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LENSING

E

MICROLENSING

GRAVITAZIONALE

di Marco Sergio Erculiani

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Capitolo 1: Storia 1.1 Cenni storici 5

Capitolo 2: Teoria generale

2.1 Teoria generale delle lenti gravitazionali 9

2.2 Anelli di Einstein 14

2.3 Sorgenti estese 16

2.4 Angolo di deflessione 17

2.5 Conservazione della brillanza superficiale 20

2.6 Amplificazione ed ingrandimento 22

2.7 Caustiche e linee critiche 26

2.8 Ritardo temporale e principio di Fermat 26

2.9 Tipologie e modelli di lenti

2.9.1 lenti circolari simmetriche 29

2.9.2 lenti simmetriche non-circolari 34

2.10 Il cielo come un foglio piegato 36

2.10.1 Caso della sfera isoterma liscia 37

2.10.2 Caso della sfera isoterma singolare 39

2.10.3 Sistemi ellittici 40

2.11 Ripiegamenti e cuspidi 42

2.11.1 Ingrandimento vicino ad un ripiegamento 43

2.11.2 Ingrandimento vicino ad una cuspide 45

2.11.3 Lenti binarie 49

Capitolo 3: Macrolensing 3.1 Applicazioni e riscontri del Macrolensing 52

3.2 Lensing di quasar 53

3.3 Approccio statistico al lensing gravitazionale 59

3.4 Ritardo temporale e determinazione della costante H0 62

3.5 Lensing di ammassi e strutture estese: lenti forti 65

3.6 Lensing di ammassi e strutture estese: lenti deboli 68

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3.6.1L’algoritmo di Kaiser & Squires 68

3.6.2Eliminare la degenerazione massa-foglio misurando la Convergenza 71

3.7 Il redshift della sorgente e la sua determinazione 73

3.7.1 Metodi per campi finiti 73

3.8 Lente debole prodotta da strutture estese su larga scala 74

3.9 Correlazioni fra Quasar e Galassie 75

3.10 Lensing del CMB 75

Capitolo 4: Microlensing Gravitazionale

4.1 Introduzione 75

4.2 Microlensing e probabilità 76

4.3 Curve di luce 77

4.4 Microlensing di quasar 78

4.5 Materia oscura e microlensing 83

bibliografia 86

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Capitolo 1: 1.1 Cenni storici Nel 1783, un geologo, astronomo e filosofo di nome John Mitchell (1724-1793) inviò a Henry Cavendish (1731-1810) un suo scritto riguardante i metodi di misura di masse stellari Attraverso la misura della diminuzione della velocità dei raggi luminosi per effetto della gravità, quando i corpuscoli di luce si propagano dal campo gravitazionale della stella alla terra. Suggerì inoltre che l’estrema massività di un corpo avrebbe potuto addirittura bloccare la propagazione della luce, senza tuttavia risultare visibile. Questo portò Cavendish a calcolare per la prima volta, la deflessione Newtoniana della luce, probabilmente attorno al 1784. Sfortunatamente, questi lavori non furono mai pubblicati, ma vennero scoperti postumi molto tempo dopo, sotto forma di note e appunti. La prima testimonianza scritta della deviazione gravitazionale della luce apparse in un articolo del “Berliner Astronomisches Jahrbuch auf das Jahr 1804” intitolato “Sulla deflessione di un raggio luminoso dal suo moto rettilineo dovuto all’attrazione di un corpo che vi passa vicino”. Johann Soldner, un geologo astronomo e matematico che all’epoca lavorava presso l’Osservatorio di Berlino fu uno dei primi a sondare questo innovativo campo e dedusse che la luce, al bordo del sole, viene deflessa di un angolo 84.0~ =α arcsec. Fu però Albert Einstein che, nel 1911, attribuì alla gravità la peculiarità di aver effetti anche sulla luce. Einstein trovò, ignaro di quanto era avvenuto circa un secolo prima, gli stessi risultati che Soldner aveva estrapolato grazie alla teoria Newtoniana. Infatti, all’epoca, la Teoria della Relatività Generale non era ancora stata sviluppata in tutta la sua maestosa potenza. Egli definì l’angolo di deflessione di un raggio luminoso al bordo del sole come:

83.02~

2==

Θ

Θ

Rc

GMα arcsec

in cui G è la costante gravitazionale, c la velocità della luce, ed ΘM e ΘR sono rispettivamente la

massa ed il raggio del sole. Appena un anno dopo lo stesso Einstein, derivò le equazioni delle lenti, e la possibilità che la gravità creasse immagini doppie o ingrandimenti rispetto alle immagini reali degli oggetti celesti. Nel 1913 contattò il direttore dell’Osservatorio di Mount Wilson, Gorge Ellery Hale per avere informazioni riguardo alla deflessione della luce al bordo del sole e, nel 1914 partì una spedizione diretta in Crimea per misurarne il valore durante l’eclisse di sole, allegando anche la misura da lui effettuata e, come oggi sappiamo, errata a causa della mancata considerazione degli effetti relativistici. Fortunatamente, o sfortunatamente per Einstein, mentre gli osservatori erano nella penisola russa, scoppiò la prima guerra mondiale. Pertanto le misurazioni furono rinviate di qualche anno. Col completamento della Teoria della Relatività Generale Einstein fu il primo a derivare il corretto valore di α~ . Trovò infatti che un raggio luminoso che passa ad una distanza r da un corpo di massa M viene deviato di un valore pari ad:

rc

GM2

4~ =α 1.1)

in cui G è la costante gravitazionale, c la velocità della luce, ed M e r sono rispettivamente la distanza a cui è messo il corpo, e la sua massa.

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Il fatto che al numeratore ci sia un valore doppio rispetto a quanto trovato da Soldner è indice della curvatura spazio-temporale. Inserendo il valore della massa e del raggio del sole nella 1 Einstein trovò per α~ un valore di 1.74 arcsec. In seguito, nel 1919, Eddington ed i suoi ricercatori diedero la conferma di quanto Einstein aveva predetto. Nel 1920, Eddington notò che la deflessione della luce dava origine talvolta allo sdoppiamento delle immagini di alcuni oggetti di campo, che apparivano sulla parte opposta del detector. Chwolson sottolineò il fatto che tale fenomeno poteva far sembrare binarie stelle che in realtà erano singole. Se inoltre c’era perfetto allineamento fra le stelle, ossia una era dietro l’altra, si avrebbe avuto come risultato un anello luminoso. Nel 1936 Einstein pubblicò in forma definitiva l’espressione per l’ingrandimento di due immagini stellari a grandissima distanza, e concluse che l’effetto di lente gravitazionale non era di pratica rilevanza a causa dell’esiguo angolo di separazione fra le immagini, peraltro irrisolvibile, e che sarebbe stato estremamente improbabile avere corpi che distorcessero la luce in maniera considerevole. Ma l’anno successivo, Zwicky mostrò che, se a distorcere la luce fosse stata una galassia, anziché una stella, essa avrebbe prodotto un fenomeno osservabile. Tale fenomeno avrebbe potuto permettere la stima dell’oggetto frapposto fra la sorgente e l’osservatore, ed inoltre avrebbe consentito, a causa della distorsione della luce, l’osservazione di stelle a distanze maggiori di quanto si sarebbe potuto fare con gli strumenti dell’epoca. Tali parole non rimasero solo teoria, ma furono in seguito riscontrate con l’avvento di strumenti più potenti. Tuttavia, la prima rilevante e significativa evidenza del fenomeno della lente gravitazionale avvenne nel 1979 quando Walsh, Carswell e Weymann osservarono l’immagine multipla di un quasar ad alto redshift, Q0957+561 (figura 1.1), resa tale a causa di una galassia.

Figura 1.1: immagine del quasar Q0957+561. E.E. Falco et al. - CASTLE collaboration Questa scoperta diede il via ad una nuovo campo di ricerca astronomico che oggi è diventato molto attivo, in quanto è di estrema utilità per la cosmologia.

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Ad esempio, una volta stimata la massa dell’oggetto che provoca la deflessione dei raggi luminosi è possibile calcolare la costante di Hubble H, analizzando il ritardo temporale fra le immagini multiple di un quasar, e di conseguenza avere più dati per determinare la velocità di espansione dell’universo. Le statistiche delle lenti gravitazionali sono sensibili ai parametri cosmologici. Infatti, la costante cosmologica vincola la frequenza delle immagini multiple, e la diversa distribuzione delle frammentazioni delle immagini danno informazioni circa l’aumento delle strutture su scala galattica. Come se non bastasse, il fenomeno di lente gravitazionale distorce le misure delle proprietà osservabili di quasar e AGN, e di questo è fondamentale tener conto in sede di elaborazione dati. Nel 1986, Lynds & Petrosian, come anche Soucail scoprirono un altro effetto dovuto alla deflessione gravitazionale della luce. Osservarono infatti che ricchi ammassi di galassie distorcevano l’immagine originale di altre galassie di campo in lunghissimi archi che si propagavano attorno al nucleo di essi (figura 2).

Figura 2: immagine del gruppo di Abell 2218 (Courtesy hubble) Ci sono però alcune situazioni più delicate, in cui, a causa dell’eccessiva lontananza dalla regione centrale dell’ammasso o perché l’ammasso stesso non è abbastanza massivo da produrre effetti di deflessione visibili, non è immediato il riconoscimento del fenomeno di lente gravitazionale. Anche in questo caso però è possibile ricostruire la distribuzione di massa dalla forma delle minuscole galassie blu sullo sfondo attorno all’ammasso. Queste galassie infatti hanno una caratteristica elongazione tangenziale, ed è proprio la loro ellitticità che, differendo dalla media attorno all’ammasso, che restituisce l’informazione sulla distribuzione di materia che genera il fenomeno di lensing.

Archi dovuti alla lente gravitazionale

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Recentemente, inoltre, è stato possibile misurare correlazioni di elletticità delle galassie su scale di 10’, indotte da lenti gravitazionali deboli a causa dell’effetto delle strutture a larga scala sulle galassie. Lo studio dell’effetto di lente gravitazionale dato da oggetti compatti, come le stelle, nasce negli anni settanta grazie al lavoro di Liebes e Refsdal, che studiarono e formalizzarono tale effetto nella nostra galassia, in quella di Andromeda e negli ammassi globulari. Chand e Refsdal si occuparono dell’effetto dato dalle stelle appartenenti a galassie le quali stanno operando un effetto di “macrolensing ” su di una sorgente di fondo. Tale studio iniziò subito dopo la scoperta del quasar binario Q0957-561. Dedussero che, quando sia la sorgente che viene distorta, che la galassia che opera la distorsione, sono a distanze cosmologiche, il passaggio attraverso la linea di vista di una stella non fa altro che implementare la distorsione di un angolo che, in genere, è di O µarcsec.

Press e Gunn, nel 1973, mostrarono che una densità cosmologica di oggetti compatti, massivi e non luminosi si manifestava attraverso l’effetto di microlensing di sorgenti ad alto redshift. Nel 1981 Gott non escluse la possibilità di rintracciare aloni oscuri di galassie remote attraverso il microlensing di quasar. Ma nel 1986 Paczyński notò che, monitorando le curve di luce delle stelle nella Grande Nube di Magellano per più di un anno, era possibile stabilire se l’alone della nostra galassia fosse composto da oggetti compatti con masse comprese fra 610− e 210 masse solari, ossia coprendo buona parte della posizione e della distribuzione della materia oscura barionica in forma di pianeti gioviani, nane brune e resti stellari come stelle morte, stelle di neutroni e buchi neri. Inoltre si scoprì che, mentre le stelle deboli nel disco della nostra galassia fornivano informazioni sull’effetto di microlensing, le osservazioni attraverso il nucleo davano informazioni sulla componente oscura della galassia vicino al piano galattico.

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Capitolo 2:

2.1 Teoria generale delle lenti gravitazionali

La situazione più semplice da studiare per capire gli effetti delle lenti gravitazionali consiste nel sistema di figura 3, costituito da una massa puntiforme M, la lente, distante DOL dall’osservatore,situata vicino alla linea di vista di una sorgente S.

Figura 3: Schematizzazione del sistema in cui un corpo puntiforme funziona come una lente gravitazionale. Qui, DOS è la distanza fra l’osservatore e la sorgente, e DLS è la differenza fra quest’ultima e la distanza fra la lente e l’osservatore. L’angolo β descrive la separazione angolare reale (come sarebbe in assenza di lente) della sorgente (S), rispetto all’asse ottico, nella direzione della lente, e θ è l’angolo descritto dalla posizione apparente della sorgente (I). Un raggio di luce che passa ad una distanza ξ viene deflesso, a causa del campo gravitazionale della lente, di un angolo α . DOL È la distanza della massa M dall’osservatore,situata vicino alla linea di vista di una sorgente S. Definiamo DOS la distanza fra l’osservatore e la sorgente, e DLS è la differenza fra quest’ultima e la distanza fra la lente e l’osservatore. L’angolo β descrive la separazione angolare reale (come sarebbe in assenza di lente) della sorgente (S), rispetto all’asse ottico, nella direzione della lente, e θ è l’angolo descritto dalla posizione apparente della sorgente (I).

ξ

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Un raggio di luce che passa ad una distanza ξ viene deflesso, a causa del campo gravitazionale della lente, di un angolo α , dato dall’equazione 2.1:

ξξα SR

c

GM2

2== 2.1)

in cui G è la costante di gravitazione universale, M è la massa del corpo che funge da lente e c è la velocità della luce. Chiameremo SR Raggio di Einstein.

Dalla figura 3 si ottiene facilmente la relazione 2.2:

LSOSOS DDD αθβ ˆ−= 2.2)

e, definendo:

OLD

ξθ = 2.2a)

e

ξα

2

c

GM= 2.2b)

possiamo scrivere la 2.2 come:

LS

OL

OSOS Dc

GM

DDD

ξξ

β2

4−= 2.3)

e, dividendo per OSD si ottiene:

θθ

ξξ

βOLOS

LSS

OS

LS

OL DD

DR

D

D

c

GM

D

242

−=−= 2.4)

che è l’equazione delle lenti, dove β e θ possono assumere valori sia positivi che negativi. Nell’espressione 2.4 si ha pertanto una relazione tra angoli, che si può sintetizzare come segue:

θα

θβ2

0−= 2.5)

definendo 0α come l’angolo caratteristico o raggio di Einstein:

OLOS

LS

OLOS

LSS

EDDc

GMD

DD

DR20

42=== θα 2.6)

Possiamo definire analogamente una lunghezza caratteristica 0ξ che è rappresentato come segue:

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OL

OS

LSOL

OS

LSOLS DD

DD

c

GM

D

DDR020

42αξ === 2.7)

ed una lunghezza di scala caratteristica in questo modo:

OS

OL

LSOS

OL

LSOSS DD

DD

c

GM

D

DDR020

42αη === 2.8)

Riscrivendo la 2.5 come segue:

020

2 =−− αβθθ 2.9)

otteniamo un’equazione di secondo grado nella variabile θ . Risolvendola, otteniamo i valori di θ corrispondenti alle posizioni delle immagini:

+±=−+

220, 4

2

1βαβθ 2.10)

Il risultato così ottenuto è brevemente schematizzato in figura 4, dove O è l’osservatore, M la massa che genera il campo, −+,θ sono le posizioni angolari delle immagini, −+,I le immagini e S la

sorgente:

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figura 4: Posizione delle due immagini di una lente puntiforme, dove O è l’osservatore, M la massa che genera il campo, −+,θ sono le posizioni angolari delle immagini, −+,I le immagini e S la

sorgente. La separazione angolare fra le due immagini si trova facilmente ed è:

022

0 24 αβαθθθ ≥

+=−=∆ −+ 2.11)

e la separazione angolare vera fra la sorgente e la massa deflettente, ossia β è data dalla somma di

+θ e di −θ :

−+ += θθβ 2.12) Pertanto l’equazione ha due soluzioni di segno opposto. Ciò significa che la sorgente ha un’immagine per ogni lato della lente. Le due immagini saranno di luminosità comparabile solo se β , e quindi θ , saranno dello stesso ordine di grandezza di 0α e, se la separazione angolare tipica fra le due immagini si avvicinerà al

valore critico di 02α , il corrispondente parametro d’impatto risulterà essere proprio 0ξ sopra

descritto. Due casi importanti di lensing sono i seguenti. Il primo caso è quello in cui sia la sorgente che la massa che genera il campo, sono a distanze cosmologiche.

Pertanto, i fattori OS

LSOL

D

DD e

LS

OSOL

D

DDsaranno le frazioni η ed η ’della lunghezza di Hubble

0H

c:

0H

c

D

DD

OS

LSOL η= 2.13a)

0

'H

c

D

DD

LS

OSOL η= 2.13b)

dove 0H è la costante di Hubble e c la velocità della luce.

Se misuriamo 0H in unità di 50 11 −− ⋅⋅ MpcsKm avremo che 50500 ⋅= hH 11 −− ⋅⋅ MpcsKm e la

lunghezza di Hubble sarà:

pchcmhH

c 150

928150

0

108.5108.1 −− ×≈×≈ 2.14)

Pertanto al 2.6 diventerà:

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sec'

102.1 5060 arc

h

M

M

ηα

Θ

−×≈ 2.15)

dove gM 3310989.1 ⋅=Θ è la massa del sole, e KmRc

GMS 9.52

42

≈= ΘΘ

La lunghezza di scala corrispondente è pertanto, dalla 2.7:

pchM

Mcm

hM

M

5050

170 03.010

ηηξ ⋅≈⋅≈

ΘΘ

2.16)

Il secondo caso riguarda la situazione in cui OSLSOL DDD ≈>> .

