jàmilla gli uomini trovavano un posto dove scambiarsi idee e
confrontarsi sui problemi. Divenne un vero e proprio salotto, e
all‟improvviso comparvero un bar vero e proprio e una cameriera
in vesti succinte. Era la nipote ventenne di Jàmilla, assunta per
l‟occasione.
A Luglio furono fatti grandi lavori di ampliamento del locale, e per
Settembre lo spazio si era triplicato.
La clientela anche.
Furono organizzate molte feste con ragazze nude, ballerine
professioniste di tét-a-tèt e contorsioniste capaci di annodarsi
attorno al collo dei clienti che a volte venivano scambiate per
cravatte.
E tutti bevevano champagne.
Jàmilla inventava sempre eventi diversi ed invitava ospiti di tutti i
generi: dallo zoologo specializzato nella riproduzione degli insetti
al nostromo disertore di sirenette, dalla suora che aveva
abbandonato il velo al commesso segaiolo del sexy shop.
Tutti gli ospiti presenziavano a titolo gratuito ma ne approfittavano
per farsi pubblicità, dato che ormai la casa di Jàmilla aveva la sua
buona fama. Per cui tutti ne avevano un tornaconto: i clienti
soddisfavano le proprie curiosità confrontandosi con persone di
ogni tipo e ascoltando storie diverse, mentre gli ospiti ne
guadagnavano in fama oltre che in prestazioni gratuite di Jàmilla.
Tra quiz erotici, elezioni di Mister Pisellone, spogliarelli,
discussioni, dibattiti sul sesso e letture animate del Tantra, Jàmilla
non perdeva occasioni per sponsorizzare chi la finanziava. Tutti le
facevano favori, e lei non se ne scordava mai.
A Dicembre si liberò l‟appartamento adiacente e Jàmilla lo comprò
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con i soldi guadagnati. Chiamò poi il signor Zeta, suo cliente, che
aveva un‟impresa edile e fece fare i lavori per collegare i due
appartamenti. A Gennaio era tutto finito, e il posto sembrava
immenso. La clientela sembrava aumentare per occupare tutto lo
spazio disponibile.
Non disponendo però dell‟intera cifra per pagare l‟impresa di
costruzione del signor Zeta, Jàmilla stipulò un accordo. Firmò una
carta in cui assicurava che entro un anno avrebbe incrementato il
fatturato dell‟azienda di un milione di euro.
A Febbraio promosse „il mese dell’ascolto’, ovvero al prezzo
ordinario della scopata si aveva diritto a trenta minuti di ascolto
gratuito, in cui si poteva parlare dei propri problemi. Jàmilla era
una brava ascoltatrice, e quando uno parlava prendeva perfino degli
appunti su un block notes e con la testa annuiva a più non posso.
A fine Febbraio inviò una mail che diceva:
Cari clienti, vi mando in allegato la statistica sui dati da me
raccolti durante ‘il mese dell’ascolto’.
Su un campione di 386 persone che ho avuto il piacere di
ascoltare, il 68% riconduce i propri problemi ‘alla moglie’, il 18%
‘alla convivente’, l’8% ‘al lavoro’ e il 6% ‘a un vuoto interiore’.
Deduco da questi sconcertanti dati che il problema che più affligge
il maschio moderno è la propria compagna (86%). Sono lieta
pertanto di comunicarvi che nel mese di Marzo il tema sarà
proprio questo: ‘la libertà dell’uomo d’oggi’.
Giovedì prossimo avremo come ospite il sessuologo psicologo
Andro dott. Logo.
Vi aspetto numerosi, vostra Jàmilla.
Il Giovedì seguente la sala era gremita di uomini. Jàmilla, avvolta
in un abito da sera elegante con uno spacco da vertigini, era
radiosa. Al fianco del dottor Logo, su un palchetto allestito per
l‟occasione, ammirava lo stuolo di maschi che era venuto ad
assistere all‟evento. Il pubblico che lei aveva tirato su e unito, i
suoi discepoli, i suoi amanti, i suoi amici. Il dottor Logo iniziò a
parlare con tono borioso, recitando statistiche su statistiche. Gli
occhi di Jàmilla vagavano su di noi, nella sala, e brillavano. Un po‟
Chiara Rodeghiero – Le cose che non si dicono
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perché anche lei amava le statistiche, un po‟ perché sentiva di
averci in pugno.
La settimana dopo fu la volta della psicologa Doriga dott. Leziosa,
le cui consulenze private erano comprese nel prezzo di un rapporto
sessuale con Jàmilla. Un affare dunque. Ovviamente tutti ne
usufruirono. La dottoressa, un armadio di novanta chili con due
braccia da Terminator, palesemente lesbica e spiccatamente
fascista, analizzava i problemi dei maschi frustrati e li induceva alla
„ricerca personale del proprio ego‟. Sosteneva che „nessun
individuo dovrebbe sottostare a deleterie convenzioni sociali che
portano a gestire innaturali legami monogamici, così lontani
dall‟indole animale che c‟appartiene‟.
La terza settimana di Marzo ci fu l‟incontro con Padre Visionario,
il quale aveva chiesto un permesso speciale per uscire dal convento
quel giorno, per fare un favore alla sua vecchia amica Jàmetta (così
la chiamava). Padre Visionario raccontò di essere stato un uomo
come tutti gli altri, vizioso e peccatore. Finché un giorno incontrò
una donna, se innamorò perdutamente e la sposò. Ma dopo qualche
anno lei già non era più la stessa, non rideva più, non diceva più
cose divertenti, puliva il pavimento cinque volte al giorno, girava
sempre con i bigodini in testa e non sopportava che suo marito
tornasse a casa dal lavoro perché sporcava a terra. Padre Visionario
(che a quei tempi non era Padre) soffriva tantissimo, e cominciò ad
andare in depressione. Cominciò a parlare da solo, e a ridere da
solo poiché non aveva più amici. E così si inventò un amico
immaginario, che chiamò Mio. Parlava sempre con Mio (questo
prima che inventassero l‟omonimo formaggino) e gli confidava
tutte le sue lagne sentimentali. Lo descrisse come un ometto dalla
faccia pallida, gli occhi gonfi contornati da occhiaie e il moccio al
naso. Aveva sempre una Gitanes in bocca e ne traeva grandi
boccate. Una sera Padre Visionario, dopo aver parlato per 4 ore
ininterrottamente con Mio, si addormentò con la bottiglia vuota di
vodka tra le mani. Ad un tratto sentì il suo amico che lo chiamava,
tirandolo per la camicia.
“Chi è?” chiese Padre Visionario intontito dal sonno.
“Sono Dio!” rispose la voce.
Chiara Rodeghiero – Le cose che non si dicono
20
“Sei Mio?”
“Sono Dio!”
Insomma Padre Visionario si precipitò al convento dei Sette
Miracoli e lì prese i voti. Non si capisce se la sua fu vera vocazione
(nonostante Dio non gli avesse chiesto di farsi monaco) o se il suo
amico immaginario Mio avesse voluto fargli uno scherzetto.
Qualcuno dice che fu tutta una messinscena della moglie, per
sbarazzarsi del marito pazzo.
“Vedete” concluse l‟incontro Padre Visionario “come un uomo
possa ridursi, in balia di una donna”.
L‟ultima settimana di Marzo Jàmilla tenne un rinfresco informale.
La stanze pullulavano di maschi in fermento, si annusava aria di
ormone impazzito, di frenesia sedata a calici di champagne e sorrisi
di ragazze in topless. Si udivano battiti accelerati all‟unisono, come
un grande timer prossimo a scoppiare.
Nel bel mezzo della serata Jàmilla salì sul palchetto e fece un
discorso con gli occhi che parevano due fanali.
“Amici cari, con grande gioia questa sera vi ho riuniti per offrirvi
un‟opportunità che da tempo tengo in serbo. Ho lavorato a questo
progetto studiandolo in ogni dettaglio per poter offrire, a chi di voi
lo vorrà, una fantastica occasione. Si tratta di una scelta definitiva,
un‟opportunità di redenzione.
Nel mese di Marzo abbiamo trattato il tema della vostra libertà, di
cui le vostre mogli e compagne abusano. Abbiamo ascoltato pareri
medici e testimonianze di vita vissuta, e siamo tutti qui per trarne
una sola conclusione: uomini, riprendetevi le vostre esistenze
finché siete in tempo!
Per questo, per aiutarvi, ho un pacchetto promozionale da offrirvi.
Si tratta di una nuova vita preconfezionata, al prezzo modico di
5000 euro. E‟ un‟offerta da cogliere al volo, prendere o lasciare.
Incluso nel prezzo avrete:
-una camera da scapolo, in un condominio di scapoli. Una cucina e
tre bagni in condivisione ad ogni piano.
-un campanello alla porta con scritto un nome diverso dal vostro
per non essere rintracciati dalle mogli
Chiara Rodeghiero – Le cose che non si dicono
21
-un frigo-surgelatore in camera con una birra e due confezioni di
„4rimbalzi in padella‟ in omaggio
-un telefono sul comodino con la connessione gratuita al numero
0069 per chiamare me o una delle mie collaboratrici.
Non vi sentirete mai soli, poiché vivrete a stretto contatto con gli
uomini con cui avete fraternizzato frequentando il mio centro.
Avrete sempre qualcuno con cui parlare, e soprattutto sarete
padroni della vostra vita. Solo con 5000 euro, per sempre”.
