lezioni di management

25
GIUGNO 2011 1 1 EDITORIALE di Valeriano Balloni 3 I VALORI OLIVETTIANI PER LA COMPETITIVITÀ DELLE IMPRESE di Bruno Lamborghini 7 LA COMPETIZIONE GLOBALE di Alberto Cusi 13 CRISI FINANZIARIA E SISTEMA MONETARIO INTERNAZIONALE di Andrea Ricci 17 L’AZIONE DELLA BANCA CENTRALE EUROPEA NELLA CRISI di Francesco Papadia 21 INTERMODALITÀ E IMPRESE FERROVIARIE di Ida Simonella

Upload: istao-istituto-adriano-olivetti

Post on 20-Mar-2016

232 views

Category:

Documents


2 download

DESCRIPTION

innovazione open innovation

TRANSCRIPT

Page 1: Lezioni di management

GIUG

NO 20

11

11 EDITORIALE di Valeriano Balloni

3 I VALORI OLIVETTIANI PER LA COMPETITIVITÀ DELLE IMPRESE di Bruno Lamborghini

7 LA COMPETIZIONE GLOBALE di Alberto Cusi

13 CRISI FINANZIARIA E SISTEMA MONETARIO INTERNAZIONALE di Andrea Ricci

17 L’AZIONE DELLA BANCA CENTRALE EUROPEA NELLA CRISI di Francesco Papadia

21 INTERMODALITÀ E IMPRESE FERROVIARIE di Ida Simonella

Page 2: Lezioni di management

2

EDITO

RIALE

Con questo primo numero di Lezioni di Management online, l’ISTAO

inaugura una pubblicazione elettronica da diffondere al proprio net-

work, prevalentemente costituito da soci, allievi, docenti, imprendi-

tori, junior e senior executive e quanti hanno avuto un contatto di

studio e formazione con l’Istituto.

L’obiettivo della pubblicazione è quello di far conoscere in modo

snello e accessibile - attraverso brevi articoli, note, stralci di ricer-

che, metodologie applicate alla didattica - come i processi formati-

vi dell’Istituto abbiano un raccordo solido con lo sviluppo della

dottrina e con il modo pratico di fare impresa. In altre parole, si

vuol portare all’attenzione del lettore curioso le “best practice” sti-

lizzate, che segnano la frontiera del management.

La pubblicazione ha quindi lo scopo di rendere trasparenti i conte-

nuti della didattica applicata nei processi formativi dell’ISTAO e

su questi promuovere un dibattito aperto e costruttivo.

Si auspica pertanto la possibilità di ospitare contributi capaci di cre-

are incessantemente curiosità e stimolare nuovi temi di appro-

fondimento.

di Va

lerian

o Ball

oni

Direttore Responsabile: Valeriano Balloni

ComitatoScientifico:Giuliano ContiMarco CrivelliniAlberto CusiPaolo ErcolaniGabriele GabrielliBruno LamborghiniCarlo MarinoniPaolo Pettenati

Comitato di Redazione: Catia Baldinelli Debora Bilò Rita Contini Sabrina Dubbini Massimiliano Duca Stefano Grugnetti Lorenzo Palego Sara Paoletti Giuseppe Sestili

Page 3: Lezioni di management

di Br

uno L

ambo

rghiniI VALORI OLIVETTIANI PER LA

COMPETITIVITÀ DELLE IMPRESE3

La competizione tende ad avvenire non più solo in termini di strutture produttive o commerciali ma si misura sulla capacità di differenziarsi attraverso la conoscenza, su come farne il prin-cipale fattore di vantaggio competitivo. Conoscenza significa non macchine, ma persone, le loro competenze, il know how, le conoscenze tacite, l’intelligenza creativa, l’immaginazione, le relazioni tra le persone, le relazioni con il territorio, le reti di conoscenza, le reti sociali.

