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Dario Ianes L’evoluzione dell’insegnante di sostegno Verso una didattica inclusiva Nuova edizione Erickson

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Dario Ianes

L’evoluzione dell’insegnante

di sostegno

Verso una didattica inclusiva

Nuova edizione

Erickson

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Indice

Presentazione alla nuova edizione 7

PRIMA PARTE L’evoluzione del sostegno: la nostra proposta

Capitolo primo Chiarimenti iniziali, per non essere frainteso 15

Capitolo secondo Un’analisi critica dell’integrazione scolastica 37

Capitolo terzo Alcune ipotesi di interpretazione delle cause della situazione attuale 85

Capitolo quarto La nostra proposta di evoluzione del ruolo dell’insegnante di sostegno 105

Capitolo quinto Conclusioni e qualche altra riflessione 121

Bibliografia 133

SECONDA PARTE Sta per arrivare un’altra «evoluzione» del sostegno?

Capitolo sestoBuoni gli obiettivi, ma sbagliati i mezzi (D. Ianes) 143

Capitolo settimoI docenti per il sostegno mediatori didattici dell’inclusione (S. Nocera) 147

Capitolo ottavoNon sono affatto sbagliati, i mezzi che proponiamo! (L. Paschetta) 153

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Capitolo nonoQuale insegnante di sostegno per una inclusione scolastica di qualità? (L. Cottini) 157

Capitolo decimoOrizzonte cattedra mista. Dai limiti della Proposta di Legge C-2444 alle potenzialità della cattedra mista (G. Giani e P. Fasce) 175

Capitolo undicesimoIl Disegno di Legge «La Buona Scuola». Qualche considerazione rispetto all’inclusione (D. Ianes) 193

APPENDICI

Appendice 1 Linee progettuali e proposte per un nuovo approccio all’integrazione scolastica degli alunni con disabilità 199

Appendice 2 Il Profilo dei docenti inclusivi dell’European Agency for Special Needs and Inclusive Education 211

Appendice 3 Profilo di competenze dell’Università di Bolzano dell’insegnante specializzato per l’integrazione scolastica degli alunni con disabilità 227

Appendice 4 Percorso sperimentale trentino di accompagnamento degli insegnanti nell’inclusione di studenti con Bisogni Educativi Speciali 231

Appendice 5 La Proposta di Legge C-2444: relazione introduttiva e testo 245

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Presentazione alla nuova edizione

Perché una nuova edizione?A distanza di 14 mesi dalla data della sua prima pubblicazione, nella

necessità di procedere a una ristampa, ho preferito invece ampliare il volume in una seconda edizione. In questo anno, infatti, sono successe alcune cose che rendono tale ampliamento attuale e — spero — interessante per il let-tore che desidera stare nel centro del dibattito sugli insegnanti di sostegno.

Un primo evento che ha acceso di nuovi argomenti la discussione sulle possibili evoluzioni del ruolo del sostegno è la Proposta di Legge C-2444 (Norme per migliorare la qualità dell’inclusione scolastica degli alunni con disabilità e con altri bisogni educativi speciali) presentata dalle Associazioni FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap) e FAND (Federazione tra le Associazioni Nazionali di Persone con Disabilità): a seguito del dibattito che ne è scaturito, si è deciso di dedicare, in questa nuova edizione, una nuova parte del volume alle voci — contrarie e favo-revoli — alla Proposta di Legge.

Frutto del lavoro delle due Associazioni, la Pdl C-2444 contiene nume-rosi punti condivisibili e che ritengo assolutamente positivi, ma commette un errore fondamentale rispetto alla formazione e al ruolo separati per gli insegnanti di sostegno. Separare la formazione universitaria e la carriera professionale degli insegnanti di sostegno da quelle dei colleghi curricolari porterà, infatti, a un aumento dei meccanismi di delega e deresponsabi-

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lizzazione, con conseguente danno per una piena integrazione scolastica: i sostenitori della Proposta la pensano in modo diametralmente opposto e la discussione in proposito sarà ancora lunga.

Il secondo evento, ovviamente ancora più noto e clamoroso, è costituito dal Disegno di Legge «La Buona Scuola», che parla anche (non molto, in verità) di inclusione e di insegnanti di sostegno: anche a questa novità il volume ha dedicato un capitolo inedito (l’undicesimo) in cui sono esposte alcune considerazioni e riflessioni generali.

È probabile che molti aspetti della Proposta delle Associazioni FISH e FAND trovino spazio nella «Buona Scuola», e questo sarebbe un proble-ma serio. Vedremo. Per il momento, ci auguriamo di poter commentare buone evoluzioni degli insegnanti di sostegno nella terza edizione di questo libro, in cui potremo discutere anche dei risultati completi della nostra sperimentazione effettuata in Trentino, cui possiamo oggi solo accennare nell’Appendice 4.

Ringrazio gli amici e colleghi Salvatore Nocera, Luciano Paschetta, Lucio Cottini, Giulia Giani e Paolo Fasce per i contributi che hanno por-tato al dibattito e che sono presentati nella seconda parte del volume, le colleghe trentine Daniela Tonelli, Roberta Santuliana, Lorenza Sighel e la professoressa Paola Venuti dell’Università di Trento per l’Appendice 4 e il Gruppo di Lavoro della mia Facoltà di Scienze della Formazione della Li-bera Università di Bolzano (Demis Basso, Heidrun Demo, Veronika Frick, Vanessa Macchia, Genny Ploner, Luisella Romano, Reinhard Tschiesner) che, nell’Appendice 3, presenta il Profilo di competenze dell’insegnante specializzato per il sostegno.

Pochi giorni prima di andare in stampa con questa nuova edizione ho avuto il piacere di leggere queste righe dell’ultimo libro di Edgar Morin: ci aiutano a non avere paura del cambiamento, anche radicale.

