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Etica & Politica / Ethics & Politics, XI, 2009, 1, pp. 69-91 L’ethos dell’altro inizio: appunti sulla figura dell’ultimo Dio nei ‘Contributi alla filosofia (dell’evento)’ di Heidegger* Ernesto Forcellino Università di Salerno [email protected] ABSTRACT The last God is the most enigmatic figure of the Contributions to Philosophy (from Enown- ing), the complex posthumous work by Heidegger. The present essay tries to show how in that work important speculative questions are present and how, at the same time, the pos- sibility for differently thinking “ethos” is announced. Heidegger delineates the last God pro- file, employing a rich texture of recalls, where the legacy of ancient Greek “sophia” and the poetry of Hölderlin are intermingled. The nietzschean “death of God”, biblical tradition, mystic and theological echoes and early Christianity are also recognizable. It is principally announced the oscillation between “ flight and arrival” of the last God, the instantaneous passage that has in its absence the most sensible sign of his transit. From the self-refusal and from an arriving that is at the same time a past that has never been present and a fu- ture that is always postponed, the paradoxical measure for an “original ethic” is delineated. Moreover, through the last God, the question of “Ereignis” – “Leitfaden” of the Contribu- tions but also of the whole heideggerian thought – is faced in a more effective way. 0. Premessa – La ‘compagine’ (Fuge) conclusiva degli heideggeriani Contributi alla filosofia (dell’evento) 1 – opera volutamente postuma, dacché Heidegger * Il presente saggio costituisce parte integrante d’un lavoro più ampio – in corso di pubbli- cazione – dedicato ad alcune questioni teoretiche presenti nei Contributi alla filosofia (dell’evento) di Heidegger. 1 La sezione dei Beiträge dedicata alla figura dell’ultimo Dio conclude il manoscritto heideg- geriano e, potremmo dire, si configura anche sotto l’aspetto filosofico essenziale come il ‘ve- ro’ esito dell’intera opera. Nella versione a stampa del testo compare tuttavia alla fine una ulteriore parte, das Seyn, composta successivamente, ma presente nel manoscritto dopo il ‘Vorblick’, nella quale vengono ripresi i temi nodali del percorso intrapreso. Sulla scelta di inserire questo capitolo alla fine si veda il ‘Nachwort’ del curatore dei Beiträge zur Philoso- phie F.-W. Von Herrmann, il quale fa riferimento, tra l’altro, ad un appunto sull’argomento scritto dallo stesso Heidegger, risalente al 1939. Cfr. M. Heidegger, Beiträge zur Philosophie (Vom Ereignis), hrsg. v. F.-W. von Hermann, ‘Gesamtausgabe’ Bd. 65, Klostermann, Frankfurt am Main, 1989, pp. 511-521; trad. it. M. Heidegger, Contributi alla filosofia (dall’evento), a cura di F. Volpi e A. Iadicicco, Adelphi, Milano 2007, pp. 493-494. D’ora in avanti, l’opera verrà citata con la sigla BPh, seguita dal rinvio alla pagina in lingua orgina- le e, fra parentesi, all’edizione italiana (che seguiremo, salvo diversa indicazione).

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  • Etica & Politica / Ethics & Politics, XI, 2009, 1, pp. 69-91

    Lethos dellaltro inizio: appunti sulla figura dellultimo Dio nei Contributi alla filosofia (dellevento) di Heidegger*

    Ernesto Forcellino Universit di Salerno [email protected]

    ABSTRACT The last God is the most enigmatic figure of the Contributions to Philosophy (from Enown-ing), the complex posthumous work by Heidegger. The present essay tries to show how in that work important speculative questions are present and how, at the same time, the pos-sibility for differently thinking ethos is announced. Heidegger delineates the last God pro-file, employing a rich texture of recalls, where the legacy of ancient Greek sophia and the poetry of Hlderlin are intermingled. The nietzschean death of God, biblical tradition, mystic and theological echoes and early Christianity are also recognizable. It is principally announced the oscillation between flight and arrival of the last God, the instantaneous passage that has in its absence the most sensible sign of his transit. From the self-refusal and from an arriving that is at the same time a past that has never been present and a fu-ture that is always postponed, the paradoxical measure for an original ethic is delineated. Moreover, through the last God, the question of Ereignis Leitfaden of the Contribu-tions but also of the whole heideggerian thought is faced in a more effective way. 0. Premessa La compagine (Fuge) conclusiva degli heideggeriani Contributi alla filosofia (dellevento)1 opera volutamente postuma, dacch Heidegger

    * Il presente saggio costituisce parte integrante dun lavoro pi ampio in corso di pubbli-cazione dedicato ad alcune questioni teoretiche presenti nei Contributi alla filosofia (dellevento) di Heidegger. 1 La sezione dei Beitrge dedicata alla figura dellultimo Dio conclude il manoscritto heideg-geriano e, potremmo dire, si configura anche sotto laspetto filosofico essenziale come il ve-ro esito dellintera opera. Nella versione a stampa del testo compare tuttavia alla fine una ulteriore parte, das Seyn, composta successivamente, ma presente nel manoscritto dopo il Vorblick, nella quale vengono ripresi i temi nodali del percorso intrapreso. Sulla scelta di inserire questo capitolo alla fine si veda il Nachwort del curatore dei Beitrge zur Philoso-phie F.-W. Von Herrmann, il quale fa riferimento, tra laltro, ad un appunto sullargomento scritto dallo stesso Heidegger, risalente al 1939. Cfr. M. Heidegger, Beitrge zur Philosophie (Vom Ereignis), hrsg. v. F.-W. von Hermann, Gesamtausgabe Bd. 65, Klostermann, Frankfurt am Main, 1989, pp. 511-521; trad. it. M. Heidegger, Contributi alla filosofia (dallevento), a cura di F. Volpi e A. Iadicicco, Adelphi, Milano 2007, pp. 493-494. Dora in avanti, lopera verr citata con la sigla BPh, seguita dal rinvio alla pagina in lingua orgina-le e, fra parentesi, alledizione italiana (che seguiremo, salvo diversa indicazione).

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    stesso non volle che vedesse la luce in vita interamente occupata dalla figu-ra dellultimo Dio, assente dagli scritti pubblici del filosofo di Messkirch. Vi si allude tuttavia nella celebre intervista rilasciata al settimanale Der Spiegel; anchessa significativamente destinata, sempre per volere di Heidegger, ad una lettura successiva alla sua morte.

    la filosofia non potr produrre nessuna immediata modificazione dello stato attuale del mondo. E questo non vale soltanto per la filosofia, ma anche per tutto ci che mera intrapresa umana. Ormai solo un Dio ci pu salvare. Ci resta, come unica possibilit, quella di preparare (Vorbereiten) nel pensare e nel poetare, una disponibilit (Bereitschaft) allapparizione del Dio o allassenza del Dio nel tramonto (al fatto che, al cospetto del Dio assente, noi tramontiamo) 2.

    Si tratta di un passo infinite volte citato, quasi altrettante volte frainteso, e che forse le pagine dei Beitrge potrebbero aiutare a leggere secondo una nuova luce.

    Cominciamo allora con una domanda: quale necessit del pensiero induce Heidegger a riservare ancora uno spazio per dar figura al divino? Perch, con-sumato lEssere (Seyn) nella eventualit del suo essenziarsi, della sua Wesung la cui modalit fondamentale data peraltro dalla ritrazione simpone tut-tavia lurgenza di tornare al nome di Dio? E sia pure dellultimo Dio? non , in altri termini, sufficiente assumere tale consumazione come la reale svolta verso la quale sindirizza il pensiero, in vista di ci che i Contributi definiscono altro inizio? Nel nome che tuttavia in queste pagine resta: la parola Seyn, la cui differenza inaudita si consegna solo entro lo spazio di un grafema, non gi revocata allEssere stesso e in maniera volutamente contraddittoria la possibilit di aver nome? Eppure, resta da comprendere come le vere pagine finali dei Beitrge zur Philosophie, ci consegnino questo paradosso che non po-tr esser taciuto, dal momento che il rigore stesso con cui Heidegger ha edifi-cato questa sua opera enigmatica ad esigerlo. come se ci venisse detto che al-le spalle della metafisica, e nellombra che ne cela lessenza, se pure la parola dellEssere, o meglio: la parola-Essere, non sia termine che convenga pi ad indicare la cosa stessa del pensiero dacch infatti lessere svanisce nellEreignis3 permanga tuttavia un margine di efficacia per unaltra parola. Quella parola che consente, nonostante tutto, di nominare ancora non invano il nome di Dio. E, su questo margine, pare essere altres annunciata una pos- 2 M. Heidegger, Ormai solo un dio ci pu salvare. Intervista con lo Spiegel, Guanda, Parma 1987, p. 136. 3 Sein verschwindet im Ereignis , M. Heidegger, Zeit und Sein, in Id., Zur Sache des Den-kens, Niemeyer, Tbingen 1988, p. 22 (trad. it. M. Heidegger, Tempo ed essere, Guida, Na-poli 1991, p. 128 Lessere svanisce nellEreignis ).

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    sibilit di abitare altrimenti il mondo. Ma non gi edificando dimore, piuttosto decostruendone la possibilit stessa, anzi: declinando secondo il modo sospeso del possibile das Mgliche lo spazio stesso dellabitare.