Si levarono dal pubblico mugugni di perplessità. A breve gli
uomini iniziarono a confabulare chiassosamente tra loro,
commentando „Ma che vergogna...‟ „Che razza di idee...‟ „Io, padre
di famiglia...tsè‟.
Dopo un quarto d‟ora, i primi uomini si disposero in una fila
ordinata per firmare le carte che avrebbero cambiato la loro vita.
Jàmilla seduta al tavolino, col suo avvocato a fianco, spiegava i
dettagli dell‟offerta e gesticolava a più non posso. Altri uomini
fecero finta di titubare un po‟, poi si sistemarono docili in fondo
alla fila. E così altri. E altri ancora si aggiungevano. I clienti si
susseguivano, e più si andava avanti con la fila e meno si aveva
voglia di leggere il contratto: una firma e via.
Alle 6 del mattino, 427 uomini avevano sottoscritto il contratto.
Io compreso.
I 5000 euro andavano versati entro 24 ore dalla firma. Il giorno
dopo trovai una lunghissima fila in banca, e per le strade non si
vedevano altro che uomini intenti a trafficare con macchine e
valige.
Il condominio degli scapoli era stato costruito nella periferia, in una
zona di degrado così vergine che le vie non avevano ancora un
nome. Si trattava di un enorme palazzone di 43 piani, di colore
grigiastro. La base era una gran cupola, dal cui centro s‟innalzava
un‟alta torre cilindrica. Brutto e triste, nel complesso. Una specie di
gigantesca astronave.
Jàmilla, all‟ingresso, ci dava il benvenuto con un sorriso da hostess,
e ci spiegava che il palazzo era stato studiato appositamente per
non dare nell‟occhio. Costruito in zona non residenziale, era stato
Chiara Rodeghiero – Le cose che non si dicono
22
imbiancato dello stesso colore del cielo per mimetizzarsi meglio.
“Per la scelta del colore, perché fosse più che mai fedele alla
tonalità grigia del cielo, è stato consultato il grande pittore
fiorentino Tullio De Leonardi”.
Qualcuno emise un debole „ooh‟ pur non avendo la minima idea di
chi diavolo fosse.
“Non fate caso alla forma eccentrica della costruzione: nello spazio
tutt‟attorno verrà presto costruito un muro alto come il palazzo,
così sarete sicuri di non esser raggiunti da occhi indiscreti”
aggiunse Jàmilla.
Alla sua sinistra il signor Zeta, architetto ed artefice di quel coso
orribile, annuiva e sorrideva dietro i baffi. Era compiaciuto dalla
serietà professionale dimostrata da Jàmilla, che aveva
puntualmente saldato i suoi debiti, e ora pregustava il compenso
aggiuntivo di cui avrebbe goduto... Un anno di scopate gratis, per
un muro da costruire attorno all‟edificio.
Fummo accompagnati all‟interno del bunker e invitati a prendere
posto negli appartamenti. Mi appropriai di una stanza al 39esimo
piano, vicino a un bagno. Non era male: c‟era un letto, un armadio,
un tavolino, un comodino, il telefono e il frigo. Il soffitto era basso,
le pareti completamente bianche, ancora odorose di tintura e le
rifiniture nuove.
Svuotai la valigia e sistemai le poche cose che avevo portato. Dalle
stanze adiacenti provenivano rumori di assestamento, ruote di
trolley e comodini spostati. Andai in bagno, dove trovai altri due
uomini in fila per il cesso. La cucina, in comune per tutti i 10
inquilini del piano, era grande e aveva tutto quel che serviva: il
piano cottura, un tavolone di legno, scaffali e armadietti.
Mi ci sarei abituato, pensai.
Il piano terra della casa degli scapoli era chiamato „il Piano Zero‟.
Questo superava di gran lunga la metratura di un normale piano, in
quanto si allargava a cupola. Jàmilla vi aveva fatto allestire una
sorta di reception. Una telefonista mezza nuda rispondeva agli
inquilini che digitavano 0069, e si preoccupava di assegnare loro la
ragazza di turno. Le collaboratrici di Jàmilla lavoravano su fasce
Chiara Rodeghiero – Le cose che non si dicono
23
d‟orario, 20 alla volta. Quando erano di turno giravano per il Piano
Zero, e aspettavano di essere richieste. Avevano a disposizione un
salottino pieno di divani e un bar, a cui accedevano anche gli
inquilini per abbordarle direttamente. Jàmilla intascava il 30% su
ogni prestazione.
Anche gli eventi organizzati da Jàmilla vennero spostati al Piano
Zero. Il locale era perfetto per contenere tutti i 427 inquilini. In
quel periodo ci furono feste non-stop di inaugurazione, orgette e
incontri sul tema del mese, che era ‘la riorganizzazione di sé’.
Furono invitati ospiti di rilievo come Mario Casanuova, il famoso
massaio che aveva lasciato la carriera di pugile per dedicarsi a
tempo pieno alla casa. Questo diede pratiche dimostrazioni sull‟uso
dell‟aspirapolvere, sul lavaggio dei piatti „con moto rotatorio del
polso‟, sul bucato dei capi in lana, e altre cose che a pochi
interessavano. La volta dopo venne Gregorio Monti, un uomo che
per fuggire dalla moglie era finito a fare l‟eremita sul monte
Cuccone, e ci consigliò di non tornare mai sui nostri passi. “La
libertà è sempre la scelta migliore” disse. “Meglio dormire con uno
Yeti in una caverna che con una moglie.”
Venne anche Gaio il gelataio, che ammise di essere gay, e ci spiegò
di quanto fosse stata importante questa presa di coscienza nella sua
vita, invitandoci a riflettere su noi stessi (...). Poi ci spiegò il
segreto del suo fantastico gelato al pistacchio.
All‟ultimo appuntamento del mese parteciparono la banda di
Fossalunga e Mauro Repetto, che non c‟entravano niente col tema,
ma probabilmente Jàmilla pensava di alleggerire l‟aria pesante
degli ultimi incontri.
Si percepiva in effetti una vaga tensione.
Si aveva la sensazione che tutto fosse diventato troppo macchinoso,
che quegli incontri fossero diventati una sorta di lavata di capo, a
piccole dosi. Jàmilla imponeva il tema del mese e costringeva i
nostri pensieri in una direzione. Dove voleva arrivare? Con tatto,
dolcezza, ci riempiva di opinioni altrui, pilotava i nostri giudizi, e
poi ci faceva divertire un po‟ per alleggerire i colpi.
Ancora tornava ad imbottirci di pillole, e dopo ci consolava con le
Chiara Rodeghiero – Le cose che non si dicono
24
caramelle.
Passavano i mesi. Jàmilla si prendeva cura dei nostri appetiti
sessuali e nello stesso tempo ci donava il pass per una vita agiata,
con convenzioni usufruibili praticamente in ogni negozio della
città. Facevamo parte di una grande famiglia di privilegiati: al
nostro passaggio tutte le porte si aprivano. Finimmo per abituarci a
questa vita da „vip‟, e smettemmo di far caso ai „lavaggi di
cervello‟ durante gli eventi a tema. Passavamo la maggior parte
delle serate a sollazzarci nella lussuria, tra le cosce di giovani
ragazze, inventandoci giochi perversi. Era il paese dei balocchi.
Jàmilla faceva di tutto per il nostro benestare. A luglio fece allestire
un megaschermo al Piano Zero, dove venivano proiettate tutte le
partite e ogni tanto qualche film.
Jàmilla era nostra moglie, amica, amante, protettrice, benefattrice.
Le dovevamo tutto.
Ne eravamo assuefatti.
Smettemmo di chiederci perché lo facesse, ed iniziammo ad amarla
veramente.
Intanto dalle finestre delle nostre stanze seguivamo i lavori di
costruzione del muro attorno al palazzo. Mattone dopo mattone,
vedevamo crescere la barriera tra noi e il mondo che ci eravamo
lasciati alle spalle. Dal 39esimo piano guardavo gli operai che
procedevano, uno strato alla volta. A breve non avrei potuto più
scorgere la città.
Due giorni dopo il muro era finito: dalle finestre non si vedevano
che mattoni, e si respirava malta.
Eppure ci sentivamo protetti. Eccome se eravamo al sicuro, ora!
Sì, ma al sicuro da cosa?
A ben pensarci sembra che le nostri mogli non abbiano mosso un
dito per cercarci.
Da cosa scappiamo?
Chiara Rodeghiero – Le cose che non si dicono
25
Non importa: alla casa degli scapoli abbiamo tutto ciò che
vogliamo.
E il muro ci circonda e ci protegge. Nulla di male può entrare. Le
mogli non possono trovarci. Il nome sul campanello non è il nostro:
è falso. Abbiamo il megaschermo. E le bottiglie di champagne. Con
5000 euro abbiamo cambiato la nostra vita. Non si torna mai
indietro sui propri passi. Le donne ci avevano rubato la libertà, la
dignità di uomo. Ora abbiamo tutto. Siamo in tanti, non ci sentiamo
mai soli. Abbiamo lo champagne il megaschermo le partite il gelato
al pistacchio le ragazze
Sì, dove sono le ragazze?
Scendo al Piano Zero.
Dove sono le ragazze? chiedo a uno che come me sta cercando
qualcosa al Piano Zero.