Non esiste mai consenso preliminare all’innovazione. Non si va avanti a partire da un’opinione media, che non è democratica, ma mediocra-tica. Si va avanti a partire da una passione creatrice. Ogni innovazione trasformatrice è all’inizio di una devianza. Fu il caso del buddhismo, del cristianesimo, dell’islam, della scienza moderna, del socialismo. La devian-za si diffonde divenendo una tendenza e poi una forza storica. Abbiamo bisogno di una rivoluzione pedagogica equivalente a quella dell’università moderna, nata a Berlino all’inizio del diciannovesimo secolo. È questa università, oggi mondializzata, che bisogna rivoluzionare, mantenendo

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le sue esperienze, ma introducendovi la conoscenza complessa dei nostri problemi fondamentali. È tutto il sistema di educazione contemporaneo, fondato sul modello disciplinare dell’università e sulla disgiunzione fra scienza e cultura umanistica, che bisogna nello stesso senso rivoluzionare. (E. Morin, Insegnare a vivere. Manifesto per cambiare l’educazione, Milano, Raffaello Cortina, 2015, p. 103)

Maggio 2015Dario Ianes

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Capitolo primo

Chiarimenti iniziali, per non essere frainteso

L’altissimo valore, non negoziabile, degli obiettivi dell’integrazione scolastica

L’integrazione vera, buona, è piena partecipazione alla normalità del fare scuola nel gruppo «normale» dei coetanei, in una classe «normale», in una scuola «normale», con attività «normali», cioè di tutti.

«Io voglio fare come gli altri.» Ci voleva proprio questa splendida sintesi scritta da un alunno con disabilità della scuola secondaria per racchiudere, come in un cristallo, i molteplici valori della «normalità». Io, alunno con disabilità, voglio fare come gli altri, prima di tutto per-ché valgo come gli altri (ho gli stessi diritti). Voglio fare come gli altri perché ho un bisogno profondo di valore e di normalità. Fare come (e con) gli altri è un valore intrinseco a quello della persona, un valore in sé assoluto, ma fare assieme agli altri vale anche come strumento potente di sviluppo e di apprendimento. Io, alunno con disabilità, voglio fare come gli altri anche per voi, per gli altri che stanno attorno a me, per la coesione e la crescita del nostro gruppo, a cui sento di appartenere (Ianes, 2006, p. 11).

Integrazione nella normalità che ha dunque il significato dell’ugua-glianza di valore della persona, indipendentemente dalla sua condizione personale e sociale. Integrazione scolastica come affermazione e realizzazione di diritti e di valore, affermati in primis dalla nostra Costituzione (che fonda, non dimentichiamolo, la scuola inclusiva italiana).

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16 L’evoluzione dell’insegnante di sostegno

Sono questi fondamenti di civiltà sociale e politica che rendono la piena integrazione scolastica degli alunni con disabilità una splendida necessità delle prassi formative del nostro Paese.

Analizzando più da vicino le finalità dell’integrazione scolastica, ci ac-corgiamo che essa deve «servire» a molte cose, non è soltanto un valore in sé, quello di essere dove sono tutti gli altri. Ad esempio, nel documento finale della Commissione Falcucci del 1975 troviamo chiaramente definite le finalità del potenziare gli apprendimenti e le varie competenze di vita sociale dell’alunno con disabilità (Nocera, 2001, p. 35). Leggiamo anche la sentenza n. 215 del 1987, con cui la Corte Costituzionale afferma che «l’integrazione deve realizzarsi su entrambi i versanti dell’apprendimento e della socializzazione». Il fondamentale binomio «apprendimento-socializzazione» torna anche nella relazione della Commissione Sbarbati alla Camera dei deputati, che nel 1998 ribadisce che l’integrazione scolastica debba avere come obiettivi qualificanti non soltanto quelli della socializzazione, ma anche quelli degli apprendimenti. La Legge Quadro 104 per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate, del 5 febbraio 1992, infine, è assolutamente chiara: «L’integrazione scolastica ha come obiettivo lo sviluppo delle potenzialità della persona handicappata nell’apprendimento, nella comunicazione, nelle relazioni e nella socializzazione» (art. 12, comma 3).

Credo allora che per discutere seriamente e onestamente di integrazio-ne scolastica, ipotizzando anche profonde innovazioni nelle sue modalità operative, vadano esplicitati e definiti il più estesamente possibile tutti gli obiettivi che essa deve porsi.

Obiettivo 1: Socializzazione come partecipazione sociale, senso di appartenenza e identità sociale

Partecipando alle «normali» attività con il «normale» gruppo di coetanei, l’alunno con disabilità sperimenta profondamente l’«esserci», il riconoscimento del proprio valore, con conseguente aumento di sicurezza, autostima e senso di appartenenza.

Se io sono nella normalità, se vi partecipo, anche se con modalità tutte mie, mi sento bene perché sento di partecipare ad uno stereotipo positivo, vengo visto, giudicato nella normalità («Impariamo a essere ciò che ci dicono di essere», come scrive Ronald Laing); vengo riconosciuto nella

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mia «normalità» essenziale, nel mio valore di persona; l’essere accettato e il partecipare mi fanno crescere, magari lentamente, verso la normalità. (Ianes, 2006, p. 15)

Partecipando alle attività di un gruppo normale di coetanei si struttura buona parte dell’identità sociale dell’alunno, attraverso rispecchiamenti, rappresentazioni, aspettative condivise. Essere e sentirsi negli ordinari percorsi formativi istituisce e forma significati condivisi e comuni, rituali, regole, modelli comportamentali attraverso imitazione, interiorizzazione, coevoluzione e differenziazione.

La partecipazione sociale, intesa come il rivestire ruoli normali nelle varie situazioni di vita normale, è anche, secondo il modello antropologico ICF dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, uno dei principali fattori costitutivi del benessere individuale, della salute e del funzionamento umano positivo.

L’obiettivo «socializzazione» si articola in una serie di situazioni di buona socialità nei vari momenti formali e informali della vita scolastica e anche nelle varie occasioni di vita sociale extrascolastica, sia organizzata che informale. In altre parole, dalle interazioni positive in un gruppo di apprendimento cooperativo agli inviti alle feste di compleanno dei compa-gni di classe (si vedano gli ambiti della «Partecipazione sociale» in ICF-CY, OMS, 2007).

Obiettivo 2: Apprendimento di competenze

È evidente che un’altra serie rilevante di obiettivi dell’integrazione scolastica deve essere rappresentata dall’apprendimento, da parte dell’alunno con disabilità, di una gamma il più ampia possibile di competenze reali, utili e sensate. Competenze che saranno definite collegialmente da tutti gli insegnanti, in accordo con la famiglia, nel Piano Educativo Individualizzato, previsto dalla normativa e indispensabile documento di programmazione e di azione educativa e didattica.

