le pietre di giannuzzu

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Catania, santi Giovanni e Paolo, parrocchia, don Giovanni Piro

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eugenio Lombardo

Le pietre di giannuzzo

2011

Page 4: Le pietre di Giannuzzu

ISBN 978-88-87303-51-3 1° edizione luglio 2011

Copyright © 2011 Mamma EditoriCasa Bonaparte

43024 Neviano degli Arduini - Parmatelefono 0521.84.63.25

[email protected]

FINITO DI STAMPARE E RIlEgATO NEl MESE DI luglIO 2011

PRESSO MAMMA EDITORI officina delle stampe

.

Questo disegno, che ha ispirato il titolo al presente libro, intendendo alludere alle capacità di giovanni Piro quale infaticabile costruttore d’opere e di propositi, è stato realizzato dall’artista Tiziana Felisi. Della stessa autrice il profilo di giovanni Piro riprodotto in copertina.

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L’autore devolve interamente alla parrocchia Santi pie-tro e paolo di Catania i propri diritti di vendita sul presente volume.

L’autore dedica il libro al ricordo di Santo damigella, e ad un amico scomparso che gli fu maestro di vita: turi Lan-zafame.

L’autore, esclusivamente per i più antichi veterani della comunità Santi pietro e paolo, rivendica il diritto di poter firmare queste pagine con uno pseudonimo che gli fu caro e che, fra gli amici di un tempo, fu universalmente noto: zaC (onomatopeico dell’onorevole buonanima benigno zacca-gnini, uomo giusto).

ZAC

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“La vita ha un SenSo SoLtanto Se La Si Spende per gLi aLtri”...

giovanni piro

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inCipit

perchè questo titolo, “Le pietre di giannuzzu”?È presto detto: l’espressione pietra contempla le uni-

che conoscenze teologiche che io abbia. e scrivendo su un uomo che scelse di fare il prete, il nostro giovanni piro, un minimo di rudimenti catechistici occorre pur averli: con la simbologia della pietra, l’aspetto divino è pur salvo, forse.

La pietra è un’effigie che ricorre in pagine del vangelo che ho amato sempre, tantissimo.

vado a memoria, non avendo molta pratica con versetti ed evangelisti: essa ricorre nel racconto di Lazzaro, quando gesù ordina di levare la pietra, contro ogni logica, per risve-gliare il suo amico defunto, Lazzaro.

È il segno di una storia che permea l’identità cristiana: “tu sei pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa”; certo, ciascuno aspetta il responso, su come, nei secoli, quella pietra è stata modellata. almeno, lo aspetta chi non crede nel dogma dell’infallibilità: chi ha sognato una chiesa diversa, chi si impegna, ogni giorno, per costruirla.

poi c’è la pietra del sepolcro, che maria di magdala con le sue amiche giovanna e maria di giacomo, vedono rotolata all’ingresso della tom-ba di gesù, e l’angelo che si stupisce e domanda loro: perchè cercate tra i morti colui che è vivo?

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e, ancora, c’è la frase più bella, mi pare tuttavia di ri-cordare che sia sugli atti, quella che ho più a cuore, perchè ho conosciuto un uomo, un prete anch’egli, che l’amava in-finitamente ed ha vissuto la sua intera esistenza aderendo a tale enunciato evangelico. La frase è “La pietra scartata è divenuta testata d’angolo”, ed il prete si chiamava don Leandro rossi, lodigiano, raccoglitore degli ultimi, drogati, ammalati di aids, accolti nella sua comunità, Famiglia nuova, quando le altre, anche le più specializzate, chiudevano le porte, perchè gli irrecuperabili erano dannosi per gli altri, per i malati, e per i sani.

alla parola pietra, inoltre, più prosaicamente, più laica-mente, è legata l’immagine del lavoro, della costruzione, dell’essere operaio, muratore.

proprio come è stato giovanni nella vita: un uomo a cui piaceva costruire; un uomo che armeggiava con calcestruz-zo, cazzuola e cestello: per riparare un intonaco, per rab-berciare le mura della sua casetta di nicolosi, per costruire dal nulla la sua parrocchia, la Santi pietro e paolo, in via Siena, a Catania.

aveva sempre apprezzato il lavoro manuale, sin da quando era bambino, e per la sua mamma, lui era, sem-plicemente, giannuzzu. ecco perchè, allora, “Le pietre di giannuzzu”.

