le lingue germaniche

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“Le lingue germaniche” - Riassunto a cura di Enzo Santilli [email protected] Corso di Filologia Germanica, a.a. 2011/2012, Università degli Studi di L’Aquila Pag. 1 LE LINGUE GERMANICHE Sommario Le lingue nordiche ........................................................................................................................ 1 Il germanico occidentale .............................................................................................................. 3 Il germanico orientale .................................................................................................................. 8 Le lingue nordiche Con “nordico” si intende l’insieme di quelle lingue, strettamente imparentate, che si parlano nella Scandinavia (Norvegese, Svedese), in Danimarca, nelle Fær Øer e in Islanda. La prima documentazione diretta di questo gruppo linguistico è costituita dalle iscrizioni runiche; le più antiche attestazioni, in un alfabeto a 24 segni di derivazione nord Italica (Fuþartk), risalgono al III secolo d.C.; col IX secolo – l’età dei Vichinghi – si afferma un alfabeto ridotto a 16 segni nel quale non si noterà differenza fra sorde e sonore, così come sarà trascurato il grado di apertura delle vocali. È proprio durante il periodo vichingo che cominciano a differenziarsi le parlate del gruppo nordico fino ad arrivare, nel XII secolo, alla divisione del germanico settentrionale in occidentale (norvegese, islandese e feringio) e orientale (danese e svedese). Le caratteristiche dell’antico nordico nel suo insieme, quelle cioè che lo contrappongono alle altre lingue germaniche, si costituiscono attorno al VI-VII secolo, e sono: 1) Indebolimento delle vocali finali; le brevi scompaiono e le lunghe si abbreviano (*dagaR > dagr, *dagōR > dagar “giorno” e “giorni”) 2) Metafonia o frattura della vocale tonica precedente (*gastiR > gestr “ospite”) 3) Scomparsa di j- e w- iniziali (ár contro ad. es. ing. year “anno”) 4) Scomparsa di –n finale (gefa contro ad es. got. giban “dare”) 5) Estensione della 2 a sing. alla 3 a nel presente indicativo 6) Formazione di un medio col pronome riflessivo –s(k) suffisso (kalla-sk “chiamarsi, essere chiamato”) 7) Sviluppo dell’articolo determinativo posposto (konungr-enn “il re”) 8) Per la 3 a persona si sviluppa un nuovo tipo pronominale: hann “egli” hon “essa”

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Le Lingue Germaniche

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“Le lingue germaniche” - Riassunto a cura di Enzo Santilli – [email protected] Corso di Filologia Germanica, a.a. 2011/2012, Università degli Studi di L’Aquila Pag. 1

LE LINGUE GERMANICHE Sommario

Le lingue nordiche ........................................................................................................................ 1

Il germanico occidentale .............................................................................................................. 3

Il germanico orientale .................................................................................................................. 8

Le lingue nordiche Con “nordico” si intende l’insieme di quelle lingue, strettamente imparentate, che si parlano nella Scandinavia (Norvegese, Svedese), in Danimarca, nelle Fær Øer e in Islanda. La prima documentazione diretta di questo gruppo linguistico è costituita dalle iscrizioni runiche; le più antiche attestazioni, in un alfabeto a 24 segni di derivazione nord Italica (Fuþartk), risalgono al III secolo d.C.; col IX secolo – l’età dei Vichinghi – si afferma un alfabeto ridotto a 16 segni nel quale non si noterà differenza fra sorde e sonore, così come sarà trascurato il grado di apertura delle vocali. È proprio durante il periodo vichingo che cominciano a differenziarsi le parlate del gruppo nordico fino ad arrivare, nel XII secolo, alla divisione del germanico settentrionale in occidentale (norvegese, islandese e feringio) e orientale (danese e svedese).