In un Piano Educativo Individualizzato completo, e che guarda lon-tano, diventando via via sempre più Progetto di vita, dovremmo trovare:– obiettivi di apprendimento tratti dalla programmazione curricolare della

classe di appartenenza e cioè obiettivi scolastici comuni, anche se più o

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meno adattati con varie forme di traduzione in altri codici, con facilita-zioni o semplificazioni, in funzione delle reali capacità dell’alunno;

– obiettivi di tipo «abilitativo», tratti dalle varie abilità e competenze legate alle funzioni corporee (per usare il lessico ICF) coinvolte nella vita scolasti-ca e nell’apprendimento: ad esempio, le funzioni cognitive, l’attenzione, la memoria di lavoro, il controllo dell’impulso, oltre alle funzioni sensoriali e percettive, psicomotorie, visuo-spaziali, ecc.;

– obiettivi educativi nei vari campi delle «attività personali», come ad esempio la comunicazione e i vari linguaggi, le abilità e le interazioni sociali, le autonomie personali e sociali, ecc.;

– obiettivi psicoaffettivi e comportamentali, come il riconoscimento, l’espres-sione e la regolazione di stati d’animo, la soluzione collaborativa di un conflitto, lo sviluppo di comportamenti positivi al posto di quelli even-tualmente problematici, ecc.;

– obiettivi legati all’identità e all’autostima: all’interno di questo «saper essere» dell’alunno possiamo identificare due grandi dimensioni intrecciate. Nella dimensione identità troviamo obiettivi propri di una sempre maggiore consapevolezza di sé come persona che ha una storia e una memoria, ma anche come persona che ha una prospettiva di futuro, con aspettative, motivazioni, valori, progetti e desideri, che pone confini ragionevoli tra sé e gli altri, che opera scelte e decisioni e che continua ad automigliorarsi dinamicamente. Un’identità forte dà alla persona sicurezza e motivazione intrinseca rispetto alle azioni che decide di intraprendere per raggiungere obiettivi e attuare progetti. Una persona con disabilità che, tra i suoi progetti per il futuro, ha quello di una vita indipendente rispetto alla sua famiglia avrà una forte motivazione intrinseca ad apprendere quelle competenze complesse di autonomia sociale importanti per il proprio progetto di vita, competenze dunque che saranno ben gestite a livello psicoaffettivo, dato che trovano senso nella sua identità progettuale.

Nella seconda dimensione, l’autostima è sostanzialmente un autogiudizio sul proprio valore personale e costituisce un fondamentale motore energetico e motivazionale delle varie azioni di apprendimento e di partecipazione, accanto all’autoefficacia rivolta a specifici corsi d’azione dell’alunno;

– obiettivi di competenza lavorativa e di partecipazione sociale estesa: un percor-so ampio di integrazione scolastica si pone anche obiettivi di integrazione lavorativa soddisfacente e integrata, accanto a obiettivi di acquisizione

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delle competenze necessarie per una piena partecipazione sociale negli ecosistemi della vita, il più possibile indipendente, del tempo libero, della partecipazione attiva alla comunità, dello sport, ecc. In questo senso, il Piano Educativo Individualizzato diventa sempre più «Progetto di vita» (Ianes e Cramerotti, 2009).

Obiettivo 3: Arricchimento umano, relazionale e apprenditivo di tutti gli alunni della classe

Una finalità «parallela» dell’integrazione scolastica, riferita molto frequentemente dagli insegnanti, è lo sviluppo personale di tutti gli alunni della classe, che crescono sotto vari punti di vista: aumentano le loro abilità relazionali di aiuto e comunicative, la loro empatia e le capacità di compren-dere e gestire i propri stati d’animo, la loro autostima, le loro competenze metacognitive e di «insegnamento» applicate agli apprendimenti curricolari, che vengono così meglio assimilati, le loro conoscenze biologiche, antropo-logiche e sociali sulle differenze umane.

Accanto a questi progressi psicologici e relazionali ci si aspetta un eguale e più generale rafforzamento dei valori solidaristici e del senso di equità.

Obiettivo 4: Collaborazione e sostegno alla famiglia dell’alunno con disabilità

Una delle finalità centrali dei processi di integrazione scolastica riguarda lo sviluppo di soddisfacenti modalità di partnership educativa con le famiglie degli alunni con disabilità. In particolare, la scuola deve puntare a sviluppare attivamente la propria capacità di comunicare, di coinvolgersi e di collaborare, di negoziare pacificamente e costruttivamente obiettivi e modalità di lavoro, di saper ricevere e dare aiuto e suggerimenti nella piena valorizzazione dell’altro partner e nel rispetto dei ruoli diversi e delle differenti responsabilità.

Per avvicinarsi a questi risultati, essa deve essere d’esempio alla fami-glia, ponendosi come partner empatico, competente e rispettoso. Quando l’integrazione scolastica funziona bene produce un’importante partnership educativa che gioca un ruolo fondamentale nel globale supporto psicosociale di cui la famiglia ha bisogno e nello sviluppo di competenze di fronteg-giamento attivo dello stress negativo che alcune situazioni particolarmente complesse possono generare.

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Capitolo secondo

Un’analisi critica dell’integrazione scolastica

Che analisi critica è possibile fare oggi sul grande tema dell’integrazione scolastica degli alunni con disabilità, la cui immensa portata abbiamo visto nel capitolo precedente? Un tema così ampio, forte, che coinvolge profonda-mente la scuola italiana e centinaia di migliaia di famiglie, alunni con disa-bilità, insegnanti, educatori, dirigenti, operatori dei Servizi sociali e sanitari, amministratori, ecc. Un’analisi critica è difficile: «Il punto è che il successo dell’integrazione sul piano ideologico ha reso praticamente impossibile un suo riesame critico» (Medeghini, 2011, p. 30), eppure uno sguardo critico è assolutamente necessario, urgente.

Abbiamo visto nel capitolo precedente che il valore ideale, civile e politico dell’integrazione come parte fondamentale di una scuola inclusiva non è in discussione: sono in discussione invece le strutture portanti (teorico-culturali, normative e organizzative) e le pratiche applicative che ne conseguono. I mezzi devono essere analizzati criticamente, il fine ultimo, ideale (una scuola piena-mente inclusiva per tutti) fa parte stabile dell’ethos nazionale e non si discute.

Ma questo fine/valore ideale sarà così forte ancora oggi, dopo anni di trascuratezza pubblica nei confronti della scuola? Non lasciamo che la difesa ideologica del valore dell’integrazione (in chi ancora ci crede) blocchi il dibattito conoscitivo e interpretativo su ciò che sta accadendo realmente, al di là della retorica ministeriale e accademica, che talvolta si autocelebra.

