le origini delle lingue neolatine

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Filologia romanza -a Le Origini delle Lingue Neolatine Capitolo 2 – Il sostrato preromano Latino e Romanzo – Le lingue romanze formano un gruppo di idiomi affini; esse sono, infatti, la continuazione diretta del Latino e non vi è interruzione tra Latino e Romanzo. Le lingue romanze sono l'unico esempio di un gruppo di lingue geneticamente affini di cui si sia conservata la fonte comune , ovvero il Latino. Il Latino e i dialetti italici – Il Latino era, in origine, solo il dialetto di Roma e non si estendeva oltre il Tevere. L'aggettivo latinus è un etnico tratto dal toponimo Latium, che potrebbe significare “paese piano”; già presso gli scrittori romani ha un senso diverso a secondo che si riferisca alla lingua o al popolo. Infatti, lingua latina, la lingua parlata dai Romani, è molto più frequente della denominazione romana lingua, mentre in senso etnico e politi Latini indicava i popoli del Lazio “socii” dei Romani. Il Latino fa parte della famiglia linguistica indoeuropea. Strettamente affini al Latino, erano quelle varietà finitime territorialmente e poco conosciute, ad eccezione del Falisco. Considerati affini anche i dialetti italici di tipo Osco-Umbro: la maggior parte degli indoeuropeisti aveva costituito, infatti, un gruppo italico che comprendeva da una parte il Latino-Falisco e dall'altra l'Osco-Umbro. Il gruppo Osco-Umbro (altrimenti detto Umbro-Sabellico) comprendeva i seguenti dialetti: L'Osco, lingua parlata dai Sanniti nel Sannio e

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Page 1: Le Origini Delle Lingue Neolatine

Filologia romanza -a

Le Origini delle Lingue Neolatine

Capitolo 2 – Il sostrato preromano

Latino e Romanzo – Le lingue romanze formano un gruppo di idiomi affini; esse sono, infatti, la

continuazione diretta del Latino e non vi è interruzione tra Latino e Romanzo. Le lingue romanze

sono l'unico esempio di un gruppo di lingue geneticamente affini di cui si sia conservata la fonte

comune, ovvero il Latino.

Il Latino e i dialetti italici – Il Latino era, in origine, solo il dialetto di Roma e non si estendeva

oltre il Tevere. L'aggettivo latinus è un etnico tratto dal toponimo Latium, che potrebbe significare

“paese piano”; già presso gli scrittori romani ha un senso diverso a secondo che si riferisca alla

lingua o al popolo.

Infatti, lingua latina, la lingua parlata dai Romani, è molto più frequente della denominazione

romana lingua, mentre in senso etnico e politi Latini indicava i popoli del Lazio “socii” dei

Romani.

Il Latino fa parte della famiglia linguistica indoeuropea. Strettamente affini al Latino, erano quelle

varietà finitime territorialmente e poco conosciute, ad eccezione del Falisco. Considerati affini

anche i dialetti italici di tipo Osco-Umbro: la maggior parte degli indoeuropeisti aveva costituito,

infatti, un gruppo italico che comprendeva da una parte il Latino-Falisco e dall'altra l'Osco-Umbro.

Il gruppo Osco-Umbro (altrimenti detto Umbro-Sabellico) comprendeva i seguenti dialetti:

• L'Osco, lingua parlata dai Sanniti nel Sannio e nella Campania, in

parte della Lucania e del Bruzio; parlata anche dai Mamertini nella colonia siciliana di Messana. È

conosciuto grazie a oltre 200 iscrizioni.

• I dialetti Sabellici, varietà dialettali poco conosciute dei popoli che

abitavano fra il Sannio e l'Umbria. Tra queste varietà troviamo: il Peligno, il Marrucino, il Vestino,

il Marsico e il Sabino e mostrano più affinità con l'Osco; più vicino all'Umbro era il Volsco, noto

grazie alla Tabula Veliternia, e parlato molto più a sud della zona abitata dagli Umbri.

• L'Umbro, parlato fra il Tevere e il Nera, era il più settentrionale dei

dialetti italici ed è conosciuto grazie alle Tavole Iguvine.

Le maggiori differenze tra il Latino-Falisco e l'Osco-Umbro sono:

1) il trattamento delle labiovelari indoeuropee qṷ, gṷ, gṷh che

nell'Osco-Umbro sono rese con delle labiali, nel Latino con delle velari seguite da u (qu, gu): ie. *

qṷetṷor- > u. petur vs lat. quattuor.

2) la conservazione delle aspirate interne come spiranti in Osco-Umbro,

Page 2: Le Origini Delle Lingue Neolatine

mentre il Latino presenta delle sonore: ie. *albho- > u. alfu vs lat. albus.

3) l'assimilazione di nd in nn e di mb in mm (m) in Osco-Umbro: o.

Úpsannam = lat. operandam.

4) considerevoli differenze morfologiche nella formazione del futuro,

del perfetto, ecc e notevoli divergenze anche nel lessico.

L'espansione del Latino – Il modo con cui il Latino si è diffuso fa parte della storia del Latino e

della romanizzazione e, quindi, della preistoria delle lingue romanze ed è anche una conseguenza

diretta dell'espansione politica di Roma. All'inizio, l'annessione dei territori dei popoli vinti era

largamente praticata, mentre in seguito vi si ricorreva soltanto in caso di paesi particolarmente

infidi. Lo scopo di unire a Roma sia le città vinte, sia quelle che volontariamente si mettevano sotto

la protezione romana, fu ottenuto col sistema dell'alleanza, ovvero il foedus, che poteva essere

aequum o iniquum. Nel 240 a. C. Roma godeva di un territorio compatto di un migliaio di

chilometri quadrati intorno alla città e nelle zone di confine troppo pericolose, si creavano delle

colonie agricole e militari. Le provinciae, invece, vennero considerate come territori soggetti.

Non in tutte le città annesse le condizioni furono le stesse e il diritto romano escogitò formule,

sempre vantaggiose a Roma, che lusingavano comunque i popoli vinti, tenendo, così, in pugno una

popolazione molto superiore a quella propriamente romana, su un territorio sempre più esteso.

Importante ricordare due concetti base: il primo, che il concetto di romanità fu soprattutto politico;

il secondo, che i Romani non ricorsero mai a un'assimilazione violenta e non tentarono di imporre la

loro lingua. Perciò i Romani non ostacolarono mai gli idiomi dei federati italici, né l'Etrusco

(sebbene anche gli Etruschi furono assoggettati), né il Greco nell'Italia meridionale e in Grecia.

Alcune province romane furono: la Sicilia (241 a .C.); la Sardegna e la Corsica (238 a. C.); la

Spagna (197 a. C.); l'Africa (146 a. C.); l'Illirico (167 a. C.); la Gallia meridionale (120 a. C.); la

Gallia settentrionale (50 a. C.); la Rezia (15 a. C.) e la Dacia (107 d. C.). La Gallia Cisalpina era già

stata conquistata e i Veneti si erano sottomessi volontariamente.

Gli elementi dialettali del Latino – Dalla diffusione del Latino su un territorio sempre più vasto

derivarono due conseguenze: la prima, che il Latino venendo a contatto con idiomi diversi

esercitava e subiva un influsso notevole; la seconda, che il Latino si differenziava man mano nelle

singole regioni. Finché il legame politico col centro rimane saldo, quelle differenze erano minime;

ma quando questo legame si indebolì e, poi, si ruppe, le differenze si approfondirono.

Roma non ha mai imposto la sua lingua, bensì erano le popolazioni soggette che volevano elevarsi

culturalmente utilizzando il Latino: così Roma riuscì a far prevalere il latino sull'Osco, sull'Umbro e

sul Gallico e sull'Etrusco, ma non sul Greco che aveva maggior prestigio.

Page 3: Le Origini Delle Lingue Neolatine

Anche il Latino, però, subì un certo influsso dai popoli assoggettati: perciò sia gli abitanti della

Roma iniziale, sia le popolazioni sottomesse erano da considerarsi bilingui.

Grazie a Graziadio Isaia Ascoli, sono state messe in evidenza le cosiddette “reazioni etniche”,

l'influsso cioè del sostrato.

A parte alcune parole che possono considerarsi latine (fatta eccezione per la toponomastica che

conserva elementi delle lingue preesistenti), traspaiono nelle lingue romanze alcune tendenze

fonetiche e elementi lessicali attribuibili al sostrato preromano.

Il sostrato italico – Le vocali latine (non composte) che presentano -f- intervocalica sono di origine

dialettale italica, anche se alcune risultano già attestate in Latino, sia come unica forma esistente

(es. tōfus, “tufo), sia accanto a una forma cittadina con fonetica romana normale (es. būfalus

accanto a būbalus): spesso le due forme giungono fino al Romanzo.

Vi sono casi, invece, dove solo le lingue romanze attestano una forma con fonetismo italiano. La

mancanza di attestazione in Latino non è prova dell'inesistenza di tale voce nell'antica Roma, ma

indica che, se la parola esisteva, aveva una limitata validità, oppure che si era in presenza di una

voce regionale. Va ad Ascoli il merito di aver attirato l'attenzione degli studiosi su questo problema

in una delle sue lettere glottologiche.

Una delle caratteristiche dei dialetti italici rispetto al Latino era l'assimilazione nd > nn, mb > mm.

Questa assimilazione si trova in tutti i dialetti italiani centro-meridionali (es. monno = mondo).

Importante ricordare l'opinione di Gerhard Rohlfs a proposito: egli ritiene che non vi sia continuità

tra i due fenomeni fonetici; se l'assimilazione fosse antica, essa avrebbe dovuto – col Latino volgare

– diffondersi anche nelle altre parti della Romània, ed effettivamente se ne trovano alcune tracce

anche in altri punti del territorio romanzo. Clemente Merlo precisa, però, che trattandosi di un

fenomeno assimilatorio, è normale che ritorni sporadicamente. Il confine nord-orientale del

fenomeno corrisponde al limite meridionale del territorio occupato un tempo dai Galli (vedi cartina

pag. 102).

Vi sono altri casi in cui la coincidenza di un fenomeno moderno con uno antico italico è molto più

dubbia o, addirittura, da escludersi: ad esempio, è risaputo che l'Umbro antico aveva come

corrispondente di -d- intervocalica il fonema particolare ř, rappresentato dal segno etrusco Ϥ e reso

nell'alfabeto latino con rs. Il passaggio d > r si trova, però, solo nell'antico Umbro (es. peři, “pede”)

e nell'Osco non vi sono esempi sicuri di r < d, poiché i pochi esemplari hanno più probabilmente r <

l.

Nei dialetti italiani centro-meridionali non è raro il passaggio d > r e qualche linguista ha messo in

relazione questo fenomeno con quello umbro, ma studi più approfonditi hanno dimostrato

l'invalidità di tale ipotesi. L'attuale area di questo fenomeno comprende la Campania meridionale,

Page 4: Le Origini Delle Lingue Neolatine

ricorre in Lucania ad Acquafredda e a San Chìrico Riparo (PZ). In Sicilia ricorre nella zona costiera

settentrionale e a Giarratana (SR).

Il sostrato etrusco – È probabile che gli stessi nomi di Roma e di Tevere siano di origine etrusca.

Roma, infatti, fu un tempo governata dagli Etruschi, e precisamente dalla dinastia dei Tarquinii.

Dagli Etruschi appresero molto, soprattutto sulla religione, la divinazione, ecc. secondo Livio,

all'epoca dei re l'Etrusco era insegnato regolarmente e pubblicamente a Roma. L'Etrusco era una

lingua completamente diversa dal Latino e, probabilmente, non era nemmeno una lingua

indoeuropea; infatti molto glottologi moderni sostengono che l'Etrusco sia imparentato con le lingue

dell'Asia minore. La tesi oggi prevalente è quelle di una concordanza più sensibile fra Etrusco e

lingue asianiche e, più remota, con l'Indoeuropeo. La maggior parte delle iscrizioni etrusche che

possediamo sono brevi e di carattere funerario o votivo, mentre quelle più ampie sono scarse e di

difficile interpretazione.

I frequenti contatti tra Latini ed Etruschi hanno fatto sì che il Latino assimilasse parole etrusche che

si possono isolare sia perché mancano le corrispondenze indoeuropee, sia per la presenza di alcuni

tipici elementi morfologici, come ad esempio i suffissi -na, -ena, -enna, -ĭna.

Grande influsso esercitò l'Etrusco sull'onomastica romana, a cominciare dal sistema nominale

composto da tre membri (praenomen, nomen, cognomen) comune ad altri popoli italici ma diverso

da quello di tutti gli altri popoli indoeuropei.

Importante è vedere se i dialetti romanzi, formatisi dall'evoluzione del Latino su territorio etrusco,

conservino, appunto, tracce etrusche. Il territorio etrusco subì grandi variazioni e questo popolo so

spostò anche a nord nella pianura padana e verso le Alpi. Per quanto riguarda l'Etruria è da ricordare

un particolare fenomeno fonetico, quello della gorgia toscana, cioè l'aspirazione o spirantizzazione

delle sorde intervocaliche -c-, -t-, -p-: l'area che aspira la -c- è la più estesa; meno estesa è l'area che

aspira la -t-, mentre ridotta è quella che aspira la -p-. Lo storico Heinrich Nissen mise in relazione il

fenomeno fonetico etrusco con quello toscano odierno e la sua ipotesi fu accettata, tranne che da

Rohlfs, e poi sviluppata da Clemente Merlo. Recentemente l'americano Robert A. Hall ha cercato di

dimostrare che l'aspirazione di -t- e -p- è più recente di quella di -c- e che fu solo Firenze il centro di

diffusione della tendenza aspiratoria. Ma Clemente Merlo rispose a tale ipotesi, insistendo

sull'importanza di ritrovare nel Toscano una tendenza fonetica sicuramente etrusca e non italica o

celtica: egli sostenne che anche la disposizione geografica delle aspirate toscane conferma l'ipotesi

del sostrato etrusco.

Meno ipotetici sono i nomi riguardanti la toponomastica: Chianti deriverebbe da Clante, mente

Volterra deriverebbe da Velathri.

Il sostrato greco – Nell'Italia meridionale i Romani incontrarono svariate popolazioni non italiche,

Page 5: Le Origini Delle Lingue Neolatine

tra cui i Greci. Tracce delle lingue meridionali affiorano soprattutto nella toponomastica. Per quanto

riguarda il Greco, la questione è più problematica, poiché la lingua e cultura greca godevano di tale

prestigio che rallentarono il processo di romanizzazione.

La colonizzazione greca iniziò intorno alla metà del VIII secolo a. C. e le colonie greche

raggiunsero il massimo splendore fra il VII e il VI secolo a. C., per poi declinare a causi di lotte

intestine, per le pressioni e invasioni italiche e di altri popoli non ellenici. La più pericolosa fu,

ovviamente, l'inimicizia di Roma. I dialetti ellenici della Magna Grecia erano soprattutto di tipo

dorico e cominciarono presto ad assimilare elementi latini, anche se la romanizzazione fu molto più

difficile poiché, grazie alla superiorità del Greco, esso resistette fino ad epoca abbastanza tarda. A

questo punto, la questione della persistenza della grecità in Italia diventa importante. Il Greco,

infatti, si parla tuttora in due oasi nell'Italia meridionale: nella Calabria meridionale (a est di

Reggio) e in Terra d'Otranto a sud di Lecce. I dialetti di queste due piccole oasi corrispondono, sia

foneticamente, morfologicamente e sintatticamente, sia sotto l'aspetto lessicale, ai dialetti

neoellenici della Grecia, ma presentano anche alcuni tratti arcaici.

Lo studioso Giuseppe Morosi sostenne che il grecismo di queste due colonie non è la continuazione

diretta di quello dell'epoca antica, bensì è dovuto alla dominazione bizantina. Questa teoria fu

accettata dai glottologi, tranne che da Rohlfs, il quale affermò che tale grecità doveva connettersi

direttamente a quella della Magna Grecia.

Il Latino, fin da epoca antica, aveva già assimilato elementi greci, ma quando mancano sicuri criteri

fonetici non è facile stabilire l'origine e l'epoca dei prestiti linguistici. Negli odierni dialetti della

Calabria e delle Puglie si trovano elementi che rimandano alla grecità antica e per molti di essi si

può affermare il loro passaggio attraverso il Latino volgare.

Il numero degli elementi greci nei dialetti dell'Italia meridionale è altissimo, ma molti di essi si

devono alla posteriore grecità bizantina. Gli influssi del sostrato greco si rivelano anche nel campo

della sintassi: ad esempio, il Neogreco – come il Calabrese – ha perduto l'infinito nelle proposizioni

oggettive e lo sostituisce col congiuntivo.

Meno notevoli ma comunque numerosi sono gli elementi greci sulla costa provenzale, dovuti alle

colonie marittime greche dell'epoca preromana.

Il sostrato in Sicilia – Tracce dei Sicani a ponente e dei Siculi a levante si possono riscontrare nella

toponomastica della Sicilia. La lingua dei Siculi ha carattere indoeuropeo, probabilmente italico; i

Sicani avrebbero la stessa origine, nonostante la tradizione li faccia provenire dall'Iberia e la loro

lingua non abbia carattere indoeuropeo. Le tracce di sostrato, dovute a queste antiche popolazioni,

sono assai scarse.

Le colonie greche cominciarono a sorgere in Sicilia intorno all'VIII secolo a. C. ed alcune fiorirono

Page 6: Le Origini Delle Lingue Neolatine

anche notevolmente, soprattutto quelle situate lungo le coste orientali e meridionali.

Buona parte della Sicilia fu a lungo sotto il dominio cartaginese: la prima guerra punica, terminata

con la battaglia delle Egadi (241 a. C.) fece cadere il dominio cartaginese e la Sicilia divenne

provincia romana. Anche se la completa romanizzazione della Sicilia è un fatto assodato, non è da

escludere la presenza di numerose tracce di sostrato greco.

Il sostrato in Sardegna e in Corsica – Fin dal tardo periodo neolitico, la Sardegna fu abitata da

popolazioni di stirpe mediterranea, che lasciarono numerose tracce nei nuraghi e in altri

ritrovamenti. Dal VI secolo a. C. fu contesa tra i Cartaginesi e i Greci: dopo la battaglia di Alalia

(537 a. C.), la Sardegna andrò ai Cartaginesi, mentre la Corsica passò sotto il dominio etrusco. In

seguito, i Romani conquistarono sia Sardegna che Corsica, ma dovettero sostenere dure battaglie

con gli aborigeni dell'interno e con le popolazioni puniche delle coste. La romanizzazione avvenne,

quindi, lentamente ma profondamente. L'invasione dei Vandali porto via la Sardegna ai Romani, che

però la riconquistarono sotto il dominio di Giustiniano. Essendo la Sardegna isolata dal resto della

penisola, l'idioma neolatino ivi sviluppatosi rappresenta il tipo romanzo più vicino alla base

originaria. Riguardo al sostrato, si trova ben poco di Greco preromano: gli elementi greci del Sardo

o provengono attraverso il Latino o sono tarde importazioni del periodo bizantino. Gli elementi

derivanti dal Punico sono stati ritrovati prevalentemente nella toponomastica e nel lessico sardo.

Ma gli studi rivelano elementi anche più antichi dei punici: sia nella toponomastica che nel lessico

si riscontrano elementi di carattere preindoeuropeo-mediterraneo; si trovano anche notevoli

concordanze tra questi elementi “paleosardi” e alcuni relitti “iberici” conservati dal Basco. Leopold

Wagner segnala parecchi nomi sardi di animali che possiedono un prefisso a-, ta-, tsa- o i-, ti-, tsi-,

che potrebbe essere messo in relazione con l'articolo femminile ta- dei dialetti berberi.

Per quanto riguarda la Corsica, gli studi più esaurienti si hanno solo nel campo della toponomastica,

dove appaiono, tuttavia, anche qui elementi di carattere prelatino e non sempre è facile distinguere

quelli attribuibili agli Iberi, agli Etruschi e ai Liguri.

Il sostrato ligure e retico – I Liguri occupavano un territorio molto ampio che si estendeva dal

Rodano all'Arno e comprendeva una parte del Piemonte, della Provenza, della Lombardia e

dell'Emilia e soprattutto la regione ancora oggi nota col nome di Liguria, e la Corsica.

Per quanto riguarda la lingua, il materiale è scarso poiché si possiedono poche glosse, solo una

settantina di iscrizioni, dei toponimi e dei nomi di persona. Da questi studi si conclude che nel

Ligure sono presenti due strati principali: uno non indoeuropeo o “mediterraneo” più antico e uno

indoeuropeo più recente dovuto, forse, alla fusione coi Celti (in seguito all'invasione avvenuta nel

VI secolo a. C.). Tracce del sostrato ligure appaiono soprattutto nella toponomastica dell'alta Italia e

Page 7: Le Origini Delle Lingue Neolatine

regioni finitime: notevole è il suffisso -asco, -asca.

Secondo Clemente Merlo le più importanti tracce del sostrato ligure non sarebbero nella

toponomastica, bensì in una tendenza fonetica di alcuni dialetti della Liguria e della Provenza che

egli attribuisce a una reazione etnica dovuta al sostrato ligure, soprannominata “acutissima tra le

spie liguri”.

Importante da ricordare è il Leponzio, che rivela una struttura di compromesso tra il declinare di

una fare arcaica reto-ligure e l'affermarsi di una fase con decisiva provenienza gallica: i Leponzi

segnano il passaggio tra Liguri e Reti.

Per quanto riguarda i Reti, la questione è complicata e una delimitazione geografica è quasi

impossibile. È probabile che i Reti fossero un conglomerato di tribù molto diverse e il loro nome

aveva una valenza più politica che etnica o linguistica. I confini della Raetia sono molto incerti:

buona parte dell'Alto Adige – dove si parlano dialetti impropriamente chiamati retoromanzi –

apparteneva al Norico e non alla Rezia. Anche riguardo alla lingua gli elementi sono piuttosto

scarsi: si riscontrano alcune affinità con l'Etrusco, ma non si possono identificare i Reti con gli

Etruschi. Secondo Livio, i Reti sarebbero i “resti” degli Etruschi che, prima dell'invasione dei Galli,

avevano occupato l'Italia settentrionale tranne il Veneto; Trogo Pompeo e Plinio il Vecchio

sostenevano che fossero gli Etruschi fuggiti dalla pianura padana. Come per il Ligure, si trovano

tracce del sostrato retico solo nella toponomastica, ma anch'esse sono difficilmente interpretabili. Il

Retico, comunque, appare come una lingua sicuramente anaria (non indoeuropea), affine alle lingue

preindoeuropee del bacino del Mediterraneo.