Certo c‟è il megaschermo e il bar e lo champagne e le partite un cd
della banda di Fossalunga e abbiamo la nostra dignità ritrovata e le
mogli sono la nostra rovina e non si torna indietro sui propri passi
Ma dove sono le ragazze? Jàmilla...?
...Guarda che strano hanno fatto il muro anche davanti alla porta
d‟ingresso...
Ma dove sono...?
Chiara Rodeghiero – Le cose che non si dicono
26
Topo
Nelle mie notti spuntò un topo.
Disse „voglio un caffè‟
Glielo servii, perché avevo paura mi infettasse di qualche brutta
malattia.
Accanto, un piattino di coscia di pollo, perché so che ai topi
piacciono le cose carnali.
Che schifo pensai
Servire un topo, pensai. Almeno fosse stata una pantegana.
Per di più era pure scortese, diceva un sacco di parolacce. Merda,
cazzo, culo
Ooooh , gli dissi, ma la smetti, non siamo mica nella fogna qui.
Senti, io ho 22 ani e sono il ratto più anziano dei navigli, sono
abituato a farmi i cazzi miei e sono servito e riverito nei navigli.
Portami lo zucchero di canna zoccola.
A questo punto mi adirai e lo presi per la coda. Gli feci fare 10 giri
attorno a se stesso e quando lo rimisi a terra era un alto topo.
Era alto 1 metro e 68, pesava 82 kili e mi chiese se conoscevo un
buon parrucchiere. Gli indicai il cinese qui all‟angolo. Disse che il
sushi era il suo piatto preferito.
Chiara Rodeghiero – Le cose che non si dicono
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Esercizi in stile matematico.
Era una famiglia molto particolare, la loro.
Il padre era un operatore, e aveva un‟azienda di operazioni. La
madre era una contabile, e contava tutto il giorno.
Questi avevano trascorso l‟adolescenza nel pieno libertinismo degli anni
sessanta, divertendosi all‟ennesimo, e si erano
moltiplicati dando alla luce trentasei figli.
Poi la coppia si era divisa e intanto i figli avevano messo
radici in ventidue paesi diversi. Per lo più erano andati persi,
sicuramente finiti in qualche paesino di poco conto, o in chissà che
frazione.
Pierpiù e Gianmeno erano gli unici ad essere rimasti nel luogo d‟origine e
crebbero tra mille attenzioni da parte dei genitori e della zia paterna, la
quale veniva da Potenza e di mestiere faceva l‟esattrice. Era
impeccabile come un numero primo, e per questo ottenne
molti riconoscimenti nella sua carriera. Ella prese molto a
quoziente i due nipoti, e decise di occuparsi della loro
educazione. Il risultato fu che entrambi i giovani crebbero svegli
e intelligenti, nonostante molto diversi tra loro.
Chiara Rodeghiero – Le cose che non si dicono
28
Il maggiore, Pierpiù, sin dal principio dimostrò un
attaccamento morboso agli addendi, ai quali si attaccava coi
denti, sin da quando mise quelli da latte. Succhiò il latte al seno fino
all‟età di nove anni, poi a scuola lo misero nella sezione per i
bambini con problemi, quindi per la vergogna decise di
smettere. Sin dall‟adolescenza fu di carattere un gran
calcolatore ed era bravissimo a somatizzare i propri problemi.
Era una persona ottimista e positiva. La sua passione era la
formula uno, e installò una gran parabola sul tetto per
non perdersi neanche una corsa. Inoltre praticava l‟attività di
sommozzatore, nel week end montava le bestie da somma e quando
parlava intercalava sempre con un sacco di „insomma‟. A vent‟anni si
sposò con una del paese adiacente.
Il fratello minore, Gianmeno, invece era un sottrazionista nato.
Da piccolo sottraeva i giocattoli a Pierpiù e ne
scomponeva i pezzi. Amava anche aiutare il padre a estirpare
radici dal giardino. Quand‟era in fasce beveva il latte solo dal
coseno, e quando crebbe divenne scostante, schivo e
quadrato. Si arruolò nell‟esercito diventando caporale
minore, poi si ritirò, perdette quasi tutti i capelli e ogni mattina si
pettinava col riporto. Divenne presto un sottrazionista molto
quotato, e trascorreva le sue giornate in borsa a sottrarre
Chiara Rodeghiero – Le cose che non si dicono
29
azioni su azioni, senza mai compierne una. Del resto la sua
popolarità raggiunse il vertice con lo scandalo in borsa, negli anni
novanta, quando Gianmeno fu accusato di certi atti illegali con una tizia
di nome Ipotenusa, una fuorilegge ricercata poiché non pagava
mai la retta, che fu poi arrestata qualche anno dopo mentre si
allenava a sparare al poligono. Si scoprì che oltre ad essere
socio in affari con lei, Gianmeno ci aveva fatto pure un figlio
insieme. Quando Ipotenusa fu arrestata, lui e il figlio si
trasferirono in un piccolo codominio praticamente attaccato al
binario della stazione, e lì decise di crescere il figlio, che si
chiamava Euclide, dandogli un‟educazione all‟insegna del
perbenismo e dell‟iperbole, perché non seguisse la strada del
padre. Gli spiegò i valori umani e l‟eguaglianza, lo
iscrisse alla scuola cattolica. Lo spingeva a partecipare a tutte le
funzioni religiose e lo faceva confessare dal Cardinale
in persona. Euclide crebbe rispettoso e congruente. Fino al
giorno in cui si innamorò di una ragazza. Erano gli anni novanta, e la
disco music andava alla grande. Questa, che si chiamava
Aritmetica (per gli amici Ari), era una tipa parecchio
suriettiva, e andava in una discoteca chiamata
„l‟Incognita‟ sette giorni su sette. Per starle dietro, Euclide si
mise a frequentare assiduamente il locale. Lui, che era sempre stato un
ragazzo riflessivo e razionale, si trasformò presto in
Chiara Rodeghiero – Le cose che non si dicono
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uno sballato, e pure tamarro. Per far colpo sulla sua bella (che sembrava
neppure lo vedesse) iniziò ad assumere stupefacenti, e presto passò alle
iniezioni di alfa e betamina. Finchè un brutto giorno esagerò e si
fece una biiezione. Fu trovato privo di vita la mattina dopo da
una fattore che aveva una fattoria vicino alla discoteca
„l‟Incognita‟.
Gianmeno dopo la morte del figlio cadde in depressione. Fece incidere
sulla lapide di Euclide un commovente algoritmo. Poi decise di
permutare l‟appartamento del codominio vicino ai
binari con una moto ruggente, e partì verso la tangente.
Chiara Rodeghiero – Le cose che non si dicono
31
CARIE
Una mattina mia moglie iniziò a fischiare. Si alzò dal letto e mi
propose una sibilante colasssssione. Siccome le piaceva il cibo
salato tirò fuori dal frigo qualche fetta di prossssssiutto e di
ssssspeck e la stese su una fetta bisssssscottata. Poi mi disse:
“Maledissssssione, ssssono in ritardo” ed uscì di fretta per andare al
lavoro.
Non feci più di tanto caso al suo strano sibilare fino a qualche
giorno dopo, quando notai che la cosa andava accentuandosi.
Conoscevo mia moglie e sapevo che era una gran permalosa, non si
poteva dirle niente. Non amava che le facessi notare la ricrescita
dei capelli grigi, e se la guardavo negli occhi pensava subito che le
stessi contando le zampe di gallina. Non sopportava che
l‟accarezzassi, perché diceva che le misuravo la lunghezza del pelo.
Io stavo zitto e la guardavo con affetto, ma lei mi rimproverava di
guardarla con pietà.
Era una donna che stava invecchiando, suo malgrado, ma l‟adoravo
ora più vent‟anni prima.
Così decisi di prender l‟argomento, poiché la sua salute mi stava a
cuore. Aspettai di essere a tavola davanti a lei quella sera a cena,
davanti ad una minesssssstra fumante.
“Come mai sibili?” le domandai gentilmente.
“Ho un buco” rispose, e volle cambiar discorso. “Com‟è andata
oggi in uffisssssssio?”
Me lo aspettavo, ma riportai la conversazione sul binario. “Un
buco?” chiesi.
Mia moglie sopirò e fece roteare gli occhi come faceva sempre
quando le facevo notare qualcosa. Poi aggiunse: “Sssssì, ma è
piccolo. Sssssssul tersssssso dente a partire dal canino”.
“Piccolo?” chiesi.
Mia moglie fece roteare le orecchie come faceva sempre quando
Chiara Rodeghiero – Le cose che non si dicono
32
ripetevo le cose che lei diceva.
“Quanto piccolo?” insistei.
A questo punto fece roteare il collo, com‟era sua abitudine quando
a suo parere stavo superando i limiti della sua (scarsa) pazienza.
“Piccolo. Ci passa appena un mignolo”.
Poi chiuse il discorso, e pensai fosse il caso di lasciar perdere per il
momento.
C’era una volta un tizio che aveva pochi capelli. Ne aveva solo 20. C’era una volta un tizio che aveva tantissimi buchi nel naso. Ne aveva addirittura 20!
Quella sera a letto mi misi a pensare. Un buco dove ci passa un
mignolo. Era un buco piccolo allora, per fortuna il pollice non ci
passava, e nemmeno l‟indice o l‟anulare: non c‟era di che
preoccuparsi.
C’era una volta un elefante piccolissimo: pesava appena 10 chili. C’era una volta una formica enorme: pesava addirittura 10 chili!