Come arriverà ai 40 anni? Nata nel 1977, l’integrazione scolastica degli alunni con disabilità ha compiuto da poco 30 anni, ma talvolta è difficile

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capire se stia ancora crescendo, se stia invecchiando, se sia nel pieno della maturità. Se abbia espresso tutto il suo potenziale, o se invece lo stia len-tamente perdendo, se sia ancora desiderata, cercata, ammirata. Talvolta ci sembra affaticata, disorientata, costretta da difficoltà crescenti, senza risorse sufficienti, addirittura ignorata se non rifiutata. Quasi fosse una vecchia segretaria, che il capoufficio non vede più, che fa parte dell’arredo e a cui si dimentica di aumentare lo stipendio; è scontato che ci sia e non è un gran pregio dell’ufficio. Ma noi invece la amiamo, e sentiamo bene l’importanza del suo lavoro, spesso oscuro e nascosto; per questo vorremmo aiutarla nella svolta dei 40 anni, per vederla entrare splendidamente nei secondi 40 anni, a testa alta, con un’identità diversa, con il sorriso del futuro e non con le lamentazioni continue per le piccole e grandi offese subite. (Ianes, Demo e Zambotti, 2010, p. 14)

Alcune pratiche scadenti di integrazione scolastica offendono: leggia-mo, ad esempio, l’esperienza di Valentina Fiorito, persona con la sindrome di Asperger.

Conoscevo alcuni dei miei compagni attuali dalle scuole materne e dalle elementari, altri facevano parte del gruppo scout e altri ancora non li conoscevo proprio. Ovviamente all’inizio tendevo a stare con chi conoscevo ma, pur volendo conoscere gli altri compagni, non avevo molte occasioni per poterlo fare. Infatti non sempre potevo stare con i miei compagni perché «purtroppo» avevo il «rapporto uno a uno» con l’insegnante di sostegno che mi portava quasi esclusivamente fuori dalla classe nella cosiddetta «aula di sostegno» per portare avanti un programma individualizzato che altro non era che lo stesso programma dei miei compagni ridotto e semplificato! Non solo, in questi tre anni di medie ho dovuto subire le terapie scolastiche, come la «musico-terapia», in posti separati dal resto della classe. Ricordo che il progetto «gioco piscina» era divertente ma era solo per persone con sostegno e la cosa mi dava molto fastidio. Per non parlare della «staffetta» in cui si andava a Cagliari per fare uno stupido percorso; ogni ragazzo o ragazza poteva portarsi un compagno che poteva scegliere dal gruppo. Per me questo compagno fu scelto dall’insegnante di sostegno perché ovviamente la decisione di quello che dovevo fare e con chi dovevo stare spettava all’insegnante di sostegno o alla coordinatrice di classe, mai a me. Io non potevo proporre e neanche esprimere le mie idee liberamente perché quando provavo a farlo nessuno mi dava realmente considerazione. Infatti a volte davo segni di ribellione ma non producevano grossi risultati. Mi sentivo trattata da «deficiente» e la cosa, oltre a farmi male, mi faceva venire una gran rabbia che nessuno poteva mai immaginare o comprendere. (Fiorito, in Pontis, 2013, p. 166)

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Capitolo quarto

La nostra proposta di evoluzione del ruolo dell’insegnante di sostegno

È pensabile una scuola senza più insegnanti di sostegno, come siamo abituati a considerarli oggi? Senza più aule di sostegno?

Non sarà facile, ma credo che sia possibile e che possa portare a nu-merosi vantaggi per l’integrazione scolastica degli alunni con disabilità e, in prospettiva, per una didattica realmente inclusiva.

La chiave di questa proposta è lo stesso insegnante di sostegno, il cui ruolo si evolve. Un grande fattore strutturale che cambia radicalmente.

Naturalmente si possono fare valutazioni molto diverse su quanto sia stra-tegico puntare a cambiamenti strutturali (dei 5 fattori evidenziati nel capitolo precedente) o, al contrario, mirare a tanti piccoli miglioramenti delle pratiche attuali, conservando le strutture portanti dell’integrazione scolastica. Abbiamo visto nel capitolo precedente come la stragrande maggioranza degli attori del sistema (salvo gli alunni, che purtroppo vengono coinvolti e ascoltati così poco) punti a miglioramenti a livello di implementazione dei processi e non a cambia-menti strutturali, ma questo, secondo me, è proprio il motivo per cui negli ultimi quarant’anni la qualità dell’integrazione non è migliorata realmente, nonostante tutti gli sforzi «miglioristi» e, anzi, è addirittura peggiorata. Vale certamente la pena cercare di fare nel modo migliore possibile quello che si sta facendo, ma dobbiamo puntare nel breve termine a forti cambiamenti strutturali.

Quale aspetto strutturale coinvolgere per primo? Io scommetterei sulla forza generativa rispetto al cambiamento del ruolo degli insegnanti di soste-gno, per usare in modo positivo le energie, la motivazione e le competenze

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professionali di molti di loro. Nei docenti di sostegno è nascosto un tesoro di energie che merita di essere liberato dalle rigidità distorte del sistema attuale.

Il ruolo degli insegnanti di sostegno dovrebbe cambiare contempo-raneamente in due direzioni: circa l’80% di essi diventerebbero insegnanti curricolari a pieno titolo per realizzare compresenze sulle classi e il 20% specialisti itineranti (peer tutor) per dare supporto tecnico a tutti i colleghi curricolari. Su 117.000 insegnanti di sostegno oggi occupati, 95.000 an-drebbero ad arricchire il corpo docenti e 22.000 costituirebbero un folto gruppo di esperti che si muovono tra le varie scuole.

Prima di cercare di ipotizzare cosa potrebbe accadere realmente nella scuola a seguito di questa evoluzione, sgombriamo ancora una volta il campo da possibili equivoci: gli ex insegnanti di sostegno che diventano curricolari si aggiungono all’organico, lo aumentano, per potenziare l’offerta formativa, dunque il corpo docente normale cresce (si veda anche l’analisi economica fatta nel capitolo primo).

Gli ex insegnanti di sostegno che diventano specialisti itineranti non lavorano con due o tre o quattro alunni con disabilità, ma intervengono nelle situazioni di classe dove è presente un alunno con disabilità secondo le loro competenze (si veda più avanti) e dunque danno supporto tecnico a diverse classi (circa 10 ognuno), anche su plessi differenti.

Alla base del nostro ragionamento va messo un punto fermo, una considerazione tanto banale quanto spesso trascurata da chi analizza la situazione scolastica italiana, e cioè che ci sono enormi differenze tra gli ordini di scuola. Ciò che accade nelle scuole dell’infanzia è diverso da ciò che succede nella scuola primaria, che a sua volta differisce dalla secondaria di primo grado, un mondo diverso da quella di secondo grado, che al suo interno si differenzia moltissimo tra licei, tecnici, professionali e formazio-ne professionale regionale. Ci sono dunque molti aspetti in comune, ma anche tante differenze, che vanno considerate nel pensare a una proposta di evoluzione dell’insegnante di sostegno.