    Si detto del resto che la questione appare paradossale. Si consideri ad e-sempio che tale nome il nome dellultimo Dio starebbe al contempo per un altro nome il nome Ereignis, appunto essendone in certo modo figura sen-za per essere lEreignis medesimo. Le pagine che seguono mireranno a man-tenersi su tale paradosso, e non gi a scioglierlo. Per far ci, quel che si propo-ne come filo conduttore di queste riflessioni una considerazione preliminare, per ci stesso carica duna buona dose di oscurit: la necessit di ricorrere, e sia pure per unultima volta, al nome di Dio, non dovuta alla ricchezza di senso di cui esso ancora investito, ma giusto il contrario; vale piuttosto per la sua paradossale, appunto insignificanza. Perch il nome di Dio, meglio dogni al-tro nome e parola meglio del nome e della parola Essere non significa (pi) niente. senza di s, rifiutandosi ad esser propriamente pronunciato. Come il nome proprio che si installa nel frammezzo della assenza e mancanza di nomi. Del negarsi del nome.

    1. Vero luogo cruciale dellintera opera, e finale fuga dun libro che si nega al suo stesso statuto, der Letzte Gott non affatto un altro dio, non una nuo-va rappresentazione che semplicemente si aggiunga alle altre. Rispetto agli dei gi stati e specie rispetto al Dio cristiano, si d piuttosto come quello del tutto diverso, la cui alterit e differenza sono in tal misura radicali da volger-si allinterno della medesimezza.

    Per intendere lenigmatica polisemia del letzter Gott occorre che la lettura si orienti tra i continui riferimenti che Heidegger vela nelle sue pagine. Ma qui Hlderlin a divenire interlocutore fondamentale: il poeta del Dio prossimo, eppur difficile da afferrare (Nah ist / Und schwer zu fassen der Gott), abita sempre, con voce silenziosa, i passaggi pi profondi dei Beitrge, ne scandisce in certo modo il ritmo nascosto. Se ne presagisce costantemente lombra, nel subitaneo brillare degli dei per la loro stessa assenza, o insistendo nellattesa forse destinata a durare infinita duna salvezza o dun aiuto che scaturisca, enigmaticamente, non altrimenti che dal mancare di Dio (so lange, bis Gottes Fehl hilft Dichterberuf).4 Hlderlin il poeta pi ad-veniente, pi

    4 Ma le voci che, con sapiente contaminatio, sintrecciano fra loro sotto laspetto dellultimo Dio, sono davvero tante, al punto da moltiplicarsi in un gioco prismatico dinfiniti richiami. Sembra di avvertire in queste pagine, ad esempio, gli echi trasmutati del dio di Eraclito che , non dice n nasconde, ma accenna, mentre al con-

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    venturo per gli Zuknftigen des letzten Gott, colui che dischiude lampio spazio della sua provenienza lontana ed in tale vastit scandisce la misura (durchmit): attraversa e trasforma ci che pi grande (das Grte) .5 Con il canto del poeta sinaugura il tempo della doppia indigenza, dir Heidegger nella nota conferenza del 36 su Hlderlin e lessenza della poesia, esposto com fra il non pi degli dei fuggiti e il non ancora del Dio che viene. E noi siamo presi nella distretta di questi due non troppo tardi per gli dei, e troppo pre-sto per lEssere che traccia la tramatura del frammezzo che si abita, insi-curo nella duplice mancanza della nullit che lo fonda6. Stare sul luogo di que-sto frammezzo volutamente contraddittorio, perch insieme ou-topico pare dunque essere il vero ethos dellaltro inizio nascostamente annunciato nellepilogo dei Contributi.

    Il luogo che nei Beitrge Heidegger sottopone alla dignit dellinterrogazione radicale, attraversato da quellopaco limite in cui ogni ancoraggio ad un orizzonte di significativit perduto, dove la Stimmung del tempo si indovinano passaggi della versione luterana della Bibbia e della Disputatio di Hei-delberg, o lannuncio della morte di Dio lanciato da Nietzsche. E ancora si scorgono riferi-menti vetero e neotestamentari, e forti richiami allelevatezza speculativa della mistica, in specie a Meister Eckhart, come anche ma si tratta di una presenza costante in tutti i Bei-trge alla filosofia di Schelling (tra laltro del 1936 dunque il medesimo anno dinizio dei Beitrge il primo ciclo di lezioni che Heidegger dedicher alle schellinghiane ricerche sullessenza della libert umana. Cfr. M. Heidegger, Schelling: Vom Wesen der menschlichen Freiheit (1809) (Sommersemester 1936), hrsg. v. I. Schler, Gesamtausgabe Bd. 42, Klostermann, Frankfurt a. M., 1988). Sullultimo Dio si vedano, tra gli altri, J.-F. Courtine, Les traces et le passage du Dieu dans les Beitrgen zur Philosophie de Martin Heidegger, in Archivio di filosofia, LXII, n. 1-3, 1994, pp. 519-538; V. Vitiello, Lultimo Dio: un tremito dessere, in Id. Cristianesimo senza redenzione, Laterza, Roma/Bari 1995, pp. 67-70; F. To-matis, Lultimo Dio, in Id. Escatologia della negazione, Citt Nuova, Roma 1999, pp. 56-68; G. Figal, Gottesvergessenheit : ber das Zentrum von Heideggers Beitrgen zur Philosophie, in Internationale Zeitschrift fr Philosophie 9/2000, pp. 176-189; J. Greisch, La pauvret du "dernier Dieu" de Heidegger, in H. A. Krop (Hrsg.), Post-theism: reframing the Judeo-Christian tradition, Peeters, Leuven 2000, pp. 397-420; D. R. Law, Negative theology in Hei-degger's Beitrge zur Philosophie, in International journal for philosophy of religion 48/2000, pp. 139-156; C. Ionescu, The concept of the last god in Heidegger's Beitrge: Hints to-wards and understanding fo the gift of Sein, in Studia phaenomenologica 2/2002, pp. 59-95; H. Hbner, Vom Ereignis und vom Ereignis Gott. Ein theologischer Beitrag zu Martin Hei-deggers Beitrgen zur Philosophie, in Coriando (hrsg. von) Herkunft aber bleibt stets Zu-kunft. Martin Heidegger und die Gottesfrage, Klostermann, Frankfurt am Main 1998, pp. 135-158. 5 M. Heidegger, BPh, op.cit., p.401 (p. 393). 6 Su Hlderlin come principale ispiratore per il pensiero dellultimo Dio ci permettiamo di rinviare a E. Forcellino, Ist unbekannt Gott? sconosciuto Dio? Su in lieblicher Blue di Friedrich Hlderlin, in Il Pensiero, 2/2000, pp. 87-100.

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    presagio (Ahnung) si volge allo spazio dun nascondimento in cui accade lindecidibile eventualit di ci che al tempo stesso pu esser dato e sottratto. Dato, sintenda, nella sottrazione medesima e a partire da tale sottrazione. Un luogo estremo, al quale ogni cosa resta esposta, fra presenza e abbandono, nel non-senso della sua revoca sempre possibile.

    Ma come approssimarci in questo intreccio indecidibile al passaggio del Dio, come soltanto poterne congetturare (erdenken) la profonda unicit e il pi inafferrabile segreto se ci riesce di concepire in maniera ancora cos impropria la morte?

    Se gi capiamo cos poco la morte in ci che ha di estremo, come possiamo pretendere di essere maturi per il raro cenno dellultimo Dio? .7

    Eppure, lultimo Dio sta proprio nello Zwischen, nellou-topico frammezzo del dis-velamento e del nascondersi, quellinterstizio chiaroscurale che tiene unite e separa la pura possibilit dellinizio e lim-possibile possibilit della morte.

    Lo si rammenti: secondo analitica dellesistenza, la morte simpone come il vertice stesso del possibile, il suo dispiegamento pi puro ed estremo proprio nella misura in cui attraverso di essa data la possibilit dellimpossibilit dellesistenza in generale. Ma sintenda: non la morte va da s: non il mero fatto del morire bens la sua possibilit, o meglio: la morte in quanto possibi-lit, prima della stessa determinazione dellesistere, tratteggia lesistenza stes-sa dellesserci nella sua pi profonda costituzione dessere. Ed sul fondamen-to della possibilit condotta allestremo dellimpossibile che lesistenza viene colta nella sua impossibile totalit in quanto essa medesima possibile. O, det-to altrimenti, nellesperienza della pura possibilit del possibile/impossibile, cui schiude lesser-per-la-morte, alla indeterminatezza del possibile per ci stesso impossibile sospeso ogni ordine reale dei significati mondani. Com-preso lorizzonte schematico del tempo come dello spazio e la dimensione primaria dellautocoscienza trascendentale.

    Ma nella morte non sadombra semplicemente la possibile venuta dellimpossibile, se non piuttosto il fatto che limpossibile stesso sia possibile. Che limpossibile, anzi: il pi che impossibile possibile.

    Ci stiamo lasciando guidare, in realt, da un suggestione celata nei versi di Angelus Silesius, il mistico del Seicento che Heidegger ben conosceva:

    Das berunmglichste is mglich - il pi che impossibile possibile8. Questo legame fra lazzardo di pronunciare ancora il nome di Dio (e sia pu-

    7 M. Heidegger, BPh, op.cit. p.405 (397). 8 Angelus Silesius, Il pellegrino cherubico, trad. it. con testo originale a fronte a cura di G. Fozzer e M. Vannini, San Paolo, Cinisello Balsamo 1989, p. 383 [153].

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    re secondo il paradosso di unultima nominazione per il Dio ultimo) e la morta-lit del Dasein, estremamente significativo. Vi appaiono intrecciati quel che per lesserci per la sua possibilit impossibile essendo possibile lultimit della morte, appunto e quel che, nellarrischio del nome, si nega allessere e alla nominazione, mentre insieme pu negare, portar via (Weg-sein) lesserci (Da-sein), che pure ancora tenta di dagli nome.9

    Invero nel cenno fugace dellultimo Dio giunge a maturazione (Reife) lessenziale duplicit che attraversa lEssere stesso nella sua Wesung, quel dar-si in uno di essere e non che nei Contributi richiamato dal gioco sospeso dellEreignis come indeciso ed esitante negarsi (zgernde Versagung).