Nei mesi di aprile e maggio 2010 si è svolto presso l’ISTAO il primo corso basato sui valori dell’espe-rienza olivettiana come riferimen-to per essere oggi imprenditori di successo.Ho partecipato come docente ad alcune giornate del corso riscon-trando un appassionato interesse

nei manager e negli imprenditori che hanno seguito il corso sia in aula che nelle giornate straordina-rie presso alcune aziende tra cui vale la pena sottolineare l’incontro in Tod’s ed il fondamentale inter-vento di Diego Della Valle. Credo che tutti i partecipanti abbiano col-to l’armoniosa convergenza dei messaggi da parte delle testimo-nianze imprenditoriali, da Andrea Agnelli a Stefano Venturi di Cisco, a Patrizia Grieco di Olivetti, una convergenza che trovava la propria matrice nei valori olivettiani risco-perti, dimostrando quanto forte oggi in Italia sia l’esigenza irrinun-ciabile di ritrovare e consolidare queste basi nel fare impresa, in un contesto internazionale di mercato divenuto straordinariamente com-plesso e mutevole.Oggi assistiamo ad una riscoper-ta dei valori d’impresa che hanno caratterizzato la grande esperienza olivettiana voluta e resa concreta da Adriano Olivetti. La riscoperta di questi valori è richiesta dalle nuove condizioni di contesto economico-

“Per vivere, per sopravvivere occorre progettare sempre”[Adriano Olivetti].

Page 4: Lezioni di management

I VALORI OLIVETTIANI PER LACOMPETITIVITÀ DELLE IMPRESE

4

sociale a livello internazionale ed in specie a livello italiano.Non vi è dubbio che la grande crisi economico-finanziaria in cui ci stia-mo ancora dibattendo con incer-te prospettive abbia messo in crisi tante cer-tezze e tanti modelli, sia a livello delle poli-tiche pubbliche, che dei com-portamenti del-le imprese, facendo comprendere che si tratta non di crisi congiuntu-rale, ma di mutazione strutturale. Una mutazione che riguarda non solo lo spostamento del baricen-tro dello sviluppo economico e dell’innovazione da Ovest a Est, ma nuovi modelli di business, nuo-ve catene del valore, nuovi modelli culturali in una prospettiva globale.In parallelo, lo straordinario svilup-po di nuove tecnologie e nuovi modelli di innovazione, in specie nelle tecnologie delle reti digitali, stanno accelerando i processi di sviluppo di quella che viene chia-mata Società della Conoscenza. L’evoluzione del web sociale apre nuove straordinarie oppor-tunità di trasformazione delle organizzazioni e dei mercati. La competizione tende ad avvenire non più solo in termini di struttu-re produttive o commerciali, ma si misura sulla capacità di diffe-renziarsi attraverso la conoscen-za, su come farne il principale fattore di vantaggio competitivo. Conoscenza significa non macchi-

ne, ma persone, le loro compe-tenze, il know how, le conoscen-ze tacite, l’intelligenza creativa, l’immaginazione, le relazioni tra le persone, le relazioni con il ter-

ritorio, le reti di conoscenza, le reti sociali. Le aziende si stan-no ripensando attorno alle per-sone, alla co-noscenza, alle competenze,

alle reti di flussi informativi e rela-zionali ed ai territori. L’Italia è una terra di territori-rete, di sciami di filiere d’imprese che occorre orga-nizzare, una terra di straordinaria generazione di conoscenza, peral-tro destrutturata e che quindi oc-corre gestire, codificare. Queste sono le basi per un rilancio della competitività, una differenziazio-ne del vantaggio competitivo delle imprese nella realtà della Società della Conoscenza.

Le aziende si stanno ripensando attorno alle

persone, alla conoscenza, alle competenze

Page 5: Lezioni di management

5

Certamente l’esperienza olivettia-na ha anticipato le esigenze che oggi sono divenute visibili ed ha costruito un modello di successo. Per questo i valori di tale esperien-za possono essere di grande rile-vanza per costruire nuovi percorsi di competitività. Non cercando di ripetere quelle esperienze, ma mutuando da queste delle guideli-nes aggiornate ad oggi ed utili per

guardare avanti e costruire un futuro.C’è una fra-se di Adriano Olivetti molto s ign i f icat iva “per vivere, per sopravvivere occorre proget-tare sempre”, cioè guardare

avanti, precedere il futuro. E’ par-te dei messaggi “olivettiani” che sono stati riscoperti in occasio-ne del centenario della fondazio-ne dell’azienda nel 2008 e che si è cercato di trasferire nel primo corso dell’ISTAO e che si intende sviluppare ancor più nella seconda edizione del corso.In sintesi, vorrei elencare alcuni di questi valori che possono rappre-sentare mattoni fondamentali per chi fa impresa oggi, mattoni da ap-profondire nel corso ISTAO.1. Visione del futuro: progettare

il futuro non subirlo, non anco-rarsi all’esistente che oggi può sparire overnight, non limitar-si all’oggi, ma guardare avanti in modo continuativo, quasi

ossessivo, cercando di capire dove vanno i mercati, la do-manda, la tecnologia, prima di altri, e avendo, come Adriano Olivetti, una curiosità insazia-bile di capire attraverso i set-tori, attraverso le tecnologie, attraverso le culture, viag-giando, imparando sempre da quanto avviene intorno, con ottica interdisciplinare.