Il sostrato celtico – Prima della romanizzazione, i Galli occupavano la maggior parte dell'Italia

settentrionale, dopo essere scesi dalla Gallia e dopo aver scacciato i Liguri, gli Etruschi e altre

popolazioni. I Galli appartenevano al gruppo celtico, ramo della famiglia linguistica indoeuropea.

Benché arrivarono a Roma e alcuni si spinsero anche in Campania, i Galli riuscirono a insediarsi

solo nell'Italia settentrionale, fondando la Gallia Cisalpina.

A partire dal III secolo a. C. i Romani cominciarono a conquistare il territorio cisalpino, portando il

confine dell'Italia al Rubicone; successivamente, i Romani si impadronirono di tutta la parte

settentrionale della penisola, spingendosi, poi, anche nella parte meridionale della Gallia

Transalpina, rendendo la Gallia Narbonese – o Transalpina – provincia romana; in seguito, grazie a

Cesare, tutta la Gallia divenne provincia romana.

Il Gallico fa parte della famiglia delle lingue celtiche, che si dividono in due gruppi: il Celtico

continentale, rappresentato dal Gallico e che si è estinto intorno al V secolo d. C., e il Celtico

insulare, che si divide a sua volta in Gaelico – formato dall'Irlandese, Scozzese e dal dialetto

dell'isola di Man – e Britannico – formato dal Cimrico, dall'estinto Cornico e dal Bretone.

Page 8: Le Origini Delle Lingue Neolatine

Il Gallico è documentato da un modesto numero di iscrizioni soprattutto votive, in caratteri greci o

latini, poi da parecchie parole degli autori classici, da alcune glosse e da un buon numero di nomi

propri. È ovvio che i lunghi contatti fra Romani e Celti abbiano influenzato anche la lingua, infatti

un certo numero di elementi celtici penetrò nel Latino; ma oltre a queste parole già attestate nel

Latino, vi sono molte parole di origine sicuramente gallica attestate solo attraverso le lingue

romanze – o nel Latino tardo – che vivono nel territorio una volta celtico. Spesso la forma di tali

parole non è documentata nemmeno in glosse e solo le continuazioni romanze permettono

l'attribuzione al Celtico. Il celtista tedesco Rudolf Thurneysen mise su basi scientifiche lo studio

delle parole di origine celtica.

I relitti celtici sono considerevoli anche nella toponomastica della Francia, dell'Italia settentrionale e

dell'Olanda. L'influsso del sostrato celtico, tuttavia, non si limita solo a relitti lessicali, ma si estende

anche a tendenze fonetiche, a elementi di formazione e alla composizione delle parole. Fra le

tendenze fonetiche, un problema su cui si è discusso a lungo è stato quello del passaggio ū > ü:

molti linguisti, siccome questo fenomeno è presente solo in Francia, in parte della Ladinia e nei

dialetti gallo-italici, ritengono che le ragioni di questo mutamento si trovino in una reazione del

sostrato gallico. Non si sa con certezza se il Gallico abbia mai avuto il fonema ū, ma la tendenza del

Celtico a trasformare ū in i fa supporre un intermediario ü.

Il problema fu posto da Ascoli in una delle sue “lettere glottologiche” e venne risolto in favore della

“reazione etnica” in base a tre prove: corografica, per la corrispondenza del territorio che presenta ü

con quello che fu di lingua celtica, congruenza intrinseca, per la presenza di i < ū in alcuni idiomi

celtici moderni, e congruenza estrinseca, per la presenza di ü < ū in Neederlandese. Il germanista

Erich Clemens Gierach si dimostrò favorevole alla teoria dell'origine celtica dello spostamento

fonetico, mentre Meyer-Lübke presentò parecchie obiezioni, riassumibili in quattro punti: 1) la

mancanza della palatalizzazione della cdavanti alla ü; 2) le parole che l'antico e il medio alto

tedesco hanno mutuato dal Galloromanzo non presentano ü, nonostante questo fonema fosse

presente nelle loro lingue; 3) le parole che l'Inglese ha mutuato dal Francese trasformano ŭ in au e ū

in iu; 4) l'assenza di ü in Catalano. Ma non tutte queste obiezioni reggono veramente alla critica.

Alla fine, si può ammettere che la presenza di ü nei territori romanzi di sostrato celtico si debba ad

una tendenza di origine gallica, anche se non è da escludere la possibilità di sviluppi indipendenti.

Un altro spostamento fonetico attribuibile al sostrato celtico è quello del nesso consonantico -ct- che

in Francese, Provenzale, Portoghese e in buona parte dei dialetti gallo-italici dà -it-; anche lo

Spagnolo, che oggi presenta la fase č risale a it. Il passaggio ct > it si trova esattamente nel

territorio che fu celtico: Italia settentrionale (a eccezione del Veneto), Francia e Penisola Iberica. A

sud della linea La Spezia-Rimini – che segnava il confine meridionale del mondo celtico – ct si

assimila in -tt- e in Rumania ct passa a -pt-.

Page 9: Le Origini Delle Lingue Neolatine

Il Bolelli considera fra i fenomeni più sicuramente attribuibili al sostrato celtico nelle lingue

romanze la palatalizzazione di á e, cioè, il passaggio di a > e (o ä) in sillaba libera, che si osserva

nel Francese, in molti dialetti gallo-italici e in parte del Ladino. Questa evoluzione è ignota nel

Provenzale e nel Francese settentrionale è avvenuta tardi. In Italia, tale fenomeno si presenta in

modo assai diverso e si estende oltre Rimini, in parte delle Marche e penetra nell'Umbria.

Un altro fenomeno fonetico è quello della sonorizzazione o lenizione delle consonanti sorde

intervocaliche che interessa tutta la Romània occidentale.

Potrebbe, poi, essere collegata al sostrato gallico la tendenda all'indebolimento e alla caduta delle

vocali di sillaba debolmente accentata (atona) che si riscontrano nel Galloromanzo, nei dialetti

gallo-italici e, parzialmente, nel Portoghese.

Il sostrato nella Penisola Iberica – La Penisola Iberica presenta condizioni etniche molto

complesse, infatti è l'unica regione europea in cui si conservi e si parli tuttora un idioma preromano

certamente preindoeuropeo. Questa lingua è il Basco, oggi limitata a poche province della Spagna

nord-orientale e nella Francia sud-occidentale.

Il Basco ha una struttura sintattica completamente diversa da quella delle lingue indoeuropee: è

stato spesso avvicinato alle lingue camitiche, ma oggi la tesi prevalente è che si debba connettere

alle lingue caucasiche.

Nessuna fonte antica attesta che i loro progenitori siano giunti nella Penisola Iberica in epoca

storica, perciò pare ovvio che i Baschi non siano altro che la continuazione di uno dei popoli

antichissimi della Penisola Iberica. Wilhelm von Humbolt cercò di spiegare alcuni nomi di luoghi e

di persona dell'antica Iberia servendosi del Basco e, più recentemente, anche Hugo Schuchardt,

grazie a delle iscrizioni iberiche, tentò di ricostruire la declinazione iberica e notò importanti

concordanze con quella del Basco.

In base a ricerche più recenti, siamo portati a ritenere che gli Iberi siano un popolo venuto nella

penisola dall'Africa settentrionale e a identificare i progenitori dei Baschi negli antichi Vascones

affini agli Aquitani: molti antichi nomi di luogo ritenuti iberici si riscontrano in toponimi della zona

che fu aquitana e proprio nelle iscrizioni latine del territorio aquitano si trova il maggior numero di

nomi di persona spiegabili attraverso il Basco.

I progenitori dei Baschi giunsero nella Penisola Iberica in un'epoca molto antica, anche se non si è a

conoscenza della via seguita nelle migrazioni dal Caucaso. La migrazione più plausibile è quella via

terra, attraverso la costa settentrionale dell'Africa; in questo modo si potrebbero spiegare anche i

contatti con le lingue camitiche, in quanto è possibile che durante la migrazione elementi caucasici

si siano fusi con popolazioni camitiche. Gli Iberi, invece, costituiscono una ondata successiva

proveniente dall'Africa settentrionale e di origine libica.

Page 10: Le Origini Delle Lingue Neolatine

Nelle lingue romanze della Penisola Iberica e nella parte ovest del dominio provenzale – Guascone

e Bearnese – gli elementi attribuibili al sostrato sono numerosi. Fra le voci documentate in Latino

come caratteristiche della Penisola e attribuibili al sostrato troviamo, ad esempio, arrugia > sp.

arroyo, pg. arroio.

Per quanto riguarda le tendenze fonetiche dovute al sostrato, la più evidente è il passaggio f > h: f

non è presente nel sistema fonologico del Basco, che rende f- iniziale delle parole latine con p-, b- o

con h- o facendo addirittura cadere il fonema (es. biku, piko, iko < fīcus). Lo Spagnolo muta f- in h-

(es. faba > haba). La tesi della reazione etnica è rafforzata dal fatto che il passaggio f- > h- si trova

anche in alcuni dialetti guasconi confinanti direttamente col territorio basco.

Il sostrato paleoveneto – La parte dell'Italia settentrionale che corrisponde all'odierno Veneto subì

poche infiltrazione da parte del popolo gallico. In quest'area erano stanziati, fin da tempi antichi,

popoli di origine non celtica: essi furono principalmente i Veneti e gli Euganei, anche se l'essenza

etnica di questi ultimi rimane sconosciuta. È dubbia l'appartenenza degli Euganei alla stirpe ligure,

come è dubbia la loro italicità; è, invece, probabile che gli Euganei si siano fusi con i Reti nella

regione di Verona e nelle montagne a Nord di Verona e di Brescia, e che si siano fusi coi

Paleoveneti nella pianura padana, nella regione di Padova e di Este.

Il Paleoveneto ci è parzialmente noto attraverso delle iscrizioni in alfabeto facilmente decifrabile. È

indubbia l'origine indoeuropea del Paleoveneto, ma il carattere illirico appare più incerto, anzi esso

ormai è negato da parecchi studiosi che ritengono il Paleoveneto una lingua indoeuropea

occidentale – una delle lingue kentum. Nella toponomastica troviamo dei relitti che risalgono senza

dubbi al Paleoveneto: nomi proparossitoni , come lo stesso nome di Padova. Per quanto riguarda la

fonetica potrebbe essere di origine paleoveneta la tendenza a fonemi interdentali nei dialetti veneti

odierni. Tuttavia, la constatazione più interessante è negativa: i dialetti veneti di oggi si accostano di

più al Toscano e all'Italiano letterario e ciò dà l'impressione ingannevole di maggior somiglianza del

Veneto con l'Italiano letterario. L'assenza di sostrato gallico nel Veneto rende, quindi, più simile il

Veneto al Toscano, privo anch'esso di sostrato celtico. Si tratta di concordanza nella agallicità.

Il sostrato illirico e trace – Nella zona dell'Illyricum si è formata una sola lingua romanza oggi

estinta: il Dalmatico, che presenta notevoli affinità col Rumeno e con gli elementi latini

dell'Albanese. Questa affinità è dovuta sia a ragioni di continuità geografica e all'isolamento delle

due lingue, sia ad affinità di sostrato preromano.

La romanità del Rumeno ha sicuramente sostrato trace. Il Trace, che conosciamo attraverso una sola

iscrizione, poche glosse e materiale onomastico, era una lingua indoeuropea.

Per quanto riguarda la fonetica del Dalmatico, notiamo tendenze comuni al Rumeno, all'Albanese e

Page 11: Le Origini Delle Lingue Neolatine

al Bulgaro; nella sintassi vi sono concordanze fra le lingue balcaniche che possono essere dovute a

tendenze ereditarie dal comune sostrato.

Capitolo 3 – La Romània, territori perduti e territori nuovamente acquistati dal dominio

linguistico neolatino

Il termine “Romanus” - Il populus romanus è costituito dalle gentes aggregate alle trenta curiae

delle tre tribus, perciò l'appartenenza a una gens è condizione necessaria per poter far parte del

populus romanus. Col tempo, cominciano a diventare membri del populus anche dei clienti e dei

plebei e la condizione di “cittadino” cessa di corrispondere a quella di gentilis e gentili e plebei

vengono designati col nome nuovo di cives.

Il diritto di cittadinanza venne man mano esteso a varie città dell'Italia fino al Po e, in seguito,

anche alle città transpadane finché, con l'editto di Caracalla, la cittadinanza fu estesa a tutti i sudditi

liberi dell'Impero.

L'aggettivo romanus – in espressioni come populus romanus – aveva in origine un valore etnico ed

uno politico, ma quando il diritto di cittadinanza cominciò ad essere esteso, esso perse la sua

valenza etnica e conservò solo il significato politico e giuridico. In principio i Romani si

opponevano ai Latini, ma quando la sudditanza si estese, allora i Romani si opposero solo ai

Barbari, cioè alle popolazioni esterne all'Impero.

Il valore politico del termine romanus appare soprattutto nella parte orientale dell'Impero, ovvero

dove il Latino non riuscì mai a sopraffare il prestigio del Greco.

Nella parte occidentale, tuttavia, al tempo delle invasioni barbariche, Romanus ha sia valenza

politica che linguistica; è normale, però, che, quando crollò l'unità politica dell'Impero d'Occidente

e subentrarono i barbari, al termine rimanesse solo il significato linguistico. Romani, inoltre, è il

nome che danno a sé stessi i parlanti Latino.

I Germani chiamano i Romani assoggettati con un termine della loro lingua: Walha. Col tempo, il

nome di Romani si conserverà in Occidente solo presso una piccola popolazione alpina, quella del

cantone svizzero dei Grigioni; i dialetti latini parlati in questa zona vengono chiamati rumantsch ed

è tale anche il nome della popolazione, pievel rumantsch.

I termini “romanicus, romanice” - Il termine Romània, nel mondo occidentale, cominciò a

indicare l'insieme dei parlanti il Latino e, quindi, anche romanus assunse un significato sempre più

vasto. Accanto a questo aggettivo viveva un aggettivo di carattere più popolare: romanicus, ovvero

“fatto alla maniera di Roma”. Accadde, perciò, che romanicus stesse a Romània, come romanus a

Roma. Allo stesso modo, come a romanus corrispondeva l'avverbio romane, a romanicus

corrispondeva l'avverbio romanice. E se romane loqui equivaleva, nei tempi classici, a latine loqui,

Page 12: Le Origini Delle Lingue Neolatine

ora che romane e romanice non si identificavano più, romanice parabolare significava “parlare

come gli abitanti della Romània”. E questo avverbio romanice si prestava meglio di romane ad

indicare quello che di nuovo – la lingua – stava nascendo. Ben presto romanice si trasformò in

romance, e questa trasformazione ci è comprovata dalle sue continuazioni delle lingue neolatine: si

ha fr. ant. romanz, prov. romans, sp. romance. Dalla Francia la parola passa nell'it. romanzo,

dapprima usato solo per designare opere letterarie in volgare.

Romània perduta e Romània nuova – Nella parte occidentale dell'impero, i sensi politico e

linguistico del termine Romània non corrispondevano alla realtà geografica, poiché non in tutto

l'impero il Latino era ugualmente diffuso.

La scienza moderna ha scelto il nome di Romània per designare il complesso del mondo neolatino,

in cui si parlano le lingue romanze continuazione del Latino. Ma questa Romània corrisponde solo

in parte alla Romània del IV-V secolo d. C.: molto territori, infatti, non furono mai romanizzati

linguisticamente; altri, romanizzati superficialmente, persero col tempo l'uso del Latino o del

Romanzo. Tuttavia, le lingue neolatine, sviluppatesi su una parte del territorio dell'antica Romània

storica, furono portate in altri territori in cui i Romani non erano mai arrivati, estendendo, quindi, il

mondo linguistico romanzo.

Così da una parte troviamo la “Romània perduta”, in cui si possono studiare gli stadi della spenta

latinità attraverso la toponomastica e i relitti latini rimasti, e dall'altra la “Romània nuova”, frutto

della colonizzazione.

La geografia linguistica e la linguistica spaziale ci hanno mostrato che ogni fenomeno fonetico ha la

sua particolare estensione geografica e la sua storia, e che questa storia – questa espansione – si

riscontra in quasi tutte le parole che fanno parte di una lingua.

Latino e Greco nell'Impero Romano – Se si osservano le carte dell'estensione dell'impero romano

dal tempo di Augusto a quello di Romolo Augustolo, si può seguire l'allargamento prima e il

restringimento dopo dei territori su cui venne esercitato il potere di Roma; più ristretta fu la

Romània linguistica e ancora più ristretto il territorio che conservò l'uso della lingua romana.

La parte orientale non fu mai romanizzata nella lingua, poiché il Latino fece sempre molta fatica ad

imporsi sul Greco, lingua che aveva maggiore prestigio storico e culturale. Tuttavia, non è facile

tracciare un netto confine tra il dominio del Latino e quello del Greco. Il criterio del maggior

numero di iscrizioni greche o latine non basta per determinare l'uso linguistico del popolo.

In Africa era per la maggior parte grecofona la regione che andava dalla Cirenaica all'Egitto e

grecofone erano tutte le province romane dell'Asia.

La presenza di un idioma neolatino nel territorio che fu un tempo romano non è sufficiente per

Page 13: Le Origini Delle Lingue Neolatine

garantire dappertutto la continuità della vita romana, ma basta a far presumere una tale continuità.

Da Occidente e Oriente rimangono alla Romània linguistica e al mondo neolatino: la Hispania

(tranne la zona popolata dai Baschi), la Gallia (salvo la parte orientale della Belgica e salvo

immigrazioni alloglotte), tutta l'Italia, piccola parte della Rezia e del Norico e la Dacia. Dapprima

era compresa anche la fascia costiera della Dalmazia che fu, poi, sommersa.

Gli elementi latini nei dialetti berberi – Anche per quanto riguarda la Romània perduta si procede

da Occidente a Oriente, partendo dall'Africa romana, che comprende l'Africa Settentrionale odierna,

dal Marocco alla Tripolitania. Dall'Atlantico fino a Leptis Magna, la fascia costiera, che si

estendeva verso l'interno, fu quasi completamente romanizzata. Le città di fondazione fenicia o

cartaginese fiorirono sotto l'Impero Romano e il Cristianesimo vi si diffuse rapidamente.

Anche qui, la romanizzazione non fu dappertutto uguale: fu più intensa nelle regioni più vicine

all'Italia, e cioè nella zona di Cartagine e nella provincia proconsolare. Verso Oriente, nella

Cirenaica, cominciava il territorio in cui era più diffusa la lingua greca. Nel periodo imperiale la

cultura latina fioriva in Africa e Cartagine era il maggiore centro di studi.

L'influenza che ebbe la romanizzazione appare anche dall'elevato numero di iscrizioni latine. Ad

esempio il Punico – dialetto fenicio – era parlato a Cartagine e nei suoi antichi domini, ma col

tempo di estinse in favore del Latino. Ma nella costa settentrionale dell'Africa c'era una popolazione

indigena che resistette alla romanizzazione: si tratta della popolazione “libica”, che parlava un

idioma appartenente alla famiglia camitica. Questa popolazione si identifica negli odierni Berberi, i

cui dialetti si estendono dalla costa Atlantica fino all'oasi di Siwāh in Egitto. Esaminando proprio le

voci latine penetrate nel dialetti berberi possiamo farci un'idea del potere della latinità dell'Africa.

Fu Hugo Schuchardt ad iniziare lo studio dei elementi latini del Berbero. Gli elementi latini in

questo dialetto presentano caratteri di grande arcaicità fonetica. Per prima cosa, notiamo la

conservazione di ĭ ed ŭ del Latino, che nella maggior parte del territorio romanzo si sono fusi con ē

ed ō. Notevole è anche la conservazione di c e g davanti a vocali palatali.

Il Berbero continua termini latini che mancano alle altre lingue romanze: ad esempio il lat. porrigo

(tigna, forfora) è sconosciuto a tutto il dominio neolatino tranne che in Mozambico, accordo non

casuale, poiché dall'Africa alla Spagna si è notato un continuo movimento migratorio che ha

favorito l'estensione di isoglosse di origine africana nella Penisola Iberica.

Gli elementi latini nel Basco – Nella Hispania la romanizzazione fu quasi completa, tranne che

nelle regioni montuose del Nord-Est, dove il popolo basco si mantenne. Ma l'attuale territorio basco

oggi non è che un piccolo resto di quello che era il dominio della lingua basca.

La presenza di elementi latini nel Basco è notevole sia dal punto di vista quantitativo che

Page 14: Le Origini Delle Lingue Neolatine

qualitativo. Si rimane sorpresi nel trovare nel Basco una enorme quantità di parole latine senza che

si sia indebolita la forza vitale della lingua indigena. L'influsso latino nel Basco è interessante e

importante per il suo carattere arcaico che ci permette di conoscere preziosi relitti sconosciuti al

resto del mondo neolatino.

Per quanto riguarda la fonetica, il carattere conservativo e arcaico è dato dalla conservazione di c e

g velari davanti a e ed i. Troviamo nel basco la conservazione di esiti distinti per le vocali latine ē

ed ĭ, ō ed ŭ che invece, già in epoca volgare, si erano fuse rispettivamente in e ed o.

Dal punto di vista della cultura è interessante notare che l'influsso latino si riferisce in primo luogo

all'organizzazione giuridica ed amministrativa del paese. Notevole fu anche l'influsso romano sulla

terminologia del vestiario, su quella commerciale e militare.

Relitti nella Britannia. Gli elementi latini nelle lingue celtiche e nell'Inglese antico – La

Britannia è un dominio completamente perduto per la Romània linguistica.

Le città della Britannia dovevano essere assai romanizzate quando, nel V secolo, le forze militari

romane si ritirarono sul continenti lasciando l'isola in mano ai Barbari; tuttavia, gli idiomi celtici

insulari, sia per la maggiore distanza da Roma, sia per la più breve dominazione romana, resistettero

meglio di quelli continentali, mantenendosi in Irlanda, nel Galles e in Cornovaglia.

Tenendo conto anche del fatto che le documentazioni di queste lingue cominciano solo nel periodo

medievale, incontriamo delle difficoltà a distinguere i pochi relitti latini dovuti alla conquista

romana. Inoltre, l'Irlanda non venne mai assoggettata e quindi gli elementi latini dell'Irlandese

provengono, più che dalla colonizzazione, dai rapporti di commercio e sono in buona parte

importati dalla Britannia e, quindi, passati attraverso lingue celtiche di tipo gaelico.

Per quanto riguarda l'Anglosassone, è da tenere presente che alcuni elementi latini penetrarono

negli idiomi germanici degli Angli e dei Sassoni anche prima delle loro migrazioni verso le isole

Britanniche, quando ancora occupavano sedi vicine al Reno.

Dal punto di vista della fonetica, i più antichi elementi latini delle lingue celtiche dimostrano

caratteri arcaici. Nella toponomastica della Gran Bretagna non sono rare le tracce che riconducono

alla Britannia romana.

