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Luigi Zuccaro 1 www.energialab.it LE FONTI RINNOVABILI DI ENERGIA E L’UTILIZZO DELLE BIOMASSE NELL’AMBITO DELLA RIFORMA DEL SISTEMA ELETTRICO NAZIONALE 4 – Il ruolo delle biomasse nell’ambito della promozione delle fonti rinnovabili di energia _______________________________________________________________________________ Luigi Zuccaro

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LE FONTI RINNOVABILI DI ENERGIA E

L’UTILIZZO DELLE BIOMASSE NELL’AMBITO DELLA RIFORMA DEL SISTEMA ELETTRICO

NAZIONALE

4 – Il ruolo delle biomasse nell’ambito della promozione delle fonti rinnovabili di energia

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Luigi Zuccaro

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Indice 1. Generalità sulle biomasse. 2. Classificazione delle biomasse. 3. Applicazioni delle biomasse. 4. Biopower.

4.1. Tecnologie basate sulla conversione termochimica delle biomasse. 4.2. Tecnologie basate sulla conversione biochimica delle biomasse.

5. Biofuels. 6. Bioproducts. 7. Vantaggi e svantaggi delle biomasse. 8. Attuali livelli di implementazione dei sistemi a biomasse e prospettive future. Conclusioni. Riferimenti bibliografici. 1. Generalità sulle biomasse Quando si parla di biomassa si intende qualunque tipo di sostanza organica derivata direttamente o indirettamente dall’attività fotosintetica delle piante. Già questa definizione racchiude al suo interno la prima grossa distinzione che si è soliti fare in seno alle biomasse, quella tra: ü Biomassa vegetale, che insieme all’ossigeno costituisce il prodotto della fotosintesi clorofilliana delle piante e pertanto

rappresenta la biomassa che deriva direttamente da questo tipo di attività; ü Biomassa animale, che invece rappresenta quella quota di biomassa che, attraverso le catene alimentari degli animali, passa

dal mondo vegetale al mondo animale, costituendo pertanto la biomassa derivata indirettamente dalla fotosintesi clorofilliana.

L’origine della biomassa, dunque, sia essa vegetale o animale, è in stretta correlazione con il più generale ciclo del Carbonio, o meglio con il ciclo biologico del Carbonio, che costituisce uno degli elementi base per il metabolismo e l’anabolismo di tutti gli organismi viventi. Tale elemento entra nel ciclo sottoforma di anidride carbonica (CO2) e, grazie alle piante ed alla loro attività fotosintetica, viene fissato in composti più complessi di natura organica che fungono da materiale di base per la loro crescita e sostentamento (fig. 1).

Figura 1. La fotosintesi clorofilliana e l’origine delle biomasse (fonte Energoclub).

Esse, come noto, utilizzano l’energia solare per elaborare, a partire appunto da CO2, acqua e sali minerali, delle sostanze come la lignina, la cellulosa, le emicellulose, gli amidi, gli zuccheri, ecc., che costituiscono proprio la biomassa vegetale. Una parte di questo materiale, attraverso gli erbivori, passa nelle catene alimentari degli animali per essere rielaborato sottoforma di grassi, lipidi, proteine, ecc., che costituiscono invece la biomassa animale. A questo tipo di biomassa appartengono anche tutti i rifiuti del loro metabolismo e le deiezioni. Il ciclo del Carbonio si chiude quando tutto il Carbonio organicato con la fotosintesi ritorna nell’atmosfera sottoforma di CO2, attraverso un processo di decomposizione. Il processo è esotermico ed ha come prodotti in uscita anidride carbonica, acqua, sali

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minerali e soprattutto calore, cioè tutta l’energia immagazzinata nei legami cellulari dei composti che costituiscono la sostanza organica. Il ciclo del Carbonio, inoltre, è un ciclo chiuso, nel senso che tutta l’anidride carbonica atmosferica fissata attraverso le reazioni fotosintetiche viene interamente recuperata alla chiusura del ciclo, con la decomposizione di tutto il materiale organico prodotto. Più o meno la stessa cosa vale per l’energia solare, sfruttata e trasformata in energia chimica dalle piante stesse per le reazioni di biosintesi, in accordo con il primo principio della termodinamica. Ovviamente è chiaro che in questo caso l’energia liberata con la decomposizione della sostanza organica non ritornerà mai nell’atmosfera sotto forma di energia solare, bensì sotto forma di calore disperso nell’atmosfera, ma è importante notare che l’energia immagazzinata all’interno dei legami chimici, e successivamente liberata all’atto della decomposizione della biomassa, è pari all’energia solare captata dalle piante ed utilizzata per attivare tutti i processi/reazioni di biosintesi. Alla luce di quanto osservato finora, pertanto, possiamo affermare che la biomassa altro non è che la forma più sofisticata di accumulo dell’energia solare, a disposizione degli organismi viventi per il completamento dei loro cicli biologici e perché no a disposizione dell’uomo, previa gestione sostenibile, per produrre energia ed alimentare le sue innumerevoli attività. Fonti dell’ITABIA calcolano che con la fotosintesi vengano fissate complessivamente circa 200 miliardi di tonnellate di Carbonio all’anno, con un contenuto energetico dell’ordine dei 70 mila milioni di tonnellate equivalenti di petrolio (70.000 Mtep). Ovviamente, non tutto questo potenziale può essere sfruttato così com’è dall’uomo perché in genere le biomasse rappresentano una forma di energia a lento rilascio e notevolmente dispersa sul territorio. Tuttavia, una parte piuttosto consistente di tutta questa biomassa può essere concentrata in diversi modi e sfruttata per produrre energia, attraverso dei processi sostanzialmente riconducibili alla decomposizione, ma che avvengono con velocità notevolmente superiori ed in grado di liberarne notevoli quantità. 2. Classificazione delle biomasse La biomassa utilizzabile a fini energetici consiste in tutti quei materiali organici che possono essere utilizzati come combustibili ovvero trasformati in altre sostanze, solide, liquide, gassose, di più facile utilizzo negli impianti di conversione. Sinteticamente rientrano in questa categoria: ü Prodotti delle utilizzazioni forestali (legna da ardere, assortimenti di scarso valore, ecc.); ü Residui delle utilizzazioni forestali (scarti di legname, foglie, ramaglia, residui della pulizia del sottobosco, ecc.); ü Residui e sottoprodotti dell’agricoltura:

o Paglia; o Sarmenti di vite; o Potature di piante da frutto; o Stocchi e tutoli di mais; o Pulla; o Lolla; o Residui di trebbiatura; o Ecc.;

ü Vinacce esauste, farine di vinaccioli, residui di frutta e simili; ü Sanse esauste e prodotti affini; ü Coltivazioni erbacee destinate alla produzione di biocombustibili (colture energetiche); ü Coltivazioni arboree a ciclo breve per la produzione di biomassa combustibile (Short Forestry Rotation); ü Scarti dell’industria agroalimentare; ü Scarti dell’industria del legno (segatura, truciolo, ecc.); ü Residui di lavorazione del mobile; ü Residui delle cartiere: lignina (50 per cento); ü Residui tessili di filatura e tessitura; ü Deiezioni e residui animali; ü Frazione organica dei rifiuti solidi urbani.

