le geografie umane del calcio movimenti, territorialità, linguaggi di marco bertagni
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Le geografie umane del calcio: movimen2, territorialità, linguaggi
Di Marco Bertagni
Quando si vede la palla gonfiare la rete della squadra avversaria non si pensa più a nulla, si torna bambini, il calcio in un istante diventa “culla,
casa, fiume, stella, abisso, ramo, ver<gine” (Vladimiro Camini<)
Se riuscissimo però a rifleEere su cosa sia veramente il calcio, capiremmo che sono infinite le sfumature di questo sport e innumerevoli le prospeHve da cui osservarlo. E molte di queste sfumature hanno per così dire… connotazioni geografiche. Le parole-‐chiave della geografia sono territorio, luogo, ambiente, uomo, migrazioni, iden<tà, viaggi, conoscenza e rappresentazione del mondo. Ebbene, il calcio può esser leEo come una sorta di paradigma<co vademecum di geografia fisica e umana poiché, oltre ad esser uno sport, è un fenomeno che genera un forte impaEo sul territorio e sull’ambiente, è uno strumento di geo-‐poli<ca, è un volano turis<co-‐economico, è un faEore di integrazione (potenziale) tra i popoli, è cardine iden<tario ed elemento generatore di flussi migratori.
Calcio e geografia ambientale Partendo da considerazioni di geografia ambientale, appare evidente come l’organizzazione di un mondiale di Calcio, di un Europeo o anche di una finale di Champions League, implichi una aEenta opera di pianificazione del territorio. Pianificazione che deve tener conto delle crescen< sensibilità nei riguardi dell’ambiente (si va sempre più verso la costruzione di stadi iper-‐tecnologici e ecocompa<bili, integra< con il territorio e poli-‐funzionali), della ges<one dei flussi di 2fosi che l’evento stesso genererà, delle conseguenze economico-‐commerciali che ne deriveranno. E’ necessario quindi ridefinire il sistema dei traspor<, quello della riceHvità alberghiera, dei servizi turis<ci.
Calcio e geo-‐localizzazioni Negli ul<mi decenni le decisioni riguardan< le scelte di geo-‐localizzazione dei mondiali sono state influenzate più da faEori sociali, poli<ci ed economici che spor<vi. Non si capisce bene perché i mondiali di calcio del 2022 si dovranno giocare in Qatar! O forse è troppo facile da capire. Cresce la rilevanza della geo-‐poli<ca e potrebbe sembrare che le sirene del business abbiano obnubilato i decision maker di questo sport. Le scelte di geo-‐localizzazione dovrebbero essere ispirate a criteri più rispeEosi della storia del calcio. Fare un mondiale in Italia o in Argen<na non è come farlo in SudAfrica o in Giappone. Con questo non voglio dire che il calcio debba restare preroga<va di Europa e SudAmerica, ma altre aree geografiche del mondo non hanno a tuE’oggi la “cultura” calcis<ca per ospitare un evento di questa portata. Del resto, voler “inculcare” cultura calcis<ca in Paesi dove per ragioni storico-‐geografiche gli sport nazionali sono altri è, appunto, una forzatura e i fruH tarderanno a venire. L’esempio dei mondiali USA del 1994 è emblema<co.
(Darwin Pastorin, LeAera a mio figlio sul calcio, Mondadori)
“Gli USA scoprirono, finalmente, il calcio, da quelle par2 chiamato soccer. Ma fu un amore di breve durata: baseball, basket e football americano con2nuano a imperare. Ma come fanno, mi chiedo, a non capire che non esiste niente di più misterioso e imprevedibile del calcio?”
Calcio e Geopolic<ca
A ben guardare, tuEavia, lo sport è sempre stato oggeEo di geo-‐poli2ca, fin dai tempi di Hitler -‐ che alle Olimpiadi di Berlino del 1936 subì l’onta del nero statunitense Jesse Owens che vinse 4 medaglie d’oro e del centravan< ebreo della Norvegia Magnar Isaksen che con una doppieEa eliminò la Germania nei quar< di finale -‐ e Mussolini, che diffuse la cultura dello sport tra le masse e organizzò i mondiali di calcio del 1934, passando per Stalin, Franco, Salazar, fino ad arrivare al mondiale di Argen<na 1978, giocato con la diEatura al potere e la tragedia dei desaparecidos in corso. Ma tante volte si è chiuso un occhio o tuH e due su quanto stava accadendo per mandare avan< lo show-‐biz.