Gli elementi latini nelle lingue germaniche – La provincia romana della Germania abbracciava un

territorio relativamente piccolo, ad occidente del Reno, il “limes” naturale fra mondo romano e

mondo germanico. In questa regione, oltre che in Baviera, Tirolo e Svizzera, troviamo i più

numerosi relitti latini, sia nella toponomastica che nel lessico.

La conoscenza del Latino doveva essere abbastanza diffusa fra i Germani e non solo fra quelli che

entravano a far parte dell'esercito romano. Già Cesare parla della presenza di commercianti romani

Page 15: Le Origini Delle Lingue Neolatine

presso gli Ubi e i Suebi. I primi commerci furono forse di vini e non è un caso, infatti, che la parola

latina caupo (oste, commerciante di vino) si conservi solo nelle lingue germaniche.

Ma fra i relitti della Romània perduta si trovano anche voci ormai estinte nel Romanzo. Anche le

condizioni fonetiche dei più antichi relitti latini ci mostrano fasi arcaiche, come la pronuncia velare

di c e g.

Relitti romani nella Pannonia e nell'Illirico. Gli elementi latini in Albanese – Nella Rezia e nel

Norico troviamo residui neolatini limitati alla fascia alpina: qui si svilupperanno, poi, i dialetti

ladini. Le parti settentrionali della Rezia e del Norico sono state perdute alla romanità e oggi sono

completamente germanizzate. Tuttavia, il sostrato romano appare nella toponomastica e nel lessico.

Per quanto riguarda la Pannonia, le invasioni slava e ungherese hanno fatto scomparire la romanità

linguistica, anche se molti elementi nella toponomastica inducono a ritenere che all'arrivo degli

Ungheresi l'idioma neolatino non fosse ancora estinto. L'esame delle iscrizioni dimostra che la

latinità della Pannonia doveva concordare con quella occidentale e non con quella orientale.

Nell'Illirico si formò, nella regione costiera, una lingua romanza: il Dalmatico. Nella parte più

meridionale dell'Illirico un popolo indoeuropeo, forse formato da Illirici e Traci, fu quasi sul punto

do romanizzarsi linguisticamente: questo popolo era quello albanese.

Il luogo di formazione dell'albanese rimane incerto, ma tutto gli studiosi ormai lo collocano in una

zona più a nord di quella dell'attuale Albania e abbastanza distante dal mare. Oggigiorno non si

considera più l'Albanese come una lingua “semiromanza”, ma l'apporto dato dal Latino alla

formazione di questa lingua è considerevolissimo. Dal punto di vista culturale, gli elementi latini

del lessico albanese hanno grande importanza: fra i nomi di parentela, le voci per la parentela

cognatizia sono di origine latina.

Quasi completamente latina è la terminologia cristiana; parole importanti di origine latina si

riferiscono alla vita sociale e a quella intellettuale; animali comuni sono denominati con termini

latini; importante è anche la presenza di un elevato numero di aggettivi di origine latina.

Dal punto di vista della forma, si può trovare un'affinità con Rumeno e con l'antico Dalmatico,

nonché con gli elementi latini e neolatini del Neogreco e delle lingue slave meridionali. Questa

affinità si riscontra sia in fenomeni di conservazione comuni, come nel mantenimento di ŭ latino,

sia in fenomeni di innovazione comuni o paralleli, come il nesso -ct- che in Albanese diventa -ft- e

in Rumeno -pt-.

Importante è anche la concordanza di elementi latini dell'Albanese col Rumeno, sia per la

conservazione di voci latine che non hanno o hanno scarsa vita in altra parte della Romània, sia per

innovazioni semantiche.

Gli elementi latini in Greco e nelle lingue slave – Anche se a sud della linea tracciata da Jireček,

Page 16: Le Origini Delle Lingue Neolatine

che va da Alessio al Mar Nero passando per la Penisola Balcanica, la lingua prevalente sia stata il

Greco, non mancano, tuttavia, elementi del mondo romano. È risaputo che il Greco esercitò molta

influenza sul Latino, ma è bene ricordare che, nonostante ciò, il Latino diventò la lingua ufficiale

dell'esercito anche in Oriente, nonché la lingua della giustizia e dell'amministrazione tanto da

lasciare profondi segni anche sul Greco. Questo influsso latino cominciò a farsi sentire dal II secolo

a. C. e si intensificò dopo la vittoria di Leucopetra che segnò il declino politico della Grecia. La

divisione cronologica dei prestiti latini fatta da Federico Viscidi nel lavoro I prestiti latini nel Greco

antico e bizantino segna l'apice nel VI secolo d. C., ovvero l'epoca di Giustiniano che è sempre stata

ritenuta il principio del declino della lingua latina.

Dal punto di vista culturale, bisogna ricordare l'importanza di elementi dotti e semidotti assimilati

dal Greco che furono, insieme a parole di origine popolare, portati dove si parlava la lingua greca:

in questo modo, parole latine si trovano fino in Asia Minore e in Egitto.

Allo stesso modo, è probabile che parole della latinità balcanica siano state introdotte nelle lingue

slave, poiché al tempo della venuta degli Slavi, la romanità balcanica occupava un'area abbastanza

estesa. Anche la toponomastica dei paesi oggi slavofoni della Penisola Balcanica contiene numerosi

elementi che risalgono al Latino, anche se non è facile distinguere le voci che provengono

direttamente dal Latino da quelle che provengono, invece, da prestiti da idiomi romanzi già formati,

come il Dalmatico e il Rumeno.

La Romània nuova – Anche se il dominio linguistico romanzo perdette alcuni territori di quella

che fu la Romània imperiale, le lingue neolatine si espansero comunque in regione che mai erano

state sotto il dominio di Roma. Erano soprattutto territori d'oltremare, in cui le lingue romanze si

espansero in seguito all'allargamento dei domini coloniali.

Generalmente le differenze tra le lingue romanze di origine coloniale e quelle europee sono esigue e

consistono in conservazioni di fasi arcaiche e dialettali e in alcune innovazioni. Le lingue letterarie,

sempre svolte su modelli classici, mantengono maggiore uniformità. Casi sporadici sono

rappresentati dalle “lingue creole” (vedi pag. 11-12 appunti).

L'espansione dell'Italiano – L'Italiano non ha dato vita a varietà stabili di tipo coloniale, poiché

l'Italia non ha partecipato alla colonizzazione dell'America e dell'Asia e, per quanto riguarda

l'Africa, la sua espansione coloniale è recente. È vero che le repubbliche marinare di Genova e

Venezia ebbero colonie nel Levante, ma non hanno mai generato un idioma che sia stato capace di

conservarsi a lungo.

Testimonianze dell'espansione veneta e italiana sono le numerose parole di origine italiana –

specialmente veneta – nel Neoellenico, Croato, Albanese, Arumeno e Turco. Il commercio nel

Page 17: Le Origini Delle Lingue Neolatine

Mediterraneo portò elementi italiani anche all'Arabo. L'unico esempio di un idioma “creolizzante” a

base fortemente italiana è dato dalla cosiddetta lingua franca.

L'espansione del Francese – L'espansione del Francese come lingua nazionale è di gran lunga

minore di quella che ha avuto come lingua di cultura e di comunicazione. La colonizzazione

francese in America, infatti, è stata relativamente modesta. La maggiore colonizzazione è stata

sicuramente quella del Canada, iniziata nel XVI secolo e intensificata nel XVII. Dopo la pace di

Utrecht, tuttavia, la Francia cominciò a perdere terreno – e territori – in favore dell'Inghilterra. Nel

XVIII secolo la Francia veniva sconfitta e la pace di Parigi cedeva il Canada all'Inghilterra.

Nonostante questa perdita, il Francese è ancora parlato in Canada, soprattutto nella provincia di

Québec.

Il Francese del Canada si distingue per alcune particolarità e specialmente per il suo carattere

arcaico (ad es. la pronuncia ué e dittongo oi): non è esattamente il Francese del XVII, ma ne

conserva molti tratti sia nella fonetica che nel lessico.

Il Francese si conserva, con tipo creolizzante, anche nella Louisiana e, sotto forma di dialetti creoli,

anche nelle Antille. Altri dialetti creoli francesi si trovano, poi, in Africa, nelle isole Mascarene

(Riunione e Maurizio), nelle isole Seycelles e in alcuni punto dell'Africa Occidentale ed

Equatoriale.

L'espansione dello Spagnolo – La bolla del Papa Alessandro VI (1493) divideva i territori scoperti,

e quelli ancora da scoprire, tra Spagnoli e Portoghesi: la parte maggiore toccò alla Spagna, che ben

presto divenne uno degli imperi coloniali più grandi del mondo.

Anche se le lingue indigene americane non sono del tutto scomparse, lo Spagnolo si è imposto nelle

colonie già appartenenti alla corona di Spagna, dal Messico al Nord fino alla Patagonia al Sud,

eccetto che in Brasile.

Quando le colonie si emanciparono anche attraverso le lotte, i singoli stati indipendenti mantennero

come lingua nazionale lo Spagnolo ed è proprio questa conservazione che permette all'America

Latina di godere ancora di una certa unità culturale. L'unione politica con la Spagna è ormai cessata,

ma l'unione culturale esiste ancora e, nella lingua scritta, le differenze fra lo Spagnolo europeo e

quello dell'America Latina sono soprattutto lessicali. I prestiti dalle lingue indigene non sono molto

numerosi e si riferiscono perlopiù alla flora e alla fauna locale, oppure appaiono nella

toponomastica. Più importanti sono le differenze nella lingua parlata, dove si è in presenza di

fenomeni di conservazione e di innovazione, ma soprattutto si osserva l'affermarsi di tendenze che,

nella lingua della madre patria, sono solo dialettali.

Lo Spagnolo d'America è importante perché il suo sviluppo offre notevoli parallelismi con la

Page 18: Le Origini Delle Lingue Neolatine

diaspora del Latino volgare nella Romània e il suo successivo funzionamento, offre nuovi tipi di

letterature e permette di seguire aree dialettali e di trovare in varietà ispano-americane odierne

alcuni fenomeni dello Spagnolo già tramontati o dialettali nella madre patria, ma che in America

ebbero un grande sviluppo.

Dal punto di vista linguistico, è interessante il Giudeo-spagnolo degli Ebrei sefarditi. Nelle città

dell'Oriente europeo – Bosnia, Macedonia, Grecia, Bulgaria, Romania e Turchia – vivevano

migliaia di Ebrei sefarditi, discendenti dagli Ebrei spagnoli che furono cacciati dalla Spagna nel

1492 e che si rifugiarono presso l'impero ottomano. Questi Ebrei hanno conservato la loro lingua

che corrisponde allo Spagnolo del periodo classico.

Un'evoluzione completamente diversa ha avuto lo Spagnolo nelle isole Filippine, dove ha dato

luogo anche a una varietà creola. A Curaçao si parla, infatti, una lingua creola influenzata

lessicalmente dallo Spagnolo e che ha per base un dialetto creolo-portoghese.

L'espansione del Portoghese – Il principale centro di espansione coloniale del Portogallo è stato il

Brasile. In principio colonia, poi viceregno, poi regno, poi impero e quindi repubblica indipendente,

il Brasile ha mantenuto la lingua dei colonizzatori e mantiene tutt'oggi unità culturale e spirituale

col Portogallo, affermata con l'unificazione ortografica fra i due Stati. Il Portoghese brasiliano

conserva alcuni aspetti del Portoghese arcaico e presenta anche alcune innovazioni. Le principali

differenze si trovano nel lessico e nella fraseologia; in Brasile troviamo voci che in Portogallo sono

ormai antiquate o solo dialettali e vi sono voci diverse per alcuni oggetti o concetti. Nella

morfologia si nota – solo nella parlata di classi meno colte – la tendenza al livellamento fra

singolare e plurale. La maggiore differenza sta però nella collocazione dei pronomi atoni che in

Brasile vengono preposti in casi in cui in Portogallo si postpongono.

Gli elementi mutuati dalle lingue indigene si riferiscono perlopiù alla flora e alla fauna o a

costumanze locali. Sul Portoghese brasiliano ha influito, poi, la parlata creolizzante degli antichi

schiavi negri.

Nel territorio brasiliano si sono, col tempo, formati parecchi idiomi creoli. Il Portoghese è

sicuramente la lingua romanza che ha dato vita al maggior numero di varietà creole: i dialetti indo-

portoghesi delle poche oasi dell'India, il Sino-portoghese di Macao, il Maleo-portoghese, ecc.

Capitolo 4 – Il nucleo centrale: il Latino

Latino scritto e Latino parlato; “urbanitas” e “rusticitas” – Il nucleo delle lingue neolatine è

formato dal Latino.

Il Latino è un idioma appartenente alla grande famiglia indoeuropea; esso ci è conosciuto, grazie a

una documentazione ininterrotta e organica, solo dal III secolo a. C. Se è vero che la posizione dei

Page 19: Le Origini Delle Lingue Neolatine

dialetti indoeuropei non si è notevolmente alterata, il Latino, come i dialetti italici e le lingue

celtiche, rappresenta un idioma marginale dell'estremità occidentale: la linguistica spaziale ci ha

insegnato che le aree laterali conservano elementi arcaici. Il Latino presenta, quindi, importanti

fenomeni di conservazione del sistema indoeuropeo, ma presenta anche notevoli innovazioni.

La lingua latina offre fenomeni di semplificazione che si vanno sempre più accentuando. I dittonghi

indoeuropei, ancora ben conservati nel Latino arcaico, si vanno man mano monottonghizzando: ei

passa in ī (es. deico > dīco); oi passa in ū (es. oinos > ūnus); ou passa in ū (es. Loucilius > Lūcilius);

la declinazione si semplifica con la perdita del locativo e dello strumentale, la coniugazione subisce

anch'essa delle semplificazioni; l'accento non è più fisso sulla prima sillaba, ma è condizionato dalla

quantità della penultima e non risale mai oltre la terzultima.

Dopo averla fissata come lingua letteraria, il Latino scritto con intenti artistici mantiene una relativa

fissità; ma all'interno dell'urbs e non solo nelle provinciae, la lingua parlata differiva più o meno

considerevolmente, secondo le epoche e le categorie sociali, dalla lingua scritta e, soprattutto, dalla

lingua letteraria. Ad esempio, lo stesso Cicerone usa, nelle epistole non destinate alla pubblicazione,

uno stile molto diverso da quello impiegato nelle orazioni o nelle opere filosofiche e retoriche.

Il Latino scritto e letterario aveva una certa uniformità e regole che andavano obbligatoriamente

rispettate e anche i filologi più esperti distinguono a fatica certe peculiarità regionali. Più facilmente

perseguibili sono, invece, le differenze regionali nei testi non a carattere letterario, come ad esempio

le iscrizioni di carattere non ufficiale. Il Latino parlato, unitario fino solo ad un certo punto, a causa

del livellamento provocato dall'unità politica e culturale, aveva un numero maggiore di differenze

regionali e sociali. Cicerone e Quintiliano oppongono, infatti, l'urbanitas romana alla rusticitas. Ma

questi fenomeni ritenuti rustici non erano dappertutto gli stessi e il sermo vulgaris doveva avere già

in sé stesso quei germi di differenziazioni dialettali che si svilupperanno poi nelle singole lingue

romanze: il Latino classico subì, infatti, una lenta e profonda trasformazione, allontanandosi sempre

più dalla lingua parlata e rimanendo sempre più legato a determinati schemi e modelli.

Fonti per la conoscenza del cosiddetto “Latino volgare” – Il nome di “Latino volgare” si può

prestare a qualche equivoco: sarebbe forse meglio parlare, infatti, di Latino parlato e di Latino

comune, siccome l'aggettivo volgare può essere male interpretato. Non si tratta solo del Latino

parlato dalle classi più basse del popolo, ma della lingua parlata da tutte le classi sociali con infinite

sfumature: non è mai esistito, infatti, un Latino volgare unitario.

Grazie ad alcune principali fonti possiamo acquistare una relativa conoscenza di questa lingua:

1) Gli autori latini. In primo luogo alcuni autori arcaici, come Plauto, sia

per il genere comico, che meglio si prestava ad essere reso con espressioni più colloquiali, ma anche

perché, all'epoca, non si erano ancora fissati tutti i modelli retorici. Importanti sono, poi, alcuni

Page 20: Le Origini Delle Lingue Neolatine

trattati di veterinaria e alcune opere di culinaria e di medicina popolare. Petronio, nel suo Satyricon,

mette in bocca ai suoi personaggi – soprattutto a Trimalchione – espressioni e parole di carattere

popolare o plebeo. Altra preziosa fonte sono gli autori cristiani: nei primi secoli dell'era volgare si

era formato un Latino cristiano, che non solo risentiva degli influssi greci e orientali, ma, avendo il

compito di diffondere il messaggio del Signore, ed essendo nato in ambienti popolari, era una

lingua molto vicina a quella parlata. Sant'Agostino e altri Padri della Chiesa, sebbene fossero

uomini di immensa cultura, utilizzano volutamente una lingua molto più vicina a quella parlata dal

popolo a cui si rivolgono. Carattere popolare aveva anche la più antica traduzione della Bibbia e

anche la Vulgata, la traduzione compiuta da San Gerolamo, si basa sulla Vetus Latina di cui

conserva alcuni volgarismi. Non si possiede nessun testo esclusivamente volgare, ma in tutti i testi

sopra menzionati troviamo, o volute dagli autori, o usate per mancanza di termini tecnici nel Latino

classico, tracce più o meno numerose del Latino volgare.

2) I grammatici latini, dove parlano di forme da evitare o segnalano gli

errori più comuni dell'uso quotidiano, sia nella pronuncia, sia nella morfologia.

3) I lessicografi. Nelle opere lessicografiche si trovano non solo delle

parole arcaiche o rare e poi spiegate, ma anche numerosi volgarismi. Importanti sono, poi, i

glossari, fra cui ha particolare interesse la cosiddetta Appendix Probi, scritta probabilmente a Roma

intorno al III secolo a. C. che contiene, nella terza parte, un elenco di 227 parole volgari da evitare,

con le corrispondenti in Latino corretto. L'autore doveva essere un grammatico e il piccolo elenco

era destinato ai suoi alunni (viene chiamato Apprendix Probi perché è stato trovato in calce a un

manoscritto di Valerio Probo). Speciale importanza hanno, poi, le Glosse di Kassel e quelle di

Reichenau.

4) Le iscrizioni, più importanti quelle a carattere privato che non quelle

ufficiali; nelle iscrizioni funerarie dei piccoli cimiteri di campagna, nei graffiti murali, ecc. si

trovano tracce di volgarismi che mancano quasi del tutto nelle epigrafi ufficiali. Siccome le

iscrizioni rimangono nel luogo dove furono scritte, lo studio delle loro particolarità linguistiche

permette di rendersi conto del Latino regionale della Gallia, della Dacia, dell'Iberia, ecc.

Particolarmente interessanti sono le iscrizioni e i graffiti di Pompei. Grazie alle iscrizioni, la vita

quotidiana di un popolo di una città di provincia ci si presenta nei suoi vari aspetti ed esse

testimoniano molti volgarismi che si affermeranno, poi, nelle varie lingue romanze. Per il loro

carattere popolare hanno una notevole importanza anche le defixiones, formule di incantesimo con

cui si vogliono neutralizzare i malefici e le maledizioni.

5) Le grafie dei manoscritti, soprattutto attraverso gli sbagli dei copisti o

le false ricostruzioni, ci manifestano tendenze del Latino volgare.

6) Le note tironiane: in origine rappresentano il primo sistema

Page 21: Le Origini Delle Lingue Neolatine

stenografico romano, ideato da M. Tullio Tirone e usato per stenografare le orazioni tenute ex

abrupto. Le glosse e i manoscritti in note tironiane hanno spesso un carattere popolare e si ricavano

importanti dati per la ricostruzione del Latino volgare.

7) I diplomi, che dimostrano l'affermarsi di certe innovazioni nei vari

paesi romanzi.

8) Le parole latine passate in lingue non romanze.

9) La grammatica comparata e il lessico delle lingue romanze, ovvero i

coefficienti maggiori che ci permettono la ricostruzione di molte voci del Latino volgare o comune

non attestate.

Il lessico del Latino volgare – Il nucleo principale delle parole de Latino volgare doveva essere

fondamentalmente comune al Latino classico, sia per la forma, sia per il significato.

Voci come acētum o māter erano usate, senza considerevoli divergenze semantiche, sia nel Latino

scritto, sia in quello parlato. Altre voci avevano subito leggere trasformazioni fonetiche (es. oclus

per ocŭlus) o un passaggio di declinazione o di coniugazione (es. acru(s) per acer e *sapēre per

sapĕre). Alcune voci, invece, pur mantenendo intatta o quasi la loro forma, hanno avuto nel Latino

volgare spostamenti di significato.

Per designare il “fuoco”, il Latino utilizzava la parola indoeuropea ignis; con fŏcus designava,

invece, il “focolare domestico”, opposto ad āra, quello della divinità. Nel Latino popolare focus

cominciò a prendere il senso di ignis e dal IV secolo in poi si troverà sempre più spesso la parola

focus. Le lingue romanze non conservano nessuna traccia di ignis, ma concordano tutte nel

presentare continuazioni di fŏcus (> it. fuoco, fr. feu, sp. fuego, pg. fogo, rum. foc).

Per designare il “cavallo”, la denominazione più diffusa era l'antico nome indoeuropeo equus; già

nel II secolo a. C. compare, però, caballus, usato soprattutto per il cavallo da tiro e da lavoro e con

una sfumatura peggiorativa; i grammatici dicono che era la voce della lingua popolare. Ora le lingue

romanze non presentano continuazioni di equus, ma solo di caballus (> it. cavallo, fr. cheval, sp.

caballo, pg. cavalo, rum. cal).

I mutamenti semantici avvenuti nelle parole latine rimaste nelle lingue romanze mostrano o una

specificazione e un restringimento del senso, o un allargamento. Nel Latino classico, cognatus

indicava il “parente per mezzo del sangue” in opposizione a adfinis, che indicava il “parente

acquisito”. Nell'antico diritto romano si faceva una notevole differenza fra agnati (parenti di linea

diretta) e cognati, ma in seguito si designarono come cognati anche gli agnati. Nel Latino volgare

cognatus restringe il suo senso e si riferisce al marito della sorella.

Il verbo latino necare, enecare significava “uccidere”; nel Latino tardivo, però, si specializzò nel

senso di “uccidere nell'acqua, affogare” e così si ha l'it. annegare, fr. noyer, prov. negar, sp./cat./pg.

Page 22: Le Origini Delle Lingue Neolatine

anegar, rum. îneca.