2. Intelligenza che innova: avere la capacità di utilizzare le risorse strategiche rappresentate dal-la conoscenza, dal know how, dalla creatività delle persone all’interno dell’azienda (com-petenze e conoscenze spesso ignorate o scarsamente condi-vise) e nell’ecosistema di part-ners, fornitori, clienti, filiere. L’innovazione posta al centro dello sviluppo, la conoscenza intelligente e condivisa con tutti che genera creatività e innova-zione in modo continuativo. E’ l’innovazione che crea sviluppo; non basta aumentare la produt-tività senza innovazione, si cre-erebbe maggiore efficienza ma non vero sviluppo.

3. Ricerca e libertà creativa: la ricerca deve essere aperta, di scambio e di partecipazione (non più intramuros), con labo-ratori universitari a livello mon-diale, con l’aiuto delle reti inter-net e dando spazio alla libertà di pensare e creare da parte di tutti, divenendo una comunità di pratica all’interno e con tutti gli stakeholders per la condivi-sione di conoscenze. Oggi, nel-

L’esperienza olivettiana ha anticipato le esigenze che oggi sono divenute

visibili ed ha costruito un modello di successo

Page 6: Lezioni di management

I VALORI OLIVETTIANI PER LACOMPETITIVITÀ DELLE IMPRESE

6

la Società della Conoscenza, la conoscenza condivisa è la ma-teria prima delle organizzazioni, in forma di Open Innovation, Shared Knowledge, amplifi-cando la capacità di utilizzare le risorse strategiche rappre-sentate dalla conoscenza, dal know how, dalla creatività delle persone all’interno dell’azienda e nell’ecosistema di partners, fornitori, clienti, filiere.

4. Cultura del cambiamento: il modello olivettiano non si fer-mava mai ai risultati raggiunti, ma ripartiva ogni giorno come fosse il primo, senza mai con-tare sulle posizioni di rendita, che uccidono l’innovazione e portano al fallimento. Occorre diffondere la cultura del cam-biamento, l’ansia del cambia-mento continuo, anticipare e non subire passivamente il cambiamento che comunque il mercato impone.

5. Coscienza sociale: l’impre-sa che pensa ed agisce come monade isolata non ha futuro. L’esperienza di Adriano Olivetti ha dimostrato chiaramente che coniugare strettamente impe-gno sociale, partecipazione, eti-ca responsabile con la gestione efficiente dell’impresa non è af-fatto utopia, ma crea produttivi-tà, innovazione, forte competi-tività e produzione di ricchezza. Il raggiungimento del bene in-dividuale non può prescindere dalla ricerca del bene comune, e nelle Marche si conosce mol-to bene il valore del bene co-

mune rappresentato dal territo-rio in cui le imprese operano, un fattore decisivo per il successo aziendale. La partecipazione al bene comune, l’etica compor-tamentale paga, diviene valore fondamentale dell’ecosistema in cui opera l’impresa.

6. Forma, bellezza e tecnologia: la bellezza non è un concetto astratto, è legato all’idea di stile, uno stile che caratterizzava tut-ta la Olivetti, dalla progettazione e design dei prodotti, alle fab-briche, alle case dei dipendenti, alla grafica e comunicazione, alla cultura diffusa tra i dipen-denti. Uno stile da diffondere all’esterno, nel mercato, con i prodotti, con i servizi, con i ne-gozi, con le fiere. Rendendo la tecnologia una forma da ammi-rare ed utilizzare con passio-ne ed emozione.

7. Apertura sul mondo: innova-zione ed internazionalizzazione sono elementi fortemente in-tegrati, sono due facce della stessa medaglia che richiedo-no di operare in modo congiun-to. E’ una lezione importante che viene dalla storia olivet-tiana ed è oggi centrale per le imprese italiane che, se inten-dono innovare ed essere com-petitive, devono puntare senza timore ad una dimensione in-ternazionale, misurandosi con-tinuamente su quanto avviene nei mercati più innovativi e in forte crescita. Con una logica olivettiana del think global and act local.