Le caratteristiche dell’antico nordico nel suo insieme, quelle cioè che lo contrappongono alle altre lingue germaniche, si costituiscono attorno al VI-VII secolo, e sono:

1) Indebolimento delle vocali finali; le brevi scompaiono e le lunghe si abbreviano (*dagaR > dagr, *dagōR > dagar “giorno” e “giorni”)

2) Metafonia o frattura della vocale tonica precedente (*gastiR > gestr “ospite”) 3) Scomparsa di j- e w- iniziali (ár contro ad. es. ing. year “anno”) 4) Scomparsa di –n finale (gefa contro ad es. got. giban “dare”) 5) Estensione della 2a sing. alla 3a nel presente indicativo 6) Formazione di un medio col pronome riflessivo –s(k) suffisso (kalla-sk “chiamarsi, essere

chiamato”) 7) Sviluppo dell’articolo determinativo posposto (konungr-enn “il re”) 8) Per la 3a persona si sviluppa un nuovo tipo pronominale: hann “egli” hon “essa”

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Tutti questi esempi sono stati presi in considerazione dall’antico islandese, in quanto questa lingua è stata, soprattutto durante il Medio Evo, la più importante fra tutte le nordiche. L’Islanda fu colonizzata dai norvegesi fra l’975 e il ‘930 e mantenne un tipo linguistico arcaico più fedelmente della madrepatria, tanto che agli islandesi moderni oggi i testi antichi risultano perfettamente comprensibili (come non avviene in altre lingue germaniche) e la differenza fra lingua scritta e parlata è lieve. Per di più l’islandese presenta una spiccata propensione al purismo e lo manifesta maggiormente quando si tratta di arricchire il patrimonio lessicale con termini stranieri, che vengono tutti tradotti o adattati. È una lingua parlata oggi da ca. 320.000 persone.

Più complessa è la situazione della Norvegia. A prescindere da poche attestazioni runiche dell’VIII secolo, una vera e propria tradizione scritta norvegese – che consta principalmente testi giuridici, storici e religiosi – si fa viva a partire dal 1150, contemporaneamente quindi a quella islandese. Nel 1380 vi fu l’unione fra Norvegia e Danimarca che significò praticamente la fine della lingua norvegese in quanto il danese era ora lingua ufficiale, di corte, legislativa e religiosa. Soltanto dopo aver riacquisito l’indipendenza nel 1814 il movimento patriottico nazionale riuscì a creare il landsmål “lingua del paese” (poi nynorsk “norvegese”) da affiancare al riksmål “lingua dello stato” (poi “bokmål “lingua letteraria”). Il landsmål è basato sull’antica tradizione norvegese risalente al Medio Evo e assieme riksmål – sono entrambe lingue ufficiali – sta attraversando quel periodo di avvicinamento e livellazione che dovrebbe portare ad un idioma unico.

La tradizione scritta danese e svedese inizia solo nel XIII secolo, poiché per lungo tempo il latino fu l’unica lingua impiegata dagli scrittori; dall’800 al 1200 siamo informati solo di scritti runici, mentre i primi manoscritti riguardanti leggi regionali in lingua verranno diramati solo più recentemente. Il danese ha subito nel corso dei secoli l’influsso del tedesco per ovvi motivi geografici ma anche lo svedese non ne è stat esente (soprattutto per opera della lega anseatica dal cui dominio la Svezia si liberò solo nel 1526), e fu con la Riforma e la conseguente necessità di rendere i testi sacri comprensibili a tutti che lo Svedese iniziò il suo processo di detedeschizzazione. Con la Bibbia di Gustavo Wasa (1540-1541) si era ormai raggiunta un’uniformità di lingua e di ortografia che divenne norma per le epoche successive. Oggi 4 milioni e mezzo di persone parlano il norvegese, 5 milioni e mezzo il danese, 8 e mezzo milioni lo svedese.

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Il germanico occidentale Appartengono al germanico occidentale le lingue che per ragioni storiche hanno avuto maggior successo, prima fra tutte quella inglese parlata oggi da circa mezzo miliardo di persone. Oltre che per fatti storici e sociali, questa supremazia è dovuta da una struttura linguistica particolarmente semplice della lingua venutasi a modellare nel corso della storia, soprattutto grazie ad infusioni esterne.