In questo caso:

sec1

103 30 arc

Kpc

D

M

M OL

Θ

−×≈α 2.17)

e

cmKpc

D

M

M OL

1104 13

0 ⋅⋅≈Θ

ξ 2.18)

Nel più vicino sistema di lente gravitazionale , la lente è una galassia a spirale di massa M= ΘM1210

e posta a redshift 0039.0=dz .

Dalla 2.18 otteniamo Kpch500 7≈ξ .

Le due immagini sono di luminosità comparabile solo se β è sufficientemente piccolo, di modo che

0αθ ≅ .

In questo caso, ogni distribuzione sferica simmetrica di materia si può considerare come una massa

puntiforme, se il suo raggio è minore di 30ξ , poiché la parte esterna di una tale distribuzione si può

sempre descrivere attraverso la metrica di Schwarzschild.

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2.2 Anelli di Einstein

Un caso particolare si ha quando si ha perfetto allineamento fra la sorgente, l’osservatore e la massa che fa da lente, come mostra la figura 5:

figura 5: Schematizzazione dell’effetto “anello di Einstein”, in cui osservatore, lente e sorgente giacciono sulla stessa linea. In questo caso β=0 e l’equazione 2.9 si riduce alla:

020

2 =−αθ 2.19)

e pertanto le soluzioni saranno 0, αθ ±=−+ .

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Poiché non esiste un piano preferenziale di propagazione della luce, il risultato è rotazionalmente simmetrico attorno alla massa che genera il campo, con raggio 0α .

In questo caso idealizzato, infiniti raggi di luce con identici cammini ottici arrivano all’osservatore e lì interferenza e diffrazione distruggono l’effetto di lente gravitazionale del corpo interposto. Ma poiché le sorgenti reali sono estese, non puntiformi e nemmeno monocromatiche, ci sono dei ritardi di fase fra raggi che arrivano da direzioni differenti attorno all’asse ottico. Ciò accade se il ritardo temporale è superiore al tempo di coerenza. D’altro canto, sorgenti estese, non risolte e non perfettamente in linea con l’osservatore, producono pressappoco gli anelli predetti dalla teoria. Un perfetto anello attorno alla sorgente si avrebbe soltanto nel caso di una simulazione, come mostra la figura 6:

figura 6a e 6b : Simulazione di lente gravitazionale ed immagine reale (SDSS J162746.44-005357.5) 6a: Credit: NASA, ESA, and the SLACS Survey team È importante sottolineare che sorgenti estese possono avere immagini anulari anche se la lente non è perfettamente simmetrica.

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2.3 Sorgenti estese

figura 7: Sistema di lente gravitazionale generalizzato. Il centro del sistema è L, dov’è presente la massa che genera il campo gravitazionale. L’asse OL è l’asse ottico. N è la l’intercetta sulla sfera ideale in cui è presente la sorgente. SS, SD e SO sono rispettivamente la sfera ideale su cui giace la sorgente, quella su cui giace la massa che fa da lente e la sfera che rappresenta la volta celeste rispetto all’osservatore. S è la sorgente, β l’angolo sotteso dalla sorgente in assenza di materia frapposta,α l’angolo di deflessione e θ è l’angolo sotto cui si vedrebbe la sorgente nel caso di materia generante un campo gravitazionale. Come si vede in figura 6, analizzeremo ora il caso più generale di lensing gravitazionale. Consideriamo una ipotetica sfera SS in cui è posta la sorgente S. Tale sfera ha raggio DOS ed è centrata in O. Consideriamo inoltre la sfera SD di raggio DOL e centro O su cui è posto il deflettore (L). Chiamiamo la linea OL asse ottico. Quest’ultimo intercetta la sfera SS in N. Infine prendiamo in esame la sfera SO che rappresenta la volta celeste dell’osservatore. Se non ci fosse la massa M, la sorgente S si vedrebbe in O sottesa da un angolo β. Tuttavia, poiché la materia interagisce gravitazionalmente con la luce, la linea OS non è più il raggio reale che l’osservatore vedrebbe. Infatti, a causa dell’effetto di lensing, il nuovo cammino della luce è OI’S, approssimato dai due segmenti OI ed IS. In O pertanto si vedrà la sorgente non più sottesa dall’angolo β ma dall’angolo θ. L’angolo α è l’angolo di deflessione causato dalla distribuzione L. Generalmente, i casi di interesse fisico si occupano di sistemi in cui l’angolo di deflessione è molto piccolo, sotto i 30”.

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Poiché come abbiamo visto, il parametro d’impatto 0ξ è molto grande rispetto al raggio di

Schwarzschild, nelle regioni interessate si ha a che fare con campi gravitazionali molto blandi. Per questo motivo verrà scelto soltanto un piccolo cono attorno all’asse ottico OL in modo che le sfere SS e SD sopra descritte si possano localmente ridurre a piani, rispettivamente piano della sorgente e piano della lente. La distanza LI sarà descritta da un vettore bidimensionale ξ nel piano della lente, essendo I≡I’ e, se α è piccolo, gli angoli α e θ saranno descritti da vettori angolari nel piano tangente a SO .

Dalla figura 7 possiamo dedurre brevemente le relazioni tra l’angolo di posizione della sorgente β e

le posizioni delle immagini θ=OLD

1ξ:

β= θ- ⋅OS

LS

D

Dα ( ξ) 2.20)

o, in termini di distanza η= ⋅OSD β fra la sorgente e l’asse ottico:

η= ⋅OL

OS

D

D ξ- LSD α ( ξ) 2.21)

Data la posizione η della sorgente e la distribuzione di materia possiamo avere diverse soluzioni per ξ. Pertanto sarà possibile vedere l’immagine della sorgente in diversi punti dello spazio. Nell’approssimazione adottata, solitamente, le lenti di Schwarzschild producono due immagini. Ciò avviene anche per stelle normali, a patto però che il parametro d’impatto sia più piccolo del raggio stesso della stella. In genere si può asserire che una distribuzione trasparente di materia con massa totale finita e con un campo gravitazionale debole produce un numero dispari di immagini. Pertanto, noti θ e la legge di deflessione α ( ξ) possiamo calcolare direttamente β. 2.4 Angolo di deflessione

Consideriamo una distribuzione di massa )(xr

ρ che funge da deflettore.

Chiameremo ∑ )(ξ la densità di massa superficiale alla posizione ξ , e lo definiremo così:

∫∑ = ),()( zdz ξρξr

2.22)

dove ξ è il vettore bidimensionale che indica le posizioni nel piano della lente e z la coordinata nella direzione ortogonale. Dal momento che per lenti sottili vige la proprietà associativa degli angoli di deflessione, possiamo considerare una distribuzione estesa di materia come un insieme di masse mi ed esprimere l’angolo di deflessione totaleα ( ξ) come segue:

α ( ξ)= ∑−

i i

i

c

G22

im4

ξξ

ξξ 2.23)

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dove ξ descrive la posizione del raggio di luce nel piano della lente e ξ i quello delle masse mi.

Passando al limite e definendo ∑= ξξ 2)( ddm con ξ2d l’elemento di superficie sul piano della

lente e ∑ )(ξ la densità di massa superficiale alla posizione ξ , possiamo ottenere così l’integrale

che si estende lungo tutto il piano della lente:

α ( ξ)= ∫∑ℜ −

22

2

2'

'')'(

4

ξξ

ξξξξ d

c

G 2.24)

Ricordiamo che, affinché l’integrale 2.24 abbia significato debbono verificarsi le seguenti condizioni: 1) il campo gravitazionale della lente deve essere debole 2) α ( ξ) deve essere piccolo 3) la distribuzione di massa stazionaria deve essere stazionaria 4) la velocità della materia all’interno della lente deve essere molto minore di c Per una distribuzione circolare di materia con densità di massa finita posso scrivere l’angolo di deflessione in questo modo:

ξπξ

ξα2

2

4)( Σ=

c

G

D

D

OS

LS 2.25)

e, chiamando θξ LD= possiamo scrivere:

θπθα Σ=2

4)(

c

G

D

DD

OS

OLLS 2.26)

Definendo infine superficie di densità di massa critica critΣ come:

LSOL

OScrit

DD

D

G

c

π4

2

=Σ 2.26a)

possiamo scrivere l’angolo di deflessione per una distribuzione di massa così:

θθαcritΣΣ

=)(ˆ 2.26b)

La superficie di densità di massa critica è data dalla massa della lente M lungo la superficie

dell’anello di Einstein: π2E

critR

M=Σ con OLE DR θ=2 .

Il valore della superficie di densità di massa critica è di circa 0.8 2−⋅ cmg per lenti e sorgenti di

redshift pari rispettivamente a 5.0=Lz e 0.2=Lz . Se la superficie è maggiore della superficie di densità di massa critica vengono prodotte immagini multiple. E’ utile tuttavia scrivere l’angolo di deflessione in termini di potenziale gravitazionale ψ:

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19

∫≡ ),()( zdz ξϕξψrr

2.27)

che, grazie all’equazione di Poisson

ρπϕ G42 =∇ 2.28) si può trasformare nell’equazione:

∑≡∇ )(4)(2 ξπξψξrr

G 2.29)

Inoltre, la funzione di Green G che soddisfa all’equazione )'(2)',( 22 ξξπδξξξ

rrrr−=∇ G , si può

scrivere come:

)'(ln)',( ξξξξrrrr

−=G 2.30)

e il potenziale proiettato può essere scritto così:

∫ ∑ −≡Ψ 'ln)'('2)( 2 ξξξξξrrr

dG 2.31)

Pertanto, l’angolo di deflessione si può scrivere come segue:

) (2

=) (ˆ 2

ξψξα ξ

rrr∇

c 2.32)

Un caso particolare e d’interesse è quello in cui la distribuzione di massa ha simmetria sferica.

Il questo caso, la densità di massa superficiale dipende solo da ξξr

≡ .

L’angolo di deflessione assume lo stesso valore per tutti i punti a distanza ξ dal centro. Possiamo applicare il teorema di Gauss, mostrando che l’integrale della divergenza di un campo in una superficie ξS circoscritta entro un raggio ξ attorno al centro, è pari al flusso del campo

vettoriale attraverso il contorno ξC :

∫∫ =⋅∇ξξξξ

ααCS

dlds

rrrr

2.32a)

Usando le equazioni 2.32 e 2.29 otteniamo che 2

8

c

GΣ=⋅∇π

αrr

e quindi il modulo dell’angolo di

deflessione è:

ξξ

ξα2

)4GM(=) (ˆ

c

r 2.32b)

con

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20

)(''2=) (0

ξξξπξξ

Σ∫ dMr

2.32c)

Perciò, per una distribuzione di massa sferica l’angolo di deflessione dipende soltanto dalla massa totale racchiusa entro ξ .

Nel caso di sorgenti estese ho dalla 2.2b, α definito dalla 2.24 e OLD

ξθ = .

Introduciamo un potenziale gravitazionale riscalato, in modo che:

ψOLOS

LS

DD

D

c 2

2=Ψ 2.33)

con Ψ definito dalla 2.31.

Introduciamo ancora dalla 2.2b OS

LS

D

Dˆ αα =

Dalla 2.30 ho che

Ψ∇θαr

= 2.34)

e l’equazione delle lenti diventa:

)(- θθβ θ

rrrrΨ∇= 2.35)

Poiché l’equazione non è lineare in θ , è possibile trovare per una sorgente, più soluzioni della 2.35. Ciò corrisponde alla formazione di immagini multiple e si di ce che si è in regime di lensing forte. Ricordiamo che la 2.2 mette in relazione gli angoli e le distanze di un universo in cui regna la trigonometria euclidea. Tuttavia, in un universo in espansione, le distanza spaziali non sono definite univocamente e perciò quanto detto si riferisce a distanze di diametro angolare. Ricordiamo che un’altra distanza in gioco è LD , la distanza di luminosità, ossia quella distanza tale

che il flusso emesso da una sorgente isotropa di luminosità intrinseca L è 2LD4

L

π=F .

In generale LD e la distanza di diametro angolare non coincidono in uno spazio-tempo curvo. Ricordiamo che, per un universo di Friedmann si ha, dalla relazione distanza-redshift:

)1()1(

)2(1)2(1222

0 LS

LSSL

LSzz

zzzz

H

cD

++Ω

Ω+Ω−Ω+−Ω−Ω−Ω+= 2.36)

2.5 Conservazione della brillanza superficiale

La deflessione della luce può modificare la luminosità apparente di una sorgente. Ciò deriva dalla distorsione dell’angolo solido sotteso da un oggetto a causa del fatto che la brillanza superficiale intrinseca non cambia per effetto del lensing.

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21

Definiamo brillanza superficiale νI come il flusso di energia ad una frequenza ν che attraversa

un’area unitaria perpendicolare alla direzione di propagazione, per unità di tempo, si angolo solido e di intervallo di frequenza:

ννddtdAd

dE

Ω=I 2.37)

Consideriamo ora la radiazione emessa da una sorgente come un flusso di fotoni caratterizzato da una densità nello spazio delle fasi t),p,xf(

rr che da’ il numero di fotoni entro tale spazio

pdxd

dNt),p,xf(

33 rrrr

= 2.38)

Chiamiamo il fascio energia dNEdE γ= , con cph == νγE e p il momento del fotone, che

Ω= dpdpp 23d e che dAcdtx =3d ho:

33

)(

hcp

dEt),p,xf(

hcp

I

dAdtdd

νν

=rr

2.39)

Se non c’è assorbimento od emissione di fotoni il teorema di Liouville mostra come f non cambi durante la propagazione del fotone stesso.

Ciò implica che 3

)(

p

I ν è costante lungo la traiettoria e non è affetto da deflessione.

Se l’espansione dell’universo non ci fosse, il momento del fotone si conserverebbe, come anche la brillanza superficiale. In cosmologia, il momento Sp del fotone emesso da una sorgente a redshift Sz è correlato al

momento osservato del fotone 0p dalla relazione:

0)1( pzp SS += 2.40)

e quindi la conservazione della brillanza superficiale in un universo in espansione diventa:

30

00)1(

))1(()(

S

SSS

z

zII

+

+==

ννν 2.41)

oppure

3

0

000

)(

))1(()(

p

p

zII

S

SSS ννν

+== 2.42)

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22

2.6 Amplificazione ed ingrandimento

figura 8: Raggi di luce da un elemento di superficie dS in presenza di una lente. I corrispondenti elementi di superficie delle immagini nel piano delle lenti sono ±dS Il flusso di una sorgente che si osserva è il risultato del prodotto fra la sua brillanza superficiale e l’angolo solido che sottende. Poiché la brillanza superficiale si conserva, ma l’angolo solido sotteso dalla sorgente è modificato dall’effetto di lensing, ci sarà un incremento della luminosità della sorgente pari a:

0ΩΩ

=d

dA 2.43)

dove Ωd è l’angolo solido osservato, e 0Ωd quello che si osserverebbe in assenza di lente.

Consideriamo il primo caso, quello di una lente puntiforme. Una sorgente posta ad un angolo β ha due immagini poste ad angoli +θ e −θ definiti nell’equazione 2.10.

Una parte della sorgente dS che sottende un angolo solido βφβ ddD

dSd

OS

==Ω20 corrisponde ad un

immagine che sottende un angolo solido ±±±

± ==Ω θφθ ddD

dSd

OL

2.

Pertanto, dalla 2.43 otteniamo:

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23

ββθθ

d

d

d

dA ±±±± =

Ω

Ω=

0

2.44)

L’equazione 2.10 si può anche scrivere nella forma:

+±=−+ 2

0

2

0,4

12 α

βα

βθ 2.45)

e sostituendola nella 2.44 ho:

20

2

20

2

42

2

2

1

αββ

αβ

+

+±=±A 2.45a)

L’immagine che corrisponde a −θ , ha 0Ω

Ω= −

−d

dA negativa, e si dice che ha parità negativa.

Quando la separazione angolare delle due immagini è abbastanza grande da poter essere risolta, si

può misurare l’amplificazione relativa −

+

A

A.

Se, al contrario, la separazione angolare delle due immagini non è abbastanza grande da poter essere risolta, si osserva solo il flusso totale della sorgente e l’amplificazione totale si misura sommando i valori assoluti delle amplificazioni delle due immagini:

20

2

20

2

4

2

αββ

αβ

+

+=+= −+ AAA 2.46)

Ovviamente, non si può calcolare l’amplificazione da una sola immagine, poiché non si conosce il flusso originale della sorgente, ma se la lente si muove sulla alla linea di vista rispetto alla sorgente, l’ amplificazione cambia col tempo, e si può misurare la variazione di luminosità delle immagini. Nel caso più generale di una distribuzione di massa senza simmetria, l’equazione 2.20 implica la

deflessione vettoriale di ⋅OS

LS

D

Dα ( ξ).

L’equazione generale delle lenti può essere interpretata come una mappatura fra gli angoli βr e θ

r,

cioè fra l’attuale posizione nel cielo della sorgente e le immagini. Denotando con J la lo Jacobiano della mappatura, e definendolo come

θ

βr

r

∂= detJ 2.47)

si può mettere in relazione l’elemento di angolo solido nel piano dell’immagine 21 θθ ddd ∧=Ω ,

con il corrispondente angolo solido nel piano della sorgente 210 ββ ddd ∧=Ω , attraverso la

01 Ω=Ω − dJd 2.48)

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24

Il corrispondente ingrandimento, che è il rapporto fra gli angoli solidi sarà pertanto:

1

0

−=ΩΩ

= Jd

dA 2.49)

Dall’equazione 2.35 possiamo ricavare la matrice della mappatura fra le coordinate angolari:

∂∂Ψ∂

−=∂

∂=Τ

ji

ij

j

i

ij θθδ

θβ 2

2.50)

Ricordiamo che l’angolo di deflessione si può esprimere come il gradiente di un potenziale scalare bidimensionale ψ .