In altre parole, spesso si tratta di sfruttare al meglio il materiale di risulta di diverse attività produttive dell’uomo, che altrimenti non troverebbe una collocazione conveniente nel mercato e che dovrebbe comunque essere smaltito, a costi non sempre ridotti. Nelle figure che seguono, verranno illustrate alcune delle tipologie di biomasse appena elencate.

Figura 2. Un esempio di biomassa di tipo legnoso.

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Figura 3. La paglia, un classico scarto dell’attività agricola dell’uomo.

Figura 4. Il colza (Brassica napus oleifera), una delle specie più promettenti ai fini della produzione di energia da colture energetiche dedicate.

Figura 5. Segatura ammassata nel piazzale di una grossa segheria.

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Figura 6. Anche per le deiezioni animali degli allevamenti zootecnici si intravedono ottime prospettive di utilizzo ai fini della produzione di energia.

Figura 7. La frazione organica dei rifiuti solidi urbani, il cui impiego per la produzione di biogas presuppone alla base un’efficiente sistema di raccolta differenziata dei rifiuti. 3. Applicazioni della biomassa Il grande interesse che ruota attorno alle biomasse è giustificato anche dalle molteplici applicazioni cui tale classe di composti si presta. Esse sono riconducibili e tre tipologie principali: ü Produzione di energia (Biopower); ü Sintesi di carburanti (Biofuels); ü Sintesi di prodotti (Bioproducts).

Per qualunque applicazione la biomassa venga utilizzata, essa deve subire un processo di trasformazione, riconducibile essenzialmente a due tipi di conversione: ü Conversione biochimica, processo di trasformazione della biomassa che avviene attraverso una serie di reazioni chimiche

messe in moto grazie al contributo di enzimi, funghi e microrganismi che si formano nella biomassa sotto particolari condizioni: rapporto C/N inferiore a 30 e umidità alla raccolta superiore al 30 per cento (fig. 8);

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Figura 8. La fermentazione, un esempio tipico di conversione biochimica della biomassa.

ü Conversione termochimica, processo di trasformazione in energia di materia organica con rapporto C/N superiore a 30 ed

umidità inferiore al 30 per cento, sotto l’azione del calore (fig. 9).

Figura 9. La combustione diretta, un classico caso di conversione termochimica della biomassa.

Risultano idonei alla conversione biochimica le colture acquatiche, alcuni sottoprodotti colturali (foglie e steli di barbabietola, colture ortive, patata, ecc.), i reflui zootecnici ed alcuni scarti di lavorazione (borlande, acqua di vegetazione, ecc.), nonché la biomassa eterogenea immagazzinata nelle discariche controllate. Le biomasse più adatte a subire processi di conversione termochimica sono la legna e tutti i suoi derivati (segatura, trucioli, ecc.), i più comuni sottoprodotti colturali di tipo ligno-cellulosico (paglia di cereali, residui di potatura della vite e dei frutteti, ecc.) e taluni scarti di lavorazione (lolla, pula, gusci, noccioli, ecc.). 4. Biopower Le tecnologie del biopower consentono di convertire i combustibili rinnovabili che fanno capo alla classe delle biomasse in calore, energia elettrica o entrambi (cogenerazione). Esse sono in grado di soddisfare diverse tipologie di utenze: ü Utenze domestiche, esclusivamente per la produzione di calore; ü Industria del legno e dell’agroalimentare, per la produzione di energia elettrica e calore; ü Interi comuni o comprensori, per la produzione di energia elettrica (centrali elettriche) e calore in teleriscaldamento.

Per quanto riguarda la prima tipologia di utenze, le potenzialità del settore biopower sono elevate, in quanto, fino a poco tempo fa, tutto il sistema di riscaldamento domestico da biomasse era fondato su camini, stufe o termocucine di potenza fino ai 20-30 kWt, con bassi rendimenti, variabili dal 10 al 15 per cento per i camini, al 40-45 per cento per le stufe e le termocucine. Le nuove tecnologie, ascrivibili essenzialmente a caldaie a pellet o a cippato, invece, sono in grado di garantire alti livelli di rendimento (80-90 per cento) a costi competitivi rispetto ad altri combustibili come gasolio e metano [8]. Tra l’altro, le caldaie di ultima generazione sono progettate per ottenere una combustione quasi perfetta della legna, con emissioni inferiori rispetto a quelle delle caldaie a combustibile tradizionale [5]. Anche per quanto riguarda l’industria del legno e dell’agroalimentare l’impiego delle biomasse può rivelarsi molto interessante ai fini del raggiungimento dell’autosufficienza per quanto riguarda il calore per il riscaldamento dei locali e l’energia elettrica per i processi industriali. Ciò è da porsi in relazione soprattutto con il fatto che in questo settore la biomassa si trova molto concentrata e costituisce un rifiuto molto oneroso da smaltire il quale invece può rappresentare un ottimo combustibile a costo zero. Infine, rimane da analizzare il comparto delle grosse centrali a biomassa accoppiate a reti di teleriscaldamento in grado di riscaldare interi comuni: in Italia siamo ancora indietro rispetto ad altri paesi europei, soprattutto quelli che vantano una grossa tradizione nell’uso del legno, come Austria, Germania e Paesi scandinavi. La tendenza è però positiva e la diffusione sarà sempre più capillare nel nostro territorio.

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Le tecnologie alla base della conversione energetica delle biomasse fanno capo sia a processi di conversione termochimica che a processi di conversione biochimica. Alcune di esse sono ormai giunte ad un ottimo livello di sviluppo, altre invece necessitano di ulteriore sperimentazione, al fine di aumentare i rendimenti e ridurre i costi di conversione energetica. Di seguito verrà fornita una breve descrizione di tutte le tecnologie attualmente disponibili. 4.1. Tecnologie basate sulla conversione termochimica delle biomasse Come già accennato in precedenza, tale forma di conversione energetica avviene attraverso una serie di reazioni chimiche i cui passaggi si susseguono in cascata e liberano notevoli quantità di calore; in altre parole, essa consente di produrre energia essenzialmente attraverso diversi tipi di trasformazione termica della biomassa. La Pirolisi. E’ un processo di decomposizione termochimica di materiali organici, ottenuto mediante applicazione del calore, a temperature comprese tra 400 e 800 gradi Centigradi, in completa assenza di un agente ossidante (l’ossidante per eccellenza è l’Ossigeno). I prodotti della pirolisi possono essere solidi, liquidi o gassosi, a seconda del metodo di pirolisi utilizzato (pirolisi convenzionale, lenta, veloce). Uno dei maggiori problemi legati alla produzione di energia basata sui prodotti della pirolisi è la qualità di detti prodotti, che non ha ancora raggiunto un livello sufficientemente adeguato, con riferimento alle applicazioni, sia con turbine a gas sia con motori diesel. In prospettiva, anche in considerazione delle taglie degli impianti, i cicli combinati ad olio pirolitico appaiono i più promettenti, soprattutto in impianti di medio grandi, mentre motori a ciclo diesel, utilizzanti prodotti della pirolisi, sembrano più adatti a piccoli impianti. La Carbonizzazione. E’ la pirolisi di materiale ligno-cellulosico e conseguente trasformazione in carbone (carbone di legna o carbone vegetale). In sostanza trattasi di un processo di distillazione della biomassa vegetale in assenza di ossigeno, durante il quale il materiale, per azione del calore, perde acqua e sostanze volatili e si trasforma in carbone. La Combustione diretta. E’ un processo di degradazione termica della biomassa in presenza di ossigeno ed alte temperature. Il calore prodotto può essere sfruttato tal quale per il riscaldamento degli ambienti, ovvero ci può essere scambio di calore tra i gas della combustione ed appositi fluidi di processo (acqua, olio diatermico, ecc.). Avviene in caldaie dal rendimento sempre più elevato che usano come combustibile sostanze di natura ligno-cellulosica, con contenuto di umidità inferiore al 35 per cento, e specificatamente: ü Legname in tutte le sue forme; ü Paglie di cereali; ü Residui di raccolta di legumi secchi; ü Residui di piante oleaginose (ricino, catramo, ecc.); ü Residui di piante da fibra (cotone, canapa, ecc.); ü Residui legnosi di potatura di piante da frutto e di piante forestali; ü Residui dell’industria del legno e dell’industria agroalimentare.