L’Inghilterra fu colonizzata nella sua parte sud-orientale verso la metà del V sec. d.C. da tribù germaniche provenienti dalla penisola dello Jutland e dalla Germania settentrionale. Rimasero fuori da questa colonizzazione la Cornovaglia e il Galles dove continuarono ad abitare le antiche popolazioni celtiche romanizzate, nonché la Scozia che, assieme al Galles, conosce tutt’oggi “sacche di resistenza” linguistica in forma di varietà dialettali.

La prima organizzazione politica delle tribù anglosassoni fu un’eptarchia comprendente i regni di Northumbria, Mercia e Anglia orientale abitati dagli Angli, Essex, Sussex e Wessex abitati dai sassoni e Kent dove risiedevano gli Juti. In corrispondenza dei tre filoni germanici che parteciparono alla colonizzazione dell’Inghilterra, il periodo dell’inglese antico (450-1150) presenta una tripartizione dialettale in anglico (parlato a Nord del Tamigi) distinto in mercico (tra il Tamigi e lo Humber) e northumbrico (a nord dello Humber), sassone (cioè sassone occidentale, parlato a Sud del Tamigi) e kentico (nell’estremità sud-orientale dell’Inghilterra). Alcuni ebbero più fortuna di altri, nell’alternarsi a ruolo di varietà predominante. Alla supremazia politica della Northumbria nel VII secolo corrisponde il prevalere del dialetto northumbrico anche come lingua letteraria, ma alla fine del VII secolo sarà la Mercia a succedere alla Northumbria, per poi cedere il passo al Wessex nel IX sec. Ed è nella “traduzione” in sassone occidentale (X-XI sec.)che conosciamo i principali documenti del periodo northumbrico e mercico come Beowulf, Il lamento di Deor, L’errante ecc.; la prosa invece può essere considerata una creazione del sassone occidentale, nata per impulso di Alfredo il Grande re del Wessex fra l’871 e il ‘900 che promosse la traduzione di molte opere latine. Principali caratteristiche dell’anglosassone (basato sul sassone occidentale) sono:

1) Profonde modificazioni nel vocalismo, instabilità nel sistema vocalico, per esempio a) I dittonghi ai > ā (ags. ān ingl. one), eu > ēo b) L’influenza della nasale : a+n+s, f, th > ō+s, f, th (come in frisone, aat. gans aing.

gōs), o+n, m >u+n, m (ags. munuk, aat. munih) c) La “frattura” di æ, i, e davanti a l, r+cons. e davanti a h, w in ea, eo, io d) La metafonia vocalica dovuta a i, j della sillaba successiva

2) Palatizzazione delle occlusive velari davanti a vocale palatale (ags. cirice, ags. gieldan “chiesa”)

3) Metatesi di r specialmente davanti a s, n(n) (aat. hross, ags. hors “cavallo”) 4) Forma unica nel plurale dei verbi, come in frisone e sassone.

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Un fatto importante della storia inglese è l’invasione scandinava, iniziata già nel ‘790, che portò a livello linguistico forti innesti nel lessico soprattutto nella terminologia marinara, giuridica e nella lingua quotidiana.

Ancor più profonde furono le mutazioni che la lingua subì a seguito della seconda grande invasione ai danni dell’isola, quella dei Normanni, conclusasi nel 1066 con la vittoriosa battaglia di Hastings da parte di Guglielmo il Conquistatore. Di cultura e lingua francese, la nuova lingua influì così profondamente da far sì che tutt’oggi un buon 85% del lessico anglosassone sia scomparso, sostituito da termini francesi o latini mediati dal francese.

La fase di crisi più profonda dell’inglese coincide con la fine del periodo anglosassone (1150) e l’inizio del medio inglese (dal 1150 al 1500): la perdita della Normandia per la corona inglese (1204) e la conseguente separazione della nobiltà inglese dalla francese segnano i primi momenti di riscossa della lingua inglese. Durante il periodo del medio inglese si accentua il processo di dissoluzione della flessione nominale e verbale iniziato già alla fine del periodo di antico inglese: Chaucer a metà del 1300 conosce oramai solo due forme diverse per la declinazione e all’inizio del periodo moderno (1500 ca.) può considerarsi ultimato il processo di trasformazione dell’inglese da lingua sintetica (flessiva) ad analitica: l’ordine delle parole, non più caratterizzate dalle diverse desinenze, si fissa nella frase secondo precisi criteri funzionali.

