le pubblicazioni della collana editorialenel fare ciò ci siamo anche avvalsi di statistiche e studi...
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Enzo Canettieri
Le pubblicazioni della collana editoriale
“Per saperne di più...”
sono consultabili e disponibili all’indirizzo:
www.uil.it/contrattazione/persapernedipiu.html
a cura del Servizio Politiche Contrattuali
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Enzo Canettieri
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INDUSTRIA ITALIANA E PROCESSI DI
INTERNAZIONALIZZAZIONE
Il lavoro che proponiamo alla lettura dei nostri dirigenti, è un viaggio sulle
modificazioni avvenute nel nostro apparato produttivo nel corso dell’ultimo anno.
Nel fare ciò ci siamo anche avvalsi di statistiche e studi analitici. Hanno ampiamente
dimostrato le evoluzioni intervenute nei mercati modiali e come le imprese hanno
reagito. Ovviamente non tutte hanno reagito allo stesso modo. Sappiamo bene che
una parte è uscita dal processo produttivo, lasciando problemi sociali solo
parzialmente risolti dagli ammortizzatori sociali. Paradossalmente, meno nota è la
conoscenza delle imprese che, ristrutturandosi e investendo per aumentare la
produttività, hanno migliorato la loro posizione sui mercati, prendendo atto della
nuova divisione internazionale del mercato del lavoro. Ci è sembrato doveroso,
infine, fornire informazioni sommarie sul nostro sistema di sostegno ed
incentivazione ai processi di internazionalizzazione.
Pensiamo che siano utili alla conoscenza e alla comprensione della realtà di chi
svolge il lavoro sindacale. Infine, ci premeva sottolineare come
l’internazionalizzazione delle imprese, che non va confusa con la delocalizzazione,
sia una condizione imprescindibile per avere imprese più solide e con maggiori
garanzie per i lavoratori.
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L’industria italiana: tra problemi, nuove ristrutturazioni, mercati globali e
opportunità.
I problemi: Vecchi e nuovi
Ci sono segnali ed indicatori che raccontano un’Italia in affanno. L’
invecchiamento che non ha riscontri negli altri paesi europei, una classe dirigente(non
solo politica) immobile e incapace di progettare soluzioni di ricambio. In un contesto
simile, non stupisce che la mobilità sociale sia di fatto bloccata e le classi sociali
assomiglino a rigide caste, da cui è impossibile uscire. E’ significativo,ad esempio,
che ci sia stato un calo delle iscrizioni universitarie: la cultura, la conoscenza non
vengono più percepite dai giovani come indispensabili per meglio accedere nel
mondo del lavoro. Si dirà che gran parte del sistema formativo italiano continua ad
essere fortemente basato su percorsi assai distanti dalla domanda e dalle reali
esigenze delle imprese. Si dirà che è ancora presente la forte eredità dell’
impostazione scolastica idealistica-gentiliana e che il nostro sistema universitario
continua a sfornare giovani in possesso di titoli di studio senza alcuna aderenza con il
mercato del lavoro. Vero. E’ altrettanto innegabile, però, che nelle giovani
generazioni italiane prevalgono il cinismo, il disincanto e la mancanza di ideali.
Sentimenti quasi sempre abbinati al timore del futuro, sentito come incognita
minacciosa.
Anche sotto il profilo industriale, il nostro paese appare stanco e dominato da istinti
conservatori, che certo non inducono alle innovazioni e alla crescita. Purtroppo,
questo stato di torpore e di stasi dell’economia italiana è avvertito anche dagli
organismi internazionali: essi danno per acquisito il dato della bassa crescita italiana.
Dobbiamo dunque rassegnarci alla nostra marginalità, peraltro crescente? Oppure,
con azioni coerenti e coraggiose, interrompere la mesta parabola della nostra
marginalità? Tutti sono concordi nel ritenere che servano azioni coerenti e
coraggiose, in grado di incidere profondamente nel nostro tessuto produttivo in modo
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da migliorarne sia le performance, sia il posizionamento complessivo. Poiché c’è la
consapevolezza che non servono interventi taumaturgici e miracolistici, ma che sono
necessari, appunto, misure coordinate e coerenti, quasi si è indotti a pensare che ci sia
un lasso di tempo indefinito per strutturare provvedimenti e misure con tali
caratteristiche. In realtà di tempo ne abbiamo poco davanti a noi. Anzi, il tempo a
disposizione del nostro sistema industriale è ampiamente scaduto, perché più passa
inutilmente e più si allarga il divario tra noi e i nostri competitori. Diretti e meno
diretti, vicini e meno vicini.
E mentre ci arrovelliamo su quanto sia il tempo a disposizione per procedere a
riforme coerenti ed incisive per rinvigorire e rilanciare il nostro apparato industriale,
gli scenari economici globali sono cambiati radicalmente, rendendo ancor più incerta
la nostra posizione. Questo accade perché una parte rilevante della produzione
mondiale si è spostata verso le economie dei paesi emergenti, che pesano per il
46,1% del PIL mondiale e per il 40% dei consumi. Certamente, si tratta di una
questione che riguarda le economie dei paesi di antica industrializzazione e sarebbe
sbagliato (anche ingeneroso) definire la faccenda un fenomeno esclusivamente
italiano. Che non lo sia, e che si tratti di un problema di carattere generale, è
dimostrato emblematicamente dal fatto che le decisioni economicamente rilevanti,
prima circoscritte in un selezionato cenacolo- il famoso G8-, oggi sono estese ad altri
nuovi soggetti economici-G20-.
Semmai, c’è uno specifico problema italiano di competitività,testimoniato, tra l’altro,
dal recente sorpasso operato dall’economia brasiliana ai nostri danni. Tuttavia, questo
recente evento economico non va interpretato come il brusco ed improvviso risveglio
da un sogno, ma la conseguenza invitabile delle nostre storiche carenze, che
risalgono fin dagli anni novanta del secolo scorso. Infatti, tutti gli indicatori(dalla
produttività al reddito per abitante della media euro) registrano un progressivo ed
inesorabile logoramento delle posizioni italiane e, se non si interviene rapidamente,
non lasciano presagire un futuro radioso per la vita dei nostri concittadini, in gran
parte determinato dalla vitalità delle nostre imprese.
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In questo poco roseo quadro generale di riferimento, la struttura portante del nostro
sistema produttivo continua ad essere la piccola impresa. Principalmente, perché può
far ricorso a due straordinarie risorse, difficilmente riscontrabili nelle impresa di
maggiori dimensioni. La prima è la flessibilità del lavoro praticata come libera scelta
e come condizione assolutamente necessaria per competere sui mercati. La seconda,
parimente importante, è l’identificazione dell’azienda con quanti in essa operano:
dipendenti, collaboratori e proprietari. Un amalgama ben riuscito di coesione sociale
che ha permesso all’Italia di reggere, sotto questo profilo, meglio di altri paesi. Forse
il segreto dell’anomalia italiana risiede proprio nella coesione sociale, intessuta di
rapporti e di relazione tra le parti, da un fitto intreccio di istituti contrattuali gestiti in
modo paritetico da rappresentanti delle parti sociali, che fanno sì che le piccole
imprese e i lavoratori che in esse operano non si sentano “figli di un dio minore”.
Detto ciò,e riconosciuto il ruolo fondamentale e l’estrema vitalità della piccola
impresa nell’economia italiana, vanno anche analizzati con lucidità i limiti connessi
alla piccola dimensione. Essa diventa un forte limite perché ha un’oggettiva difficoltà
di accesso a mercati che non siano territorialmente raggiungibili e si trova in
difficoltà sui mercati non domestici, soprattutto dei paesi emergenti. Inoltre, le
piccole imprese non possiedono una struttura finanziaria in grado di supportare
adeguatamente le spese in ricerca, sviluppo ed innovazione e di destinare risorse per
predisporre specifiche reti commerciali. Perciò, non costituisce una novità
sconvolgente la recente ricerca dell’ISTAT che dimostra che le aziende
manifatturiere italiane tra i 50 e i 250 addetti abbiano un valore aggiunto per
occupato di oltre due volte di quello delle aziende tra 1 e 9 addetti. Che fare dunque,
di fronte ad una situazione così complessa e variegata? Premesso che in molti casi la
piccola dimensione è una scelta imprenditoriale cosciente, essa non deve avvenire a
scapito delle possibilità di allargare gli orizzonti di crescita e di difendere
ostinatamente la propria identità aziendale, anche a scapito dell’apporto di capitali e
conoscenze esterne. In questo senso, ci sembra assolutamente opportuno il
provvedimento relativo alle Reti di Imprese, perché le disposizioni contenute
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consentono di coniugare, al tempo stesso, l’autonomia e l’indipendenza
imprenditoriale- requisiti fondamentali per chi svolge il mestiere dell’imprenditore-
con la possibilità di comporre coalizioni associative su obiettivi che di volta in volta
vengono definiti, superando così i limiti insiti alla piccola dimensione. Tuttavia, a
fronte di questo positivo risultato, non si può sottacere sul fatto che, da un punto di
vista sistemico, l’industria italiana, per quanto riguarda l’innovazione e l’adozione
delle nuove tecnologie, presenta notevoli ritardi, come peraltro dimostrano gli
indicatori quantitativi per le spese in ricerca, sviluppo e la produzione di brevetti.
Come già detto in precedenza, la quota degli investimenti destinati in generale alle
innovazioni, è strettamente correlata alla dimensione delle imprese. C’è il rischio,
pertanto, che si acuisca il divario ed il dualismo tra imprese e imprese: da una parte
quelle con un alto livello di internazionalizzazione ed una spiccata propensione alle
esportazioni, supportata da una crescente produttività. Dall’altra parte, le imprese che
non riescono ad abbandonare la dimensione, per così dire, domestica,con scarsa
propensione alla innovazione ed a bassa produttività, relegate ad una crescente
marginalità.
Certamente, la situazione dell’industria italiana è complessa, punteggiata di chiari e
scuri, di luci ed ombre. Però, l’insieme delle imprese italiane ha le potenzialità per
rafforzare le proprie strutture produttive e finanziarie e per competere adeguatamente
sui mercati internazionali. Per far ciò, è necessario che vi siano precise scelte
politiche e chiari indirizzi programmatici, in grado di supportare l’apparato
produttivo italiano nel suo complesso. Ciò vale per le politiche di
internazionalizzazione e di promozione all’estero. Ciò vale per il Mezzogiorno d’
Italia. Per quanto riguarda il Meridione d’Italia, è bene prendere atto che non ci sarà
mai il completo sviluppo del nostro paese senza l’apporto delle regioni meridionali.
Attualmente, l’Italia continua ad essere caratterizzata da un intollerabile dualismo
socio-economico. Intollerabile perché avviene a 150 anni dall’unità nazionale ed a
più di 100 anni dalla formalizzazione della questione meridionale. Intollerabile
perché inevitabilmente mina la coesione nazionale ed alimenta spinte centrifughe.
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Perciò, bisogna agire rapidamente, avviando una significativa riduzione dei divari
esistenti tra le macroaree del paese (Nord, Centro, Sud), a partire dalla ricchezza
prodotta, innalzando la qualità dei servizi ( pubblici e privati) e sottraendo vaste zone
del territorio meridionale al controllo della malavita organizzata.
Per ottenere risultati concreti e verificabili in tempi non biblici, bisogna abbandonare
la ricorrente logica degli interventi a pioggia, ma concentrare le risorse in
infrastrutture, efficienza energetica e ambiente, razionalizzando gli interventi a favore
dell’apparato produttivo, togliendoli dalla discrezionalità e dalle pratiche collusive,
troppo spesso usate anche nel passato recente e che hanno contribuito al clima di
degenerazione morale e politica.
Certamente, i problemi da noi sottolineati e qui sinteticamente ricordati, non
esauriscono l’ampia problematica che grava sul generale sviluppo dell’industria
italiana. Tra di essi, ci preme sottolineare il peso oppressivo della burocrazia; un peso
oppressivo che si manifesta in una pletora di disposizioni e rinvii normativi che, oltre
a richiedere adempimenti in gran parte già fatti ed un inutile dispendio di tempo e di
risorse , di fatto impediscono, o quanto meno ritardano, le energie disponibili per lo
sviluppo. Inoltre, va anche tenuto presente che l’attuale struttura burocratica e
amministrativa genera sprechi, inefficienze e costi intollerabili per cittadini ed
imprese, che appesantiscono oltre modo il sistema. Anche sulla base di queste ultime
considerazioni, è possibile, a nostro giudizio, realizzare “un’alleanza virtuosa” tra
cittadini e sistema delle imprese, con l’obiettivo dichiarato di voler concludere in
tempi brevissimi una riforma della pubblica amministrazione che abbia per capisaldi
la semplificazione, la generale informatizzazione e lo snellimento degli iter
autorizzativi. D’altronde, molte delle questioni qui richiamate sono raccolte nei
documenti sottoscritti dalle parte sociali mesi fa e consegnato al governo. Non vanno
infine sottovalutate tutte quelle questioni che evidenziano la fragilità imprenditoriale
italiana, recentemente oggetto di acquisizioni e di scalate da parte di gruppi esteri, in
particolare francesi nei casi di Parmalat e di Bulgari. Invocare però il ritorno ad
anacronistici provvedimenti protettivi non è più possibile e non ci sarebbe possibile.
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Per diverse ragioni che è bene tener presente. In primo luogo il processo di
globalizzazione ed internazionalizzazione dei mercati,non solo è irreversibile, ma è
anche una straordinaria opportunità per le imprese dinamiche che intendono acquisire
una dimensione non circoscritta e limitata al mercato interno. L’ISTAT rileva che le
controllate all’estero delle imprese italiane sono 22.715, per un fatturato di circa 460
miliardi di euro. Il nostro grado di internazionalizzazione, pur essendo inferiore a
quello dei maggiori paesi industrializzati, è comunque rilevante. A questo proposito,
se si escludono poche grandi aziende, tra cui UNICREDIT, FINMECCANICA,
ENEL e naturalmente FIAT, il contributo più significativo ai processi di
internazionalizzazione è stato fornito dal tessuto imprenditoriale costituito dalle
piccole e medie imprese.