    La maturit gravida delloriginario Non . Questo Nicht lascia che la donazione, oscillando nel Gegenschwung, sia non-ancora e gi non-pi tale al medesimo tempo. L dove la possibilit dellEssere, il noch-nicht del suo avve-nire possibile, resta sospesa al nicht-mehr dellimpossibilit, la wesende ni-chthafte des Seyns als Ereignis perviene al suo grado estremo. Del pari il Dio ultimo eccede ogni lineare procedere del tempo, perch il pi adveniente (das Kommendste im Kommen, dir Heidegger in Die Geschichte des Seyns, la cui essenza pi riposta in quanto Verweigerung il Nicht-kommen)10 e proprio in quanto tale semper adveniens, nel rinvio alla sua origine segreta. Meglio: col suo accennare sospende la temporalit, per essere lincatturabile istante celato in ogni interstizio del tempo, e che, sconvolgendone la successione, riflette quel futuro assoluto gi ripiegato sulla Gewesenheit, sullesser-stato che allude al passato mai stato presente duna provenienza indisponibile.

    In questo essenziarsi (Wesung) del cenno, lEssere stesso perviene alla sua

    9 Il richiamo ad Angelus Silesius, suggerito dallaccostamento fra concepibilit della morte e cenno dellultimo dio presente nella pagina dei Beitrge, ci stato esso stesso suggerito. Trae infatti origine dallaccostamento che Jacques Derrida proprio richiamandosi ai versi di Si-lesius citati compie fra teologia negativa e mortalit dellesserci: La possibilit dellimpossibile, del pi impossibile, del pi impossibile che il pi impossibile, ci richia-ma, a meno che non annunci, quanto Heidegger dice della morte [] la possibilit della pura e semplice impossibilit dellEsserci (die Mglichkeit der schlechthinnigen Daseinsun-mglichkeit). Cio che , per il Dasein, per la sua possibilit, puramente e semplicemente im-possibile, ecco ci che possibile, e la morte ne il nome. Mi domando se si tratti di unanalogia puramente formale. E se la teologia negativa parlasse in fondo della mortalit del Dasein? E della sua eredit? Di ci che si scrive dopo esso, secondo esso? J. Derrida, Sauf le nom, Galile Paris 1993, pp. 33- 34; trad. it. in J. Derrida, Il segreto del nome, a cura di G. Dalmasso e F. Garritano, Jaca Book, Milano 1997, p. 138. Ma si veda anche: J. Derri-da, Comment ne pas parler. Dngations, in Id. Psych: Inventions de lautre, Galile, Paris 1987, pp. 535-595. 10 M. Heidegger, Die Geschichte des Seyns, hrsg. v. P. Trawny, Gesamtausgabe Bd. 69, Klostemann, Frankfurt a. M., 1998, p. 106.

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    maturit (Reife). Maturit la prontezza a diventare frutto e donazione. In ci essenzialmente lultimo, la fine essenziale, richiesta dallinizio, ma a quello mai ricondotta. Qui si svela lintima finitezza dellEssere: nel cenno dellultimo Dio.

    Nella maturit, nella potenza per il frutto e nella grandezza della donazio-ne, al tempo stesso insita la pi velata essenza del non, in quanto non-ancora e non-pi.

    in base a ci che si pu presagire lintimit dellessenziarsi nellEssere del negativo. Conformemente alla Wesung dellEssere, per, nel gioco del capitare (Anfall) e della mancanza (Ausbleib), il non ha a sua volta diverse forme della propria verit e, di conseguenza, anche il niente .11 11 M. Heidegger, BPh, op. cit., p. 410 (402 trad. lievemente modificata). Si badi, tuttavia, che questa Nichthaftigkeit nulla ha, paradossalmente, di logicamente negativo. Giacch non se ne coniuga la specificit secondo il registro logico della negazione. Conformemente alla Wesung dellEssere per, nel gioco del capitare e della mancanza, il non ha a sua volta diverse forme della propria verit e, di conseguenza, anche il niente. Se ci calcolato solo dal punto di vista logico con la negazione dellente nel senso di ci che l presente [] allora ogni confutazione della questione del nulla vana chiacchiera cui rimane preclusa ogni possibilit di spingersi mai nellambito decisivo della domanda sullessenziale finitezza dellEssere , BPh p. 410 (402). ancor sempre viziato da una connotazione ontica ogni esercizio della differenza che determini lEssere stesso come non-ente, come ni-ente (ossia negazione dellente inteso come un alcunch di Vorhandenen). Tal esercizio si articola infatti presupponendo lente come fondamento dellessere, di cui questultimo sarebbe infine il ro-vescio negativo, la dialettica negazione, appunto. Pensare la differenza a partire dallessere stesso significa, per contro, cogliere il nulla come intrinseco allessere stesso secondo il modo del suo avvenire pre-positivo (ossia non conseguente alla posizione determinata dellente che ) come niente di essente. Pi che di negativit dellessere bisognerebbe parlare, sotto questo profilo, della sua costitutiva Nichtigkeit: la nientit che fin dallinizio caratterizza lEssere nel suo avvenire essenziale (Wesung). Si tratta allora di quel nulla che, al pari dellessere cui resta intrinseco, non (identificabile a s in quanto) nulla, ma solo nientifi-ca. Occorre pertanto anche qui esperirne la differenza rispetto ad ogni accezione logica, e dunque meramente negativa: se come fondamento dellente lEssere al contempo manca a se stesso senza di s e dunque si nega in quanto fondo abissale, ci tuttavia rimanda ad un No pi originario, puramente iniziale e pre-postivo rispetto alla tradizionale posi-zione logica espressa secondo i canoni speculativi della determinatio-negatio. Non si tratta dunque qui di recuperare lefficacia dialettica del negativo, in cui il Nicht resta ancor sem-pre concepito a partire dallente e alla determinatezza e mediazione di questultimo ricondot-to. Al contrario, qui avviene il No inscritto nellEvento medesimo. Prima del negativo ma insieme anche come possibilit di questultimo si d il luogo pre-logico o a-logico a-concettuale del nulla, nel quale il non e la Nichtheit indicano appunto non gi unastratta negazione (che presupporrebbe il che cosa dellessere) ma piuttosto un modo essenziale dellEssere stesso (che dice invece del come dellaccadere), in cui questultimo strutturalmente si sottrae: si nega. O a dir meglio, indicano lessere stesso come modo che non ha un essere (non ha un modo dessere articolato per generi e specie) e la cui verit

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    La duplice piega del non-ancora e del non-pi fa dellultimo Dio la te-stimonianza pi elevata della Nichtigkeit dellEssere e della sua finitezza. Es-senzialmente finito lEssere, dacch, come s visto, in quanto possibile , in uno, rinviato al suo stesso negarsi. Contro il circolo hegeliano, in cui il possi-bile perviene alla determinatezza risolvendosi nellatto della sua de-finizione, Heidegger tenta di pensare la svolta, il movimento in-deciso, incompiuto e conflittuale dellEssere, possibile e perci radicalmente finito.

    Qualora lEssere fosse pensato come in-finito, ad esso verrebbe sottratto il carattere di evento abissale, sarebbe determinato. Allinverso, la finitezza dellEssere dice del suo non possedersi nel fine, restando sospeso cos allabissale possibilit della fine.12 E la connotazione del Dio come ultimo an-nuncia che il suo avvento resta sempre in forse, e che al pari dellEssere anchesso non potr trascorrere col suo cenno altrimenti che alla maniera del possibile. La sua una presenza che al tempo stesso abbandono, come unofferta che si d nel rifiuto, dacch la stessa divinit del divino sta tutta nel gesto iniziale di questo ritrarsi quale presenza che si tiene sempre in sospe-so, come la possibile possibilit esposta allimpossibile del Silenzio. E la voce che solo pu corrispondere al suo Vorbeigehen resta appesa al tremito della in-vocazione, al rischio dellammutolimento.

    La svolta avviene essenzialmente fra la chiamata (allappartenente) e lappartenenza (di colui che chiamato). Svolta contro-svolta (Kehre ist Wi-der-kehre). Il richiamo (Anruf) al salto (Zu-sprung) che balza nellevento-appropriazione il grande silenzio del pi velato conoscersi.

    Di qui trae la sua origine ogni linguaggio dellesser-ci, e tale linguaggio perci, nellessenza, il tacere (im Wesen das Schweigen) .13

    die Kehre im Ereignis avviene fra chiamata (allappartenente) e appar-tenenza (del chiamato) . Ma si badi, nelloscillazione della svolta non accade alcuna necessaria destinazione. Tutto resta, piuttosto, sospeso al frammezzo che unisce-separa Zuruf und Zugehrigkeit, e che si articola al modo dun reci-proco appartenersi e respingersi: Kehre ist Widerkehre. Nella chiamata nellappello non dunque possibile riconoscere una sorta di soggetto prede-terminato da cui essa proceda, bens non altro che la sua indeterminabile pro-

    consiste nel suo avvenire essenziale, nella declinazione appunto modale (ed eventuale) del suo movimento. 12 [] se ci si muove nella contesa tra quelle proposizioni, si dovrebbe dire: se lEssere posto come infinito, esso proprio allora determinato. Se posto come finito, se ne afferma labissalit. Giacch lin-finito non pu certo essere inteso come il senza fine che unicamente passa e trascorre, bens come il circolo chiuso! Invece levento sta nella sua svolta! (con-troverso) . Ivi, p. 269 (p. 270). 13 Ivi, pp. 407-408 (400 trad. lievemente modificata).