A differenza di quanto accade in tedesco il consonantismo inglese si dimostra abbastanza stabile attraverso i secoli, sarà ancora il vocalismo – anche nella fase medio inglese – a subire modifiche. Durante questo periodo la qualità delle vocali si fissa con criterio di isocronia sillabica: breve in sillaba chiusa, lunga in sillaba aperta. Si tratterà comunque di una delle ultime modifiche della lingua in quanto già all’epoca di Shakespeare (XVI. sec.) avremo un inglese vicino nel tipo linguistico a quello moderno.

Assieme all’inglese il frisone costituisce il sottogruppo germanico delle lingue ingevoni. È una lingua parlata oggi da 360.000 persone sparse fra la provincia di Friesland in Olanda (dove è anche seconda lingua ufficiale) e minoranze in area basso tedesca e sul confine fra Danimarca e Germania.

Nel Medio Evo l’area linguistica frisone era assai più estesa di oggi: comprendeva la provincia olandese di Groninga a oriente del fiume Lauwers fino all’estuario del Weser, mentre un frisone occidentale si estendeva ad Occidente fino ad oltre lo Ijsselmeer. Il costituirsi della contea d’Olanda nel IX secolo portò ad un distacco (politico e linguistico) dalla Frisia delle regioni ad occidente dello Ijsselmeer mentre ad est era impellente la pressione del tedesco. Oggi è parlato solo nella zona da cui prende il nome, e le sue principali caratteristiche sono:

1) Nasalizzazione della vocale davanti al nesso nasale+s, f, th con successiva caduta della nasale e allungamento di compenso (afrs. gōs, aat. gans “anatra”)

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2) Frattura di i in iu davanti a w della sillaba seguente e davanti a ht, hs, rk (*singwan > afr. Siunga “cantare”)

3) Passaggio a > o davanti a nasale (afrs. hond, ted. Hand) 4) Palatizzazione e successiva asillabazione (“zetacismo”) delle occlusive velari davanti a

vocali palatali (aat. kirihha, fris. tsjerke) 5) Forma unica nel plurale dei verbi, come in anglosassone e antico sassone.

Il tedesco è parlato da oltre 100 milioni di persone in tutto il mondo nonostante dopo la seconda guerra mondiale molte delle zone su cui cadeva l’influenza della lingua l’abbiano abbandonata (ad es. Polonia).

Così come per l’inglese, la storia della lingua tedesca si divide in tre periodi: antico (dalle origini all’XI sec.); medio (dall’XI al XV sec.); moderno (dal XVI sec. in poi). Geolinguisticamente la Germania è sempre stata divisibile in due grandi zone: quella dell’alto tedesco a Sud e quella del basso tedesco a Nord, il cui confine corre lungo una linea che va da Kürstin sull’Oder fino a Wesel sul Reno. Si tratta della cosiddetta “ik/ich Leine” che divide le forme basso-tedesche senza la seconda rotazione consonantica (tipo ik) da quelle alto-tedesche che invece la riconoscono (tipo ich).

Considerando le varie isoglosse delle varietà tedesche risulta chiaro come ci sia stata una progressiva espansione da Sud a Nord dei fenomeni della rotazione alto-tedesca, accentuatissima a Sud che si va dileguando man mano che si sale. Fra i dialetti dell’antico alto tedesco sono quelli del tedesco superiore (alemanno: Svizzera, Alsazia, Selva Nera e Svevia; bavarese: Baviera, Austria, Alto Adige) che presentano la seconda rotazione consonantica con maggiore consequenzialità mentre i dialetti franconi la accettano con una certa riserva. Nel nord dell’attuale Germania troviamo dialetti di tipo francone nelle varietà di: orientale, renano, renano meridionale, medio.