Spesso le evoluzioni semantiche, pur partendo da determinate accezioni o da usi fraseologici

attestati, vanno man mano divergendo. Il verbo latino lĕvare, derivato da lĕvis, significava

“alleggerire” e nell'epoca imperiale anche “sollevare”. Questo verbo ha poi sostituito nelle lingue

romanze, parzialmente o totalmente, i verbi ferre, tollĕre, surgĕre e oriri. In rum. lua e in sardo

logud. leare significano “prendere”; in it. Levare significa “alzare”; in sp. llever significa “portare”.

Il fr. lever significa “sollevare” nonché “portar via, togliere”, senso comune anche al dominio

linguistico italiano.

Vi sono parole latine scomparse nel Romanzo; vi sono voci del Latino classico che sono state

sopraffatte da concorrenti indigene che avevano un carattere più popolare e affettivo. Le

applicazioni della geografia linguistica ci permettono di stabilire non solo il punto di partenza delle

innovazioni, ma anche di spiegare le ragioni di tali innovazioni. Il lat. anser è quasi completamente

scomparso in favore di un derivato di avis, e cioè avĭca, da cui auca, forma alla quale risalgono

tutte le forme romanze (> it. oca, fr. oie, prov. auca).

Molto spesso, però, le innovazioni lessicali non giungono a diffondersi per tutto il territorio poiché

o non hanno avuto sufficiente forza, o sono partite troppo tardi per raggiungere le zone più lontane.

È il caso di manducare, in origine usato solo da comici e satiri e poi entrato anche nel lessico della

buona società, in contrapposizione a edĕre; nelle lingue romanze odierne si ha sp./pg. comer

“mangiare”, rum. mînca, fr. manger.

Una delle principali fonti per la ricostruzione del lessico del Latino volgare è data dalle lingue

romanze, ma noi non conosciamo perfettamente il lessico delle singole lingue e dei singoli dialetti

neolatini.

Ogni nuovo studio mostra che parole che si credevano estinte hanno, in realtà, la loro continuazione

in un dialetto periferico e isolato e sono attestate in documenti che prima venivano ignorati. Per

rendersi conto del progresso della geografia linguistica è sufficiente comparare tra loro due edizioni

contigue del REW (Romanisches Etymologisches Wörterbuch) di W. Meyer-Lübke: si può

constatate che sono stati aggiunti circa 900 lemmi dall'edizione del 1911-1920 e quella del 1930-

1935.

Uno dei principali mezzi di rinnovamento del lessico Latino volgare è dato dalle derivazioni per

mezzo di suffissi e dalle composizioni con prefissi. Importante ricordare che questo Latino volgare

era specialmente una lingua parlata e familiare e nella lingua familiare sono frequenti le derivazioni

diminutivali di carattere affettivo: ad esempio lat. genuculum o genoculum (invece di genu) > it.

ginocchio, fr. genou, prov. genolh, pg. joelho, rum. genunchiu.

La sintassi del Latino volgare – Spesso un mutamento fonetico provoca delle alterazioni

Page 23: Le Origini Delle Lingue Neolatine

morfologiche, le quali a loro volta danno innovazione sintattiche; da ciò si deduce che le tre parti in

cui tradizionalmente si divide la grammatica sono imprescindibili.

Il carattere delle fonti del Latino volgare che ci sono pervenute è un ostacolo non lieve per la

conoscenza della sintassi del Latino parlato, in quanto non esiste un solo testo volutamente volgare.

La maggior diversità fra la sintassi del Latino classico e quella delle lingue romanze sta nella

diversa collocazione delle parole nel periodo; alla relativa libertà del periodare subentra un ordine

più fisso. Nel Latino classico era abituale l'ordine: soggetto – complementi indiretti – oggetto –

predicato; il verbo preferiva stare alla fine della proposizione, mentre i complementi indiretti e

diretti lo precedevano. La collocazione delle parole nelle lingue neolatine è invece determinata

dall'ordine: soggetto – predicato – oggetto – complementi indiretti. Il Latino classico preferisce la

costruzione per ipotassi, ovvero attraverso una serie di proposizioni dipendenti subordinate, mentre

le lingue romanze preferiscono la costruzione per paratassi. Questo non significa che la costruzione

ipotattica sia scomparsa dalle lingue romanze, soprattutto dalle lingue letterarie. Ma il Latino rimase

per secoli la lingua della scuola e della cultura; la sintassi latina continuò, quindi, ad esercitare un

notevole influsso sulla sintassi delle lingue romanze occidentali.

Ragioni soprattutto fonetiche provocarono, col tempo, l'impoverimento e quindi la perdita quasi

completa delle declinazioni, tanto che nelle lingue romanze odierne esse non sono più presenti.

Anche alcuni grecismi entrano, specialmente attraverso il linguaggio ecclesiastico, nel tardo Latino.

Il vocalismo del Latino volgare – Nella fonetica del Latino volgare vi sono stati notevoli

cambiamenti. La quantità aveva grande importanza per i Romani: era la quantità della penultima

che, in epoca classica, determinava la posizione dell'accento, che nel Latino preistorico cadeva,

invece, sempre sulla prima sillaba. In origine, la differenza tra una sillaba lunga e una breve era data

probabilmente solo dalla maggiore durata della vocale.

In seguito, nel Latino parlato, le vocali lunghe cominciarono ad essere pronunciate chiuse e le

vocali brevi aperte. Quando il Latino si espanse in Europa e in Africa si sovrappose a lingue che

non conoscevano l'opposizione fonematica fra vocali lunghe e vocali brevi e il senso della quantità

andò man mano perdendosi. Rimase come distinzione la differenza di apertura e, cioè, la differenza

di timbro; i aperto e u aperto si fusero rispettivamente con e chiuso e o chiuso in gran parte della

Romània. Si venne ad avere così una riduzione (vedi pag. 237). Lo schema di pagina 237 vale per le

vocali toniche e solo per una parte della Romània. Man manco che la qualità cominciò a guadagnare

sulla quantità, la durata smise di essere una caratteristica per ogni vocale; le sillabe accentate

divennero tutte più lunghe di quelle atone. Le sillabe con vocale breve accentata divennero più

lunghe e le sillabe con vocale lunga atona divennero più brevi. Continuare sul libro da pag. 238.

Vedi libro per i capitoli Il consonantismo del Latino volgare (pag. 243) e La morfologia del

Page 24: Le Origini Delle Lingue Neolatine

Latino volgare (pag. 249)

Capitolo 5 – Gli adstrati e i superstrati

Il prestito linguistico – La causa del passaggio dalla relativa unità del Latino comune alla pluralità

delle varietà romanze non è stata solo una, bensì tre: la differenza cronologica della colonizzazione

delle varie provinciae, la differenza delle lingue del sostrato e i diversi influssi esercitati dai popoli

che si sono sovrapposti alle genti parlanti romanice.

Se con la parola “sostrato” si intendono quelle lingue alle quali il Latino si sovrappose durante la

sua espansione, con il termine “adstrato” si intendono le lingue vicine territorialmente, alle quali il

Latino non si sovrappose, e con la parola “superstrato” si intendono le lingue dei popoli che

vennero ad abitare, sia come dominatori che come padroni, nei territori linguisticamente

romanizzati.

Una divisione di adstrati e sostrati non è sempre possibile. Il Greco, ad esempio, fu un “sostrato” e

in queste regioni si può parlare di sostrato greco. Nelle regioni grecofone della Grecia, dove il

Latino non si impose, il Greco fu piuttosto un “adstrato” e nelle colonie bizantine dell'Italia

meridionale su territorio romanizzato rappresenta prevalentemente un “superstrato”.

Importare da notare è il fatto che quasi ogni lingua di “sostrato” è prima stata una lingua di

“adstrato”; il Gallico era una lingua di “adstrato” e rimase tale anche dopo la colonizzazione

romana; divenne lingua di “sostrato” solo dopo la sua sparizione come lingua d'uso e la sua

sostituzione con il Latino. In seguito, il Celtico divenne lingua di “superstrato” nella Penisola

Armorica dopo l'immigrazione delle popolazioni bretoni dalle Isole Britanniche e quando la loro

lingua si sovrappose al Romanzo, e divenne di nuovo “sostrato” per le popolazioni che ritornarono

di lingua francese.

L'influsso del sostrato si rivela sia grazie a relitti lessicali, sia per mezzo di tendenze fonetiche,

mentre l'influsso delle lingue di adstrato e superstrato si limita solo al lessico e raramente intacca la

fonetica e la morfologia.

Gli influssi sul lessico sono la prova di una penetrazione minore di quella che intacca la

grammatica. Quando si parla di “influssi lessicali” si usa generalmente la voce prestiti. Il vocabolo è

ormai entrato nella terminologia linguistica ufficiale, ma non è forse uno dei migliori adattamenti.

Infatti il “prestito” dovrebbe portare con sé l'idea di “restituzione”, e chi “presta” dovrebbe

rimanerne, almeno temporaneamente, privo, cose che, invece, avvengono molto raramente.

I glottologi tedeschi fatto una distinzione tra due tipi di prestiti: “Lehnwörter” e “Fremdwörter”. I

primi sono completamente assimilati al sistema linguistico del sistema che li adotta; i secondi,

invece, mantengono ancora l'aspetto formale della lingua originaria.

Vi sono varie cause che determinano i prestiti. La prima e più potente è data dal bilinguismo; nelle

Page 25: Le Origini Delle Lingue Neolatine

regioni bilingui si osserva sempre uno scambio di voci e di costrutti fra le due lingue. Sia per le voci

appartenenti alle lingue di sostrato, sia per le lingue che formano adstrati e superstrati, è sicuro che

le popolazioni bilingui siano state il tramite più efficace per la diffusione di voci romanze nel

Germanico, o nel Greco, e viceversa.

Di solito, è il popolo di maggiore “prestigio” che maggiormente irradia la sua cultura attraverso il

lessico. Nei rapporti tra Greco e Latino è stato, infatti, il Greco a dare un maggior numero di prestiti

di quello che non ne abbia ricevuto. Numerosi sono gli elementi slavi in Albanese e Rumeno, ma

scarsi sono gli elementi albanesi e rumeni nelle lingue slave.

Spesso il “prestito” si riferisce a un oggetto o a un concetto inesistente nella lingua che lo riceve. Ad

esempio, i Romani hanno aggiunto al loro vocabolario la parola gallica braca, che corrispondeva ad

un capo di vestiario sconosciuto a Roma; stessa cosa successe per il carrus gallico a quattro ruote

ben diverso dal currus romano, carro da guerra con due sole ruote. In questo caso ci troviamo di

fronte a prestiti che potremmo chiamare, come ha suggerito il romanista Ernst Tappolet, “prestiti di

necessità”. Quando, invece, la parola mutuata corrisponde perfettamente ad una voce già esistente,

siamo in presenza di un “prestito di lusso” o “di moda” (“Luxuslehnwörter”).

Per misurare l'influsso di una lingua su un'altra giovano di più i prestiti di moda, poiché è difficile

che entrino in una lingua parola non strettamente necessarie, solo per imitare una moda o un'usanza

straniera. Non sempre è facile trovare la ragione di un prestito: spesso la moda della parola può

concorrere a indebolire la parola indigena che può man mano sparire; ma, altre volte, la parola

primitiva può aver già perso il suo carattere espressivo oppure può essere venuta a collimare per

omofonia con altre parole. Questo potrebbe essere il caso dell'adozione della parola germanica per

designare la “guerra” e la perdita assoluta della voce bellum, omofona all'aggettivo bellus, che

sostituiva la parola pulcher.

I prestiti servono per ricostruire la storia culturale di una nazione e i rapporti di quest'ultima con gli

altri popoli, ma non bisogna ritenere che tutte le volte siamo in presenza di un prestito, questo si

debba a ignoranza dell'oggetto o del concetto.

Da ricordare, poi, che una volta mutuata, una parola può sviluppare significati secondari o

sopravvivere più a lungo che nella lingua d'origine.

L'influsso greco – Il Greco rappresenta una lingua di sostrato solamente per quei territori che, un

tempo grecofoni, furono poi romanizzati. Ma nei luoghi in cui la romanizzazione linguistica non si

impose e entrambe le lingue erano utilizzate, il Greco fu per il Latino una lingua di adstrato. È,

infatti, risaputo che il Latino, per i rapporti commerciali, per la simbiosi greco-romana, per

l'influsso culturale, assimilò un elevato numero di elementi greci. Inoltre, è noto anche che questi

elementi non fossero un privilegio solo delle classi colte, bensì penetrarono fino alla lingua del

Page 26: Le Origini Delle Lingue Neolatine

popolo, come attestano numerosi scritti di carattere popolare. Il Cristianesimo fu uno dei più forti

coefficienti che introdussero nella lingua latina parlata dei primi secoli dell'era volgare un nuovo

filone di elementi greci.

Una posizione a sé stante, per quanto riguarda gli elementi greci, ha il Rumeno. Gli elementi greci

forzatamente ritrovati in rumeno sono quasi tutti malsicuri; essi sono passati soprattutto attraverso il

Latino o lo Slavo, oppure, nel caso di prestiti diretti, risalgono al periodo bizantino. Nella storia

della lingua rumena si fa, di solito, una divisione cronologica: elementi greci anteriori alla

dominazione fanariota ed elementi del periodo della dominazione fanariota. Durante la dominazione

(1711-1821) i prìncipi greci alle dipendenze di Costantinopoli e i Greci immigrati nei Principati

Danubiani apportano un grande numero di elementi neoellenici, la maggior parte dei quali durò solo

brevemente.

A parte elementi di origine dotta e semidotta che penetrarono nella lingua letteraria latina e che,

raramente, ebbero la fortuna di introdursi anche nelle lingue Romanze, il Greco fu sempre una

lingua che rappresentava un superstrato culturale immanente che divenne, dopo un breve periodo di

declino, la fonte di innumerevoli parole dotte in tutti i campi tecnici. La terminologia scientifica

moderna, soprattutto, è piena di neoformazioni dal Greco.

Gli elementi germanici. Criteri generali per stabilire la loro stratificazione nel dominio

romanzo – Altro grande superstrato è quello formato dalle lingue germaniche. Le classi più elevate

dei Germani conoscevano il Latino, mentre raramente i Romani si preoccupavano di imparare le

lingue dei popoli sottomessi. Il centro principale di contatti fra Romani e popolazioni germaniche

era la valle del Reno, dove sopravvivevano anche resti delle popolazioni celtiche: la lingua

utilizzata da questi tre popoli era il Latino e tracce della dominazione romana appaiono nella

toponomastica, nella monetazione, nell'ordinamento giuridico e nella rete stradale.

La penetrazione di parole germaniche in Latino è stata, al contrario, più debole, tanto che nella

Germania di Tacito si riscontra solo una parola germanica adattata al Latino (framea, “lancia”).

Parole germaniche presso autori della latinità sono piuttosto rare: alces, “alce” e urus, “bue

selvatico” (Cesare); ganta. “oca” e sapo, “sapone” (Plinio), ecc. e quasi tutte queste parole non

hanno alcuna continuazione nel Romanzo.

Il numero crescente di Germani che facevano parte dell'esercito romano o che abitavano in parti

dell'Impero come liberi o servi, dovette accrescere l'introduzione di elementi germanici nel Latino

volgare, prima ancora delle invasione barbariche: si può ritenere che, già prima della fine del V

secolo, alcuni elementi germanici si introducessero nella lingua latina e ciò si può dedurre

dall'esame degli elementi germanici comuni a tutte le lingue romanze occidentali. Anche in questo

caso, un trattamento a parte va riservato al Rumeno, mancando assolutamente di sicuri elementi

Page 27: Le Origini Delle Lingue Neolatine

germanici. La mancanza di voci germaniche in Rumeno, Dalmatico e Sardo testimonia che le voci

penetrate nel Latino, quando era ancora relativamente unitario, furono poche e abbastanza tardive e

non riuscirono a diffondersi in tutta la Romània.

Già all'epoca di Cesare e Tacito, le popolazioni germaniche erano divisi in numerosi stirpi che

parlavano dialetti diversi. Le parole mutuate dalle lingue balto-finniche e dal Lappone ci portano

verso una fase molto arcaica del Germanico. Quando si trova una parola diffusa in tutte le lingue

romanze occidentali e l'aspetto fonetico o morfologico non si permette di determinare con sicurezza

la lingua di provenienza, si possono fare due ipotesi: o che la parola sia stata mutuata in epoca

volgare e poi tramandata nelle singole lingue romanze, o che siamo in presenza di prestiti

indipendenti. Molto spesso, però, è successo che una parola germanica sia entrata in una o due

lingue romanze e che da questa si sia poi irradiata nelle altre.

Se prendiamo, ad esempio, la serie romanza rappresentata dalle corrispondenze: it. uosa, ant. fr.

huese, ant. sp. huesa, pg./prov./cat. oza, tutte voci che traducono “scarpa alta di cuoio, stivale”, si

nota che il punto di partenza deve essere stato germ. *hŏsa, corrispondente al ted. Hose “pantaloni”.

L'anglista Alois Pogatscher ha stabilito alcuni principi per determinare il carattere degli elementi

germanici nelle lingue romanze. Essi sono:

1) Quando una parola germanica è presente in tutte le lingue romanze

occidentali, ma la provenienza dal Gotico è contraddetta dallo Spagnolo e dal Portoghese, si può

presumere che tale parola fosse già entrata in epoca latina volgare. Josef Brüch osserva però che per

gli elementi attestati nello Spagnolo e nel Portoghese si può anche pensare a un'origine sveva, in

quanto gli Svevi si erano stabiliti in Galizia verso il V secolo e, nella seconda metà del secolo,

furono assoggettati dai Visigoti.

2) Se una parola di origine germanica si trova in tutte le lingue romanze

occidentali e ragioni fonetiche o culturali impediscono di trarla da una comune fonte latina volgare

o preromanza, si può supporre che si tratti di prestiti indipendenti; ad esempio l'it. sperone, fr.

éperon, prov./cat. esperó, sp. espuera, pg. espora sono forme corradicali che risalgono a una voce

germanica corrispondente a quella rappresentata dal ted. Sporn. Non si possono, tuttavia, ricondurre

a una sola base. Le forme ibero-romanze risalgono a un got. *spaúra, mentre quelle gallo-romanze

e italiane risalgono a un francone *sporo.

3) La fonetica dimostra la provenienza delle voci romanze di origine

germanica, attribuendole all'una o all'altra lingua dei popoli germanici che hanno formato un

superstrato politico e sociale. Per quanto riguarda la Penisola Iberica bisogna tener conto del

Visigoto e del Vandalo, lingue che appartengono al ramo germanico orientale che ha caratteristiche

fonetiche e morfologiche abbastanza chiare. Importante, poi, lo Svevo, che appartiene al Germanico

occidentale. In Italia, bisogna considerare soprattutto il Gotico (Ostrogoto) e il Longobardo e, poi, il

Page 28: Le Origini Delle Lingue Neolatine

Francone, sapendo che la maggior parte degli elementi franconi giunse in Italia per mezzo del

Galloromanzo. In Francia si deve tener conto del Francone e, solo in determinate regione, del

Burgundo.

Accanto a queste lingue ve ne sono state altre che possono essere considerate o come lingue di

superstrati minori o come lingue di adstrati. Ad esempio, l'antico Nordico: i Normanni si spinsero

sulle coste settentrionali della Francia intorno al IX secolo e si stabilirono nella regione da loro

conquistata. Presto, però, perdettero l'uso della loro lingua e adottarono il Francese. Nel Francese, e

soprattutto nei dialetti della Normandia, non sono rari gli elementi nordici; non sempre, però,

l'origine nordica di una parola risale direttamente ai Normanni: alcune voci nordiche, infatti,

possono essere penetrate anche attraverso l'antico e medio Inglese, siccome i Normanni occuparono

anche l'Inghilterra.

I rapporti storici continuarono anche in seguito alla formazione delle singole lingue romanze, perciò

è naturale che il flusso dei prestiti non sia mai cessato; in Italia numerose voci risalgono all'antico e

medio alto Tedesco e, nella parte settentrionale, anche al Tedesco moderno. In Francia, oltre a

elementi risalenti all'alto Tedesco, abbiamo un importante filone basso tedesco e specialmente

neederlandese.

Gli elementi germanici in Italiano (elementi gotici, longobardi, franconi, baiuvari, ecc.) – Il

primo superstrato germanico in Italia è rappresentato dagli Ostrogoti. Nel 493 l'imperatore d'Oriee

Zenone mandò in Italia Teodorico e lo riconobbe suo vicario nell'Impero romano d'Occidente;

Teodorico, venuto per liberare l'Italia da Odoacre e per ripristinare l'Impero d'Occidente, fu

proclamato re dai Goti e governò in Italia affidando tutti gli uffici militari a funzionari gotici e, per

quanto riconoscesse la superiorità romana, cercò sempre di evitare la fusione dei Goti coi Romani.

Il Regno gotico in Italia durò poco più di mezzo secolo e, anche dopo la sconfitta, la maggior parte

dei vinti rimase in Italia e si fuse con la popolazione. Nella toponomastica si trovano tracce gotiche,

come Goito (Mantova), Castello di Gòdego (Treviso), Godo (Milano). Troviamo anche alcuni

toponimi italiani in -engo, da nomi personali gotici, come Buttanengo (Novara), Bussolengo

(Verona), ecc.

poche sono, invece, le parole italiane – letterarie e dialettali – che si possono far risalire al Gotico

con una certa sicurezza. Questi elementi permettono, tuttavia, di trarre alcune deduzioni di ordine

culturale sul genere dei rapporti fra i Romani e i Germani nel periodo di dominio ostrogoto e in

quello successivo, in cui i resti dei Goti furono assimilati dal Romani. Secondo Gamillsheg, fra le

settanta parole gotiche conservate nel vocabolario italiano nessuna riflette la vita delle classi

superiori. Le poche parole gotiche adottate dai Romani riflettono tutta la miseria della popolazione

straniera rimasta in Italia senza l'appoggio della classe dirigente. I personaggi del periodo eroico

Page 29: Le Origini Delle Lingue Neolatine

gotico sparirono dalla tradizione letteraria italiana, e si rifugiarono a nord, dove finalmente

entrarono nell'epopea del Medioevo tedesco. La maggioranza delle parole gotiche sopravvissute in

Italiano vive nei dialetti: dalla disposizione geografica e dai relitti toponomastici, appare che questi

sono più numerosi in Veneto e nelle province di Cremona e Brescia. Assenti elementi gotici in

Emilia e nel Piemonte.