Nelle figure 10 e 11, il pellet, combustibile a base di legno polverizzato e pressato che sta rivoluzionando il riscaldamento degli appartamenti, e una caldaia in grado di convertire in modo efficiente il contenuto energetico del pellet.

Figura 10. Il pellet, un conglomerato di resisdui a base ligno-cellulosica pressati senza la presenza di alcun tipo di collante a formare un prodotto avente elevata massa volumica.

Figura 11. Schema esemplificativo del funzionamento di una caldaia a pellet. La gassificazione. Consiste nell’ossidazione completa di una sostanza in un ambiente ad elevata temperatura (900-1.000 gradi Centigradi) per la produzione di gas combustibile (detto gas gasogeno) di basso potere calorifico inferiore (PCI), variabile tra i 4.000 kJ/Nm3, nel caso più diffuso dei gassificatori ad aria, ed i 14.000 kJ/Nm3, nel caso dei gassificatori ad Ossigeno. Valori intermedi (10.000 kJ/Nm3) si ottengono nel caso di gassificatori a vapore acqueo. Nel primo stadio, la pirolisi, i componenti più volatili sono vaporizzati a temperature inferiori a 600 gradi Centigradi da un insieme di reazioni complesse. I componenti volatili sono gas di idrocarburi, Idrogeno, CO, CO2, nerofumo e vapore acqueo. Poiché i combustibili ottenuti dalla biomassa hanno un contenuto di componenti volatili superiore al carbone (rispettivamente 70-86 per cento e 30 per cento su base secca), la pirolisi gioca un ruolo fondamentale più nella gassificazione della biomassa che in quella del carbone. Le sostanze carbonizzate e la cenere sono prodotti

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non vaporizzabili, perciò nel secondo stadio questi composti devono essere gassificati in una reazione con l’Ossigeno, vapore e Idrogeno. La parte incombusta delle sostanze carbonizzate viene bruciata per fornire il calore necessario alle reazioni endotermiche di gassificazione. La gassificazione può essere realizzata a bassa pressione, a letto fluido e a letto fluidizzato (nel caso sia necessaria una temperatura uniforme). Le caldaie a letto fluido rappresentano la tecnologia più sofisticata e dispendiosa che sta ricevendo, però, notevoli attenzioni; essa permette in conseguimento di numerosi vantaggi quali la riduzione degli inquinanti e l’elevato rendimento di combustione. I problemi connessi a questa tecnologia, ancora in fase di sperimentazione, si incontrano a valle del processo di gassificazione e sono legati principalmente al suo basso potere calorifico ed alle impurità presenti nel gas (polveri, catrami, metalli pesanti). L’utilizzazione del gas gasogeno quale vettore energetico, pone alcune limitazioni legate essenzialmente ai problemi connessi con il suo immagazzinamento e trasporto, causa il suo basso contenuto energetico per unità di volume. Ciò fa sì che risulti eccessivamente costoso il trasporto su lunghe distanze. Tali inconvenienti possono essere superati trasformando il gas in alcol metilico (CH3OH), che può essere agevolmente utilizzato per l’alimentazione dei motori. Il metanolo, caratterizzato da un potere calorifico dell’ordine di 21.000 kJ/kg, può essere successivamente raffinato per ottenere benzina sintetica, con potere calorifico analogo alle benzine tradizionali (vedi paragrafo 4.2). La Combustione lenta. Processo di trasformazione termochimica dalla biomassa che avviene in presenza di ridottissime quantità di ossigeno e può essere assimilato ad una parziale gassificazione. Il Cofring. E’ un sistema di produzione di energia, essenzialmente calore, basato sull’impiego combinato di carbone e biomassa come combustibile. Più nel dettaglio, il cofring consiste nella sostituzione di una porzione di carbone con biomassa, da utilizzare nella stessa caldaia dell’impianto preesistente. Ciò può essere fatto miscelando la biomassa con carbone prima che il combustibile venga introdotto nella caldaia o utilizzando alimentazioni separate. In base al tipo di caldaia e al sistema di alimentazione impiegato, la biomassa può sostituire fino al 15 per cento del carbone senza che si registrino cadute significative di prestazioni. Il sistema è sicuramente fra le soluzioni più economiche in quanto non comporta investimenti per l’acquisto di nuovi impianti, ma permette di usare quelli preesistenti, senza alcuna modifica, se non nel sistema di alimentazione. Sistemi small-modular. Consistono in piccoli gruppi elettrogeni alimentati a biomassa, della potenza di circa 5 kW, che potrebbero potenzialmente soddisfare il fabbisogno energetico di oltre 2,5 miliardi di persone che sono attualmente sprovviste di energia elettrica e che vivono in aree dove sono disponibili grandi quantità di biomassa utilizzabile come combustibile. Tali sistemi costituirebbero un’ottima soluzione a livello di villaggio. Non mancano, però, vantaggi anche nei paesi industrializzati, in quanto potrebbero essere utilizzati come fornitura energetica complementare alla rete elettrica ordinaria. Rispetto ai sistemi a combustibile fossile, rappresentano un’alternativa più accettabile dal punto di vista ambientale. 4.2. Tecnologie basate sulla conversione biochimica della biomassa Abbiamo già detto che la conversione biochimica delle biomasse avviene attraverso reazioni chimiche catalizzate da enzimi o microrganismi o funghi. La tecnologie basate su questo tipo di conversione sono essenzialmente due: la digestione anaerobica e la digestione aerobica. La Digestione Anaerobica (o Fermentazione). E’ un processo di conversione che avviene in assenza di Ossigeno e consiste nella demolizione, ad opera di microrganismi, di sostanze organiche complesse (lipidi, protidi, glucidi) contenute nei vegetali e nei sottoprodotti di origine animale. Le reazioni hanno, come prodotto in uscita, del gas (biogas) costituito per il 50-70 per cento da metano (CH4) e per la restante parte soprattutto da monossido di carbonio (CO), avente un potere calorifico medio dell’ordine dei 23.000 kJ/Nm3. Il biogas così prodotto può essere utilizzato come combustibile per alimentare caldaie a gas per produrre calore o motori a combustione interna per produrre energia elettrica. Al termine del processo di fermentazione nell’effluente si conservano integri i principali elementi nutritivi delle piante (azoto, fosforo, potassio), pertanto esso costituisce un ottimo fertilizzante. Gli impianti a digestione anaerobica possono essere alimentati mediante residui ad alto contenuto di umidità, quali le deiezioni animali, i reflui civili, i rifiuti alimentari e la frazione organica degli RSU, rifiuti solidi urbani (fig. 12).