Page 7: Lezioni di management

di Al

berto

Cusi

LA COMPETIZIONE GLOBALE7

Anche se un’impresa non compete globalmente, è il mondo globale che compete con lei; la competizione è una sola, ed è globale. Per un’impresa una delle scelte strategiche di maggior rilievo è la decisione riguardante la Standardizzazione e la Lo-calizzazione perché Globalizzare non vuol dire necessariamen-te Standardizzare.

La competizione globale si è estesa ormai a tutti i mercati.Il produttore di suole per zoccoli

di legno Siano, sorto oltre 50 anni fa a Tor-re Annunziata (NA), probabilmente non compete globalmen-

te; non è presente nel mercato americano o giapponese non fa concorrenza ad aziende russe o brasiliane. E non esporta neppu-re in Cina.Ma anche se un’impresa non compete globalmente, è il mon-do globale che compete con lei.

Sono i concorren-ti che decidono se competere o meno con noi, non siamo noi a scegliere.

Gli zoccoli in gom-ma Crocs arrivati con una ventata di colore modaio-

lo sono divenuti suoi concorrenti, anche se vengono dall’America, anche se sono prodotti finiti e non componenti, anche se sono realizzati in altri

materiali.Nel momento in cui i clienti uti-lizzatori delle suole in sughero Siano perdono vendite a favore dei Crocs chi vede calare le ven-dite è proprio lui: il signor Siano.Sembra dunque abbastanza ottuso, ancora adesso, tenere separato il concetto di competi-zione da quello di competizione globale: la competizione è una sola. Ed è globale.Questa considerazione vale na-turalmente anche per i corsi di formazione, che dovrebbero sempre affrontare questa tema-tica con un’ottica ampia ed inter-nazionale.Se dunque il mondo è la nostra arena competitiva, una delle scelte strategiche di maggior ri-lievo è la decisione riguardante il punto in cui un’azienda deve situarsi nel continuum:

Perché Globalizzazione non vuol necessariamente dire Standar-dizzazione.

Standardizzazione ←→ Localizzazione

Page 8: Lezioni di management

8

LA COMPETIZIONE GLOBALE

E’ possibile definire una sorta di mappatura dei settori in cui ope-ra un’impresa per comprendere se le caratteristiche merceologi-che del prodotto/servizio offer-to suggeriscono una strategia di Standardizzazione piuttosto che di Localizzazione. Proponia-

mo di seguito un modello origi-nale sviluppato appositamente per aiutare i manager (attuali e futuri) ad orientarsi nelle scelte riguardanti queste alternative strategiche. Prendiamo in considerazione la prevalenza degli aspetti im-materiali dell’offerta (immagine

di marca, valori estetici, coin-volgimento emotivo) o di quelli puramente funzionali (la qualità oggettiva, le prestazioni, le ca-ratteristiche tecniche; e incro-ciamo questa dimensione con il continuum standardizzazione ←→ Localizzazione.

Possiamo disegnare così una mappa (cfr. Fig. 1) nella quale rintracciare una sorta di posizio-namento fisiologico delle varie merceologie.Nel quadrante di Nord-Est tro-viamo temi universali (amore, edonismo, eroismo) che sono incarnati da prodotti come pro-

Page 9: Lezioni di management

9

fumi, abiti griffati, sigarette, auto sportive: marchi come Marlboro, Armani, Jaguar, oc-cupano questo quadrante. Sono beni ad alto coinvolgi-mento emotivo, hi-touch, che propongono valori e stili di vita unici, ai quali il consumatore

deve aderire. Sono per defini-zione prodotti standardizzati, che a volte nemmeno adatta-no la lingua della propria co-municazione, come nel caso dei profumi Chanel che voglio-no così sottolineare l’origine francese. Sempre globali, ma meno standardizzati, un po’ più a sud si trovano prodotti per consumatori cosmopoliti, come sportivi o business men. Le marche emblematiche sono Nike, Swatch, Chivas Regal, ma anche Coca- Cola.Scendendo nel quadrante Sud-Est incontriamo delle commo-dity che si differenziano preva-lentemente per alcuni aspetti relativi all’immagine ed al po-sizionamento; carte di credito, banche, assicurazioni, acque