Tredici anni dopo, i Longobardi conquistarono dapprima il Veneto e poi tutta l'Italia settentrionale e

centrale. Il Longobardo è conosciuto solo attraverso poche parole di documenti giuridici redatti in

Latino, attraverso alcuni nomi propri e massimamente attraverso gli elementi longobardi penetrati

in italiano. Sembra che questa lingua germanica del gruppo occidentale sia congiunta col

sottogruppo anglo-frisone che dette origine da una parte al Frisone e dall'altra all'Anglico. La patria

primitiva dei Longobardi fu, probabilmente, nelle regioni dell'Elba inferiore, anche se la tradizione

storiografica indigena li colloca in Scandinavia. Durante le migrazioni verso il sud-est, la loro

lingua si modificò notevolmente: nel Norico e nella Pannonia vissero in simbiosi con popolazioni

che parlavano idiomi germanici di tipo alto-tedesco e parteciparono anche al mutamento fonetico

che distingue l'Alto-tedesco dal Basso-tedesco. La maggior parte dei Longobardi si stabilì nell'Italia

settentrionale – che prese il nome di Longobardia – mentre gli altri si spinsero verso il sud, dove

fondarono i ducati di Spoleto e di Benevento.

Il dominio longobardo durò circa due secoli, ovvero fino a quando l'ultimo re, Desiderio, fu vinto da

Carlo Magno e il suo regno fu annesso alla monarchia franca. In pratica, i Longobardi hanno

dominato su tutta l'Italia, ad eccezione delle zone in cui continuava il dominio bizantino.

I Longobardi giunsero in Italia quasi completamente ignari della lingua del paese e imposero alle

loro residenze italiane denominazioni germaniche: i Longobardi non avevano nessun vincolo con

l'Impero, perciò imposero la loro organizzazione. Lo Stato longobardo era concepito come l'unione

di tutti gli uomini liberi atti alle armi; era uno Stato militare, ma l'organizzazione militare si basava

su una serie di aggruppamenti familiari o fare, riuniti in modo da formare unità sempre maggiori; i

capi delle fare avevano potere sia militare, che giudiziario, che civile. Ogni Duca riuniva sotto la

sua bandiera un certo numero di fare e questa parola germanica ricorre spesso nella toponomastica.

I toponimi italiani formati con fara delimitano chiaramente la zona abitata dai Longobardi: Farra

d'Alpago (Belluno), Fara Gera d'Adda (Bergamo), Fara in Sabina (Rieti), Valle Fara (Teramo).

Questa più larga estensione verso il Sud ci permette di giustificare la presenza di fara non più come

toponimo, ma come appellativo nel senso originario di “stirpe”, che è proprio quello che risulta dai

documenti giuridici longobardi. Oltre agli appellativi risalenti a fara, troviamo: long. auja “pianura

verde” > Olgia (Novara e Como), Olgiate (Como, Milano); long. berg “monte” > Valperga

(Torino), Valdiperga (Pisa); long. braida “pianura” > Braida (Treno, Udine), Breda di Piave

(Treviso), Braida (Modena), Brera (Milano); ecc. Alcune denominazioni riflettono anche

Page 30: Le Origini Delle Lingue Neolatine

l'amministrazione, come long. gastald “amministratore dei beni pubblici” > Gastaldi (Torino),

(strada della) Castaldia (Padova); ecc.

Ormai, però, le parole longobarde che si riferiscono all'organizzazione e all'amministrazione dello

Stato sono solo note come termini storici: infatti, cessato il regno longobardo, questi termini

caddero in disuso e furono sostituiti da altri di origine francone o galloromanza. Numerosi sono i

toponimi italiani derivati da personali longobardi e abbondanti sono i nomi personali, diventati poi

in gran parte cognomi: Baldo > Baldi, Baldini e Baldi (Trento); Berto > Alberto, Adalberto e Berti,

Bertoni, ecc.

Gli elementi longobardi penetrati nel lessico sono molto più numerosi di quelli ostrogoti; si tratta di

circa 300 parole che si sono estese anche ad altre regioni e, in parte, sono penetrate nella lingua

letteraria. Un esempio di parola limitata è il long. *wizza “punizione”, documentato nella

toponomastica del Veneto (La Guizza) e dell'Alto Adige (Valle di Vizze), anche se ora è limitato solo

a qualche dialetto. Come esempio di parola diffusa troviamo il long. stainberga “casa di pietra”, che

vive nell'it. stamberga ed è diffuso in tutta l'Emilia e la Toscana.

Fra i prestiti longobardi non sono molti quelli che si riferiscono alle armi, probabilmente perché

alcuni, passati di moda, furono sostituiti da voci franconi: ad esempio, il long. strâl “freccia” rimane

nell'it. strale, parola di uso letterario che non vive nei dialetti. Per quanto riguarda il lessico della

casa possiamo ricordare il long. balk, palk, da cui it. balcone, palco. Alcuni nomi si riferiscono

all'agricoltura, altri all'allevamento del bestiame, alla caccia, ecc.

Più importante fu la colonizzazione dei Baiuvari che, partiti dalla Boemia, passarono il Brennero e

scesero lungo la Val d'Adige. Nei secoli IX e X le colonizzazioni baiuvare si fecero frequenti e si

accompagnarono a donazioni di latifondi e a compere di terreni da parte di Tedeschi. Questa

colonizzazione portò alla germanizzazione dell'Alto Adige fino alla stretta di Salorno e al

soffocamento del Ladino centrale che resistette solo nelle valli impervie e isolate. Da questo flusso

di Tedeschi si formarono, poi, le oasi tedesche del Trentino e quelle dei Sette Comuni del Vicentino

e dei Tredici Comuni del Veronese, oasi che mostrano chiaramente origini bavaresi.

Quando nel 774 l'ultimo re dei Longobardi, Desiderio, fu vinto da Carlo Magno e, quindi, il regno

longobardo fu annesso a quello franco, l'autonomia politica ed amministrativa dei Longobardi cessò

e l'Italia vide un nuovo padrone germanico che la staccava sempre di più dall'Oriente, dove

continuava la tradizione dell'Impero Romano. Tuttavia, con Carlo Magno sorgeva di nuovo l'Impero

Romani d'Occidente e per la prima volta dopo quattro secoli l'Italia si trovava in contatto diretto con

l'Europa nord-occidentale.

L'Italia settentrionale aveva conosciuto nuclei dei Franchi anche prima dell'arrivo di Carlo Magno.

Ancora durante il III secolo tribù franche avevano passato il Reno e si erano spinte fino in Spagna.

Le lotte con queste tribù, soprattutto lungo il corso del basso Reno e in Batavia (Olanda) durarono

Page 31: Le Origini Delle Lingue Neolatine

tutto il IV secolo e si possono già distinguere due gruppi di Franchi: quelli che abitavano lungo le

rive del Reno e che per questo furono detti Franchi Ripuari, e quelli che abitavano verso il mare,

detti Franchi Salii.

Dopo la caduta dell'Impero Romano d'Occidente, tre sono le popolazioni germaniche che si

spartiscono il territorio dell'antica Gallia: i Visigoti che occupano la parte sud-occidentale, i

Burgundi quella sud-orientale e i Franchi quella settentrionale.

I re franchi tentarono di trarre profitto dalla rovina del regno ostrogoto in Italia, tanto che più volte

scesero o mandarono i loro eserciti e nel VI secolo ebbero il possesso della valle padana. Quando il

regno longobardo fu annesso a quello dei Franchi, il regno franco si estese notevolmente: oltre alla

Gallia romana, esso dominava quasi interamente la regione germanica, l'italica e parzialmente

l'iberica. Carlo Magno conservava la sua sede germanica ad Aquisgrana e manteneva usi e costumi

germanici. Il diritto franco e il sistema feudale erano di origine germanica, ma la simbiosi con i

Romani era già iniziata e aveva raggiunto, durante il periodo carolingio, il suo apice. La lingua

romanza e germanica vivevano l'una accanto all'altra, ma col tempo la lingua romanza ebbe il

sopravvento sul Francone.

La simbiosi fu così forte che, da una parte la popolazione germanica parlava sempre più la lingua

romana, e dall'altra quella galloromanza accettava il nome germanico: così non si parlò più di

Gallia ma di Francia, non più di Galli ma di *Francēses e la lingua comunemente parlata, nota

ancora come romanice, divenne lingua francisca.

Quando l'Italia fu parzialmente annessa al regno franco, la simbiosi era nel pieno dello sviluppo.

Molti studiosi concordano nel dire che gli elementi franconi giunti in Italia siano sempre passati

attraverso la filiera galloromanza e per la maggior parte dei casi è avvenuto proprio così. La

fonetica ci permette di dimostrarlo: il termine marinaresco it. ghindare non proverrà direttamente

dal germ. windan, ma attraverso il fr. guinder o lo sp. guindar.

Il Francone o Franco era un dialetto germanico occidentale; le testimonianze dirette che abbiamo di

questa lingua nel secoli III-VIII sono piuttosto scarse: bisogna basarsi su nomi propri e su parole

franconi in documenti latini. Ma il Francone, anche se in territorio galloromanzo fu assorbito, nella

parte germanica del regno dei Franchi si continuò a parlare, dando vita a numerosi dialetti tedeschi.

Siccome la maggior parte dei contatti tra Romani e Franchi avvenne nella “Francia occidentale” – a

occidente del Reno – il Francone che sta alla base delle parole passate, poi, in Romanzo è il “Basso

Francone”, un dialetto germanico occidentale.

Non è però sempre facile determinare la via seguita dalle parole germaniche per passare in Italiano:

ad esempio, mentre il fr. bouter risale sicuramente a un francone botan (“spingere”), l'it. buttare

risale piuttosto a un got. *bautan “gettare”.

Gli elementi germanici in Francese, Spagnolo e Portoghese – Problema molto importante è

Page 32: Le Origini Delle Lingue Neolatine

quello che il Brüch chiama il “secondo strato”, rappresentato in Italia dalle voci ostrogote. A questo

secondo strato corrispondono le parole franconi nella Galla settentrionale, le parole visigotiche nella

Gallia meridionale e nella Penisola Iberica, anche se, per quest'ultima, entra in gioco anche qualche

elemento attribuibile agli Svevi.

L'elemento più importante è quello francone nella Gallia settentrionale. Nella Gallia, oltre a un forte

contributo all'onomastica e a un nucleo di elementi lessicali molto elevato, abbiamo anche un

influsso sulla fonetica, sulla formazione delle parole e sulla sintassi. Per quanto riguarda la fonetica,

il Francese ha assunto dal Germanico l'aspirata h; per la formazione delle parole si ricorda il

suffisso -ard/-art che proviene dal germ. -hart e si ritrova prima nei nomi di persona, poi nei nomi

comuni e si diffonde verso Spagna e Italia in unione con molte parole: ant. fr. bastard > it./sp.

bastardo.

Nella Francia meridionale si hanno anche parecchie tracce del Visigoto, mentre nella Francia sud-

orientale si hanno notevoli tracce del Burgundo.

Per quanto riguarda la Penisola Iberica, la stratificazione degli elementi germanici è relativamente

semplice. Il Portoghese e lo Spagnolo sono le lingue romanze occidentali che hanno il minor

numero di elementi germanici. Gli unici popoli che scesero nella Penisola Iberica furono i Visigoti, i

Vandali e, in Galizia, gli Svevi. Numerosi i nomi propri di origine germanica, mentre scarsi sono gli

appellativi.

Ben poco è quello che si può attribuire ai Vandali che, attraverso la Spagna, arrivarono in Africa:

forse ricorda il loro nome la regione che oggi si chiama Andalucia.

Il terzo strato di elementi germanici in Francia è parallelo a quello degli elementi longobardi in

Italia; mentre continua l'influsso del Basso Francone, si trovano in Francia anche elementi

germanici che parteciparono alle seconda mutazione consonantica. Queste voci possono provenire

dal Francese o dal Francone meridionale o da vicini dialetti alemannici.

Al terzo strato ne segue un quarto che, per la Francia, comprende parecchie parole nordiche dovute

ai Normanni: infatti questa popolazione scandinava – i cosiddetti Vichinghi – si insediarono al

principio del X secolo in quella regione che oggi è conosciuta come Normandia.

Le tracce lasciate nella toponomastica si limitano alla zona settentrionale della Francia e poco

numerosi sono anche i nomi personali. Per quanto riguarda gli appellativi, solo alcuni hanno

ottenuto diritto di cittadinanza nella lingua letteraria francese (vague “onda” < isl. vágr), mentre

alcuni sono spariti durante il medioevo (brant “prua” < isl. brandr). Come si può notare, si tratta di

termini prevalentemente marinareschi.

Al quarto strato segue il quinto, che comprende parole mutuate dal medio Neederlandese, dal medio

Inglese e dal medio Tedesco. Le parole medio-inglesi sono rare e si riferiscono generalmente al

traffico marittimo; anche le parole basso-tedesche sono poche e si rifanno al traffico commerciale;

Page 33: Le Origini Delle Lingue Neolatine

numerose, invece, le parole medio-alto-tedesche nei dialetti orientali della Francia, nelle zone

mistilingui o di confine. Le parole neederlandesi sono abbastanza numerose.

Viene poi il sesto ed ultimo strato, che comprende gli elementi entrati in Francese dal XVI secolo in

poi. Oltre a elementi tedeschi, numerosi solo nelle zone mistilingui (Alsazia e Lorenza) e nella

Svizzera romanda, e neederlandesi, troviamo anche elementi inglesi. Durante il XVIII secolo si

traducono opere inglesi e parole inglesi cominciano a introdursi nel lessico francese: troviamo

parole che riflettono l'influsso politico, come session, voter, budget, ecc. Nel XIX si diffondono

termini sportivi, come golf, tennis, ecc.

Gli elementi germanici in Rumeno – I pretesi elementi germanici del Rumeno (in tutto 26 voci)

posso essere respinti, se esaminati a fondo. In alcuni casi si tratta di antiche parole derivanti dal

sostrato, in altri di parole recenti di origine molto varia. Non è da escludere, comunque, che alcune

voci risalgano al Germanico: esse provengono, però, attraverso il Latino volgare, come ad esempio

tāpa “ciocco”, che però è voce dialettale mancante a tutti i dizionari e di cui non si può

documentare l'antichità.

Numerose sono, poi, soprattutto in Transilvania e nel Benato, le voci rumene di più recente origine

tedesca; in Transilvania esse sono dovute ai contatti della popolazione rumena coi Sassoni.

Importante ricordare, però, che alcune voci di origine tedesca giungono al Rumeno per via mediata,

e cioè attraverso l'Ungherese. Alcune parole provengono al Rumeno anche dal dialetto giudeo-

tedesco parlato dai numerosi ebrei eschenaziti stabiliti nei paesi rumeni.

Gli elementi germanici nel Ladino e nel Sardo – Per quanto la parte occidentale del territorio

ladino appartenesse politicamente al regno dei Franchi, le voci di origine francone sono comuni

all'alto Italiano e mostrano piuttosto origine galloromanza. Influssi indipendenti dall'Italiano

cominciarono a verificarsi solo quando iniziò la simbiosi dell'elemento ladino con popolazioni

tedesche. I contatti linguistici ladino-tedeschi procedono ormai indipendenti nelle tre sezioni in cui

viene diviso il Ladino. Anche se alcuni elementi lessicali penetrarono in più di una sezione, l'eposa

e la forma del prestito sono, generalmente, diverse. La sezione centrale e occidentale furono quelle

più toccate dall'influsso tedesco, che gravitavano e tutt'ora gravitano intorno a centri tedeschi.

Nella sezione occidentale (Grigioni, Engadina), oltre agli elementi germanici, vi si trova un numero

considerevole di voci germaniche che provengono attraverso l'Italia settentrionale, ad esempio

engad. albierg, soprasilv. albiert “riparo, alloggio” risale al got. haribergo, attraverso l'it. albergo;

mentre altre voci provengono attraverso il Galloromanzo.

Nella sezione centrale, i germanismi più antichi mostrano punti in comune a quelli dell'Alta Italia e

di provenire, indirettamente, alla Ladinia. Gli elementi germanici peculiari della Ladina dolomitica

Page 34: Le Origini Delle Lingue Neolatine

risalgono al Baiuvaro (antico bavarese) o alla fase più tarda dell'antico alto Tedesco. Numerosi

anche i germanismi recenti di origine tirolese.

Per quanto riguarda il Sardo, l'unico popolo che abbia occupato la Sardegna fu quello dei Vandali. I

pochi elementi germanici del Sardo provengono per via mediata: i più antichi risalgono al Latino

volgare, gli altri all'Italiano. Ad esempio frisku proverrà probabilmente dal Latino volgare che non

dall'Italiano fresco. Qualche elemento ritenuto germanico può anche provenire attraverso il

Catalano o lo Spagnolo, come per esempio il campidanese gaya “gherone della camicia” che non

può essere il long. gaida, ma rimanda al catal. gaya.

Gli elementi arabi – Nel 711 gli Arabi attraversarono l'Egitto e le coste settentrionali dell'Africa e

giunsero nella Penisola Iberica, occupandola interamente. Passarono, poi, nella Francia meridionale

da cui vennero respinti definitivamente da Pipino il Breve nel 759. Nella Penisola Iberica gli Arabi

dominarono a lungo: nella parte meridionale della penisola durò poco meno di otto secoli, ovvero

fino alla caduta di Granada nel 1492. gli Arabi giunsero anche in Sicilia, nelle isole Baleari e a

Malta.

Gli Arabi portarono una civiltà completamente nuova, tanto che l'influsso del superstrato arabo è

considerevolissimo, specialmente nella Penisola Iberica e in Sicilia.

Nella Penisola Iberica, nonostante la resistenza linguistica romanza, gli Arabi riuscirono ad

assimilare un notevole numero di Romanzi: coloro che assunsero usi e costumi arabi – mantenendo,

però, la religione cristiana – venivano chiamati Mozárabes; essi erano particolarmente numerosi al

Sud della penisola ed è importante ricordare che molti di loro si servivano del Romanzo come

lingua familiare, mentre l'Arabo era considerata lingua di cultura. I Mozárabes furono generalmente

bilingui e si deve in gran parte a loro se numerosi elementi arabi penetrarono nel lessico delle

lingue ibero-romanze. Quando la “Reconquista” cristiana avanzava verso il Sud, venivano inglobati

nella vecchia lingua cristiana sempre nuovi elementi mozarabici. Nei secoli posteriori all'XI secolo,

sempre durante la “Reconquista”, gli elementi mozarabici erano numerosissimi; la penetrazione

dello Spagnolo del Nord e del centro e, soprattutto, del dialetto di Castiglia – che cominciò a

dominare sugli altri dialetti – si fece sempre più viva.

Per quanto riguarda la Sicilia, i due secoli e mezzo di dominio arabo contribuirono al cambiamento

della toponomastica dell'isola e a introdurre un considerevole numero di arabismi: in nessuno dei

territori occupati, però, gli Arabi riuscirono a far sopravvivere la loro lingua; l'influsso arabo si

limita, infatti, a mutazioni lessicali, a toponimi e a qualche nome proprio personale.

L'influsso arabo ha, quindi, carattere quasi esclusivamente lessicale, infatti tutta una serie di termini

della cultura araba medievale (astronomia, matematica, medicina, ecc.) fa parte del patrimonio

culturale europeo. Parecchi termini arabi che si sono diffusi in tutte le lingue europee si riferiscono

Page 35: Le Origini Delle Lingue Neolatine

all'astronomia; quasi immutati appaiono, infatti, alcuni termini tecnici come azimut “direzione”,

nadir “opposto”, almanacco “calendario”.

Notevoli anche i nomi relativi alla chimica, o meglio alla chimica medievale o alchimia, come ad

esempio proprio lo stesso termine alchimia che aveva il senso di “pietra filosofale”.

Provengono dall'Arabo alcuni nomi di giochi, come ad esempio il gioco degli scacchi, che gli Arabi

appresero dai Persiani e questi dagli Indiani; inoltre, deriva dall'Arabo anche il gioco dei dadi.

Parecchie parole di origine araba si riferiscono alla marina e al commercio marittimo: tra quelle che

vivono anche nell'Italiano troviamo ammiraglio che si diffonde dalla Sicilia, arsenale e darsena con

molte varianti in diverse città italiane.

Accanto a queste voci culturali, l'Arabo ha lasciato tracce indelebili nelle lingue ibero-romanze e un

po' meno numerose nel Siciliano. Troviamo voci arabe nella toponomastica, come sp. Albacete, sp.

Alcalá, sp. Gibraltar. Notevoli i nomi di fiumi composti con guad-, come ad esempio in Guadiana,

Guadalquivir, ecc. Ma nella Penisola Iberica troviamo residui arabi anche nel lessico

amministrativo: ad esempio, sp./pg. alcalde “giudice, sindaco”, alguacil “ufficiale giudiziario”. È

notevole anche che nella toponomastica della Penisola Iberica si conservino voci latine passate

attraverso l'Arabo, come ad esempio C(ae)sara(u)gusta > ar. Saraqustạ > sp. Zaragoza.

Le lingue ibero-romanze mutuano le parole con l'articolo determinativo arabo concresciuto, che

suona al e in cui l viene assimilato davanti ad alcune consonanti. Le altre lingue romanze, invece,

hanno mutuato direttamente alcune parole dall'Arabo e solo raramente le hanno prese con l'articolo:

ad esempio, it. zucchero fr. sucre,sp. azúcar, pg. açúcar.

I vari superstrati del Rumeno – Il lessico rumeno è firmato in primo luogo da elementi latini, che

però sono numericamente inferiori alle voci estranee inglobate nel corso dei secoli. Secondo il

dizionario etimologico realizzato da De Chiac – Dictionnaire d'étymologie daco-romane – su 5765

parole, solo 1165 sono di origine latina contro 4600 voci di origine straniera. Tuttavia, nella realtà

dell'uso linguistico la percentuale delle parole romanze è molto più elevata, anche perché non è

possibile formare una frase con soli elementi non latini. Fra gli elementi latini occorre osservare la

mancanza di voci che, invece, sono comuni a tutte le lingue romanze occidentali, come contentus,

semper, amare, amicus, ecc. D'altra parte, ci sono parole che si conservano solo nel rumeno, come

libertare > ierta “perdonare”, e molte altre hanno subito variazioni semantiche, come anima >

inimă “cuore”.

L'influsso slavo è il più considerevole: esso si manifesta in tutti i rami della cultura e della civiltà;

secondo lo storico Bogdan, non si può realmente parlare di popolo rumeno prima dell'assorbimento

degli elementi slavi da parte della popolazione originaria romana. Gli elementi slavi entrarono, per

la maggior parte, già nell'epoca proto-rumena, quindi nei secoli VII-IX, se non prima. L'influsso

Page 36: Le Origini Delle Lingue Neolatine

slavo sul Rumeno è molto importante anche perché il Rumeno ha ricevuto elementi formativi vitali

e produttivi; ad esempio, fra i prefissi ricordiamo ne-, răz- e fra i suffissi -ac, -că, -nic, -an.