Figura 12. Un esempio di sfruttamento energetico del biogas, anche se poco efficiente se la decomposizione della

biomassa avviene in discarica, anche se ben organizzata. Molte città si stanno dotando di centrali elettriche a biogas alimentate dalla frazione organica degli RFU secondo un sistema di smaltimento dei rifiuti estremamente efficace e sostenibile rispetto ai tradizionali sistemi, ma che prevede necessariamente un sistema di raccolta differenziato molto efficiente. L’unica limitazione imposta da questo tipo di tecnologia consiste nel fatto che la

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decomposizione dei rifiuti organici deve avvenire necessariamente in digestori chiusi, in cui tutto il gas prodotto può essere raccolto ed utilizzato come combustibile; ciò non sarebbe possibile in discariche, anche ben attrezzate, perché in tal caso solo il 40 per cento del metano prodotto potrebbe essere raccolto, mentre la rimanente parte verrebbe dispersa in atmosfera, con consegueze notevoli dal punto di vista dei danni ambientali. Ricordiamo, infatti, che il metano fa parte della famigerata famiglia dei gas serra e, tra l’altro, ha un effetto circa venti volte superiore a quello della CO2. Grandi possibilità di sviluppo vi sono anche per l’industria agroalimentare, che in tal modo potrebbe conseguire due grandi vantaggi: lo smaltimento degli scarti del ciclo di produzione e l’autosufficienza per quanto riguarda il fabbisogno di energia elettrica. La Digestione Aerobica. Tale processo consiste nella metabolizzazione delle sostanze organiche, per opera di microrganismi, che avviene in presenza di Ossigeno. Più nel dettaglio, gli artefici di questa degradazione sono essenzialmente batteri che convertono sostanze complesse in sostanze più semplici, liberando, come sottoprodotti, CO2, H2O ed un’elevata quantità di calore, il quale può essere efficacemente trasferito all’esterno del substrato in via di decomposizione, mediante scambiatori a fluido, ed utilizzato per diversi scopi. In Europa, il processo di Digestione Aerobica Termofila Autoriscaldata (Autoheated Termophilic Aerobic Digestion) viene utilizzato per il trattamento delle acque di scarico. 5. Biofuels A questa categoria appartengono tutti i combustibili derivati da biomasse liquidi che possono essere impiegati per la propulsione dei mezzi di trasporto. Potrebbero rientrarvi anche i combustibili usati per la produzione di energia elettrica, ma si preferisce farli rientrare nella categoria del biopower. I più comuni biocombustibili sono senza dubbio il bioetanolo, sintetizzato a partire dai carboidrati, e il biodiesel, ottenuto da grassi ed oli. Per quanto riguarda il bioetanolo, bisogna aggiungere che, nonostante quello ottenuto dagli amidi e dagli zuccheri stia fornendo un buon contributo sotto il profilo energetico ed ambientale, assume maggiore importanza quello prodotto da biomassa cellulosica come piante erbacee e legnose, residui agricoli e forestali, e da grandi quantità di rifiuti urbani e scarti industriali. Ciò è essenzialmente dovuto alla disponibilità di materia prima: infatti, mentre amidi e zuccheri costituiscono un modesto quantitativo di materiale derivante dalle piante, la cellulosa e le emicellulose, anch’esse polimeri dello zucchero, rappresentano la maggior parte della biomassa. I vantaggi legati all’uso di biocombustibili sono da ricercarsi essenzialmente in: ü Minore dipendenza energetica dai combustibili fossili; ü Minori emissioni di gas sera; ü Non tossicità; ü Biodegradabilità (il biodiesel è biodegradabile in 30 giorni); ü Minori quantità di zolfo nel biodiesel; ü Possibilità di sintesi a partire da materiali di scarto delle produzioni agricole.

Bioetanolo. E’ un combustibile di natura organica ottenuto in seguito a conversione biochimica della biomassa ed in particolare attraverso reazioni di fermentazione alcolica mediate da biocatalizzatori, quali lieviti e batteri. La fermentazione alcolica è un processo di natura micro-aerofila che opera la trasformazione dei glucidi in etanolo, utilizzato poi come combustibile, e altri sottoprodotti, impiegati nella produzione di altri combustibili, composti chimici, calore ed energia elettrica. In seguito alla crisi petrolifera del 1973, la ricerca sui combustibili alternativi ebbe notevole impulso; i risultati, però, non sono stati sempre all’altezza delle aspettative. Ad oggi, infatti, il biocombustibile che offre il miglior compromesso tra prezzo, disponibilità e prestazioni, è proprio il bioetanolo, o più probabilmente un suo derivato, conosciuto come ETBE (EtilTertioButilEtere), che è ottenuto combinando un idrocarburo petrolifero, l’isobutene, e l’etanolo. Biodiesel. Combustibile derivato da oli vegetali, grassi animali e grassi da cucina, utilizzabile tal quale o previo processo di esterificazione o transesterificazione, in condizioni ambientali caratterizzate da bassa temperatura e pressione. Una generica reazione di esterificazione prevede come reagenti un alcol e un acido, per ottenere un estere e acqua. Gli esteri sono liquidi o solidi, solubili in solventi organici, ed hanno un buon odore. Gli oli ed i grassi sono formati principalmente da trigliceridi, composti chimici di grassi e glicerina, ed acidi grassi liberi. Gli acidi grassi liberi si legano al metanolo (in alternativa si può usare anche l’etanolo) per produrre biodiesel in ambiente acido, mentre i trigliceridi sono trasformati in biodiesel e glicerina in ambiente basico, usando idrossido di sodio come catalizzatore. La glicerina è un prodotto di risulta delle reazioni testé descritte, che può essere usata per la produzione di creme per le mani, pasta dentifricia e lubrificanti di vario genere. Il biodiesel può essere ottenuto da tutte le colture oleaginose, ricche di oli vegetali. In Europa le specie più impiegate in colture energetiche dedicate alla produzione di biocombustibili sono la colza ed il girasole. In America, invece, si preferisce usare la soia. Il biodiesel può essere stoccato negli stessi serbatoi del gasolio e pompato con gli usuali mezzi, tranne che nelle giornate fredde, durante le quali bisogna usare riscaldatori dei serbatoi ed agitatori; è completamente miscibile col gasolio e ciò lo rende un additivo molto flessibile. Il biodiesel, essendo un prodotto ossigenato, migliora il completamento della combustione e la riduzione degli inquinanti è proporzionale alla sua concentrazione nelle miscele (fig. 13).

