lezioni di diritto processuale civile pp. 9 a.a. 2013/2014

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Lezioni di diritto processuale civile pp. 9 a.a. 2013/2014

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Page 1: Lezioni di diritto processuale civile pp. 9 a.a. 2013/2014

Lezioni di diritto processuale civile pp. 9

a.a. 2013/2014

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La conciliazione giudiziale

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La conciliazione giudiziale

• La conciliazione, come metodo di risoluzione della controversia mediante accordo delle parti, anziché mediante giudizio eteronomo imposto ad esse di autorità (la giurisdizione) o con il loro preventivo consenso (l’arbitrato) è conosciuto dall’ordinamento inizialmente come conciliazione giudiziale.

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La conciliazione giudiziale nel rito ordinario e nel rito lavoro

La conciliazione giudiziale è nel rito ordinario eventuale, perché voluta dal giudice oppure voluta da tutte le parti (art. 185 cpc); è nel rito del lavoro obbligatoria a pena di nullità (art. 420, 1° comma, cpc)

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Conciliazione giudiziale perfezionata

Se le parti si conciliano innanzi al giudice, l’accordo viene raccolto in un processo verbale che ha l’efficacia del titolo esecutivo, ovvero consente l’avviarsi di un processo esecutivo espropriativo, per consegna o rilascio, per esecuzione degli obblighi di fare e non fare, senza la necessità di una cognizione del giudice.

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Conciliazione giudiziale non perfezionata

Se innanzi al giudice le parti non si conciliano, ad un certo tipo di comportamento della parte nel tentativo, il legislatore offre efficacia ai fini del merito:- nel rito ordinario (art. 185, 1° comma), quando la parte o il suo procuratore non conoscono i fatti di causa o non si presentano al tentativo;- nel rito del lavoro (art. 420, 1° comma), detti contegni integrano un comportamento valutabile dal giudice ai fini della decisione (formula dubbia, ma da tradurre come argomento di prova).

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Il nuovo articolo 185 – bis c.p.c

Il legislatore con la legge n. 98 del 2013, ha attribuito al giudice, fino alla chiusura dell’istruttoria, il compito (discrezionale secondo la natura, il valore e le questioni realmente controverse) di formulare una proposta conciliativa e transattiva (stessa formula nel rito del lavoro, art. 420, 1° comma), con il rischio di collocarlo oltre la soglia della ricusazione/astensione obbligatoria (art. 51, n. 4).

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la previsione di non ricusabilità

Consapevole dei pericoli, almeno nella norma dell’art. 185- bis c.p.c., il legislatore esclude esplicitamente la ricusabilità.Problema di costituzionalità ex art. 111 Cost.

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Le conseguenze della mancata adesione nell’art. 420 c.p.c.

la ingiustificata mancata adesione influenza il merito della controversia e non solo i profili della spesa (art. 91 c.p.c.), potendone trarre il giudice solo un argomento di prova

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La conciliazione convenzionale

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La conciliazione convenzionale

Una conciliazione fuori dalla giurisdizione viene per la prima volta fatta oggetto di disciplina di legge traendo dall’esperienza delle conciliazioni obbligatorie dei corpi intermedi: la comunità intersindacale nelle controversie del lavoro, nelle controversie delle locazioni e nelle controversie agrarie,art. 5, 5° comma, del d. lgs. n. 5 del 2010

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Il riconoscimento della conciliazione convenzionale

Tuttavia, in difetto di riconoscimento legislativo, le conciliazioni imposte su base convenzionale sono nulle, in quanto destinate ad incidere su di una funzione pubblica com’è la giurisdizione, per la quale sono consentiti solo negozi tipici (proroga della competenza e giurisdizione; revisio per saltum). La giurisprudenza non fa salvi neppure effetti obbligatori (la cui violazione possa integrare un risarcimento del danno) al patto che impone la conciliazione stragiudiziale.

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La conciliazione convenzionale obbligatoria legalizzata

L’art. 5 ha quindi ammesso e tipizzato la generalizzazione di clausole convenzionali, che impongono il tentativo obbligatorio, con effetti identici alla conciliazione obbligatoria ex lege (mero rinvio di udienza, in attesa dell’espletamento del tentativo). Il rilievo della violazione è, tuttavia, in tal caso riservato esclusivamente alla parte nel primo atto difensivo.

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La conciliazione ex lege davanti all’organismo di mediazione

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Materie obbligatorie (art. 5, 1 bis, d. lgs. n. 28/2010)

E’ obbligatorio il tentativo nelle controversie in materia di diritti reali e condominio; di successioni e divisioni; di locazione, comodato e affitto di azienda; di risarcimento danno derivante dalla circolazione di veicoli e natanti di risarcimento danno da responsabilità medica o da diffamazione a mezzo stampa; nelle controversie sui contratti assicurativi, bancari e finanziari.