L'influsso slavo si fa sentire anche sul sistema fonematico, meno sulla morfologia e fino a un certo

livello sulla sintassi. Le voci di origine slava sono numerose: molti aggettivi come drag “caro”,

bogat “ricco”, slab “debole”, ecc., molti sostantivi e verbi come trup “corpo”, boală “malattia”, iubi

“amare”, ecc. All'introduzione di elementi slavi in Rumeno hanno contribuito lunghi periodi di

bilinguismo slavo-rumeno: il Rumeno ha assimilato sia elementi slavi antichi che più recenti dalle

lingue con cui ha avuto contatti, come il Russo, il Polacco, il Serbo, ecc.

L'influsso numericamente più importante è quello turco, infatti possediamo un nucleo rilevante di

voci entrate all'epoca della dominazione ottomana; alcune sono diventate popolari e vengono usate

nella lingua comune, altre sono cadute in disuso e vengono usate solo con un preciso valore storico.

Tra i suffissi, solo due sono di origine turca, -lic e -giu. Gli elementi turchi sono frequenti in

Valacchia e Moldavia, ma scarsi in Transilvania.

Molto importanti, poi, gli elementi ungheresi: sono entrati più recentemente rispetto agli elementi

slavi e si trovano solo nel Dacorumeno. Troviamo, poi, un numero molto maggiore di elementi

ungheresi nelle regioni in cui, come in Transilvania e nel Banato, la simbiosi rimeno-ungherese

continua anche ai giorni nostri.

Considerevoli anche gli elementi che possono derivare dall'Albanese: naturalmente, più numerosi

sono gli elementi albanesi relativamente recenti nell'Arumeno.

Scarsissimi e quasi limitati al gergo sono gli elementi zingari del Rumeno, e ciò è dovuto alla bassa

posizione sociale che gli Zingari hanno e avevano in Romania.

Il superstrato culturale latino – Anche dopo la caduta dell'Impero Romano d'Occidente, dopo le

invasione barbariche e dopo l'istituzione di nuovi regni, il Latino non si spense: il Latino era

divenuto in Occidente la lingua ufficiale di quella religione cristiana che andava diffondendosi

dappertutto e che aveva il suo centro a Roma.

È risaputo che anche dopo che le singole lingue romanze, germaniche, ecc. si erano affermate come

lingue letterarie, il Latino rimase la lingua della scienza fino al XVIII secolo.

Quando, quindi, le lingue neolatine occidentali avevano bisogno di denominare un oggetto o di

esprimere un concetto per cui, però, non trovavano un corrispondente nel patrimonio linguistico

“volgare”, lo attingevano direttamente al Latino scritto, la lingua della cultura e della scuola.

Questo influsso del superstrato culturale latino è un influsso tipicamente letterario e colto, ma

attraverso le lingue letterarie – le lingue nazionali – molti elementi colti riuscivano a diventare

comuni e a diffondersi nella lingua del popolo e nei dialetti. Uno dei più importanti fattori che ha

portato le lingue romanze occidentali ad un'evoluzione convergente è stato proprio questo influsso

Page 37: Le Origini Delle Lingue Neolatine

culturale che si è prolungato senza sosta fino all'età moderna.

L'Italia era il paese che si trovava più esposto a subire l'influsso del superstrato latino; inoltre, la

lingua italiana toscana – prevalentemente fiorentina – si era fissata come lingua letteraria, ed era sia

morfologicamente che sintatticamente molto simile al latino, perciò le parole dotte o semi-dotte vi

si potevano facilmente amalgamare.

Il principale criterio con cui possiamo riconoscere i latinismi è senza dubbio dato dalla fonetica:

quando una forma italiana non presenta le regolari evoluzioni fonetiche e conserva l'aspetto fonetico

della parola originaria latina, si è in presenza di un latinismo: per esempio, se ĭ tonico è

rappresentato da i e non da ẹ, vizio < lat. vĭtium che, con evoluzione spontanea, dà l'it. vẹzzo.

In molti casi l'Italiano possiede, accanto alla voce dotta mutuata posteriormente dal Latino, anche il

prodotto dell'evoluzione spontanea o popolare: si hanno così delle serie di doppioni del tipo di vizio

~ vezzo, capitolo ~ capecchio, ecc.

Talvolta il latinismo può essere solo semantico, cioè rivelato dal senso e non dalla forma: così il lat.

captivus “prigioniero” fu usato fin dal I secolo d. C. dai filosofi stoici con un senso morale; da

captivus diaboli si passa ai sensi di “disgraziato” e di “malvagio” (it. cattivo).

Altre volte il latinismo può rivelarsi anche dall'aspetto morfologico: le derivazioni dal nominativo

nella lingua popolare sono molto rare, perciò se siamo in presenza di termini che riproducono un

nominativo latino come carme, germe, imago, ecc. essi sono da considerarsi latinismi. Talvolta sarà

l'evoluzione irregolare del suffisso che indicherà il latinismo: i suffissi -abile e -ibile sono

generalmente indici di latinismo (potabile, tangibile), in quanto l'esito normale è -évole. Infine, a

volte è il criterio culturale che ci permette di riconoscere i latinismi, ovvero la loro appartenenza a

sfere non popolari, la poca o nessuna vitalità nei dialetti, ecc.

Spesso le parole dotte si riconoscono anche dalla posizione dell'accento: in esse si seguono le regole

dell'accentuazione latina che si basava sulla quantità della penultima; l'it. căttedra segue

l'accentuazione latina cathĕdra, ma come voce popolare, l'alto it. carèga “seggiola” segue

l'accentuazione cathédra.

Talvolta anche le parole dotte o semidotte possono subire trasformazioni semantiche: ad esempio,

lavabo vale “lavamano”, e questo significato ci giunge dalla Francia, ma la parola è latina ed è la

prima persona singolare del futuro indicativo del verbo “lavare”.

In Spagnolo e Portoghese il problema dei latinismi è analogo. Il maggior numero delle parole dotte

di origine latina s'introdusse durante il Rinascimento. Lo sp. heñir “impastare” è una continuazione

regolare del latino fingĕre, che aveva anche il senso di “formare, plasmare”, mentre fingir “fingere,

simulare” è un latinismo colto.

Sia in Italiano che in Spagnolo, accanto a latinismi eruditi e a voci dotte, vi sono latinismi semi-

eruditi e voci semi-dotte: si tratta di parole latine che si sono adattate parzialmente alla fonetica

Page 38: Le Origini Delle Lingue Neolatine

indigena; per esempio il lat. titulus “cartello, epitaffio” che, come voce dotta, dà l'it. titolo, in

Spagnolo, attraverso tidulo > *tidlo > *tildo, giunge a tilde, mentre l'esito regolare sarebbe stato

*tejo, come in it. sarebbe stato *tecchio.

Meno difficile è lo studio degli elementi latini di origine colta in Francese, in quanto questa lingua è

più differenziata dal Latino rispetto alle altre lingue romanze occidentali, perciò il riconoscimento è

più semplice. Ad esempio, direct < directus, voce dotta, contro droit, voce popolare; fragile <

fragĭlis contro frêle, ecc. In Francese notiamo che spesso un antico vocabolo popolare venne

sopraffatto da una voce erudita, come nel caso di brief sostituito da bref.

Per quanto riguarda la Romania, qualsiasi sia stato il luogo di formazione della lingua rumena, a

Nord o a Sud del Danubio, i Rumeni si trovarono completamente isolati dal mondo e dalla cultura

latina durante tutto il Medioevo e il principio dell'Evo moderno. Solo in Transilvania il Latino

riappare, portato dall'amministrazione ungherese, nel XVIII secolo.

I latinismi del Rumeno sono, quindi, relativamente recenti, ma è proprio per l'assenza – in epoca

antica – di parole colte latine che il Rumeno è particolarmente prezioso per dimostrare il carattere

popolare di alcune voci che altre lingue romanze occidentali non riescono a dimostrare.

La maggior parte delle parole latine dotte comincia a introdursi verso la fine del Settecento, grazie a

scrittori transilvani cattolici che avevano studiato a Roma o a Vienna e che volevano “purificare” la

lingua rumena da elementi stranieri. Anche nei Principati Danubiani si fece questo tentativo, e non

solo si introducevano nuove parole, bensì si cercava di adeguare, nella nuova ortografia latina, le

parole rumene al loro etimo latino.

Alcune parole di origine latina colta giunsero al Rumeno per via indiretta: in Transilvania attraverso

l'Ungherese e in altre regioni attraverso le lingue slave o il Neogreco.

Scambi reciproci fra le lingue romanze – Per tutto il IX secolo e il X secolo, i rapporti fra le due

parti del dominio franco – francese e italiana – sono intensi e il numero di Franchi in Italia aumenta

costantemente. All'inizio del XI secolo avvengono le conquiste dei Normanni e la formazione di un

regno normanno nell'Italia meridionale e in Sicilia e nei secoli XI e XII avvengono, poi, le Crociate.

Queste premesse permettono di comprendere il grande apporto linguistico del Galloromanzo

all'Italiano. Il Francese – lingua d'oil – era molto diffuso in Italia, al pare del Provenzale – lingua

d'oc – e nel Duecento, molti italiani cominciarono a scrivere liriche in queste due lingue, infatti la

prima lirica italiana, che si sviluppò intorno alla Corte siciliana, ebbe per modello le poesie dei

trovatori provenzali, di cui imitò il metro e lo stile: il nome di giullare ha origine provenzale da

joglar, come sono di origine galloromanza anche trovatore (< prov. trobador) e menestrello (< ant.

fr. menestrel). Dalla Francia provengono anche i nomi di alcuni strumenti musicali, come viola,

liuto, ecc., i termini di falconeria, la terminologia amministrativa e feudale, molti nomi di armi,

Page 39: Le Origini Delle Lingue Neolatine

molti termini di cultura, ecc. Per distinguere l'origine delle voci, il metodo più sicuro è dato dalle

caratteristiche fonetiche, dall'uso dei suffissi, ecc. Talvolta, più che la forma, è la documentazione

che indica l'origine transalpina.

La lingua italiana del periodo delle origini contiene numerosissimi elementi francesi e provenzali,

ma l'influsso francese, anche quando, cessata la sovranità politica, si limitò ad essere influsso di

adstrato, non si spense mai completamente: si fece risentire, poi, nel Settecento con l'Illuminismo e

con la Rivoluzione, e poi nell'Ottocento e nel Novecento, quando la cultura francese influenzò la

moda e il commercio italiani. Spesso i prestiti francesi suscitarono le proteste violente dei puristi

della lingua: molti vocaboli inerenti alla moda, alla cucina, all'esercito, ecc. riuscirono a penetrare

in Italiano (plotone, tappa, cotoletta, rango, ecc.), altri sono comunemente usati ma non appurati

dai puristi (dettaglio, rimpiazzare, ecc.) e altri sono usciti subito dall'uso (regretto, degaggiato,

ecc.).

Per quanto riguarda l'influsso spagnolo, la dominazione aragonese in Sicilia e a Napoli nei secoli

XIII-XV e, soprattutto, il predominio spagnolo in Italia nel Cinquecento e nel Seicento, furono le

principali cause storiche dell'influsso spagnolo nella lingua italiana. Molti autori italiani e spagnoli,

il Galateo e parecchie commedie della prima metà del Cinquecento sono pieni di ispanismi e questa

moda durò a lungo: gli italiani scrivevano in Spagnolo e a Napoli e Milano lo Spagnolo era

comunemente parlato. Molte parole furono introdotte in Italia, come lindo (< lindo “bello”),

disinvoltura (< desenvoltura “sfacciataggine”), sussiego (< sosiego “tranquillità”), ecc.

Caratteristiche sono le voci in -iglia, come maniglia, pastiglia, ecc.

Importante poi l'introduzione di molte parole esotiche e dei nomi dei nuovi prodotti importati dalle

Americhe: lo Spagnolo prese il nome di “patata” (batata, patata) da una lingua indigena americana,

che poi si irradiò in it. patata, ingl. potato, ecc. Dall'Azteco kakauatl proviene lo sp. cacao che poi

si diffuse in tutte le lingue europee.

Minore fu l'influsso del Portoghese sull'Italiano: di origine portoghese sono, ad esempio, baiadera <

bailadeira, marmellata < marmelada, ecc. I Portoghesi introdussero parecchi vocaboli di origine

asiatica e africana.

Anche il Francese assorbì parecchi vocaboli, soprattutto dall'Italiano e dallo Spagnolo. Il periodo

del massimo influsso culturale e linguistico italiano in Francia fu il Cinquecento: attraverso la

supremazia della arti e della cultura italiana in questo secolo, l'Italiano diventa di moda in Francia.

Oltre ai termini relativi all'arte e alla scienza (come mosaïque, grotesque, ecc.), ne troviamo altri

relativi alla guerra (bastion, caporal, ecc.), alla marina (come accoster, barbasse, ecc.), al

commercio (banque, risque, ecc.) e alla moda (camisol, pantalon, ecc.), ecc.

Dalla Spagna il Francese attinge termini di guerra (bandoulière < bandolera, ecc.), termini

marinareschi, politici, commerciali, ecc.

Page 40: Le Origini Delle Lingue Neolatine

Anche lo Spagnolo e il Portoghese hanno incorporato parecchie voci dal Francese e dal Provenzale.

Nei secoli XIII e XIV la letteratura francese era molto conosciuta in Spagna e la lirica provenzale

aveva influenzato la lirica gallego-portoghese. Spesso il Francese è stato il tramite di parole

franconi accanto all'it. giardino, lo sp. jardin, il pg. jardim che rivelano, attraverso la fonetica, un

intermediario galloromanzo.

Anche l'Italiano ha dato un buon contributo di voci al lessico spagnolo: il periodo di maggiore

influsso italiano va dal XV secolo a tutto il XVI. Se per l'Italia lo Spagnolo fu una lingua di

“superstrato”, l'Italiano per la Spagna fu una lingua di “adstrato”, specialmente durante il

Rinascimento: molti elementi italiano si riferiscono, infatti, alle arti, al teatro, ecc., come conce(p)to

“dicho engenioso” < concetto; estanza < stanza (in senso metrico); bufón < buffone, ecc. Numerosi

anche i termini militari, come alerta < all'erta; emboscada < imboscata, ecc. Numerose anche le

voci marinaresche.

Nello Spagnolo è da ricordare anche l'elemento gallego-portoghese e, viceversa, importante è

l'elemento spagnolo del Portoghese. Tali contatti si devono sì alla vicinanza territoriale e agli

scambi commerciali, ma soprattutto ai reciproci influssi culturali.

Per quanto riguarda il Rumeno, a partire dal XIX secolo si può constatare un profondo

rinnovamento artificiale – poiché dovuto soprattutto a teorici e scrittori – della lingua. Accanto alle

numerose parole slave si cominciò ad arricchire il lessico rumeno anche con abbondanti parole

francesi, che ebbero più successo di quelle italiane. Le voci francesi si fanno sempre più frequenti

attraverso le imitazioni letterarie, i giornali e le opere degli scrittori che avevano studiato in Francia.

La terminologia scientifica e quella della critica letteraria viene prelevata dal Francese: troviamo, ad

esempio, copia < copier; erudiţie < érudition, ecc. L'influsso francese si manifestò anche sulla

sintassi e ha profondamente cambiato l'aspetto della lingua rumena moderna: attraverso questo

filone di voci francesi e, in minor misura, italiane, il Rumeno moderno è divenuto molto più simile

alle altre lingue romanze di quanto non fosse fino all'inizio del XVIII secolo.

Capitolo 5 – Le lingue e i dialetti neolatini

La classificazione delle lingue neolatine – Federico Diez distingueva solo sei lingue neolatine:

l'Italiano e il Valacco (= Rumeno) che formavano la sezione orientale, il Portoghese e lo Spagnolo

che formavano quella occidentale e il Provenzale e il Francese che formavano la sezione nord-

occidentale. Egli stabilì questa classificazione più su basi filologiche che glottologiche, infatti

considerò solo le lingue che che avevano o avevano avuto una tradizione letteraria e tenne in scarsa

considerazione i dialetti: i criteri prevalentemente filologici consigliavano di dare maggior peso a

quelle lingue che si erano manifestate attraverso la scrittura e che avevano dato vita a una

letteratura. Si è visto, però, che proprio nel dominio romanzo, si è venuta affermando come

Page 41: Le Origini Delle Lingue Neolatine

disciplina scientifica la dialettologia. Graziadio Isaia Ascoli, nei “Saggi ladini” che aprivano la serie

dell'”Archivio Glottologico Italiano” (AGI) cercò di fissare la posizione di un gruppo di parlate

neolatine che dovevano formare un'unità effettiva della Romània linguistica, e cioè il Ladino. Ascoli

riunì sotto questo nome tre gruppi di dialetti separati tra loro e non formanti né un'unità geografica,

né un'unità storica, né politica e cioè le parlate romance del Cantone dei Grigioni, alcuni dialetti

dell'Alto Adige e il Friulano. L'opera di Ascoli rappresentò, soprattutto dal punto di vista

metodologico, un notevole progresso. Per fissare l'unità linguistica ladina, egli si basò sulla

presenza in questi dialetti di un certo numero di fenomeni fonetici e morfologici che li

caratterizzano e li distinguono dalle parlate circostanti: da questo punto, sono solo argomenti

interni, esclusivamente glottologici, che inducono alla formazione di un'unità linguistica.

In seguito, Ascoli tentò di isolare un altro gruppo di parlate romanze: il Franco-provenzale. Riunì

sotto questo nome i dialetti della Svizzera romanda e alcune varietà dialettali della Francia Sud-

orientale e della Val d'Aosta che presentano caratteristiche comuni.

Meyer-Lübke, nella sua opera Einführung in das Studium der romanischen Sparchwissenschaft,

distingue, nella famiglia neolatina, nove unità, che enumera andando da Oriente a Occidente: 1.

Rumeno, 2. Dalmatico, 3. Retoromanzo (= Ladino), 4. Italiano, 5. Sardo, 6. Provenzale, 7. Francese,

8. Spagnolo, 9. Portoghese. Il Catalano viene unito al Provenzale, mentre sono considerati

indipendenti il Ladino o Retoromanzo, il Dalmatico e il Sardo.

Anche se ci si basa su criteri linguistici, difficilmente si riescono a tracciare limiti netti fra lingue

genealogicamente affini. Inoltre, la geografia linguistica ha dimostrato che, più che di “linee” di

demarcazione, bisogna parlare di “fasce”, in quanto, anche i fenomeni fonetici e morfologici più

importanti non hanno le stesse linee di confine in tutti gli esempi.

Tenendo conto della ripartizione geografica, dei sostrati e di altri criteri, possiamo dividere le

varietà neolatine nel modo seguente:

a) Rumeno = Balcano-romanzo; b) Dalmatico, Italiano, Sardo, Ladino = Italo-romanzo; c)

Francese, Franco-provenzale, Provenzale (e Guascone), Catalano = Gallo-romanzo; d) Spagnolo,

Portoghese = Ibero-romanzo.

Questa divisione presenta, tuttavia, dei difetti. Il Dalmatico viene posto nel gruppo Italo-romanzo e,

quindi, accomunato all'Italiano come il Ladino e il Sardo: il Dalmatico presenza senza dubbio punti

comuni all'Italiano, ma è anche sicuro che il Dalmatico è una continuazione della romanità orientale

e concorda per parecchi tratti col Rumeno e con gli elementi latini dell'Albanese. Il Dalmatico,

quindi, può essere considerato come il ponte di passaggio tra il Balcano-romanzo e l'Italo-romanzo.

Il Rumeno – Del dominio Balcano-romanzo, o Romanzo orientale, ci è giunta solo la varietà

neolatina rappresentata dal Rumeno, ma solo se si ammette la teoria della reimmigrazione. Resti

Page 42: Le Origini Delle Lingue Neolatine

della latinità balcanica si trovano anche negli elementi latini dell'Albanese, del Neogreco e delle

lingue slave meridionali.

Il Rumeno si divide in quattro principali dialetti:

1. il Dacorumeno, parlato nel territorio dell'odierna Romania, nella

Bessarabia e parte della Bucovina annesse all'URSS, in parte del Banato appartenente alla

Jugoslavia e in qualche villaggio della Bulgaria e dell'Ungheria. Esso si suddivide in molte varietà

dialettali sulla riva sinistra del Danubio e solo in piccola parte sulla destra. La lingua letteraria si

basa sulla varietà della Valàcchia;

2. il Macedorumeno o Arumeno, parlato dagli Arumeni sparsi un po'

ovunque nella Penisola Balcanica;

3. il Meglenorumeno o Meglenitico, parlato da qualche migliaio di

uomini in una zona a nord-est di Salonicco, intorno alla cittadina di Nanta e da gruppi di emigrati in

Dobrugia e nell'Asia Minore;

4. l'Istrorumeno, parlato da circa millecinquecento persone in Istria, in

un piccolo territorio intorno al Monte Maggiore non lontano da Fiume.

Le differenze tra i quattro dialetti sono considerevoli, tuttavia essi presentano notevoli

caratteristiche comuni le quali di devono a innovazioni proto-rumene. Esse risalgono, quindi, a un

periodo precedente la diaspora che avrebbe, poi, portato i progenitori dei Rumeni in terre lontane

fra loro. Uno degli obiettivi principali che si sono proposti i rumenisti è quello di ricostruire il

Proto-rumeno. Prima di considerare i fenomeni che si possono far risalire al Proto-rumeno, è

necessario esaminare le caratteristiche che risalgono a un periodo anteriore e attribuibili al Latino

balcanico.

Per la ricostruzione di tali caratteristiche ci servono i confronti col Dalmatico e con gli elementi

latini dell'Albanese. Il Latino balcanico ha partecipato alla riduzione di ē, ĭ in ẹ, ma non ha

partecipato alla riduzione di ō, ŭ in ọ. In tal modo il Rumeno e l'Albanese hanno un diverso

trattamento di ō e ŭ, mentre le altre lingue romanze hanno un unico esito; per esempio: lat. flōre >

rum. floare; lat. *sōmnu > rum. somn, ecc. Le poche eccezioni, come autŭmnu > rum. toamnă, sono

state spiegate in vari modi, ma probabilmente indicano il principio di un'altra innovazione che, però,

non è riuscita a svilupparsi. Un altro tratto che si può riportare al Latino balcanico è la riduzione dei

nessi -ct- in -pt-, e -cs- (x) in -ps-.

Risale a un'epoca anteriore al Proto-rumeno anche la formazione del futuro col verbo volo che è, in

parte, comune al Dalmatico: tale costruzione ha corrispondenza nelle altre lingue balcaniche. Anche

nel lessico troviamo molte parole latine sconosciute alle lingue romanze occidentali.