Relatività.
Mi misi ad osservare il mio mignolo e pensai che sembrava il mio
dito medio di quand‟ero bambino. Sembrava come se quel dito
fosse sempre stato sulla mia mano ma avesse cambiato di posizione
con l‟avanzare dell‟età. Era una specie di ricordo d‟infanzia: il
pensiero mi fece commuovere.
“Cossssss‟ hai?” mi chiese mia moglie. Mi accorsi della
lacrimuccia che mi stava scendendo sulla guancia destra, ma mi
vergognavo a parlarle del pensiero sul mignolo. “Niente” le dissi.
A quel punto accadde una cosa che non succedeva da molti anni.
Mia moglie mi fissò con sguardo intenerito, mi si avvicinò e i suoi
occhi diventarono come due gondole, poi mi prese il viso tra le
mani e accostò le labbra alle mie. Ci baciammo. Dapprima
goffamente, come si fa quando non si è abituati a fare una cosa, poi
in modo sempre più vorace. Pensai ad una lotta tra coccodrilli che
avevo visto in qualche documentario.
Ma quando la situazione stava prendendo una certa inequivocabile
piega, ecco che accadde l‟imprevisto.
Rimanemmo lì a fauci aperte, uno dentro l‟altra, senza possibilità
Chiara Rodeghiero – Le cose che non si dicono
33
di movimento: mia moglie mimava qualcosa di incomprensibile
con le mani ed emetteva suoni osceni che rimbombavano nel mio
esofago. La mia lingua era rimasta incastrata nel buchino del suo
dente e io tiravo senza riuscire ad uscirne. Immaginai la mia lingua
diventare un elastico e allungarsi, ma nulla accadde.
Rimanemmo a lungo in quella posizione.
Mia moglie si muoveva come un ossesso e dimenava la testa
sbattendomi a destra e sinistra. Poi riuscì ad agguantare una forbice
dal cassetto della cucina e fece per infilarla nella bocca quando...
Passava da quelle parti un cacciatore che buttò un occhio dalla
finestra e vide la scena.
“Ehi tutto ok?” chiese cordiale.
Non riuscendo a parlare emisi un mugugno che lui prese per un „sì‟
e -non vedendo cappucci rossi né capretti- non vide l‟utilità della
sua presenza e se ne andò.
MORALE: nelle favole arrivano sempre i cacciatori, mentre nella
vita reale a volte servirebbe solo un dentista.
Chiara Rodeghiero – Le cose che non si dicono
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Lacrime asciutte
Il primo ricordo che conservo della mia infanzia è un pianto.
Avevo quattro anni ed ero caduto sull‟asfalto sbucciandomi un
ginocchio.
Mio fratello subito accorse e mi rialzò da terra.
Era estate, faceva caldo, e lui portava una maglia a maniche corte:
ricordo le sue braccia magre e ruvide che cingevano il mio piccolo
corpo. Le lacrime attraversavano le mie guance e scendevano
zigzagando tra la peluria dei suoi avambracci. Nascosto in
quell‟abbraccio consumai litri di lacrime, mentre mio fratello mi
teneva così, senza dire niente, solo aspettando che passasse.
Era come se la sua pelle assorbisse le mie lacrime.
Mio fratello era lì ogni volta che mi ferivo, ogni volta che ricevevo
una sberla da mio padre, ogni volta che subivo un‟umiliazione o
una delusione. Era lì persino quella volta che la ragazzina di cui ero
innamorato a tredici anni mi disse di lasciarla in pace, ferendomi a
morte. Per ogni piccolezza mi abbandonavo a quell‟abbraccio
consolatorio, sfogavo i miei capricci con litri di lacrime, senza
riserve.
Mi abituai a quella terapia fraterna, e la mia natura già incline al
pianto si accentuò ulteriormente. Andavo in giro con gli occhi
sempre gonfi e lucidi, e per ogni sciocchezza riaprivo le valvole:
ero come un rubinetto rotto.
Tutti mi consideravano una lagna, i miei amici non volevano
giocare con me perché piangevo senza motivo, e i miei genitori si
erano un po‟ rassegnati, nonostante si chiedessero come mai
avessero un figlio così triste. Mio fratello invece sembrava non ne
facesse un problema, anzi, mi stava sempre vicino, solo aspettando
uno dei miei non rari sfoghi per potermi prendere così, tra le
braccia, per cibarsi del mio liquido come fanno le piante con la
pioggia.
Chiara Rodeghiero – Le cose che non si dicono
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Avevo l‟impressione che quelle braccia irsute assorbissero la mia
disperazione. Andavo avanti per ore a crogiolarmi in quel conforto.
Eppure ricordo le sue braccia sottili, sempre asciutte: tanto che mi
veniva da chiedermi se stessi piangendo lacrime finte.
Ricordo il funerale di nostro padre: il primo vero dolore della mia
giovane vita. Io avevo solo quindici anni ed ero un ragazzo fragile
di costituzione e psicologicamente instabile. Rivedo la scena
attraverso gli occhi appannati: la piccola chiesa con i banchi di
legno marrone e l‟aria satura d‟incenso, il profilo di mia madre
controluce, e dietro una vetrata colorata piena di Santi: piegata col
volto rivolto verso il basso e il seno in grembo, sembrava ancora
più minuta di com‟era. La bara di frassino troneggiava nel centro
della navata tra i banchi e il prete aveva un naso aquilino e una
voce stridula poco consona alla celebrazione di un funerale. Poi
non ricordo nient‟altro: col viso sprofondato nel petto di mio
fratello, il corpo sempre stretto nella sua morsa di conforto, coprivo
ogni rumore e ogni immagine col pianto. Sentivo la sua pelle
asciutta, così familiare attorno al mio busto. Singhiozzavo e
tremavo mentre mi aggrappavo alla sua presenza immobile.
Sembrava che neppure respirasse: solo assecondava i miei spasmi
ammortizzandoli.
Poi mi ero addormentato, svegliandomi solo il giorno dopo nel mio
letto, stordito e agitato come dopo un brutto sogno.
........
Qualche anno dopo mio fratello sparì. Mia madre mi disse che se
n‟era andato, così. Non sapeva dirmi dove, né perché.
Non potevo credere che fosse partito senza salutarmi. Non che mio
fratello si fosse mai confidato con me o avessimo chissà che
dialogo: anzi non parlavamo mai. Ma c‟era quell‟intimo, profondo
legame, che trovava la sua unica espressione in quei lunghi
abbracci consolatori e che andava al di là di ogni parola: pensavo a
lui come ad un albero dalla corteccia forte e ruvida. Era il mio
albero: lo annaffiavo quotidianamente, generosamente, con acque
pure delle mie sorgenti, e poi mi ci aggrappavo per non esser
Chiara Rodeghiero – Le cose che non si dicono
36
portato via dalla mia stessa corrente.
Non riuscivo a capacitarmi che se ne fosse andato senza
spiegazioni, senza promesse tipo „verrò a trovarvi‟ o „vi scriverò‟.
Svanito, e basta. Per quanto cercai di interrogare mia madre non
riuscii a cavarle di bocca nulla di buono. Diceva di non sapere
niente, eppure era così tranquilla che mi chiedevo se fosse poi vero.
Presi coscienza seriamente dell‟assenza di mio fratello il giorno
dell‟esito degli esami di maturità, quando venni bocciato con un
voto bassissimo , e mia madre mi guardò con gli occhi della
delusione. Sentii le lacrime sgorgarmi a fiumi dagli occhi, e
d‟istinto mi girai a cercare le braccia di mio fratello, che però
quella volta non erano lì pronte ad accogliermi. Dovetti ricorrere ad
un fazzoletto di carta, che si bagnò subito riducendosi a brandelli.
Ne presi un altro, e un altro ancora, e consumai pacchetti interi.
Pensai che le mie lacrime erano ineluttabilmente bagnate.
Giorno dopo giorno non riuscivo a capacitarmi della scomparsa di
mio fratello. Eppure non mi mancava in senso affettivo, ma in un
modo puramente egoistico: non avevo più l‟antidoto ai miei
capricci, e quando mi ritrovavo a piangere da solo rintanato nella
mia stanzetta mi sembrava che nulla avrebbe potuto fermare le mie
lacrime, come un fiume in piena senza diga.
Avevo 22 anni e i miei compagni mi chiamavano „il frignone‟,
perché piangevo sempre. Umiliato da questo soprannome piangevo
ancora di più e mi isolavo da tutti. Finché un giorno decisi di
cambiare, feci il solenne giuramento a me stesso che non avrei mai
più versato una lacrima, e così fu.
Era finita un‟epoca, quella della mia fanciullezza: certo un po‟ tardi
rispetto alla media dei miei coetanei, ma mi misi presto al passo.
Mi iscrissi all‟università di filosofia, andai ad abitare fuori casa e
trovai persino una ragazza.
Preso dagli studi e dalle passioni della mia nuova vita sentimentale
avevo smesso di chiedermi che fine avesse fatto mio fratello.
Finché un giorno una notizia arrivò alle mie orecchie, inaspettata.