Secondo alcuni analisti economici, in Italia ci sono fenomeni che evidenziano la
natura sostanzialmente parassitaria di molti gruppi industriali italiani che, anziché
investire sui rischi e sulle scommesse imprenditoriali, preferiscono giocare sul più
facile e redditizio terreno delle concessioni pubbliche e delle utilities. Un modello,
quello delle concessioni e delle utilities, che se si dovesse estendere ulteriormente
non sarebbe un segnale di vivacità del nostro sistema economico.
Indubbiamente,esiste un problema di reciprocità tra il nostro paese e gli altri , nel
senso che nessuna nazione può innalzare barriere protettive in difesa delle proprie
industrie nazionali e contemporaneamente svolgere una politica acquisitiva altrove,
come è successo da noi. Tuttavia, ciò non significa negare la tendenza di molti gruppi
industriali a scegliere soluzioni più semplici e meno rischiose: una scelta
assolutamente in antitesi con lo spirito del capitalismo che premia le sommesse
innovative e gli azzardi ragionati.
Da più parti si è richiesto una convocazione del governo degli stati generali dell’
economia, aperta ai contributi delle associazioni di categoria e delle organizzazioni
sindacali che rifletta sui limiti del nostro sistema produttivo, che faccia il punto della
situazione e che rilanci una prospettiva di sviluppo nel breve periodo. Siamo
d’accordo. Anzi, a nostro giudizio, siamo in ritardo, perchè mentre scriviamo queste
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sintetiche note analitiche , già si profilano nuove incognite economiche: la crescita
dei prezzi dei prezzi petroliferi e l’aumento dei tassi d’interesse nella zona euro. Per
l’economia italiana questi due eventi, quasi certamente, si traducono in un costo di un
punto di PIL in meno nel biennio 2011-2012 e tutto ciò frena la crescita. Infatti,
l’aumento del prezzo del petrolio, un aumento che è attualmente del 52,1% rispetto
al mese di giugno 2010, mette in seria difficoltà famiglie e imprese, che comunque
compensano la debolezza della domanda interna grazie alle esportazioni, dovute alla
crescita del commercio mondiale. Ecco perché è opportuno, dal nostro punto di vista,
una comune, collettiva presa d’atto della situazione, dei suoi problemi, e della
possibilità di rilancio su cui tutti devono concentrarsi.
LE RISTRUTTURAZIONI
L’economia italiana può essere così sintetizzata: stagnante per prodotto e produttività
dalla fine degli anni ’90; sfiorata dalla crisi globale della finanza, ma colpita
pesantemente dalla conseguente recessione mondiale del 2008-2009, tanto che la
produzione è tornata ai livelli dei dieci anni precedenti. Secondo un’interpretazione
ormai diffusa, le difficoltà manifestate dalla nostra economia vanno ricercate
nell’inadeguatezza della nostra struttura produttiva a conformarsi ai cambiamenti in
atto. Infatti, si sosteneva che il nostro sistema produttivo, dominato da piccole
imprese e a forte impronta familiare, incontrava forti difficoltà in un contesto
globalizzato e digitalizzato, che sempre più richiede la grande dimensione e capacità
innovativa per affermarsi sui mercati. In realtà, il sistema produttivo italiano, già
prima della crisi aveva avviato un parziale processo di ristrutturazione, utilizzando
più diffusamente l’ICT nella gestione aziendale ed arricchendo i prodotti di
innovazioni incrementali. Tutto ciò in un contesto generale( espansione dell’ICT,
riduzione delle barriere commerciali e dei costi di trasporto) che evidenzia un
cambiamento profondo del commercio mondiale Infatti, esso si è trasformato da
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scambio di beni completi a commercio fra nazioni dei vari compiti necessari alla
produzione di quei beni.
Ne consegue una nuova divisione internazionale del lavoro, in cui molti prodotti sono
il risultato di molte catene produttive globali, dove ogni paese aggiunge di volta in
volta frammenti di valore. Il processo produttivo diventa quindi parte di un unico
percorso a cui affidare i compiti dei vari fattori della produzione , che possono essere
svolti in diversi luoghi del mondo. I modi, attraverso i quali si possono organizzare i
fattori della produzione, sono almeno tre:
a) catene modulari, in cui i fornitori di beni intermedi sono di fatto autonomi e
possono servire più committenti;
b) catene relazionali, in cui le catene le relazioni committente fornitore sono più
strette e di mutua dipendenza, come nel caso dei distretti industriali;
c) catene in cui i fornitori sono in una posizione di grande dipendenza verso un
grande committente.
In estrema sintesi: la produzione di ogni cosa(dai computer ai sevizi commerciali al
dettaglio) si divide e si frammenta in compiti, che possono essere collocati al di fuori
dell’impresa finale che si trova anche all’esterno. Così si formano catene globali che
sono il cuore di una nuova divisione internazionale del lavoro.
In questo quadro, sommariamente descritto, quali prospettive hanno le imprese
italiane? E come reagiscono durante la crisi? E’ un dato di fatto che la larga
maggioranza delle imprese industriali italiane risente molto della crisi, tanto da
denunciare mediamente un calo del fatturato del 20% che raggiunge punte superiori
al 50% per produttori di beni strumentali. Le cause di questa verticale caduta dei
fatturati sono generalmente imputate al calo della domanda, ai ritardi nei pagamenti
della clientela e alla minore liquidità, chiaro effetto della crisi finanziaria ancora in
corso. Le imprese, però, non hanno reagito tutte allo stesso modo.
Infatti, quelle che avevano realizzato o avviato un processo di ristrutturazione
precedentemente alla crisi hanno meglio sopportato gli impatti sul fatturato , sulle
esportazioni e sulla redditività. Invece, le altre imprese o hanno già dovuto
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soccombere oppure sono state costrette ad avviare, per sopravvivere ai mercati, un
doloroso e costoso processo di ristrutturazione. Ciò detto, è necessario precisare
meglio come si delinea il ruolo del nostro sistema produttivo nell’ambito della nuova
divisione internazionale, che sembra più polarizzata nel rapporto fornitore- acquirente
dei beni intermedi. Storicamente, nella nostra industria la pratica di sub fornitura è
molto diffusa e nel passato metteva in risalto un rapporto squilibrato tra committente
e fornitore, quasi sempre a vantaggio del primo. Con il perdurare della crisi, le
imprese manifatturiere italiane, anche in ragione di una più ridotta dimensione e di
una specializzazione produttiva a più bassa intensità di capitale, privilegiano
l’outsourcing verso i fornitori, anche esteri, rispetto agli investimenti diretti
all’estero.
Ma chi sono le imprese che decidono di produrre in sub fornitura, anziché collocarsi
sul mercato finale? In prevalenza sono le imprese marginali che, in ragione di un
basso livello di produttività non possono sostenere i costi che il mercato finale
comporta (ad esempio una propria rete distributiva e i costi pubblicitari) e di
conseguenza si orientano verso la soluzione che comporta minori costi: vendere ad
altre imprese. Tuttavia, secondo la normativa italiana, lavorare in su fornitura
significa essere esecutori di lavori che vengono progettati e decisi altrove, mentre se
si fa parte di una Catena Globale di Valore si può essere fornitori e, al tempo stesso,
conservare autonomia e una relativa capacità propositiva nella definizione della
fornitura. Queste imprese possono essere definite intermedie. All’interno di una
Catena Globale di Valore non esistono rigide gerarchie cristallizzate ed è possibile,
per le imprese che ne fanno parte, cambiare la propria collocazione gerarchica. Ciò
può avvenire in virtù di un nuovo processo produttivo che richiede il ricorso ad una
nuova tecnologia , oppure perché si realizza un prodotto a maggiore valore aggiunto,
oppure perché si acquisiscono nuove funzioni aziendali. Comunque, il metodo più
utilizzato dalle imprese intermedie per collocarsi adeguatamente sul mercato all’
interno delle Catene Globali di Valore, è quello “relazionale”, che consiste
nell’aumentare le relazioni di scambio all’interno della catena globale e che permette
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alle imprese virtuose di dotarsi di una propria rete di fornitori e di esternalizzare le
fasi produttive a minore valore aggiunto, dimostrando così una maggiore capacità di
coordinamento e di comando all’interno della Catena. In ogni caso, come evidenziano
tutte le analisi sul sistema produttivo italiano, rimane ancora insoddisfacente la
dinamica della produttività, soprattutto per quanto riguarda i fattori totali della
produzione, inoltre c’è una crescente difficoltà a competere con i paesi emergenti e
una bassa capacità di ricerca e di sviluppo. Ancora: le imprese continuano ad essere
piccole e poco dinamiche nelle produzioni esposte alla concorrenza internazionale,
poco efficienti nei settori al riparo dalla concorrenza, soprattutto nei servizi. Tutto ciò
produce disavanzi negli scambi con l’estero, bassi salari e stasi nell’economia. Le
prospettive di medio periodo, aggravate dalla recessione del 2008-2009, non sono
certo incoraggianti: l’occupazione, in particolare giovanile , non è destinata ad
aumentare, così come il debito pubblico non è destinato a diminuire. Ancor più
incerto appare il futuro delle imprese italiane che non sapranno affrancarsi da un
unico committente e produrre prodotti propri sul mercato globale. Per far ciò le
imprese italiane dovranno procedere senza ulteriori incertezze verso una maggiore
produttività, affiancarsi ad altri soggetti imprenditoriali che, attraverso una
collaborazione fattiva, consentano loro di uscire dall’attuale stato di marginalità.
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LE IMRESE ITALIANE E IL MERCATO GLOBALE
I profondi mutamenti intervenuti nell’industria italiana negli ultimi dieci anni si
inseriscono nel più generale cambiamento che ha riguardato l’industria mondiale. Le
ragioni di questo generale cambiamento vanno ricercate nella presenza ormai
consolidata di nuovi produttori e la loro presenza ha determinato la parallela necessità
di sperimentare nuove soluzioni produttive e una rivisitazione della tradizionale
divisione internazionale del lavoro, cioè di cosa, dove, come e per chi produrre.
Questo significa che a livello globale un numero maggiore di paesi parteciperà alla
produzione e alla distribuzione del reddito e paesi, che fino ad recente passato erano
marginali, si avviano a divenire importanti mercati di sbocco, anche interessanti. In
questo contesto, che comunque è in continua evoluzione, L’Italia continua ad essere
la quinta potenza industriale, con il 3,9% del totale mondiale della manifattura.
L’Italia in questa speciale classifica è preceduta dalla Germania che rappresenta il
6,5%, però il nostro paese ha ridotto le distanze che la separavano dalla terza potenza
industriale, il Giappone, che in dieci anni è precipitato dal 15,8% al 8,5%, così come
e accaduto agli Stati Uniti, che agli inizi degli anni 2000 erano al primo posto con il
24,8% della produzione manifatturiera e ora sono precipitati al secondo posto con il
15%. E’ quasi superfluo dire che il primo posto è occupato dalla Cina. Cina, che non
va dimenticato, ha avuto una crescita esponenziale davvero impressionante, se si
considera che fino a dieci anni fa rappresentava l’8,3% della produzione mondiale a
fronte dell’attuale 21,5%. Tuttavia, non vanno sottovalutate le performance
industriali di paesi emergenti come Corea del Sud(3,6%), India (2,9%) e
Brasile(2,7%) , con ampie prospettive di crescita e che ci incalzano da vicino in
questa speciale classifica, che in qualche modo evoca la ricchezza delle nazioni.
In questo contesto generale di riferimento, le esportazioni italiane appaiono meno
sbilanciate in direzione dei settori tradizionali del made in Italy (tessile, mobile-
arredamento, ecc.), tanto che esportazioni si concentrano nella metallurgia, nei
prodotti in metallo, negli autoveicoli e negli apparecchi elettriche e, aggiungendo la
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chimica e la farmaceutica arrivano al 60% del totale. Questi dati, oltre a mettere in
crisi la storica percezione del settore manifatturiero italiano, ci dicono anche che la
nostra industria è sottoposta ad una pressione competitiva che ne erode i margini di
redditività. Di fronte a questi fenomeni, le aziende italiane hanno reagito
riorganizzando le attività, puntando sulle innovazioni dei prodotti, migliorando la
qualità dei servizi ed introducendo nuove competenze, che hanno determinato una
diminuzione degli operai e l’aumento delle altre figure professionali. Inoltre, hanno
ripreso vigore i fenomeni di decentramento delle fasi produttive, che diversamente
dal passato, non hanno riguardato una specifica area geografica, ma hanno puntato
alla costituzione di filiere globali. Le filiere globali rendono possibili catene globali
di forniture tra nazioni contigue.
Tuttavia, va subito detto che la crisi globale ha avuto ripercussioni evidenti
soprattutto nelle imprese più organizzate in filiere globali, che hanno dovuto scontare,
in primis, la crisi globale della domanda. Tutto ciò ha indotto molte imprese a
“internalizzare” le produzioni e, in ogni caso, a ridurre la catena del controllo
decisionale, privilegiando i fornitori e clienti facilmente raggiungibili.
In questo contesto, vengono esasperate le condizioni competitive e la selezione tra le
imprese, perché le impone di aumentare la patrimonializzazione in modo da saper
reggere le carenze di ordini in attesa della ripresa. Le imprese subiscono spinte
contrapposte: una va in direzione di un ulteriore dimagrimento del sistema aziendale,
un’altra alla concentrazione e alla ricerca di maggiori dimensioni. In effetti, le
imprese che esportano sono quelle di dimensioni più grandi e ciò permette loro di
avere una maggiore produttività remunerando adeguatamente i lavoratori , di
possedere una più consistente redditività e una struttura finanziaria più solida. Tutto
ciò dimostra la capacità di reazione delle imprese italiane che si sono attrezzate per
intercettare nuovi mercati per supplire alla debole domanda interna.