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La fine del tentativo obbligatorio nelle controversie di lavoro

Dopo la legge n. 183/2010 il tentativo obbligatorio è diventato facoltativo nelle controversie di lavoro (art. 410 cpc), salvo che il contratto di lavoro non abbia assunto il crisma della “certificazione” nelle sedi deputate, poiché in tal caso il tentativo è ancora obbligatorio (senza che il legislatore abbia chiarito gli effetti della violazione dell’obbligo: l’art. 412 bis cpc è stato abrogato)

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La conciliazione giudiziale “delegata”

Al giudice è concesso, raccogliendo la volontà di tutte le parti, di rimettere obbligatoriamente le stesse innanzi ad un organismo di conciliazione per un tentativo che deve svolgersi fuori dalla giurisdizione; potere discrezionale (natura, stato istruzione, comportamento delle parti) concesso sino a quando la causa non è in decisione e anche in sede di appello

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L’obbligo della conciliazione ex lege

Quando è il legislatore ad imporre la conciliazione, ancorché attinga dall’esperienza convenzionale, questa è legittima, con i limiti di non violare la garanzia costituzionale del diritto di azione, ovvero:

• - perseguire un principio costituzionale di pari livello (il principio solidaristico, art. 2 Cost.);

• - non rendere troppo gravoso l’esercizio dell’azione (art. 24 Cost.)

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Inammissibilità e procedibilità

In tale prospettiva costruire il tentativo di conciliazione come inammissibilità, con il suo effetto di incidere sugli effetti della domanda, vuol dire integrare un regime troppo pregiudizievole per l’esercizio del diritto di azione. Al contrario inquadrare il tentativo obbligatorio di conciliazione come improcedibilità, ovvero come semplice parentesi del processo, vuol dire far saldi gli effetti sostanziali e processuali della domanda e proporre una disciplina in linea con la Costituzione.

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L’esperienza delle locazioni e agraria

Pur in mancanza di un riferimento legislativo, la giurisprudenza ha inquadrato la violazione del tentativo obbligatorio nelle controversie citate come ipotesi di inammissibilità, con una difficile tenuta costituzionale dell’istituto.

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Nelle controversie di lavoro

Al contrario attraverso l’art. 412-bis c.p.c. nelle controversie di lavoro, dopo che con Legge n. 80 del 1998 si è introdotto il tentativo obbligatorio, si è preferita la soluzione della improcedibilità, prevedendo in mancanza di tentativo una semplice sospensione del processo da riassumere entro termini perentori, previa introduzione del tentativo mancante.

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Il tentativo nel d. lgs. n. 28/2010

Ai sensi dell’art. 5, comma 1 bis, del d.lgs. cit. la violazione del tentativo obbligatorio non provoca né inammissibilità, né sospensione del processo, ma un semplice rinvio di udienza, anche nella formulazione con la legge n. 98 del 2013.Il vizio può essere rilevato solo in prima udienza anche con rilievo d’ufficio, a riprova della sdrammatizzazione del profilo da parte del legislatore.

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La conciliazione obbligatoria tentata tra la notifica della citazione e l’udienza

Non comporta alcun effetto di differimento del procedimento una conciliazione tentata dopo la notifica della citazione ed esaurita, con il decorso di quattro mesi, prima dell’udienza di comparizione (solo se iniziata e non conclusa oppure neppure iniziata implica il differimento di udienza)

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l’esperimento del tentativo

Ai fini della integrazione della condizione di procedibilità, è sufficiente l’istanza, lo svolgimento della riunione (entro 15 giorni), e l’espressione della volontà di una delle parti di non volere conciliarsi(art. 5, comma 2 – bis)

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La conciliazione non esperita nonostante l’ordine del giudice

La norma non fissa un regime di perentorietà al termine fissato dal giudice per l’esperimento del tentativo; non fissa un regime di riassunzione dopo il rinvio che può provocare una fattispecie di estinzione: dunque se nessuna delle parti dà svolgimento al tentativo e cionondimeno si giunga alla udienza di rinvio, non vi è sanzione di rito da applicare in difetto di previsione legislativa e il processo continua nel merito.

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Esenzioni

Sono escluse dall’obbligo del tentativo, nelle materie previste, i procedimenti cautelari, i procedimenti anticipatori di natura monitoria e possessoria; il rito camerale; gli incidenti di esecuzione e l’azione civile esercitata in sede penale (queste due ultima azioni nonostante siano introduttive di un processo a cognizione piena, perché da introdurre entro termini perentori che non si conciliano con il tentativo). Infine, la consulenza a scopo di conciliazione (art. 696 – bis c.p.c.)

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Effetti

L’istanza conciliativa produce gli stessi effetti di una domanda interrompendo e sospendendo la prescrizione ed impedendo, per una volta, la decadenza.In tal modo il legislatore fa salvi gli effetti della domanda e il diritto dell’attore di scegliere il momento in cui questi devono esprimersi (se la domanda è soggetta a trascrizione non vi è obbligo di tentativo).