αψθr

=∇ 2.51)

ricordando che, generalizzando la 2.33

∫=Ψ dxrDD

D

c OLOS

LS )(22

rψ 2.52)

con )(r

rψ il potenziale Newtoniano della lente.

Definiamo:

ji

ij θθ ∂∂Ψ∂

=Ψ2

2.53)

La traccia di ijΨ è:

)(2)(

222

2211 θθ

θθ θ kTrTrcrji

ij =ΣΣ

=Ψ∇=∂∂Ψ∂

=Ψ+Ψ=Ψ 2.54)

poiché il Laplaciano di Ψ è proporzionale alla densità superficiale )(θΣ .

Definiamo cr

kΣΣ

=)(

)(θ

θ come convergenza.

La mappatura si descrive come combinazione lineare delle derivate seconde di ψ :

)(2

12

2

2

21

2

1θθ

γ∂

Ψ∂−

Ψ∂= 2.55a)

12

2

21

2

2 θθθθγ

∂∂Ψ∂

=∂∂Ψ∂

= 2.55b)

Pertanto la matrice della mappatura si può scrivere cosi’:

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25

−−

−=

+−−

−−−

)2cos()2sin(

)2sin()2cos(

01

10)1(

1

1

12

21

ϕϕϕϕ

γγγ

γγk

k

k 2.56)

L’effetto di k è quello di cambiare le dimensioni dell’immagine di una sorgente senza modificarne la forma. La parte della matrice formata dai termini 1γ e 2γ si chiama sollecitazione di taglio ed è responsabile della distorsione della forma dell’immagine. Poiché T è simmetrica non c’è rotazione dell’immagine. La figura 9 rappresenta gli effetti della sollecitazione di taglio e della convergenza su una sorgente circolare. La convergenza ingrandisce l’immagine isotropicamente, la sollecitazione di taglio la deforma in un ellisse.

figura 9: effetti della sollecitazione di taglio e della convergenza su una sorgente circolare L’amplificazione è data dalla:

22)1(

1

)det(

1

γ−−==

kTA 2.57)

con 22

21 γγγ +=

A sua volta, l’amplificazione ha un contributo che nasce da una convergenza isotropia dovuta alla densità di materia locale nel piano della lente, e una convergenza anisotropia dovuta agli effetti mareali, descritta da γ . La matrice di mappatura ha autovalori 1-k-γ e 1-k+γ . In un sistema di coordinate concentriche con l’asse principale della sollecitazione di taglio orientato

lungo l’angolo θr, T è diagonale ed ha questi autovalori sulla diagonale.

Allora l’immagine è “stirata” di un fattore γ−− k1

1 in una direzione e di un fattore

γ+− k1

1

nell’altra. Un valore negativo dei due fattori implica che l’immagine è invertita lungo quella direzione. Se entrambi gli autovalori sono negativi l’immagine appare come se fosse ruotata di 180°.

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26

2.7 Caustiche e linee critiche

Per una data distribuzione di lenti si può avere anche una amplificazione divergente rispetto ad alcune posizione della sorgente. Le direzione lungo cui l’amplificazione diverge, nel piano della sorgente, vengono chiamate caustiche. Le immagini delle caustiche si chiamano linee critiche. Nelle sorgenti reali l’estensione fa sì che l’amplificazione sia una media pesata rispetto alla brillanza superficiale, e quindi impedisce che l’amplificazione diverga quando la sorgente attraversa una caustica. Per una lente puntiforme, come si vede dall’equazione 2.45a, l’amplificazione diverge se la sorgente risulta perfettamente allineata con la lente.

In questo caso, la caustica si ha nel punto 0=βr

, mentre la linea critica corrisponderà all’anello di Einstein. Tali casi sono però ristretti a particolari configurazioni di lenti circolari simmetriche. In genere, per gli altri casi, le caustiche e le linee critiche sono curve chiuse.

Esse sono determinate dal valore di βr per cui lo Jacobiano J della mappatura della lente si azzera.

Le caustiche e le linee critiche sono importanti per quanto riguarda il numero delle immagini. Inoltre linee critiche hanno la peculiarità di dividere le regioni del cielo in cui le immagini hanno parità opposte. 2.8 Ritardo temporale e principio di Fermat

Il percorso che la luce compie in presenza di materia che agisce come lente gravitazionale può essere interpretato come una conseguenza del teorema di Fermat. In presenza di materia infatti, la luce subisce anche un ritardo temporale rispetto al tempo che impiegherebbe se non ci fosse la lente. Ciò è semplificato in figura 10, dove O è l’osservatore, S la sorgente, L la massa o lente.

figura 10: ritardo temporale dovuto ad un eccesso di cammino ottico.

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27

Tale ritardo ha due componenti, una geometrica, che nasce dal fatto che la traiettoria deviata è più lunga di quella diritta, ed un'altra gravitazionale, che deriva dal fatto che il passo dell’orologio e le distanze sono affette dal campo gravitazionale della massa che deflette il raggio di luce. Chiameremo queste due componenti rispettivamente geomtδ e gravtδ .

Quest’ultima, si può ottenere in questo modo: scriviamo innanzitutto la metrica di Schwarzschild

)sin(2

1

1)

21( 22222

2

22

2

2 φθθ ddrdr

rc

GMdtc

rc

GMds +−

−−−= 2.58)

in coordinate radiali R definite da:

2

2)

21(

Rc

GMRr += 2.59)

ed introduciamo le coordinate cartesiane

=

=

=

θφθ

φθ

cos

sinsin

cossin

Rz

Ry

Rx

2.60)

Pertanto, la 2.58 si può scrivere come:

( )2224

2

22

2

2

22

21

21

21

dzdydxRc

GMdtc

Rc

GMRc

GM

ds

+−

+

−= 2.61)

Nel limite di campo debole, la 2.61 si può scrivere così:

( )222

2

22

2

2 21

21 dzdydx

cdtc

cds

−−

+=ϕϕ

2.62)

in termini del potenziale gravitazionale ϕ . A grandi distanze dalla lente, lo spazio si può approssimare a quello Euclideo, dove la coordinata temporale corrisponde al tempo proprio misurato dall’osservatore. Per un evento di genere luce, ds=0. Pertanto,possiamo calcolare il tempo impiegato da un raggio di luce per propagarsi da un punto A ad un punto B, lungo z:

−≅−B

A

z

zAB dz

cctt

2

21

1 ϕ 2.63)

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28

e quindi il ritardo temporale gravitazionale sarà:

)(2

)(2

33ξψϕδr

cdzz

ct

B

A

z

zgrav −=−= ∫ 2.64)

Scriviamo ora l’equazione 2.35 come:

( ) 02

1)(-

2=

Ψ−+−∇=Ψ∇+− θβθθβ θθ

rrrrrrr 2.65)

Il termine Ψ , dalla 2.64 è proporzionale al ritardo temporale. Dalla figura 10 possiamo calcolare il ritardo temporale, che risulta essere:

( )c

Dt OLgeom

1δβθδ −= 2.66)

con 2

αδ = .

Pertanto:

( ) ( )LS

OLOS

OLgeomcD

DD

cDt

2

1

2

ˆ 2βθα

βθδ −=−= 2.67)

ricordando che β= θ- ⋅OS

LS

D

Dα ( ξ).

Il ritardo temporale totale è dato dalla somma del ritardo temporale geometrico e di quello gravitazionale. Entrambi sono prodotti nelle vicinanze della lente e quindi, se la distanza dalla lente aumenta per esempio per alti redshift, bisogna tener conto che durante il tempo che il fotone viaggia dalla lente alla terra l’universo si è espanso di un fattore 1+zL. Pertanto, dalle 2.64, 2.33 e 2.67 abbiamo che il ritardo temporale totale tδ è:

( )

Ψ−+−+=2

2

1)1( θβδ

rr

LS

OLOS

LcD

DDzt 2.68)

che confrontata con l’equazione 2.65 da’:

0=∇ tδθr

2.69)

Ciò significa che per una sorgente fissata βr, le immagini appariranno lungo le direzioni θ

r per cui

il ritardo temporale ha un estremo, e quindi il problema si può ricondurre al teorema si Fermat.

tδ definisce una superficie bidimensionale parametrizzata in coordinate θr.

Il contributo di geomtδ è quello di dare alla superficie una forma di paraboloide centrata nella

sorgente mentre gravtδ particolarizza la superficie.

Senza lente, gravtδ =0 e l’unico minimo sarebbe quando βr=θr, per cui gravtδ =0 .

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29

La matrice di mappatura si può riscrivere in questo modo: La matrice di mappatura si può riscrivere in questo modo:

jiOLOS

LS

j

iij

t

DD

cD

θθδ

θβ

∂∂∂

=∂

∂=Τ

2

2.70)

Dal segno della seconda derivata parziale dipendono le parità delle immagini.

Una situazione con le immagini con entrambi le parità positive corrisponde ai minimi della funzione

di ritardo.

Immagini con una parità negativa ed una positiva corrispondono a punti di sella, mentre parità

entrambe negative costituiscono un massimo per la funzione.

Coppie di immagini che appaiono e scompaiono quando la sorgente è in una caustica hanno parità

opposte e corrispondono ad un minimo (o un massimo) e un punto di sella. Quando si formano immagini multiple il tempo di viaggio della luce è in genere diverso da immagine ad immagine. Per cui l’osservatore vedrà a tempi diversi, variazioni dell’intensità della sorgente.

2.9 Tipologie e modelli di lenti

2.9.1 lenti circolari simmetriche

Quando un oggetto opera come una lente in una galassia o in un ammasso, bisogna tener conto anche della natura estesa della distribuzione di massa. Un esempio semplice che riproduce le curve di rotazione della galassia è il modello sfera isoterma singolare. Immaginiamo che i componenti della massa si comportino come particelle di un gas ideale confinate dal loro potenziale gravitazionale a simmetria sferica. L’equazione di stato delle particelle, che ora saranno le stelle, sarà:

m

ktp

ρ=

2.71) dove ρ e m sono rispettivamente la densità e la massa delle stelle. In condizioni di equilibrio termico, la temperatura T è correlata alla dispersione di velocità delle stelle σ dalla relazione:

kTm =2σ 2.72) Poiché la sfera è isoterma, σ è costante lungo tutta la galassia, per definizione. Pertanto, l’equazione dell’equilibrio idrostatico da’:

2

)('

r

rGMp−=

ρ 2.73)

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30

e

ρπ 24)(' rrM = 2.74) dove M(r) è la massa entro il raggio r e l’apice primo indica la derivata rispetto a r. Combinando le 2.71, 2.72 e 2.73 abbiamo che la distribuzione di massa è data dalla:

2

2

2)(

Grr

πσ

ρ = 2.75)

Tale distribuzione di massa è la sfera isoterma singolare.

Ricordiamo inoltre che la velocità delle particelle in orbite circolari in un potenziale gravitazionale

è:

=== 22 2)(

)( σr

rGMrvC costante 2.76)

Integrando lungo la linea di vista la densità di massa otteniamo la densità superficiale

θσ

θOLGD2

)(2

=Σ 2.77)

e la massa entro un cerchio di raggio r è

G

DM OLθπσθ

2

)( = 2.78)

L’angolo di deflessione diventa pertanto:

2

24ˆ

c

πσα = 2.79)

che non dipende da θ . Pertanto, l’equazione delle lenti si può scrivere in questa maniera:

−=θθ

θβ E1rr

2.80)

e l’angolo di Einstein per questo sistema è:

OS

LSE

Dc

D2

24πσθ = 2.81)

Una sorgente posta ad una separazione angolare dal centro della distribuzione minore dell’angolo di Einstein ha due immagini poste a Eθβθ ±=± . Il potenziale proiettato ridotto per questa lente è:

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31

θθθ E=Ψ )(r

2.82)

La funzione di ritardo temporale 2.68 ha quindi un minimo e una sella se Eθβ < o solo un minimo

se Eθβ > .

Se Eθβ < l’equazione delle lenti ha due soluzioni Eθβθ ±=± L’amplificazione delle immagini è data dalla 2.44:

βθ

βθ EA ±== ±

± 1 2.83)

Se invece Eθβ > ho una sola immagine a Eθβθθ +== + . Questo modello di lente ha una caustica puntiforme a 0=β , con le linee critiche date dall’anello di Einstein. Poiché l’angolo di deflessione è costante in questo modello, l’amplificazione lungo r è 1, per cui non c’è variazione nelle dimensioni radiali della sorgente e l’ingrandimento è dovuto solo alla deformazione tangenziale dell’angolo solido. Una conseguenza di ciò è la comparsa di immagini con alta elongazione, che chiameremo archi radiali.

La singolarità centrale nella distribuzione di densità dell’equazione 2.75 può essere svolta introducendo una regione di nucleo con densità finita. Un tale modello si chiama “softened isothermal sphere” o sfera isoterma attenuata, e la distribuzione di massa è data dalla:

)(2)(

22

2

crrGr

+=π

σρ 2.84)

dove cr è il raggio di core.

Integrando lungo la linea di vista ottengo che la densità superficiale è:

22

2 1

2)(

cOLGD θθ

σθ

+=Σ 2.85)

dove OL

c

cD

r≡θ .

La massa racchiusa entro un cerchio di raggio θ è data da:

( )ccOL

G

DM θθθ

πσθ −+= 22

2

)( 2.86)

e l’equazione delle lenti, in questo caso è:

( )

−+−= cc θθθ

θθ

θβ 22

201

rr 2.87)

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32

dove l’angolo OS

LS

Dc

D2

2

0

4 σπθ ≡ corrisponde all’angolo di Einstein.

Come sopra detto, le linee critiche si formano ogniqualvolta ci sono immagini multiple. In questo caso ho due tipi di linee critiche: una corrisponde all’anello di Einstein, ed ha un raggio angolare pari a:

E

c

E θθ

θθ2

10 −=

e l’immagine della sorgente è collocata alla caustica corrispondente a 0=β .

Un’altra linea critica si forma quando 0=θβ

d

d ed ha raggio angolare:

2

1

0

00

411

21

++−=

c

ccR θ

θθθ

θθθ 2.88)

che è più piccolo del raggio di Einstein. La caustica corrispondente è una circonferenza di raggio )( RR θββ = . Le linee critiche esistono solo se la densità superficiale centrale è più grande della densità critica. L’equazione 2.87 viene usata per trovare le posizioni delle immagini. Per questo motivo viene riscritta come un’equazione di terzo grado:

( )( ) 0222 000223 =−−−+− cc θβθθθθθββθθ 2.89)

che ha una o tre soluzioni in base alla posizione della sorgente. Per sorgenti poste fuori dalla caustica circolare si ha una sola immagine, mentre per sorgenti poste all’interno della caustica circolare se ne hanno tre. Le immagini che si trovano vicino a questa caustica saranno allungate lungo la direzione radiale e

poiché 0=θβ

d

d si ha che l’estensione radiale dell’immagine è molto più grande di quella della

sorgente. Tale caustica si dice caustica radiale. Le immagini invece vicine all’origine, come ad esempio vicine alla caustica puntiforme, sono allungate tangenzialmente, e formano talvolta grandi archi nelle vicinanze dell’anello di Einstein. Ciò si può facilmente vedere in figura 11.

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Figura 11: immagine di una sorgente soggetta a lente gravitazionale da parte di una sfera isoterma non singolare, per due diverse posizioni della sorgente. La sorgente vicino alla caustica esterna produce un’immagine allungata radialmente nella curva critica più interna, ed una allungata tangenzialmente fuori dalla linea critica esterna. La sorgente vicino alla caustica interna ha due nuove immagini a forma di arco allungate tangenzialmente e poste vicino alla linea critica più esterna. Se la distribuzione si può modellare come una isoterma sfera attenuata, e si osservano archi radiali, la loro posizione rispetto al centro della distribuzione di materia ( Rθθ = ) può essere usata per

stimare il raggio di core cθ , come si vede dall’equazione 2.88.

Nel limite di piccolo raggio di core, si ritorna al modello da cui si è partiti, poiché Eθθ ≈ e la linea

critica radiale diventa un punto ( cER θθθ = ).

Per questo motivo ci sono solo due immagini, per ER θββ ≈< . Il potenziale gravitazionale ridotto proiettato nel caso di una sfera isoterma attenuata è dato dalla:

[ ])ln()( 22220 cccc θθθθθθθθ ++−+=Ψ

r 2.90)

In questo caso la funzione di ritardo temporale avrà un minimo, un massimo ed un punto di sella quando Rββ < , mentre solo un minimo in tutti gli altri casi. La distribuzione di massa non avrà singolarità ed il numero delle immagini sarà dispari. Parliamo ora di un’altra classe di modelli sferici simmetrici data da:

a

s

a

s

s

r

r

r

rr

−+=

3)1()()(

ρρ 2.91)

dove sr è il raggio di scala ed il parametro a regola il profilo di densità vicino all’origine.

A=2 corrisponde al modello di sfera isoterma singolare, a=1 invece corrisponde al modello di Navarro, Frank e Whiter, ottenuto da simulazioni numeriche di formazioni di strutture laddove non ci sia dissipazione di materia oscura fredda. L’equazione 2.91 è anche chiamata profilo NFW.