Ciò nonostante, il processo di internazionalizzazione appare irreversibile. Avviatosi
negli anni novanta del secolo scorso è proseguito nei decenni successivi. Processo di
internazionalizzazione che sposta fuori dei confini nazionali un numero non
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indifferente di attività produttive. I fenomeni di internazionalizzazione e multi
nazionalizzazione delle imprese( da non confondersi con le delocalizzazioni)
agiscono profondamente sul modello di sviluppo, che abbiamo fin qui cercato di
analizzare sommariamente. Fino al 2007 più di 20 mila imprese italiane dimostravano
di possedere una proiezione estera, tanto da coinvolgere, solo per la componente
industriale, quasi un milione di addetti. Componente industriale che però non va
intesa in senso ristretto e limitato, in quanto include le attività di supporto come le
filiali commerciali e gli uffici di assistenza tecnica. Le aree geografiche che hanno
maggiormente interessato le attività industriali italiane sono state gli Stati Uniti, il
Brasile, la Cina, ma anche i paesi dell’ EU a 27.
In questo contesto, la struttura e la composizione merceologica dell’industria
manifatturiera italiana si è modificata notevolmente, smentendo la tesi che voleva il
nostro sistema produttivo ancorato a produzione e tecnologie di bassa intensità. In
realtà, nell’industria italiana si è avuto uno spostamento sulle fasce medio alte dei
mercati, lontano dalla concorrenza dei paesi di recente industrializzazione. La prova
più evidente di ciò la si ricava analizzando le produzioni legate al sistema moda, che
nel giro di un trentennio ha visto la sua partecipazione all’export italiano ridursi di
ben quattro punti percentuale(attualmente è al 10,2%). Analogamente, la meccanica
strumentale(macchine elettriche, elettroniche ed ottiche è salita dal 17 al 22%. Più in
dettaglio, un dato balza agli occhi: il grosso delle imprese in contrazione è costituito
dalle diverse lavorazioni tessili e dalle calzature. Significa che l’industria italiana sta
riducendo la propria presenza su quelle produzioni facilmente aggredibili, come già
detto, dalla concorrenza e si sta concentrando su una specializzazione produttiva
recentemente acquisita e questo perché la concorrenza globale impone ai singoli paesi
di concentrarsi sulle cose che sanno già fare, aumentando la loro specializzazione, in
grado di garantire lo sviluppo di nuove attività per un lungo periodo.
La nuova distribuzione delle attività produttive su scala globale rende più simile la
struttura produttiva italiana alle economie europee, in particolare a quelle di
Germania e Francia, almeno sotto il profilo dell’offerta. Infatti, valutando
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l’andamento delle esportazioni si evince che se la propensione alle esportazioni è un
fenomeno che riguarda tutti i settori, si sono ridotte le componenti tradizionali del
made in Italy e questi cambiamenti dimostrano, senza possibilità di fraintendimenti,
che alla base dei risultati produttivi( e delle conseguenti esportazioni) ci sono settori
diversi da quelli che nell’ immaginario collettivo vengono sentiti come il cuore della
specializzazione produttiva italiana. Inoltre, bisogna valutare attentamente alcuni
fenomeni e le loro implicazioni. Oggi, a differenza del passato, il mercato di
riferimento delle industrie nazionali sono i mercati esteri, con un equilibrio tra
importazioni ed esportazioni, che denota un maggiore livello di integrazione della
nostra economia. Il problema è che alla maggiore integrazione della nostra
economia non ha fatto riscontro un più elevato tasso di competitività. A questo
proposito e per suffragare maggiormente le nostre affermazioni, ci piace ricordare
uno studio della Banca d’Italia che ha evidenziato che nei dieci anni precedenti la
crisi, la produttività italiana è cresciuta del 3% contro il 14% dell’area euro.
Le opportunità.
Il quadro dell’ industria italiana, ad una occhiata superficiale e poco attenta,.
può apparire poco incoraggiante. Abbiamo cercato di dimostrare che non sono
irrilevanti le imprese che comunque hanno avviato dei processi di
ristrutturazione,che hanno consentito loro di meglio posizionarsi sui mercati,
sempre più parcellizzati sul lato dell’offerta e sempre più competitivi. La
domanda, che si è indotti a formulare è la seguente : su quali strumenti e
dispositivi normativi le imprese possono contare? La domanda non è
capziosa, ma è fondamentale per comprendere su quali basi poggia
l’evoluzione del nostro sistema industriale e quanto esse siano solide. Iniziamo
allora con il descrivere come possono essere finanziati gli investimenti
produttivi, quelli che creano occupazione ed innovazioni di prodotto e di
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processo. Ci corre l’obbligo di una premessa. Troppo spesso, l’azione
sindacale ha ignorato, al massimo sottovalutato, questi aspetti. Riguardano i
padroni, si diceva. Così facendo,però, il movimento sindacale, o almeno una
sua parte, si auto condannava alla marginalità e alla subalternità. E’ importante
invece conoscere i meccanismi che sono alla base dei modelli di
funzionamento delle imprese. Non per un gusto nozionistico o per esibire ad
un cenacolo letterario le proprie competenze, ma per meglio tutelare i propri
rappresentati, che si associano al nostro sindacato. Allora cominciamo subito
col dire che le agevolazioni che possono essere fruite dalle imprese possono
essere così suddivise:
Contributi in conto capitali: non prevedono né restituzione di capitali, né
corresponsione di interessi. Sono i cosiddetti contributi a fondo perduto;
Contributi in conto interessi: sono i contributi che riducono il tasso di
finanziamento. Sono erogati dalle banche o da altri soggetti finanziari;
Finanziamenti a tasso agevolato: sono concessi con risorse pubbliche,
contenute in appositi fondi rotativi, istituiti dalle Regioni o dallo Stato;
Contributo in conto energia: è stato recentemente introdotto dalla U.E.. E’
l’incentivo per quelle aziende che trasformano l’energia solare in energia
elettrica. L’incentivo è in relazione alla quantità di energia elettrica prodotta;
Inoltre, le imprese possono utilizzare sgravi fiscali, che possono essere di due
tipi, bonus fiscale e credito di imposta.
Il primo è un contributo, che viene erogato come detrazione tra le diverse imposte
che le aziende devono pagare.
L’altro, cioè il credito di imposta è un credito fiscale non rimborsabile, per un
importo pari alla agevolazione corrisposta e può essere detratto al momento di
pagare le imposte.
Altre importanti risorse per le imprese, soprattutto piccole e medie, sono gli Aiuti
di stato, che oltre a consentire la possibilità di realizzare importanti piani di
sviluppo aziendale,sono compatibili con le norme comunitarie perché
18
rappresentano una deroga al principio generale definito al principio generale
definito dall’articolo 87 paragrafo1 del Trattato Ce, senza falsare la concorrenza.
Le deroghe principali sono per gli aiuti destinati a promuovere e agevolare lo
sviluppo di alcune regioni economiche e a favorire lo sviluppo delle aree
depresse, con un tenore particolarmente basso o con una grave forma di
disoccupazione.
Gli aiuti di Stato sono invece incompatibili quando si può ravvisare un
provvedimento che favorisce esclusivamente alcune imprese e non la totalità delle
imprese, oppure quando si usano le risorse pubbliche in maniera discrezionale.
Inoltre, possono essere utilizzati attraverso i fondi strutturali risorse dell’Unione
Europea, gestiti da enti nazionali e regionali, per realizzare i diversi programmi
operativi nazionali, regionali e interregionali. Va tenuto presente che le risorse dei
fondi strutturali sono suddivise a secondo dei territori comunitari in Regioni
obiettivo convergenza e Regioni obiettivo competitività.
Per quanto riguarda l’obiettivo convergenza, il suo scopo è quello di superare i
ritardi di sviluppo di determinate regioni, migliorando le condizioni per la crescita
e l’occupazione. Questo obiettivo può essere conseguito mediante il
miglioramento della qualità degli investimenti, lo sviluppo della società della
conoscenza e l’innovazione.
L’obiettivo competitività invece riguarda il rafforzamento di quei territori che non
rientrando nell’obiettivo convergenza puntano all’ incremento della competitività
e delle capacità di attrazione degli investimenti, in grado di anticipare i
cambiamenti economici e sociali, e di favorire l’accesso e l’adattabilità delle
imprese e dei lavoratori.
Sul mercato privato dei capitali, ci sono invece i fondi di venture capital che
finanziano la partecipazione al capitale di rischio delle imprese in fase di start-up e di
sviluppo, mentre i fondi di private equity finanziano le fasi successive nella vita
delle imprese che coincidono con la crescita, il consolidamento, la ristrutturazione ed
il passaggio generazionale.
19
Esistono però forme miste di finanziamento, pubblico-privato, come ad esempio
quello istituito dal Mistero dello Sviluppo Economico che promuove gli investimenti
nel capitale di rischio delle piccole e medie imprese investimenti finalizzati
all’internazionalizzazione. Nello stesso ambito si muove la SIMEST che supporta lo
sviluppo di aziende estere nelle quali un’ impresa italiana abbia acquisito quote di
partecipazione.
Inoltre, sulla base della legge 662/1996, le Pmi possono accedere al fondo di
garanzia sul credito che permette loro di realizzare progetti di investimenti, fino
alla copertura di 1,5 milioni di euro. Le agevolazioni per le pmi riguardano anche le
operazioni di concentrazione e fusione delle imprese, per superare lo storico nanismo
dimensionale delle imprese italiane. Questa norma è contenuta nella legge 80 del
maggio 2005.
Invece, nell’ambito delle leggi 181/89 e 513/93, che riguardano le aree colpite della
crisi della siderurgia e dai fenomeni di deindustrializzazione attraverso Invitalia
promuovere iniziative imprenditoriali finalizzate alla reindustrializzazione e che
creino occupazione. Ai provvedimenti in questione sono interessate piccole, medie e
grandi imprese. Per quanto riguarda l’intervento agevolato, esso consiste in un
contributo a fondo perduto e in finanziamenti agevolati calcolati in Equivalente
Sovvenzione Lorda, che possono raggiungere nelle aree di crisi del centro nord in
conto capitale fino al 25% degli investimenti ammissibili, mentre nelle aree di crisi
del sud il contributo in conto capitale può raggiungere fino al 40% degli investimenti
ammissibili e finanziamenti agevolati pari al 36% del tasso di riferimento per tutte le
operazioni superiori a 18 mesi e per la durata massima di 10 anni.
Le imprese possono anche ottenere per la ristrutturazione industriale o per il
salvataggio. Per ottenere gli aiuti per la ristrutturazione devono presentare un piano
un piano industriale teso a ripristinare la redditività di lungo termine e quindi gli
investimenti devono essere calibrati su questo obiettivo.
Le imprese del settore tessile possono invece realizzare gli investimenti in attività di
ricerca industriale e sviluppo pre competitivo,indipendentemente dalla loro
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dimensione aziendale, per la realizzazione di prototipi, la promozione del
campionario e delle collezioni fruendo della detassazione degli utili.
Ricerca, sviluppo e innovazione tecnologica: i grandi temi del futuro industriale.
La ricerca, lo sviluppo e l’innovazione tecnologica sono i grandi temi del futuro
industriale, soprattutto in un paese come il nostro che affronta delle sfide competitive
molto difficoltose e non può permettersi scelte di politica industriale poco attente alle
questioni richiamate, proprio in considerazione della scarsa dimensione delle aziende
italiane e di una forte specializzazione nei settori considerati tradizionali. Ma i temi
della ricerca, dello sviluppo e dell’ innovazione tecnologica riguardano tutte le
imprese italiane, indipendentemente dalla loro dimensione e dal loro ambito specifico
di specializzazione produttiva, perché soltanto attraverso la centralità della ricerca e
dello sviluppo è possibile favorire la crescita delle aziende e creare buona
occupazione.
Prima di addentrarci nei diversi meccanismi di funzionamento, è bene capire cosa si
intende precisamente per ricerca e quali sono le diverse definizioni che la riguardano.
Ricerca fondamentale o di base:sono i lavori sperimentali o teorici fatti
per acquisire nuove conoscenze, senza che siano applicazioni pratiche
dirette;
Ricerca industriale: è una ricerca pianificata ad acquisire nuove
conoscenze da utilizzare per mettere a punto nuovi prodotti , di
migliorarli e, al tempo stesso, di sviluppare le innovazioni, che è
suddivisa in innovazione di processo e innovazione organizzativa. La
prima riguarda l’applicazione di un metodo di produzione sensibilmente
migliorato. L’innovazione organizzativa è la spinta che soprattutto le
nuove tecnologie e la flessibilità producono sull’organizzazione del
lavoro.
La ricerca di base nella maggior parte dei casi è finanziata dal sistema
pubblico ( università ed enti di ricerca ) e, come nel caso delle
multinazionali della chimica e della farmaceutica,dai laboratori di ricerca di
21
questi gruppi. Le attività di ricerca di base mirano all’ ampliamento delle
conoscenze tecniche e scientifiche e non hanno obiettivi industriali e
commerciali.
La ricerca industriale ha invece obiettivi economici ed industriali da
conseguire e punta ad acquisire nuove conoscenze utili per immettere sul
mercato un nuovo prodotto oppure a migliorare i processi produttivi.
In Italia, il principale strumento di finanziamento della ricerca di base e il
Fondo per gli investimenti per la ricerca di base, che sostiene progetti di
ricerca di alto contenuto scientifico e tecnologico, anche di valore
internazionale e può erogare contributi fino al 100% del costo della stessa
ricerca.