Un grande problema è quello dell'indipendenza della palatalizzazione delle velari in Rumeno. Nel

Dacorumeno letterario si hanno č e ǧ, rispettivamente dal lat. c, g + i, e, precisamente come in

Page 43: Le Origini Delle Lingue Neolatine

Italiano: per esempio cer “cielo”, ger “gelo”; nell'Arumeno ts e dz < c, g + i, e, come ad esempio

tser “cielo”, dzer “gelo”; nel Meglenitico ts, ź nelle stesse condizioni, ad esempio tser “cielo”, źiniri

“genero”; nell'Istrorumeno troviamo č, ts < c + i, e, e z, ž < g + e, i. Secondo alcuni studiosi, il

Latino balcanico non avrebbe avuto la palatalizzazione delle velari. È noto che gli elementi latini

dell'Albanese presentano le velari intatte: in tal modo, alcuni autori traggono la conclusione che

anche il Protorumeno avesse mantenuto le velari intatti e che, quindi, la palatalizzazione del

Rumeno sia indipendente da quella delle altre lingue romanze e che – a detta di Petar Skok –

probabilmente avvenne dopo la distruzione dei centri della latinità orientale.

Tra i fenomeni che si possono considerare protorumeni consideriamo:

1. la riduzione a > ă in sillaba atona, passaggio messo in relazione alla

riduzione di a > ë in sillaba atona in Albanese. Ma siccome la cronologia dei fenomeni fonetici

rumeni ci mostra che la riduzione di a in ă deve essere posteriore alla caduta di -v- e -ll-

intervocalici, così questo fenomeno può essere indipendente nel Rumeno e nell'Albanese.

2. il passaggio a + n > în, sia dinanzi a vocale sia dinanzi a consonante e

a + m + consonante > îm; ad esempio manu(m) > mînă, campu(m) > cîmp. Questo passaggio, che ha

corrispondenze anche in Albanese, è molto antico e ciò appare dal fatto che gli elementi slavi non

partecipano.

3. il passaggio di -l- intervocalico a -r-, ad esempio filu(m) > fir. Questo

passaggio si trova solo negli elementi latini ed è quindi preslavo.

4. il passaggio qu > p, gu > b; ad esempio aqua > apă, lingua > limbă.

5. la metafonesi di e e o tonici, condizionata dalla presenza nella sillaba

seguente di -ă (-a), -e in finale assoluta, come seară > sera.

Il rotacismo di -n- è, secondo alcuni, protorumeno comune col rotacismo albanese. Altri autori,

invece, negano ogni rapporto storico tra i due fenomeni.

Fra le caratteristiche morfologiche, si può notare la conservazione del vocativo in -e nei nomi

maschili della seconda declinazione, perduto nelle altre lingue romanze, che potrebbe spiegarsi

anche per influsso slavo; il Rumeno conserva la forma del dativo dei femminili della prima e della

terza declinazione.

Il problema più arduo da trattare è quello che riguarda il luogo nel quale si è venuto a formare il

Rumeno. Argomenti filologici portano a ritenere che il Protorumeno si sia sviluppato si sia

sviluppato sulla riva destra del Danubio; questa ipotesi e data dall'esame di parecchi fatti: le

concordanze con l'Albanese, che devono risalire a un certo periodo di simbiosi; il carattere bulgaro

degli antichi elementi slavi nel Rumeno; la mancanza di elementi germanici antichi, ecc. Quasi tutti

gli studiosi rumeni ammettono l'esistenza di un centro di vita rumena al Nord del Danubio stesso,

anche se qualche filologo ha riconosciuto l'origine sud-danubiana del popolo.

Page 44: Le Origini Delle Lingue Neolatine

Il Dalmatico – Con il nome di Dalmatico intendiamo l'idioma estinto preveneto. Un tempo, il

Dalmatico si estendeva da Segna – poco a Sud di Fiume – fino circa ad Antìvari.

Il Dalmatico resistette in quei territori in cui la sua vita era meno minacciata dall'influsso dello

Slavo, e cioè nelle città della costa. A Est era minacciata dallo Slavo, a Sud dall'Albanese e,

soprattutto, minacciata dalla crescente penetrazione veneta, il Dalmatico si ridusse ad essere parlato

in poche oasi, nelle quali, comunque, si spense rapidamente. La scomparsa del Dalmatico

aumentava man mano che l'influsso veneto si faceva più forte: a Zara esso tramontò molto presto, a

Ragusa – che, anche se alle dipendenze della repubblica veneta, godeva di una certa indipendenza –

si spense intorno al XV secolo, mentre nell'isola di Veglia (oggi Krk) il Dalmatico si conservò fino

allo scorso secolo.

Le fonti per conoscere il Dalmatico sono di due tipi: le fonti dirette, ovvero materiale documentario

fornitoci dagli archivi dalmati (soprattutto quello di Ragusa), e i saggi di dialetto raccolti da vari

studiosi grazie agli ultimi parlanti del Dalmatico; le fonti indirette, costituite dalla toponomastica e

dagli elementi dalmatici incorporati nel Veneto e nel Croato, gli idiomi che si sono sovrapposti.

Possiamo distinguere due rami – o dialetti – del Dalmatico: uno settentrionale, costituito dal

Vegliotto, e uno meridionale, formato dal Raguseo.

Nel vocalismo del Dalmatico, notevole è la ricchezza di dittongazioni; sia le vocali aperte che

quelle chiuse del Latino, e perfino a, si dittongano in sillaba libera e le vocali aperte, compresa a, si

dittongano anche in posizione.

Il consonantismo, al contrario, è molto conservatore: c e g mantengono la pronuncia velare davanti

ad e, ad esempio kenur < cenare, gelut < gelatu(m). Manca assolutamente il fenomeno della

lenizione delle sorde intervocaliche. Nei nessi cl, gl, pl, fl, bl si conserva, in generale, l inalterato.

Nella morfologia si nota la presenza del lat. mene > main in funzione di accusativo del pronome di

prima persona singolare e la persistenza del comparativo maior > maṷro. Nel verbo si sono

conservate le quattro coniugazioni latine (-ur, -ṷọr < -are; -ar < -ēre; '-ro < '-ĕre; -er < -ire). Il tema

del presente è spesso amplificato dai due infissi -ej- ed -esk-, il primo attestato solo nel Vegliotto e il

secondo solo nel Reguseo. Il fenomeno morfologico più importante del Dalmatico è, però, l'assenza

del futuro perifrastico del tipo cantare habeo e l'uso di continuatori del futuro anteriore del tipo

cantavero.

Attraverso le fonti dirette e quelle indirette, perciò, possiamo constatare che il Dalmatico si

distingue per una spiccata conservatività dell'elemento latino: notevoli le concordanze con Rumeno

e con l'Albanese, soprattutto nella conservazione di frasi arcaiche e nella struttura della lingua.

Anche molte parole presentano concordanze fra Rumeno, Albanese e Dalmatico. Pur trovando tali

coincidenze, Matteo Bartoli – il più grande studioso di questa lingua – ha cercato di dimostrare la

Page 45: Le Origini Delle Lingue Neolatine

somiglianza con l'Italiano meridionale e specialmente con i dialetti della zona abruzzese-pugliese,

geograficamente di fronte alla Dalmazia: dopo tutto, in ambedue le regioni si trovava un sostrato

illirico. I risultati di Bartali sono stati accettati da tutti gli studiosi ad eccezione di Clemente Merlo,

che ha sempre cercato di dimostrare che il vocalismo e il consonantismo del Dalmatico concordano

piuttosto col Ladino.

Il Ladino – Con il nome di Ladino o Retoromanzo si intende un complesso di varietà neolatine

parlate nella regione alpina centrale e orientale. Il nome di Ladino è una regolare continuazione di

latīnus; questo termine è stato usato soprattutto dai linguisti italiani, ma non è esente da equivoci,

siccome ladino è anche il termine che designa il Giudeo-spagnolo dei Balcani. I linguisti tedeschi

preferiscono la denominazione retoromanzo, ma anche questo termine non è propriamente esatto:

infatti, solo la parte più occidentale ha sostrato retico, mentre la parte più orientale apparteneva al

Norico e il Friuli faceva parte dell'Italia.

Il Ladino si divide in tre sezioni: occidentale, centrale e orientale.

La sezione occidentale comprende le parlate romance del cantone dei Grigioni (Svizzera) e cioè

della Sopraselva, Sottoselva, Engadina; il punto più orientale di questa sezione è formato dalla Val

Monastero. Nei Grigioni, dove il Ladino si è spento a causa della pressione di dialetti alemannici,

alcune varietà sono state utilizzate anche a scopi letterari, in particolare dopo la Riforma Luterana.

Il Romancio è divenuto la quarta “lingua nazionale” della Confederazione Elvetica, ma non essendo

questo idioma mai diventato lingua unitaria e sia perché i Grigioni sono suddivisi, dal punto di vista

religioso, in due gruppi – cattolici e protestanti – vengono usate nell'insegnamento e nella stampa le

due principali varietà (Soprasilvano e Engadinese).

La sezione centrale è formata da alcuni dialetti della regione dolomitica che hanno per centro il

massiccio del Sella. Le valli ancora ladine sono: Fassa, Gardena, Badia e Marebbe, Livinallongo,

Ampezzo e il Comèlico, ma anche i dialetti più a Sud hanno ancora qualche caratteristica ladina.

La sezione orientale è formata dal Friulano e va dai confini del Comèlico fino alle porte di Trieste.

Trieste e Muggia un tempo erano ladine, ma il Veneto si sovrappose alla parlata. Fra la sezione

orientale e quella centrale, il Veneto si è infiltrato lungo la Valle del Piave e fra quella centrale e

quella occidentale vi è una larga zona linguisticamente tedesca. Nelle zone intermedie il sostrato

ladino si riscontra solo nella toponomastica.

Ascoli era costretto a dividere le aree di transizione in due gruppi, uno più ladino e l'altro più veneto

o lombardo anche se, sia Ascolti che il romanista Gartner, consideravano i tre gruppi ladini come tre

oasi affioranti da una più antica unità ormai sparita. Al contrario, Carlo Battisti e Carlo Salvioni

negarono l'indipendenza del Ladino suscitando parecchie critiche. Battisti, non solo nega l'esistenza

di un'unità linguistica ladina, ma non ammette neppure un'unità storica e genetica fra le tre sezioni:

Page 46: Le Origini Delle Lingue Neolatine

orientale (friulana), centrale (atesina o dolomitica) e occidentale (grigionese). Per lo studioso, i

dialetti dei Grigioni sono direttamente congiunti con i dialetti della Lombardia; i dialetti delle

sezioni centrale e orientale sarebbero, invece, la continuazione di quelli veneti. Invece, E. G. Parodi

si limitò ad affermare l'esistenza di una stretta parentela del Ladino con l'Italiano, conclusione a cui,

poi, arrivò anche Bartoli.

Il linguista svizzero Caspar Pult, in uno dei suoi scritti, sembrava ammettere che le caratteristiche

fonetiche e morfologiche reto-romanze presentassero maggiori concordanze col Gallo-romanzo che

con l'Italo-romanzo. Anche altri linguisti svizzeri come J. Jud e W. von Wartburg ammettono

maggiori contatti tra il Ladino e il Galloromanzo che fra il Ladino e l'Italo-romanzo. Alcune

caratteristiche ladine concordanti con il Gallo-romanzo e discordanti dall'Italiano sembrano dovute

ad evoluzioni indipendenti nei due domini. Ad esempio, il volgere di ca e ga in ča e ğa nel Ladino

(čan < cane) è stato confrontato con l'analogo passaggio nel Francese (chien). Però nelle varietà

all'estremità occidentale del dominio ladino – quelle più vicine alla Francia – la riduzione della

velare in palatale è molto rara.

Nel Ladino centrale osserviamo la palatalizzazione di ca e ga in quasi tutti il dominio; ma che il

fenomeno sia relativamente recente è dimostrato dalla toponomastica delle regioni che furono

ladine e che ora sono germanizzate, come l'Oltradige bolzanino e la valle di Funes. In Francese,

invece, la palatalizzazione è anteriore alla riduzione di au in o, quindi ha forse avuto luogo tra il VI

e l'VIII secolo. In questo modo, la differente cronologia non ci permettere di ritenere la

palatalizzazione di ca e ga come un fenomeno comune al Ladino e al Francese, ma si tratta di

un'evoluzione parallela avvenuta indipendentemente in due periodi diversi.

Un'altra presunta analogia tra Ladino e Gallo-romanzo sarebbe il passaggio di l + dentale ad u, per

esempio alt(e)ru(m) > soprasilv. auter, fr. autre ma it. altro.

La velarizzazione di l, nel Francese, si ritiene sia iniziata verso la fine dell'epoca gallo-romana; nel

Ladino, invece, tale evoluzione deve essere molto più recente. Essa manca nella sezione orientale,

dove l è quasi sempre conservato. Anche nei Grigioni il passaggio l > u non è molto antieriore al

XVI secolo. La stessa cosa vale per il Ladino centrale.

Anche il passaggio di a in e – uno dei tratti principali e più antichi del Francese – non può avere

rapporti cronologici col passaggio di a in e che si riscontra in parte del territorio ladino e soprattutto

nel Ladino centrale. Carlo Battisti ha dimostrato che questa evoluzione nel Ladino centrale è

provocata dall'allungamento della vocale e perciò subentra solo in alcuni casi. Dall'aspetto fonetico

delle parole e dalla toponomastica appare che questa evoluzione deve aver avuto luogo abbastanza

tardi, intorno al XVI secolo.

Minore peso ha la concordanza fra Ladino e Francese nella conservazione dei nessi di consonante +

l, ad esempio lat. clave(m) > soprasilv. clav, fr. clef ma it. chiave. La trasformazione dei nessi cl, bl,

Page 47: Le Origini Delle Lingue Neolatine

pl nell'Italia settentrionale è avvenuta tardi e i più antichi testi dialettali lombardi danno ancora

forme con l conservato.

Il Sardo – Col nome di Sardo si intendono le varietà dialettali della Sardegna, con esclusione di

Alghero – isola linguistica catalana – e di Calasetta e Carloforte – isole linguistiche genovesi.

Il Sardo ha una sua propria fisionomia e individualità, e questa speciale individualità traspare già

dai testi più antichi.

Il Sardo si suddivide in quattro principali varietà dialettali:

1. il Logudorese, parlato nella regione del Logudoro al centro dell'isola;

2. il Campidanese, parlato nel Campidano nella parte meridionale;

3. il Gallurese, parlato a Gallura nella parte nord-orientale dell'isola;

4. il Sassarese, nella città di Sassari e nelle immediate vicinanze.

Il Logudorese si può definire il Sardo per eccellenza e fu usato da scrittori e poeti sardi come una

specie di volgare illustre. Giovanni Campus ne distingue tre variteà:

a) la varietà meridionale che abbraccia la regione sud-ovest del

Logudoro con centro Nuoro;

b) la varietà centrale che ha per centro Bonorva e abbraccia il sud-est

del Logudoro;

c) la varietà settentrionale che ha per centro Ozieri.

Differenza fondamentale si nota tra il Logudorese e il Campidanese da una parte e il Sassarese-

gallurese dall'altra.

Mentre il Campidanese si avvicina più ai dialetti italiani di tipo centro-meridionale, i dialetti di tipo

gallurese-sassarese si avvicinano ai dialetti corsi, che sono di tipo toscano, ma sviluppati su un

sostrato simile a quello del Sardo. I dialetti gallurese e sassarese si differenziano per molte

innovazioni: į (yod) si volge ad occlusiva palatale (ğ), nį dà ñ, come in Italiano, i nessi cl, gl, pl, bl,

fl si semplificano, le desinenze del plurale cadono, ecc.

Fra le caratteristiche del Sardo ricordiamo soprattutto il mantenimento della distinzione fra le

continuazioni di ē e ĭ e di ō e ŭ (pilu < pĭlu), il mantenimento di į (iam > ya). Specialmente il

mantenimento del valore velare di c davanti a vocali palatali nel Logudorese, Nuorese e antico

Campidanese, come centum > kentu. Anche g dinanzi a e, i era conservato come fonema velare

nell'antico Logudorese.

I nessi cl, gl, pl, bl, fl sono conservati nei dialetti del centro dell'isola e nel Campidanese; in buona

parte del territorio però, l passa ad r.

lo sviluppo dell'elemento labiale qu, gu > b può ricordare quello del Rumeno, ma quasi certamente

di tratta di due evoluzioni parallele ma indipendenti. Anche l'evoluzione del nesso gn > nn può

Page 48: Le Origini Delle Lingue Neolatine

ricordare quella del Rumeno, ma anche qui si tratta di evoluzioni indipendenti.

Un altro tratto arcaico nei dialetti più conservatori del centro dell'isola è il mantenimento delle sorde

intervocaliche.

L'articolo determinativo è su, sa, plur. sos, sas e continua il lat. volg. ipsu, ipsa, ipsos, ipsas,

differenziandosi dagli altri articoli romanzi che derivano da illu.

Il plurale dei sostantivi maschili e femminili esce in -s, ad esempio muru = muros, femina =

feminas; -s finale si conserva anche nei neutri singolari della terza declinazione, ad esempio tempus

“tempo”, onus “peso”.

Nella coniugazione si nota la prevalenza della III sulla II. Il Sardo antico conservava ancora il

piuccheperfetto antico. L'imperfetto congiuntivo aveva le desinenze -aret, -eret, -iret che oggi si

trovano nella Barbagia. Il perfetto indicativo aveva le desinenze -avi, -asti, -avit, -avimus, -astis, -

arun per la prima coniugazione; più tardi -v- scomparve e oggi si hanno le desinenze in -ai, -ait,

ecc.

Anche dal punto di vista lessicale, il Sardo è molto conservativo; Wagner osserva che i dialetti del

centro dell'isola rappresentano il vero Sardo con pochissimi elementi spagnoli. È indubbio che il

Sardo conservi nel suo lessico alcune parole latine assenti da tutte le altre lingue romanze: ad

esempio, sa domo “la casa” (< domo); log. kitto “per tempo” (< citius), ecc. Abbiamo, poi,

interessanti concordanze con la Romània orientale: lat. pertundĕre > rum. pătrunde, log. pertungere

“forare”.

Anche dal punto di vista degli elementi dovuti a superstrati il Sardo ha una posizione particolare:

mancano quasi completamente gli elementi germanici, anche se la Sardegna fu per un secolo sotto i

Vandali e per un anno sotto gli Ostrogoti, ma pare che i contatti non siano stati sufficienti per

influenzare la lingua, infatti quasi tutti gli elementi germanici presenti provengono dall'Italiano. Le

scarse parole arabe provengono quasi tutte dallo Spagnolo e dal Catalano. Importanti gli elementi

greci, anche se alcune voci greco-bizantine possono derivare dal Latino. Senza dubbio, gli elementi

che hanno maggiormente influenzato il Sardo sono quelli catalani e spagnoli. Il dominio degli

Spagnoli è durato circa quattro secoli (1327-1720); i conquistatori erano Aragonesi e portarono

nell'isola il Catalano, ma accanto ad esso si introdusse anche il Castigliano, soprattutto nel

Sassarese e nel Gallurese. Per molto tempo lo Spagnolo fu lingua ufficiale nei tribunali e nelle

scuole e molti autori sardi scrissero in catalano e spagnolo. In tutta l'isola, ad esempio, per designare

“finestra” si trova l'ispanismo ventana (< sp. ventana) e solo nei dialetti più conservativi si trova

fronesta. I vocaboli iberici abbondano specialmente nella terminologia dell'amministrazione e della

chiesa, come camp. ğuğği, nuor. žužže “giudice” < cat. jutge; sa séu “la cattedrale” < cat. séu, ecc.

Catalana è anche la terminologia della pesca.

Page 49: Le Origini Delle Lingue Neolatine

L'Italiano – L'Italiano è parlato entro i confini dell'odierna Repubblica Italiana e, fuori dai confini

politici:

a) nella Repubblica di San Marino;

b) nella Svizzera Italiana;

c) in Corsica;

d) nelle regioni della Venezia Giulia e dell'Istria passate dopo la seconda

guerra mondiale sotto il dominio della Jugoslavia;

e) nelle principali città della costa dalmata;

f) da un buon numero di abitanti della regione nizzarda e soprattutto nel

Principato di Monaco;

g) come lingua di cultura nell'isola di Malta;

h) dagli italiani stabiliti nelle ex-colonie e all'estero.

Nel dominio linguistico italiano si possono distinguere tre grandi suddivisione dialettali:

1. dialetti alto-italiani o settentrionali;

2. dialetti centro-meridionali;

3. dialetti toscani (compresi quelli della Corsica).

Con il nome di dialetti settentrionali o alto-italiani si intendono i dialetti gallo-italici, il Veneto e

l'Istriano. Qualche glottologo ha preferito separare i dialetti gallo-italici dal Veneto, ma altri – tra

cui Clemente Merlo – li hanno riuniti in un unico gruppo, in quanto le principali caratteristiche per

cui i dialetti settentrionali si differenziano da quelli centro-meridionali e toscani sono comuni al

Gallo-italico e al Veneto.

In dialetti gallo-italici comprendono quattro sezioni differenziate tra loro:

1. dialetti piemontesi;

2. dialetti lombardi;

3. dialetti liguri;

4. dialetti emiliano-romagnoli.

Fra le caratteristiche generali dei dialetti alto-italiani ricordiamo:

1) la riduzione delle vocali lunghe e geminate, come ll > l: caballu(m) >

piem./lomb./emil. kavál, ven. kavalo; nn > n: annu(m) > piem./lomb./emil. an, ven. ano;

2) la lenizione delle sorde intervocaliche, che può arrivare anche al

dileguo, come amĭta > milan. ámeda, bergam. meda, ma ven. amia (dove -t- > -d- > 0);

3) gli sviluppi di cl, gl > č, ğ, ad esempio clamare > piem. čamé, lig.

čama, ven. čamar; glacia > piem. ğasa, lig. ğasa, ven. ğaso;

4) c e g dinanzi a vocali palatali e, i si assibilano in tutto l'Alto Italiano,

dando ti e di;

Page 50: Le Origini Delle Lingue Neolatine

5) il trattamento del nesso ct che nel Piemontese si sviluppa in it – come

in Francese – mentre nel Lombardo l'i intacca la dentale portandola a č: ad esempio lač “latte”, fač

“fatto”, ecc.

Nel vocalismo, i dialetti gallo-italici hanno caratteristiche notevoli: il passaggio a > e avviene in

condizioni non dappertutto uguali. Nell'Emilia a libero o seguito da l e da r + consonante dà sempre

ä. Ma il processo di palatalizzazione ha caratteristiche proprie nelle varie regioni: così a Modena a

seguito da nasale resta intatto mentre a Bologna abbiamo a > ä.