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2.9.2 lenti simmetriche non-circolari:

Un modello più realistico tiene conto anche dell’ellitticità dell’ammasso. Un caso naturale è quello ellittico isotermo ridotto, con:

222

21

021

)1()1(),(

c

c

θθεθε

θθθ

+++−

Σ=Σ 2.92)

che fornisce la descrizione di un profilo galattico di ellitticità ε . A grandi distanze dal centro esso ha un andamento inversamente proporzionale ad r , che ben descrive l’andamento del gas e delle stelle nelle galassie. Un secondo metodo può consistere nel considerare un potenziale proiettato con linee ellittiche isopotenziali. Poiché i limiti implicano che θ≈Ψ lontano dal centro, possiamo scrivere:

222

21

021 )1()1(),( c

c

θθεθεθ

θθ +++−Ψ

=Ψ 2.93)

Per piccoli valori di ε il sistema si approssima bene ad una distribuzione di materia ellittica, ma per valori di ε più grandi di 0.2 il potenziale ellittico decade in una distribuzione di massa a forma di arachide, e pertanto non è più un modello affidabile. Tuttavia, ci sono dei casi in cui, anche se la distribuzione di massa è effettivamente circolare, l’ambiente in cui essa si trova porta ad un contributo non simmetrico per il potenziale totale. Pertanto, la correzione da apportare è quella di aggiungere al potenziale gravitazionale proiettato i termini:

( ) ( ) 2122

22

112

22

121 22),( θθγθθ

γθθθθ +−++=Ψ

k 2.94)

che corrisponde ad una aggiunta di termini di convergenza (k) e di sollecitazione di taglio ( 2,1γ ).

Per i modelli ellittici le linee critiche sono molto più complesse rispetto ai modelli circolari. Infatti la caustica centrale puntiforme è sostituita da una caustica quadri-cuspidata mentre è deformata la caustica associata alle immagini allungate tangenzialmente. Ogniqualvolta la sorgente attraversa una caustica da fuori a dentro, si forma una nuova coppia di immagini. Pertanto avremo zone con una, tre o cinque immagini. Le figure 12 a b e c mostrano la formazione di immagini in lenti con potenziali ellittici. Da una parte vediamo la posizione delle caustiche, dall’altra quella delle linee critiche. La linea più esterna è l’immagine della caustica quadri-cuspidata (caustica tangenziale), quella più interna della caustica ellittica (caustica radiale). Ne vediamo un caso analogo anche nella figura 13.

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figura 12: formazione di immagini in lenti con potenziali ellittici. Da una parte vediamo la posizione delle caustiche, dall’altra quella delle linee critiche. La linea più esterna è l’immagine della caustica quadri-cuspidata (caustica tangenziale), quella più interna della caustica ellittica (caustica radiale). Nell’immagine 12c vediamo cosa accade se la sorgente è risolta.

figura 13: formazione di immagini in lenti con potenziali ellittici.

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2.10 Il cielo come un foglio piegato

Come sappiamo la mappatura dall’immagine al piano della sorgente è univoca ed ha un solo valore, dal momento che la direzione di ogni immagine corrisponde ad un’unica posizione nel piano della sorgente. Al contrario, la mappatura dal piano della sorgente al piano dell’immagine assume valori multipli quando si formano più immagini della sorgente. Per meglio visualizzare questo concetto pensiamo al cielo come un foglio di carta ripiegabile che chiameremo “foglio celeste”. In questo foglio, la mappatura dal piano dell’immagine a quello della sorgente trasformerà questo foglio, magari allungandolo, o addirittura ripiegandolo su se stesso, senza però mai strapparlo, a patto che le lenti siano non-singolari.

Per una sorgente posta ad un angolo βr, il numero di volte che il foglio celeste viene ripiegato in

cima alla posizione della sorgente, determina il numero di immagini della stessa. Se non ci sono ripiegamenti, si vedrà una sola immagine, mentre per ogni ripiegamento ce ne sarà una coppia in più, ed una di esse risulterà capovolta. In figura 14 si semplifica visivamente quanto detto: I ripiegamenti costituiscono le linee delle caustiche, lungo le quali ho un’amplificazione divergente. Se le lenti sono singolari invece ho delle discontinuità nella mappatura, che equivarrebbe allo “strappo” locale del foglio. Quando ciò accade una delle immagini può venire persa.

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figura 14: Esemplificazione visiva del cielo dell’osservatore proiettato nel piano della sorgente nel caso di lente forte. La mappatura lungo questi fogli si può pensare come raggi di luce che arrivano all’osservatore

lungo direzioni che formano una griglia regolare in θr.

La griglia originale definisce il cielo dell’osservatore ( 21 ,θθrr) e l’immagine della griglia è il foglio

proiettato nel piano della sorgente ( 21 ,ββrr).

I ripiegamenti nella superficie proiettata definiscono le caustiche, che saranno linee molto vicine nel piano della sorgente che può essere liscia oppure contenere delle cuspidi laddove i due ripiegamenti s’incontrano. Per visualizzare i ripiegamenti conviene introdurre un’altra coordinata, h, che rappresenta la differenza fra il tempo che impiega la luce corrispondente all’immagine a percorrere il cammino ottico ed un tempo di riferimento, per esempio quello corrispondente al cammino ottico in assenza di lente. Quanto più piccola sarà h di un’immagine, tanto minore sarà il tempo impiegato da essa per raggiungere l’osservatore. Vediamo ora per diversi modelli di lenti, come varia questa superficie. 2.10.1 Caso della sfera isoterma liscia

Figura 15: Il foglio celeste per la sfera isoterma liscia. In questo caso si sviluppa una piegatura simmetrica che produce una sorta di goccia connessa alla parte inferiore da un unico punto.

Le coordinate sono 21 ,ββrr e ogni intersezione di una linea verticale con la superficie dà il numero

delle immagini in corrispondenza della posizione della sorgente. Per una sorgente puntiforme all’interno della regione delimitata dalla “goccia” si formeranno tre immagini in tre differenti posizioni del cielo dell’osservatore.

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Per sorgenti poste fuori da tale regione si formerà invece soltanto un’immagine. L’immagine nella parte inferiore della 15a corrisponde ad un minimo della funzione di ritardo temporale. Il paio di immagini ulteriori associate al rigonfiamento o goccia nella parte superiore della figura 15a invece corrispondono ad un punto massimo e ad una sella.

La figura 15b mostra la proiezione del foglio celeste nel piano 21 ,ββrr, come apparirebbe se si

guardasse la 15a dall’alto. L’asse verticale è h. L’immagine 15a mostra la rappresentazione del cielo nel modello a sfera isoterma liscia. In questo caso si sviluppa una piegatura simmetrica che produce una sorta di goccia connessa alla parte inferiore da un unico punto.

Ricordiamo che le coordinate sono 21 ,ββrr e che ogni intersezione di una linea verticale con la

superficie dà il numero delle immagini in corrispondenza della posizione della sorgente. Per una sorgente puntiforme all’interno della regione delimitata dalla “goccia” si formeranno tre immagini in tre differenti posizioni del cielo dell’osservatore. Per sorgenti poste fuori da tale regione si formerà invece soltanto un’immagine. L’immagine nella parte inferiore della 15a corrisponde ad un minimo della funzione di ritardo temporale. Il paio di immagini ulteriori associate al rigonfiamento o goccia nella parte superiore della figura 15a invece corrispondono ad un punto massimo e ad una sella.

La figura 15b mostra la proiezione del foglio celeste nel piano 21 ,ββrr, come apparirebbe se si

guardasse la 15a dall’alto. Qui, l’amplificazione dell’immagine è influenzata da quanto è stirata la superficie in prossimità di essa. Immaginiamo una griglia uniforme nel piano dell’osservatore. Se la superficie è molto stirata un elemento di angolo solido della sorgente viene visto attraverso un angolo solido minore nel piano dell’osservatore, per cui non ho molto ingrandimento. Se invece il foglio è contratto ho un alto ingrandimento. Per questo motivo l’immagine vicino al centro non è molto ingrandita. La linea che corrisponde al bordo della goccia avrà al contrario alto ingrandimento, dal momento che, descrivendo la proiezione dell’elemento di superficie nel piano dell’osservatore, degenera in un segmento quando si passa al piano della sorgente. Un altro punto si singolarità si ha dove la parte superiore e quella inferiore della figura 15a si congiungono. Una sorgente posta lì avrebbe come immagine un anello di Einstein, come ben si vede in figura 16:

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figura 16: Schematizzazione dell’anello di Eistein Questo caso corrisponde ad una caustica puntiforme associata ad una lente circolarmente simmetrica. 2.10.2 Caso della sfera isoterma singolare

figura 17: Figlio celeste nel caso di sfera isoterma singolare

In questo caso l’angolo di deflessione ha una discontinuità inθr=0.

Questo ha l’effetto di rimuovere la parte superiore dalla parte inferiore , e di far apparire un “buco” nel foglio celeste. Ciò significa che l’immagine centrale viene persa e la goccia prima descritta si trasforma in una superficie conica. Pertanto una sorgente avrà una o due immagini, la seconda di esse con parità invertita, e che appare e scompare quando la sorgente attraversa il bordo del cono. L’angolo di deflessione mantiene un’ampiezza costante, anche per quei raggi che passano vicino al punto di discontinuità. Per masse puntiformi invece l’angolo di deflessione diverge avvicinandosi alla direzione della lente. In quest’ultimo caso il bordo della superficie conica superiore diverge all’infinito, anche se sarebbe inutile considerare parametri d’impatto superiori al raggio della lente. Ciò si vede molto bene in figura 18.

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figura 18: Foglio celeste per una lente puntiforme In questo caso ci saranno due immagini per ogni posizione della lente. L’immagine principale è quella che subisce il maggior ingrandimento. Man mano che ci si muove lontano dalla posizione della lente le immagini, diventano sempre meno ingrandite poiché la superficie diventa sempre più stirata. 2.10.3 Sistemi ellittici

In molti esempi in cui non si ha simmetria circolare per le lenti, la caustica puntiforme centrale è sostituita da un’altra costituita da ripiegamenti adiacenti a forma di cuspidi, a formare una linea

continua chiusa nel piano βr.

Consideriamo ora una lente con potenziale ellittico. Come si vede bene dalla figura 19, data una ellitticità, il foglio celeste assume diversi valori del potenziale al centro, in ordine decrescente.

figura 19: , il foglio celeste per una lente a potenziale ellittico. Le diverse immagini corrispondono a valori del potenziale centrale decrescenti, fissata l’ellitticità.

b

a

c

d

e

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L’immagine (a) corrisponde a quella con il potenziale maggiore, ed assomiglia al caso della sfera liscia isoterma, con la differenza che la caustica centrale è data da una figura a forma di diamante, con quattro cuspidi. La caustica esterna è ancora mono-pieghettata. Una sorgente all’esterno di questa caustica avrà una sola immagine. Una sorgente all’interno della caustica esterna, ma fuori da quella a forma di diamante avrà tre immagini . Una sorgente all’interno della caustica a forma di diamante avrà cinque immagini . L’immagine (b) mostra un potenziale più debole, e la caustica radiale (quella attorno alla caustica a forma di diamante) si rimpicciolisce. Due delle cuspidi escono dal lembo oblato e diventano gli artefici dell’aumento del numero da una a tre delle immagini. La formazione delle immagini si vede bene in figura 20:

Figura 20: Immagini di una lente circolare in un modello a potenziale ellittico non singolare per tre differenti posizioni della sorgente Le linee puntiate corrispondono alle linee critiche, quelle tratteggiate alle caustiche Per valori del potenziale centrale ancora minori cambia la struttura della caustica (immagine (c)). Il lembo oblato finisce all’interno del diamante portando con sé le cuspidi lungo la direzione verticale, in una struttura nota come “labbro”.

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Infatti nell’immagine (d) si vedono due labbra incrociate, una in orizzontale ed una in verticale. Quest’ultima si riduce nell’immagine (e) lasciando solo il labbro orizzontale. In questo caso, a seconda che la sorgente sia fuori o dentro il labbro posso avere una o tre immagini. In figura 21 si vede la struttura del ritardo temporale in presenza di una caustica a forma di diamante.

figura 21: Diverse sezioni verticali del foglio celeste per lenti ellittiche Sono indicati i minimi (m), massimi e i punti di sella (s) della funzione ritardo temporale. Nella figura sono mostrate diverse sezioni verticali. Sono indicati i minimi (m), massimi e i punti di sella (s) della funzione ritardo temporale.

2.11 Ripiegamenti e cuspidi

Un ruolo molto importante nel determinare il numero di immagini è giocato dalle caustiche, che corrispondono a singolarità dell’amplificazione. A volte può capitare che le caustiche date da linee vicine possano unirsi a formare delle cuspidi.

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Questa teoria, chiamata anche teoria dei catastrofi, ed ha molti campi di applicazione, lambendo persino la psicologia e la biologia. Questa teoria studia i sistemi in cui continue variazioni delle variabili producono bruschi cambiamenti del fenomeno. Rapportato al caso della lente gravitazionale ciò ha l’effetto di variare di continuo il numero di immagini. Secondo questa teoria ripiegamenti e cuspidi sono le uniche catastrofi che appaiono per sistemi a due variabili, cioè per esempio quelli in cui fissiamo la distanza fra la lente e la sorgente, lasciando

che i due gradi di libertà siano rappresentati dalla posizione della sorgente ( 21 ,ββrr).

2.11.1 Ingrandimento vicino ad un ripiegamento

Per capire a fondo questo caso consideriamo il sistema in coordinate locali nel piano della sorgente

tale che il centro ( 21 ,ββrr)=(0,0) sia un punto del ripiegamento ed analogamente, la sua immagine,

con origine in ( 211 ,θθrr

)=(0,0) sia un punto della linea critica nel piano dell’immagine.

Scegliamo l’asse 2βr lungo la direzione del ripiegamento e l’asse 1β

r ortogonale ad esso.

Analogamente, nel piano dell’immagine possiamo far corrispondere a 1βr=0 la mappatura locale

della linea 1θr=0, e a 2β

r=0 l’analoga mappatura della linea 2θ

r=0.

In generale 211 ,θθrr

non saranno ortogonali.

La mappatura nelle vicinanze dell’origine o nella direzione ortogonale al ripiegamento si può vedere bene in figura 22, mentre il generico aspetto del cielo ripiegato vicino ad una caustica ben si vede nella figura 23.

Figura 22: Immagine generica della mappatura di una lente vicino ad un ripiegamento nella direzione ortogonale ad essa.

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Figura 23: Il cielo ripiegato nelle vicinanze di una caustica ripiegata, corrispondente al piano dell’osservatore mappato nel piano della sorgente, e la sua deproiezione. Nelle vicinanze dell’origine possiamo descrivere la mappatura di 1β in termini della sua espansione di Taylor

211 θβ a≅ 2.95)

22 θβ b≅ 2.96) Un angolo solido 21 βββ ddd =Ω nel piano della sorgente sarà visto nel piano dell’immagine come

)cos(21 ηθθθ ddd =Ω dove η è l’angolo formato da 1θ e da 2θ che, come si è detto prima, non

sono necessariamente ortogonali. L’amplificazione della sorgente è quindi data dalla:

12

)cos(

θη

β

θ

abd

dA ≅

Ω

Ω= 2.97)

Notiamo che un’immagine ha 1θ positivo (a

11

βθ ≅ ) mentre l’altra ha 1θ negativo (

a

11

βθ −≅ )

per cui hanno parità opposte. Si vede come nella 2.97 l’amplificazione cresca al diminuire di 1θ , che è la distanza fra le immagini e la linea critica. In termini di distanza del ripiegamento 1β dalla sorgente si ha:

12

)cos(

βη

β

θ

abd

dA ±≅

Ω

Ω= 2.98)

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cosicché l’amplificazione è inversamente proporzionale alla radice quadrata di 1β . Quando le immagini si sovrappongono e la sorgente raggiunge la caustica l’amplificazione diverge. Come già detto, la divergenza è attenuata dal fatto che in realtà si ha a che fare con sistemi di lenti estese.

Poiché l’integrale di 1

1

βconverge nell’origine si ha un risultato finito.

2.11.2 Ingrandimento vicino ad una cuspide

Due caustiche ripiegate possono formare, se molto vicine, una cuspide, come nel caso di lenti ellittiche. Quando una sorgente attraversa la caustica vicino ad una cuspide, le immagini presenti nella cuspide appaiono nella stessa posizione del cielo dov’è situata la sorgente. Per questo motivo lo studio di questo caso è di notevole interesse. Consideriamo l’origine nella cuspide, l’asse 2β lungo la cuspide e 1β ortogonale ad esso, come mostrato in figura 24.