minerali, benzine, medicine da banco; sono tutti settori che hanno in comune una differen-ziazione basata sull’immagine di marca, più che sulle effet-tive prestazioni. Le acque in bottiglia, ad esempio, vengo-no fortemente differenziate in Italia per i vari contenuti in sali che le distinguono, mentre ne-gli Stati Uniti, dove non esiste la cultura delle fonti e delle ter-me, la battaglia competitiva si svolge quasi unicamente sulla non presenza di sostanze, fino a creare una marca che si pro-pone come il NIENTE.Arriviamo ora al Sud della no-stra mappa; lì ci attende un comodo divano (Hi-Couch): siamo nell’area dei prodotti e servizi legati alla tradizione, alla cultura e alla vita casalin-ga. La merce più legata al ter-ritorio è sicuramente il cibo che originariamente, e in buo-na parte tuttora, dipende dalla flora e dalla fauna circostanti. Allo stesso modo la cura del corpo e della casa. Interi set-tori merceologici presenti in alcune aree geografiche sono completamente assenti in al-tre: la non esistenza di bidet nei bagni americani margina-lizza il mercato dell’igiene in-tima; l’avversione a bere latte freddo la mattina limita molto i consumi di cereali per la prima colazione, cereali che domina-no la categoria in altre culture. La frequenza con cui si lavano i pavimenti, la presenza o meno

Page 10: Lezioni di management

10

LA COMPETIZIONE GLOBALE

di moquette nelle abitazioni, sono tutti fattori condizionanti i settori della detergenza, che risentono molto delle diverse abitudini e modelli di vita.Qui sono le marche che devo-no adattarsi: i consumatori se ne stanno comodi nella loro comfort-zone ed è compito delle aziende quello di modifi-care la loro offerta per venire

incontro alle abitudini locali.Cominciamo la risalita della mappa, questa volta dal ver-sante Ovest, quello che si focalizza sulle prestazioni dei prodotti. Qui le esigenze di adattamento dipendono pre-valentemente dalle condizioni oggettive nelle quali devono operare i prodotti e i servizi. Abitazioni, strade e città più piccole richiedono lavatrici, au-tomobili e strutture commer-ciali di dimensioni più conte-nute.L’abbigliamento risente ov-viamente del clima e spesso

anche elementi ornamentali, quali i copricapo, sono stati originati da particolari situazio-ni climatiche oltre che cultu-rali. Si tratta di localizzazione forzata, questa, spesso più agevole da riconoscere, come nel caso si vogliano vendere auto in uno dei 74 paesi con la guida a sinistra. (in colore blu, nella mappa).

Ci spostiamo verso Nord, per ritrovare una più spinta stan-dardizzazione nelle offerte delle aziende; macchine fotografiche, attrezzi sportivi, oggetti e stru-menti per usi specifici risentono meno delle diversità culturali. Una volta tradotti gli eventuali libretti d’istruzioni...Le caratteristiche dei prodotti sono molto mirate allo scopo; sci, racchette da tennis, biciclet-te, non subiscono modifiche se non dettate dalle loro condizioni di utilizzo, che prescindono da ogni legame geograficocultura-le: non si riconosce la naziona-

Page 11: Lezioni di management

11

lità di uno sciatore né dai suoi scarponi, né dai suoi sci, e for-se nemmeno dal suo abbiglia-mento.Nel quadrante Nord-Ovest si trovano le merci e i servizi ad alta tecnologia: computer, cel-lulari, software, linee aeree, prodotti Hi Tech. Di nuovo in questi settori vige la regola della standardizzazione spinta. L’alta tecnologia è prevalentemente funzionalità e quindi i prodot-ti non consentono modifiche dettate da esigenze non funzio-nali. È l’utilizzatore che si deve adattare al prodotto, che deve comprenderne le caratteristiche e il funzionamento. Se volete sfruttare appieno le potenzialità di Internet dovete voi imparare la sua lingua, l’inglese. Volete usare uno smartphone? Siete voi a dover imparare a digitare con i pollici sulla tastiera virtua-

le e magari anche apprendere il significato di termini come tvb, g2b, omg, imo. La standardizza-zione qui è il risultato dell’appli-cazione di logiche di efficacia ed efficienza. Se avete volato una volta partendo dall’aeroporto di casa siete in grado di prendere un aereo in qualunque aeropor-to nel mondo, anche senza co-noscere le lingue: le regole del gioco sono le medesime. In sintesi, si può affermare che la standardizzazione dell’offerta, con una strategia di marketing che quindi non tiene conto delle differenze culturali dei potenzia-li clienti, è possibile nei mercati in cui la merce ha delle valenze intrinseche sue proprie. Hi- Tech o Hi-Touch pretendono che la clientela potenziale, per usufrui-re del bene, lasci la propria spe-cificità culturale e sposi l’essen-za della marca in modo acritico.