Le attività di ricerca e sviluppo sono finanziate da due grandi fondi: il
Fondo per gli investimenti nella ricerca tecnologica(First) e il Fondo per
l’innovazione tecnologica(Fit). La differenza tra i due fondi consiste nel
fatto che il Fit concentra i propri incentivi verso quegli investimenti che
presuppongono la realizzazione di progetti pilota e dimostrativi, nonché
modifiche rilevanti a prodotti e processi produttivi esistenti.
E’ gestito dal Ministero dello Sviluppo Economico e può concedere
finanziamenti agevolati fino al 50% dei costi riconosciuti ammissibili ed
anche un contributo i conto interesse del programma oggetto di
agevolazione. Il Fit emana anche bandi tematici che hanno l’obiettivo di
sviluppare i sistemi produttivi locali e i distretti industriali, ma anche
promuovere,mediante i contratti di innovazione industriale di recente
istituzione, programmi di sviluppo tecnologico nazionale. Il ministero
dell’Istruzione, università e della Ricerca (MIUR) invece gestisce e finanzia
il FAR, Fondo agevolazioni alla ricerca, che finanzia prevalentemente i
progetti di ricerca realizzati dalle imprese e dai centri di ricerca, volti ad
ottenere nuove conoscenze da utilizzare per creare nuovi prodotti, e nuovi
servizi.
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Il fondo agevolazione alla ricerca si occupa anche di formazione e
orientamento della ricerca, formando nuovi ricercatori.
Altra occasione di crescita è fornita da Industria 2015 che nelle aree
tecnologiche riguardanti la mobilità sostenibile, l’efficienza energetica le
nuove tecnologie della vita per il made in Italy, le tecnologie innovative
per i beni e le attività culturali che possono beneficiare del regime di
aiuti. Il regime di aiuti può essere esteso alle forme di aggregazione tra
imprese, in particolare quelle di uno stesso distretto produttivo, oppure ad
imprese che promuovono i contratti di rete.
Analizzeremo ora le diverse possibilità che ha il sistema industriale italiano
di agire su diversi piani, quello sulle politiche interne ai territori, con le
varie evoluzioni normative, e quello delle politiche ai sostegno
all’internazionalizzazione delle imprese. Nel primo caso, si può parlare di
veri e propri sistemi produttivi organizzati, che comprendono i distretti
industriali, le reti di impresa,che in un certo senso sono un’ evoluzione dei
distretti industriali, i distretti tecnologici, i consorzi di sviluppo industriale e
i parchi scientifici e tecnologici. Ultimamente, si sono aggiunti agli
strumenti di politica industriale operanti nel territorio, le cosiddette zone a
burocrazia zero, che sostituiscono le zone franche urbane, ed hanno
l’obiettivo di favorire nuove iniziative produttive nel mezzogiorno.
Esaminiamo per sommi capi come funzionano le diverse articolazioni
territoriali di politica industriale, tenendo anche conto che alcune di esse
sono state oggetto di specifiche trattazioni della nostra collana editoriale
“Per saperne di più”.
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DISTRETTI INDUSTRIALI
I distretti industriali sono sistemi produttivi locali omogenei. In queste aree
territoriali c’è una elevata concentrazione di imprese industriali, in
particolare piccole medie, specializzate in una o più fasi di uno specifico
processo produttivo. Le imprese dei distretti industriali italiani sono legate
tra di loro da una complessa rete di relazioni sociali ed economiche. Le
imprese dei distretti industriali operano nei settori tipici della produzione
italiana, conosciuta in tutto il mondo, come ad esempio la ceramica,
l’arredamento,il tessile, ecc. Settori tradizionali, che subiscono la
concorrenza dei paesi emergenti, necessariamente indotti a ricercare
soluzioni industriali per poter competere con economie particolarmente
aggressive, operanti negli stessi mercati. In genere le soluzioni adottate sono
le seguenti:
Ottimizzazione e valorizzazione della formazione professionale;
Politiche degli approvvigionamenti tese a a ridurre i costi;
Realizzazione delle economie di scala;
Aumento della produttività;
Riorganizzazione del processo produttivo;
Costante innovazione di processo e di prodotto;
Clima sociale non esasperato dalla conflittualità.
Con la finanziaria del 2006 è stato inserito un nuovo concetto di distretto, il distretto
produttivo, vale a dire, per riprendere la formulazione contenuta nell’articolato di
legge, “libere aggregazioni di imprese articolate sul piano territoriale e sul piano
funzionale, con l’obiettivo di accrescere lo sviluppo delle aree e dei settori di
riferimento, di migliorare l’efficienza nell’organizzazione e nella produzione,
secondo i principi della sussidiarietà verticale ed orizzontale…..”Quindi, il distretto
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produttivo va oltre la tradizionale nozione di distretto, identificato e definito come un
territorio limitato e circoscritto territorialmente e identificabile, in base alla sua
specializzazione produttiva”. Il distretto produttivo diventa una filiera di aziende che
operano in più realtà territoriali, in uno specifico settore, che in genere è
manifatturiero, ma può essere anche aperto al settore dei servizi.
Le imprese che aderiscono ai distretti produttivi possono fruire di vantaggi fiscali, di
procedure amministrative semplificate e deregolamentate.
DISTRETTI TECNOLOGICI
I distretti tecnologici sono un aggregazione territoriale di attività ad alto
contenuto tecnologico e sono promossi dall’azione sinergica di
Amministrazioni Pubbliche, imprese, fondazioni ed istituzioni finanziarie. Un
distretto tecnologico per nascere deve avere come condizioni essenziali di
partenza:
La presenza di Università e centri di Ricerca nel territorio, che forniscano
conoscenze sulle tematiche presenti nel distretto,
Un tessuto industriale di piccole e medie imprese in grado di utilizzare tale
conoscenza e di divenire parteners tecnologici,
aggregare aziende e centri di ricerca su progetti di alto contenuto tecnologico
con possibilità di positive ricadute sul mercato.
Le finalità dei distretti tecnologici sono promuovere l’innovazione delle piccole e
medie imprese per migliorarne efficienza e competitività, rendere più stretti i legami
tra Università, territorio e piccole e medie imprese e formare giovani ricercatori che
abbiano competenze trasversali. Attualmente in Italia i distretti ufficialmente
riconosciuti sono 27, di cui 3 in fase di costituzione (Molise, Abruzzo e Basilicata) e
1 in Umbria in fase di realizzazione.
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Altra presenza importante nel territorio sono Consorzi di Sviluppo Industriale, Enti
pubblici economici fondati con lo scopo di favorire nuove iniziative industriali ed
artigianali. Hanno il compito di progettare, redigere e gestire infrastrutture(strade, reti
idriche e fognarie)e impianti tecnologici ( impianti di smaltimento rifiuti e
depuratori). Forniscono servizi reali alle imprese e ne possono far parte Comuni,
Province e Regioni. Con la finanziaria del 2006, parzialmente modificata dalla legge
33 del 2009 , ai Consorzi di sviluppo industriale si applicano le disposizione a favore
dei distretti produttivi.
I Parchi Scientifici Tecnologici sono strutture che offrono di sviluppare in uno
spazio tecnologicamente all’avanguardia, idee innovative e nuove tecnologie.
Promuovono lo sviluppo economico del territorio, attraverso nuovi imprenditori in
grado di proporre idee innovative, oppure di sensibilizzare le aziende mature ad un
utilizzo sistematico delle nuove tecnologie. I Parchi Scientifici e tecnologici
promuovono anche la generazione di nuovi posti di lavoro, attraverso
l’incoraggiamento e l’avviamento di incubazione di imprese e partenership
scientifiche e tecnologiche a livello internazionale. Sono presenti in quasi tutte le
regioni italiane con circa 600 imprese insediate e oltre 6mila lavoratori.
Le reti di impresa sono l’ultima evoluzione dei distretti italiani. Sono forme di
natura contrattuale tra imprese localizzate in regioni differenti e si rivolgono a quelle
imprese che hanno l’obiettivo di aumentare la loro massa critica e di ottenere
maggiore forza sul mercato,senza per questo doversi fondere o unirsi sotto la guida
ed il controllo di un unico soggetto imprenditoriale. La rete di imprese è
un’opportunità di disporre di soggetti dotate di competenze e capacità progettuali. Il
contratto di rete è regolato dalla legge 33 del 2009 e stabilisce che due o più imprese
si impegnano ad esercitare una o più attività, al fine di migliorare le rispettive
capacità di innovazione e competitività. Le imprese che aderiscono al contratto di
rete, che è un atto pubblico o una scrittura privata autenticata, hanno vantaggi fiscali,
amministrativi e fiscali
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Infine, per rimanere nel campo delle politiche economiche con impatti significativi
sulle politiche industriali nell’ambito territoriale, va sottolineato come il decreto mille
proroghe del 2010 ha trasformato le Zone Franche Urbane nel nuovo strumento delle
Zone a burocrazia zero. In presenza, sulla scia dell’esperienza francese, erano state
create le zone franche urbane, con l’obiettivo di favorire lo sviluppo economico e
sociale in quartieri e aree urbane caratterizzate da disagio sociale, occupazionale ed
economico. Successivamente, con delibera CIPE del maggio 2009 erano state
individuate 22 città italiane interessate alle zone franche urbane. Quale è la differenza
tra il prima e il dopo delle zone a burocrazia zero? In precedenza era stato previsto
l’esenzione delle imposte sui redditi e sull’IRAP, mentre la nuova norma che
istituisce le zone a burocrazia zero prevede solo un contributo per il pagamento
dell’ICI e contributi sulle retribuzioni da lavoro dipendente,da erogarsi a cura dei
comuni nei comuni dei territori interessati.
La crescita economica e lo sviluppo dell’occupazione che tutte le economie
perseguono, sarebbero vani sogni se non tenessero conto dei mercati internazionali e
delle tematiche connesse ai processi di globalizzazione. Da questo punto di vista
anche in Italia si sono predisposte un insieme di provvedimenti di sostegno
all’internazionalizzazione del nostro apparato produttivo. Il sostegno in questione si
concretizza in leggi che erogano incentivi e nella partecipazione italiana in organismi
internazionali che supportano le imprese nei loro processi di internazionalizzazione.
In questo contesto, una delle istituzioni italiane più importante è la Società italiana
per le imprese all’estero (SIMEST) , una finanziaria che assiste e fornisce
consulenza alle imprese sugli aspetti relativi all’internazionalizzazione e, in virtù di
questo compito istituzionale, può acquisire quote di minoranza delle imprese
all’estero partecipate da aziende italiane. Questa quota può raggiungere il25% del
capitale delle imprese miste. Va tenuto presente che la Simest opera in tutti i paesi del
mondo ad eccezione dell’Unione Europea. Un’istituzione simile alla Simest è la
FINEST una finanziaria che sostiene l’internazionalizzazione delle imprese
localizzate nel Nord-Est dell’Italia, che può acquisire quote che possono arrivare fino
27
al 40% del capitale di rischio, per un importo comunque non superiore ai 516 mila
euro.
Particolarmente importante è l’attività svolta dall’Istituto per i servizi assicurativi
del commercio estero (SACE) che rilascia garanzie e assume assicurazioni per i
rischi di varia natura, che includono quelli di carattere politico, commerciale e di
cambio. La SACE divide i paesi esteri in sette categorie di rischio e in materia di
rischio commerciale adotta quattro livelli di premio, a seconda del merito di credito
dell’ operazione e alla presenza di altri investitori istituzionali.
Gli interventi pubblici a favore delle imprese esportatrici riguardano interventi che
hanno lo scopo di stimolare e migliorare la solidità patrimoniale delle piccole e medie
imprese esportatrici, al fine aumentare la loro capacità di competere sui mercati. Per
accedere ai finanziamenti in questione, bisogna avere fatturati esteri pari almeno al
20% negli ultimi tre anni. Il finanziamento di cui sopra non può comunque superare
l’importo di 500 mila euro.
Infine va ricordato che il sistema di incentivi per favorire i processi di
internazionalizzazione non si limita agli interventi di carattere nazionale, ma si
estende ai provvedimenti delle Regioni e delle Camere di Commercio, che
generalmente sostengono le spese promozionali delle imprese italiane all’estero,
come ad esempio la partecipazione a fiere internazionali.
CONCLUSIONI PARZIALI
L’industria italiana complessivamente ha dimostrato un livello di tenuta per certi
aspetti inaspettato, considerato che la crisi, simbolicamente innestatasi con il
fallimento della Lehman Brother il 15 settembre 2008, è stata la più profonda degli
ultimi ottanta anni. Economie che apparivano ben più solide delle nostre, sono
precipitate in una spaventosa voragine che ha travolto banche, attività produttive e ha
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modificato negativamente le abitudini di vita di milioni e milioni di persone. In
questa sede è inutile indagare approfonditamente sui i motivi che sono all’origine di
questa gravissima recessione. E’ sufficiente affermare che molti nostri competitori
poggiavano le loro basi su fragili presupposti dell’economia virtuale, cioè della
crescita illimitata dell’indebitamento. A lungo andare il meccanismo non poteva
reggere. Infatti non ha retto.
Da questo punto di vista l’economia italiana è, paradossalmente, più solida. Più solida
perché basata sulla manifattura, sui prodotti che le imprese e il lavoratori immettono
sul mercato. Ciò non significa dire che non ci siano problemi e che tutto va a gonfie
vele. Con il nostro lavoro abbiamo descritto impietosamente la grande quantità di
problemi che attanagliano il nostro sistema produttivo. Al tempo stesso, abbiamo
messo in rilievo come la
parte più dinamica delle imprese abbia ricercato una sintonia positiva con i
cambiamenti dei mercati, investendo in ricerca e sviluppo e aumentando la
produttività . Quelle che non lo hanno fatto sono uscite dal mercato. In un cero senso
era forse invitabile. Va anche sottolineato il fatto che in Italia esiste una robusta
dotazione di sostegno e di incentivazione per le imprese virtuose, che molto spesso è
poco conosciuta e poco utilizzata dagli stessi imprenditori. Per quanto riguarda i nodi
strutturali, a partire dal deficit energetico che storicamente affligge il nostro paese e
che appesantisce il nostro sistema produttivo di circa il 30% in più rispetto alle
economie analoghe alla nostra, compete alla responsabilità politica compiere delle
scelte chiare e trasparenti.