Figura 24: linea critica e caustica vicino ad una cuspide Possiamo scegliere, nel piano dell’immagine, 1θ tale che la linea 1θ =0 sia l’immagine di 1β =0, ossia l’asse di simmetria della cuspide. Come prima, possiamo descrivere localmente la cuspide nella mappatura della lente con un’espansione di Taylor:

21311 θθθβ ba +≅ 2.99)

2212 2

θθβ cb

+≅ 2.100)

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Poiché la 2.99 dipende dal segno di 2θ , la mappatura avrà un solo valore o analogamente una regione con tre immagini. L’assenza di termini quadratici in 1θ nella 2.99 fa sì che la cuspide sia simmetrica rispetto all’asse

1β =0. Il termine quadratico nella 2.100 invece appare poiché l’angolo di deflessione è proporzionale al gradiente del potenziale e pertanto l’equazione della lente deve soddisfare l’equazione

1

2

21

2

2

1

θβ

θθθβ

∂=

∂∂Ψ∂

=∂

∂ 2.101)

L’ingrandimento vicino ad una cuspide si può scrivere come:

( ) 22

12

1

3

1)det(

θθθβ

bcbacA

j

i

+−=

∂= − 2.102)

La curva critica è una parabola:

( ) 21

2

2

3θθ

bc

acb −= 2.103)

come si vede anche in figura 24. La corrispondente caustica nel piano della sorgente è:

( ) 21

2

3

23

2 28

27ββ acb

b

c−≅ 2.104)

Se prendiamo la coordinata verticale proporzionale a 1θ la mappatura sarà come illustrata in figura 25:

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Quando il piano dell’immagine è proiettato sul piano della sorgente, si sviluppano due pieghe che convergono in una cuspide. Combinando la 2.101, e le 2.99 e 2.100 si vede che l’amplificazione è grande anche al di fuori della cuspide. In figura 26 vediamo come varia A lungo varie direzioni, mostrando bene la transizione fra caustica

puntiforme (A proporzionale a 1−βr

) e caustica ripiegata (A proporzionale a 2

1−

βr

), che ha luogo attorno alla cuspide.

figura 26: Ingrandimento di una cuspide: due ripiegamenti s’incontrano e si dispiega la superficie. Si vede anche il comportamento dell’amplificazione lungo tre direzioni. Le tre immagini di una sorgente posta all’interno di una cuspide sono correlate fra di loro. Infatti per un’arbitraria posizione della sorgente stessa ( 21 ,ββ ), calcoliamo la posizione delle immagini. Sostituendo 2θ dalla 2.100 nella 2.99 otteniamo una equazione cubica in 1θ :

02 1

21

23

1 =−+

− β

βθθ

c

b

c

ba 2.105)

Le te soluzioni di questa equazione si possono scrivere come:

( ) )3

2cos(

23

82

2)(1

παβθ

k

acb

bk +

−= 2.106)

dove l’angolo α soddisfa la:

( )2

2

2

1

2

23

2

3)cos(

βββ

αb

acb

b

c −−= 2.107)

che, inserite nella 2.100 danno il valore di 2θ .

Figura 25: Rappresentazione della mappatura θr β

r vicino ad una cuspide.

Le linee corrispondono a valori fissi di 2θ nel piano dell’immagine. Si vede anche una deproiezione della mappatura che mostra la superficie ripiegata.

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Inserendo le soluzioni per )(2,1

kθ nella 2.102 invece, otteniamo l’ingrandimento A, che può essere

scritto come segue:

+−

=

3

2cos41

1

22

)(

παβ

kb

A k 2.108)

e sviluppando il coseno della somma al denominatore si ha:

0)2()1()0( =++ AAA 2.109) Poiché una immagine ha parità opposta alle altre due, quest’ultima equazione mostra che il modulo della sommatoria delle amplificazioni delle immagini con la stessa parità è uguale al modulo dell’amplificazione dell’immagine con parità opposta. Quest’osservazione è alla base del teorema della lunghezza degli archi. Esso asserisce che quando si formano tre archi giganti attorno un ammasso a causa del fatto che una galassia di fondo è in una cuspide, la sommatoria delle lunghezze dei due archi più piccoli dovrebbe essere uguale alla lunghezza di quello più grande. Ciò solitamente è vero, poiché la lunghezza degli archi è proporzionale alla distorsione tangenziale dell’angolo solido sotteso, mentre la distorsione radiale non differisce molto fra le immagini. In figura 27 vediamo un esempio di arco gigante:

figura 27: Arco gigante nell’ammasso di galassie MS2137

credit J.B. Kneib

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2.11.3 Lenti binarie

In alcuni casi, come ad esempio nello studio di sistemi di stelle doppie o sistemi planetari, la lente consiste di non uno, ma bensì di due deflettori. In questo caso l’angolo di deflessione della luce è dato dalla sovrapposizione vettoriale delle deflessione delle due singole lenti.

Pensiamo a due lenti, AM ed BM , poste nel piano della lente e formanti due angoli Aθr e Bθ

r

rispetto ad un asse ottico prefissato. Possiamo scrivere ora l’equazione delle lenti in questo modo:

( ) ( )2

2

2

2

B

EBB

A

EAA

θθ

θθθµ

θθ

θθθµθβ rr

rr

rr

rrrr

−−−

−−−= 2.110)

dove M

M BA

A

,=µ con M= AM + BM e Eθ si ottiene dell’espressione dell’angolo di Einstein

2

4

c

GM

DD

D

OLOS

LS

E =θ

e dove M è la massa totale. In figura 28 vediamo come apparirebbe la proiezione del piano dell’immagine nel piano della sorgente per un sistema binario asimmetrico per diversi valori della distanza fra le lenti, in ordine decrescente. Nel caso (a) vediamo due caustiche a forma di diamante a quattro cuspidi , una associata a ciascuna lente. Ogni caustica può essere interpretata come la caustica puntiforme distorta dalla sollecitazione di taglio indotta dall’altra lente. Dal momento che ogni lente in questo caso è considerata puntiforme, il foglio celeste risulta “bucato” in corrispondenza di ogni lente, e tale buco è stato stirato all’infinito come nel caso della lente puntiforme. Lontano dalle lenti una sorgente avrebbe tre immagini e, se cadesse all’interno della caustica a forma di diamante ne avrebbe cinque. Man mano che la distanza fra le lenti si assottiglia, le due cuspidi iniziano ad avvicinarsi, sempre più vicino al centro, fino a fondersi in un’unica caustica a sei cuspidi (b). Per valori via via più piccoli della distanza la caustica così formata si distorce lungo l’asse perpendicolare alla congiungente i centri lungo la distanza (c), per arrivare ad una situazione in cui due lembi si toccano , spezzandosi, formando una nuova caustica a quattro cuspidi e due piccole caustiche triangolari (d).

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figura 28: proiezione del piano dell’immagine nel piano della sorgente per un sistema binario asimmetrico per diversi valori della distanza fra le lenti, in ordine decrescente. Nel contesto della teoria dei catastrofi il passaggio da due cuspidi opposte che si fondono è noto come transizione “break to break”. La distanza fra le caustiche viene considerata un terzo parametro di controllo, oltre a 21 ββ e ed in questo spazio tridimensionale le caustiche ripiegate spazzano la superficie e le cuspidi seguono le linee man mano che la separazione diminuisce. In figura 29 vediamo una schematizzazione di questo fenomeno dove la distanza orizzontali fra i piani è la separazione (fissata) fra le lenti, ed essi sono disposti verticalmente quando la distanza varia:

a

b

c d

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figura 29: Transizione “break to break” Nel caso di potenziali ellittici la topologia delle caustiche subisce delle trasformazioni. In questo caso si prende come terzo parametro il valore centrale del potenziale. Per valori grandi di quest’ultimo si ha una caustica con solo una piegatura nella parte esterna, senza cuspidi, ed una a forma di diamante nella parte interna. Per potenziali minori prima un paio di cuspidi fuoriescono dalla piegatura e poi, quando esse sono in verticale e toccano il ripiegamento ellittico, il diamante perde le cuspidi e si forma un labbro orizzontale, mentre la caustica ripiegata acquista le due cuspidi e si forma un labbro verticale. Ognuno di questi processi implica un catastrofe di ordine più grande, che appare quando si considerano più parametri di controllo, e si chiama a catastrofe a ombelico ellittico.

Le transizione spora descritte si chiamano anche metamorfosi catastrofiche e mostra la proprietà delle cuspidi di apparire e scomparire a coppie. Un’altra proprietà delle cuspidi è quella di essere sempre in numero pari.

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Capitolo 3:

3.1 Applicazioni e riscontri del Macrolensing Questo capitolo tratta gli effetti del lensing gravitazionale dovuto a grandi distribuzioni di materia come galassie, ammassi e strutture cosmiche su larga scala. Come si vede in figura 30 questi fenomeni si dividono in zone con regime di lente forte, in cui si formano immagini multiple della sorgente, e regioni di lente debole, dove le immagini sono soltanto distorte od ingrandite.

figura 30: Differenti regioni di Macrolensing I fronti d’onda sono posti perpendicolarmente ai raggi di luce. Nella parte centrale si formano immagini multiple (strong lensing) mentre più in là si vedono le distorsioni coerenti delle figure delle immagini Nel primo caso, il confronto della posizione, intensità e struttura delle diverse immagini da’ informazioni sulla massa della lente, soprattutto di quelle estese. Se la sorgente ha un flusso variabile, il ritardo temporale fra le immagini viene usato per inquadrare la scala di lunghezza assoluta del sistema e, con la misura del redshift di lente e sorgente, si trova il valore della costante di Hubble 0H .

Se gli effetti di lensing non sono abbastanza forti da produrre immagini multiple, lo studio della distorsione della forma degli oggetti sullo sfondo o il cambiamento nei conteggi delle galassie a causa del lensing da’ preziose informazioni sulla distribuzione di materia su larga scala. Per esempio, la distorsione coerente di galassie blu deboli di fondo attorno ad un ammasso permette di ricostruire la sua distribuzione di massa, a volte fino a scale dell’ordine dei Mpc, mentre in

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regioni vuote e senza ammassi la correlazione fra ellitticità delle galassie prodotte da disomogeneità in strutture a larga scala fornisce un test per i diversi scenari di formazione galattica e del contenuto complessivo di materia nell’universo.

3.2 Lensing di quasar

Il fenomeno di lensing gravitazionale fu scoperto per la prima volta osservando immagini multiple di quasar. Inoltre, più una sorgente è lontana, più è probabile trovare una galassia che funga da lente vicino alla linea di vista. Per cui diminuisce la superficie critica che serve alla galassia per formare immagini multiple. Finora sono stati scoperti circa cinquanta quasar multipli, rispetto ai diecimila osservati. Ciò non stupisce, poiché:

1- I quasar sono rari e difficili da scovare 2- La formazione di quasar che subiscono lensing è piccola (circa l’1%) 3- Non è facile identificare i quasar che subiscono lensing fra tutti i casi conosciuti.

I quasar che subiscono lensing gravitazionale si trovano generalmente in sistemi doppi, tripli o addirittura quadrupli e si conoscono configurazioni simmetriche ed asimmetriche. I criteri per una buona scelta dei candidati ad essere quasar che subiscono lensing sono:

1- I quasar presentano due o più immagini simili per colore 2- I redshift delle immagini sono uguali o molto simili 3- Si trova fra le immagini una lente con redshift misurato molto minore di quello del quasar 4- Gli spettri delle varie immagini sono identici o molto simili 5- Se il quasar è intrinsecamente variabile, i flussi misurati delle due (o più) immagini seguono

una curva di luce simile, eccetto che per certi punti (i ritardi temporali). Tuttavia ci sono alcuni casi in cui una galassia posta davanti ad una immagine del quasar la fa apparire maggiore, oppure il colore o gli spettri sono affetti da assorbimento delle polveri nel piano galattico e non appaiono uguali, oppure ancora la lente può essere troppo debole per essere risolta. Nel 1979 Walsh riscontrò che il quasar binario Q0957+561 era un ottimo candidato ad essere soggetto a lensing. Esso, oltre a dare il via ad altre numerose osservazioni divenne uno degli oggetti più studiati in astrofisica e cosmologia ed è stato osservato in tutte e lunghezze d’onda possibili, dai raggi X a quelle radio. Nell’ottico Q0957+561 appare come due punti di magnitudine vicino alla diciassettesima (banda R) separati da una distanza di circa 6.1 arcsec. Lo spettro rivela che entrambi hanno un redshift z=1.41. Fra le due immagini c’è una galassia di redshift z=0.36 vicina alla componente B In figura 31 è illustrato il quasar in questione:

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figura 31: Immagine in falsi colori di HST de quasar doppio Q0957+561. Nell’ottico Q0957+561 appare come due punti di magnitudine vicino alla diciassettesima (banda R) separati da una distanza di circa 6.1 arcsec. Lo spettro rivela che entrambi hanno un redshift z=1.41. L’immagine superiore è a circa 1 arcsec dal nucleo della galassia (Credits: E.E. Falco et al. (CASTLE collaboration [47]) and NASA.) La galassia frapposta fra le due immagini del quasar fa parte di un ammasso con galassie tutte con circa lo stesso redshift z. Questa è la ragione della relativamente grande separazione nelle lenti di tipo galattico (con masse di circa 121110 − masse solari ho angoli di separazione di circa 1 arcsec). Inoltre, la massa dell’ammasso contribuisce ad aumentare l’angolo di deflessione. In figura 32 si vede una immagine presa con il radio telescopio MERLIN.

A

B

galassia

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figura 32: Immagine radio di Q0957+561fatta dal radio telescopio MERLIN. Essa mostra chiaramente le due immagini puntiformi del nucleo del quasar e i jet emanati solo dalla parte superiore. (Credits: N. Jackson, Jodrell Bank.) Le posizioni dei due oggetti puntiformi coincidono con la sorgente ottica. E’ una sorgente radio quieta. Inoltre, ci sarebbe una possibile terza immagine del quasar, ma è talmente debole da non poter essere vista nel radio. Possiamo vedere un jet emergere dalla componente A , probabilmente emesso dal motore centrale del quasar, un buco nero. Tale jet è attorno ad una sola immagine, poiché è fuori dalla caustica nel piano della sorgente, che regola appunto la moltiplicazione di esse. Solo il nucleo compatto del quasar è nella caustica ed ha due immagini. Una immagine dettagliata (figura 33) mostra inequivocabilmente la natura del quasar Q0957+561, evidenziando i dettagli della struttura a jet delle immagini. I jet si estendono per circa 50maecsec:

A

B

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Figura 33: Immagine dettagliata di Q0957+561. Le immagini A e B mostrano il nucleo centrale della sorgente radio e le strutture di jet. I rettangoli rappresentano gli assi e gli angoli di posizione dei singoli componenti del flusso. (Courtesy of Keeton) E’ chiaro che, come previsto, l’immagine principale A è più ingrandita tangenzialmente della B mentre quest’ultima è più ingrandita radialmente. In definitiva il flusso di B è di un fattore 0.8 minore del flusso di A. Approssimativamente metà dei quasar multipli sono doppi, e circa un terzo sono quadrupli. Gli altri hanno immagini anulari o immagini multiple come B1933+507, che ha due immagini quadruple ed una doppia, per un totale di dieci immagini. Qui di seguito abbiamo un’immagine di B1933+507 (figura 34):

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figura 34: Immagine del quasar multiplo B1933+507 (courtesy of CLASS) Il primo esempio di quasar quadruplo Q2237+0305 fu trovato nel 1985 da Huchra ed è noto come CROCE DI EINSTEIN (figura 35). In sistemi di questo tipo, la sorgente cade dentro la caustica a forma di astroide e produce lenti non circolari:

figura 35: Due immagini del quasar quadruplo Q2237+0305 a distanza di tre anni. Come si vede, la brillanza cambia a distanza di anni. Le quattro immagini sono molto ingrandite, e questo spiega molto bene ciò che viene comunemente chiamato “bias di ingrandimento”, ossia quando campionando in modalità flux limited si trovano sorgenti molto ingrandite, che sono portate oltre il limite per effetto di lensing più frequentemente di quelle meno ingrandite, come nel caso dei quasar binari. Se una sorgente puntiforme è proprio dietro una lente puntiforme si vede un’immagine anulare. Tale effetto è stato battezzato “Anello di Einstein”. Per osservare questo fenomeno, la distribuzione massa della lente deve essere assialmente simmetrica, vista dall’osservatore, e la sorgente deve essere esattamente al vertice della caustica puntiforme degenere. Tale configurazione è rara per sorgenti puntiformi, ma nei sistemi reali le sorgenti hanno estensione finita ed è abbastanza che una parte della sorgente copra la caustica puntiforme per produrre una immagine anulare. Nel 1988 fu scoperto il primo esempio con osservazioni nel radio ad alta risoluzione. Era la sorgente MG1131+0456, con un anello del diametro di 1.75 arcsec (figura 36):

figura 36: immagine di MG1131+0456 Tale sorgente fu identificata come un radio lobo a z=1.13 e la lente è una galassia a z=0.85.

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Recentemente, alcune osservazioni all’infrarosso dell’anello di Einstein 1938+666 hanno mostrato un anello quasi perfetto con due parti brillanti oltre la galassia centrale (figura 37):

figura 37: Anello di Einstein 1938+666 il pannello di sinistra mostra la mappatura radio su scale di grigio (immagine HST/NiCMOS); Il pannello di destra è un’immagine infrarossa (HST/NICMOS). Il diametro dell’anello è di circa 0.95 arcsec (Credits: Neal Jackson.) Finora sono stati trovati una mezza dozzina di casi che si possono identificare come anelli di Einstein, con un diametro che varia fra 0.33 e 2 arcsec e tutti nel campo radio, sebbene alcuni abbiano componenti anche nell’ottico e nell’infrarosso. Alcuni anelli non sono propriamente anelli completi, ma sono spezzati in uno o due parti. Le sorgenti di molti anelli di Einstein hanno una componente estesa ed una compatta. La componente compatta è sempre vista come una immagine doppia, separata da circa un diametro dell’anello di Einstein. Il fatto che alcune misure di flusso nel campo radio abbiano mostrato che la sorgente compatta sia variabile ha permesso di misurare il ritardo temporale e la costante di Hubble. I sistemi di anelli forniscono qualche vantaggio sui sistemi di quasar con più immagini, riguardo alla determinazione della struttura della lente o H0. Prima di tutto, la struttura estesa dell’immagine da’ informazioni sulla lente. Un modello di lente può essere determinato rispetto ai casi di quasar a 2,3 o 4 immagini. Gli anelli di Einstein ci aiutano a capire inoltre la distribuzione di massa delle galassie a z moderati. Per l’anello di Einstein MG1654+561 fu trovato che la densità media superficiale di massa radiale della lente seguiva una distribuzione di tipo αrr ∝Σ )( dove 9.01.1 −≤≤− α (una sfera isoterma ha raggio 1). Si è trovato anche che in queste galassie è presente materia oscura. Inoltre poiché i diametri degli anelli osservati sono dell’ordine di 1 o 2 arcsec, il ritardo temporale deve essere molto minore rispetto a quello che ci si aspetterebbe per il quasar doppio Q0957+561. Infine l’ultimo vantaggio è che, poiché la regione di emissione del flusso radio è presumibilmente molto più larga di quella nel continuo ottico, le curve di luce di più immagini nel radio non sono affette da microlensing. Le curve di luce nel radio fra le immagini dovrebbero essere abbastanza simili. Un’altra applicazione interessante è la non risoluzione dell’immagine centrale dell’anello di Einstein. Per lenti singolari non ci dovrebbe essere, poiché l’angolo di deflessione è discontinuo.