La poli<ca è ricorrente nel calcio. E non solo quando si organizzano even<. Alcune rivalità calcis<che non sono soltanto tali. El Clasico tra Real Madrid e Barcellona non è infaH esclusivamente il confronto tra le due squadre spagnole più <tolate, ma anche lo scontro tra il centralismo di Madrid e le spinte autonomiste dei catalani. Al Camp Nou c’è l’enorme scriEa “Mès que un club” a significare che il Barcellona non è solo una squadra di calcio ma molto di più. In Scozia Cel<c-‐Rangers è molto di più di una par<ta di calcio: è una sorta di confliEo religioso! In Italia alcune par<te hanno o hanno avuto echi non solo spor<vi, ma sono divenu< simboli della loEa Nord-‐Sud; bas< pensare al Napoli che negli anni 80 riuscì a spezzare lo strapotere di Milan e Juve. Gli intrecci fra calcio e poli<ca sono infini<.
La geografia umana del calcio
Più che agli intrecci del calcio con il territorio e con la poli<ca mi preme però meEere in luce qui le connessioni di questo sport con la geografia umana. Quindi calcio come linguaggio iden<tario, senso di appartenenza, strumento di integrazione e s<molo a migrare, muoversi, viaggiare, conoscere il mondo. Sia per i protagonis< in campo, i calciatori, che per tuEo l’indoEo, dai giornalis< ai tecnici, ai <fosi.
I <fosi
Rappresentano lo s2le di vita e il caraAere della ciEà o della nazione da cui provengono. Ricordo come negli anni oEanta in un Verona-‐Napoli venne esposto sulle tribune del Bentegodi uno striscione che stemperò d’incanto le tensioni generate da preceden< striscioni a sfondo razzista quali “Vesuvio lavali col fuoco” o “Napoli colera”. Sto parlando del famoso “GiulieEa è ‘na zoccola”.
Così come in “GiulieEa è ‘na zoccola” c’è una sintesi evoca<va della napoletanità, filosofia di vita che riesce a annichilire secoli di luoghi comuni con una baEuta, l’immagine che segue, scaEata in un derby Roma-‐Lazio è altreEanto potente perché, da un lato, meEe in evidenza come il <foso romanista rivendichi -‐ in modo ironico e chiamando anche in causa la geografia! -‐, l’orgoglioso sen<mento di “romanità” e dall’altro trascende insultando la squadra avversaria.
La verità è che siamo tuH accomuna< da una (insana) passione per questo gioco. A volte quando la propria squadra del cuore perde la par<ta, noi perdiamo il lume della ragione, come è avvenuto nel caso del “tano” Pasman di fronte allo scempio di vedere il suo amato River Plate scendere per la prima volta nella seconda divisione Argen<na . Qui il <foso argen<no di origini italiane (da cui il soprannome “tano”, abbreviazione di napoletano) non riesce ad acceEare che la sua squadra possa retrocedere è si lascia andare a improperi che sarebbe difficile, oltreché inopportuno, tradurre. Cito questo episodio del tano Pasman solo per far capire come il genere umano possa farsi “trasfigurare” dalla passione per il calcio. E questa stessa passione, che porta i <fosi a superare le barriere linguis<che e a creare nuovi vocabolari, li catapulta su ogni mezzo di trasporto alla volta di improbabili mete al seguito della squadra del cuore. Qualcuno disse che la geografia si fa con i piedi. In questo caso allora il legame tra calcio e geografia è for<ssimo: per vedere i piedi dei propri beniamini, i <fosi percorrono le strade del mondo con i propri piedi, dando origine a importan< flussi turis<ci lega< ad even< spor<vi.
Il “tano Pasman”
Video del “Tano” Pasman durante la par<ta che sancì la discesa in serie B del River Plate. AdaEo ad un pubblico adulto. hEps://www.youtube.com/watch?v=8OU1mW0Ty_Y
Ecco allora che le manifestazioni spor<ve internazionali possono cos<tuire momen< di incontro e di integrazione tra culture diverse e occasioni di scambio e di conoscenza. E’ piacevole vedere sugli spal< degli stadi <fosi con maglie delle due squadre contenden< sedu< uno a fianco all’altro che alla fine si abbracciano e magari si vanno a bere una birra insieme.