Figura 13. Autobus per il trasporto pubblico alimentato a biodiesel.

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Uno svantaggio del biodiesel risiede nell’emissione di NOx, ma la ricerca sta cercando di mitigare il problema. Inoltre, le prestazioni dei motori che utilizzano biodiesel puro (consumi, potenza, coppia) diminuiscono dell’8-15 per cento, a causa dei diversi contenuti energetici. Per risolvere il problema il biodiesel viene convenientemente usato in miscela al 20 per cento con il gasolio tradizionale. E-diesel. E’ una miscela di biodiesel, etanolo (fino al 15 per cento in volume) ed un additivo come emulsionante o un cosolvente. Tale combustibile riduce di molto le emissioni di particolati, tipiche nel caso del diesel tradizionale. Metanolo e composti della benzina corretti. Noto come alcol del legno, il metanolo è prodotto di solito dal gas naturale, ma può essere altresì sintetizzato dalla biomassa, tramite il processo di gassificazione descritto in precedenza. I composti della benzina corretti e prodotti dalla biomassa fungono da additivi dei carburanti per ridurre le emissioni inquinanti. I più usati sono il metilterzbutiletere (MTBE) e l’etilterzbutiletere (ETBE). 6. Bioproducts In questa categoria rientrano numerosi prodotti di uso quotidiano come antigelo, materie plastiche, colla, dolcificanti artificiali, pasta dentifricia, ecc. Il presupposto di base è che qualunque composto sintetizzabile dai combustibili fossili, può essere ugualmente prodotto anche dalla biomassa, impiegando, tra l’altro, un quantitativo energetico inferiore rispetto ai loro omologhi basati sul petrolio. I processi tecnologici alla base della sintesi dei bioproducts sono essenzialmente tre: ü Fermentazione alcolica: la stessa usata per la sintesi dei biofuels. Si ottengono i prodotti elencati in precedenza; ü Monossido di carbonio più idrogeno (CO-H2): si formano in abbondanza durante il riscaldamento della biomassa e

vengono utilizzati per la biosintesi di materie plastiche e acidi indispensabili nella produzione di pellicole fotografiche, fibre tessili e sintetiche;

ü Olio di pirolisi: ottenuto in seguito a riscaldamento della biomassa in assenza di ossigeno, questo composto è la base per estrarre il fenolo, intermedio usato nella produzione di adesivi per il legno, stampi di plastica e schiuma isolante.

7. Vantaggi e svantaggi della biomassa Il grande interesse rivolto da più parti nei confronti delle biomasse e, più in generale, delle fonti rinnovabili di energia, è giustificato da una serie di benefici effetti che si accompagnano al loro impiego, sia dal punto di vista strettamente energetico sia dal punto di vista sociale ed ambientale. Per le biomasse tali vantaggi, alcuni in comune con le altre fonti rinnovabili, altri caratteristici per questa fonte energetica, possono essere così riassunti: ü Sostenibilità (rinnovabilità); ü Protezione dell’ambiente (nullo, o quasi nullo, impatto ambientale); ü Dispersione sul territorio (presidio e occupazione in aree marginali interne); ü Facilità di impiego ed efficienza nella conversione energetica.

Caratteristica propria di tutte le fonti di energia cosiddette alternative, la sostenibilità e la rinnovabilità delle biomasse è legata ad una grande velocità di rigenerazione di queste risorse, cosa che le rende praticamente inesauribili. A patto, ovviamente, di gestirle in modo appropriato e corretto, in una parola, sostenibile; è il caso, ad esempio, delle biomasse forestali, fonte inesauribile di energia, previa gestione razionale dei boschi. Per quanto riguarda invece il secondo punto, affermare che le biomasse siano fonti rinnovabili a nullo impatto ambientale è una grossa forzatura; quel che è certo, però, è che le emissioni inquinanti ascrivibili alla loro conversione nergetica sono nettamente al di sotto dei valori che vengono comunemente registrati nel caso delle tradizionali fonti fossili di energia. Esse, tra l’altro, sembrano avere un ruolo fondamentale nella riduzione delle emissioni in atmosfera di zolfo (e quindi per il contenimento del fenomeno delle piogge acide) e di CO2. Dal punto di vista delle emissioni di anidride carbonica, le biomasse vengono definite a ragione fonti energetiche a bilancio nullo di CO2. Se è vero, infatti, che il ciclo del Carbonio è un ciclo chiuso, allora la quantità di CO2 rilasciata in atmosfera durante la decomposizione, sia che essa avvenga naturalmente sia per effetto della conversione energetica, deve essere esattamente uguale a quella che viene assorbita durante la crescita della biomassa stessa; dunque, non vi è alcun contributo netto all’aumento dei livelli di CO2 nell’atmosfera, anzi, l’aumentare della quota di energia prodotta mediante l’uso delle biomasse, piuttosto che con combustibili fossili, può contribuire in maniera rilevante alla riduzione della CO2 complessivamente emessa. Il terzo punto, a prima vista, può non sembrare un vero e proprio vantaggio; in effetti, una delle condizioni che è necessario verificare affinché si possa sfruttare adeguatamente una qualsiasi fonte di energia è che questa deve essere quanto più possibile concentrata. In realtà, la dispersione delle energie rinnovabili sul territorio, che inizialmente era tra i motivi che ne hanno fatto stentare il decollo, porta con sé due tipi di vantaggi indiretti: ü Una maggiore occupazione in aree marginali interne; ü Un maggiore presidio e tutela del territorio.

E’ chiaro, però, che il fatto di avere piccole quantità concentrate in aree diverse, non permette la costruzione di grossi impianti, quanto piuttosto di piccoli e medi impianti. La produzione di energia da fonti rinnovabili ben si sposa, dunque, con l’occupazione e lo sfruttamento di terreni marginali che altrimenti verrebbero abbandonati. La penetrazione delle fonti rinnovabili in queste aree, inoltre, permette di dare alle popolazioni locali maggiori opportunità lavorative. Ciò è vero soprattutto nel Mezzogiorno d’Italia, dove i problemi di dissesto idrogeologico ed occupazione sono maggiormente sentiti, ma dove vi è anche una grande disponibilità di materia prima: si pensi, ad esempio alle biomasse derivanti dallo sfruttamento del nostro patrimonio forestale o dagli scarti dell’agricoltura o dai reflui zootecnici, ma anche a quelle derivanti dalle cosiddette colture dedicate (o colture energetiche), le quali trovano condizioni favorevoli per lo sviluppo su terreni poco fertili e quindi poco adatti ad ospitare colture tradizionali.