Siamo fermamente convinti che i compiti principali delle organizzazioni sindacali, in
questo momento storico così particolare e denso di cambiamenti epocali, siano di
favorire tutte le iniziative che vanno in direzione della crescita e di tutelare, mediante
un’ottica di collaborazione, le aziende e i lavoratori
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ALLEGATI
LEGGE 30 LUGLIO 2010 N.122
Art. 42. Reti di imprese
1. (soppresso dalla legge di conversione)
2. Alle imprese appartenenti ad una delle reti di imprese riconosciute ai sensi dei
commi successivi competono vantaggi fiscali, amministrativi e finanziari, nonché la
possibilità di stipulare convenzioni con l'A.B.I. nei termini definiti con decreto del
Ministro dell'economia e delle finanze emanato ai sensi dell'articolo 17, comma 3,
della legge n. 400 del 1988 entro quarantacinque giorni dalla data di entrata in vigore
del presente decreto.
2-bis. Il comma 4-ter dell’articolo 3 del decreto-legge 10 febbraio 2009, n. 5,
convertito, con modificazioni, dalla legge 9 aprile 2009, n. 33, è sostituito dal
seguente:
"4-ter. Con il contratto di rete più imprenditori perseguono lo scopo di accrescere,
individualmente e collettivamente, la propria capacità innovativa e la propria
competitività sul mercato e a tal fine si obbligano, sulla base di un programma
comune di rete, a collaborare in forme e in ambiti predeterminati attinenti
all’esercizio delle proprie imprese ovvero a scambiarsi informazioni o prestazioni di
natura industriale, commerciale, tecnica o tecnologica ovvero ancora ad esercitare in
comune una o più attività rientranti nell’oggetto della propria impresa. Il contratto
può anche prevedere l’istituzione di un fondo patrimoniale comune e la nomina di un
organo comune incaricato di gestire, in nome e per conto dei partecipanti,
l’esecuzione del contratto o di singole parti o fasi dello stesso. Ai fini degli
adempimenti pubblicitari di cui al comma 4-quater, il contratto deve essere redatto
per atto pubblico o per scrittura privata autenticata e deve indicare:
a) il nome, la ditta, la ragione o la denominazione sociale di ogni partecipante per
originaria sottoscrizione del contratto o per adesione successiva;
b) l’indicazione degli obiettivi strategici di innovazione e di innalzamento della
capacità competitiva dei partecipanti e le modalità concordate tra gli stessi per
misurare l’avanzamento verso tali obiettivi;
c) la definizione di un programma di rete, che contenga l’enunciazione dei diritti e
degli obblighi assunti da ciascun partecipante, le modalità di realizzazione dello
scopo comune e, qualora sia prevista l’istituzione di un fondo patrimoniale comune,
la misura e i criteri di valutazione dei conferimenti iniziali e degli eventuali contributi
successivi che ciascun partecipante si obbliga a versare al fondo nonché le regole di
gestione del fondo medesimo; se consentito dal programma, l’esecuzione del
30
conferimento può avvenire anche mediante apporto di un patrimonio destinato
costituito ai sensi dell’articolo 2447-bis, primo comma, lettera a), del codice civile.
Al fondo patrimoniale comune costituito ai sensi della presente lettera si applicano,
in quanto compatibili, le disposizioni di cui agli articoli 2614 e 2615 del codice
civile;
d) la durata del contratto, le modalità di adesione di altri imprenditori e, se pattuite, le
cause facoltative di recesso anticipato e le condizioni per l’esercizio del relativo
diritto, ferma restando in ogni caso l’applicazione delle regole generali di legge in
materia di scioglimento totale o parziale dei contratti plurilaterali con comunione di
scopo;
e) se il contratto ne prevede l’istituzione, il nome, la ditta, la ragione o la
denominazione sociale del soggetto prescelto per svolgere l’ufficio di organo comune
per l’esecuzione del contratto o di una o più parti o fasi di esso, i poteri di gestione e
di rappresentanza conferiti a tale soggetto come mandatario comune nonché le regole
relative alla sua eventuale sostituzione durante la vigenza del contratto. Salvo che sia
diversamente disposto nel contratto, l’organo comune agisce in rappresentanza degli
imprenditori, anche individuali, partecipanti al contratto, nelle procedure di
programmazione negoziata con le pubbliche amministrazioni, nelle procedure
inerenti ad interventi di garanzia per l’accesso al credito e in quelle inerenti allo
sviluppo del sistema imprenditoriale nei processi di internazionalizzazione e di
innovazione previsti dall’ordinamento nonché all’utilizzazione di strumenti di
promozione e tutela dei prodotti e marchi di qualità o di cui sia adeguatamente
garantita la genuinità della provenienza;
f) le regole per l’assunzione delle decisioni dei partecipanti su ogni materia o aspetto
di interesse comune che non rientri, quando è stato istituito un organo comune, nei
poteri di gestione conferiti a tale organo, nonché, se il contratto prevede la
modificabilità a maggioranza del programma di rete, le regole relative alle modalità
di assunzione delle decisioni di modifica del programma medesimo".
2-ter. Il comma 4-quater dell’articolo 3 del decreto-legge 10 febbraio 2009, n. 5,
convertito, con modificazioni, dalla legge 9 aprile 2009 n. 33, è sostituito dal
seguente:
"4-quater. Il contratto di rete è soggetto a iscrizione nella sezione del registro delle
imprese presso cui è iscritto ciascun partecipante e l’efficacia del contratto inizia a
decorrere da quando è stata eseguita l’ultima delle iscrizioni prescritte a carico di tutti
coloro che ne sono stati sottoscrittori originari".
2-quater. Fino al periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2012, una quota degli
utili dell’esercizio destinati dalle imprese che sottoscrivono o aderiscono a un
contratto di rete ai sensi dell’articolo 3, commi 4-ter e seguenti, del decreto-legge 10
febbraio 2009, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 aprile 2009, n. 33, e
successive modificazioni, al fondo patrimoniale comune o al patrimonio destinato
all’affare per realizzare entro l’esercizio successivo gli investimenti previsti dal
programma comune di rete, preventivamente asseverato da organismi espressione
31
dell’associazionismo imprenditoriale muniti dei requisiti previsti con decreto del
Ministro dell’economia e delle finanze, ovvero, in via sussidiaria, da organismi
pubblici individuati con il medesimo decreto, se accantonati ad apposita riserva,
concorrono alla formazione del reddito nell’esercizio in cui la riserva è utilizzata per
scopi diversi dalla copertura di perdite di esercizio ovvero in cui viene meno
l’adesione al contratto di rete. L’asseverazione è rilasciata previo riscontro della
sussistenza nel caso specifico degli elementi propri del contratto di rete e dei relativi
requisiti di partecipazione in capo alle imprese che lo hanno sottoscritto. L’Agenzia
delle entrate, avvalendosi dei poteri di cui al titolo IV del decreto del Presidente della
Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, vigila sui contratti di rete e sulla realizzazione
degli investimenti che hanno dato accesso all’agevolazione, revocando i benefici
indebitamente fruiti. L’importo che non concorre alla formazione del reddito
d’impresa non può, comunque, superare il limite di euro 1.000.000. Gli utili destinati
al fondo patrimoniale comune o al patrimonio destinato all’affare trovano espressione
in bilancio in una corrispondente riserva, di cui viene data informazione in nota
integrativa, e sono vincolati alla realizzazione degli investimenti previsti dal
programma comune di rete.
2-quinquies. L’agevolazione di cui al comma 2-quater può essere fruita, nel limite
complessivo di 20 milioni di euro per l’anno 2011 e di 14 milioni di euro per
ciascuno degli anni 2012 e 2013, esclusivamente in sede di versamento del saldo
delle imposte sui redditi dovute per il periodo di imposta relativo all’esercizio cui si
riferiscono gli utili destinati al fondo patrimoniale comune o al patrimonio destinato
all’affare; per il periodo di imposta successivo l’acconto delle imposte dirette è
calcolato assumendo come imposta del periodo precedente quella che si sarebbe
applicata in assenza delle disposizioni di cui al comma 2-quater. All’onere derivante
dal presente comma si provvede quanto a 2 milioni di euro per l’anno 2011 mediante
utilizzo di quota delle maggiori entrate derivanti dall’articolo 32, quanto a 18 milioni
di euro per l’anno 2011 e a 14 milioni di euro per l’anno 2013 mediante utilizzo di
quota delle maggiori entrate derivanti dall’articolo 38, commi 13-bis e seguenti, e
quanto a 14 milioni di euro per l’anno 2012 mediante corrispondente riduzione del
Fondo di cui all’articolo 10, comma 5, del decreto-legge 29 novembre 2004, n. 282,
convertito, con modificazioni, dalla legge 27 dicembre 2004, n. 307.
2-sexies. Con provvedimento del direttore dell’Agenzia delle entrate, da adottare
entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del
presente decreto, sono stabiliti criteri e modalità di attuazione dell’agevolazione di
cui al comma 2-quater, anche al fine di assicurare il rispetto del limite complessivo
previsto dal comma 2-quinquies.
2-septies. L’agevolazione di cui al comma 2-quater è subordinata all’autorizzazione
della Commissione europea, con le procedure previste dall’articolo 108, paragrafo 3,
del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea.
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Art. 43. Zone a burocrazia zero
1. Possono essere istituite nel Meridione d'Italia zone a burocrazia zero.
2. Nelle zone di cui al comma 1 istituite, nel rispetto del principio di sussidiarietà e
dell'art. 118 della Costituzione, in aree non soggette a vincolo con decreto del
Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell'economia e delle
finanze, di concerto con il Ministro dell'interno, le nuove iniziative produttive avviate
successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto godono dei
seguenti vantaggi:
a) nei riguardi delle predette nuove iniziative i provvedimenti conclusivi dei
procedimenti amministrativi di qualsiasi natura ed oggetto avviati su istanza di parte,
fatta eccezione per quelli di natura tributaria, di pubblica sicurezza e di incolumità
pubblica, sono adottati in via esclusiva da un Commissario di Governo che vi
provvede, ove occorrente, previe apposite conferenze di servizi ai sensi della legge n.
241 del 1990; i provvedimenti conclusivi di tali procedimenti si intendono senz'altro
positivamente adottati entro 30 giorni dall'avvio del procedimento se un
provvedimento espresso non è adottato entro tale termine. Per i procedimenti
amministrativi avviati d'ufficio, fatta eccezione per quelli di natura tributaria, di
pubblica sicurezza e di incolumità pubblica, le amministrazioni che li promuovono e
li istruiscono trasmettono al Commissario di Governo, i dati e i documenti occorrenti
per l'adozione dei relativi provvedimenti conclusivi. Le disposizioni di cui al presente
comma non si applicano agli atti riguardanti la pubblica sicurezza e l’incolumità
pubblica;
b) ove la zona a burocrazia zero coincida, nelle Regioni Abruzzo, Basilicata,
Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia, con una delle zone franche
urbane individuate dalla delibera CIPE dell' 8 maggio 2009, n. 14, pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 159 dell'11 luglio 2009, le risorse
previste per tali zone franche urbane ai sensi dell'articolo 1, comma 340, della legge
27 dicembre 2006, n. 296, sono utilizzate dal Sindaco territorialmente competente per
la concessione di contributi diretti alle nuove iniziative produttive avviate nelle zone
a burocrazia zero;
c) nella realizzazione ed attuazione dei piani di presidio e sicurezza del territorio, le
Prefetture-Uffici territoriali di governo assicurano assoluta priorità alle iniziative da
assumere negli ambiti territoriali in cui insistono le zone di cui al comma 1.
33
LEGGE 24 MAGGIO 1977, n. 227
(pubblicata nella G. U. 27 maggio 1977, n. 143)
Disposizioni sull'assicurazione e sul finanziamento dei crediti inerenti
alle esportazioni di merci e servizi, all'esecuzione di lavori all'estero
nonché alla cooperazione economica e finanziaria in campo internazionale.
TITOLO I
Costituzione del Comitato interministeriale
per la politica economica estera
1. Allo scopo di definire e coordinare le linee generali della politica del commercio
estero, delle assicurazioni e dei crediti all'esportazione, della politica di cooperazione
internazionale, con particolare riguardo per i Paesi in via di sviluppo, della politica
degli approvvigionamenti e di ogni altra attività economica dell'Italia nei confronti
dell'estero, è costituito, nell'ambito del CIPE, un Comitato interministeriale,
denominato
Comitato interministeriale per la politica economica estera (CIPES).
Del suddetto Comitato interministeriale fanno parte i Ministri per il bilancio e la
programmazione
economica, per gli affari esteri, per il tesoro, per l'agricoltura e le foreste,
per l'industria, il commercio e l'artigianato e per il commercio con l'estero.
Esso è presieduto dal Presidente del Consiglio dei Ministri o su sua delega, dal
Ministro
per il bilancio e la programmazione economica.
TITOLO II
Sezione speciale presso l'INA per l'assicurazione
del credito all'esportazione
2. È istituita presso l'Istituto nazionale delle assicurazioni (INA) la Sezione speciale
per l'assicurazione del credito all'esportazione - SACE.
La sezione ha personalità giuridica di diritto pubblico, con autonomia patrimoniale e
di gestione; ha sede in Roma ed è posta sotto la vigilanza del Ministero del tesoro.
Il Ministro per il tesoro comunica al Parlamento il bilancio consuntivo della sezione
entro il 30 aprile di ciascun anno.