Page 12: Lezioni di management

12

LA COMPETIZIONE GLOBALE

Nei mercati in cui l’identità culturale e la tradizione preval-gono, li è la marca a doversi piegare alle esigenze del potenziale cliente, adattando la sua offerta. Come sempre, è op-portuno ri-cordare che questa map-pa delinea la situazio-ne attuale, di partenza; ma noi siamo imprend i tor i , siamo manager, siamo operatori di cambiamento… quin-di a partire dalla situazione in cui ci troviamo ad operare, dobbiamo modificare la realtà plasmandola secondo gli obiet-tivi di marketing che ci siamo prefissi.Così la Smart, che originaria-mente giace nel quadrante di Sud-Ovest in quanto risponde a specifiche esigenze di traf-fico e viabilità tipiche delle af-follate città europee, viene ora commercializzata negli Stati Uniti dove viene posteggiata in spazi di parcheggio tali da con-tenere una Cadillac o un Suv come espressione di uno stile di vita (quadrante Nord-Est).E allo stesso modo, la catena di caffè Starbucks ha preso un

prodotto alimentare tipicamen-te italiano e dal polo Sud lo ha trasportato in America in oltre

11.000 punti vendita che offrono uno

stile di vita al l ’europea

a quegli americani che sono disposti ad ab-b a n d o -nare il loro caffè

a b i t u a l e (e a pagare

$3,50!).Nei corsi di marketing in-

te rnaz iona le all’ISTAO, si adotta questo mo-dello di riferimento, che espri-me il nostro punto di vista sulla suddetta tematica di grande attualità e rilevanza.Proponiamo poi un approccio originale anche per quanto ri-guarda il come gestire la pre-senza globale, poiché abbiamo già osservato che Globalizza-zione non è sinonimo di Stan-dardizzazione, anzi il nostro orientamento si basa proprio sul presupposto che, se una marca vuole essere globale, deve comunque adattare local-mente uno o più elementi della sua offerta; ma questo sarà og-getto di un prossimo articolo.

Page 13: Lezioni di management

13

di An

drea R

icci

CRISI FINANZIARIA E SISTEMAMONETARIO INTERNAZIONALE

Diverse sono le teorie che tentano di spiegare le origini della crisi finanziaria ed economica internazionale: dalla teoria in-centrata sulle dinamiche interne all’economia USA, a quella secondo la quale gli squilibri economici americani sarebbero la conseguenza delle dinamiche economiche mondiali.Un’altra posizione ritiene invece indispensabile una riforma del sistema monetario internazionale per uscire dalla crisi:la forte domanda di attività finanziarie USA non deriva da fat-tori di mercato, ma dal fatto che esse sono veicolo di liquidità internazionale a seguito dell’esclusivo status del dollaro come moneta di riserva mondiale.

Nel decennio precedente allo scoppio della crisi l’economia USA è stata caratterizzata da tre fatti stilizzati, mostrati nel-la figura 1: a) l’esplosione del

deficit delle partite correnti; b) l’aumento dell’indebitamento netto delle famiglie; c) la pre-senza di persistenti bolle nei mercati finanziari e immobi-

Page 14: Lezioni di management

14

CRISI FINANZIARIA E SISTEMAMONETARIO INTERNAZIONALE

liari. Per un lungo periodo l’in-terpretazione prevalente di tali squilibri è stata incentrata sul-le dinamiche interne all’econo-mia USA.Essi deriverebbero dall’au-mento della propensione ad importare e dalla diminuzione della propensione al risparmio delle famiglie, a causa delle politiche monetarie e fiscali adottate. Nel 2005 il governa-tore della FED Bernanke pro-pose una nuova interpretazio-ne (la cosiddetta “Saving Glut Hypothesis”) secondo cui gli squilibri economici USA sareb-bero la conseguenza delle di-namiche economiche mondia-li. La loro origine risiederebbe nell’aumento della domanda internazionale di attività finan-ziarie in dollari da parte dei Paesi Emergenti, che hanno reagito alle crisi valutarie del 1997-98 con un aumento pre-cauzionale del risparmio netto.Questo eccesso di risparmio si dirigerebbe verso gli USA in cerca di prodotti finanziari liqui-di e sofisticati non disponibili altrove. In tale interpretazione il deficit di parte corrente USA non sarebbe altro che il rifles-so contabile del surplus del conto capitale e tale situazio-ne costituirebbe una posizio-ne di equilibrio dell’economia globale. Lo scoppio della crisi sarebbe addebitabile essen-zialmente al comportamento imprudente e speculativo de-gli intermediari finanziari e ad