L’antico sassone occupava nel IX sec. una vasta area della Bassa Germania (comprendente anche le zone orientali del Regno d’Olanda) ed evolverà in quello che verrà poi definito “basso tedesco”, avendo una straordinaria fortuna fra il 1300 e il 1500 come lingua internazionale del commercio, inquantoché basso tedesche erano le potenti città della lega anseatica (Berna, Amburgo, Lubecca ecc.).

Il medio alto tedesco presenta la stessa divisione dialettale dell’antico alto tedesco, seppure a cavallo fra il XII e XIII secolo si assiste al costituirsi di una lingua a carattere sovraregionale, notevolmente unitaria, parlata dapprima nelle corti e dalla cavalleria, poi anche dalla borghesia. Tale lingua nasce con la poesia epica (il Carme dei Nubelunghi, la Kurdun), è lirica cortese e diverrà diffusissima dopo il XIII sec. È proprio durante questo periodo che il tedesco conosce una grande espansione verso oriente, al di là dell’antico confine dei Sassoni, intraprendendo una fase di colonizzazione che, nel 1283, vedrà la Germania arrivare fino a tutta la costa baltica.

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All’inizio del periodo moderno l’evoluzione della stampa impose la presenza di un tipo linguistico più unitario e allo stesso tempo il declino della lega anseatica indeboliva la posizione del basso tedesco. In questo contesto storico Lutero fu molto attivo nell’area del medio tedesco orientale dove si incontravano tendenze linguistiche provenienti sia da Nord che da Sud, egli seppe farle sue e le utilizzò per diffondere la Riforma stampando centinaia di migliaia di copie della sua Bibbia in una lingua per certi aspetti nuova, e mista. La potenza del margraviato del Brandeburgo, la futura Prussia, nel XVI sec. favorirono l’affermazione del modello linguistico medio tedesco ai danni del basso tedesco che, studiato e codificato fino alla fine dell’800, porterà all’unificazione linguistica tedesca, ma allo stesso tempo alla perdita delle aree che linguisticamente, culturalmente, economicamente e politicamente si trovavano più lontane dei centri unificanti della Sassonia e della Turingia, come nel caso della Svizzera.

Come nel caso dei Paesi Bassi con il ne(d)erlandese dove la traduzione ad opera di alcuni calvinisti ebbe un ruolo fondamentale nel costituirsi del neerlandese come lingua autonoma, distinta ormai anche dal vicino basso tedesco. Con nederlandese o neerlandese ci si riferisce alla lingua parlata in Olanda e nella parte germanofona del Belgio (fiammingo), cioè nei Paesi Bassi in senso lato (Neder-landen), da circa 23 milioni di persone. Olandese e fiammingo costituiscono dunque solo due varietà dialettali, oggi tendenti sempre di più al livellamento in un’unica lingua. Anche in questo caso si è soliti dividere la storia del neerlandese nei periodi antico, medio e nuovo. Del primo non ci sono pervenute testimonianze se non in qualche toponimo; la documentazione diretta del neerlandese inizia col XIII secolo, vale a dire col cosiddetto “medio neerlandese”, seppur va riportata la scoperta di un prezioso codice risalente all’XI secolo.

In un primo momento sono le Fiandre con le città meridionali di Gent e Bruge ad imporre il proprio modello linguistico, ma nel corso del XIV e XV sec. il Brabante, soprattutto nella città di Anversa, fa sentire il proprio prestigio. Il medio neerlandese nel suo complesso avrà dunque caratteristiche piuttosto meridionali, sostanzialmente fiammingo-brabantine.