95.000 insegnanti curricolari in più: contitolarità vera e compresenza

Il primo scenario che si costruisce è quello di un aumento diretto di ore curricolari, da usare per realizzare la migliore qualità possibile di

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Seconda parte

Sta per arrivare un’altra «evoluzione» del sostegno?

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Capitolo sesto

Buoni gli obiettivi, ma sbagliati i mezzi

Dario Ianes

Le Federazioni delle Associazioni di persone con disabilità e delle loro famiglie — FISH, Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap e FAND, Federazione tra le Associazioni Nazionali di Persone con Disabilità — hanno presentato la Proposta di Legge C-2444 (Norme per migliorare la qualità dell’inclusione scolastica degli alunni con disabilità e con altri bisogni educativi speciali, il cui testo è riportato integralmente nell’Appendice 5), con l’obiettivo di sviluppare la qualità dell’integrazione scolastica e di tutelare i diritti dei loro Associati.

Si tratta di un testo estremamente interessante, nel quale sono contenuti diversi punti di sviluppo che in questi anni in molti abbiamo sostenuto; cito i più importanti: il Progetto di vita, l’uso dell’ICF, l’evoluzione della diagnosi funzionale, l’aumento dei crediti universitari nella formazione ini-ziale dei docenti di scuola secondaria, la formazione continua in servizio, i livelli essenziali delle prestazioni scolastiche per l’integrazione, gli indicatori di qualità. Alcuni di questi aspetti si ritrovano anche nelle indicazioni sui Decreti delegati al Governo nella Proposta di Legge nota come La Buona Scuola.

La Proposta di Legge C-2444 prevede, però, percorsi di formazione universitaria per gli insegnanti di sostegno profondamente diversi da quelli degli insegnanti curricolari: per la scuola primaria e dell’infanzia, dopo tre anni comuni, gli studenti che decidessero di diventare insegnanti di sostegno dovrebbero affrontare un biennio specifico; per la scuola secondaria, dopo

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la Laurea triennale è prevista la Laurea magistrale specifica sul sostegno. Conseguentemente a questi percorsi diversi, esisterebbe una specifica classe di concorso per il sostegno. Questo doppio scenario (formazione iniziale e gestione dei posti) dovrebbe rispondere, nelle intenzioni dei proponenti, ad alcune problematiche relative al sostegno che in tanti, quasi all’unanimità, abbiamo da anni segnalato, in particolare la grande mobilità e discontinuità e la scarsa competenza professionale.

Ritengo però — e con me molti altri colleghi, insegnanti di sostegno e dirigenti scolastici — che questa prospettiva separante sia sbagliata, fonda-mentalmente perché consolida e rende strutturale la divisione tra «insegnante normale» e «insegnante speciale», favorendo meccanismi di delega che troppo spesso, già oggi, portano a microesclusioni dentro e fuori la classe.

I temi della qualità dell’integrazione e delle competenze necessarie per realizzarla realmente, al di là della retorica, sono ovviamente centrali, e rappresentano un fondamentale diritto degli alunni e delle alunne con disabilità e delle loro famiglie, ma vanno affrontati in un altro modo. Un’in-tegrazione di qualità porta a dei risultati concreti e osservabili: è da lì che bisogna partire. Attraverso un’onesta collaborazione famiglia-insegnanti, vanno concordati e definiti i Livelli Essenziali di Qualità a cui si punta e sui quali si faranno le valutazioni di fine anno, utilizzando gli indicatori che si saranno elaborati per quella specifica situazione. In questo modo si potrebbe costruire un’alleanza seria e costruttiva tra famiglia e docenti evitando, di conseguenza, il contenzioso, concordando e valutandosi reciprocamente anche (direi principalmente) sui risultati, non tanto sui mezzi (pensati spesso come l’esclusivo numero di ore di sostegno).

L’immersione di un alunno con disabilità in un contesto semplicemente normale, senza competenze e strategie aggiuntive, speciali, non è sufficiente; certo, è necessaria, ma non sufficiente. Ci vogliono competenze per rea-lizzare azioni specifiche, che la ricerca psicoeducativa rende via via sempre più disponibili.1 Queste competenze e strategie devono però essere diffuse,

1 A questo proposito, esiste ormai, in vari ambiti, una sufficiente chiarezza su quali sono le strategie e gli interventi che funzionano in modo evidence-based. Questa è ovviamente una necessaria base di partenza, ma non si può cadere nell’errore di pensare che azioni/strategie/interventi educativo-didattici speciali di provata efficacia siano così «speciali» da poter essere realizzati solo in contesti «speciali» e da persone «speciali». Molte di queste azioni

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Capitolo settimo

I docenti per il sostegno mediatori didattici dell’inclusione1

Salvatore Nocera2

Sono costretto a tornare a difendere le scelte operate dalla Proposta di Legge C-2444 (Norme per migliorare la qualità dell’inclusione scolastica degli alunni con disabilità e con altri bisogni educativi speciali), sostenuta da FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap) e FAND (Federa-zione tra le Associazioni Nazionali di Persone con Disabilità) e riguardante il miglioramento dell’inclusione scolastica.

Stavolta l’attacco — invero non nuovo, ma molto efficace — viene dal professor Dario Ianes, il quale afferma che quella Proposta di Legge ha obiettivi condivisibili, ma mezzi sbagliati. Gli obiettivi condivisibili sarebbero sostanzialmente la formazione iniziale e obbligatoria in servizio dei docenti curricolari sulle didattiche inclusive, apprezzata anche dalla Fondazione Agnelli in una sua recente audizione alla Camera sul Disegno di Legge governativo della Buona Scuola. Il mezzo sbagliato, invece, sarebbe fondamentalmente costituito dalla scelta di una formazione e di ruoli separati per i futuri docenti specializzati.

1 Il presente contributo costituisce la replica dell’autore all’intervento di Dario Ianes (Buo-ni gli obiettivi, ma sbagliati i mezzi) presentato nel capitolo precedente. Entrambi sono apparsi il 13 e il 17 aprile 2015 sul portale www.superando.it e qui riprodotti per gentile concessione.

2 Presidente nazionale del Comitato dei Garanti della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap), della quale è stato Vicepresidente nazionale.