una debole attività di controllo e regolamentazione.Entrambe le interpretazioni in ultima istanza attribuiscono la crisi ad azioni non corrette de-gli operatori pubblici o privati.Conseguentemente l’uscita dalla crisi non richiederebbe aggiustamenti strutturali del sistema economico e finanzia-

rio globale. Un appropriato si-stema di regole e incentivi sa-rebbe sufficiente a restaurare la perduta efficienza.Tuttavia nel dibattito economi-co è presente anche un’altra posizione che ritiene indispen-sabile una riforma del sistema monetario internazionale per uscire dalla crisi. In tale visio-ne, la forte domanda di attività finanziarie USA non deriva da fattori di mercato, ma dal fatto che esse sono veicolo di liqui-dità internazionale a seguito dell’esclusivo status del dol-laro come moneta di riserva mondiale. Dopo la crisi asia-

Page 15: Lezioni di management

15

tica del 97-98 sarebbe sorto un nuovo sistema monetario internazionale, chiamato Bret-ton Woods II, caratterizzato da tassi di cambio flessibili tra i principali Paesi industria-li (USA, Europa e Giappone) e tassi di cambio fissi tra gli USA e i Paesi Emergenti (Cina, altri Paesi asiatici e Paesi esporta-tori di petrolio). Tale sistema sarebbe basato su una recipro-cità di interessi tra gli USA, in grado di finanziare con conti-nui afflussi di capitale il proprio eccesso di consumo interno, e i Paesi Emergenti, che po-trebbero perseguire politiche di tipo mercantilista grazie alla sottovalutazione delle proprie valute. Con l’ausilio di un modello di equilibrio parziale a due Paesi (USA e Paesi emergenti), fon-dato sulla domanda e sull’of-ferta di attività finanziarie in dollari, è possibile mostrare come l’attuale sistema mo-netario internazionale possa essere fonte di forti squilibri all’interno dell’economia sta-tunitense, sia in termini di pro-cessi inflazionistici sui mercati delle attività reali e finanziarie, sia di crescente accumulazio-ne di debito estero.Nel decennio precedente alla crisi, la crescita accelerata del reddito e delle esportazioni dei Paesi Emergenti ha determi-nato un continuo incremento della domanda netta di attivi-tà in dollari. Fino allo scoppio

della bolla della new economy nel 2000, sono state prevalen-temente le imprese USA a for-nire la corrispondente offerta. Successivamente le 12 im-prese USA hanno progressi-vamente ridotto il loro inde-bitamento fino a diventare risparmiatrici nette in termini di stock sul mercato del credi-to, in risposta ad una significa-tiva riduzione della redditività del capitale produttivo investi-to internamente.Nel biennio 2001-2002 alle imprese è subentrato lo Stato con massicci deficit pubblici, insostenibili nel medio perio-do. A partire dal 2003 il setto-re delle famiglie è diventato, attraverso l’intermediazione del sistema finanziario, il prin-cipale fornitore netto di attivi-tà finanziarie per soddisfare la domanda estera. Il crescente indebitamento delle famiglie è stato reso possibile dall’ope-rare di significativi effetti ric-chezza ed ha costituito la base dei processi inflazionistici sui mercati delle attività, presto trasformatisi in bolle specula-tive.In conclusione, il sistema di Bretton Woods II richiede un continuo incremento di liquidi-tà internazionale per sostenere il modello di sviluppo dei Paesi Emergenti. La fornitura di liqui-dità internazionale in dollari ha come contropartita l’indebita-mento dell’economia USA, so-stenibile soltanto se ad esso

Page 16: Lezioni di management

16

CRISI FINANZIARIA E SISTEMAMONETARIO INTERNAZIONALE

corrisponde un uso produtti-vo dei fondi presi in prestito, come è accaduto fino al 2000-2001. Il declino della redditivi-tà del capitale reale negli USA ha comportato la sostituzione del settore famiglie al settore imprese nell’offerta di liquidi-tà internazionale. La risultante conseguenza è stata quella di innescare bolle speculative fi-nanziarie e immobiliari. Alla luce di tale interpreta-zione, il modello di sviluppo dell’economia globale sareb-be dunque incompatibile con l’attuale sistema monetario internazionale. Due sono le possibili vie d’uscita, tra loro

complementari: 1) un riorientamento delle eco-

nomie emergenti verso un modello di sviluppo auto-centrato, fondato sull’allar-gamento del mercato inter-no e sul soddisfacimento dei bisogni nazionali, che allenti la domanda netta di liquidità internazionale;

2) un nuovo sistema moneta-rio internazionale non più fondato sul dollaro o su al-tre valute nazionali, ma su una qualche forma di mone-ta sovranazionale, sulla scia della proposta di Keynes alla Conferenza di Bretton Woods del 1944.