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    venienza. Di qui anche lassoluta dipendenza dellesserci dallAltro. Der letzte Gott certo pensato al contempo come der ganz Andere , ma proprio perch tale la sua alterit non fuori pi di quanto non sia al contempo nellesserci stesso. E a questo permane intrecciata la radicale incertezza del non-sapere, che segno del limite del conoscere solo perch anzitutto inscritta nel mistero che anche il Dio per se stesso, restando questultimo sospeso alla possibilit di ri-velarsi, cos come insieme nel suo aspetto spaesante e terribile (ent-setzliche) di negarsi e negare.14

    Lultimo Dio divinit ri-velatrice che non redime hier geschieht keine Er-lsung15 se annuncia la finitezza estrema di tutte le cose cos come dogni dio, e di ogni dio manifesta il carattere ultimo, vicino solo nella sua lonta-nanza pi remota. La prossimit al letzter Gott sesperisce non altrimenti che nella pi lontana lontananza dellindecidibilit sulla fuga o la venuta degli dei .

    2. Qui non accade redenzione alcuna: il tremito dellEssere non garantisce cu-stodia, perch non altrove se non nellEssere stesso avviene il ripido vorticare della svolta e quelloscillazione in cui, senza alcun saldo fondamento che li sor-regga al margine della radicale insecuritas luomo appartiene allEssere per il tramite del Dio e il Dio riconosce il suo bisogno dellEssere, disvelandone il tratto profondo la Nichitigkeit della sua essenza in absentia, ossia proprio 14 In questo richiamo alla straniante presenza dellAltro nella prossimit a s dellesserci, si sente indubbiamente risuonare leco di Agostino, del Dio interior intimo meo. Ma qui ap-pare determinante anche la presenza di Schelling. Si legga ad esempio la fondamentale chiusa del corso a lui dedicato da Heidegger nel 1936, e richiamato in una nota precedente delluomo si fa esperienza guardando agli abissi e alle sommit dellEssere, tenendo con-to dellelemento terrificante della divinit, dellangoscia vitale di tutto ci che creato, del-la tristezza di ogni creazione creata, della malvagit del male e della volont dellamore. Non Dio che qui viene abbassato al piano delluomo, ma allinverso: luomo viene esperito in ci che lo spinge al di l di se stesso; a partire da quelle necessit, mediante le quali egli viene fissato come quellAltro, che luomo normale di ogni epoca non vuol mai ammettere di essere, perch ci per lui significa, semplicemente, il turbamento dellesserci. Luomo quellAltro, quale esso deve essere, grazie al quale soltanto il Dio pu rivelarsi, ammesso che si riveli . M. Heidegger, Schellings Abhandlung ber das Wesen der menschlichen Freiheit (1809), op.cit. pp.197-198, trad.it. p.271. Cfr. J.F. Courtine, Anthropologie et anthropomor-fisme (Heidegger lecteur de Schelling), in Id., Heidegger et la phnomnologie, Vrin, Paris 1990, pp.56-88; C. Esposito, Libert delluomo e necessit dellessere. Heidegger interpreta Schelling, Ecumenica, Bari 1988; Id. Heidegger, Schelling e il volere dell'essere, in AA. VV. Heidegger e gli orizzonti della filosofia pratica: etica, estetica, politica, religione, a cura di A. Ardovino, Guerini, Milano 2003, pp. 87-109. 15 M. Heidegger, BPh, op cit., p. 413.

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    mediante questo mancare ed essere abbisognato. Sintenda per che il bisogno dellEssere da parte del Dio non implica

    lesigenza duna sua definizione ontica. Il Dio non ha bisogno dellEssere per essere, e per disvelarsi di conseguenza in quanto ente. Piuttosto, il suo stesso essere descritto dal costitutivo abbisognare dellEssere e questo in un sen-so del tutto contrario rispetto alla determinazione in cui si dispiega il rapporto essere-ente. Laddove lente diviene, propriamente, un qualcosa che in ra-gione dellabbandono dellEssere, allinverso nella tensione fra Essere e Dio si produce una reciproca differenziazione, ove entrambi i termini del rapporto pur nella loro incomparabilit a rigore non-sono. Non- lEssere dacch il suo dispiegamento essenziale accade piuttosto al modo del negarsi (allente)16 e parimenti non- il Dio, se, appunto, al suo essere non corrisponde altro che laver bisogno dellEssere stesso.

    Mai lEssere (Seyn) pi essente dellente, e neppure meno essente degli dei, perch questi non sono affatto. LEssere il frammezzo tra lente e gli dei ed totalmente e sotto ogni riguardo incomparabile, questi ne hanno biso-gno e a quello sottratto 17. 16 Conviene tuttavia ribadire che al non-essere dellessere non riconducibile nulla di ne-gativo (negativ), essendo il negativo qualora venga assunto secondo il suo abito logico conseguente piuttosto alla determinazione ontica dellessere stesso. Ma altres per questo che lessere avviene essenzialmente (west) in conformit al non (als nichthaft), negando-si/sottraendosi alla ferma identit dellente l presente. 17 M. Heidegger, BPh, op.cit., p.244 (p.248). Con ci si comprende anche perch la dinamica intrinseca al dispiegamento essenziale dellessere non sia pi riconducibile al far-essere lente, se non piuttosto al suo fondamentale abbandono. Contestualmente, lessenza pi ri-posta del Dio non corrisponde pi alla determinazione generante/creante che fa-essere lessere stesso, bens, appunto, allaver bisogno di questultimo. Sotto il segno di questa mancanza si rivela la costitutiva indecidibilit del divino fuori dalla sua trasposizione in figura e dunque indipendentemente dalla sua gi compiuta manifestazione in una forma de-terminata Perci lo si pu rag-giungere solo nel salto dentro labbandono dellessere in quanto accadere divino (rifiuto) . forse rinvenibile anche in ci la ragione per cui in occasione del seminario di Zhringen Heidegger si premura di rimarcare la differenza es-senziale fra la questione dellessere e la determinazione del divino: Essere e Dio non sono identici, ed io non tenterei mai di pensare lessenza di Dio mediante lessere. Alcuni sanno forse che io provengo dalla teologia, che ho conservato nei suoi confronti un antico amore e che me ne intendo un po. Se dovessi scrivere una teologia, cosa che talvolta sono tentato di fare, la parola essere non dovrebbe in alcun caso comparirvi. La fede non ha bisogno di pensare lessere. Se avesse bisogno di farlo, gi non sarebbe pi fede. Lutero lha compreso. Perfino nella sua Chiesa sembra che lo si dimentichi. Ho molte riserve a ritenere che lessere sia adatto per pensare teologicamente lessenza di Dio. Con lessere, in questo caso, non si pu ottenere nulla. Io credo che lessere non possa mai essere pensato come fondamento ed essenza di Dio, ma che tuttavia lesperienza di Dio e della sua rivelazione (in quanto essa incontra luomo) avviene nella dimensione dellessere, il che non significa mai che lessere

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    E non altrove che nellEssere si descrive listantaneo tremore del diventare dei (Erzitterung des Gtterns), tanto che il Dio stesso non-essendo e avendo bi-sogno dellEssere ripete il frammezzo del suo tremito essenziale, lintimo movimento dellevento appropriante in cui accade il gioco di spazio/tempo del-la concessione e del rifiuto.

    Lessenza divina si sottrae cos ad ogni calcolo e scioglimento, nella sua in-decidibile possibilit fondata sulla Verweigerung.

    Quanto lontano da noi il Dio, quello che ci nomina fondatori e creatori perch di costoro ha bisogno la sua essenza?

    Egli tanto lontano che noi siamo incapaci di decidere se si muova verso di noi o via da noi.

    E congetturare (erdenken) pienamente questa lontananza nel suo essenziale presentarsi come lo spazio-tempo dellestrema decisione, significa domandare

    possa valere come predicato possibile di Dio. Qui ci sarebbe bisogno di distinzioni e delimi-tazioni completamente nuove . M. Heidegger, Seminare, op.cit., pp. 436-37; trad.it. p.207. Si veda, con particolare riguardo alla questione del rapporto essere/Dio, il bel libro di J.L. Marion, Dieu sans ltre, Arthme, Fayard, Paris 1982 (trad. it. Dio senza essere,a cura di A. DellAsta, Jaca Book, Milano 1987). Gi in precedenza ci si richiamati alle pagine di J. Derrida in cui suggerito un accostamento pensiero heideggeriano e tematiche teologiche. Riflessioni estremamente significative si trovano anche in J. Derrida, De lesprit. Heidegger et la question, Galile, Paris 1987 (trad. it. J. Derrida, Dello spirito. Heidegger e la questione, a cura di G. Zaccaria, Feltrinelli, Milano 1989); Id., Fede e sapere. Le due fonti della religio-ne ai limiti della semplice ragione, in J. Derrida G. Vattimo (a cura di), La religione - Annuario filosofico europeo, Laterza, Roma-Bari 1995, pp. 3-73. Affronta in maniera molto profonda la questione teologica nel pensiero heideggeriano soffermandosi anche sulla figura dellultimo Dio C. Strube, Das Mysterium der Moderne. Heideggers Stellung zur gewandelten Seins- und Gottesfrage, Fink, Mnchen 1994. Ma in generale, per quanto ri-guarda la complessa e ampiamente dibattuta questione del divino in Heidegger, cfr. A-A.VV., Heidegger et la Question de Dieu, Grasset, Paris 1980 (in particolare gli studi di F. Fdier, Heidegger et Dieu, pp. 37-45; J.L. Marion, La double idoltrie. Remarques sur la diff-rence ontologique et la pense de Dieu, pp. 46-74; B. Dupuy, Heidegger et le Dieu inconnu, pp. 103-121; R. Kearney, Heidegger, le possibile et Dieu, pp. 125-167); M. Jung, Das Denken des Seins und der Glaube an Gott. Zum Verhltnis von Philosophie und Theologie bei Martin Hei-degger, Knigshausen & Neumann, Wrzburg 1990; F. Dastur, Heidegger et la thologie, in Revue philosophique de Louvain, 92, 1994, pp. 226-245; AA. VV. Heidegger e la teologia, Morcelliana, Brescia 1995; AA.VV., Herkunft aber bleibt stets Zukunft. Martin Heidegger und die Gottesfrage, op. cit. 1998 (in particolare B. Casper, Das Versuchtsein des Daseins und das Freiwerden von den Gtzen, pp. 67-81, C. Esposito, Die Gnade und das Nichts: zu Hei-deggers Gottesfrage, pp.199-223); P. Capelle, Philosophie et thologie dans la pense de Martin Heidegger, ditions du Cerf, Paris 1998; J. Greisch, Quel Dieu peut encore nous sauver? Le tournant ontologique de l'hermneutique et ses consquences. Martin Heidegger, in Id. Le buis-son ardent et les lumires de la raison: l'invention de la philosophie de la religion. vol. 3: Vers un paradigme hermneutique, ditions du Cerf, Paris 2004, pp. 499-734.