La Corte dei conti esercita il controllo sulla gestione della sezione a mezzo di un
proprio magistrato che assiste alle riunioni del comitato di gestione e del collegio
dei revisori dei conti.
1 Vedasi, anche, la legge 9 febbraio 1979, n. 38, nonché l'art. 12 della legge 7 agosto
1997,
n. 266. Vedasi, inoltre, l'art. 13 del D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 143.
3. La sezione è autorizzata ad assumere in assicurazione e in riassicurazione le
garanzie
sui rischi di carattere politico, catastrofico, economico commerciale e di cambio,
di cui al successivo articolo 14 ai quali sono esposti gli operatori nazionali nella
loro attività con l'estero.
34
Gli impegni assicurativi assunti dalla sezione sono garantiti dallo Stato, entro i limiti
di importo di cui al successivo articolo 17.
In relazione ai compiti ad essa affidati, la sezione è altresì autorizzata a concludere
accordi di riassicurazione o di coassicurazione con enti o imprese italiani, autorizzati
a norma del decreto del Presidente della Repubblica 13 febbraio 1959, n. 449, nonché
accordi di riassicurazione o di coassicurazione con enti od imprese esteri.
In estensione a quanto previsto al secondo comma dell'articolo 13 del D.L. 6 giugno
1956, n. 476, convertito in legge 25 luglio 1956, n. 786, il Ministro per il commercio
con l'estero può delegare alla sezione le competenze di cui alla lettera d) del primo
comma del richiamato articolo 13, in ordine alle operazioni indicate al successivo
articolo 15 della presente legge.
4. L'ordinamento ed il funzionamento della sezione sono disciplinati dallo statuto,
che verrà deliberato dal comitato di gestione, ed approvato con decreto del Ministro
per il tesoro, di concerto con il Ministro per il commercio con l'estero.
5. Gli organi della sezione sono:
1) il presidente;
2) il comitato di gestione;
3) il collegio dei revisori dei conti;
4) il direttore.
6. Il presidente dell'INA presiede la sezione e ne ha la legale rappresentanza.
In caso di assenza o impedimento è sostituito dal presidente del comitato di gestione.
7. Il comitato di gestione è composto da:
un funzionario del Ministero degli affari esteri;
due funzionari del Ministero del tesoro;
un funzionario del Ministero dell'industria, del commercio e dell'artigianato;
un funzionario del Ministero del commercio con l'estero;
un funzionario dell'INA;
un funzionario dell'Istituto centrale per il credito a medio termine (Mediocredito
centrale).
I membri del comitato di gestione, impediti dal partecipare alle riunioni, possono
essere sostituiti da supplenti appartenenti alle stesse amministrazioni od istituti.
I membri effettivi e supplenti del comitato di gestione sono nominati con decreto
del Ministro per il tesoro, di concerto con il Ministro per il commercio con l'estero, e
durano in carica quattro anni.
Nello stesso decreto di nomina vengono designati i membri del comitato di gestione
che ne assumono la presidenza e la vice presidenza.
Le adunanze del comitato di gestione sono valide quando sia presente la maggioranza
dei suoi componenti.
Il comitato di gestione si riunisce, di norma, una volta alla settimana.
8. Il comitato di gestione, sulla base delle direttive impartite dal CIPES, ha il compito
di:
1) determinare i criteri di gestione della sezione;
2) stabilire i limiti minimi e massimi dei premi di assicurazione e riassicurazione; le
35
quote massime di garanzia; l'eventuale quota di scoperto obbligatorio; le condizioni
per il riconoscimento di sinistro ed i relativi termini costitutivi;
3) stabilire le condizioni di ammissibilità alla garanzia, nonché quelle di
assicurazione
e di riassicurazione.
Inoltre, ha il compito di:
a) deliberare le assunzioni delle garanzie e le concessioni delle promesse di garanzia;
b) deliberare sulle dichiarazioni di sinistro e le liquidazioni di indennizzo;
c) accordare le autorizzazioni in base alla delega prevista all'ultimo comma
dell'articolo
3;
d) approvare il bilancio consuntivo entro il 31 marzo di ciascun anno, dandone
comunicazione
al Ministro per il tesoro, anche agli effetti dell'articolo 2 della presente
legge;
e) predisporre gli elementi per la relazione previsionale sull'attività della sezione per
l'anno successivo, di cui all'articolo 28;
f) deliberare lo statuto ed i regolamenti concernenti l'organizzazione e
l'amministrazione
interna;
g) deliberare sugli altri argomenti che lo statuto attribuisce alla sua competenza;
g-bis) deliberare l'emissione di obbligazioni e l'assunzione di mutui e prestiti; le
deliberazioni
sono sottoposte per l'approvazione al Ministro del tesoro; trascorsi dieci
giorni dalla loro ricezione, ove da parte del suddetto Ministro non vengano formulate
osservazioni, le deliberazioni si intendono approvate;
g-ter) deliberare transazioni e cessioni di crediti nel quadro delle iniziative di
recupero
degli indennizzi erogati; le deliberazioni sono sottoposte per l'approvazione al
Ministro del tesoro; trascorsi dieci giorni dalla loro ricezione, ove da parte del
suddetto
Ministro non vengano formulate osservazioni, le deliberazioni si intendono
approvate.
Le deliberazioni adottate in ordine ai punti 1), 2) e 3) sono sottoposte per
l'approvazione
al Ministro per il tesoro; trascorsi dieci giorni dalla loro ricezione, ove da
parte del suddetto Ministro non vengano formulate osservazioni, le delibere stesse
si intendono approvate.
Le deliberazioni adottate in ordine alla lettera a) riguardanti garanzie di durata
superiore
a cinque anni e quelle in ordine alla lettera b) sono sottoposte per l'approvazione
al Ministro per il tesoro; trascorsi cinque giorni dalla loro ricezione, ove da
parte del suddetto Ministro non vengano formulate osservazioni, le deliberazioni
36
stesse si intendono approvate.
Il comitato di gestione può delegare al direttore le proprie competenze relativamente
ad operazioni con caratteristiche e limiti di importo da determinarsi dal comitato
stesso.
9. Il collegio dei revisori dei conti è composto da tre membri effettivi, di cui uno con
funzioni di presidente, e da due supplenti.
I membri del collegio dei revisori sono nominati con decreto del Ministro per il
tesoro,
di concerto con il Ministro per il commercio con l'estero e durano in carica quattro
anni.
Il presidente ed un membro supplente sono designati dal Ministro del tesoro -
Ragioneria
generale dello Stato; un membro effettivo ed uno supplente dal Ministero
dell'industria, del commercio e dell'artigianato - Direzione generale delle
assicurazioni
private; un membro dal Ministero del commercio con l'estero.
I revisori dei conti provvedono al controllo contabile secondo le norme di cui agli
articoli
2397 e seguenti del codice civile.
I revisori dei conti sono tenuti a presentare al Ministero del tesoro una relazione
annuale sul bilancio consuntivo della sezione.
10. Il direttore partecipa alle riunioni del comitato di gestione al quale può proporre
l'emanazione dei provvedimenti che ritiene necessari; è incaricato di eseguirne le
delibere; sovraintende alle attività degli uffici ed esercita i poteri delegati dal
comitato
di gestione al quale riferisce.
Il direttore è nominato con decreto del Ministro per il tesoro, di concerto con il
Ministro
per il commercio con l'estero.
La carica del direttore è incompatibile con altre attività.
11. La sezione, per lo svolgimento della sua attività, si avvale dei servizi e del
personale
dell'INA, nonché del personale di un proprio ruolo, al quale si applicano le
norme dei contratti collettivi di lavoro del personale dipendente dal predetto Istituto.
Le norme per l'assunzione del personale del ruolo della sezione, con il relativo stato
giuridico, saranno stabilite con regolamento deliberato entro trenta giorni dal suo
insediamento dal comitato di gestione, sentito il consiglio di amministrazione
dell'INA,
ed approvato con decreto del Ministro per il tesoro, di concerto con il Ministro
per il commercio con l'estero.
Con il rapporto di lavoro alle dipendenze della sezione è incompatibile qualsiasi
impiego
privato o pubblico e l'esercizio di qualunque professione o commercio o industria.
37
In sede di formazione del ruolo della sezione, anche anteriormente all'approvazione
del regolamento di cui al precedente secondo comma, potrà essere disposta, con
decreto del Ministro per il tesoro, di concerto con il Ministro per il commercio con
l'estero, l'assunzione di personale esperto del settore bancario, finanziario e del
commercio internazionale, in numero non superiore a venticinque unità.
Una convenzione tra l'INA e la sezione regolerà i rapporti derivanti dall'applicazione
di quanto previsto dal primo comma del presente articolo.
12. Alla sezione sono trasferite tutte le attività e passività della gestione tenuta
dall'INA
per conto dello Stato ai sensi delle leggi 22 dicembre 1953, n. 955, 5 luglio
1961, n. 635, 28 febbraio 1967, n. 131, e successive integrazioni.
Nelle attività sono comprese le disponibilità esistenti nel fondo autonomo presso il
Mediocredito centrale, previsto all'articolo 32 della legge 28 febbraio 1967, n. 131.
13. Il fondo di dotazione della sezione è di lire 20 miliardi e sarà costituito
utilizzando
fino alla concorrenza di detto ammontare le attività di cui al precedente articolo
12.
Gli utili della gestione saranno destinati a riserva.
La sezione provvede alle spese di gestione ed al pagamento degli indennizzi con le
residue attività di cui al precedente articolo 12, con i mezzi derivanti dalla riscossione
dei premi, con gli introiti derivanti da recuperi a fronte di indennizzi corrisposti,
con i mezzi provenienti dall'investimento del fondo di dotazione, nonché con le
riserve.
Il fondo di dotazione, le attività di cui al precedente terzo comma e le riserve sono
tenuti presso la tesoreria centrale dello Stato in conto corrente fruttifero o
investimenti
in buoni ordinari del Tesoro, in titoli di Stato o garantiti dallo Stato, ad eccezione
delle somme necessarie allo svolgimento dell'attività corrente della sezione
che, entro i limiti autorizzati dal Ministero del tesoro, possono essere tenute presso
aziende ed istituti di credito.
In caso di insufficienza di fondi, di cui al terzo comma del presente articolo, da
destinare
al pagamento degli indennizzi; la sezione può anticipare, nell'attesa che diventi
operativa la garanzia dello Stato di cui all'articolo 3 della legge, le somme occorrenti
sino al 50 per cento dell'ammontare del fondo di dotazione.
Gli oneri eventuali derivanti dalla garanzia statale di cui al precedente comma
graveranno
su apposito capitolo da iscriversi nello stato di previsione della spesa del
Ministero del tesoro per l'esercizio 1977 e per quelli successivi e da classificarsi tra
le spese di carattere obbligatorio.
Il Tesoro dello Stato è surrogato nei diritti dei creditori verso il debitore in
conseguenza,
dell'operatività della suddetta garanzia statale.
38
TITOLO III
Rischi assumibili in garanzia ed operazioni assicurabili
14. Le garanzie che la sezione è autorizzata ad assumere a norma dell'articolo 3
riguardano
i seguenti rischi, cui sono esposti gli operatori nazionali:
1) mancata riscossione derivante da:
a) guerra, anche se non dichiarata, rivoluzione, sommossa e tumulto popolare, che
si verifichino in un Paese diverso dall'Italia;
b) evento catastrofico, quale terremoto, maremoto, eruzione vulcanica, inondazione,
ciclone, che si verifichi in un Paese diverso dall'Italia;
c) moratoria di pagamento disposta dallo Stato o dagli Stati per il cui tramite deve
essere effettuato il pagamento;
d) nazionalizzazione dell'impresa debitrice;
e) atto o fatto di uno Stato o ente pubblico esteri che comunque ostacoli l'esecuzione
del contratto;
2) mancata riscossione per qualsiasi ragione non imputabile all'operatore nazionale,
quando committente sia uno Stato, un ente pubblico estero, ovvero un privato il cui
pagamento sia garantito da uno Stato o da un ente pubblico estero a ciò autorizzato;
3) sospensione, revoca di commessa o mancato ritiro delle merci in dipendenza degli
eventi di cui al numero 1) del presente articolo, ovvero impossibilità di dare
esecuzione
al contratto, sia a causa del verificarsi degli eventi di cui al predetto numero
1), sia a causa di disposizioni emanate dal Governo italiano, sia a causa di atto
unilaterale di risoluzione da parte del committente nell'ipotesi che questi sia uno
Stato o un ente pubblico;
4) difficoltà di trasferimenti valutari dall'estero che comportino ritardo nella
riscossione
da parte dell'assicurato di somme dovute dal committente, rispetto a quanto
previsto contrattualmente;
5) distruzione, danneggiamento, in dipendenza degli eventi previsti alle lettere a) e
b) del precedente numero 1) del presente articolo, requisizione, confisca,
comportamento
da parte dello Stato estero, che impediscano la riesportazione o la libera
disponibilità di prodotti costituiti in deposito ovvero esposti in mostre o fiere ovvero
esportati in temporanea per tentarne la vendita: di macchinari, attrezzature e mezzi
di trasporto dati in locazione finanziaria; di macchinari, materiali ed impianti di
cantiere;
6) escussione di fideiussioni, mancata o ritardata restituzione di cauzioni, depositi o
anticipazioni, di cui alla lettera m) del successivo articolo 15, per cause non
dipendenti
da inadempienze contrattuali dell'operatore nazionale;
7) nazionalizzazione, espropriazione senza adeguato indennizzo, confisca, sequestro
a danno dell'impresa costituita all'estero da parte dell'autorità straniera ovvero altri
39
provvedimento o comportamenti posti in essere da parte della stessa autorità o eventi
di cui alle lettere a) e b) del numero 1) del presente articolo, che provochino
una perdita o che impediscano definitivamente la prosecuzione dell'attività
dell'impresa;
mancati trasferimenti di fondi spettanti all'impresa nazionale, in dipendenza
di atto arbitrario dell'autorità straniera;
8) aumenti di costi di produzione derivanti da circostanze di carattere generale
sopravvenute
durante l'approntamento della fornitura o l'esecuzione dei lavori o la
prestazione dei servizi, per contratti nei quali venga inserita la clausola totale o
parziale di «prezzo fisso»;
9) mancato pagamento derivante da insolvenza di diritto o di fatto del debitore
privato
estero;
10) mancato rimborso di finanziamenti concessi da aziende di credito ad operatori
nazionali a fronte di esportazioni di merci o prestazione di servizi che risultino
coperte
da garanzia ai sensi della presente legge;
11) variazioni del corso di cambio per contratti stipulati in valuta estera;
12) mancato o incompleto ammortamento dei costi sostenuti per avviare o ampliare
correnti di esportazione, in dipendenza degli eventi di cui alle lettere a) e b) del
numero 1) del presente articolo nonché di nazionalizzazione, espropriazione senza
adeguato indennizzo, confisca, sequestro da parte dell'autorità straniera, ovvero di
altri provvedimenti o comportamenti posti in essere da parte della stessa autorità.