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Competenza

Sono deputati allo svolgimento al tentativo di conciliazione gli organismi che presentano i requisiti di serietà, preparazione dei propri mediatori, riservatezza e organizzazione, vagliati dal Ministero di Grazia e Giustizia, che provvede ad iscriverli nell’apposito albo nazionale.La competenza era, tuttavia, individuata dal criterio della prevenzione. Ora segue le regole della competenza per territorio (art. 4, 1° comma)

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Il processo conciliativo

Il processo conciliativo persegue le garanzie del giusto processo:

• la domanda;• il contraddittorio;• il diritto alla prova (possono essere assunti atti

istruttori e consulenze);• il diritto ad una difesa tecnica;• il controllo di legalità, in relazione a norme

imperative di ordine pubblico

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La domanda

Il formalismo della domanda giudiziale: effetti su prescrizioni e decadenze, necessità di identificare il diritto (art. 4, 2° comma)

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la difesa tecnica

L’obbligo è richiamato per l’ipotesi della obbligatorietà (art. 5, 1- bis), ma anche della facoltatività, art. 8, 1° comma c.p.c.Conseguenze: non si ritiene esperito ai fini della obbligatorietà e non è valido se la conciliazione ha luogo, trattandosi di norma imperativa.

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Le conseguenze sul contratto professionale (art. 4)

L’avvocato, che perfeziona un contratto di opera intellettuale a titolo oneroso con il proprio cliente, deve informarlo delle adr (loro esistenza; ambiti di obbligatorietà; vantaggi fiscali), sotto pena di annullamento del contratto (ma non della procura), per cui gli atti compiuti restano validi ed efficaci, ma è il diritto al compenso ad essere messo in discussione.

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La prova

Durante il procedimento è consentito l’ausilio di un consulente, i cui accertamenti restano estranei in caso di fallimento del tentativo nella successiva fase giurisdizionale, differentemente dalla consulenza a scopo di conciliazione, ex art. 696 – bis c.p.c.

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Il contraddittorio

Le parti devono essere convocate dall’organismo mediante forme che ne assicurano la conoscenza: raccomandate postali con a.r., art. 8, 1° comma

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Conciliazione perfezionata (artt. 11 e 12)

Il verbale di conciliazione, se autenticato nelle firme da notaio, consente la sua trascrizione nei registri immobiliari ed assume efficacia di titolo esecutivo, previa omologa.L’esecutività può discendere anche dalla autentica degli avvocati che ne certificano la conformità alle norme imperative.

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I presupposti dell’omologa del presidente del tribunale

Non più la regolarità formale, come nell’esperienza degli arbitrati o delle conciliazioni nel regime previgente, ma un controllo di rispetto della norma imperative e di ordine pubblico, che scarsamente si adatta ad un procedimento di volontaria giurisdizione, implicando le garanzie del giusto processo e la ammissibilità di un ricorso straordinario innanzi alla Corte di Cassazione.

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Verbale negativo. Effetti (art. 10)

Non è utilizzabile ai fini del merito: non può essere prodotto se non contiene esclusivamente l’attestazione delle parti presenti e, quando esiste, il comportamento di essere rispetto alla proposta mediativa del conciliatore; non può essere oggetto di prova per testi o di giuramento; il conciliatore è tenuto al rispetto del segreto professionale e della riservatezza.

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Effetti sulle spese (art. 13)

• L’unico effetto, a differenza della parallela esperienza delle conciliazioni del lavoro, ove vi è un diretto effetto sul merito, è di natura processuale, poiché:

• A) se la proposta conciliativa coincide con la sentenza finale, il vincitore che l’ha rifiutata deve pagare le spese di giudizio e le spese e l’indennità della procedura conciliativa;

• B) se la proposta conciliativa si avvicina alla sentenza finale, quanto alle spese giudiziali si applica l’art. 91, 1° comma cpc; quanto alle spese del procedimento conciliativo queste possono essere addossate eccezionalmente anche al vincitore che non ha aderito inizialmente alla proposta.

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Ulteriori effetti in caso di fallimento della conciliazione

Ulteriori effetti possono riguardare il merito:- In caso di mancata partecipazione senza giustificato motivo, il giudice può desumere motivi di prova (art. 4 bis); in tal caso è applicata una sanzione punitiva con il pagamento di un importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio.

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Ambito di applicabilità del d.lgs. n. 28

L’art. 23 del d.lgs n. 28 non ne consente una generale applicabilità, ma solo nelle materie nelle quali non era prima disciplinato un tentativo obbligatorio e a quelle regolate dalla conciliazione in materia societaria e commerciale, per tutte le altre restano le regole speciali: in part. le controversie agrarie; le controversie in materia di telecomunicazioni; le controversie in materia di sub fornitura; le controversie sul diritto di autore