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    della verit dellEssere, dellevento stesso dal quale scaturisce ogni storia futu-ra, se ancora ci sar storia.

    Questa lontananza dellindecidibilit di ci che estremo e primo, di ci che aperto nella radura (das Gelichtete) per il velarsi, lessenziale presentarsi della verit stessa in quanto verit dellEssere.

    Infatti ci che si il vela in questa radura, la lontananza dellindecidibilit, non un puro vuoto, l presente e indifferente, ma lo stesso presentarsi essen-ziale dellevento in quanto essenza dellevento, dellindugiante diniego che in quanto appartenentegli si appropria gi dellesser-ci, il trattenersi dellattimo e dell luogo della prima decisione 18.

    LErzitterung des Seyns attraversata da questa sospensione, dacch essa il fondo essenziale dellaccadere in uno di donazione e sottrarsi, ove si pro-duce quelleffetto di straniamento che congiunge lEssere e il transito silenzio-so dellultimo Dio. in ragione di questo passaggio sospeso che fallisce ogni calcolo e attesa, cos come qualsiasi ipotesi sul divino retta ancora da presup-posti metafisici. Heidegger tenta di affrancare lultimo Dio ad ogni definizione che abbia a fondamento i teismi accomunati dalleredit storica della apolo-getica giudaico/cristiana. Ma della morte di questo concetto di Dio, gi Nie-tzsche s reso artefice ed esecutore testamentario. Si tratta adesso, piuttosto, di muovere verso lorigine non-storica che giace inespressa nello strato nasco-sto di questa medesima tradizione, per attingere, come altro inizio possibile pure della storia, allessenziale possibilit del divino possibilit allusa nel ra-ro cenno (seltener Wink) dellultimo Dio, e a partire dalla quale solo pu av-venire e insieme non-avvenire la divinit stessa.

    In altri termini, lessere paradossale di questo Dio si riconosce nel fatto che il suo carattere ultimo non ne esprime affatto una qualit determinata, un attributo inerente, per cos dire, alla sua identit presupposta. Al contrario, il Dio tale e appare dunque riconoscibile nel suo tratto divino proprio a mi-sura del suo essere ultimo. insomma ultimo non gi in ragione del suo es-ser-Dio, bens manifesta la propria divinit in quanto ultimo. Nel che appare implicita, per ci stesso, la contraddizione di ogni metafisica della presenza e dunque del Dio inteso insieme come causa sui ed ens summum rinviando tale ultimit piuttosto al senso nichthaft (conforme al non) duna pura ritra-zione.

    Allora lultimo, der Letzte, non dice il Dio n gli dei, ma insieme e luno e gli altri e n luno n gli altri. Si colloca allincrocio indecidibile a partire dal quale solo possono darsi al pensiero unit e molteplicit. La molteplicit degli dei non intacca lunicissima unicit (einzigste Einzigkeit) dellultimo Dio, n ne 18 M. Heidegger, BPh, op. cit., pp. 23-24 (p. 52 trad. lievemente modificata).

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    contraddice il carattere incalcolabile. Lungi dallassecondare una possibile numerazione del divino, essa ne evoca piuttosto la ricchezza abissale celata nellistantanea possibilit del rilucere e celarsi dellUltimo. Questa possibilit riconduce ad una comune origine ed essenza il Dio e gli dei, nomina la loro pari ultimit e finitezza, esposti come sono al forse del loro annunciarsi o dispari-re. Eppure il balenare insieme di nascita e tramonto non preannuncia sempli-cemente la fine; al contrario, nella finitezza riflessa la profonda oscillazione in se medesimo dellinizio. La possibilit del Dio totalmente altro ri-vela laltro inizio del possibile. Qui lirrisolta contraddizione tra uno e molti, la radicale Un-entschiedenheit, implica ad un tempo la tensione nella medesimezza dellessenza tra esplicazione nei molti delluno e negazione nelluno dei molti, dove larrischio della negazione del molteplice ad opera delluno si fa intrinseca alla molteplicit stessa. E ci accade uno actu quale possibilit radicale del non, dellim-possibile inteso come tratto fondante della stessa Gttlichkeit, della deit quel presupposto irriducibile al concetto sulla base del quale da-ta la stessa possibilit del Dio.

    Lultimo Dio non si identifica con gli dei fuggiti: non- il suo stesso non-pi; cos come parimenti non- quel che viene (non- il suo non ancora). E ci perch, a rigore, non gli si conviene alcuna identit dessere, e dunque al-cuna figura determinata o specificit ontica. Il suo essere non consiste nellun polo o nellaltro gli dei che sono stati, il Dio che viene o verr intesi come determinazioni pre-esistenti alla loro reciproca oscillazione. Di tale oscillazione si rivela piuttosto come lindeducibile possibilit, e lincondizionato spazio-di-tempo: fra venuta e fuga. Ne , in certo modo, la legge nascosta e rigorosa, coincidente con lo stesso oscillare cui entrambe fuga e avvento restano in-decidibilmente sospese. Lultimo Dio non si d altrimenti che come questa stessa Erschwingung di venuta e fuga. Come il frammezzo utopico in cui con-siste il senso medesimo della deit (Gottheit) in quanto tale. Inteso secondo ta-le prospettiva, certo lultimo Dio non corrisponde in alcun modo al Dio che venuto per ultimo n alla promessa sicura del suo ultimo avvento, della sua disvelante parousia. E cos come non corrisponde al Dio venuto per ultimo, neppure si identifica univocamente nel Dio che viene o verr per ultimo. Nes-suna escatologia definita ne divora leccedenza, n risolve la sua possibilit possibile nella fidatezza ancorch trasposta in avvenire del suo esser-presente. Per questo conviene ribadirlo nella sospensione fra non-pi e non-ancora, der letzte Gott dice piuttosto lesser-ultimo della divinit in quanto tale. Ci che stato delineato allinizio di questo cammino seguendo il ritmo della poesia di Hlderlin sembra ora congiungersi con il suo tratto estremo. Attraverso il suo passare instantaneo, accade infatti come se lultimo Dio

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    faccia continuamente cenno oltre di s, lasciando in tal modo presentire la pu-ra possibilit del Sacro nascosto.19

    Come si compreso, tale possibilit colta nella sua purezza solo allorch sintenda al contempo come possibilit della sua stessa impossibilit. Nel pos-sibile cui il Dio ultimo resta sospeso, accade al contempo lindecisa possibilit della negazione in s del divino (come un assoluto nicht-mehr) cos come e al medesimo istante la possibilit del suo concedersi alla presenza. O al suo as-soluto differimento (come un sempre inattuale noch-nicht). 3. Durante il ciclo di lezioni tenuto nel 28 e dedicato ai Problemi fondamen-tali della Fenomenologia, soffermandosi sulla dottrina scolastica dellessentia e dellexistentia Heidegger fa cenno alla peculiarit speculativa della mistica medievale, e segnatamente al pensiero di Meister Eckhart. Lintento dei misti-ci medioevali quello di cogliere lente-Dio assunto ontologicamente come lessenza autentica nella sua stessa essenzialit. Per questo, afferma Hei-degger,

    Meister Eckhart parla il pi delle volte di essenza superessenziale: a lui non interessa affatto Dio Dio per lui ancora un oggetto provvisorio , ma la deit. Quando Meister Eckhart dice Dio, egli intende la deit, non deus, ma la deitas, non lens, ma lessentia, non la natura, ma ci che oltre la natura, lessenza, quellessenza a cui vien per cos dire contestata ogni deter-minazione di esistenza, da cui devessere tenuta lontana ogni addictio existen-tiae. Perci egli afferma: Se si dicesse che Dio , questa risulterebbe unaggiunta. Qui si ha la traduzione tedesca di additio entis, per usare il lin-guaggio di Tommaso. Cos Dio non n nello stesso senso n secondo lo stesso concetto delle creature.

    Perci Dio per se stesso il suo non, vale a dire, lessenza pi universale, la pi pura possibilit ancora indeterminata di ogni possibile, il puro niente. Egli niente rispetto al concetto di tutte le creature, rispetto ad ogni determi-

    19 Nella sezione dei Beitrge dedicata allultimo Dio, Heidegger non fa alcun esplicito riferi-mento alla questione del Sacro, tema centrale, come abbiamo avuto modo di sottolineare, anzitutto del suo incontro con lopera di Hlderlin. Ma tenendo conto di quanto linfluenza del pensiero poetante hlderliniano risulti decisiva per lelaborazione della figura del letzter Gott, non ci sembra affatto arbitrario scorgere dietro di essa anche il rinvio alla indetermi-natezza notturna del Sacro, e alla sua presenza assente. Questo aspetto stato opportuna-mente affrontato da G. Strummiello in Laltro inizio del pensiero. I Beitrge zur Philoso-phie di Martin Heidegger, Levante Bari 1995, pp. 271-291. Sullambiguit e la doppiezza del Sacro si vedano ora le pagine di V. Vitiello in Id., Il Dio possibile. Esperienze di cristianesi-mo, Citt Nuova, Roma 2002, soprattutto pp. 57-72.