La mia ragazza a quei tempi frequentava l‟oratorio, si occupava di
un gruppo di bambini un paio di pomeriggi alla settimana. Una sera
Chiara Rodeghiero – Le cose che non si dicono
37
saltando da un discorso all‟altro come era solita fare, nominò un
certo uomo di chiesa il cui nome stava acquisendo una certa fama
nell‟ambiente e che, mi disse, prima abitava proprio nella stessa via
dove abitavo con mia madre. E, mi disse, il suo cognome prima di
farsi prete era proprio uguale al mio! Sembrava che questo tizio
fosse la reincarnazione di chissà quale santo, e andava in giro
professandosi „guaritore di ogni sofferenza‟, e „assorbitore di ogni
male‟. Praticamente un santone. Una specie di sciamano coi capelli
lunghi e la barba incolta, vestito di tuniche dai colori fotonici pieni
di strascichi. La mia ragazza rideva mentre mi raccontava che
questo tizio bizzarro, che si faceva chiamare Don Pianto, che
diceva di avere le stigmate causate dai pianti dei bambini
dell‟Africa, dov‟era stato in missione per due anni.
Io non ridevo affatto, mentre lei mi parlava di questo tipo bislacco,
ma non le spiegai perché. D‟altra parte non le avevo mai detto di
avere un fratello.
Quella sera rimasi cupo, mi giustificai dicendo che non stavo molto
bene e l‟accompagnai a casa.
La notizia mi aveva colto impreparato. Invece di essere felice di
sapere che mio fratello stava bene e che non era morto ma anzi si
era dato alle missioni umanitarie, mi sentivo inquieto. Provavo una
fitta allo stomaco, e una nausea iraconda. Mi sentivo tradito,
abbandonato: mio fratello aveva smesso di asciugare le mie lacrime
per andare a consolare i bambini in Africa. Mi rimproveravo del
mio egoismo infantile ma nello stesso tempo non potevo fare a
meno di serbare un forte rancore, un‟estrema gelosia per quel
qualcosa che mi era stato tolto. Rivedevo le braccia ispide di quel
ragazzone allampanato che mi circondavano, e bevevano le mie
lacrime. Immaginai le stesse braccia, forse ancora più magre,
ancora più asciutte che ora si cibavano delle lacrime scure dei
bambini africani. I loro occhi gonfi sotto le palpebre nere
producevano un liquido denso, più denso del mio sicuramente,
saturo di miseria, di vera disperazione. Quelle lacrime si sarebbero
incastrate tra i peli degli avambracci, incapaci di scivolare via così
frivolamente come facevano le mie. Lacrime nere che forse
avrebbero lasciato un‟impronta, una macchia indelebile: almeno
Chiara Rodeghiero – Le cose che non si dicono
38
una per ogni bambino d‟Africa, impresse sul braccio di mio
fratello, il caritatevole Don Pianto.
Quella notte feci molti incubi, sognai di essere intrappolato in
un‟enorme lacrima, e attraverso le pareti liquide vedevo mio
fratello impegnato nel suo gesto misericordioso, stringere a sé
centinaia di bambini neri. Ma osservando meglio notavo che ad
ognuno di quei fanciulli mancava una parte del corpo, e le loro
membra erano unite una all‟altra, come se fossero tutti un unico
spaventevole essere con braccia che uscivano dalle teste, occhi
sulle dita e orecchie attaccate ai piedi. Mio fratello strizzava questo
grande essere deforme, che si scioglieva pian piano come
un‟arancia spremuta. E io sentivo l‟aria mancarmi, chiuso nella mia
bolla di lacrima da cui non potevo uscire... Mi svegliai con la
sensazione di soffocare.
Decisi che non ci avrei più pensato, e feci finta di niente. D‟altra
parte mio fratello era uscito dalla mia vita di sua volontà e senza
dire nulla. Avrei continuato a fingere di non sapere niente.
Cinque anni dopo mi laureai, e dopo qualche tempo sposai la mia
ragazza. Avevo una vita normale e regolare, ma non mi mancava
niente. Avevo iniziato un tirocinio come insegnante all‟università,
ed ero abbastanza soddisfatto di come andavano le cose.
La questione di mio fratello ormai era cosa superata, lo avevo
completamente espulso dalla mente. Neppure mia moglie aveva più
nominato quel Don Pianto, d‟altra parte non frequentava più
l‟ambiente dell‟oratorio da quando lavorava come commessa in
una libreria.
Tutto procedeva come da manuale de „la vita dell‟uomo medio‟.
Mia moglie rimase presto incinta e da bravo compagno mi adoperai
a soddisfare ogni sua richiesta e capriccio per la felicità sua e del
nascituro.
Quella mattina mia moglie si svegliò desiderando i cannoli
siciliani.
Scesi dal pasticcere per comprarne un paio, e visto che c‟ero andai
alla farmacia di fronte a prenderle quell‟olio particolare contro le
smagliature di cui mi parlava da due settimane.
Chiara Rodeghiero – Le cose che non si dicono
39
Mi dirigevo verso il bancone quando un‟insegna pubblicitaria attirò
la mia attenzione. Era un ingombrante cartellone di colore celeste
con delle scritte bianche cubitali che dicevano „Fai felice la tua
pelle‟ e sotto c‟era la foto di un tipo con la barba lunga, i capelli
incolti e una tunica da messia, con una targhetta davanti che diceva
„è un prodotto garantito dal Dottor Pianto‟.
Mi avvicinai per osservare meglio: quello era il volto immutato di
mio fratello. Sotto un ammasso di pelo selvaggio c‟era il volto che
ben conoscevo vent‟anni prima, ancora uguale, senza il minimo
segno di invecchiamento: anzi sembrava ringiovanito. Non poteva
essere lui, mi dissi. Avrebbe avuto almeno 50 anni, e il tizio nella
foto ne dimostrava a malapena 30. Si trattava sicuramente di una
somiglianza assurda...
Mi avvicinai alla farmacista dietro al bancone per chiedere
informazioni sul prodotto. „E‟ una formula innovativa‟ mi spiegò
„che si basa sull‟innaffiamento delle cellule cutanee inaridite‟.
Scossi la testa, poiché non comprendevo cosa stesse dicendo. „E‟
una crema speciale, creata dal Dottor Pianto: è un rinomato
marchio sul mercato della cosmetica. Non lo conosce?‟
Feci di no col capo, inebetito.
„Pensi, si dice che l‟inventore di questa crema fosse prima un
missionario! E che abbia avuto l‟ispirazione per produrla proprio
durante i suoi viaggi in Africa, durante lo stretto contatto con le
popolazioni...‟
Appoggiato al bancone, mi ero fatto molto interessato al discorso.
„Cosa vuole dire?‟ chiesi.
„In effetti non si capisce bene il collegamento tra le missioni in
Africa e la formula rivoluzionaria di questa pomata: nessuno sa
esattamente gli ingredienti, ma le garantisco che funziona! La pelle
smette di invecchiare, ci si conserva giovani per decine di anni! Se
vuole le posso dare un paio di campioncini...‟
Ma a quel punto mi ero già allontanato dal banco, voltandomi verso
l‟uscita.
Avevo finalmente capito.
Mio fratello aveva tamponato litri di lacrime perseguendo
Chiara Rodeghiero – Le cose che non si dicono
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unicamente i suoi scopi diabolici, raccogliendo disperazione per
venderla a peso d‟oro.
Aveva bevuto per anni i miei liquidi salati: ma erano annacquati,
troppo diluiti dai capricci per soddisfarlo.
Per cui se n‟era andato in giro, nei luoghi più poveri del mondo,
dove ogni lacrima pesa un chilo ed è così densa che non si riesce a
vederci attraverso.
Chiara Rodeghiero – Le cose che non si dicono
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Perché il mondo va storto
All‟inizio dei tempi, il mondo non era così complicato come
adesso.
C‟era questa enorme palla, con soli tre abitanti: uno al Polo Nord,
uno al Centro e uno al Polo Sud. Ognuno di loro aveva una
mansione ben definita. Il primo doveva ergersi nel perfetto
epicentro come fosse un prolungamento umano dell‟asse terrestre.
Idem il terzo, quello del Polo Sud, con la differenza che questo era
costretto a stare per forza di cose a testa in giù. Quello del Centro
invece aveva il compito più difficile: camminava senza sosta in
senso orario percorrendo una linea tutt‟attorno alla circonferenza,
che alla fine lo riportava sempre al punto di partenza. Non si poteva
mai fermare, perché, gli era stato detto, solo così la palla avrebbe
continuato a girare su sé stessa sospesa nell‟aria, senza precipitare
nel vuoto.
Bisogna sapere che la grande palla era opera di un ingegnere molto
ambizioso. Gli piaceva da matti guardare la palla che girava
nell‟universo, così come a qualcuno piace osservare i pesci
nell‟acquario. Ma quando l‟ingegnere morì, i suoi tre dipendenti,
prima profumatamente pagati, persero lo scopo del proprio lavoro.
Così quello del Polo Sud, stanco di stare a testa in giù, salì. Quello
del Polo Nord, stanco di stare lì sul cucuzzolo del mondo a
prendersi tutti i fulmini ad ogni temporale, scese. I due si
incontrarono e subito iniziarono a contendersi la proprietà della
palla. Litigarono ferocemente per giorni. Quando incrociarono il
terzo abitante, che passava di lì seguendo imperterrito la sua linea
del Centro, se la presero anche con lui e lo obbligarono a invertire
la rotta.
Da quel giorno il mondo ha cominciato a girare storto.