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148 L’evoluzione dell’insegnante di sostegno

Il professor Ianes, dunque, sostiene che tale separazione faciliterebbe la delega dei docenti curricolari a quelli per il sostegno. E qui non ci siamo.

Infatti, quella Proposta di Legge contiene una serie di misure che ten-dono a rafforzare sia le competenze degli insegnanti curricolari che di quelli specializzati per il sostegno. Non bisogna dimenticare che nell’articolato di quel testo — ciò che sembra già essere stato recepito nel disegno di Legge sulla Buona Scuola — sono previsti corsi di formazione obbligatoria in ser-vizio, all’inizio dell’anno, di almeno 25 ore, sulle disabilità o altri bisogni educativi specifici per tutti gli insegnanti, ed è questo, a nostro avviso, il miglior antidoto contro il processo di delega. Quanto poi alla formazione iniziale, la Proposta di Legge prevede che tutti i futuri insegnanti debbano seguire almeno un semestre accademico, ossia 30 CFU (Crediti Formativi Universitari) sulle tematiche dell’inclusione. Questo già è previsto per i futuri docenti della scuola primaria e dell’infanzia, ma non per quelli delle secondarie, i cui corsi abilitanti all’insegnamento prevedono solo 6 CFU dedicati a ciò.

Una volta rafforzate quindi le competenze dei docenti curricolari, si propone un percorso specifico potenziato rivolto ai futuri docenti specializzati per il sostegno didattico. Nel dettaglio, si ipotizza un percorso unico o pa-rallelo, di durata triennale, nei corsi di Laurea in Scienze della Formazione Primaria. Al terzo anno, gli studenti potranno scegliere se specializzarsi nel sostegno o proseguire nel percorso ordinario.

Senza scendere in specificità tecniche, è intuitivamente comprensibile come alcuni insegnamenti potranno costituire un ulteriore approfondimento per i docenti curricolari, mentre altri serviranno a coloro che vorranno spe-cializzarsi nel sostegno. Per fare un esempio, non sarà certo l’eliminazione dell’esame di Letteratura italiana — scorrendo i piani di studio attualmente in vigore — che potrà minare la formazione di un docente di sostegno, ma tale esame potrà continuare a costituire il bagaglio formativo del docente di scuola primaria o dell’infanzia, come oggi avviene.

I docenti specializzati avranno invece approfondito una serie di aspetti che non è possibile affrontare in un corso di base generalista. Riscontriamo infatti l’inadeguatezza dell’attuale preparazione quando i docenti per il so-stegno si trovano a fronteggiare alcune disabilità gravi e/o specifiche. Tale è ad esempio il caso delle disabilità sensoriali (cecità e sordità in particolare), per le quali occorrono preparazioni adeguate (conoscenza del Braille, per

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Capitolo decimo

Orizzonte cattedra mistaDai limiti della Proposta di Legge C-2444

alle potenzialità della cattedra mistaGiulia Giani e Paolo Fasce1

La Proposta di Legge C-2444, sostenuta dalle Associazioni FISH e FAND, ha ricevuto negli ultimi anni un limitato consenso, focalizzato soprattutto nel mondo politico e in alcuni parlamentari del partito di mag-gioranza, tanto da arrivare in Parlamento come proposta «unica» di riforma del mondo del sostegno, nonostante il dibattito italiano sulla questione sia ben più ricco e offra molteplici punti di vista — dei docenti, del mondo universitario, delle famiglie — che meriterebbero un maggiore spazio di discussione nella Commissione parlamentare, per non correre il rischio di una approvazione del testo in tempi molto più rapidi di quanto una materia delicata come l’inclusione scolastica meriterebbe, ma soprattutto senza quel consenso diffuso degli operatori su tale tematica che è necessario perché la norma venga effettivamente tradotta in prassi efficaci.

Sebbene, infatti, all’interno di tale proposta vi siano messaggi con-divisibili di richiesta di maggior tutela degli alunni con disabilità e di un’organizzazione più efficace del servizio, molti docenti curricolari e di sostegno rifiutano l’impianto della Proposta di Legge perché gli obiettivi

1 Giulia Giani è insegnante di Lettere e Latino nei licei, specializzata e in servizio su posto di sostegno presso il Liceo Statale «Erasmo da Rotterdam» di Sesto San Giovanni, Milano; Paolo Fasce è insegnante di Matematica applicata, specializzato sul sostegno, presso l’IS «E. Montale – Nuovo IPC» di Genova.

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176 L’evoluzione dell’insegnante di sostegno

che essa dichiara di voler perseguire sono in netta contraddizione con le scelte messe in campo per raggiungerli.

Innanzitutto è significativo il fatto che non si sia pensato di proporre un unico progetto di riforma dell’organico dei docenti che riguardasse anche l’inclusione, ritenendo che fosse più adatta una proposta separata. Ciò che riguarda il sostegno, secondo quest’ottica, deve essere distinto dal resto: non crediamo che questa scelta sia casuale, ma che risponda alla precisa logica secondo la quale ciò che riguarda i disabili è «specialistico», «settoriale», «particolare», e come tale si pensa di trattarlo.

Si coglie qui la prima, macroscopica contraddizione: perché occorre una legge separata sull’inclusione se la scuola deve essere per sua stessa natura inclusiva? E perché si pensa di poter sostenere proposte di legge in questo settore ascoltando le pur legittime richieste delle associazioni di genitori e famiglie a tutela dei disabili, ma non si ritiene fondamentale coinvolgere direttamente chi poi le deve attuare, ossia i docenti tutti, e quelli di sostegno in particolare? L’insegnante di sostegno nella scuola di oggi, infatti, non è certo l’elemento di forza per rilanciare l’inclusione scolastica, quanto piut-tosto l’anello debole della catena che dovrebbe coinvolgere tutti gli attori del processo. Senz’altro questo elemento è un punto nodale, perché quando si propone un progetto di riforma complessiva del sistema non si possono tenere in considerazione le aspettative solo di una parte, ma è necessario cercare un equilibrio che affronti i nodi del problema.

Ebbene, gli insegnanti non ritengono che questa Proposta di Legge possa realizzare efficacemente l’inclusione scolastica perché si basa sul principio della separazione delle carriere dei docenti a partire dalla forma-zione universitaria e su obblighi di permanenza degli insegnanti nel ruolo di sostegno indipendentemente dalla loro scelta individuale. L’evoluzione naturale di questo sistema potrebbe facilmente essere, quindi, la segregazione dei disabili a scuola invece che la loro inclusione.2

Tale è, in estrema sintesi, la proposta per favorire l’inclusione e per motivare i docenti di sostegno a scegliere questa carriera professionale. All’articolo 4, in particolare, si propone «l’istituzione di specifici ruoli» per i docenti di sostegno, mentre all’articolo 6 si afferma che i docenti di ruolo

2 Molteplici gli articoli di approfondimento sul tema. Segnaliamo alcuni tra i più significativi a partire dal 2012: Giani, 2012a; 2014a; 2015a; Giangualano, 2015a; 2015b.