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    nazione possibile o attuata 20. Laltro pensiero conduce ad una riflessione che dalla critica della onto-teo-

    logia non tragga semplicemente come conseguenza linsostenibilit dellinterrogazione sul divino ma piuttosto la radicalizzi, fuori dallambito rappresentativo, al punto da non sottrarsi neppure alla possibilit della ri-velazione, meglio: alla rivelazione stessa in quanto possibilit. Qualora il di-scorso sul Dio resti coinvolto ancora entro il gioco meramente comunicativo del suo darsi, leggendo il dis-velamento del divino sotto la forma del farsi idea di s epper fondamento del vedere in quanto ente e sia pure al modo del summum ens il Dio stesso rester interamente divorato dalla piena e-videnza manifestativa, connotando il propria rivelarsi come totale estinzione della sua assenza possibile, del secretum declinato in irriducibile nascondi-mento. piuttosto fuori da ogni ricaduta ontica in seguito alla quale la pre-dicazione dellesistenza in riferimento al Dio implica soltanto la sua riduzione allaccidentalit delloggetto che bisogner ridare dignit alla domanda in-torno al divino.

    Lultimo Dio dice lindeterminatezza del Dio possibile, per il quale neppu-re ha senso chiedersi del suo concreto attuarsi, n se il suo cenno inapparente annunci la venuta del Dio o degli dei. Nella sua ultimit piuttosto celato quel carattere unico, quella Gttlichkeit che nomina il tratto essenziale pro-prio dogni possibilit divina. Solo per effetto di un pensiero ancora intera-mente condizionato dalla metafisica ci si potr chiedere se il passaggio del Le-tzer Gott alluda alla presenza futura del Dio unico o dei molti dei. Perch, do-manda Heidegger, sospettare che nominando ultimo questo Dio se ne riduca lelevatezza, o si pronunci addirittura la pi dura bestemmia, mentre il total-

    20 M. Heidegger, Die Grundprobleme der Phnomenologie, hrsg. v. F.-W. Von Herrmann, Ge-samtausgabe Bd. 24, Klostemann, Frankfurt a. M. 1989, pp. 127-128. Trad. it. I problemi fondamentali della fenomenologia, a cura di A. Fabris, Il melangolo, Genova 1990, pp. 86-87. Sulla questione si veda G. Strumiello, "Got(t)heit" : La Deit in Eckhart e Heidegger, in Heidegger e i medievali (atti del colloquio internazionale, Cassino 10/13 maggio 2000) a cura di C. Esposito e P. Porro, (Quaestio-1) Brepols, Bari-Turnouth 2001, pp. 339-359. Ri-guardo alla presenza di Meister Eckhart e in generale della mistica nel pensiero di Heideg-ger, cfr. J.D. Caputo, Meister Eckhart and the later Heidegger. The Mystical Element in Hei-deggers Thought, in AA.VV., M. Heidegger. Critical Assessments, Routledge, London-New York 1992, Vol. II pp.130-77; H. Helting, Heidegger und Meister Eckhart, in AA. VV., Herkunft aber bleibt stets Zukunft, op.cit., pp.83-100; Id. Heidegger und Meister Eckhart: vorbereitende berlegungen zu ihren Gottesdienst, Duncker und Humblot, Berlin 1997; P. Chapelle, Heidegger et la mystique mdivale, in Transversalits: Revue de lInstitut catho-lique de Paris, 60/1996, pp.73-84; H. Vetter, Heideggers Denken im Lichte mystischer ber-lieferung: hermeneutische Beobachtungen, in AA. VV., Probleme philosophischer Mystik. Fest-schrift fr Karl Albert, Akademia, St. Augustin, pp. 307-321.

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    mente altro devesser detto ultimo, proprio perch alla fine la decisione sugli dei porta tra costoro ed eleva cos al massimo

    lessenza dellunicit della divinit? 21. Lessenza unica del divino, la sua deitas significa la pari ultimit degli dei

    tutti, qualora del Dio, sciolto dal vincolo dallek-sistere, si colga appunto lindeterminatezza della pura possibilit. Ponendo laccento sulla priorit e primariet del possibile, e in ragione della sua purezza, lessenza divina dovr allora coincidere con il puro niente. il Dio presagito nel suo non, esposto allarrischio della pi pura possibilit ancora indeterminata di ogni possibile . E questa possibilit davvero estrema, perch investe anche se stessa. Per essa possiamo ripetere il medesimo che della Wesung des Seyns in quanto Erei-gnis: che possibile non meno e non pi che impossibile. Il transito fugace dellultimo Dio non concede apertura pi di quanto ritraendosi non chiuda.

    La massima vicinanza dellultimo Dio avviene dunque quando levento, in quanto indugiante negarsi, si intensifica nel rifiuto 22.

    Appunto perch si d nel riflesso del pensiero solo in quanto possibile, il Dio ultimo preso nel diniego, restando esposto allincertezza intrinseca alla propria stessa possibilit. Nel suo passaggio fugace raccolta la messa in forse di se medesimo, la possibilit della sua impossibilit intesa come cifra fondante del suo stesso esser-possibile. Per questo lincalcolabile, lo straniante.

    E per questo anche la radicalit dellaltro inizio la cui profonda oscilla-zione lultimo Dio segnala col suo transito va pensata come altra pure dal suo distendersi nel cominciamento, dal dare inizio. Questa alterit connota la sua essenza iniziale in quanto in essa vige lo statuto della pura possibilit sot-tratta al destino del render possibile; il che corrisponde, per il Dio stesso, allaffrancamento dalla necessit di manifestarsi. la possibilit che linizio torni su di s e si rifiuti.

    Lultimo Dio non una fine, bens loscillare in s verso se stesso dellinizio, e dunque la forma pi alta del rifiuto, perch ci che iniziale si sottrae a ogni cattura ed essenzialmente solo nellergersi di tutto ci che in esso gi compreso come futuro e rimesso alla sua forza determinante 23.

    E tuttavia questo vuol significare che in Dio accade anche la possibilit dello scioglimento dallinizio, delliniziare e della sua negazione. Non pu, in Dio, venir esclusa neppure la possibilit futura della sua separazione dallinizio, la possibilit del dare inizio che segna il destino finito dellultimo Dio, la sua distinzione da ci che egli stesso non- e pure gli appartiene come

    21 M. Heidegger, BPh, op.cit., p. 406 (pp. 398-399). 22 Ivi, p. 411. 23 Ivi, p. 416 (p. 407).

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    provenienza immemorabile. Ma qui anche si lascia intravedere come nella nientit della separazione dallinizio, dallorigine stessa, permanga il riflesso estremo dun Non pi profondo non negativo perch prima dogni eserci-zio della negazione una pi profonda ricusa che costituisce il carattere pi segreto e abissale dellalterit dellaltro inizio. Se nellultimo Dio traluce lessenza pi riposta della nientit dellEssere, dove alla possibilit futura del noch nicht si sovrappone uno actu il passato senza tempo del nicht mehr, del non pi sottratto anche al concetto duna possibilit che comprenda insieme lattuarsi e il non attuarsi, ci comporta allora e questo anche al di l di una terminologia propriamente heideggeriana che il divino stesso venga com-preso non solo prima dogni possibile creazione nel non della creazione an-cora non avvenuta ma che sia presagito finanche prima di se stesso, nel suo Non, appunto24. Un Deus davvero absconditus questo, che in s non- esso stesso Dio, e resta appeso ad un inizio che non (originante) origine. La Ver-weigerung, il tratto pi estremo della prossimit dellultimo dio, radicalizza il suo esser-possibile sino alla negazione della possibilit di s, allimpossibile che si nega e nega il render possibile nella estrema differenza del nulla senza in-

    24 A questo Nicht pre-positivo anche si allude allorch sottolineato lo svanire dellessere nellEreignis, la revoca della fermezza identitaria dellEssere per la sua Wesung e quanto al Non e al nulla per il suo nichten, per il nientificare in cui si risolve. Per un verso, se essere e nulla fossero semplicemente opposti luno allaltro, evidente che non si darebbe passaggio alcuno dalluno allaltro e viceversa (o, qualora un siffatto passaggio si desse, esso finirebbe col risultare gi del tutto compiuto, gi da sempre passato). Ma, per altro verso, ci non implica che, negando lopposizione fra essere e non-essere, se ne debba di contro predicare la reciproca identit. Tale identit corrisponderebbe infatti unicamente al rove-scio ancorch di segno inverso dellopposizione fra essere e non essere, replicandone per ci stesso lassolutezza. N assoluta opposizione n altrettanto assoluta identit, dunque. Ma neppure rifiutando la coincidenza immediata o mediata di essere e nulla differen-za nellidentit, intendendo questa determinazione come riconoscimento dunidentit am-pia al punto tale da poter accogliere in se stessa finanche il proprio non (la propria nega-zione). Che anche il rapporto essere/nulla possa venir dispiegato al modo della differenza nella identit, implica invece una pi radicale comprensione del luogo stesso in cui tale dif-ferenza si installerebbe. Detto altrimenti: tale rapporto sta a significare che lidentit, lungi dal costituirsi secondo la fermezza del proprio auto-riferimento, appare piuttosto destituita della sua stessa presenza. Come unidentit che allora mai non presso se stessa, ma che an-zi scontando la propria costitutiva incompiutezza si mostra essenzialmente differita, sempre imminente e non del tutto presente. In tal senso occorre intendere allora lintrinseco co-appartenersi di essere e nulla, e lorigine della loro contesa: il nulla intrinse-co allessere come il costitutivo differire di questultimo da se stesso, come la verit del suo evento che un modo di darsi rispetto al che cosa proprio della ricaduta ontica nellidentico, nella logica dellente manifesto.