giovanni questo era: un uomo semplice. uno che ha sempre pensato a costruire, e che è andato in crisi, autentica e vera, profondamente umana,

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un’impennata di fragilità, quando gli è apparso che ai suoi progetti non corrispondessero efficaci ritorni.

era così il nostro giovanni. uomo dissacratore, talvolta ostico, irruento, facilmente irritabile, ma dotato di un’uma-nità immensa, grazie alla quale pretendere da se stesso capacità di riflessione, di pensiero, di meditazione e di analisi. e di scrittura: indimenticabili le lettere che, per un settimanale diocesano, era solito indirizzare, idealmente, agli uomini ed alle donne che aveva incontrato nel cammino della sua esistenza.

Le pietre di giannuzzo rivelano ciò che lui ha costruito negli anni: in particolare, la parrocchia Santi pietro e paolo, luogo aperto a tutti, dai rivoluzionari con la falce e martello, alle devotissime pie donne di maria ausiliatrice, dagli uomini ligi ai comandamenti della Sacra Scrittura, che nel porgere la particella dell’ostia andavano in mistica e commovente estasi, ai profeti delle nuove avanguardie cristiane. una co-munità sempre aperta: che, nelle intenzioni di don piro, non doveva esacerbare giudizi, ma accogliere. riuscì davvero in tutto questo, il nostro giovanni?

Questo libro, scritto in suo ricordo, vuole essere soltanto un momento di condivisione per la comunità di amici della parrocchia Santi pietro e paolo, per chi lo ha conosciuto ed apprezzato. paradossalmente, l’augurio è che suddet-to libricino termini, dimenticato, a prendere polvere, sugli scaffali delle librerie delle nostre case. e che un giorno, le nuove generazioni, quelle che ancora

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devono arrivare, nello sbarazzarsi delle cose vecchie, ri-passino il libro tra le mani, e possano così leggere di gio-vanni piro. e richiamino allora alla memoria l’eco di questo nome, che fu il parroco fondatore della parrocchia del pro-prio quartiere: e, leggiucchiando qui e là, sappiano amare giovanni, e condividerlo, come lo abbiamo voluto bene noi, suoi contemporanei.

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preFazione di grazia giurato

intorno alla fine di luglio 2010, ho ricevuto una telefona-ta dalla città di Lodi. a cercarmi era eugenio Lombardo, che mi chiedeva un mio personale ricordo per questo suo libro, dal titolo “Le pietre di giannuzzu”, con il quale intendeva ripercorrere, pur se a grandi linee, la vita di don giovanni piro.

Conosco eugenio da tantissimi anni. abitavamo nello stesso condominio, in via imperia, al numero 13, un palazzo bianco quasi al centro della sua strada, attigua alla parroc-chia Santi pietro e paolo; lui era coetaneo del mio primoge-nito, Franz. C’era già un’antica amicizia, datata da lontano, tra le nostre famiglie: nuccio Lombardo, il papà di eugenio, e turi Lanzafame, mio marito, erano colleghi, medici, che ol-tre a condividere la professione, avevano realizzato la scelta di abitare in quello stesso condominio quando ancora era solo in costruzione.

eugenio, dunque, ha trascorso il periodo della sua infan-zia in parrocchia. da tempo, però, vive a Lodi. La sua richie-sta, pur sapendo di questo libro in preparazione, mi ha colto di sorpresa.

un ricordo, una riflessione su giovanni piro? per me che ho vissuto e continuo ad intendere

la parrocchia, o meglio la comunità Santi pietro e

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paolo, come una casa, e dunque gli episodi i ricordi gli avve-nimenti sono stati e sono davvero tantissimi, non è semplice fare riferimento ad un aneddoto particolare.

tra l’altro, essendomi occupata di recente della siste-mazione e catalogazione delle corrispondenze di giovanni piro, le quali sono state pubblicate in un libro dal titolo «Let-tere» e sottotitolo «ricordi e riflessioni di un prete che per oltre 40 anni ha determinato il volto concreto della chiesa a Catania», preferisco concentrarmi e soffermarmi sull’ultimo periodo della vita di giovanni piro. infatti, ho avuto il “privi-legio” di stargli vicino in quei mesi che per lui sono stati un vero e proprio calvario.

