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Lezione n. Parole chiave:

Corso di Laurea:

Insegnamento:

A.A. 2012-2013

Giorgio Giraudi

Il Trattato di Amsterdam

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Nuove urgenze europee

Il Trattato di Maastricht era stato firmato da poco e già nuove urgenze premevano affinché si rimettesse mano a trattati.

La crisi economica dei primi anni '90 aveva creato nuovamente forti turbolenze monetarie e generato un aumento consistente della disoccupazione in tutta l'Europa.

Allo stesso tempo la dissoluzione dell'Unione sovietica aveva creato un situazione di forte incertezza politica nel cuore della stessa Europa. Molti paesi ex-satelliti sovietici stavano sperimentando difficili transizioni alla democrazia e che dovevano essere sostenute e stabilizzate. Si prospettava quindi un allargamento a est di dimensioni colossali.

Allo stesso tempo la stessa Unione europea, anche a causa della crisi economica post-Maastricht, si trovava a dovere affrontare i primi fenomeni di rifiuto politico a causa dei primi referendum popolari che dimostravano come il progetto europeo fosse ancora troppo elitario e non sempre pienamente sostenuto dalla volontà popolare.

Infine l'incapacità di gestire in maniera unitaria il conflitto nell'ex Repubblica jugoslava aveva reso evidente la necessità di fornire al più presto all'Unione una maggiore capacità di intervento estero.

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La polity nel Trattato di Amsterdam

A mano a mano che l'Unione si delineava come un sistema politico con aspirazioni pienamente democratiche diveniva più urgente giungere a una definizione esplicita dei valori di riferimento della comunità politica europea.

L'articolo 6 del Trattato di Amsterdam affermava così che l'UE era fondata sui principi della libertà, della democrazia, della supremazia del diritto e del rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali. Per promuovere e tutelare questi diritti era previsto che l'UE si attivasse per combattere le discriminazioni basate sulla razza, sul sesso, sulla nazionalità, sulla religione, sulla disabilità, sull'età e sugli orientamenti sessuali.

Ai valori venivano affiancate riforme istituzionali e di policy.

Il Parlamento europeo acquisiva ulteriore capacità decisionale con il rafforzamento della sua posizione nei confronti del Consiglio entro la procedura legislativa di codecisione.

Allo stesso tempo veniva definita un'area relativa alla libera circolazione delle persone con l'inserimento del titolo VI denominato “Visti, asilo, immigrazione ed altre politiche connesse alla libera circolazione delle persone”.

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La politica sociale

Con il Trattato di Amsterdam veniva definitivamente incorporato il Protocollo sociale di Maastricht.

Il nuovo articolo 136 unificava e rendeva omogenei diversi atti già precedentemente adottati dall'UE.

Sulla base di questo nuovo articolo l'UE poteva utilizzare il metodo comunitario del primo pilastro per intervenire nei campi della salute e della sicurezza sui luoghi di lavoro, delle condizioni di lavoro, dell'informazione e della consultazione dei lavoratori, dell'integrazione delle persone escluse dal mercato del lavoro, dell'eguaglianza delle opportunità e dei trattamenti tra uomini e donne e della lotta all'esclusione sociale.

Nel complesso l'UE non aveva acquisito nuove competenze in senso stretto rispetto a quelle che già deteneva a vario titolo, tuttavia l'incorporazione formale nel primo pilastro creava uno spazio più ampio sia per l'azione del Parlamento europeo, del Comitato economico e sociale e del Comitato delle Regioni e, più in generale, per le parti sociali e il dialogo sociale.

Inoltre l'incorporazione permetteva la tutela giurisdizionale attuata dalla Corte europea di giustizia.

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Le politiche per l’occupazione

Il nuovo Titolo VIII del Trattato di Amsterdam era dedicato alle politiche per l'occupazione.

Esso fu in buona parte figlio di un compromesso fra la Francia, che sosteneva la necessità che l'Unione europea mette in opera delle politiche di lotta alla disoccupazione basate su consistenti piani comunitari di finanziamento, e il Regno Unito, che avrebbe preferito che il campo delle politiche per l'occupazione rimanesse una competenza esclusiva degli stati nazionali.

Un compromesso tra queste due posizioni apparentemente antitetiche fu comunque raggiunto: la lotta alla disoccupazione (soprattutto giovanile) e il raggiungimento di elevati livelli di occupazione divennero obiettivi ufficiali dell'Unione.

Essi però dovevano essere perseguiti senza danneggiare la competitività delle imprese europee e la responsabilità dell'attuazione di queste politiche doveva rimanere completamente nelle mani delle amministrazioni statali.

In pratica si trattava di coordinare e fare convergere le politiche nazionali secondo un nuovo metodo che venne denominato di coordinamento aperto.

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Il Metodo aperto di coordinamento (MAC)

Il Metodo aperto di coordinamento (MAC) è stato introdotto nel campo delle politiche sociali per favorire una convergenza delle politiche nazionali verso obiettivi e modi di funzionamento comuni.

La chiave di funzionamento del MAC sono la valutazione incrociata e l'apprendimento reciproco.

In pratica ogni ciclo di programmazione di queste politiche prevede che il Consiglio e la Commissione definiscano congiuntamente gli obiettivi comuni di policy che si vogliono raggiungere.