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    dizio alcuno di rivelazione. Talch nella possibilit del dio pure la possibilit di non-rivelarsi, o insomma di una re-velatio estrema, che reca in se medesima la possibilit non solo della sua offerta celata in pi profonda ritrazione, nel velo che sinfittisce ricoprendo la sua presenza allatto stesso del disvelare, ma altres la possibilit dellimpossibilit che rivelazione si dia, che ancora accada il dispiegamento di un Logos quale cominciamento e principio.

    Ci si trova dunque al cospetto dun palese paradosso, perch ora, nel nome stesso del Dio e nella necessit medesima che ne reclama il passaggio, si com-pie una sorta di scarto al di qua della presenza, come a voler suggerire che al cenno che ne rivela, appunto, il carattere ultimo, estremo, corrisponda quel che nella presenza medesima del presente non si presenta. Ci che, manifestan-dosi ancorch nella maniera fugace del winken tuttavia differisce dalla presenza che si manifesta. Ma del Dio, in tal modo, presagito il dispiegarsi es-senziale die Wesung non gi secondo una declinazione privativa, ma piut-tosto riconoscendo nel rifiuto la modalit stessa del suo evento, il suo proprio tratto manifestativo al di l, verrebbe dunque da dire, di qualsivoglia deter-minazione teologica negativa e positiva.

    anche questa la ragione per cui sulla figura e sul nome dellultimo Dio non farebbe presa la determinazione dei significati ma anzi, in luogo dellulteriorit di senso che in maniera eminente dovrebbe attestarne la tra-scendenza, vi si lascerebbe piuttosto scorgere un accadere riduttivo e sot-trattivo, ove sia adombrata ancor pi la prossimit al nulla. Come una sorta di knosis dei significati, verrebbe infine da arrischiare, in cui quale riflesso, sulla soglia del nome, del suo negarsi pronunciare ancora una volta (o per lultima volta) il nome del Dio, varrebbe ora per la sua costitutiva differenza rispetto ad ogni cristallizzato contenuto del discorso.

    Davvero, allora, questo Dio non offre, non pu offrire dimore, n esige che si edifichino templi in sua lode:

    il Dio non appare pi in una esperienza vissuta, sia essa personale o di massa, bens unicamente nello spazio abissale dellEssere stesso. Tutti i culti e le chiese invalsi finora, e cose del genere, non potranno essere lessenziale preparazione dellincontro (Zusammenstoes) del Dio e delluomo nel centro dellEssere 25.

    Dacch piuttosto questo Dio sconvolge ogni possibilit di trovar luogo, un-heimlich per eccellenza, se lui stesso vicino e impossibile da afferrare non pu aver luogo n dimora. S visto che, in quanto ultimo, vi corrisponde in-sieme la pura inzialit dellinizio, rivelando cos come sia pi antico rispetto ad ogni dio (e quindi ad ogni religione e ad ogni fede) giacch di ogni presenza

    25 Ivi, p. 416 (p. 407 trad. lievemente modificata).

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    divina esso costituisce lirriducibile presupposto. In ogni dio, lultimo gi l, se ek-siste unicamente a partire da s ed in s, come levento inafferrabile dogni possibile presentificazione.

    Ed allora per il cenno del letzter Gott non v paradossalmente traccia pi prossima che lorizzonte disadorno su cui calata la notte, sulla dismisura del-la terra che per via negationis custodisce fuga e mancanza. lo stesso carattere estremo della Wesung dellEssere ad esigere lintima indigenza della Seinsver-lassenheit.

    a questa verit dellEssere, al rifiuto, appartiene il velamento del non ente come tale, lo scioglimento (Losgebundenheit) e la dissipazione (Verschleu-derung) dellEssere. Adesso finalmente deve restare labbandono dellEssere 26.

    I segni del Dio accadono nellin-stante in cui si d il Ci dellEssere, in quel luogo utopico, il frammezzo per la ricusa, ove si tengono sospesi alla deci-sione lindecidibile assenza e venuta del divino: a questo intreccio che non si scioglie, col quale si esperisce la coappartenenza di congiunzione e disgiunzione (fuga e avvento), restano sospesi gli dei come lEssere che si tiene celato sotto il velo delloblio.

    Indeterminatezza del Sacro che si muta nella distinzione del divino, ri-chiamando al contempo, per, non altro che il suo istantaneo negarsi ad esso. E tuttavia, in forza di questo legame negativo, pure il divino serba memoria del Sacro, ma solo pi, appunto, quale traccia della sua infinita sottrazione.

    Come una impossibile promessa futura, un avvenire per sempre differito al-la sua ultima ora. Solo cos, forse, potr mai essere presagita lestrema venuta del divino: al modo duna destinazione trasposta in un futuro che qui non

    26 Ivi, p. 406 (p. 398). Questo inafferrabile movimento di ritrazione forse possibile ricono-scere il senso pi riposto della Seinsverlassenheit heideggeriana. Si vuol qui sottolineare che nellevento dellabbandono dellessere il Verlassen, labbandonare medesimo, avviene essenzialmente a partire dallessere stesso: labbandono finisce dunque per rivelarsi dellessere rispetto allente, e insieme senza riguardo alcuno per questultimo. Si tratta di un essenziale chiudersi in s dellalterit assoluta dellessere, sospeso al senso paradossale della sua stessa donazione. Come un invio dellessere ad altro cui tuttavia corrisponde, al contem-po, un ritrarsi dallaltro, lasciando essere ogni ente nel proprio essere. Sotto questo profilo, allora possibile comprendere come, nellabbandono, lessere si abbandona: secondo la possi-bilit del lasciar essere (sein lassen) appunto, ma al contempo abbandona se stesso: si scioglie da s, resta senza di s. Entro lorizzonte di presenza dellente, si scorge in negativo la mancanza di questo medesimo orizzonte cos come, ancor pi profondamente, lassenza dellessere in quanto tale (e insieme lassenza del Sacro). Si potr mai interpretare il senso di tale rapporto, trasponendone il paradosso contro ogni esplicita intenzione heideggeria-na in chiave intratrinitaria, e leggere secondo la sua legge anche il legame e linfinita separazione fra il Padre ( labbandono dellessere in quanto accadere divino ) e il Figlio?

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    altrove che qui resta sempre tale. Sicch nel medesimo istante in cui si vol-ge innanzi alla propria ri-velazione, il Dio che viene cela in s il fondo nottur-no, indistinto, della propria provenienza; e allora indietro, verso di esso, in-finitamente fa segno e sembra spinto a tornare.

    Dorther kommt und zurck deutet der kommende Gott.27

    4. Ogni linguaggio, ogni nominazione del divino non pu che fondarsi sul silen-zio di questo transito inafferrabile: il volgersi in direzione dellultimo, del pi ad-veniente, implica la risonanza di quel fondo, della falda in ombra del passa-to immemorabile che s tracciato cancellandosi nella stessa storia dellEssere, nella religione e nella metafisica dOccidente, la terra declinante e occidua. At-traverso la ripresa e il precorrimento, lultimo Dio ritorna sui nomi della tradi-zione scorgendone il lato inespresso, e nel suo passaggio si lascia comprendere quella ontologia della nientit e del non-essere, quella meontologia che disfa lontologia tradizionale, e che appunto nella ripetizione (Wiederholung) incro-cia il cammino del totalmente altro. Per essa le teo-logie trascorse sono il ne-cessario legame negativo che lultimo Dio contraddice e rispetto alle quali si staglia il profilo della sua alterit. E tuttavia, per quanto der letzte Gott si pensi contro quelli gi stati, contro quello cristiano anzitutto, la sua differenza e-merge dal fondo dun linguaggio che porta le tracce e le incisioni della sua sto-ria, che reca le parole e i nomi delloccidente greco e cristiano, inevitabilmente. Questa pure la dimensione che il pensiero heideggeriano abita, ma al modo eccentrico dun cammino che sfugge alla pura evidenza del gi dato, per vol-gersi al presagio (Ahnung) dellultimo, al futuro eterno ri-volto allinizio. Si tratta, diremmo, duna provenienza senza appartenenza, nel solco duna trac-cia che volge ad altro, che fa cenno verso lultimo, il pi veniente, per i futuri, gli ad-venienti chiamati a stare, in-stare nel luogo outopico, nellin-stante del suo transito. E cos, anche nei Beitrge zur Philosophie si adombrano, ad esem-pio, in maniera tuttaffatto imprevedibile e de-situante, i segni di una presen-za, le tracce di un cristianesimo inquieto, mai del tutto scomparse di l dal suo privilegio greco del pensiero nelle riflessioni pi profonde del filosofo di Messkirch.28 Attraverso il sintagma teologico-filosofico dellultimo Dio acca- 27 F. Hlderlin, Brot und Wein - Di l giunge e indietro fa segno il veniente dio ; trad. it. di G. Vigolo, in F. Hlderlin, Poesie, Mondadori, Milano 1986, p. 137. 28 Si affaccia quindi, come gi prima si accennava, lipotesi di un sorprendente recupero nel pensiero del letzter Gott, annunciato zumal gegen den christlichen diremmo quasi ere-ticale, della povert estrema del Dio cristiano, cos come ci offerta nelle pagine pi profon-de del Vangelo, e contro la stessa tradizione del cristianesimo storico. Cfr. V. Vitiello, Lultimo Dio: un tremito dessere, in Id.. Cristianesimo senza redenzione, op. cit., pp. 67-70. Si

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    de come se si condensasse, e vi assumesse figura, la tensione mai sopita nel pensiero di Heidegger fra la pagana e oscura fedelt alla terra, e la radicale insecuritas e disappartenenza al mondo propria del mistero cristiano. ci che peraltro si presagisce gi nelle pagine di Sein und Zeit. La prima parte dellHauptwerk heideggeriano appare infatti interamente articolata sulla base di un tema tutto pagano, greco, come quello della appartenenza dellesserci al mondo, dove Da-sein dice ad un tempo: in-der-Welt-sein. La stessa costituzio-ne ontologica, lo stesso essere dellesserci, si configura come rapporto al mon-do, e il rapporto al mondo non si d come un modo specifico dessere dellesserci, ma lessere dellesserci si articola in maniera costitutiva proprio in quanto essere-nel-mondo. Anche qui sono presenti gli dei, recita Eraclito al cospetto degli stranieri che, stupiti, lo scorgono mentre si scalda nei pressi di un forno.