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Tuttavia molti modelli galattici predicono un nucleo finito nella distribuzione di massa di una galassia. La non risoluzione dell’immagine centrale quindi fornisce informazioni sulle dimensioni del raggio di core. 3.3 Approccio statistico al lensing gravitazionale

Un approccio molto interessante del fenomeno lente gravitazionale è quello statistico. Infatti, per esempio, osservando i quasar si può analizzare la dipendenza delle immagini dal redshift della sorgente e della lente, il rapporto di quasar doppi rispetto a quelli quadrupli e la distribuzione delle immagini e la frequenza delle immagini multiple. Quest’ultima in particolare fornisce un canale privilegiato per la determinazione dei parametri cosmologici, e per porre un limite alla costante cosmologica. Poiché il volume commovente per intervallo di redshift è un parametro molto sensibile in cosmologia, il fatto che il numero di galassie per volume commovente sia pressoché costante implica che un aumento delle galassie che provocano il lensing di sorgenti ad alto redshift lungo la linea di vista dipende dai parametri cosmologici. Per esempio, per quasar con z>2 e nel caso di universo piatto, ci saranno più lenti lungo la linea di vista per 9.0=ΩΛ che per 0=ΩΛ . Pensando il volume commovente vicino alla lente in unità di coordinate commoventi χ ,θ e φ lo possiamo scrivere come segue:

L

L

dzddzd

dVddrdV Ω

Ω=Ω= χχ )(2 3.1)

con

)()1(0

222

LLOL

L

zFH

czD

dzd

dV+=

Ω 3.2)

ed

( ) ΛΩ+Ω+= mLL zzF31)( 3.3)

per un universo piatto. Consideriamo il caso semplice in cui gli oggetti che provocano il lensing non sono galassie ma una distribuzione cosmologica di oggetti puntiformi con distribuzione di densità commovente:

dM

d

MdM

dn ρ1= 3.4)

e con

cldM

ddM ρ

ρρ Ω== ∫ 3.5)

e

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G

Hc πρ

8

3 20=

densità critica e lΩ la frazione di esso dovuta al contributo di lenti compatte.

In questo caso, la probabilità che un oggetto venga moltiplicato da una lente puntiforme è l’unità, dal momento che essa produce sempre due immagini di una sorgente di fondo. Ma se la separazione angolare fra la sorgente e la lente è grande la seconda immagine è molto debole è difficilmente osservabile. Pertanto, affinché questa sia visibile è necessario stabilire un valore massimo del rapporto di ingrandimento oppure un valore minimo di rimpicciolimento della immagine più debole. Dalla 2.45a otteniamo:

42

4222

22

++−

+++=

+

uuu

uuu

A

A 3.6)

con

E

uθβ

αβ==

0

3.7)

Assumiamo u<1 per semplicità. Pertanto, la probabilità che una sorgente abbia immagini multiple in questo caso è proprio il numero di lenti entro una distanza angolare Eθ dalla linea di vista, che chiameremo profondità ottica τ :

)()1(2

3 202LL

OS

LSOL

Ll

L

EL zFzD

DDdz

c

H

dzd

dV

dM

dndMdz +Ω=

Ω= ∫ ∫ ∫πθτ 3.8)

Ricordiamo che non c’è dipendenza dalla distribuzione di massa poiché per un lΩ fissato minore è

la massa della lente, maggiore sarà la densità numerica delle lenti e minore sarà il loro raggio di Einstein. Questi due effetti si elidono a vicenda. Nella 3.8 sono presenti tutti i parametri cosmologici.

La figura 38 in cui è mostrato il rapporto lΩτ

in un universo piatto per differenti valori di ΛΩ

mostra bene la forte dipendenza dai parametri cosmologici della profondità ottica.

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Figura 38: Grafico della profondità ottica contro il redshift della sorgente dovuta a distribuzioni cosmologiche di lenti compatte con densità totale lΩ per diversi valori di mΩ e di ΛΩ

Nel caso più realistico possiamo parametrizzare le galassie ed il loro alone con il modello della sfera singolare isoterma e quindi il profilo di densità dipenderà soltanto dalla dispersione di velocità della lente σ . In questo modello si formano immagini multiple solo quando Eθβ < e si può definire la probabilità differenziale di una sorgente di avere immagini multiple come il numero di lenti entro una separazione angolare dalla linea di vista pari a Eθ . Ciò porta a:

∫ Ω= 2

E

L

Ldzd

dV

d

dndz

d

dπθ

σστ

3.9)

E’ importante ricordare che queste lenti sono molto meno efficaci di quelle puntiformi in quanto tutta la materia che giace all’esterno dell’angolo di Einstein non contribuisce alla deflessione della luce e che una separazione tipica di 2” prodotta da una lente galattica corrisponde nel piano della lente ad una scala di 10kpc per un oggetto a 1Gpc. Un modo per stimare la distribuzione differenziale di lenti è quella di utilizzare la distribuzione di Schechter:

= *

**

0 L

L

eL

L

L

n

dL

dnν

3.10)

con 1.1=ν , Θ⋅= LL 10

* 101.1 e 3320 105.1 −−⋅= Mpchn .

Approssimativamente il 40% di queste sono ellittiche e il resto sono spirali, ma siccome le spirali sono meno massive delle ellittiche a pari luminosità, il loro effetto è trascurabile. Utilizzando la relazione di Faber-Jackson per le galassie ellittiche, si può trasformare la distribuzione di luminosità in una distribuzione in dispersione di velocità. Tale relazione dice che:

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α

σσ

=

**L

L 3.11)

con α =4 e 1

* 225 −= kmsσ .

L’ analisi dei dati fatta da Kochanek nel 1996 portò alla conclusione che ΛΩ <0.66 in un modello piatto. La distribuzione delle separazione in quasar binari inoltre fornisce informazioni sulla materia oscura. Infatti, la materia oscura fredda è la culla per la nascita di strutture dalle dimensioni di galassie fino alle dimensioni di ammassi di galassie ed oltre. Per cui, l’osservazione di quasar con separazioni angolari maggiori di 7”, ad esempio, implicano una lente molto più massiva della norma. Il fatto che non ci siano quasar separati di così tanto dà dei severi vincoli al modello cosmologico ed alla formazione di strutture, in particolare escludendo il modello standard ( mΩ =1) , che predice un

eccesso di ammassi.

3.4 Ritardo temporale e determinazione della costante H0

Molto importante è la misura del ritardo temporale fra le immagini multiple dei quasar, molti di essi essendo variabili per natura. Il ritardo temporale per Q0957+561 è dt 3417 ±=∆ , come è molto ben illustrato in figura 39, in cui vediamo le curve di luce nell’ottico delle immagini A (curva blu) e B (curva rossa), nella banda g in alto, nella r in basso. La ripida caduta che avviene per B in dicembre avviene per A in febbraio. (Credits: Tomislav Kundi_c)

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figura 39: curve di luce nell’ottico delle immagini A (curva blu) e B (curva rossa), del quasar Q0957+561 nella banda g in alto, nella r in basso. La ripida caduta che avviene per B in dicembre avviene per A in febbraio (Credits Tomislav Kundić) Queste osservazioni, oltre ad essere un valido aiuto per la conferma delle teorie del lensing gravitazionale permettono inoltre la determinazione della costante di Hubble 0H .

L’equazione del ritardo temporale per una immagine posta ad un angolo iθr rispetto al cammino in

assenza di deflettori è:

( ) ( )

Ψ−

−=∆ i

i

i Kt θβθ rrr

2

2

3.12)

con

( ) ( )Λ− ΩΩ≡+≡ ,,1 ,1

0 mLS

LS

OLOS

L zzFHcD

DDzK 3.13)

in cui F è funzione di Sz che è il redshift della sorgente, ,Lz che è il redshift della lente, e di mΩ e

ΛΩ che sono il parametro di densità della materia e 23H

Λ=ΩΛ .

Il ritardo temporale fra le immagini sarà la differenza di ritardo temporale fra ciascuna delle immagini 12 ttt ∆−∆=∆ . Poiché l’equazione delle lenti asserisce che il gradiente del termine fra parentesi nella 3.12 sia 0, la determinazione della distribuzione di massa necessaria a riprodurre le posizioni delle immagini ed i loro flussi delimita irrevocabilmente tale termine, ma è indipendente da K. Una volta stabilito il modello di massa da adottare, si può procedere con la determinazione di K. La durata dell’intervallo t∆ fissa la scala di lunghezza del sistema e quindi, conoscendo i redshift della lente e della sorgente si può determinare la costante di Hubble. La dipendenza dal modello cosmologico adottato non è generalmente di eccessiva rilevanza. Per esempio, per il quasar Q0957+561 si ha 1

0475.0 −= HK per un modello con ( ) ( )0,1, =ΩΩ Λm ,

mentre 10497.0 −= HK per un modello ( ) ( )7.0,3.0, =ΩΩ Λm .

Se il redshift fosse dell’ordine dell’unità, la differenza aumenterebbe. Quando si fittano le immagini ed i flussi per ottenere un modello di lente, si ha a che fare con diversi parametri da determinare. Tipicamente essi sono:

- il profilo di massa - l’ellitticità e l’orientazione della galassia - le sollecitazioni di taglio dovute agli effetti mareali degli oggetti vicini - l’aumento del contributo alla convergenza dato dall’ambiente della galassia

Purtroppo non ci sono abbastanza ipotesi per determinare appieno tutte queste variabili. La più importante di esse è la degenerazione massa-foglio. Essa asserisce che ci sono diversi modi di dividere una massa presente fra l’ammasso e la galassia, che sono pressoché indistinguibili. Per spiegare meglio prendiamo un modello che fitta bene i dati ed ha un potenziale gravitazionale

( )θrΨ , Consideriamo inoltre un potenziale della forma:

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( ) ( ) ( )θθθ Ψ−+=Ψ kk 12

1'

2rr 3.14)

che consiste nel riscalare il vecchio potenziale di un termine ( )k−1 e aggiungere una superficie di

densità costante critkΣ=Σ .

Per esempio Ψ potrebbe essere il potenziale ottenuto dal fit solo con la galassia che provoca il lensing, e k la convergenza associata all’ammasso, la cui introduzione riduce il potenziale della galassia di un fattore ( )Ψ− k1 .

Se l’equazione delle lenti ( )ii θθβrrr

Ψ∇−= era soddisfatta per una sorgente posta in una delle sue

soluzioni, la nuova posizione della sorgente soddisfa la ( )ii θθβrrr

'' Ψ∇−= , e sarà ββrr

)1(' k−= .

Tuttavia, l’unico osservabile che cambia sarà il ritardo temporale che sarà:

( ) ( ) ( ) ( ) ( )

−Ψ−

−−=

Ψ−

−=∆ 2

22

'2

1'2

'' βθ

βθθ

βθ rrrr

rrr

kKkKt i

i

i

i

i 3.15)

e pertanto si avrà che ( ) tkttt ∆−=∆−∆≡∆ 1''' 12 . Se vogliamo usare il ritardo temporale per misurare la costante di Hubble, esso verrà riscalato di una quantità pari a

( ) 00 1' HkH −= 3.16)

Se la convergenza dell’ammasso ammk si può misurare direttamente, , per esempio esaminando i

suoi effetti sulle galassie di fondo attorno alla lente, si può rompere la degenerazione massa-foglio. E’ possibile farlo anche determinando la normalizzazione del potenziale della galassia misurando la dispersione di velocità delle stelle in essa. Le misure del ritardo temporale portano ad una costante di Hubble che varia fra 50 ed

1180 −− Mpckms . Recenti analisi hanno ottenuto per Q0957+561 un valore di

680 =H πsMpc

kmkamm

8.0

1112 3.17)

assumendo un universo con mΩ =1 e ammk ~0.2.

Il valore di 0H cresce del 4.5% se mΩ =0.3.

Questo sistema di determinazione della costante di Hubble è vantaggioso in quanto misura direttamente il tasso di espansione a redshift molto alti, laddove le velocità peculiari sono inaccessibili. Inoltre non dipende da nessuna scala di distanza o da candele standard. L’unico punto a sfavore è che sussiste l’indeterminazione dovuta alla scelta dei modelli di lenti.

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3.5 Lensing di ammassi e strutture estese: lenti forti

figura 40: Immagine di Hubble raffigurante l’ammasso Abell 2218 in cui si vedono molti archi e archetti attorno ai centri dei due ammassi credit Hubble Le galassie ad alto redshift sono molto più deboli dei quasar, pertanto è molto difficile stabilire se due di esse che sono molto simili e vicine per redshift siano effettivamente le immagini di della stessa galassia oppure no. Difficile, a meno che esse siano talmente distorte da rivelare forme veramente particolari. Negli ammassi di galassie si osservano principalmente due cose:

- Gli ammassi riccamente concentrati nella zona centrale talvolta provocano archi giganti deflettendo la luce di una galassia che di fondo che si trova in linea con una delle caustiche.

Per analizzarle si crea un modello parametrizzata della lente di modo da ottenere un buon fit dell’immagine osservata. - Inoltre, ogni ammasso produce un’infinità di piccole immagini distorte delle altre galassie di

fondo chiamate “archetti”. Si definisce tale fenomeno come lente debole e, grazie all’introduzione dell’algoritmo di Kaiser e Squires (1993) viene usato per derivare la mappatura bidimensionale di massa degli ammassi. Una lente, come già detto precedentemente, è caratterizzata dalla sua densità di massa superficiale ( )θΣ .

Il fenomeno della lente forte avviene quando questa è, in qualche punto della lente, maggiore della densità di massa superficiale critica critΣ ,

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66

Σ ≥1

335.0

LS

OSOL

critGpcD

DDgcm 3.18)

Una lente che soddisfa a questa condizione produce una o più caustiche. Sorgenti all’esterno delle caustiche producono una sola immagine. Il numero delle immagini aumenta di due ogni volta che una caustica attraversa il centro dell’ammasso. Gli archi più grandi che si formano nelle immagini sono dovuti a sorgenti poste su punti di cuspide, poiché lì tre immagini si fondono in un solo grande arco. Anche nelle caustiche a “labbro” o di tipo break-to-break si formano degli archi. La posizione di un arco in un ammasso permette di stimare la sua massa proiettata entro una circonferenza tangente all’arco, come si vede in figura 41:

figura 41: L’arco delimita la massa dell’ammasso entro una circonferenza di raggio arcθ

Per una lente circolare simmetrica la densità superficiale di massa media corrisponde alla densità critica di massa superficiale. Qui si formano larghi archi orientati tangenzialmente approssimativamente vicino alle linee critiche. Il raggio della circonferenza che delimita la massa arcθ da’ inoltre una stima del raggio di Einstein

dell’ammasso Eθ . Pertanto: ( ) ( ) critEarc Σ=Σ≈Σ θθ 3.19)

e la massa contenuta nella circonferenza sarà:

( ) ( )

⋅≈Σ= ΘLS

OSOLdcrit

GpcD

DDMDM

1"30101.1

2142 θ

θπθ 3.20)

L’immagine 40 mostra otto immagini della stessa galassia di fondo (una radiale ed otto allineate tangenzialmente).

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Analizzando questo ammasso fittando la lente con più di un centinaio di altre distribuzioni di massa conosciute, si scoprì che la maggior parte della massa (~83%) forma una distribuzione simmetricamente sferica e liscia di materia oscura. La massa totale entro kpch 1107 − dal nucleo dell’ammasso, ossia alla distanza degli archi, risulta:

Θ

⋅⋅±= M

D

DhM

OS

LS

1

114107 57.0

10002.0662.1 3.21)

L’esistenza di un arco centrale radiale implica l’esistenza di un nucleo molle di raggio kpch 135 − , in contraddizione con i profili risultanti in alcuni modelli di strutture cosmiche (come ad esempio quello di Navarro, Frenk e White). Un ulteriore misura del redshift della sorgente 675.1=Sz comparato con il redshift dell’ammasso

39.0=Lz implica che 675.0=

OS

LS

D

D assumendo che ( ) ( )7.0,3.0, =ΩΩ Λm .

Se un ammasso può produrre archi giganti, la sua densità di massa superficiale nel nucleo deve essere supercritica critΣ≥Σ

Se applicato al modello di lente semplice, come ad esempio la sfera isoterma liscia, questa condizione implica che:

OS

LS

coreD

D

kms

2

1310"15

−νσθ 3.22)

Sono stati fatti diversi studi sui sistemi con presenza di archi. Per esempio si è scoperto che l’ingrandimento radiale degli archi tangenziali dipende dalla ripidezza

del profilo di densità, poiché rA dipende da θ∂∂M

.