Nel 1515 molte regioni degli attuali Paesi Bassi persero la loro indipendenza sotto il dominio di Carlo V ed il baricentro politico e culturale si spostò verso nord: la borghesia commerciale dell’Olanda fu protagonista della lotta contro la Spagna finché non ottenne la costituzione in repubblica (delle province settentrionali, 1579) con conseguente definitiva scissione fra Nord e Sud del Paese. Ciò significa che tutto il neerlandese moderno (1550 – oggi) è improntato sulla lingua settentrionale. Da allora la lingua della provincia d’Olanda diventa lingua della burocrazia e della riforma, fino alla grande traduzione di Stato della Bibbia (1637) che richiese dodici anni di lavoro pagati dallo stato, e che aveva come fine quello di stipulare delle risoluzioni circa la norma linguistica. Il nederlandese moderno nasce quindi da un linguaggio aristocratico, tant’è che oggi il linguaggio più alto (o più corretto) viene chiamato “neerlandese colto comune” (Algemeen Beschaafd Nederlands: ABN) ed è quello che, dopo un lungo processo di adattamento e

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semplificazione, gode di maggior rispetto e diffusione nei media e nell’istruzione. Inoltre, dal 1954, a seguito di un accordo è anche la lingua ufficiale della parte fiamminga del Belgio.

Geneticamente il neerlandese deriva dal dialetto francone parlato lungo il basso corso del Reno (“basso francone”), con apporti di un più antico strato germanico parlato lungo la costa del Mare del Nord (l’ingevone). Le sue principali caratteristiche rispetto a inglese e tedesco sono:

1) Pronuncia fricativa della velare sonora scritta <g>:[ɣ] 2) l velare passa ad u davanti a d, t (ing. gold, nee. goud) Si nota la coincidenza col consonantismo inglese: manca la 2a rotazione consonantica. Sul

piano della morfologia invece notiamo: 3) Plurali dei sostantivi in –en e –s (l’inglese ha solo –s, il tedesco molteplici possibilità) 4) Tendenza ad una forma unica nel plurale dei verbi.

Dal neerlandese e più particolarmente dalla varietà olandese si è formato lo afrikaans, lingua dei coloni stanziati in Sud Africa nel 1862 e diventata ufficiale nel 1925 al pari dell’inglese. È una lingua arcaica per molti aspetti e molti aspetti del complesso lessicale sono stati penetrati dal malese, portoghese, e inglese; morfologicamente ha semplificato in maniera drastica le strutture flessive dei verbi non riconoscendo le desinenze di persona ed alcuni tempi verbali.

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Il germanico orientale Principale e pressoché unico rappresentate delle lingue germaniche orientali è il gotico. Esso ci è documentato nella traduzione della bibbia fatta dal vescovo ariano Wulfila (311?-382), il quale per 33 anni fu anche capo spirituale e politico dei Gothi minores che avevano avuto dall’imperatore Costanzo II il permesso di stabilirsi nella Mesia (attuale Bulgaria orientale). Della Bibbia wulfiliana ci sono giunti oltre tre quarti del vangelo e parti dell’antico testamento, abbastanza per poterci fare un’idea esatta della fonetica e della morfologia gotiche (non si può dire lo stesso del lessico, trattandosi essenzialmente di un testo monocorde).

L’importanza linguistica del gotico consiste nel fatto che tramite la bibbia è la prima documentazione diretta di una certa ampiezza fra tutte le lingue germaniche. Esso testimonia perciò uno stadio di sviluppo ancora notevolmente arcaico: ad. es. la vocale mediana atona non si conserva anche dopo sillaba radicale lunga, mentre nelle altre lingue germaniche cade; la metafonia non ha fatto ancora sentire i suoi effetti e si conserva il duale nella coniugazione verbale.

Le peculiarità del gotico invece sono: e tonica > i (got. itan, ags. eatan); genitivo plurale della declinazione nominale in ē (le altre lingue hanno –a, -o); uso della particella relativa ei “che, affinché” che può dare vita a pronomi con valore relativo (ik-ei “io che”, sa-ei “egli che, il quale”).

Resta infine da ricordare il “gotico di Crimea” parlato da un gruppo di Goti stanziati sulle sponde del Mar Nero verso il III secolo di cui ci dà notizia il fiammingo Ghiselin de Busbecq inviato di Carlo V alla corte di Solimano il Magnifico. Delle lingue delle altre popolazioni vicine ai goti (Burgundi, Vandali, Gepidi, Euli ecc.) non rimane alcun documento diretto ma solo tracce in testi redatti in latino, in toponimi e nomi di persona.