Vengono considerate come provocate dal sostrato celtico le evoluzioni di ū > ü e di ŏ > ö. Questo

fenomeno si manifesta nel Piemontese, Ligure, Lombardo mentre manca nell'Emiliano-romagnolo.

In una parte del Piemonte – nel Monferrato – ū passa addirittura ad i.

Caratteristica generale della maggior parte dei dialetti gallo-italici è la caduta delle vocali finali, le

quali dileguano tutte ad eccezione di -a.

Molto diffusa nei dialetto gallo-italici è la metafonesi provocata da -i finale e quindi è più antica

della caduta della stessa -i finale. Nei dialetti veneti la metafonesi è oggi quasi scomparsa: i testi

veneti antichi, però, testimoniano la presenza della metafonesi.

Una caratteristica dei dialetti alto-italiani è la perdita dei pronomi personali soggetti nelle forme

toniche: al loro posto si usano i pronomi obliqui, come ven. mi digo = me dico. Però i pronomi

soggetti si conservano in atonia nella coniugazione verbale, come ven. ti te dizi = te tu dici.

Dialetti gallo-italici di tipo arcaico si trovano anche nella Sicilia nordorientale nelle province di

Messina ed Enna, in Basilicata e presso il golfo di Policastro: l'opinione più attendibile sull'origine

di queste colonie è quella che ritiene che le colonie lombardo-sicule sarebbero provenienti dalla

Lombardia occidentale – dall'alto Novarese.

I dialetti trentini sono prevalentemente di tipo lombardo, con molti influssi veneti.

I dialetti veneti si possono dividere in:

a) Veneziano;

b) Veronese;

c) Vicentino-Padovano-Polesano;

d) Trevigiano;

e) Feltrino-Bellunese;

f) Triestino e Veneto-giuliano.

Fra le caratteristiche dei dialetti veneti si possono ricordare:

1) la mancanza delle vocali turbate ü e ö;

2) la fermezza delle vocali finali. Nel Vicentino-Padovano-Polesano le

vocali finali rimangono salde e solo -e, -o cadono dopo n nelle parole piane. Nel Veneziano -e cade

anche dopo l e r, -o nei suffissi -ol, -iol, -er, -ier. Maggiore ampiezza assume la caduta delle vocali

Page 51: Le Origini Delle Lingue Neolatine

finali nel Veneto-giuliano, nel Trevigiano e nel Feltrino-Bellunese;

3) il mantenimento dei dittonghi ie, uo in sillaba libera; mentre ie si

conserva ancora oggi, uo è conservato solo nei testi antichi;

4) conservazione delle vocali in sillaba debolmente accentata con

tendenza all'apertura in a davanti a r.

Tutte queste caratteristiche del vocalismo danno ai dialetti veneti una fisionomia che sembra

avvicinarli più al Toscano che ai dialetti gallo-italici.

Nel consonantismo, tuttavia, le tendenze sono simili a quelle dei dialetto gallo-italici, e cioè:

lenizione delle sorde intervocaliche che arriva fino al dileguo, come t > d > 0, b > v > 0; riduzione

delle geminate; assibilazione di ce, ci, ge, gi.

Oggi ridotti sono i dialetti istriani (o istrioti) parlati nel territorio dell'Istria. Essi presentano

caratteristiche prevenete arcaiche che non si possono definire ladine.

I dialetti centro-meridionali formano il maggior nucleo dell'Italia dialettale e si possono dividere in

tre grandi sezioni:

a) sezione marchigiano-umbro-romanesca;

b) sezione abruzzese-pugliese settentrionale-molisano-camapano-

lucana;

c) sezione salentina e calabro-sicula.

Questi dialetti presentano parecchie caratteristiche comuni, alcune delle quali si possono attribuire

al sostrato italico, come le riduzioni nd > nn, mb > mm.

Vi sono alcuni tratti fonetici, morfologici e lessicali di tipo meridionale che occupano una zona che

comincia poco più a Sud di Ancora e scende fino sotto Roma. Vi sono, però, anche altre isoglosse

che congiungono l'Italia settentrionale con Roma, attraverso la parte Nord delle Marche e l'Umbria,

escludendo la Toscana.

Posizione a sé ha il dialetto di Roma: la penetrazione toscana, le vicende storiche che quasi

spopolarono la capitale e le successive immigrazioni, hanno permesso che l'antico Romanesco

autoctono venisse sopraffatto da un'altra nuova varietà, formatasi dal Toscano sovrapposto a un

sostrato romanesco. Grazie al prestigio e all'importanza di Roma, questo nuovo “romanesco” si

diffuse in tutto il Lazio.

Nell'Abruzzo, i dialetti della regione dell'Aquila continuano le condizioni del gruppo marchigiano-

umbro-romanesco. Non si trovano le vocali indistinte che caratterizzano le parlate meridionali.

L'estrema sezioni dei dialetti meridionali è caratterizzata dal gruppo calabro-siculo: da unire anche

il Pugliese meridionale, ovvero il gruppo di parlate che si estendono lungo la Penisola Salentina, a

Sud di una linea che va da Taranto a Brindisi. Colpisce molto la differenza fra le parlate di tipo

pugliese settentrionale – caratteristiche per la ricchezza dei dittonghi – e quelle di tipo meridionale

Page 52: Le Origini Delle Lingue Neolatine

– dove non si trovano vocali indistinte e a non si riduce più ad e per influsso di i.

Per quanto riguarda i dialetti siciliani, la loro uniformità non è così reale come sembra. Alcuni anni

fa fu proposta una bipartizione tra dialetti occidentali, più conservativi, e dialetti orientali, di tipo

più recente.

Se dal Nord Italia scendiamo verso Sud seguendo la costa tirrenica, si trovano dialetti di transizione

fra il Ligure e il Toscano; i caratteri toscani si fanno sempre più decisi man mano che si discende

verso il Sud.

Un po' più a oriente si trovano anche dialetti di transizione fra l'Emiliano e il Toscano: nel passaggio

da dialetti gallo-italici e meridionali non si hanno, quindi, bruschi salti.

I dialetti toscani possono dividersi in quattro sezioni:

a) sezione centrale o fiorentina;

b) sezione occidentale (Pisa, Lucca, Pistoia);

c) sezione senese;

d) sezione aretino-chianaiola.

I dialetti toscani hanno speciale importanza sia per la loro grande conservatività, sia per il fatto che

uno di essi – il Fiorentino – sta alla base della lingua letteraria italiana. I dialetti aretino-chianaioli

segnano il passaggio fra i dialetti di tipo nettamente toscano da quelli umbri.

Ai dialetti toscani si legano strettamente quelli della Corsica, che si dividono in due sezioni, i

territori delle quali sono separati dalla catena montuosa che attraversa l'isola da Nord-Ovest a Sud-

Est. Il dialetto oltremontano ricorda le condizioni dei dialetti sardi, quindi conserva tratti più arcaici

delle condizioni primarie dell'isola che vennero poi intaccate con la penetrazione toscana. Oggi i

dialetti corsi sono di tipo nettamente toscano e sono particolarmente preziosi per la storia della

nostra lingua.

La lingua letteraria italiana – che si forma nei secoli XIII e XIV – ha per base il Toscano,

specialmente il Fiorentino: si può dire che la posizione geografica permise a questo dialetto di

primeggiare sugli altri, ma anche il prestigio dei tre grandi toscani del Trecento – Dante, Petrarca,

Boccaccio – fu un grande aiuto. Dante voleva rendere il Toscano aulico sulla scia del Provenzale,

voleva che fungesse da lingua letteraria importante tanto quanto il Latino. Dante alla fine scrisse un

Fiorentino temperato e contribuì a far assumere grande importanza a questo dialetto.

Per quanto riguarda l'Italiano, in generale, non è facile stabilirne le caratteristiche, data la

policromia dell'Italia dialettale. Limitandosi alla lingua scritta e parlata, si possono indicare alcuni

tratti che la differenziano dalle altre lingue romanze:

1. la mancanza di vocali turbate ed evanescenti;

2. l'assenza della metafonesi;

3. la conservazione delle vocali finali e la scomparsa di tutte le

Page 53: Le Origini Delle Lingue Neolatine

consonanti finali del Latino, perciò tutte le parole italiane escono in vocale;

4. la presenza di consonanti lunghe o geminate accanto a consonanti

semplici;

5. la libertà di posizione dell'accento;

6. la ricchezza delle derivazioni suffissali;

7. la libertà della sintassi del periodo.

Il Provenzale (e il Guascone) – Nel gruppo chiamato Galloromanzo si distinguono due unità

linguistiche, il Francese (lingua d'oil) e il Provenzale (lingua d'oc). Importanti, poi, il Catalano e il

Guascone che, anche se non vengono riconosciuti come vere unità linguistiche, rappresentano il

ponte di passaggio tra Galloromanzo e Ibero-romanzo.

Procedendo dall'Italia verso Occidente troviamo il dominio del Provenzale: il confine politico tra

Italia e Francia coincide, qui, con quello linguistico. A Ventimiglia di parla un dialetto ligure; a

Nizza già un dialetto provenzale che ha, però, influssi italiani; a Mentone si parla un dialetto di

transizione tra Provenzale e Gallo-italico; mentre Monaco è un'antica isola linguistica ligure.

Se si segue, però, lo spartiacque alpino, la corrispondenza dei confini viene annullata: questo

esempio serve a comprendere come confini geografici ben netti non sempre corrispondano a confini

linguistici. Qui le condizioni linguistiche sono date da profonde ragioni storiche. Territori cisalpini e

transalpini appartennero per secoli ad una sola unità politica; sotto Casa Savoia, la lingua ufficiale

era il Francese, che si estendeva anche al Piemonte, che fu riannesso all'Italia solo nel XIX secolo.

Nella parte italiana troviamo numerosi centri in cui si parlano dialetti provenzali, i cui più

importanti sono quelli dei Valdesi di Val Pellice. Una colonia valdese nel XV secolo migrò in

Calabria a Guardia Piemontese. Posizione speciale ha, poi, il dialetto provenzale di Pragelato,

nell'alta Val Chisone.

Il confine linguistico tra il Provenzale e il Francese si è man mano spostato in favore del Francese,

lingua nazionale e letteraria. Jules Ronjat distingue cinque gruppi di dialetti e precisamente:

1. gruppo provenzale da Agen a Nizza;

2. gruppo linguadocico-guiennese;

3. gruppo aquitano;

4. gruppo alverniate-limosino;

5. gruppo alpino-delfinatese.

Ronjat non comprende il Catalano ma include il Guascone.

I dialetti provenzali che hanno ristretto il loro territorio sotto la spinta della lingua nazionale sono in

continuo regresso: il confine settentrionale, che può essere rappresentato da una fascia, si è spostato

verso il Sud. I dialetti provenzali, sviluppatisi dal Latino volgare, cominciarono ad essere attestati

ben presto e dettero luogo a una fiorente letteratura medievale; in seguito, l'uso letterario divenne

Page 54: Le Origini Delle Lingue Neolatine

sempre più raro fino a scomparire per poi risorgere, soprattutto come lingua della letteratura

regionale, nel secolo scorso.

Il Guascone, che Ronjat comprende sotto il nome di “aquitano”, ha una tale individualità linguistica

che potrebbe essere considerato un'unità a sé, coordinata al Provenzale. Il Guascone si differenzia

dal Provenzale per il suo sostrato iberico e, infatti, concorda in molti punti con l'Ibero-romanzo;

numerose, poi, le concordanze anche fra Guascone e Catalano e Guascone e Aragonese. Il confine

attuale del Guascone coincide con quello del sostrato iberico della Gallia sud-occidentale. Il

Guascone si distingue per alcuni tratti fonetici caratteristici come f > h (dovuto forse al sostrato

iberico), -ll- > -r- (bella > bero), ecc. La morfologia è molto conservativa e il lessico possiede un

serie di parole caratteristiche.

Il Franco-provenzale – Col nome di Franco-provenzale si intende un gruppo di varietà dialettali

che occupa la parte sud-orientale della Francia, la svizzera romanda e una parte delle valli alpine

entro i confini dell'Italia. I limiti del Franco-provenzale sono assai incerti, e ancora più difficile da

stabilire è il confine tra Franco-provenzale e Provenzale.

Nella Svizzera romanda, il territorio più vasto e compatto dove si parlano dialetti franco-provenzali,

tale dialetto sconfina, a Oriente, con i dialetti alemannici. Anche qui, però, la linea di confine è

incerta, anche perché ha subito vari mutamenti negli ultimi decenni: è importante ricordare che,

mentre nella Svizzera tedesca i dialetti alemannici sono tutt'oggi in uso, nella Svizzera romanda

l'uso del dialetti è in continua diminuzione.

Fra le caratteristiche delle parlate franco-provenzali si può notare il vocalismo molto affine a quello

provenzale e il consonantismo più concordante con quello francese. Ad esempio, a tonico si

conserva come nel Provenzale, ma passa in e per influsso di palatale in maniera ancora più avanzata

che in Francese; -u ed -o finali rimangono come -o, ecc.

Il lessico è molto conservativo: trattandosi di territori alpini si trovano parecchi relitti preromani.

Anche dal punto di vista del superstrato germanico vi sono nel Franco-provenzale elementi

caratteristici di origine burgunda. La divisione in sottodialetti è estremamente difficile: il

frazionamento, infatti, è molto forte ed ogni vallata ha una sua individualità linguistica. Ciò

dipende, in buona parte, anche dalla mancanza di unità storica e politica: il dialetto di Ginevra fu

per qualche tempo lingua ufficiale ma poi fu abbandonato volontariamente in favore del Francese.

Il Francese – Il terzo tipo e il più importante del Galloromanzo è il Francese. Le condizioni

linguistiche attuali corrispondono solo in minima parte a quelle più antiche, poiché, a partire dal XV

secolo, l'azione delle città – specialmente Parigi – ha rapidamente alterato i dialetti della lingua

d'oil. In un'area vastissima intorno a Parigi i dialetti sono scomparsi e il Francese comune della

Page 55: Le Origini Delle Lingue Neolatine

capitale ha preso il loro posto; esso poi ha cominciato a frazionarsi e a modificarsi e ha dato luogo

così a quella varietà che i linguisti francesi chiamano “français régional”. Nel contempo, anche

innovazioni partite dalla campagna si sono introdotte a Parigi e sono entrate a far parte della lingua

nazionale. Fra i dialetti a Sud di Parigi che ancora conservano alcune caratteristiche e si oppongono

alla penetrazione del Francese comune, si possono ricordare il Pittavino e il Santongese: questi

dialetti hanno guadagnato terreno su quelli della lingua d'oc, ma subiscono comunque l'influsso

delle parlate meridionali confinanti. L'angioino ha, invece, guadagnato terreno sul Bretone.

Dialetti più caratteristici e meglio conservati sono quelli della costa settentrionale della Francia e

specialmente il Normanno e il Piccardo e la loro caratteristica più importante è il mantenimento di c

velare dinanzi ad a.

Un dialetto molto conservativo e tipico, che non ha subito l'influsso di Parigi, è il Vallone che

rappresenta la parlata familiare della parte linguisticamente francese del Belgio. Il territorio del

Vallone è delimitato a Nord e a Est dalla frontiera romanzo-germanica; a Occidente confina col

Piccardo; mentre il confine a Sud segue la Valle della Mosa. La vicinanza del Neederlandese e del

Tedesco, inoltre, ha introdotto nel Vallone un numero assai considerevole di elementi germanici.

Verso Sud troviamo, poi, il Lorenese che presenta numerosi tratti conservativi, soprattutto nella

parte più orientale confinante col Tedesco.

I dialetti della Franca-Contea e della Borgogna presentano un minor numero di tratti caratteristici

poiché sono stati fortemente influenzati dal Francese comune: al Sud della Borgogna, addirittura,

troviamo già delle particolarità che ricordano il Franco-provenzale.

I dialetti della Champagne sono, ormai, in via d'estinzione: gli ultimi resti furono raccolti qualche

decina di anni fa lungo il confine lorenese.

Al centro del pentagono troviamo il “Francien”, cioè il dialetto dell'Ile-de-France, di cui è assai

difficile tracciare i limiti precisi. Questo dialetto sta alla base della lingua letteraria francese, poiché

Parigi divenne presto la capitale del regno. Il Francese si diffuse poi, attraverso la colonizzazione,

anche oltre oceano.

La Francia si può dividere in tre grandi gruppi:

a) dialetti settentrionali o d'oil;

b) dialetti meridionali o d'oc;

c) dialetti sud-orientali o franco-provenzali.

La lingua d'oc, che domina a mezzogiorno, rappresenta l'elemento più conservatore dal punto di

vista fonetico e anche quello che ha subito il minore influsso germanico.

Al Nord, la lingua d'oil ci presenta un minor grado di romanizzazione e il massimo di

germanizzazione.

A Sud-Est il Franco-provenzale formatosi in territori assai romanizzati, le cui popolazioni subirono

Page 56: Le Origini Delle Lingue Neolatine

anche influsso germanico, presenta tratti in parte comuni ai due domini e in parte propri.

Il Catalano – Con il Catalano si entra nella Penisola Iberica. In Francia, il Catalano è oggi parlato

solo nel Rossiglione; è la lingua ufficiale della Repubblica di Andorra e in Spagna non solo è la

lingua della Catalogna storica, ma anche di una striscia del territorio di Aragona ai confini con la

Catalogna, di gran parte delle regioni di Valencia e Alicante e delle isole Baleari. Esso fu importato,

inoltre, ad Alghero in Sardegna.

Si divide in parecchie varietà dialettali e le principali sono due, una orientale e una occidentale,

oltre al Valenziano, a quello delle Baleari e al Rossiglionese. L'espansione del Catalano verso Ovest

è dovuta all'estensione dell'antico contando di Ribaforça, mentre l'estensione verso Sud si deve alla

“Reconquista” sugli Arabi.

Uno dei problemi principali è quello di fissare la posizione linguistica del Catalano. Meyer-Lübke è

propenso a mettere in evidenza le differenze rispetto alle lingue romanze della Penisola Iberica e le

somiglianze col Galloromanzo. Dopo numerosi esami linguistici, si è giunti alla conclusione che il

Catalano è gallo-romanzo per le sue origini ma non può essere classificato come dialetto

provenzale; è ibero-romanzo per la sua posizione geografica, ma per alcune caratteristiche e per

ragioni storiche non può essere considerato fra le lingue ibero-romanze.

L'espansione catalana, durante la Reconquista, portò ad un ulteriore allargamento del dominio

linguistico catalano: la conquista di Maiorca introdusse il Catalano nelle Baleari. Dell'espansione in

Sardegna non rimangono che gli elementi catalani nel Sardo e nella colonia di Alghero.

Lo Spagnolo – Lo Spagnolo è parlato nella Repubblica Spagnola, con eccezione della parte nord-

orientale, delle province basche dove si parla ancora il Basco e di quattro province nord-occidentali

dove si parla il Gallego.

Anziché lengua española si usa dire correntemente lengua castellana; fu infatti il Castigliano –

parlato nella regione centrale della Spagna – che divenne lingua letteraria e si estese con la

Reconquista dei territori dominati dagli Arabi. La scoperta dell'America e la sua colonizzazione

dovuta anche agli Spagnoli estesero questa lingua in gran parte nel Nuovo Mondo.

Fra le varietà dialettali spagnole ricorderemo: il Leonese, i cui limiti attuali non coincidono con

quelli dell'antico regno di León né con l'odierna provincia di León. Una varietà simile al Leonese,

orientata più verso il Gallego-portoghese, è il dialetto di Miranda in Portogallo.

Un altro importante dialetto è l'Aragonese che in parte deve le sue premesse storiche al vecchio

regno di Aragona e Navarra, ma che fu fortemente influenzato dal Castigliano.

I dialetti della Spagna meridionale non sono altro che frazionamenti del Castigliano, importato al

Sud dalla Reconquista. Fra i dialetti medievali, infine, importante è il Mozárabe.

Page 57: Le Origini Delle Lingue Neolatine

Il Portoghese – La seconda varietà della Penisola Iberica è il Gallego-portoghese.

Il Portoghese è parlato in Portogallo, in qualche punto della Spagna presso la frontiera portoghese,

negli arcipelaghi delle Azzorre e di Madera, nel Brasile e infine in parecchi punti dell'Africa e

dell'Asia.

Nella storia della lingua portoghese si distinguono due punti:

1. il periodo arcaico, dall'XI secolo fino alla metà del XVI secolo;

2. il periodo moderno, dalla metà del XVI secolo a oggi.

Il Portoghese arcaico è strettamente connesso al Gallego, ossia all'idioma della Galizia. Questo

periodo, che comprende le prime fasi delle due varietà neolatine affini tra loro, viene generalmente

chiamato periodo gallego-portoghese.

Il Gallego-portoghese si venne formando nella Lusitania settentrionale, poiché la parte meridionale

– dall'VIII al XIII secolo – era occupata dagli Arabi. Dopo le conquiste di Alfonso Henriques il

Portoghese arcaico del Nord si propagò anche al Sud e si fuse con l'idioma neolatino del Sud.

Fra le caratteristiche morfologiche del Portoghese, le più importanti sono il mantenimento del

piuccheperfetto indicativo latino (comune anche allo Spagnolo e al Provenzale). Il futuro indicativo

e il condizionale che, anche in Portoghese, continuano condizioni latine volgari di composti

dell'infinito del verbo più l'ausiliare habeo, hanno la possibilità di separare l'infinito dall'ausiliare

con un pronome atono (direi “dirò”, ma dir-te-ei “ti dirò”).

Nella sintassi è caratteristica la collocazione dei pronomi atoni che in Portogallo (ma non in Brasile)

non stanno mai all'inizio di una preposizione.

Per quanto riguarda il lessico, i relitti del sostrato iberico sono comuni agli altri idiomi della

Penisola, sono scarsissimi e incerti. L'influsso germanico è rilevante nella toponomastica e

nell'onomastica. Notevolissimo è, poi, l'influsso arabo.

Vi sono, poi, numerosi elementi francesi, spagnoli e anche italiani. Ma un nucleo di elementi molto

importante è quello formato dalle parole esotiche di lingue africane e asiatiche che i Portoghesi

hanno appreso durante le colonizzazioni.

Il Portoghese, parlato su un territorio molto vasto di quattro parti del mondo, ha parecchie varietà

dialettali. De Vasconcelos distingue dapprima due sezioni: 1) Portoghese propriamente detto; 2) co-

dialetti portoghesi.

Il Portoghese propriamente detto è a sua volta diviso in quattro grandi gruppi: 1) dialetti

continentali; 2) dialetti insulari; 3) dialetti dell'oltremare; 4) dialetti degli Ebrei. I co-dialetti

portoghesi si dividono anch'essi in quattro gruppi: 1) Gallego; 2) Riodonorese; 3) Guadramilese; 4)

Mirandese.

Vedi cap. 6 da pagina 444.

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