Chiara Rodeghiero – Le cose che non si dicono
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Primavolta
Quelle più grandi me lo dicono sempre: dopo la prima volta, non ne
puoi più fare a meno. All‟inizio brucia un po‟, senti la tua essenza
sciogliersi in un estenuante piacere fatto di dolore. A volte si
spegne con la velocità di un soffio, e allora un po‟ delusa speri solo
che ricominci, per tornare a consumarti lentamente...
Alcune di noi fanno una vita splendida.
Mia nonna ad esempio viveva in una chiesa, stava su un altare
insieme a decine di altre come lei. Le colleghe vergini stavano
sdraiate appena sotto l‟ara, con i corpi appena in mostra,
attendendo il loro momento. La gente veniva, ne sceglieva una e la
posava solennemente sull‟altare, tra le altre, accendendole il cuore.
Poi le si inginocchiava davanti, e le parlava.
Ogni giorno sull‟altare le colleghe anziane, ormai consumate dal
tempo, lasciavano il posto alle sfavillanti novelline.
Mio padre invece mi parlava di un luogo misterioso, in cui regna il
silenzio. Una specie di giardino, dove vengono piantate lastre di
marmo al posto delle piante: una per ogni persona che muore.
Alcune di noi lavorano lì, e sono bellissime: fanno concorrenza alle
stelle di notte.
Mia zia una volta mi raccontò di una lontana cugina che invece
lavorava per le feste di compleanno. Ebbe una vita lunghissima,
sebbene non molto emozionante. Abitava in una famiglia che si
ricordava di lei solo una volta all‟anno: quand‟era il compleanno
del figlio. Questa mia cugina seguì la crescita del bimbo dal primo
anno d‟età fino al decimo. Attendeva venisse il giorno della festa
con trepidazione, e sapeva che la sua presenza era un dettaglio
importante per la buona riuscita del compleanno. Era lei che ogni
anno annunciava il numero degli anni compiuti. Era lei la prima
persino a toccare la torta. E poi il festeggiato le alitava addosso,
probabilmente come simbolo di buon auspicio e tutti le
Chiara Rodeghiero – Le cose che non si dicono
43
applaudivano, intonando canzoni. Poi si dimenticavano di lei per
un altro anno, e lei se ne stava lì buona pregustando un altro
momento così breve, ma così intenso. Immolare il suo corpo una
volta ancora a quel bimbo che ogni volta era più grande, mentre il
suo si rimpiccioliva sempre più...
Esistono altri tipi di feste in cui la presenza di quelle come noi è
indispensabile. Si tratta di cose un po‟ strane. Una mia amica ad
esempio è stata rinchiusa per tutta una notte dentro un grande
ortaggio arancione con dei buchi.
Poi ci sono quelle che lavorano nel settore matrimoniale. Loro
dovere è assistere alle cene romantiche delle coppie sposate o
fidanzate. Solitamente prendono posto tra i due amanti e si
preoccupano che l‟atmosfera sia adeguata, con una presenza calda
ma discreta, spronandoli a scambiarsi parole e baci appassionati.
Ho sentito parlare di grandi carriere, di vite consumate con gloria.
Ma io sono qui, col corpo freddo e duro, liscio e ancora perfetto.
Ora muovo il mio stoppino bianco nell‟aria, per passare il tempo.
Attendo la mia prima volta, sperando che bruci un po‟.
Chiara Rodeghiero – Le cose che non si dicono
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IL BANCONE DI BENEFICIENZA
Quell‟anno alla festa del patrono di Omugna, sul lago di Urka,
c‟era una novità.
Era stato allestito un banco di beneficienza grande come l‟intera
piazza: si trattava di una piattaforma circolare con un buco in
centro per lasciare posto all‟unica fontana del paese, dato che non
la si poteva spostare. Una specie di ciambella, insomma, fatta di
ferro pesante con degli avvolgibili che salivano e scendevano
dall‟alto. La mattina, alle 9, si udiva uno stridio metallico, ed ecco
gli addetti al bancone che facevano capolino da quel bunker tondo,
armati di grossi bidoni pieni di bigliettini sigillati. Subito la gente si
accalcava davanti, chiedeva „è stato già vinto il primo premio?‟ o „i
migliori sono già andati?‟. Alcuni rimanevano sul vago e cercavano
di farsi amico il personale: si sa mai che potesse consigliargli i
biglietti buoni. Allora rimanevano lì impiantati a parlare del tempo,
del vento che soffiava sul lago, di qualche pettegolezzo trito e
ritrito, aspettando il momento opportuno per le confidenze. „Sai
mica se qui c‟è quello buono?‟ bisbigliava qualcuno ad un certo
punto della conversazione.
Ma sembrava che gli addetti al banco di beneficienza avessero fatto
qualche strano giuramento di riservatezza, poiché eludevano ogni
domanda indiscreta con un cordiale sorriso, e dicevano cose del
tipo „che la fortuna sia con voi!‟ o „potrebbe essere la vostra
giornata!‟, insomma frasi prese in prestito da qualche presentatore
di quiz televisivi.
Un biglietto costava 2 euro e si vinceva sempre. C‟erano premi
banali come: scope, rastrelli, forni a microonde, ruote di bicicletta,
bottiglie di vino, spugne da cucina, oli da motore, palette per
ammazzare le mosche, confezioni di vaselina, termosifoni, tappi,
fazzoletti di carta, coltelli, tagliaunghie, candele profumate, ferri
da stiro, ciabatte di lana di pecora, mutande di pizzo, tovaglie
Chiara Rodeghiero – Le cose che non si dicono
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decorate, orologi firmati, divani in pelle, eccetera eccetera.
Ma la novità consisteva nel fatto che la pesca di beneficienza
prevedeva anche dei premi alquanto insoliti.
Si poteva vincere ad esempio un anno senza pagare le bollette. O
una carica di ministro a vita. O due anni di spesa gratis, o tre mesi
di pizza a domicilio a pranzo e a cena. O un giardino di tulipani
gialli. O uno zoo comprensivo di tre leoni, due gorilla, cinque
fenicotteri e un liocorno.
Ed ecco invece i primi premi: 1. Chiedi-e-ti-sarà-dato: il massimo che si può avere, praticamente
come possedere una bacchetta magica. Al vincitore è concesso
di scomodare anche Berlusconi o il Papa in persona, se lo
desidera, affinché soddisfi qualsiasi suo desiderio di
onnipotenza.
2. una Vita Agevolata: denaro non stop, servitù, multiproprietà,
fino ad un budget massimo di
34201209198209849091284930910901298049 euro.
3. una Pensione Anticipata: immediata, a qualsiasi età, per
continuare a vivere con gli stessi soldi senza lavorare.
4. Un Anno Sabatico: un intero anno di nullafacenza, con un
compenso ‘da mantenuto’ pari a 1000 euro al mese.
5. un Harem di Cinesi: per soddisfare ogni desiderio...
6. un Viaggio su un Satellite di Saturno: decisamente alternativo
alle solite vacanze a Ibiza.
Gli abitanti di Omugna, modesti paesani e umili lavoratori,
avrebbero fatto carte false per accaparrarsi il primo premio. Come
pur non disdegnavano il secondo né il terzo.
Ed era il sogno di ogni giovane sognatore l‟anno sabatico, e
l‟aspirazione di ogni marito depresso l‟harem di cinesi. Astronauti
mancati sulle cime dei tetti si ritrovavano a sospirare pensando ad
un fantastico viaggio su un satellite di Saturno.
Eppur il Fato è cieco, e la prova ne fu l‟esito di questa pesca di
Chiara Rodeghiero – Le cose che non si dicono
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beneficienza, grande novità nel paese di Omugna.
Il sesto premio lo vinse un giovane architetto costretto su una sedia
a rotelle dalla nascita per un grave handicap. Essendo la vincita
irrevocabile e non delegabile, fu spedito il giorno dopo sul satellite
di Saturno con un razzo e di lui non si ebbero più notizie.
Il quinto premio toccò ad un gay cinese, che delle dodici bellezze
che gli spettavano non sapeva proprio che farsene, e le adoperò
come cameriere nel suo ristorante cinese.
L‟Anno Sabatico spettò ad una ragazza che aveva scoperto di
essere incinta ed aveva appena chiesto un anno di maternità dal
lavoro, per cui non le cambiò niente.
Un ex ferroviere ottantenne, in pensione già da vent‟anni, vinse la
Pensione Anticipata e se la prese con la badante ucraina per aver
sorteggiato male il bigliettino.
Vinse una „Vita Agevolata‟ il nipote di nono grado di Berlusconi,
venuto sul lago di Urka in vacanza. Questo, viziato e abituato a
usufruire del benestare dello zio-alla-nona, non si rese neppur
conto del beneficio del premio.
Ma bisogna dire che ogni medaglia ha il suo risvolto, e s‟è vero che
le persone s‟accodavano ambendo a queste vincite superlative che
avrebbero potuto cambiar loro la vita, tremavano pure di terrore
quando toglievano il sigillo al bigliettino per aprirlo, temendo il
peggio.
Infatti oltre ai banali „premi-di-mezzo‟ e ai superbi „primi-premi‟,
esistevano anche gli „ultimi-premi‟.
Che avrebbero cambiato loro la vita, ma in un altro modo.
Ecco, giusto per dare un‟idea, le ultime tre vincite, dalla meno
peggio alla più terribile: 1. una Donazione di un Organo, a piacere: non nel senso musicale
del termine, ma anatomico. Il vincitore di questo premio è
costretto a donare un organo entro una settimana, presso il più
vicino ospedale.