D’altro canto, ( )[ ]( )k

kAr −=+−= −

1

5.01 1γ .

Il valore minimo di rA è 0.5 corrispondente ad una lente molto compatta con k=0 vicino alla posizione dell’arco. Al contrario, più piatto diventa il profilo di massa più vicino ad 1 diventa k e quindi aumenta l’ingrandimento radiale. La presenza di archi sottili in alcuni ammassi suggerisce un potenziale molto piccato con k<0.5 e pertanto indica un conseguente aumento della sollecitazione di taglio.

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3.6 Lensing di ammassi e strutture estese: lenti deboli

figura 42: simulazione di lente debole per galassie distanti Credit: S. Colombi (IAP), CFHT Team

Oltre agli archi, un ammasso produce anche altre immagini poco distorte di altre sorgenti di fondo che non si trovano vicino alle caustiche. Sono gli archetti. Essi furono scoperti per la prima volta da Fort nel 1988. La separazione fra di essi è tipicamente di 5-10” ed è molto più piccola della scala rispetto alla quale il potenziale gravitazionale dell’ammasso cambia apprezzabilmente. Il segnale, debole e confuso, delle varie sorgente può essere mediato con tecniche statistiche per estrapolare la distribuzione di massa dell’ammasso. La prima tecnica non parametrica per convertire le ellitticità osservate degli archetti in una

mappatura della densità superficiale ( )θrΣ dell’ammasso fu sviluppata da Kaiser e Squires nel 1993. 3.6.1 L’algoritmo di Kaiser & Squires

L’algoritmo di Kaiser & Squires si basa sul fatto che sia la convergenza ( )θrk che la sollecitazione

di taglio ( )θγr

2,1 sono combinazioni lineari delle derivate seconde del potenziale di lente effettivo

( )θrΨ .

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Partendo da questo principio, si misura prima la sollecitazione di taglio ( )θγr

2,1 analizzando la

debole distorsione delle immagini delle galassie di fondo, poi si usa la relazione per determinare

( )θrk .

La densità superficiale della lente si ottiene dalla ( ) ( )θθrr

kcritΣ=Σ .

Le relazioni sopra accennate sono le seguenti:

3.23)

Introducendo la trasformata di Fourier di ( )θrk , ( )θγr

2,1 e di ( )θrΨ abbiamo:

3.24)

dove kr è il vettore bidimensionale coniugato a θ

r.

La relazione fra ( )θrk e ( )θγr

2,1 si può scrivere, nello spazio di Fourier, come:

3.25)

Inoltre, se sono già state misurate le componenti della sollecitazione di taglio ( )θγr

2,1 , si possono

risolvere le equazioni per ( )kkr

ˆ nello spazio di Fourier ed ottenere ( )θrk antitrasformando ciò che si è ottenuto.

Analogamente, si può scrivere la relazione come una convoluzione nello spazio di ( )θr in questo modo:

3.26) dove D è il nucleo complesso di convoluzione

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3.27)

e ( )θγ r è la sollecitazione di taglio complessa

3.28) L’asterisco indica che la funzione è complessa coniugata.

Secondo questo algoritmo la sollecitazione di taglio ( )θγ r può essere misurata.

Infatti, definendo l’ellitticità di una immagine come

3.29)

con φ l’angolo di posizione dell’ellisse ed a e b i suoi semiassi, di valori ( ) 1 -k-1 −γ e ( ) 11 −+− γk . Ricordando che la matrice di mappatura ha autovalori 1-k-γ e 1-k+γ possiamo calcolare l’ellitticità media introdotta dalla lente sopra una regione finita di cielo come:

3.30) Nel limite di lente debole, k<<1 e 1<<γ , e l’ellitticità media restituisce subito la sollecitazione di

taglio:

3.31)

Una volta trovati ( )θγr

1 e ( )θγr

2 , con la 3.26 si può trasformare il campo così ottenuto per ottenere

( )θrΣ e ( )θrk .

Poiché il rapporto segnale rumore delle sorgenti è molto basso, per ottenere ( )θεr

1 ed ( )θεr

2

conviene mediare su un consistente numero di sorgenti. Tuttavia, molti fenomeni possono alterare ciò che rappresenta l’elegante formalismo appena descritto. Per esempio, a causa della turbolenza atmosferica, le immagini ellittiche tendono ad essere circolarizzate, implicando una misura non corretta della distorsione di taglio. Inoltre la PSF del telescopio può essere anisotropa e variare lungo il campo di vista, o ancora, il telescopio può avere astigmatismo, ovalizzando le immagini circolari. Il linea di principio tutti questi fenomeni possono essere corretti, ma poiché il segnale della sollecitazione di taglio, specialmente alla periferia dell’ammasso, è debole, le correzioni da operare devono essere estremamente precise, ed alcune volte risulta essere una vera e propria sfida.

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Poiché si media su un numero elevato di immagini di galassie, si introduce un limite di risoluzione per la ricostruzione della distribuzione di massa dell’ammasso. Pensando una densità di galassie pari a 50 per arcominuto quadro, si avrà una separazione tipica fra due di esse di circa 8”. Ma se la media è fatta su 10 galassie, il limite di risoluzione spaziale risulta essere di 30”! Nella 3.30 si vede come l’ellitticità sia una funzione di k e di γ . Pertanto, inserendo la

3.32) nella 3.26 si ottiene un integrale che si può risolvere per iterazione. Tuttavia, la sola misura dell’ellitticità non tiene conto dell’espansione isotropa delle immagini e pertanto il metodo risulta debole sotto questo punto di vista. Pensiamo allora di riscrivere la matrice A moltiplicandola per uno scalare λ (le ellitticità sono invarianti per questo tipo di operazione). Pertanto, scrivendo

3.33) vediamo come scalando A con λ otteniamo le seguenti trasformazioni di k e γ :

3.34) Con esse, come si vede, ε rimane invariante. Pertanto, avremo un termine λ che non permette direttamente la stima di k:

3.35) Se 1≤λ si può riscrivere k come k più un foglio di densità superficiale di massa costante 1-λ . Chiameremo la 3.35 degenerazione massa-foglio. Un’altra lacuna del metodo di Kaiser e Squires è che la convoluzione dovrebbe essere fatta

sull’intero piano θr, mentre in genere, i dati osservati si riferiscono ad un campo finito.

In tal modo fuori dal campo è come se 0=γ . Infine, per calcolare la densità superficiale di massa dobbiamo conoscere la densità superficiale di massa critica, ma poiché non conosciamo il redshift delle sorgenti, ci sono delle incertezze. Infatti, maggiore è il redshift di una sorgente, maggiore è la distorsione. L’influenza del redshift diminuisce quando la sorgente è a z molto maggiori dell’ammasso. 3.6.2 Eliminare la degenerazione massa-foglio misurando la Convergenza

L’equazione 2.57 asserisce che:

22)1(

1

)det(

1

γ−−==

kTA

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Dal momento che k scala con λ possiamo dire che A scala con 2−λ , possiamo eliminare la degenerazione massa-foglio misurando l’ingrandimento A in più rispetto alla sollecitazione di taglio. Il numero dei conteggi delle galassie più brillanti di una certa magnitudine limite m sono legati ai conteggi intrinseci dalla

3.36) dove s è la pendenza logaritmica della funzione relativa al conteggio intrinseco

3.37) Nel blu s~0.4 e N’(m)~N(m) indipendentemente dall’ingrandimento. In luce rossa s~0.15 e l’ingrandimento porta ad una diluizione delle galassie dietro l’ammasso.

figura 43: Pannello di sinistra: ammasso Cl0939+4713 (A 851). Il Nord è in basso, l’Est a destra. Il centro dell’ammasso è in alto a destra. Pannello di destra: Ricostruzione della distribuzione di massa dell’ammasso Cl0939+4713 (A 851). Il redshift medio delle 295 galassie uguale a 1.

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figura 44: Immagine HST dell’ammasso Cl 0024, su cui è sovrapposto il campo della sollecitazione di taglio ottenuta da osservazioni di archetti con il Canada-France Hawaii Telescope (Y. Mellier & B. Fort) Il pannello di destra mostra la ricostruzione della distribuzione di massa dell’ammasso (C. Seitz et al.). Un altro metodo è quello di confrontare le dimensioni delle galassie in un campo con un ammasso con galassie simili in un campo vuoto. E’ importante ricordare che poiché il fenomeno di lensing non muta la brillanza superficiale delle galassie, conviene scegliere galassie con la medesima brillanza superficiale nel confronto. In questo modo, l’ingrandimento sarà dato soltanto dal rapporto fra la galassia che subisce lensing e quella che non lo subisce. 3.7 Il redshift della sorgente e la sua determinazione

Come detto prima, al crescere del redshift in un ammasso, cresce il potere di distorsione e di ingrandimento. La chiave di lettura per analizzare questo problema sta nella brillanza superficiale. Infatti essa, meglio ancora della magnitudine apparente, fornisce una sorta di etichetta per le galassie, essendo invariante per lensing e dipendendo strettamente dal redshift. Bartelann e Narayan crearono a metà degli anni ’90 un algoritmo per trovare la distribuzione di massa dell’ammasso e contemporaneamente il redshift della sorgente il tutto in funzione della brillanza superficiale. Tale algoritmo fu chiamato il metodo della parallasse della lente e nelle simulazioni raggiunse precisioni con scarti del 5% nella determinazione della massa degli ammassi e del 10% nella determinazione del redshift della sorgente. 3.7.1 Metodi per campi finiti

L’equazione 3.26 deve essere estesa all’intero piano reale. Ma la ricostruzione della massa è affetta dal problema che i campi di vista sono finiti Per ovviare al problema sono stati sviluppati dei nuclei modificati.

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La relazione

3.38)

mostra che la convergenza in ogni punto θr è correlata da un integrale di linea alla convergenza in

un altro punto 0θr

3.39)

Se il punto di partenza 0θr è lontano dal centro dell’ammasso, ( )0θ

rk sarà piccolo e trascurabile.

Per ogni punto di partenza la 3.39 fornisce una stima della differenza fra ( )θrk - ( )0θr

k e, mediando su

tutti i 0θr si possono costruire nuclei modificati .

Per scegliere 0θr sono state proposte varie teorie.

Per esempio, si può suddividere il campo in una regione centrata sull’ammasso e prendere come 0θr

tutti i punti nel resto del campo.

Oppure si può prendere come 0θr tutto il campo.

In entrambi i casi il risultato è ( )θrk - k , con ( )θrk convergenza media nella regione 0θr.

( )θrk non si conosce, pertanto l’equazione 3.39 restituisce k solo a meno di una costante.

Dalla scelta di ( )0θr

k dipende il valore di ( )θrk .

Un altro metodo parte dal presupposto che essendo k e γ combinazioni lineari delle derivate seconde dello stesso potenziale Ψ della lente, si può ricostruire Ψ invece di k, costruendo un

campo ( )θrΨ che riproduce su una griglia le distorsioni ed ingrandimenti osservati.

3.8 Lente debole prodotta da strutture estese su larga scala

E’ possibile trovare fenomeni di lensing anche su scale più ampie di quelli degli ammassi. Kristian & Sachs e Gunn hanno ipotizzato fenomeni di lensing debole dovuti a grandi distribuzioni di massa su larga scala. Tale effetto è molto debole e di difficile identificazione. Ma la grandiosità di tale scoperta è quella che permette di ottenere lo spettro di potenza delle perturbazioni della densità dell’universo (P(k)) grazie alla funzione di correlazione fra due punti dell’immagine distorta. La funzione di correlazione della sollecitazione di taglio dell’immagine, o polarizzazione, è stata calcolata per il modello CDM classico e per altri modelli dell’universo. Il fenomeno della lente debole prova che ci sono grandi concentrazioni di massa su larga scala laddove le perturbazioni della densità non si scostano dal regime lineare.

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3.9 Correlazioni fra Quasar e Galassie

La lente gravitazionale su strutture a larga scala può introdurre correlazioni fra la distribuzione dei quasar e delle galassie. A causa del fenomeno del bias di ingrandimento, la densità osservata dei quasar dipende dalla distribuzione di materia lungo la linea di vista. Come già visto, la densità di quasar più brillanti di una certa magnitudine m soddisfa la

15.20 )()( −<=< s

QQ AmNmN dove A è l’ingrandimento prodotto dal lensing lungo la direzione

considerata. Per s~1 i quasar brillanti diventano più abbondanti dietro ad agglomerati di materia oscura. Inoltre le galassie sono buoni traccianti per la rivelazione della presenza di materia oscura, e quindi ci si aspetta un aumento di quasar brillanti attorno a galassie di fondo. Per questo fenomeno di lente debole, l’ingrandimento è approssimativamente di A=1+2k, con k sopra descritto.

L’eccesso di quasar in una data direzione sarà ( ) ( )θrksN

NN

Q

QQ 215.20

0

−≈−

.

Ma la densità numerica di galassie è legata al contrasto di densità δ attraverso il parametro di bias b:

massgal bδδ = 3.40)

Pertanto, la correlazione quasar-galassia angolare sarà proporzionale a ( )15.2 −s b volte un integrale

di δP lungo la linea di vista, dove δP è lo spettro di potenza.

Questa relazione da’ informazioni sulla formazione di strutture. Diverse misure hanno confermato l’esistenza di un eccesso di galassie attorno a quasar brillanti , supportando la presenza di un effetto di bias d’ingrandimento. 3.10 Lensing del CMB

La deflessione della luce dovuta a strutture su larga scala affligge anche l’anisotropia della radiazione di fondo cosmico a microonde. La funzione di autocorrelazione angolare del CMB varia di poco, tuttavia alcuni picchi nello spettro di potenza della CMB agli alti ordini sono allargati dal fenomeno di lensing. Questo effetto è debole, dell’ordine del 5%, o su scale angolari <10’, ma potrebbe essere riscontrato

dalle future osservazioni del CMB, come il Plance Microwave Satellite.

Capitolo 4: Microlensing Gravitazionale

4.1 Introduzione

Come tutti sanno le galassie sono fatte di stelle, e la materia oscura è formata da particelle.

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Alla vista d’insieme questi potrebbero sembrare sistemi continui, ma in realtà essi sono costituiti da

corpi discreti, che modificheranno il risultato complessivo della deviazione gravitazionale della

luce.

Consideriamo il caso di un quasar:

se osservato attraverso la parte più esterna di una galassia, dove la densità è una piccola parte della

densità critica, e k<<1, per un profilo di densità decrescente avremo che la sollecitazione di taglio g

sarà minore o uguale a k.

Pertanto l’amplificazione risulterà essere circa A~1+2k, e sarà l’unico effetto se consideriamo la

galassia come un continuo.

Ma se le dimensioni angolari della sorgente di fondo sono minori di ~ 610− arcsec, è possibile che si

generi un’amplificazione molto grande, specialmente se vi è un allineamento molto stretto fra la

sorgente ed una stella appartenente alla galassia.

Questo secondo caso prende il nome di microlensing gravitazionale.

4.2 Microlensing e probabilità

Il fenomeno di microlensing è anche un fenomeno di probabilità. Infatti, il flusso di una sorgente vista attraverso delle lenti ha una distribuzione di probabilità, e non un valore univoco. Inoltre, le velocità orbitali dell’osservatore, della sorgente e della microlente generano un intreccio di variabilità apparente della sorgente. Studiando le sezioni d’urto possiamo trovare la distribuzione di probabilità per l’ingrandimento dato dall’effetto di microlensing su una distribuzione casuale di masse puntiformi. Il numero di lenti con un ingrandimento A può essere espresso dalla:

( ) 11

2)(

22 −+−=>

AAAAN

τ 4.1)

dove τ è la profondità ottica della lente:

OLL

OS

LSOL dDD

DD

c

πτ ∫=

2

4 4.2)

Per A grandi otteniamo un esiguo numero di lenti ed otteniamo un’alta probabilità di lensing

2AN

τ≈ , mentre N diverge se A si approssima all’unità.

A grandi angoli dalla sorgente questa approssimazione decade, poiché ci sono molte lenti con effetti pressappoco identici. Però si può pensare che esiste sempre una lente vicina alla linea di vista della sorgente e si può calcolare la distribuzione di probabilità di amplificazione solo per quest’oggetto. Grazie alla distribuzione di Poisson otteniamo:

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)( ANedA

dN

dA

dp >−= 4.3)

Per piccole profondità ottiche τ <0.1 la probabilità si approssima alla distribuzione osservata. Inoltre, per piccole profondità ottiche l’approccio statistico alle lenti soddisfa la conservazione del flusso. Se τ aumenta è molto difficile ottenere risultati precisi, dal momento che il numero delle caustiche diventa molto alto e complicato, per τ =1, ed ogni linea di vista è affetta da lensing. Per la più vicina distribuzione di lenti, l’amplificazione media è data dalla:

∫∞

==0 1

2 )2(2)( ττ τ KeAAdPA 4.4)

con 1K funzione di Bessel modificata.

Per τ piccoli τ21+≈A .

Per una lente sottile si ha ( )[ ]221

1

γ−−=

kA che diventa 1+2k per 2k e 2γ piccoli.