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Più nel dettaglio, l’impiego della biomassa a fini energetici permette il conseguimento dei seguenti obiettivi di natura economico-sociale: ü Valorizzazione dei residui agricoli e dei residui delle utilizzazioni boschive, spesso smaltiti in modo non corretto; ü Nuove opportunità di sviluppo per zone marginali e/o riduzione di surplus agricoli con sostituzione di colture tradizionali

con colture energetiche; ü Possibilità di riconversione, diversificazione ed integrazione delle fonti di reddito nel settore agricolo; ü Possibilità di sviluppo di nuove iniziative industriali; ü Autonomia energetica locale di aziende agricole o di industrie di lavorazione del legno o industrie agroalimentari.

La possibilità di impiego dei residui delle utilizzazioni boschive non si traduce solo in vantaggi di natura esclusivamente sociale; essi, infatti, non sono solo un prodotto aggiuntivo delle utilizzazioni, la cui unica funzione è quella di migliorare il reddito delle imprese di utilizzazione, ma più in generale sono il mezzo che permette di aumentare la convenienza alle utilizzazioni boschive e quindi ad una gestione puntuale e corretta delle risorse forestali, in modo che esse possano produrre tutta una serie di benefici per la collettività. Ciò vale in particolare per le aree a macchiatico negativo ed per i tagli colturali. Le prime sono spesso localizzate in stazioni ad elevata pendenza e sono dunque importantissime ai fini della stabilità idrogeologica dei versanti, ma troppo spesso vengono lasciate a loro stesse e versano in situazioni di grave degrado fito-patologico; al punto da non essere più in grado di assolvere alla loro importantissima funzione di protezione ambientale. Per quanto riguarda, invece, i tagli colturali, essi sono fondamentali per la corretta crescita dei soprassuoli forestali ed in ultima analisi affinché il bosco possa espletare nel miglior modo possibile le molteplici funzioni cui è preposto: ü Funzione produttiva: legname, prodotti del sottobosco, biomassa per energia; ü Funzione protettiva, di prevenzione nei confronti del dissesto idrogeologico; ü Funzione ambientale, di assorbimento della CO2 ed emissione di O2; ü Funzione turistico-ricreativa; ü Funzione paesaggistica; ü Funzione sociale-occupazionale.

A questo proposito non va dimenticato che l’incentivazione all’impianto di specie forestali a ciclo breve può rappresentare un’ottima occasione di riforestazione dei terreni marginali, con conseguenti vantaggi anche dal punto di vista del controllo dell’erosione e del dissesto idrogeologico di zone collinari e montane (fig. 14).

Figura 14. Una gestione puntuale e razionale delle risorse forestali garantisce …

Ultimo punto, non certo per importanza, riguarda un aspetto più prettamente energetico, quello cioè legato alla facilità di impiego delle biomasse, il cui contenuto energetico può essere facilmente ed efficacemente convertito in calore ovvero riconvertito all’interno di combustibili ad alto potere energetico (alcol, biogas, ecc.). Esse, pertanto, rappresentano un’ottima fonte di accumulo dell’energia, molto abbondante sulla Terra e in grado di mantenersi intatta fino al suo utilizzo finale. Alla luce di quanto affermato finora, non sembra possibile che l’impiego delle biomasse per produrre energia proceda ancora in modo stentato. In effetti, se ciò accade è perché, a fronte dei pur numerosi vantaggi, esistono degli svantaggi che ne bloccano lo sviluppo, tutti più o meno riconducibili ad una scarsa convenienza economica nell’impiego delle biomasse. Essi possono essere così riassunti: ü Bassa densità energetica, derivante da un’elevata dispersione sul territorio delle biomasse; ü Tecnologia ad uno stadio di sviluppo che attualmente non è sempre in grado di assicurare rendimenti elevati nella

conversione energetica; ü Carenza di una precisa programmazione, di una strategia nazionale e di un piano operativo di settore; ü Macchina delle procedure autorizzative spesso lenta e complicata; ü Opinione pubblica non ancora adeguatamente informata sulle possibilità offerte da questo tipo di fonte energetica.

Attualmente quello della bassa densità energetica risulta essere l’ostacolo più importante per una definitiva e massiccia affermazione delle biomasse sul mercato perché, se da un lato permette di coniugare produzione di energia con un efficace funzione di presidio e protezione del territorio, dall’altro impone seri ostacoli nell’approvvigionamento di materia prima o di concentrazione dell’energia, a causa di costi di trasporto sempre più onerosi all’aumentare della distanza. A tal proposito si è calcolato che per distanze superiori alle cento miglia, gli impianti a biomassa diventano antieconomici [21]. Le migliori condizioni economiche, in effetti, si hanno quando la materia prima è concentrata nel sito in cui avverrà la sua conversione energetica. E’ il caso, ad esempio, dei residui dell’industria agroalimentare e di trasformazione del legno per la quale, alla luce di quanto appena affermato, gli impianti a biomasse mostrano avere le maggiori possibilità di implementazione. Per quanto riguarda, invece, lo sviluppo tecnologico, possiamo affermare che esso non rappresenta più un grosso problema in quanto i tradizionali impianti caratterizzati da rendimenti dell’ordine del 50-60 per cento stanno lasciando il passo ad impianti in grado di assicurare una conversione dell’energia chimica in energia termica quasi perfetta, con rendimenti pari all’80-90 per cento. L’unica

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nota dolente per questi impianti è il costo, che richiedendo ancora un investimento iniziale non sempre ridotto, riduce in modo piuttosto consistente la convenienza economica all’impiego delle biomasse come fonte energetica. Risulta altrsì chiaro, infine, che il progresso tecnologico e le migliori valutazioni logistiche sull’approvvigionamento della materia prima non possono nulla senza un’adeguata programmazione del Legislatore alla base e soprattutto senza un’adeguata informazione sulle reali possibilità offerte dalle fonti rinnovabili. 8. Attuali livelli di implementazione dei sistemi a biomasse e prospettive future Nel soddisfacimento dell’attuale domanda di energia, le fonti rinnovabili non occupano certo un ruolo di primissimo piano. Dando un’occhiata a stime risalenti al 2001, infatti, balza subito all’attenzione che l’approvvigionamento energetico nel mondo dipende ancora oggi per circa il 90 per cento da fonti tradizionali, mentre le rinnovabili hanno ancora poco spazio, un piccolo 13,6 per cento (Grafico 1).

L'approvvigionamento energetico nel mondo

35,0

23,3

21,2

6,92,2

10,9 0,5

Petrolio Carbone Gas Naturale Nucleare Idrico Combustibili rinnovabili e rifiuti Altro

Grafico 1 (fonte Humus, 2004) La situazione nell’Unione Europea non è certo migliore, anzi, sempre al 2001, la produzione di energia da fonti rinnovabili ammontava a circa il 6 per cento (vedi grafico 2) e si calcola che se non si ricorre alle fonti rinnovabili, la dipendenza energetica dall’estero passerà dall’attuale 50 per cento al 70 per cento nel 2030 [18].