Chiara Rodeghiero – Le cose che non si dicono
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2. Amputazione di Qualcosa di Necessario: il premiato deve
rinunciare al suo pezzo di corpo più indispensabile.
3. Decapitazione immediata al bancone: con un sistema rapido ed
indolore di ghigliottina, il vincitore di quest’ultimo premio lascia
la testa direttamente al bancone.
Fortunatamente nella sfortuna, toccò la donazione di un organo ad
un malato terminale di leucemia, che fu solo contento di poter fare
del bene, e morì sereno donando il fegato.
L‟‟Amputazione di qualcosa di necessario‟ fu estratto dal famoso
pornostar lacustre Saverio De Palmas, il quale dovette farsi tagliare
il pene e smise di girare film. D‟altra parte qualche tempo dopo
dichiarò in un‟intervista che „grazie a quell‟operazione aveva
finalmente trovato sé stesso, raggiungendo una nuova pace new-
age che prima, a causa di quel membro ingombrante non era
riuscito a trovare‟.
Non tutti i mali vengono per nuocere.
Ma infine, vi chiederete, chi ha vinto il primo premio fortunato , e
chi quello sfortunato, al banco di beneficienza di Omugna, sul lago
di Urka?
Ebbene, l‟ultimo giorno della festa (che durava una settimana)
l‟illustre commendatore Bartoli scese dalla sua villa facendosi
portare in braccio dal maggiordomo, poiché non c‟era spazio per
parcheggiare la limousine.
Si fece lasciare ad una spanna dal bancone di beneficienza, poiché
col caldo non sopportava di fare neanche un passo.
Siccome era ricchissimo -e tutti lo sapevano- ma non si stancava
mai di sfoggiarlo, acquistò 200 bigliettini, e staccò un assegno da
400 euro. Dopodiché con l‟aiuto del fedele maggiordomo, si mise
ad aprirli, ingordo di una vincita degna di lui. E si mise a leggere,
foglietto dopo foglietto.
Un appendino, un accendino, un cavatappi, una corda, una stuoia,
una guida dell’Olanda, un materassino, un mattarello, una
Chiara Rodeghiero – Le cose che non si dicono
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confezione di Aspirina, un fischietto, una sigaretta, un calzino, un
segnalibro, un lettore cd, un trapano, un colibrì, un astuccio, una
supposta, una chiave inglese, un tavolo, un martello, una tazzina,
un chiodo, uno smalto per unghie, una sottiletta, una lampada a
olio, un...
Uno degli addetti al bancone controllava in silenzio i biglietti aperti
e correva a prendere i premi corrispondenti ora da uno scaffale, ora
dall‟altro. Accumulava tutti quegli oggetti per consegnarli poi al
commendatore, il quale con occhi sgranati continuava ad aprire
biglietti, incredulo di non trovare un premio adeguato alla sua
grandezza.
Poi finalmente il suo viso si illuminò, e il suo grido trionfante
invase la piazza:
‘...Chiedi-e-ti-sarà-dato!!!! E a chi poteva capitare un premio così
se non a me!‟ esultava col foglietto di carta stropicciato tra le mani
sudate.
„Ebbene: voglio che il mondo sia mio!‟ ordinò, come stesse
chiedendo una Coca Cola al bar. „Subito!‟
L‟addetto al bancone non sembrava impressionato né tantomeno
intimidito dalla prepotenza del commendatore.
Rispose: „Non può ritirare la vincita se prima non apre tutti i
biglietti che ha acquistato‟
Il Commendatore Bartoli protestò „Ma io..!!!‟
„Mi spiace, sono le regole: bisogna ritirare tutti i premi. Le vincite
non sono reversibili né delegabili‟ e l‟addetto chiuse il discorso.
Il commendatore, che pur non era abituato a sottostare a delle
regole che non fossero le sue, preso dalla smania di ritirare al più
presto il suo premio -il mondo- che gli spettava, si mise ad aprire
velocemente i bigliettini rimasti, leggendoli a malapena e
stropicciandoli a malo modo.
Un abbonamento a Topolino, un telecomando universale, una
bottiglia di succo ace, una matita bianca, un ombretto blu, un
arcobaleno, un acrobata del circo, una padella aderente, un tappo
di sughero, un ananas, un microfono, una pattina, un detersivo per
piatti, una cannuccia arancione, una....
Preso dalla smania di arrivare all‟ultimo aveva smesso di leggere
Chiara Rodeghiero – Le cose che non si dicono
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quello che c‟era scritto nei bigliettini e li passava all‟addetto del
bancone perché accumulasse tutta la robaccia che gli spettava. Poi
finalmente avrebbe ritirato l‟unico premio che era degno di lui.
„Muoviti, aiutami!‟ diceva al maggiordomo, perché lo aiutasse a
scartare i bigliettini.
Alla fine, dopo un‟ora, l‟addetto al banco di beneficienza aveva
radunato tutti i premi del commendatore e gli disse che glieli
avrebbe fatti recapitare entro un‟ora alla villa con un camion.
„Ora posso ritirare il primo premio!‟ disse il commendatore con
arroganza.
„Sì‟ disse l‟addetto, professionale „ma ha vinto anche un altro
premio a ritiro immediato‟ e così dicendo gli mostrò un foglietto
stropicciato, in cui era scritto in rosso
„decapitazione immediata al bancone‟.
Ma il commendatore non fece neanche in tempo a finire di leggere
che già la ghigliottina era scesa sulla sua testa.
Chiara Rodeghiero – Le cose che non si dicono
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Scolapasta Un tizio girava con uno scolapasta in testa. Come mai? gli chiedeva la gente. Forse pioverà, rispondeva lui. Ma ha i buchi, ti bagnerai. Lo so: non è mica un ombrello.
Chiara Rodeghiero – Le cose che non si dicono
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Posate sposate Una forchetta incontrò un coltello e si innamorarono. Sai che posso farti del male, avvertì il coltello, sono affilato. Non ho paura di te, disse la forchetta. E così si sposarono. Dopo qualche tempo nacque un cucchiaino. Il coltello accusò la forchetta di averlo tradito col cucchiaio. La forchetta rispose che non era vero affatto. Il coltello non le credette e decise di partire per il servizio di leva dall’arrotino. Quando tornò trovò la forchetta sposata con il cucchiaio. Dalla loro unione era nato un coltellino.
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Chi l’ha detto Chi l’ha detto che le stelle hanno 5 punte? Era un geometra, che ragionava per forme geometriche, e riuscì a trovarne una anche in un puntino minuto di luce. Ed insegnò al suo bambino a disegnarle in quel modo, le stelle. Così quando il suo bambino da grande divenne professore, tramandò ai suoi studenti quel modo strambo di vedere le stelle. Tra i suoi scolari ce n’era uno (il cui nome non si può proprio dire) che fece gran carriera nello spettacolo. E quando il mondo ebbe per lui tutta l’attenzione, e i microfoni dei giornalisti furono puntati alla sua bocca, urlò a gran voce: Le stelle han 5 punte!
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Amici Avevo un grande amico: ci trovavamo ad un bar, sempre alla stessa ora e facevamo dei discorsi lunghissimi. Parlavamo per interi pomeriggi. Mi piaceva il suono di quello che gli usciva dalla bocca, lo stavo ad ascoltare per ore senza interromperlo, finché arrivava il mio turno. Allora lui faceva lo stesso con me, sembrava si saziasse delle mie parole. Non commentavamo mai i discorsi dell’altro, ci agganciavamo così, come aggiungendo note musicali ad un unico pentagramma. Eravamo due strumenti diversi che si alternano in una melodiosa sinfonia. Io ero l’oboe, lui sicuramente il clarinetto. Poi il mio amico un giorno sparì: credo sia tornato nel suo paese, in Cina. Forse me lo disse durante la nostra ultima conversazione, ma non posso saperlo. Non conosco il cinese, come lui non conosceva una parola della mia lingua.
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Ferro tenero C’era una volta un martello difettoso. Amava i chiodi, e non sopportava l’idea di doverli picchiare. Con quelle loro testine, diceva, sono così indifesi. Il proprietario della ferramenta che vendeva il martello dovette ribassarne il prezzo, a causa del difetto. Ma non riuscendo comunque a trovare un acquirente, lo tolse dallo scaffale delle offerte e lo buttò nel bidone del ferro da riciclare. Quando venne portato a fondere, il martello non fece resistenza. Tanti chiodi potranno nascere dal mio corpo, pensò. Un po’ di me sarà in ognuna di quelle adorabili testine. E speriamo di incontrare un martello gentile... Invece dalla fusione del martello nacquero dei proiettili da fucile. Il proprietario del negozio di articoli da caccia che li vendeva dovette ribassarne il prezzo, perché erano difettosi: arrivati al bersaglio tornavano indietro senza neppure sfiorarlo.
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Vita familiare Rosalba stende mutande al sole, le frigge a bagnomaria, le impana con la sabbia. Uboldo nuota nel pomodoro, trapana ravioli, intinge marionette. Violetta attende che il treno arrivi, strappa il biglietto, consuma ortiche. Teresa matura costanti affetti, prepara sigarette, ottura lavandini. Melania vuole anticipare i tempi, violenta lumache, odora ciclamini. Tarmilla chiede un contingente, asciuga baratri, tifa alle partite. Naseo rifiuta un conto in banca, buca tubi, rompe manette. La famiglia si siede a cena con la nonna che vien da Roma e ha le doglie.