giovanni piro, lo sapevano tutti, era molto sofferente da tempo; il diabete… diceva mio marito (diabetologo): “quando il diabete si manifesta i danni li ha già fatti…”. ora, giovanni non era particolarmente attento alle terapie, per esempio alla dieta, che doveva essere scrupolosissi-ma…., e dunque le conseguenze negative aumentavano di giorno in giorno: la vista che gradualmente perdeva, le gambe pesanti per la flebite che incalzava, l’impossibilità di muoversi, persino il bastone non gli era più sufficiente. dalla sua stanza, dove trascorreva i pomeriggi ascoltan-do musica, occorreva accompagnarlo e sostenerlo sino all’ascensore.

poi a luglio 2009 cominciò la vera e propria via crucis di giovanni: il primo ricovero… poi una caduta dal letto e la frattura della spalla… il momentaneo rientro in parrocchia… il secondo ricovero ospe-daliero e le complicazioni con i reni che alla fine hanno smesso di funzionare… la dialisi prima a

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giorni alterni poi tutti, e quel continuo avanti-indietro-avan-ti-indietro di ambulanze verso e dal centro dialisi.

di questo periodo ricordo che ciò che mi colpiva mag-giormente erano il desiderio e la voglia di giovanni, il quale voleva scrivere i suoi pensieri, ed intendeva dettarmeli, e mi diceva di tenermi pronta perché lui stava mettendo ordine nelle sue riflessioni…

non vi fu il tempo, perché alla fine subentrò il periodo di rianimazione in ospedale. Le visite dovevano essere brevi; con don alfio Carciola ci si metteva d’accordo: chi la mattina, chi il pomeriggio, prestavamo se non assistenza, conforto a giovanni…

ti stavamo vicini, giovanni… ti parlavamo, anche se tu non avevi più forze per rispondere; qualche volta aprivi gli occhi e sorridevi… bisbigliando qualcosa. anche senza necessità di aprire gli occhi, sorridevi, quando sentivi una presenza vicina, quando ti si parlava.

poi, il pomeriggio della fine. era l’undici settembre 2009. alfio Carciola mi chiama dall’ospedale: vieni subito, mi dice… ed io corro… giovanni ancora respirava: il tempo per l’ultimo saluto.

So bene, e lo rammento ogni giorno, quanto giovanni piro ha fatto per la comunità Santi pietro e paolo. per me, la parrocchia è stata ed è la mia seconda casa. La prima, forse. dove i miei tre figli, Franz, riccardo e Federico, hanno iniziato il cammino di socialità nel gruppo Scout.

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ringrazio ancora padre piro; lui è stato un faro, un uomo illuminante. Soprattutto nei miei momenti difficili, l’ho avuto accanto come padre, fratello, amico.

per questo, lo ricorderò sempre, per il resto della mia vita.

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introduzione di padre miCheLe rapiSarda

mi è stato chiesto di contribuire ad una raccolta di ri-cordi e di testimonianze sul compianto sacerdote giovanni piro, parroco della Santi pietro e paolo; cosa che faccio ben volentieri.

Quasi coetaneo - sono appena cinque anni più giovane di lui - gli sono diventato amico perchè, entrambi vice par-roci in realtà differenti, facevamo comunque esperienze in comune con i ragazzi delle rispettive parrocchie.

ero in piena sintonia con il suo carattere cordiale, il suo stile di vita semplice ed umile, e la sua visione di Chiesa, aperta al mondo ed alla gente nonché il suo vivissimo de-siderio di voler contribuire al suo rinnovamento al quale del resto ci esortava il Concilio ecumenico, che si stava cele-brando a roma negli anni Sessanta del secolo scorso.

mi trattenevo spesso a parlare con lui, tra escursioni in montagna, campeggi, viaggi anche all’estero, per aprirci al mondo in senso concreto; mi raccontava i suoi progetti pastorali e mi diceva del suo desiderio di creare un cena-colo di preti amici che volessero vivere momenti di vita comunitaria; cosa che di lì a poco si andò realizzando.

tra “cene di lavoro” da lui preparate, perchè era un ottimo cuoco ed una buona forchetta, tra