    Ma giunti alla seconda sezione dellopera mantenendosi nel medesimo luogo lo scenario muta radicalmente. In essa saffaccia un motivo che po-tremmo definire profondamente cristiano: si tratta di quella costitutiva Unbe-deutsamkeit der Welt, linsignificanza del mondo che simpone nellangoscia e nella gi evocata tematica del Sein zum Tode, lessere per la morte inteso come richiamo alla possibilit dellimpossibilit dellesistenza in generale. Destinan-do lesserci alla sua pi vera essenza il fondo notturno e abissale della sua stessa ipseit, in cui gettato limprevedibile esperienza limite dellangoscia ne attesta lestraneit al mondo, nel mondo. Dacch solo nellessere-nel-mondo si pu provare la radicale separatezza da esso. E tutta-

    vedano anche gli scritti gi citati, e compresi nel vol. 5 della Schriftenreihe der Martin-Heidegger-Gesellschaft, Herkunft aber bleibt stets Zukunft. Martin Heidegger und die Got-tesfrage, op. cit. (in particolare: B. Casper: Das Versuchtsein des Daseins und das Freiwer-den von den Gtzen, pp. 67-81, H. Hbner: Vom Ereignis und vom Ereignis Gott. Ein theo-logischer Beitrag zu den Beitrgen zur Philosophie, pp. 135-158, C. Esposito: Die Gnade und das Nichts. Zu Heideggers Gottesfrage, pp. 199-224); H. Hbner, Martin Heideggers Gtter und der christliche Gott. Theologische Besinnung ber Heideggers Besinnung (Band 66), in Heidegger Studies, 15, 1999, pp. 127-151; L. Savarino, Heidegger e il cristianesimo 1916-1927, Liguori, Napoli 2201; L. Samon, Interpretazione e tempo di Dio. Riflessioni sulla lettu-ra heideggeriana della religiosit protocristiana, in Perissinotto-Ruggenini (a cura di), Tempo e interpretazione. Esperienze di verit nel tempo dellinterpretazione, Guerini, Milano 2002, pp. 149-164. Interessanti spunti di riflessione intorno alla presenza di echi cristiani nella medi-tazione di Heidegger, sono offerti anche da D. Franck, Heidegger et le christianisme. Lexplication silencieuse, PUF, Paris 2004. Per quanto concerne le inquietudini e i presagi sul destino dellOccidente che traspaiono dalle pagine dellopera, si vedano soprattutto le profonde e originali osservazioni di F. Duque, La contrada dello straniero, in Id., Il fiore ne-ro. Satanismo e paganesimo alla fine della modernit, op. cit., pp. 169-184. Cfr. anche M. Cacciari, Epilogo, in Id.., Geo-filosofia dellEuropa, Adelphi, Milano 1994, pp. 161-170.

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    via va detto che al medesimo tempo langoscia non pu accadere come mo-mento successivo allin-der-Welt-sein, al modo di un ritrarsi in s dallessere-nel-mondo; non fossaltro perch la disappartenenza e la nientificazione del mondo in cui lesserci si scopre come solus ipse si danno non temporal-mente ma ontologicamente prima del tempo come orizzonte mondano desperienza, rimandando a quella dimensione non-temporale, pre-storica, cos come non-umana, non-mondana che sospende lesserci e la vita alla in-determinatezza del possibile. , questa, la radice oscura delluomo e del mondo cos come dellorizzonte del tempo e della storia. la costituzione spaesante letteralmente unheimlich del suo ethos pi riposto, in cui resta inscritta lalterit del s a s, la finitezza e limpotenza costitutive dellesserci rispetto alla propria stessa impossibile possibilit.

    Quasi come se, in noi stessi, ci accadesse di invocare: Vere tu es Deus ab-sconditus, ripetendo le parole di Lutero che annunciando la sua Theologia crucis a sua volta cita Isaia nella Disputatio di Heidelberg.29 29 Su questa irrisolta tensione fra paganesimo e cristianesimo, da intendere quale Leitfaden per cadenzare lintero cammino di pensiero heideggeriano, ha efficacemente insistito V. Vi-tiello, di cui si veda il recente Heidegger: tra etica pagana e morale cristiana, in A.A. VV., Heidegger e gli orizzonti della filosofia pratica, op. cit., pp.261-282. F. Duque ha a propria volta sintetizzato in maniera pregnante questo stesso motivo, affermando che la stella alla quale si indirizzava il suo cammino [scil. di Heidegger] (indipendentemente dal fatto che si possa giungere senza dubbio ad essa o no) era, per cos dire, un Sole doppio, o meglio una costellazione formata dagli spostamenti e dalla reciproca attrazione del non scritto di-ritto degli dei e del cristiano Dio sconosciuto , F. Duque, Il contrattempo. Lo spostamento ermeneutico della religione nella fenomenologia heideggeriana, in E. Mazzarella (a cura di), Heidegger oggi, Il Mulino, Bologna 1998, pp.165-194 (p.171). Per quanto riguarda ancora una volta la prossimit della figura dellultimo Dio con gli aspetti pi riposti della morale cristiana, altrove Duque avanza anche lipotesi di intendere il gegen rivolto al dio cristiano in esergo alla sesta Fge dei Beitrge, piuttosto nel senso dun muovere verso che in quello duna opposizione; tali considerazioni mostrano la possibilit di una controversia frut-tuosa del pensare meditativo (Besinnung) heideggeriano con il pensiero religioso trinitario, al di l di affermazioni aggressive come il famoso esergo della giuntura (Fuge) dedicata allultimo Dio: il completamente distinto gegen gli dei gi stati, e specialmente gegen quello cristiano. Aggressive, nel caso in cui sintenda questo gegen come un esser contro, e non cosa che sarebbe ben plausibile come una Begegnung, un andar verso: il proprio della venuta del Dio dellaltro inizio in direzione della provenienza (Herkunft) dellepoca della metafisica , F. Duque, Sacra inutilit. Il Sacro in Heidegger e Hlderlin, in Id. La radura del Sacro, a cura di E. Forcellino (trad. it. di L. Sessa ed E. Forcellino), Albo Versorio, Mi-lano 2007, p. 110. A sostegno della sua lettura, lautore cita tra laltro limportante Brief an einen jungen Studenten, scritto da Heidegger nel 1950, di cui conviene riportare un passag-gio fondamentale, anche per la sua vicinanza al percorso fin qui seguito: La mancanza di Dio e dei divini assenza. Ma assenza non semplicemente un nulla, bens la presenza, di cui appunto ci si deve anzitutto appropriare, della nascosta pienezza del gi-stato e che, cos

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    Anche da tale intreccio resta percorsa linsistita (instndig) preparazione dellaltro inizio, e la paradossale cifra etica che ne descrive lesercizio. Si trat-ta, diremmo, dun dimorare sospeso, che nellethos riflette laccadere dellEssere non gi in base alla fermezza della presenza e alla determinazione identificante della sua essenza (Wesen), ma anzi a partire dal movimento in cui lessenza si scompone nella Wesung, descrivendo levento dellEssere secondo il modo del suo differire, del suo sottrarsi negandosi alla definizione at-tuata dellente che . Di ci appunto figura il trascorrere dellultimo Dio, rispetto al quale lesser-ci das Wesen im Menschen mai non pu auto-nomamente decidere per il Dio, n per la fondazione della verit dellessere in quanto Zeit-Raum necessario al quieto silenzio del suo passaggio.

    E qui, nellistante di questa contraddizione, nellutopia di questo fram-mezzo, presagire paradossalmente la dimora.

    Dov la mia dimora? Dove non siamo n io n tu. Dove il mio fine ultimo, cui devo giungere? Dove nessun fine si trova. Ove dunque mi volger? Ancora oltre Dio, a un deserto, devo tendere30.

    raccolto, (west), del divino comera nella grecit, nei profeti del giudaismo, nella predica-zione di Ges. Questo non-pi in se stesso un non-ancora dellavvento nascosto della sua inesauribile essenza . M. Heidegger Vortrge und Aufstze, op. cit., II, p. 57; trad. it. p. 123. 30 A. Silesius, op. cit. p. 107: Wo ist mein Aufenthalt? Wo ich un du nicht stehen. / Wo ist mein letztes End, in welches ich soll gehen? / Da, wo man keines findt. Wo soll ich denn nun hin? / Ich mu noch ber Gott in eine Wste ziehn. Alla fine dellaforisma, Silesius appone la seguente nota: Ossia oltre tutto ci che si conosce di Dio e che di lui si pu pensare, secondo la contemplazione negativa, riguardo alla quale si vedano i mistici.