Torino. Maggio 2014. -‐Semifinale di Europa League. Juventus-‐Benfica. Tifosi juvenDni e benfichisD uniD in un abbraccio in Piazza San Carlo, Torino.
Madrid. Maggio 2015. Semifinale di Champions League. Real Madrid-‐Juventus. Tifosi juvenDni con le maglie della propria squadra prima della
parDta nella Curva Sud del Bernabeu.
Ecco allora che le manifestazioni spor<ve internazionali possono cos<tuire momen< di incontro e di integrazione tra culture diverse e occasioni di scambio e di conoscenza. E’ piacevole vedere sugli spal< degli stadi <fosi con maglie delle due squadre contenden< sedu< uno a fianco all’altro che alla fine si abbracciano e magari si vanno a bere una birra insieme.
Torino. Maggio 2014. -‐Semifinale di Europa League. Juventus-‐Benfica. Tifosi juvenDni e benfichisD uniD in un abbraccio in
Piazza San Carlo, Torino
Madrid. Maggio 2015. Semifinale di Champions League. Real Madrid-‐Juventus. Tifosi juvenDni con le maglie della propria squadra prima della parDta nella Curva Sud del Bernabeu.
Certo, nella realtà molto, troppo spesso, gli stadi diventano momen< di scontro più che di incontro. Terrae nullius dove ognuno si sente nella facoltà di agire al di fuori delle regole, rimanendo impunito. Il fenomeno degli hooligans degli anni 80, culminato nella tragedia dell’Heysel, aveva faEo pensare ad un punto di non-‐ritorno per il calcio. I governi sono intervenu< – sopraEuEo nel Regno Unito – dove allora il problema era enorme e da allora gli stadi inglesi sono diventa< vivibili e adaH alle famiglie. In Italia si ha sempre la sensazione che certe par<te siano a “rischio” e non si portano volen<eri i propri figli a vederle. Da noi le Società spor<ve, i media e i governi che si susseguono fanno poco per favorire lo sviluppo di una “cultura dello sport”; c’è spesso una malcelata connivenza tra Società calcis<che e frange estremiste del <fo organizzato. Bisogna invece recidere i pon< con il marcio che c’è nel calcio. A par<re dalla progeEazione degli stadi che vanno edifica< con moderni criteri di sicurezza. Ma bisogna sopraEuEo procedere a ri-‐educare le persone sull’importanza della parola “rispeEo”, verso tuEo ciò che è altro da noi: un giocatore nero o giallo, un <foso che ha una bandiera diversa dalla nostra, un uomo che è tedesco invece che italiano.
I calciatori Per chiudere questa carrellata dei pun< di contaEo tra geografia e calcio non possono mancarealcune considerazioni sui protagonis< assolu< di questo gioco: i calciatori. Anche i calciatori, essendo spesso delle persone, hanno una propria iden<tà geografica e questa iden<tà la esprimono in campo. Così i giocatori francesi pra<cano il calcio-‐champagne, quelli argen<ni sono caudillos che pensano prima a rendere inoffensivo l’avversario e poi eventualmente a giocare, gli italiani pensano solo al risultato e alla taHca, i tedeschi corrono e si organizzano. Mol< sono luoghi comuni però spesso c’è del vero nei luoghi comuni. “La pura e santa verità è la seguente: qualunque giocatore brasiliano quando si libera delle sue inibizioni e si me9e in stato di grazia, è qualcosa di unico in termini di fantasia, improvvisazione e inven<va. Nella vergogna del ’50, eravamo superiori agli avversari e avevamo la possibilità di accontentarci del pareggio, e invece abbiamo perso nella maniera più abie9a” (Buffa cita Nelson Rodriguez con riguardo alla finale del mondiale del 1950, Brasile-‐Uruguay. Federico Buffa, Storie Mondiali, Sperling & Kupfer) . Le stesse parole potrebbero essere usate per il Brasile del 1982, squadra stratosferica, che dopo aver faEo il gol del 2 a 2 contro l’Italia, anziché accontentarsi del pareggio che lo avrebbe qualificato alle semifinali, si sbilanciò per vincere e subì il terzo gol di Paolo Rossi e con questo l’eliminazione.