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Orizzonte cattedra mista 177

di sostegno «devono garantire la continuità didattica agli studenti che hanno in carico per l’intero ciclo di studi», dopo il quale potranno eventualmente chiedere solo passaggio di cattedra, secondo nuove regole, su posti contin-gentati, il che significa estremamente limitati. In pratica, chi farà il docente di sostegno dovrà farlo a vita.

Pur tuttavia occorre ricordare che «tutta la psicologia sistemica, oltre al buon senso, ci dice che quando si ha cura di cambiare i ruoli all’interno di un sistema, di non farli sclerotizzare, le patologie, le disfunzioni del sistema e le sofferenze dei singoli diminuiscono poiché aumentano le possibilità di cambiamento, di evoluzione, di innovazione personale e relazionale. In questo caso anche professionale» (Fasce e Domingo, 2010) e su questo tema è sempre necessario tenere in opportuna considerazione il fatto che i lavori di Lodolo D’Oria3 mostrino come il burn-out sia la patologia principe degli insegnanti, che ne sono affetti in maniera superiore a tutte le altre professioni d’aiuto.

Il punto di partenza che spinge le Associazioni in questa direzione è la percezione diffusa che i docenti di sostegno abbiano usato questo canale per conseguire più velocemente l’assunzione a tempo indeterminato e non siano interessati per «vocazione» a svolgere questo mestiere.

Se invece di pretendere dai docenti di sostegno una «vocazione a priori», certa e immutabile nel tempo e indipendente dalle condizioni di contesto, si riflettesse su quali sono stati in passato — e su quali siano oggi — gli elementi di debolezza e fragilità insiti in questo ruolo professionale, le risposte sarebbero molto diverse: non certo separazioni e obblighi, ma un ripensamento complessivo del sistema che metta al centro la ricerca di efficienza del servizio, la motivazione professionale, un equilibrio nella di-stribuzione dei compiti e dei carichi di lavoro dei docenti e una formazione iniziale uguale per tutti.

In realtà noi docenti riteniamo che non sarebbe affatto necessaria una nuova norma sull’inclusione scolastica, perché già nella Legge 104/92 sono istituzionalizzati i principi di inclusione e di tutela della disabilità in modo più efficace di quanto la nuova legge aspirerebbe a fare: non è nella legge il limite, ma nella prassi.

3 Si veda, ad esempio: http://www.orizzontescuola.it/news/inidoneit-dei-docenti-patologie-che-determinano, indirizzo a partire dal quale è possibile scaricare l’intero studio.

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Capitolo undicesimo

Il Disegno di Legge «La Buona Scuola»Qualche considerazione rispetto all’inclusione

Dario Ianes

L’iter parlamentare di questo Disegno di Legge governativo è appena iniziato e dunque non ci è dato di sapere che testo definitivo avrà in mano il lettore all’uscita di questo libro. Riflettendo sulla versione iniziale del DL approdato in Parlamento, credo si possano comunque fare alcune riflessioni centrate sull’inclusione.

Un primo elemento positivo che potrà dare una spinta ai processi inclusivi è la valorizzazione dell’autonomia delle istituzioni scolastiche. Con scuole più autonome potremo avere organizzazioni più flessibili, più creative, più rispondenti ai bisogni degli alunni e delle alunne. Scuole che potranno arricchire e differenziare maggiormente l’offerta formativa, muovendosi verso quelle forme aperte di didattica — laboratoriale, per progetti, cooperativa, per classi aperte, ecc. — che consentono modalità sempre più evolute di personalizzazione e individualizzazione.

Un secondo elemento positivo potrà essere l’incentivo a una formazione continua dei docenti (e speriamo anche dei dirigenti), autogestita da un lato e obbligatoria, permanente e strutturale dall’altro. L’inclusione è un orizzonte verso il quale camminiamo incontrando sempre nuove sfide, situazioni complesse, nei confronti delle quali il nostro patrimonio di competenze deve essere evoluto, non solo mantenuto più o meno debolmente in vita.

Un terzo elemento, che potrebbe essere positivo se negli atti legislativi successivi, delegati al Governo, troveranno spazio e chiarezza applicativa al-cuni punti irrinunciabili, è quello della formazione universitaria e abilitazione

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Appendice 4

Percorso sperimentale trentino di accompagnamento degli insegnanti

nell’inclusione di studenti con Bisogni Educativi Speciali

Daniela Tonelli, Roberta Santuliana e Lorenza Sighel1

Il percorso sperimentale che presentiamo si inserisce nel contesto istitu-zionale della Provincia Autonoma di Trento che, con la Legge provinciale n. 5 del 7 agosto 2006 e il successivo Regolamento attuativo ai sensi dell’art. 74 della stessa legge, ha consentito il pieno diritto all’istruzione e alla formazione degli studenti con bisogni educativi speciali garantendone l’integrazione e l’inclusione a partire dalla scuola dell’infanzia fino all’istruzione superiore.

In modo innovativo è stato costituito, già da alcuni anni, un Settore responsabile del coordinamento dei bisogni educativi speciali (BES) presso il Dipartimento della Conoscenza del Servizio Istruzione della Provincia Autonoma di Trento.

Il concetto di Bisogni Educativi Speciali si fonda su una visione globale della persona facendo riferimento al modello della classificazione internazionale del funzionamento, disabilità e salute (ICF) come definito dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Tale concettualizzazione si basa su un’idea di bisogno educativo speciale che considera le differenti caratte-ristiche personali/ambientali in un’ottica bio-psico-sociale.

1 Daniela Tonelli è psicologa psicoterapeuta coordinatrice Settore BES, Dipartimento della Conoscenza, Provincia Autonoma di Trento, Roberta Santuliana e Lorenza Sighel sono docenti specializzate in utilizzo presso il Settore BES con funzione di tutor nella Sperimentazione.