Successivamente le amministrazioni nazionali elaborano e presentano dei piani d'azione nazionali entro i quali individuano le strategie e gli strumenti che intendono usare per raggiungere gli obiettivi comuni.

Dopo l'implementazione la valutazione dei risultati viene fatta in maniera incrociata dagli stati membri secondo una logica di revisione e confronto peer-to-peer.

Vengono così valutati punti di forza e di debolezza delle strategie nazionali e individuate le pratiche di policy migliori (best practices) che possono essere 'trapiantate' da uno stato all'altro.

Il ciclo si conclude con la stesura delle raccomandazioni per i singoli stati membri.

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Le relazioni esterne

La crisi jugoslava e la guerra del Kossovo avevano dimostrato che l'Unione europea era un soggetto senza un politica estera degna di questo nome.

Alla prova dei fatti gli interessi nazionali erano prevalsi su qualsiasi considerazione comune minando alla base qualsiasi tentativo di trovare una posizione europea unitaria e stabile.

Per questi motivi il Trattato di Amsterdam innova in maniera sostanziale la politica estera e di sicurezza comune superando il potere di veto dei singoli paesi grazie alla astensione costruttiva e istituisce una nuova istituzione di coordinamento e impulso politico: l'Alto rappresentante per la PESC.

L'Alto rappresentante avrebbe assistito il Consiglio PESC, avrebbe dato continuità alle azioni decise dal Consiglio e, su richiesta della Presidenza di turno dell'Unione, avrebbe potuto condurre dialoghi politici con paesi terzi in nome e per conto del Consiglio dell'UE.

Per svolgere i propri compiti l'Alto rappresentante avrebbe avuto una struttura di staff: la cellula di programmazione e di tempestivo allarme.

In una prospettiva futura venivano indicati due importanti sviluppi, la creazione di una difesa comune e l'integrazione dell'UEO all'interno dell'UE.

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Le cooperazioni rafforzate

La conferenza intergovernativa che portò al Trattato di Amsterdam rese evidente che le decisioni all'unanimità in un contesto europeo che cresceva continuamente per numero di stati membri e di disomogeneità tra gli stessi stati erano sempre più difficili da prendere.

In particolare diversi paesi iniziavano a trovare ingiusto che l'opposizione di un solo stato potesse impedire la nascita e lo sviluppo di nuove aree dell'integrazione.

Per questo motivo nel Trattato di Amsterdam fu introdotta l'idea delle cooperazioni rafforzate, cioè di una procedura di cooperazione comunitaria tra una maggioranza degli stati membri dell'UE che poteva nascere tramite una deliberazione a maggioranza qualificata del Consiglio.

Ogni cooperazione rafforzata doveva inserirsi pienamente entro il contesto dell'Unione rispettandone i principi e il contesto istituzionale e doveva essere usata solo in ultima istanza e senza che pregiudicasse in nessun modo l'acquis communautaire.

Ogni stato membro disponeva di un 'freno di emergenza', cioè poteva richiedere che la decisione di instaurare una cooperazione rafforzata fosse decisa dal Consiglio europeo all'unanimità.

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I principi di sussidiarietà, proporzionalità e prossimità (1)

L'idea della sussidiarietà come principio generale che doveva regolare le relazioni tra Unione europea e stati membri era già stata introdotta nelle norme comunitarie con il Trattato di Maastricht.

In sostanza l'azione diretta dell'Unione era limitata ai casi nei quali l'attivazione dei singoli stati avrebbe portato a azioni incapaci di raggiungere gli obiettivi comuni prefissati.

Il principio però rimaneva molto vago e generale e per questo motivo gli stati membri dell'UE sentirono la necessità di approvare un Protocollo sull'applicazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità.

Con questo atto i governi decisero che il principio generale che doveva sempre guidare la scelta del legislatore comunitario era quello della minore vincolabilità possibile.

In sostanza a parità di condizioni le direttive dovevano essere preferite ai regolamenti.

Si prevedeva inoltre che ogni proposta legislativa doveva essere accompagnata da una valutazione preventiva delle sue possibili conseguenze in tema di sussidiarietà.

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I principi di sussidiarietà, proporzionalità e prossimità (2)

Per definire meglio i rapporti tra stati membri e Unione, il Protocollo prevedeva tre principi guida:

1)l'UE era autorizzata ad intervenire se l'azione di policy presentava aspetti trasnazionali che non potevano essere disciplinati in maniera soddisfacente degli stati; 2)l'UE poteva intervenire qualora l'azione dei soli stati o l'inazione comunitaria fosse in contrasto con le prescrizioni dei Trattati; 3)l'azione comunitaria era da preferire rispetto a quella degli stati nei casi in cui produceva evidenti vantaggi ottenibili solo con un'azione diretta delle istituzioni comunitarie.

In ogni caso era previsto che la quantità di potere utilizzato dalle istituzioni per perseguire gli scopi comuni dovesse essere proporzionale agli scopi stessi secondo una logica d'azione definita dal principio di proporzionalità.

Infine il set dei principi generali che guidavano l'implementazione delle politiche comunitarie era completato dal principio di prossimità, secondo il quale a parità di efficacia ed efficienza nel raggiungimento degli obiettivi di policy il livello di governo da individuare per l'implementazione era quello 'il più possibile vicino al cittadino'.