Condizione per l'assicurazione di cui al presente punto 12), è che i costi suddetti
risultino
da un bilancio certificato da una società di revisione autorizzata ai sensi del
decreto del Presidente della Repubblica 31 marzo 1975, n. 136.
15. Le operazioni assicurabili sono le seguenti:
a) esportazioni di merci, relativamente ai rischi di cui ai numeri 1), 2), 3), 4), 5),
6), 7), 8), 9) ed 11) dell'articolo 14;
b) prestazioni di servizi, studi e progettazioni, relativamente ai rischi di cui ai numeri
1), 2), 3), 4), 5), 6), 8), 9) ed 11) dell'articolo 14;
c) esecuzione di lavori all'estero e opere provvisionali ad essi inerenti, relativamente
ai rischi di cui ai numeri 1), 2), 3), 4), 5), 6), 8), 9) ed 11) dell'articolo 14;
d) depositi all'estero per la vendita di prodotti nazionali e partecipazioni a fiere e
mostre all'estero, relativamente ai rischi di cui al numero 5) dell'articolo 14;
e) investimenti diretti all'estero costituiti da apporto di capitali destinati
all'approvvigionamento
di materie prime o diretti a consentire l'acquisizione di contratti di
fornitura di beni e di servizi, investimenti diretti all'estero costituiti da apporti di beni
strumentali, di tecnologia, licenze, brevetti, di servizi di progettazione, di direzione
lavori, di assistenza, gestione e commercializzazione, relativamente ai rischi di
40
cui al numero 7) dell'articolo 14;
f) locazioni finanziarie di macchinari, attrezzature e mezzi di trasporto, relativamente
ai rischi di cui ai numeri 1), 2), 3), 4), 5), 9) ed 11) dell'articolo 14;
g) crediti concessi da istituti e sezioni speciali di credito a medio e lungo termine di
cui all'articolo 19 della legge 25 luglio 1952, n. 949, a Stati o banche centrali esteri,
ad enti o imprese pubblici o privati di Paesi esteri, destinati al finanziamento di
esportazioni
italiane o attività ad esse collegate, esecuzione di studi, progettazioni e
lavori, prestazione di servizi all'estero da parte di imprese nazionali, relativamente
ai rischi di cui ai numeri 1), 2), 4), 9) ed 11) dell'articolo 14;
h) crediti finanziari concessi ai sensi del successivo articolo 27 dal Mediocredito
centrale
e dagli istituti e sezioni speciali di credito a medio e lungo termine di cui all'articolo
19 della legge 25 luglio 1952, n. 949, relativamente ai rischi di cui ai numeri
1), 2), 4) ed 11) dell'articolo 14;
i) linee di credito a breve termine concesse da aziende di credito a banche estere,
conferme di apertura di credito, legate ad esportazioni di merci, servizi, studi e
progettazioni
italiani, all'esecuzione di lavori all'estero da parte di imprese nazionali,
relativamente ai rischi di cui ai numeri 1), 2) e 4) dell'articolo 14;
l) finanziamenti a breve termine accordati da aziende di credito ad operatori nazionali
a fronte di esportazioni di merci e prestazioni di servizi, relativamente ai rischi
di cui al numero 10) dell'articolo 14;
m) prestazioni o costituzioni di fideiussioni, cauzioni, depositi, anticipazioni che gli
operatori nazionali sono tenuti a prestare o costituire all'estero onde poter concorrere
ad aste o appalti indetti da Stati o enti esteri ovvero a fronte di quote di pagamenti
anticipati ovvero al fine della buona esecuzione del contratto di fornitura, di
prestazione di servizi o di esecuzione di lavori, ovvero in sostituzione di trattenute a
garanzia, relativamente ai rischi di cui ai numeri 4), 6) ed 11) dell'articolo 14;
n) programmi di penetrazione commerciale comprendenti studi di mercato, spese di
dimostrazione e di pubblicità, spese per la costituzione di depositi e di
campionamenti,
costi di rappresentanze permanenti all'estero e per il funzionamento di uffici
o filiali di vendita e di centri assistenziali, spese per la costituzione di reti di vendita
e di assistenza all'estero, relativamente ai rischi e alle condizioni di cui al numero
12) dell'articolo 14.
Nei casi in cui i crediti previsti alle lettere g) ed h) vengano concessi sotto forma di
assunzione a fermo di titoli obbligazionari, emessi dallo Stato, banca centrale, ente
o impresa esteri, beneficiari del credito, l'assicurazione contratta dagli istituti e
sezioni
speciali di credito a medio e lungo termine di cui all'articolo 19 della legge 25
luglio 1952, n. 949, garantisce i titoli, in tal modo emessi o acquistati, nei confronti
dei loro portatori relativamente ai rischi da essa coperti.
41
16. In estensione di quanto previsto dai precedenti articoli 3, 14 e 15, lettera g), la
sezione è autorizzata a concedere la garanzia relativamente ai rischi di cui ai numeri
1), 2), 4) e 9) dell'articolo 14, in ordine ai crediti concessi da istituti e banche esteri
a beneficiari di altri Paesi esteri, purché detti crediti siano destinati al pagamento
di esportazioni italiane o di attività ad esse collegate, di esecuzione di studi,
di progettazioni e lavori, di prestazione di servizi all'estero da parte di imprese
nazionali.
Nel caso di lavori all'estero la garanzia assicurativa può essere concessa all'impresa
italiana anche se il contratto per l'esecuzione dei lavori sia stato stipulato da imprese
aventi sede nel Paese in cui si eseguono i lavori, nelle quali, qualunque sia la loro
forma giuridica, vi sia partecipazione diretta o indiretta di capitale dell'impresa
italiana.
In tal caso la copertura assicurativa sarà commisurata all'entità della partecipazione
italiana all'impresa avente sede allo estero, salvo che si accerti una maggiore
effettiva partecipazione dell'impresa italiana all'esecuzione dei lavori, degli
studi e delle progettazioni.
17. Il limite degli impegni assumibili in garanzia ai sensi dell'articolo 3 della presente
legge viene fissato:
a) per le garanzie di durata sino a 24 mesi, in 5.000 miliardi di lire quale limite con
carattere rotativo che potrà essere modificato con la legge di approvazione del
bilancio
dello Stato;
b) per le garanzie di durata superiore a 24 mesi, annualmente, con legge di
approvazione
del bilancio dello Stato. Qualora al termine di ciascun anno finanziario
l'ammontare delle garanzie assunte nell'anno stesso risulti inferiore al limite fissato,
la differenza sarà portata in aumento del limite fissato per l'anno successivo.
TITOLO IV
Finanziamento dei crediti a medio termine
relativi all'esportazione di merci, alla prestazione
di servizi, all'esecuzione di lavori all'estero
18. L'Istituto centrale per il credito a medio termine (Mediocredito centrale) effettua
con gli istituti e le sezioni speciali di credito a medio e lungo termine di cui
all'articolo
19 della legge 25 luglio 1952, n. 949, tutte le operazioni finanziarie previste
dall'articolo 2 della legge 30 aprile 1962, n. 265, e successive modificazioni, relative
al finanziamento dei crediti nascenti dalle operazioni di cui alle lettere a), b),
c), f), g), h) e n) dell'articolo 15, della presente legge.
Limitatamente alle operazioni di cui alla lettera g) dell'articolo 15, il Mediocredito
centrale è inoltre autorizzato ad assumere, da solo o in consorzio, dai medesimi
istituti
e sezioni speciali i titoli, in lire o in valuta estera, loro derivanti dalle operazioni
stesse.
42
Relativamente alle operazioni di cui al primo comma del presente articolo, non
vigono
per il Mediocredito centrale le limitazioni di cui al primo e quarto comma
dell'articolo
18 della legge 25 luglio 1952, n. 949, e successive modificazioni; gli istituti
e le sezioni speciali di credito a medio e lungo termine di cui all'articolo 19 della
stessa legge sono autorizzati ad effettuare qualsiasi operazione finanziaria sui crediti
concernenti le operazioni predette anche se non previste dalle rispettive norme
legislative e statutarie, fermi restando i limiti di somma stabiliti dalle norme stesse
per i crediti che detti istituti e sezioni speciali di credito a medio e lungo termine
possono concedere ad ogni singola impresa, nonché le caratteristiche dimensionali
delle imprese con le quali gli istituti di cui alla legge 22 giugno 1950, n. 445,
possono,
a norma della legge stessa, operare.
Le condizioni, le modalità e i tempi dell'intervento del Mediocredito centrale nelle
operazioni di cui al primo comma del presente articolo saranno stabiliti con decreto
del Ministro per il tesoro, sentito il Comitato interministeriale per il credito ed il
risparmio,
tenendo conto anche della durata delle operazioni, delle valute nelle quali
sono espresse le transazioni e della variabilità del costo della provvista.
In caso di motivata urgenza, il Mediocredito centrale potrà rilasciare un affidamento
riguardante il successivo intervento su operazioni sottoposte direttamente all'Istituto
della sezione o dagli stessi operatori nazionali.
19. Le operazioni di cui all'articolo 18 possono essere compiute per un periodo non
superiore alla dilazione di pagamento accordata dagli operatori nazionali alla
controparte
estera.
Le operazioni di cui all'art. 18 e all'art. 24 della presente legge possono essere
compiute o estese alla fase di approntamento della fornitura a fronte di titoli di
credito
rilasciati dal debitore estero prima della materiale esportazione, anche se depositati
presso una banca nazionale od estera, oppure a fronte di idonea documentazione.
Le modalità sono stabilite con decreto del Ministro del tesoro, sentito il
Comitato interministeriale per il credito e il risparmio.
Il Mediocredito centrale può compiere le operazioni di cui all'articolo 18 anche a
fronte di:
a) titoli in lire italiane o in valuta estera, emessi dagli istituti o sezioni speciali di
credito a medio e lungo termine di cui all'articolo 19 della legge 25 luglio 1952, n.
949, rappresentativi della proprietà di speciali gruppi di valori o di titoli pubblici o
privati pervenuti a detti istituti o sezioni speciali di credito a medio e lungo termine
in dipendenza dei finanziamenti di cui alle lettere g) ed h) del precedente articolo
15;
b) titoli obbligazionari, in lire italiane od in valuta estera, emessi, anche in deroga
43
alle disposizioni di cui all'articolo 2410 del codice civile, dagli istituti o sezioni
speciali
di credito a medio e lungo termine predetti a fronte dei finanziamenti degli
stessi concessi ai sensi delle lettere g) ed h) del precedente articolo 15.
Per effetto delle operazioni di cui al comma precedente e per la quota afferente a
dette operazioni, il Mediocredito centrale ha speciale prelazione sui rimborsi dei
finanziamenti
a fronte dei quali sono state emesse le obbligazioni di cui alla precedente
lettera b).
20. [I risconti e le anticipazioni di cui alle lettere d) ed e) dell'art. 2 della L. 30 aprile
1962, n. 265, e successive modificazioni, non potranno eccedere l'85 per cento
del credito capitale concesso dall'operatore italiano al committente estero.
Gli istituti e le sezioni speciali credito a medio e lungo termine di cui all'art. 19 della
L. 25 luglio 1952, n. 949, dovranno partecipare al finanziamento delle operazioni,
assumendo a proprio carico una quota non inferiore al 15 per cento dell'intervento
del Mediocredito centrale].
21. Il Mediocredito centrale, previa autorizzazione del Ministro per il tesoro, può
effettuare
operazioni finanziarie con gli istituti e le aziende di credito di cui al regio
decreto-legge 12 marzo 1936, n. 375, e successive modificazioni, con i loro istituti
centrali di categoria, con enti ed istituti di diritto pubblico, con istituti assicurativi e
previdenziali e con istituti finanziari esteri. All'uopo il Mediocredito centrale può
cedere
i titoli ad esso posseduti, munendoli, ove necessario, della propria girata, ovvero
può costituirli in pegno.
22. Allo scopo di contribuire a coprire la differenza tra il tasso delle operazioni di
finanziamento
previste dall'articolo 18 ed il costo dei mezzi ottenuti con le operazioni
passive effettuate dal Mediocredito centrale a norma dell'articolo 21, il Ministero del
tesoro potrà corrispondere al Mediocredito centrale un contributo la cui misura sarà
stabilita con decreto del Ministro per il tesoro, sentito il Comitato interministeriale
per il credito ed il risparmio.