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Il Termosifone I termosifoni sono animali di carattere docile e mite, che vivono principalmente attaccati ai muri domestici (ma non sono imparentati col geco). Si adattano molto bene alla convivenza con gli esseri umani, tanto che in molte case vengono adottati anche in branco, di solito composto da tre o quattro esemplari. I termosifoni sono animali affettuosi e tranquilli, ma anche molto territoriali. Pur appartenendo al branco, difficilmente accettano di occupare in due la stessa stanza. Quindi ognuno di essi stabilisce quale sia il proprio terreno e si addossa alle pareti. Due esemplari di termosifone non si posizionano mai a meno di quattro metri di distanza l’uno dall’altro, se non in rari casi, in ambienti molto ampi e dispersivi. Il termosifone è un animale pigro, fedele e abitudinario: una volta che prende possesso di un muro non si stacca più fino alla morte, o fino al crollo delle pareti stesse. Spesso il colore del suo corpo assume le tonalità della stanza in cui si trova, per meglio entrare in sintonia con l’ambiente. Il termosifone non emette versi di alcun tipo, se si esclude qualche soffio impercettibile. Al contrario di molte altre specie di animali, il termosifone va in letargo in estate. Esso inizia a rallentare il suo metabolismo già durante i mesi primaverili: il suo corpo diminuisce gradualmente di temperatura fino ad ibernarsi, verso giugno. Il processo di raffreddamento non deve avvenire in maniera brusca, poiché il corpo del termosifone si deve abituare poco alla volta alla nuova condizione di ipotermia.
Chiara Rodeghiero – Le cose che non si dicono
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Questo animale discreto non interferisce mai in modo inopportuno nella vita degli umani con cui vive. Anzi, usa emettere un caldo tepore dal corpo in segno di riconoscenza, per ringraziarli di averlo accolto in casa. Purtroppo il termosifone si ammala spesso. Per questo bisogna controllare di frequente la sua temperatura corporea, per assicurarsi che non abbia la febbre. A volte infatti esagera nelle sue manifestazioni d’affetto, arrivando a toccare la soglia dei 50 gradi centigradi. Allora bisogna assolutamente convincerlo a raffreddarsi, riempiendolo di attenzioni e rassicurandolo sul fatto che la sua presenza è ben gradita anche se si attiene ad una temperatura normale. I termosifoni sono fatti così, a volte cercano di attirare l’attenzione. Eppure tanti uomini non l’hanno capito, e hanno inventato dei piccoli monitor, con dei numerini da digitare, per dire al proprio animale domestico se vorrebbero che scaldasse di più o di meno. I termosifoni risentono molto di questa mancanza di comunicazione, e la loro rabbia la mettono nelle cifre piene di zeri che arriva ai loro padroni da pagare a fine mese. (E pensare che loro lo farebbero gratis! Solo per un po’ d’attenzione...!) (Ehi. Siete tutti lì abbracciati al vostro termosifone??)
Chiara Rodeghiero – Le cose che non si dicono
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Il minatore Si era annidato lì, tra due molari. Mi si doveva essere infilato in bocca durante la notte, con la brutta abitudine che avevo di dormire a bocca aperta. E ora lo sentivo scavare in continuo, lì in mezzo ai denti, nell’arcata superiore, in fondo, verso gli zigomi. Me lo immaginavo lavorare, pure un po’ sudato, affaticato perché lavorare a testa in giù è un lavoro mica da niente. Scavava come sperasse di trovare chissà che cosa. Lo sentivo fare qualche pausa ogni tanto, forse per riposarsi, poi riprendeva con maggior foga. Lo udivo sfregiare lo smalto, logorare le gengive. Presi appuntamento dal dentista. Il dentista disse che era una carie di poco conto, e in breve risolse la cosa. Mi anestetizzò, fece un buco, pulì, e poi chiuse tutto con una specie di malta nera. Contento di aver risolto velocemente tornai a casa e non ci pensai più. Ma la notte mi svegliai con un rumore in bocca. Era come se qualcuno armato di pala e piccone stesse lavorando nella mia mandibola. Non era il dolore, quanto il rumore ad avermi svegliato. Era un suono impercettibile ad ogni orecchio esterno, era un rimbombo infernale nel mio cranio. Il giorno dopo tornai dal dentista, che mi diede a malapena un’occhiata in bocca e disse che non era niente. E che avevo le gengive sensibili: mi vendette un colluttorio a peso d’oro. Risposi che ero nel complesso una persona sensibile, e che era superficiale limitare la considerazione alle mie gengive. Il dottore la prese come una battuta, non capì, ma lasciai stare. Quella sera finii il flacone di colluttorio, sperando di annegare l’instancabile lavoratore. Ma mi resi conto che era inutile, non si
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sarebbe neanche bagnato: era stato murato vivo dentro il dente, con uno strato di malta nera. Lo sentii martellare tutta la notte. La mattina dopo guardandomi il dente vidi che la pasta nera dell’otturazione non c’era più. C’era solo un buco, e dentro non c’era nessuno. Anche il rumore era sparito. Se n’era andato? Tornai per l’ennesima volta dal dentista, che mi chiuse il buco ma non riuscì a spiegarmi cosa fosse successo. Mi liquidò dicendo ‘che strano!’. Passai la giornata a fare ricerche in Internet, e alla fine trovai quel che cercavo. Li chiamavano ‘i minatori’. Erano dei minuscoli esserini altruisti che ti arrivavano in bocca quando sentivano che avevi una carie. Allora si mettevano a lavorare con degli arnesi particolari e in un paio di giorni ti estirpavano la carie. Alcune persone, c’era scritto, non si accorgono nemmeno di avere un minatore in bocca, e non scoprono neppure di avere una carie, poiché l’esserino fa il suo lavoro e così come è venuto se ne va. Ma io essendo una persona sensibile -molto sensibile- l’avevo sentito, eccome! E così invece di essergli riconoscente per la sua prestazione a fin di bene, che mi avrebbe pure fatto risparmiare l’onerosa parcella del dentista, l’avevo fatto murare vivo! Quell’ultima notte aveva martellato solo per uscire, per sopravvivere. E poi, offeso, se n’era andato, imprecando contro l’ingratitudine degli uomini. E chissà, magari avrà deciso di cambiare mestiere.
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Benedetto da Norton Benedetto da Norton iniziò la sua carriera di distruttore di virus a 20 anni. Ne sapeva un sacco, Benedetto da Norton e tutti lo chiamavano quando c’era bisogno, tanto che quello cominciò a lucrarci non poco. Una volta fu contattato addirittura dall’allenatore dell’Internet, che era la sua squadra del cuore. Questo gli disse ‘Ho il sospetto che tra i miei ragazzi si nasconda un virus’. Allora Benedetto cominciò le indagini. Venne introdotto nella squadra e presentato come un nuovo promettente attaccante, così da poter osservare i comportamenti dei giocatori molto da vicino. Durante gli allenamenti giocava con loro e spesso mancava la palla preso com’era a studiare i compagni. Negli spogliatoi li guardava, li osservava nudi, cercando di notare qualche segno particolare. Aveva un sesto senso nel riconoscerli, i virus. Ma questa volta niente: non vedeva nulla di strano. L’undicesimo giorno andò dall’allenatore e, un po’ imbarazzato, gli disse che non c’erano virus nella squadra dell’Internet. L’allenatore, che non osava essere contraddetto, andò su tutte le furie, e scacciò Benedetto da Norton in malo modo dandogli dell’incapace. Benedetto Da Norton, amareggiato, se ne andò. Presto fu chiamato altrove, era stato avvistato un virus nei pressi della Posta Elettronica, così si travestì da impiegato e si installò negli uffici postali. Qualche tempo dopo, però, giunse alle sue orecchie una notizia che lo lasciò basito.
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L’Internet, la sua squadra del cuore, era passata in serie Z. L’allenatore dichiarò in un’intervista che era tutta colpa di un virus, che da tempo occupava il campo ben camuffato da giocatore. Benedetto si sentì molto colpevole nei confronti della propria squadra. Decise di iscriversi ad un corso d’aggiornamento sui virus di nuova generazione.
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Indice
Le cose che non si dicono .......................................................................... 2
Inno al polpastrello .................................................................................... 4
Il paese dove le cose non si dicono mai..................................................... 5
MUTILATO .............................................................................................. 7
Valentina ................................................................................................... 9
PORNO ..................................................................................................... 10
AlfaPsico ................................................................................................. 12
Scivolo ..................................................................................................... 13
Questionario di una prostituta ................................................................. 14
Topo......................................................................................................... 26
Esercizi in stile matematico. .................................................................... 27
CARIE ..................................................................................................... 31
Lacrime asciutte ...................................................................................... 34
Perché il mondo va storto ....................................................................... 41
Primavolta ............................................................................................... 42
IL BANCONE DI BENEFICIENZA ................................................................ 44
Scolapasta ................................................................................................ 50
Posate sposate ......................................................................................... 51
Chi l’ha detto ........................................................................................... 52
Amici ........................................................................................................ 53
Ferro tenero ............................................................................................ 54
Vita familiare ........................................................................................... 55
Il Termosifone .......................................................................................... 56
Il minatore ............................................................................................... 58
Benedetto da Norton ............................................................................... 60