Gli effetti statistici di microlensing si combinano per dare un ingrandimento medio. Questo è vero anche per lenti otticamente spesse ma è di difficile risoluzione. La distribuzione statistica di ingrandimenti pesa nella selezione degli oggetti extragalattici. La densità superficiale apparente per un certo numero di oggetti che subiscono lensing sarà:

AdApA

SnSn ln)(ln)ln()(ln' ∫

∞+

∞−

= 4.5)

che è una convoluzione della distribuzione di magnitudine. Se la funzione di luminosità è ripida il numero di oggetti deboli passibili di lensing è alto e si può avere n’>>n. 4.3 Curve di luce

Supponiamo che l’unico fenomeno che crea variabilità sia il movimento della lente, che avanza con velocità v. Possiamo definire una velocità angolare adimensionale che usa l’angolo di Einstein come unità di lunghezza e che sia funzione del redshift della lente e della distanza fra essa e l’osservatore:

EOLL

LL

Dz

vu

θ)1( += 4.6)

Se sia l’osservatore che la sorgente sono in moto cambia anche la geometria della lente e u sarà la somma vettoriale di tutti gli effetti, ed i suoi valori saranno distinti per l’osservatore e per la sorgente:

EOLS

S

SDz

vu

θ)1( += 4.7a)

EOLOSL

LS

DDz

Dvu

θ)1(0

0 += 4.7b)

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Per determinare )1( Lz+ nella 4.7b bisogna conoscere la distanza di diametro angolare

dell’osservatore vista dalla lente: R(z=0) )( LK rS dove LD =R(z= Lz ) )( LK rS .

Se il tempo iene misurato dal punto di minor distanza ES bθθ = c’è una relazione che illustra la

dilatazione temporale :

41

21

)(2

2

xx

x

tA

+

+= 4.8)

con

222)( tubtx += 4.9) Questo definisce il rigonfiamento simmetrico della curva di luce, descritto dai parametri adimensionali b ed u. Inoltre, u permette la stima della massa della microlente conoscendo le velocità in gioco e le distanze. Ci sono due circostanze in cui è stato riscontrato il fenomeno del microlensing: uno è il caso dei quasar, che subiscono molto il macrolensing delle galassie. Il caso più eclatante è quello del quasar Q2237+0305, chiamato “foglia di trifoglio”, in cui si vedono quattro immagini al centro di una galassia brillante a basso redshift. Il microlensing è dovuto al fatto che la massa della galassia, in questo caso, è dominata dalle stelle. Una delle immagini varia in maniera non correlata con le altre. 4.4 Microlensing di quasar

Subito dopo l’osservazione e l’analisi del quasar Q0957+561 Chang e Refsdal immaginarono che anche le singole stelle nella galassia potessero produrre dei propri effetti di lensing oltre a quelli della galassia, apportando delle variazioni ad una delle immagini del quasar quando la stella passava attraverso la linea di vista. Definiamo il raggio di Einstein associato agli effetti di microlensing come:

OS

LSOS

EGpcD

DD

M

Mcmr

Θ

⋅= 161026.4 4.10)

ed il tempo per attraversare il raggio di Einstein associato è:

OS

LSOSE

EGpcD

DD

M

M

kms

vyr

v

rt

Θ

==

1

16004.22

4.11) dove ⊥v è la velocità traversa della lente rispetto alla linea di vista. Questo tempo è abbastanza lungo per lenti stellari di velocità pari a quelle peculiari nella galassia o pari alle dispersioni di velocità stellari. Tuttavia le curve di luce sono dovute all’effetto di tutte le stelle e non delle singole stelle.

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Se la massa lungo la linea di vista è dominata dalla densità di colonna Σ della galassia e buona parte di essa è di componente stellare, , la profondità ottica per il microlensing delle immagini dei quasar sarà

crit

OLL

OS

LSOL dDD

DD

c

G

ΣΣ

== ∫ ρπ

τ2

4 4.12)

dove critΣ è espressa nella 2.26a.

Pertanto in approssimazione di lenti sottili, la profondità ottica è assimilabile alla convergenza, come detto sopra, ed è dell’ordine dell’unità in prossimità delle immagini multiple. Pertanto la traiettoria della luce sarà affetta da più lenti contemporaneamente. In presenza di lenti multiple, non si può trovare analiticamente la posizione delle immagini ed il loro numero. Pertanto, per trovare l’ingrandimento di una sorgente si utilizza la tecnica del “”raggio inverso”. Tale tecnica consiste nel tracciare all’indietro un grande numero di raggi di luce distribuiti isotropicamente, dall’osservatore alla sorgente, ed A si ottiene dalla densità di raggi che arrivano alla sorgente. Dall’azione combinata di molte lenti si forma una complessa struttura di caustiche, talvolta affette dalla sollecitazione di taglio prodotta dalla galassia che le ospita e dall’ammasso che ospita la galassia. In figura 45 si vede il tracciato d’ingrandimento nel piano della sorgente prodotto da un denso campo stellare in una galassia. La sequenza blu,verde,rosso,giallo indica ingrandimento crescente, e riflettono l’ingrandimento come funzione della posizione del quasar. I parametri sono stati scelti da un modello per l’immagine a del quasar Q2237+0305: k= 0.36, g= 0.44.

figura 45: tracciato d’ingrandimento nel piano della sorgente prodotto da un denso campo stellare in una galassia.

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La sequenza blu,verde,rosso,giallo indica ingrandimento crescente, e riflettono l’ingrandimento come funzione della posizione del quasar. I parametri sono stati scelti da un modello per l’immagine a del quasar Q2237+0305: k= 0.36, g= 0.44. (Courtesy of J.Wambsganss) Al variare della densità di massa superficiale si hanno diverse immagini delle caustiche, come mostra la figura 45a:

figura 45a: Immagini di caustiche di microlensing per tre diversi valori della densità di massa superficiale:

a) k=0.2

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b) k=0.5 c) k=0.8

La separazione fra caustica e caustica varia in base al raggio di Einstein delle lenti e quando la sorgente attraversa le caustiche appaiono picchi di ingrandimento nelle curve di luce. Il tempo tipico di tale attraversamento ct∆ sarà una frazione del tempo di attraversamento del

raggio di Einstein:

1.0(≅∆ ct π Et)1 .

C’è un altro tempo caratteristico, St∆ che è il tempo che impiega una sorgente di raggio Sr per

attraversare una caustica piegata. Esso è definito come:

==∆

⊥OS

OLS

OS

OLS

SD

D

cm

r

v

kmsdays

D

D

v

rt

10

10

60019

15

1

4.13)

Nel limite St∆ << ct∆ , per esempio quando la sorgente è abbastanza compatta, l’effetto del fatto che

essa sia finita sarà che l’aumento discontinuo dell’ingrandimento prodotto quando la sorgente entra in una caustica attraverso un ripiegamento (o la diminuzione discontinua quando ne esce) sarà reso meno discontinuo con un tempo caratteristico di aumento St∆ e pertanto l’ingrandimento

divergente associato ad un ripiegamento nel caso di sorgente puntiforme diverrà finito. Se invece St∆ >> ct∆ tutti i picchi associati all’attraversamento delle caustiche sono mediati a causa

delle dimensioni finite della lente lasciando soltanto una curva liscia con variazioni della stessa scala di Et∆ . Tali comportamenti sono illustrati in figura 46, dove le curve di luce per le traiettorie della sorgente corrispondono alle tre linee gialle nell’immagine 45.

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figura 46: Curve di luce corrispondenti alle tre linee gialle di figura 45. Le linee continue e tratteggiate indicano rispettivamente i casi di sorgente piccola e sorgente grande. L’asse dei tempi è in raggi di Einstein divisi per velocità unitarie. (Courtesy of J.Wambsganss) Se la sorgente è sufficientemente compatta e la lente è relativamente vicina è possibile avere cambi repentini nella curva di luce senza necessariamente pensare alla presenza di un gran numero di nane brune o lenti planetarie. La prima variabilità nel microlensing fu osservata in uno studio del quasar Q2237+0305 del 1989 che saliva di circa 0.5 mag in pochi mesi. Modelli dettagliati delle strutture tipiche delle caustiche dei quasar hanno permesso di vincolare le dimensioni del continuo ottico dei quasar a dimensioni minori di 15102 ⋅ cm. Tale quasar si presta molto allo studio a causa della configurazione simmetrica delle quattro immagini ed il suo ritardo temporale è di pochi giorni. La prossimità della lente ( 04.0=Lz , 7.1=Sz ) attenua significativamente gli effetti delle

dimensioni finite della sorgente, dando vita a veloci variazioni della luminosità. Recenti studi effettuati con OGLE hanno mostrato che in tutte le immagini avvengono rilevanti variazioni di flusso, come mostrato in figura 47:

figura 47: Curve di luce delle quattro immagini di Q2237+0305 tratte dall’archivio di OGLE (courtesy of P.Woźniak)

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4.5 Materia oscura e microlensing

La materia oscura è composta da protoni neutroni ed elettroni e per semplicità includeremo in

questa categoria anche i buchi neri.

Dal momento che molte forme emettono pochissima radiazione elettromagnetica, esse sono molto

difficili da individuare.

Ne sono un esempio le stelle di massa inferiore a masse solari le quali hanno una massa talmente

esigua da non riuscire nemmeno l’idrogeno in elio, e prendono il nome di nane brune.

Soltanto l’energia termica permette loro si esistere.

Pertanto sono estremamente difficili da osservare e sono inoltre oggetti freddi e deboli.

Analogamente, pure i pianeti, gli asteroidi e quant’altro sono di scarsa visibilità.

E’ ammissibile pertanto che nell’universo, una parte non indifferente della materia oscura nelle

regioni esterne delle galassie o negli ammassi, sia in una di queste forme.

Il modello del Big-Bang standard è preferito a causa delle abbondanze osservate di elio-4, elio-3

deuterio e litio-7 nel processo di nucleosintesi primordiale.

Per spiegare l’abbondanza del deuterio la densità di massa dei barioni nell’universo deve essere

1036.0 −<Ω hB .

Se poniamo la densità di massa dell’universo 10 =Ω , esso risulta essere non dominato da materia

barionica.

Pertanto se h=0.5 sarebbe possibile mantenere strutture enormi come gli ammassi di galassie con la

materia oscura barionica.

Tale valore di h farebbe aumentare BΩ a 0.15 e pertanto il rapporto massa-luminosità sarebbe 15

volte maggiore di quello osservato nel visibile per le galassie dove 01.0≅Ω vis e Θ

Θ≅L

M

L

M10 .

Un altro possibile candidato per la materia oscura sono i buchi neri.

Studi sul numero di lenti gravitazionali osservate nelle radio sorgenti extragalattiche e sull’assenza

di effetti di lensing di buchi neri di massa stellare negli aloni galattici hanno portato alla

determinazione di limiti per la densità numerica dei buchi neri.

Hewitt ed il suo gruppo nel 1987 trovarono dei limiti osservando strutture radio extragalattiche

trovarono che per buchi neri massicci con masse da M~ 1010 a M~ ΘM1210 10 <<Ω .

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Non è da escludersi che la materia oscura possa essere composta da tanti buchi neri poco massicci

ma essi dovrebbero essere stati prodotti da speciali perturbazioni nello spettro di potenza

dell’universo primordiale.

Il fatto che i buchi neri di massa pari a circa M~ 1210 kg evaporino per la radiazioni di Hawking su

scale temporali cosmologiche fornisce un limite inferiore alle dimensioni dei buchi neri che

contribuiscono alla materia oscura.

Alcock nel 1993 cercò le orme del microlensing gravitazionale analizzando le situazioni in cui un

oggetto di alone molto massivo e compatto (MACHO) passa davanti ad una stella di fondo Essendo

un fenomeno raro, dovette scandagliare molte stelle ù.

Gli oggetti di fondo, nel progetto MACHO sono le stelle nelle Nubi di Magellano.

Un esperimento analogo fu fatto dalla collaborazione con l’agenzia Europea e venne chiamato

EROS.

Questa tecnica è sensibile ad oggetti di massa 710 − <M<100 ΘM , e non fa distinzioni fra le

tipologie di oggetti.

Quando uno di questi oggetti oscuri passa di fronte ad una stella di fondo c’è un aumento della

luminosità che non dipende dalla lunghezza d’onda.

Il primo oggetto analizzato con questo sistema fu nell’ottobre del 1993.

In figura 48 è ben visibile la brillanza della stella di fondo nella banda blu e rossa, comparata con la

brillanza teorica dovuta all’effetto di lensing gravitazionale.

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Figura 48: Fenomeno di lensing gravitazionale osservato durante il progetto MACHO nel Febbraio

e Marzo del 1993.

L’asse orizzontale mostra il tempo in giorni a partire dal giorno zero (2 Febbraio), mentre l’asse

verticale l’aumento della luminosità della stella che subisce lensing relativa alle bande blu e rossa.

La curva nel blu e nel rosso è pressoché identica.

La massa dell’oggetto che provoca il lensing fu stimata essere compresa fra 0.03 e 0.5 masse solari.

Dal 1996 sono stati osservati molti fenomeni di lensing anche in direzione del nucleo galattico.

Il risultato è stato che il numero di fenomeni era tre volte maggiore di quanto ci si aspettava.

Otto oggetti furono osservati nella direzione della LMC.

Le tecniche fin qui descritte tuttavia non forniscono distanze o masse per gli oggetti individuali ma

le statistiche vincolano la massa del MACHO attorno a 0.3-0.5 masse solari.

Circa il 50% della materia oscura degli aloni galattici è composta da questi oggetti.

I candidati più interessanti sono le nane bianche, prodotte in gran numero nelle prime fasi evolutive

dell’universo.

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Journal Club Dottorandi 14 Giugno 2006 Andrea Verdini LENSING GRAVITAZIONALE C. Alcock1,2, R.A. Allsman3, D. Alves1,4, T.S. Axelrod3,1, A.C. Becker5,2, D.P. Bennett6,1, K.H. Cook1,2, K.C. Freeman3, K. Griest7,2, M. J. Keane8, M.J. Lehner7,2, S.L. Marshall1, D. Minniti1, B.A. Peterson3, M.R. Pratt5, P.J. Quinn9, A.W. Rodgers3, C.W. Stubbs5,2, W. Sutherland10, A. B. Tomaney5, T. Vandehei7,2, D. Welch11 (The MACHO Collaboration) June 8, 2006. First detection of a gravitational microlensing candidate towards the Small Magellanic Cloud C. Alcock1,2, R.A. Allsman3, D.R. Alves12, T.S. Axelrod4, A.C. Becker6, D.P. Bennett10,1, K.H. Cook1,2, N. Dalal2,5, A.J. Drake1,4, K.C. Freeman4, M. Geha1, K. Griest2,5, M.J. Lehner11, S.L. Marshall1,2, D. Minniti1,13, C.A. Nelson1,15, B.A. Peterson4, P. Popowski1, M.R. Pratt6, P.J. Quinn14, C.W. Stubbs2,4,6,9, W. Sutherland7, A.B. Tomaney6, T. Vandehei2,5, D. Welch8 (The MACHO Collaboration) The MACHO Project: Microlensing Results from 5.7 Years of LMC Observations Matthias Bartelmann and Peter Schneider Max-Planck-Institut f¨ur Astrophysik, P.O. Box 1523, D–85740 Garching, Germany Weak Gravitational Lensing ROGER D. BLANDFORD AND TOMI S LAV KUNDI ´C Theoretical Astrophysics, California Institute of Technology, MC 130-33, Pasadena, CA 91125 Gravitational Lensing and the Extragalactic Distance Scale Joachim Wambsganss Astrophysikalisches Institut Potsdam An der Sternwarte 16 14482 Potsdam Germany [email protected]

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Gravitational Lensing in Astronomy THE GALAXY Notes for Lecture Courses ASTM002 and MAS430 Queen Mary University of London Bryn Jones Prasenjit Saha RAMESH NARAYAN1 AND MATTHIAS BARTELMANN2 1HARVARD-SMITHSONIAN CENTER FOR ASTROPHYSICS, 60 GARDEN STREET, CAMBRIDGE, MA 02138, USA 2MAX-PLANCK-INSTITUT F ¨UR ASTROPHYSIK, P.O. BOX 1523, D–85740 GARCHING, GERMANY LECTURES ON GRAVITATIONAL LENSING Lecture: Clusters of Galaxies Part V B. Ziegler Gravitational Lensing LE LENTI LE LENTI GRAVITAZIONALI GRAVITAZIONALI Luca Ciotti WL Review: Bartelmann & Schneider: Physics Reports Gravitational Lensing Probing Dark Matter, Dark Energy and Large-scale Structure Quasars and Gravitational Lensing: A case study in X-ray analysis

Tom Aldcroft, CXC/ SAO Peacock Cosmological Physics Cambridge Mollerach S. Roulet E. Gravitational lensing and Microlensing World Scientific Schneider P., Ehlers J., Falco E.E Gravitational Lenses Springer-Verlag Rowan-Robinson M. Cosmology Oxford Longair M.S. Galaxy formation Springer

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Combes F., Boissé P., Mazure A., Blanchard A. Galaxies and Cosmology Springer Coles P., Lucchin F. Cosmology Wiley Peebles The large-scale structure of the universe Princeton Series in Physics Bradley W. Carroll, Dale A. Ostile Modern Astrophysics Pearson Simonetta Frittelli Department of Physics, Duquesne University, Pittsburgh, PA 15282, USA A. O. Petters Department of Mathematics, Duke University, Science Drive, Durham, NC 27708-0320, USA Wavefronts, Caustic Sheets, and Caustic Surfing in Gravitational Lensing Silvia Mollerach and Esteban Roulet Departamento de F´ısica Universidad Nacional de La Plata CC 67, 1900, La Plata, Argentina email: [email protected], [email protected] October 8, 2006 Gravitational lensing as folds in the sky http://www.sp.ous.ac.jp/koho/taiken2004/iynstuff/Lecture/lecture.html star-www.dur.ac.uk/ ~irs/research.html astrocultura.uai.it/.../ relativita_generale.htm

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