Alcune caraEeris<che dei giocatori legate alle geografie calcis<che sono riscontrabili anche e sopraEuEo a livello di club. L’icona dell’essere “romanista”, Francesco ToH, dopo il suo splendido secondo gol nel derby del 2015 contro la Lazio anziché portare di corsa il pallone al centro del campo per tentare di vincere la par<ta ha preferito farsi un selfie con i suoi <fosi. Forse a Roma diver<rsi è più importante che vincere. Probabilmente a Madrid, Monaco, Milano o Torino la pensano diversamente. Anche queste sono geografie calcis<che.
Comunque sia, la nazionalità o il luogo di provenienza dei calciatori è una sorta di passaporto iden<tario e questo DNA si manifesta sul campo. Dei 35 calciatori stranieri con oltre 100 presenze nella Juventus, i due Paesi dai quali questa squadra ha aHnto maggiormente sono Francia e Argen<na.
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I 35 Calciatori stranieri con oltre 100 presenze nella Juventus divisi per provenienza geografica
La Francia probabilmente per vicinanza geografica, l’Argen<na perché Sivori aprì la strada e forse la società torinese capì che certe caraEeris<che mediamente espresse da calciatori argen<ni (fantasia, grinta e importanza del risultato) ben si adaEavano allo slogan boniper<ano “l’importante è vincere, non partecipare”. Ogni Società di calcio ha le sue geografie: chi, da quando è possibile, favorisce le rose mul<etniche (l’Internazionale dei triplete nel 2010 non aveva un solo italiano tra i <tolari, nomen omen), chi preferisce mantenere uno zoccolo duro di giocatori nazionali, chi privilegiare i propri vivai. Non esistono (quasi) più i giocatori-‐bandiera na<i della ciEà del club. Mi riferisco alla Juve di Boniper<, poi di BeEega e, ora, di Marchisio piuEosto che al Milan di Maldini, alla Roma di ToH. In realtà il senso di appartenenza alla maglia e al territorio nonché la potenza iconografica dei giocatori-‐simbolo, non sono elemen< sempre riconducibili all’esser nato nella ciEà del club: Del Piero è veneto, Rivera piemontese, Riva lombardo e così via. Il senso di appartenenza nasce dal tempo che un giocatore passa con determina< colori e dall’aEaccamento che dimostra per gli stessi. Come non pensare ad esempio a Del Piero, Camoranesi, Buffon piuEosto che Nedved e Trezeguet che decisero di seguire la Juventus in Serie B quando li avrebbe volu< mezzo mondo? L’appartenenza nel calcio travalica la dimensione fisico-‐geografica e diventa filosofia di vita.
Giorgio Tosaa, Tu chiamale se vuoi emozioni. Mondadori.
“Roberto BeAega, l’ul2mo fuoriclasse espresso da Torino e l’innamorato più fedele della Juventus, dopo Boniper2. Per cer2 versi i due sono simili: nell’interpretazione classica ed elegante del gioco; nelle do2 di uomo gol; nell’intelligenza con cui entrambi comandavano la squadra e ges2vano la par2ta; nella grinta appena mascherata dal garbo piemontese; nella passione esclusiva e divorante per i colori bianconeri”.
Se si parla però di senso di appartenenza e lo si vuol legare al conceEo di territorialità viene subito in mente l’Athle<c Bilbao, squadra composta da soli giocatori baschi e mai retrocessa in seconda divisione spagnola. Lì il senso d’iden<tà è totale, dirompente e per cer< versi premiante. E quanto più forte è senso di appartenenza tanto più profondo è il Genius Loci, lo spirito del luogo dove queste squadre si esibiscono. Proprio per questo – per i <fosi della Juventus – è stato bellissimo veder giocare e vincere la propria squadra al San Mamès la finale della coppa UEFA 1977. Ma questa è un’altra storia.