Combustibili usati nella UE

41

22

15

166

Petrolio Gas Naturale Nucleare Combustibili solidi Rinnovabili

Grafico 2 (fonte Humus, 2004)

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In Italia lo sviluppo delle rinnovabili è in linea con la media dell’Unione Europea, anche se nel nostro paese il problema è maggiormente sentito perché la dipendenza da importazioni di energia dall’estero è molto forte. La piccolezza di questi numeri è da imputarsi ovviamente a tutte quelle caratteristiche sfavorevoli cui si è fatto cenno in precedenza la maggior parte delle quali, pur se presentate come ostacoli per un conveniente sfruttamento energetico delle biomasse, possono essere tranquillamente estese a tutte le fonti rinnovabili. E comunque il problema principale rimane quello della convenienza economica. L’unica nota positiva, in un mondo dominato da petrolio e simili, è rappresentata dalle biomasse. Attualmente, infatti, il maggiore contributo, in termini di produzione di energia da fonti rinnovabili, è ascrivibile prevalentemente alle biomasse ed ai rifiuti, seguiti dall’idroelettrico e dalla geotermia; più staccati l’eolico e soprattutto il solare, il cui contributo è quasi trascurabile. Stesso trend mostrano avere le stime ufficiali fornite direttamente dall’Unione Europea, come è possibile notare dall’analisi del grafico 3 [18].

Energia rinnovabile nella UE

0,4 3,6

63,61,4

31,0

Solare Geotermica Biomasse e rifiuti Vento Idrica

Grafico 3 (fonte Humus, 2004)

Il Libro Bianco dell’Unione Europea per le fonti rinnovabili fornisce ulteriori cifre da cui prendere spunto per capire il ruolo delle biomasse nel campo dell’energia: ad oggi, le biomasse soddisfano circa il 15 per cento degli usi energetici primari nel mondo, con 55 milioni di TJ/anno (1.230 Mtep/anno). L’utilizzo di tale fonte mostra, però, un forte grado di disomogeneità fra i vari paesi. I paesi in via di sviluppo, nel complesso, ricavano mediamente il 38 per cento della propria energia dalle biomasse, con 48 milioni di TJ/anno (1.074 Mtep/anno), ma in molti di essi tale risorsa soddisfa fino al 90 per cento del fabbisogno energetico totale, mediante la combustione di legno, paglia, rifiuti animali. Nei paesi industrializzati, invece, le biomasse contribuiscono per appena il 3 per cento agli usi energetici primari, con 7 milioni di TJ/anno (156 Mtep/anno). In particolare, gli USA ricavano il 3,2 per cento della propria energia dalle biomasse, equivalente a 3,2 milioni di TJ/anno (70 Mtep/anno); l’Europa, complessivamente, il 3,5 per cento, corrispondenti a circa 40 Mtep/anno, con punte del 18 per cento in Finlandia, 17 per cento in Svezia, 13 per cento in Austria [8]. Tra le fonti rinnovabili, comunque, le biomasse in Europa sono quelle che finora hanno avuto il maggior successo, come mostrato dal grafico 4, e che comunque sembrano avere il maggiore potenziale.

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Le energie rinnovabili in UE

54

32

7 3 2 2,00

102030405060

Legn

o ene

rgia

Idrau

lico

Incinera

zione

rifiut

i

Geoter

mico

Solare ed

Eolico

Biogas

e Biocarb

uranti

Grafico 4. Le energie rinnovabili nell’Unione Europea (fonte Humus, 2004).

Come è logico aspettarsi, all’avanguardia nello sfruttamento delle biomasse, sono i paesi del centro-nord Europa, che hanno istallato grossi impianti di cogenerazione e teleriscaldamento alimentati a biomasse. La Francia, che è la più vasta superficie agricola d’Europa, ha puntato molto sulla produzione di biodiesel ed etanolo. La Gran Bretagna, invece, di è dedicata in particolare allo sviluppo di un vasto ed efficiente sistema di recupero del biogas. Svezia ed Austria, che contano su una lunga tradizione di utilizzo della legna da ardere, hanno continuato ad incrementare tale impegno sia per riscaldamento che per teleriscaldamento, dando grande impulso alle piantagioni di ceduo a turno breve (salice e pioppo), che hanno rese 3-4 volte superiori alla media della fornitura di materia prima tradizionale. In Italia si punta molto su questo settore, ed in particolar modo sulla cogenerazione, una tecnologia di recente introduzione che consiste nel produrre in modo combinato energia termica ed energia elettrica dalla combustione della biomassa in apposite caldaie. Più in generale, comunque, nell’ottica della diversificazione delle fonti rinnovabili, lo sfruttamento a fini energetici delle biomasse rappresenta un’importante giacimento energetico potenziale, che potrebbe permettere di ridurre la vulnerabilità nell’approvvigionamento delle risorse energetiche e limitare le importazioni di energia elettrica, dando un contributo fondamentale per il raddoppio della produzione di energia da fonti rinnovabili che i maggiori paesi sviluppati si sono posti entro il 2010 [9]. Nel quadro europeo di utilizzo energetico delle biomasse, tuttavia, l’Italia si pone in una condizione di scarso sviluppo. Con il 2 per cento del proprio fabbisogno coperto dalle biomasse, infatti, è al di sotto della media europea, nonostante il grosso potenziale non ancora sfruttato, che in base a stime condotte da fonti ministeriali non risulta inferiore a 27 Mtep [8]. Il fatto è che parlare dei vantaggi delle biomasse e di tutte le possibilità offerte da questa risorsa è molto facile, ma quando, nel passare dalla teoria alla pratica, ci si scontra con problemi che esulano dalla semplice convenienza economica e dallo scarso rendimento nella conversione energetica, ma che hanno a che vedere piuttosto con il senso civico e la coscienza ambientalista di ognuno di noi, le cose si fanno molto difficili. Si parla di grandi potenzialità, ma spesso si finge di non sapere dove finiscono attualmente 11 milioni di tonnellate di rifiuti e quasi altrettante di biomasse, piuttosto che darsi dal fare sul serio nel campo del recupero energetico. Le discariche autorizzate continuano a proliferare, nonostante una direttiva ne abbia imposto la chiusura da anni. Per non parlare di quelle non autorizzate, gestite dall’ecomafia, che non hanno certo problemi di autorizzazioni, né di consenso, né di costi post-mortem. La volontà del Governo è chiara e decisa, e tutte le iniziative ed i programmi messi a punto dal Libro Verde e dal Libro Bianco in poi, lo testimoniano in modo inequivocabile, ma spesso non basta Conclusioni Lo scenario delineato dalla descrizione di tutte le caratteristiche favorevoli e sfavorevoli nei confronti di un impiego economicamente soddisfacente delle biomasse nel settore della produzione di energia, nonché dall’analisi delle statistiche relative agli attuali livelli di implementazione dei sistemi energetici a biomasse e delle prospettive future per questo tipo di risorse, non è certo dei più positivi. Alla luce di quanto emerso nel corso del presente lavoro, il conseguimento degli obiettivi di riduzione delle emissioni di gas serra nell’atmosfera sottoscritti a Kyoto nel 1997 e di incremento della produzione di energia da fonti rinnovabili, appare difficile da raggiungere. Tuttavia, per scongiurare questo pericolo, tutta la politica energetica comunitaria è stata incentrata sullo sviluppo delle rinnovabili, puntando essenzialmente su tre obiettivi: ü Sicurezza dell’approvvigionamento; ü Competitività; ü Protezione ambientale.