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Appendice 5

La Proposta di Legge C-2444: relazione introduttiva e testo

Salvatore Nocera

PROPOSTA DI LEGGE PER MIGLIORARE LA QUALITÀ DELL’INCLUSIONE SCOLASTICA1

ONOREVOLI COLLEGHI

La Legge Quadro 5 febbraio 1992 n. 104 rappresenta il punto di riferimento fondamentale per la regolamentazione organica del diritto all’integrazione scolastica degli alunni con disabilità, specie a seguito dei principi contenuti nella storica sentenza della Corte Costituzionale n.

1 Il testo della Pdl è tutt’ora in progress, essendo ancora oggetto di ulteriori miglioramenti, anche a seguito di quanto previsto dall’art. 21, comma 2, lettera E del DdL «La Buona Scuola», A.C. n. 9449, che recepisce i principali orientamenti della nostra Pdl.

Tra le integrazioni attualmente in discussione vi sono: la previsione del diritto dei docenti, in servizio alla data di entrata in vigore della Legge, di potere scegliere se entrare stabilmente nei nuovi ruoli appositi per il sostegno o tornare sulla propria cattedra curricolare di tito-larità; il diritto degli alunni con disabilità ad avere sin dall’inizio dell’anno scolastico un solo docente per tutte le ore assegnate, evitando l’accavallarsi di ore di supplenti nominati in attesa dell’avente diritto in organico, poi di fatto e poi con le deroghe; l’assegnazione al massimo di una cattedra di sostegno e non di ore per l’intera durata dell’orario scolastico, come sta avvenendo con i TAR della Toscana; il recepimento del principio di «sostegni di prossimità», che Andrea Canevaro non manca di ribadire per sottolineare il processo corale dell’inclusione, il quale rischia una deriva individualistica a seguito del diffondersi della logica del «mio docente di sostegno» da parte di alcune famiglie.

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246 L’evoluzione dell’insegnante di sostegno

215/87, e ad essa hanno costantemente fatto riferimento tutte le norme approvate successivamente sino ad oggi.

Però tale legge fondamentale è datata, risentendo di una visione dello Stato che ancora non aveva pienamente attuato il decentramento amministrativo, la riforma del Sistema Sanitario Nazionale in termini di aziendalizzazione e l’autonomia scolastica. Sono quindi intervenute l’attua-zione dell’autonomia scolastica con il DPR n. 275/99, la rimodulazione delle competenze legislative regionali a seguito della modifica del Titolo V della Costituzione del 2001, numerose riforme scolastiche a partire da quella Berlinguer del 1997, seguita da quella Moratti del 2003, poi da quella Fioroni del 2007 e quindi da quella Gelmini del 2008; è infine stata ratificata con Legge n. 18/2009 la Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti delle Persone con Disabilità che introduce anche in Italia il princi-pio di inclusione scolastica, più ampio di quello di integrazione, poiché si fonda sui diritti umani e sui criteri dell’ICF (International Classification of Functioning) dell’OMS.

È poi intervenuta la sentenza n. 80/2010 della Corte Costituzionale che — pur in un clima di contenimento della spesa pubblica — ribadisce il principio che il diritto all’inclusione scolastica, costituzionalmente garantito, non può essere affievolito o limitato a causa di problemi di bilancio.

Infine è stata approvata la Legge n. 170/2010 sul riconoscimento dei diritti all’inclusione anche di alunni con DSA, disturbi specifici di apprendi-mento, che ha ampliato l’ambito di realizzazione dei principi delle politiche inclusive italiane, principi che sono stati estesi anche agli alunni con altri BES, Bisogni Educativi Speciali, con la Direttiva del Ministro dell’istruzione del 27 Dicembre 2012.

Inoltre la prassi applicativa della precedente normativa sull’integra-zione scolastica degli alunni con disabilità ha cominciato negli ultimi tre lustri a perdere di qualità a causa dei drastici tagli alla spesa pubblica, che hanno reso sempre più difficile la stipula degli accordi di programma che avevano garantito negli anni Novanta il coordinamento dei diversi servizi territoriali a sostegno del progetto globale di inclusione scolastica e sociale. La situazione era inoltre peggiorata a causa del crescente numero di alunni con disabilità presenti nelle scuole statali, della mancata concomitante formazione iniziale e obbligatoria in servizio sulle didattiche inclusive dei docenti curricolari, della presenza di un crescente numero di docenti per

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Appendice 5 247

il sostegno precari, moltissimi dei quali sprovvisti del prescritto titolo di specializzazione, della conseguente discontinuità della loro assegnazione allo stesso alunno e alla stessa classe.

Ciò ha determinato, come alcune recenti ricerche hanno mostrato, una crescente delega del progetto di inclusione ai soli docenti per il soste-gno, una progressiva uscita degli alunni con disabilità dalla classe e una crescita esponenziale del contenzioso per ottenere un maggior numero di ore di sostegno, che ha visto nella quasi totalità dei casi soccombere l’Amministrazione scolastica che è stata pure condannata al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali (nella sola Provincia di Palermo, durante l’a.s. 2013/2014, si sono avuti 1041 procedimenti che hanno visto soccombente l’Amministrazione scolastica, con conseguente condanna al pagamento delle spese per oltre un milione di euro).

Negli ultimi anni le famiglie degli alunni con disabilità hanno pure cominciato a ottenere pronunce giudiziali circa l’eccessivo numero di alunni nelle classi frequentate dai loro figli, perché ciò, unitamente all’eccessivo numero di alunni con disabilità presenti nella stessa classe, e senza che l’Amministrazione tenesse pure conto della presenza in essa di numerosi alunni con DSA e altri BES, sta determinando un calo nella qualità del processo di inclusione scolastica, anche a causa della mancata individuazione con legge dei livelli essenziali delle prestazioni per l’in-clusione medesima e della formulazione di indicatori idonei a valutare la qualità della stessa.

Si è così venuta determinando nell’opinione pubblica, sia degli addetti ai lavori che più ampia nella società, una crescente preoccupazione per la tenuta della scelta inclusiva operata in Italia a partire dalla fine degli anni Sessanta.

Le Associazioni delle persone con disabilità e loro familiari si sono da tempo preoccupate di questa pericolosissima deriva e hanno cominciato a premere sul Ministero dell’istruzione, sul Governo e sui Sindacati; ma non avendo avuto organiche risposte concrete, hanno deciso di presentare in Parlamento, nella quindicesima legislatura, una Proposta di Legge, Atto della Camera n. 2003, depositata nel 2006, prima firmataria l’onorevole Zanotti, che però non ha avuto seguito, a causa della chiusura della legislatura. La Proposta non è stata poi ripresentata nella successiva legislatura, a causa delle difficoltà incontrate per la debolezza dei Governi con le successive crisi.