23. Per la provvista effettuata sui mercati esteri dal Mediocredito centrale e dagli
istituti e sezioni speciali di credito a medio e lungo termine di cui all'art. 19 della
legge 25 luglio 1952, n. 949, destinata al finanziamento dei crediti all'esportazione,
previa autorizzazione prevista dalle vigenti disposizioni, il Ministro per il tesoro può
accordare con proprio decreto, sentito il Comitato interministeriale per il credito e il
risparmio, la garanzia dello Stato per il rimborso del capitale e degli interessi.
24. In estensione a quanto previsto dall'articolo 2 della legge 30 aprile 1962, n.
265, e successive modificazioni, il Mediocredito centrale potrà corrispondere agli
operatori nazionali che ottengano finanziamenti all'estero a fronte di singoli contratti
di fornitura di merci e servizi nonché di esecuzione di studi e lavori un contributo
agli interessi, la cui misura sarà fissata dal Ministro del tesoro, secondo le modalità
44
previste al quarto comma dell'articolo 18 della presente legge.
Con le stesse modalità e condizioni di cui al precedente comma il Mediocredito
centrale
potrà altresì corrispondere:
a) un contributo agli interessi agli acquirenti esteri di beni e servizi nazionali nonché
ai committenti esteri di studi, progettazioni e lavori da eseguirsi da imprese nazionali,
in relazione alle operazioni assicurate ai sensi del primo comma dell'articolo 16
della presente legge;
b) un contributo agli interessi in favore degli istituti e delle aziende di credito di cui
al R.D.L. 12 marzo 1936, n. 375, e successive modificazioni, limitatamente ai crediti
nascenti dalle operazioni previste alle lettere a), b), c), f) e n) del precedente articolo
15, che detti istituti ed aziende di credito siano autorizzati ad effettuare per
durate superiori a diciotto mesi;
c) un contributo agli interessi in favore di istituti e banche esteri che finanzino
direttamente
esportazioni di beni e servizi prodotti da imprese nazionali, nonché l'esecuzione
di studi, progettazioni e lavori da esse effettuati.
25. Ai fini del coordinamento tra il limite assumibile per garanzie assicurative di cui
al precedente articolo 17, lettera b), e le disponibilità finanziarie del Mediocredito
centrale, a partire dall'anno finanziario 1978, con apposita norma da inserire nella
legge di approvazione del bilancio dello Stato è stabilito l'importo da destinare al
Mediocredito centrale per la corresponsione di contributi agli interessi per le
operazioni
di finanziamento delle esportazioni con pagamento differito.
Eventuali ulteriori conferimenti al fondo di dotazione del Mediocredito centrale
saranno
fissati con legge a seguito della presentazione del piano previsionale di cui al
successivo articolo 28.
TITOLO V
Crediti finanziari destinati alla cooperazione economica e
finanziaria in campo internazionale
26. Nel quadro della cooperazione italiana con i Paesi in via di sviluppo e sulla base
degli indirizzi stabiliti dal CIPES, il Ministro del tesoro, su proposta del Ministro
degli
affari esteri, di concerto con il Ministro del commercio con l'estero, può autorizzare
il Mediocredito centrale a concedere, anche in consorzio con enti o banche estere, a
Stati, banche centrali o enti di Stato di Paesi in via di sviluppo, crediti finanziari
agevolati
destinati al miglioramento della situazione economica e monetaria di tali
Paesi, tenendo conto della partecipazione italiana a progetti e programmi di
cooperazione
approvati nelle forme di legge e diretti a favorire e promuovere il progresso
tecnico, culturale, economico e sociale di detti Stati.
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Per le operazioni di cui al precedente comma è costituito presso il Mediocredito
centrale
un fondo rotativo. La dotazione del fondo avverrà con legge, mediante stanziamenti
nello stato di previsione della spesa del Ministero del tesoro.
27. In caso di insufficienza del fondo di cui al secondo comma del precedente
articolo,
il Ministro del tesoro, su proposta del Ministro degli affari esteri, di concerto
con il Ministro del commercio con l'estero, può autorizzare di volta in volta il
Mediocredito
centrale ad emettere prestiti obbligazionari per conto del fondo, garantiti
dallo Stato, in lire o in valuta estera, per la concessione, anche in consorzio con enti
o banche esteri, a Stati, banche centrali od enti di Stato di Paesi in via di sviluppo,
di crediti finanziari destinati al miglioramento della situazione economica e
monetaria
di detti Stati, tenendo conto della partecipazione italiana a progetti e programmi
di cooperazione approvati nelle forme di legge e diretti a favorire e promuovere il
progresso tecnico, culturale, economico e sociale di detti Stati.
Per le operazioni di cui al comma precedente potrà essere autorizzata dal Ministro
per il tesoro in favore del Mediocredito centrale la corresponsione di appositi
contributi
agli interessi.
Il Ministro per il tesoro, di concerto con il Ministro per gli affari esteri e con il
Ministro
per il commercio con l'estero, può autorizzare gli istituti e le sezioni speciali di
credito a medio e lungo termine di cui all'articolo 19 della legge 25 luglio 1952, n.
949, a concedere a Stati e banche centrali esteri crediti destinati al rifinanziamento
di debiti di detti Stati.
Per le operazioni di cui al comma precedente il Ministro per il tesoro potrà
autorizzare
la corresponsione di contributi agli interessi a valere sulle disponibilità residue
di cui all'articolo 3 del decreto-legge 13 agosto 1975, n. 376, convertito in legge 16
ottobre 1975, n. 492.
TITOLO VI
Disposizioni finali e transitorie
28. Contestualmente alla presentazione al Parlamento del bilancio di previsione dello
Stato, il Ministro per il tesoro presenta il piano previsionale degli impegni assicurativi
della sezione dei fabbisogni finanziari del Mediocredito centrale per l'anno
successivo.
A tale scopo la sezione trasmette entro i trenta giorni che precedono la presentazione
al Parlamento del bilancio di previsione dello Stato i dati e gli elementi necessari
a predisporre il piano previsionale di cui al precedente comma; il Mediocredito
centrale predispone entro la stessa data il piano generale di utilizzo delle effettive
disponibilità finanziarie ai sensi dell'articolo 4 della legge 30 aprile 1962, n. 265.
46
Il Ministro per il tesoro trasmette al Parlamento ogni semestre una relazione
sull'attività
svolta dalla sezione e sugli interventi del Mediocredito centrale del settore
finanziamento
delle esportazioni, nonché elementi per valutare l'attività da svolgere
nel semestre successivo. In particolare, la relazione dovrà fornire indicazioni
specifiche
sulle operazioni effettuate in base al numero 12) dell'articolo 14 della presente
legge, alla lettera n) dell'articolo 15 e alla lettera n) richiamata dal primo comma
dell'articolo 18.
La sezione e il Mediocredito centrale sono tenuti a inviare al Ministro per il tesoro i
dati e gli elementi necessari alla predisposizione della relazione di cui al comma
precedente.
Il Ministro per il tesoro trasmette inoltre al Parlamento ogni semestre, avvalendosi
degli elementi e delle indicazioni forniti dal Ministro per gli affari esteri, dal Ministro
per il commercio con l'estero e dal Mediocredito centrale, una relazione sull'attività
svolta nel quadro della cooperazione economica e finanziaria, di cui agli articoli 26 e
27 della presente legge, nonché elementi per valutare l'attività da svolgere nel
semestre
successivo.
29. Il consiglio di amministrazione del Mediocredito centrale, di cui all'articolo 25
della legge 25 luglio 1952, n. 949, e l'articolo 5 della legge 30 aprile 1962, n. 265,
è integrato da un funzionario del Ministero degli affari esteri, designato dallo stesso
Ministero e da un ulteriore componente designato dal consiglio centrale dello stesso
istituto.
30. Si applicano a favore del Mediocredito centrale, per le operazioni finanziarie di
cui al secondo comma dell'articolo 2 della legge 30 aprile 1962, n. 265, e successive
modificazioni, effettuate a norma dell'articolo 18 della presente legge, le disposizioni
di cui al comma secondo dell'articolo 18 della legge 25 luglio 1952, n. 949, ed
a favore degli istituti e sezioni speciali di credito a medio e lungo termine, di cui
all'articolo
19 della legge stessa, le disposizioni di cui al terzo comma dell'articolo 18
della citata legge.
31. La Cassa per il credito alle imprese artigiane è autorizzata ad effettuare con gli
istituti ed aziende di credito di cui all'articolo 5 del regio decreto-legge 12 marzo
1936, n. 375, e successive modificazioni, le operazioni previste dall'articolo 34 lettera
a) e b) della legge 25 luglio 1952, n. 949, e successive modificazioni, relative
al finanziamento di crediti nascenti dalle operazioni di cui alla lettera a) del
precedente
articolo 15.
32. I benefici di cui al titolo IV del decreto del Presidente della Repubblica 29
settembre
1973, n. 601, sono estesi anche:
47
a) agli effetti cambiari e titoli equivalenti emessi sia in Italia sia all'estero, all'ordine
di operatori nazionali a fronte di crediti destinati a formare oggetto di assicurazione
o di finanziamento nell'ambito della presente legge;
b) agli effetti cambiari e titoli equivalenti emessi sia in Italia che all'estero all'ordine
di istituti italiani o al portatore, a fronte di operazioni di cui al precedente articolo
15, lettere g) ed h).
I titoli di cui alla precedente lettera a), qualora non vengono utilizzati per gli scopi
originari avanti specificati, debbono essere integrati di bollo nella misura vigente
all'atto
dell'integrazione stessa; dette integrazioni non comportano l'applicazione di
penalità.
I titoli emessi all'estero, nella forma di promesse di pagamento e titoli equivalenti o
di dichiarazioni di debito o di atti di riconoscimento di debito, all'ordine di istituti e
sezioni speciali di credito a medio e lungo termine di cui all'articolo 19 della legge
25 luglio 1952, n. 949, o al portatore, o fronte di operazioni di cui al precedente
articolo
15, lettere g) ed h), non sono assimilabili alle obbligazioni, agli effetti fiscali.
Agli interessi sui titoli obbligazionari emessi all'estero all'ordine degli istituti e
sezioni
speciali di credito a medio e lungo termine di cui al precedente comma, o al portatore,
a fronte di operazioni di cui al precedente articolo 15, lettere g) ed h), non si
applica la disciplina di cui al terzo comma dell'articolo 26 del decreto del Presidente
della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600.
Agli interessi sulle obbligazioni, e titoli similari, emessi dagli istituti e sezioni
speciali
di credito a medio e lungo termine di cui all'articolo 19 della legge 25 luglio 1952,
n. 949, a fronte di operazioni di cui al terzo comma del precedente articolo 19, non
si applica la disciplina di cui al primo comma dell'articolo 26 del decreto del
Presidente
della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600.
Resta fermo l'attuale trattamento tributario per le operazioni effettuate dal
Mediocredito
centrale e dagli istituti e sezioni speciali di credito a medio e lungo termine
di cui all'articolo 19 della legge 25 luglio 1952, n. 949.
Alle operazioni di provvista all'estero destinate al finanziamento di esportazioni,
assistite
dal contributo del Mediocredito centrale, di cui all'articolo 23 - con o senza
garanzia statale - e all'articolo 24 della presente legge, non si applica la disciplina
prevista dall'articolo 26 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre
1973, n. 600, e successive modificazioni ed integrazioni.
33. I premi di assicurazione e riassicurazione relativi alle operazioni ammesse alla
garanzia sono esenti dall'imposta sulle assicurazioni stabilita dalla legge 29 ottobre
1961, n. 1216.
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Sono parimenti esenti dalla suddetta imposta i premi percepiti dalle imprese di
assicurazione
sulle eccedenze da esse assicurate al di sopra della percentuale ammessa
alla garanzia statale, esclusa in ogni caso la quota a carico dell'assicurato e sempreché
l'assicurazione sia stipulata su tipi di polizza approvati dal comitato di gestione.
Sono, inoltre, esenti dalle imposte di bollo e di registro, nonché dalla formalità della
registrazione tutti i contratti di assicurazione, di riassicurazione, le polizze, le
quietanze,
le ricevute e gli altri atti compilati in dipendenza delle operazioni concernenti
i rischi coperti dalla garanzia statale, ivi compresi la cessione, il pegno ed il vincolo
34. I diritti derivanti dall'assicurazione possono essere ceduti, dati in pegno e
comunque
vincolati, interamente o parzialmente, a favore di terzi, anche indipendentemente
dalla cessione del credito assicurato.
La cessione, il pegno o il vincolo hanno effetto nei confronti della sezione soltanto
se le siano stati comunicati.
35. Le garanzie concesse in base alle leggi 22 dicembre 1953, n. 955, 5 luglio
1961, n. 635 e 28 febbraio 1967, n. 131, e successive integrazioni, restano regolate
dalle leggi medesime.
36. Il Ministro del tesoro è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le variazioni
di bilancio occorrenti per l'applicazione della presente legge.
37. Con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta dei Ministri per il tesoro
e per il commercio con l'estero e previa deliberazione del Consiglio dei Ministri,
può essere disposta la sospensione delle facoltà concesse dalla presente legge alla
sezione e al Mediocredito centrale di cui al primo comma dell'articolo 3 e
dell'articolo
18, quando analoghe facilitazioni alle esportazioni concesse da altri Stati fossero
sospese o revocate.
38. A tutti gli effetti l'attività della gestione assicurativa disciplinata dalla legge 28
febbraio 1967, n. 131, cesserà trascorsi sessanta giorni dall'insediamento degli organi
della sezione, di cui all'articolo 5.
Sono abrogate, a partire dalla predetta data, le leggi 28 febbraio 1967, n. 131 e 12
aprile 1973, n. 221 e tutte le disposizioni contrastanti o comunque incompatibili con
la presente legge.
Enzo Canettieri
Le pubblicazioni della collana editoriale
“Per saperne di più...”
sono consultabili e disponibili all’indirizzo:
www.uil.it/contrattazione/persapernedipiu.html
a cura del Servizio Politiche Contrattuali