Calcio e migrazioni Tornando a calcio e geografia, altro tema rilevante di collegamento è quello delle migrazioni. Le migrazioni italiane nel mondo hanno contribuito a far nascere a certe la<tudini la passione per il calcio. Bas< pensare al Palmeiras in Brasile e al Penarol in Uruguay, squadre create da emigran< italiani. Allo stesso tempo però, sopraEuEo da quando in Europa le fron<ere sono state riaperte, il calcio è uno dei faEori pull più dirompen<. Quando le fron<ere erano chiuse in Italia, negli anni 70, le rose dei giocatori rispecchiavano i flussi migratori nazionali; così mol< giocatori della Juve erano di origini meridionali, da Anastasi, a Causio, a Furino, a Brio. La FIAT dava lavoro a mol< migran< del Sud e questa composizione sociale si rifleEeva nella rosa della Juventus. Dopo la sentenza Bosman la libera circolazione dei calciatori è diventata norma così – a meno di situazioni estreme come quella dell’Athle<c Bilbao – le società calcis<che sono dei melDng pot di calciatori di diverse nazionalità. Il calcio diventa occasione di incontri tra giocatori di diverse provenienze, ma sono contaH che durano poco tempo, fugaci, di freEa, come le vite di oggi. Si dirà: è bello così, ognuno porta con sé qualcosa del suo Paese a livello umano e professionale. Ma questo con<nuo fluire, questo arrivare e subito ripar<re, questo cambiare maglia per il miglior offerente è davvero la geografia umana del calcio che vorremmo?
le geografie del calcio s<ano cambiando, velocemente, come tuEo. E’ più difficile raccontare storie di calcio come quelle di Soriano in “Fùtbol” con il rigore più lungo della storia e il Gato Diaz, di Galeano e del suo calcio per sognare, del calcio come arte, religione e bellezza, del calcio come linguaggio comune, modo per riconoscersi e ritrovarsi, del calcio, figlio del popolo, che non deve cedere alle lusinghe dei poten<, di chi vuole trasformarlo in strumento per produrre denaro, uccidendo la fantasia e l'innocenza. Pastorin ricorda come “il calcio, una volta, sapeva raccontare storie di uomini col< nella loro solitudine, nella loro nudità. Oggi tuEo è diverso, i giocatori sono una sola mol<tudine. Non devono nemmeno preoccuparsi di parlare e pensare. C’è chi parla e pensa per loro”. Lo stesso Galeano riconosceva che “la storia del calcio è un triste viaggio dal piacere al dovere. A mano a mano che lo sport si è faEo industria, è andato perdendo la bellezza che nasce dall’allegria di giocare per giocare” .
Quindi dove andiamo a trovare la geografia umana nel calcio odierno?
Dove si trovano i linguaggi etnici del calcio, la spinta aggrega<va e integra<va di questo sport, lo spirito del luogo come collante di una comune passione? Forse basta cambiare scala. Abbandonare per un aHmo il calcio delle grandi stelle, degli interessi economici. Siete in cerca di linguaggi <pici del calcio? Basta fare un giro nei campi di provincia, di ogni periferia del mondo come quella di Ginestra Sabina, Rie<, dove una signora con pelliccia e gioielli si rivolge alla squadra giovanile locale che non sta disputando una par<ta all’altezza delle aspeEa<ve con un perentorio:”Nun faceteve le zagane!”. Dove, questo, se non a Ginestra Sabina? Calcio che integra i popoli? Colle Oppio. Parco tanto bello quanto degradato. I piani di ripris<no urbanis<co non riescono a interceEare le geografie umane che abitano o anche semplicemente transitano nel parco. Ma un campo di calcio, con il Colosseo sullo sfondo, si fa involontario spazio di aggregazione e allora cingalesi, algerini, italiani, nigeriani si ritrovano a correre dietro a un pallone e ai loro sogni.
Il Par<tone Genius Loci? Tirrena Beach Stadium, Anzio. Una qualsiasi domenica dell’anno, ore 10,30. Questo luogo magico, aHra appassiona< dai 5 ai 70 anni. E’ solo un reEangolo sabbioso, circondato dai gabbiani. Personaggi mi<ci, degni del miglior Soriano, col sole a picco di luglio e soEo acquazzoni invernali, a piedi nudi, cercano il golden-‐gol. Mimmo dal pollice rotante, il brasiliano Roger dai poverbiali controlli di palla, CarleEo il George Best de ‘noantri, genio e sregolatezza, il mi<co Mauro, deEo Er Roscio, che non vuol conoscere la parola sconfiEa e così via.
“E a nessuno porta guadagno quella follia che rende l’uomo bambino per un aamo, lo fa giocare come gioca il bambino con il palloncino o come gioca il gaAo col gomitolo di lana: ballerino che danza con una palla leggera come il palloncino che se ne va per aria e come il gomitolo che rotola, giocando senza sapere di giocare, senza mo2vo, senza orologio e senza giudice” (Galeano)