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riflessioni sui documenti conciliari e letture di testi di Sacre Scritture in comune, si parlava ed anche si sparlava di certa chiesa che non sapeva rinnovarsi, di certi vescovi, preti e laici alquanto bigotti. Si pensava di potere, noi poveri piccoli untorelli, fare scomparire dalla santa romana chiesa molte macchie e rughe per renderla giovane e bella come sugge-riva a suo tempo san paolo.

intanto i padri Conciliari (altoparlanti dello Spirito Santo), elaboravano le grandi sintesi o definizioni sulla chiesa nel mondo contemporaneo: “La Chiesa è comunità e deve vive-re in mezzo alla gente, la Chiesa è missionaria e deve vivere povera tra i poveri; la chiesa deve in umiltà condividere le gioie e le speranze le tristezze e le angosce del mondo dal quale non deve sentirsi diversa perchè la chiesa è nel mon-do, anzi la chiesa è il mondo amato tanto da dio da abitarlo con gli uomini ed a morire per gli uomini”. Questa sintesi di chiesa fu accolta con entusiasmo da tutti specialmente dai preti giovani e da quelli che i tradizionalisti chiamavano pre-ti rivoluzionari perchè andavano controcorrente. giovanni si distinse tra quelli che condividevano, confermandosi su ciò che già operava nella sua parrocchia. Lo sforzo suo fu quel-lo di far capire alla gente come diventare chiesa rinnovata

erano generalmente espressioni ardue ed esplosive, per quei tempi, che papa giovanni XXiii mitigò con quella singola e più dolce, che vedeva “la Chiesa come una fontana del

villaggio, dove tutti vanno per estinguere la loro sete di verità e di amore”, di cui ha tanto bisogno il mondo.

Questa sintesi di Chiesa fu accolta decisamen-te da giovanni piro e, sollecitati da lui, da alcuni

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altri preti che si attirarono critiche da tanta parte di cristiani tradizionalisti, di cui era ricca certa cultura catanese. ma giovanni piro non mollò.

e fece due piccolissimi gesti nella sua aula ecclesiale, cioè nella chiesa della sua parrocchia: posizionò i banchi per la messa domenicale a semicerchio e sulla volta della chiesa a giro espose delle sagome in cartone bianco, raffiguranti i parrocchiani a messa uniti attorno all’altare del Signore ed al suo parroco celebrante come chiesa/famiglia di dio.

ma non solo.anche gli incontri sulla parola di dio, che settimanalmen-

te si tenevano, si allargarono con tante presenze significa-tive di credenti della propria parrocchia, di altra parte della città, e quindi di alcuni gruppi di altre religioni. L’incontro diventò di fatto ecumenico, quell’ecumenismo pratico che anticipò quello di giovanni paolo ii ad assisi, quando il pon-tefice pregò con i capi religiosi del mondo! il papa giovanni paolo ii, infatti, aveva detto con insistenza “il dialogo in-terreligioso è una sfida per un impegno di tutte le chiese nel quale il nuovo secolo ci vedrà ancora dippiù impegnati nella linea indicata dal Concilio vaticano ii” (numero 55 della Lettera apostolica del papa al termine del giubileo dell’anno Santo).

e venne il momento in cui giovanni piro, collaborato da don alfio Carciola e don Salvatore resca, volle aprire la comunità all’azione missionaria, e deci-se di tentare di convertire il mondo della politica, il palazzo comunale. tutti sapevano come fosse impresa ardua tale progetto. Fu aiutato da monsi-gnor bommarito, vescovo della città di Catania, che

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spesso con forti accenti spronava sindaco e giunta e con-siglio comunale in occasione delle feste agatine a lavorare contro il degrado della città di cui anche le cronache italiane parlavano. monsignor bommarito diceva: “La politica non è una professione pura e semplice, ma l’arte di promuovere l’interesse dei cittadini; è servizio, vocazione a cui dio chia-ma per un nobile impegno, una chiamata d’amore per un progetto di comunione!” (incontro con i politici catanesi in arcivescovado nel 1990). Faceva sua la voce del Concilio, che giovanni parroco attento e diligente aveva già memoriz-zato; si ebbe così da tanti laici della parrocchia, sensibili al problema politico, l’idea di costituire come un “osservatorio permanente” delle riunioni del Consiglio Comunale. Capita-nati dal battagliero don Salvatore resca un bel gruppo di laici assistevano dal luogo riservato al pubblico a tutte le sedute ai dibattiti, prendevano atto di quanto si decideva (ed il più delle volte non si decideva) e lo pubblicavano nel proprio giornale parrocchiale “Costruiamo la pace”. ma non si ottenne quasi nulla. giovanni piro per l’occasione si gua-dagnò il titolo di prete rosso, assoldato dalla russia e dai comunisti. Le solite critiche dei soliti benpensanti cattolici, ai quali si univano anche alcuni parroci. Quando la politica si convertirà all’uomo? e’ una domanda! Si dice che giovanni paolo ii che ha elevato tanti credenti agli onori degli altari desiderasse tanto, prima di morire, proclamare santo qual-