Sicurezza dell’approvvigionamento va intesa soprattutto come continuità nell’approvviguinemento, nelle quantità richieste ovviamente. Ciò vale soprattutto per i grossi impianti di teleriscaldamento, per i quali l’elevato costo di acquisto e di esercizio può

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essere ammortizzato solo garantendone un funzionamento continuo, 24 ore su 24. In più non si può certo pensare di correre il rischio di lasciare interi paesi senza riscaldamento nella stagione invernale. Per quanto riguarda la competitività è chiaro il riferimento ad una competitività di tipo strettamente economico nei confronti degli altri sistemi di approvvigionamento energetico. Questo, come abbiamo visto, è spesso un aspetto dolente legato all’impiego di tutte le fonti rinnovabili ed in effetti, allo stato attuale, ipotizzando di fare un bilancio tra vantaggi e svantaggi, dal punto di vista strettamente economico, sono poche le possibilità di implementazione di impianti di produzione di energia alimentati a biomasse. Ben diverso è il discorso se prendiamo in considerazione l’obiettivo della protezione ambientale, che, associato anche ad una maggiore occupazione e presidio nelle aree marginali interne del nostro paese, è funzione di tutti quei vantaggi di natura sociale e soprattutto ambientale direttamente connessi all’impiego delle biomasse; il problema è che molto spesso si tratta di esternalità positive che per loro stessa natura non possono essere quantificate in termini monetari, almeno non con i comuni sistemi economici. Il fatto è, però, che tali vantaggi ci sono ed inoltre sono anche così importanti per la salute del nostro pianeta che non possono assolutamente essere tralasciati. Nessun privato, però, potrà mai farsi carico di questi servizi sociali. L’unica soluzione, dunque, è che lo Stato si accolli l’onere di risarcire quanti contribuiscano, attraverso la produzione di biomasse utilizzabili a fini energetici oppure attraverso la loro conversione energetica, alla produzione di tali esternalità positive. Il sistema attualmente più usato per questo scopo è essenzialmente il sistema contributivo previsto per tutto il mercato energetico. Esso non va visto come un sistema assistenziale volto a raggiungere una serie di obiettivi sociali tra cui la riduzione della disoccupazione e l’aumento di reddito in zone marginali o in settori poveri, ma come un mezzo necessario quanto opportuno per incentivare l’implementazione di sistemi di produzione di energia alimentati da fonti rinnovabili, con il precipuo scopo di produrre anche tutte le esternalità positive precedentemente descritte, la cui internalizzazione (o monetarizzazione), in virtù della loro rilevanza sociale, spetta interamente al Soggetto Pubblico. I fattori del successo, dunque, derivano dal coacervo di: ü Sostegno politico, legislativo, fiscale, finanziario ed amministrativo; ü Sviluppo tecnologico; ü Informazione, educazione, formazione.

Ovviamente tutte le azioni intraprese nell’ambito di ciascuna di queste aree devono procedere in stretta sinergia tra di loro. Quantitativamente, l’obiettivo minimo da raggiungere è quello del raddoppio entro, il 2010, dell’energia prodotta da fonti rinnovabili (Direttiva 2001/77/CE). I primi passi importanti in questo senso sono già stati compiuti e ciò fa ben sperare per il futuro. Riferimenti bibliografici [1] Alemanno G., La carta delle fonti rinnovabili, Humus, Anno III, n. 11/febbraio 2004. [2] Berton M., Legno, dalla tradizione all’innovazione, Humus, Anno III, n. 11/febbraio 2004. [3] Braga A., L’utilizzo delle biomasse in un panorama di produzione energetica diversificata, febbraio 2003. [4] Castellazzi L., Gerardi V., Scoditti E., Rakos C., Hass J., Combustibili legnosi per il riscaldamento di edifici pubblici,

ENEA. [5] Castellazzi L., Gerardi V., Scoditti E., Rakos C., Hass J., Combustibili legnosi per il riscaldamento residenziale, ENEA. [6] Castellazzi L., Gerardi V., Scoditti E., Rakos C., Evald A., Bjerg J., Lagergren F., Riscaldamento dei grandi edifici con

combustibili legnosi, informazioni tecniche di base, ENEA. [7] Decreto 21 dicembre 2001, Programma di diffusione delle fonti energetiche rinnovabili, efficienza energetica e mobilità

sostenibile nelle aree naturali protette. [8] Delibera CIPE 6 agosto 1999, Libro bianco per la valorizzazione energetica delle fonti rinnovabili. [9] Delibera CIPE 19 novembre 1998, n. 137, Linee guida per le politiche e misure nazionali diriduzione delle emissioni di gas

serra. [10] Direttiva 2001/77/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 27 settembre 2001, Promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità. Gazzetta Ufficiale delle Comunità Europee IT L283/33 del 27 ottobre 2001. [11] Donnini C., Biodiesel, il carburante che non inquina, Humus, Anno III, n. 11/febbraio

2004. [12] Fiala M., Menane W., Riva G., Energia da biomasse, dimensionamento degli impianti, La

Termotecnica, dicembre 1994. [13] Gallo N., Absenger A., Riabilitazione delle centrali termoelettriche nell’industria, La

Termotecnica, dicembre 1994. [14] Gerardi V., Nobili A., Incentivazione dell’energia da biomasse: aspettative, difficoltà,

certezze, Convegno ATI-APER “Il ruolo delle biomasse nell’economia energetica italiana”, Milano, 27 febbraio 2003. [15] Legge 9 gennaio 1991, n. 9, Norme per l’attuazione del nuovo piano energetico nazionale:

aspetti istituzionali, centrali idroelettriche ed elettrodotti, idrocarburi e geotermia, autoproduzione e disposizioni fiscali, Gazzetta Ufficiale n. 13 del 16 gennaio 1991.

[16] Legge 9 gennaio 1991, n. 10, Norme per l’attuazione del Piano energetico nazionale in materia di uso razionale dell’energia, di risparmio energetico e di sviluppo delle fonti rinnovabili di energia, Supplemento Ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 13 del 16 gennaio 1991.

[17] Legge 1 giugno 2002, n. 120, Ratifica ed esecuzione del Protocollo di Kyoto alla Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, fatto a Kyoto l’11 dicembre 1997, Supplemento Ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 142 del 19 giugno 2002.

[18] Luciano C., Per un pianeta “sostenibile”, Humus, Anno III, n. 11/febbraio 2004. [19] Lundqvist R. G., The utilization of fluid bed technology for the conversion of renowables to

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energy, Convegno “Il ruolo delle biomasse nell’economia energetica italiana”, Milano, 27 febbraio 2003. [20] Perego M., Alberti M., Sassi F., La combustione delle biomasse: metodologie, efficacia,

limiti, C.C.T. srl. [21] Pettenella D., Una foresta di energia da utilizzare, Humus, Anno III, n. 11/febbraio 2004. [22] Salerno M., Esperienze di gestione di un impianto di biomasse in Italia.