che uomo politico, ma non fu esaudito.io penso però che se anche l’impresa è ar-

dua non bisogna mollare. Le città hanno sempre la necessità che profeti come amos sorgano per gridare contro le ingiustizie del mondo. tuttavia,

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malgrado l’impegno politico, la parrocchia di giovanni non trascurò i poveri, che come sempre bussano alle nostre porte. e siccome giovanni non era come il ricco epulone, che non notava il povero Lazzaro, non trascurava di orga-nizzare gli aiuti possibili per tutti loro. La Caritas parrocchia-le si attivò per leggere e soddisfare i bisogni del quartiere, non limitandosi a gestire il cosiddetto banco alimentare, ma motivando e muovendo la solidarietà locale, i suoi parroc-chiani, che rispondevano generosamente ai bisogni mirati.

degno di rilievo è la raccolta di fondi per installare in africa, burkina Faso, pozzi per la raccolta di acqua piovana, di cui quella popolazione aveva estremo bisogno insieme al suo bestiame, per contrastare la siccità dei propri campi; quei pozzi erano condizione essenziale per non morire.

Questi sono alcuni ricordi del mio amico prete giovanni piro e di alcune sue attività, semplici ma significativi, di pa-store e guida, ma anche di padre, fratello, di tanta gente che nel nome di gesù ha amato e servito per più di mezzo secolo.

Con il suo stile umile e buono, mai nervoso od isterico, col suo sigaro cubano sempre in bocca, e con la radiolina all’orecchio per gustarsi la musica classica, ha saputo pro-grammare e costruire la dimora di dio tra gli uomini: una bella, agile, accogliente e moderna parrocchia.

Quanti sono stati impegnati con lui, innamorati del suo metodo, ed educati alla sua scuola non possono non continuare l’opera da lui iniziata in cordiale rapporto di comunione fraterna con don alfio Carciola e don Salvatore resca.

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Frammenti, miei e di altri

Frammenti, miei e di altri

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ho amato la parrocchia Santi pietro e paolo... ne ho amato le mura, freddissime d’inverno, e le stanze più nascoste. ho atteso che la porticina degli uffici

parrocchiali aprisse nei solleoni dei pomeriggi estivi, quando la calura picchiava e l’androne della canonica era un rifugio per tutti; ci sedevamo lì, e parlavamo di nulla: enrico raspa-gliesi, vincenzo giuffrida, io, padre alfio, nominato pastore del gruppo, ironicamente chiamato, la “setta dei vincenziani”. gio-vanni ci guardava perplessi, ma lasciava fare.

in parrocchia, vi ho frequentato il teatro, e gli ambienti della canonica dabbasso, dove si facevano le riunioni dei lu-petti, ed ho visto in funzione pure un ambiente sotterraneo, ai piedi della scalinata centrale, sulla sua sinistra, che poi andò in disuso.

non c’è stato metro quadrato che, sotto la guida di don Franco, lo storico sacrestano, non abbia pulito, lavato, luci-dato.

vi ho fatto il chierichetto, e portato la candela grande du-rante la via Crucis. ho letto i brani dell’antico testamento.

ho sposato una ragazza del nord, ma le ho chiesto di celebrare le nozze non nel suo paese della bassa pada-na, dove ho scelto di vivere, ma alla comunità Santi pietro e paolo: perchè questa è stata la mia casa, e continua ad esserlo.

vi era un angolo, lì in parrocchia, che conside-ravo il mio rifugio. Lì, ragazzo, studente universi-tario, ritrovavo me stesso, in momenti di malinco-nia che sembravano pozzi senza fine, e che invece poi passavano.