Bibliografia essenziale

Alessandrini P. - Fratianni M. (2009), Resur-recting Keynes to Stabilize the International Monetary System, in Open Economic Review, Springer Netherlands, DOI 10.1007/s11079-008-9106-4.

Bernanke B. (2005), The Global Saving Glut and the US Current Account Deficit, Sandrid-ge Lecture, Virginia Association of Economics, Richmond, Virginia, 10 March 2005.

Blanchard O. - Giavazzi F. - Sa F. (2005), Inter-national Investors, the US Current Account, and the Dollar, in Brookings Papers on Econo-mic Activity, Economic Studies Program, The Brookings Institution, 36 (1), pp. 1-66.

Caballero R.J. - Krishnamurthy A. (2009), Glo-bal Imbalances and Financial Fragility, in Ame-rican Economic Review, 99 (2), pp. 584-588.

Dooley M. - Folkerts-Landau D. - Garber P. (2004), The Revived Bretton Woods System, in International Journal of Finance & Econo-mics, 9 (4), pp. 307-313.

Ricci A. (2010), Crisis an Global Imbalances: the Fragility of the Current International Mo-netary System, in Rivista Italiana degli Econo-misti, a. XV, n. 3, dicembre 2010, pp. 341-363.

Roubini N. (2007), Why China Should Abandon Its Dollar Peg, in International Finance, 10 (1), pp. 71-89.

Page 17: Lezioni di management

17

di Fra

nces

co Pa

padiaL’AZIONE DELLA BANCA

CENTRALE EUROPEA NELLA CRISI

Per fronteggiare la crisi finanziaria, la Banca Centrale Europea ha dovuto modificare, anche profondamente, il suo modus operandi, senza tuttavia mai venir meno alla sua responsabilità primaria: mantenere la stabilità dei prezzi.

Sono individuabili due fasi della crisi che, oramai dal 2007, ha colpito l’economia mondiale: la prima, che può essere intitolata, non come titolo di merito, alla banca d’affari Lehman Brothers, fallita nel settembre del 2008, ha avuto il suo epicentro negli Stati Uniti; la seconda, che può essere denominata “Crisi del debito sovrano”, è stata incen-trata in Europa. Nell’illustrazione di entrambe le fasi ho tratto il

materiale da due miei libri: uno pubblicato a gennaio 2011, cu-rato con Paul Mercier, sull’at-tuazione della politica monetaria nell’area dell’euro, l’altro, scritto con Carlo Santini, sulla Banca Centrale Europea.Nella fase Lehman, il settore fi-nanziario privato, in particolare quello bancario, si è trovato in-capace di svolgere l’intermedia-zione necessaria ad un normale funzionamento dell’economia. Le banche centrali hanno dovu-to supplire a questa incapacità portando sul proprio bilancio parte dell’intermediazione prima svolta dal settore privato. Que-sta interpretazione spiega sia la diminuzione delle transazioni nel mercato interbancario sia il subitaneo e drastico aumento del bilancio della banca centra-le. In Europa, in particolare, la banca centrale ha parzialmente compensato la ridotta capacità d’intermediazione del settore privato lasciando la determina-zione della quantità di liquidità immessa nel mercato al sistema bancario, che ha cosÌ potuto col-mare qualunque deficit di liquidi-tà che lo colpisse.

Page 18: Lezioni di management

18

L’AZIONE DELLA BANCA CENTRALE EUROPEA NELLA CRISI

Repentini ed ampi aumenti del bilancio della banca centrale sono di solito associati all’infla-zione. Nella crisi, invece, questi aumenti sono stati necessari per contrastare la recessione e la deflazione, che avrebbero po-tuto svilupparsi in maniera così drammatica come nella crisi del 1929.Nella “Crisi del debito so-vrano”, che ha colpito parti-colarmente Grecia, Irlanda e Portogallo, tre linee d’azione complementari si sono presto mostrate necessarie: • una coraggiosa correzione

dei deficit di bilancio nei paesi caratterizzati da squilibri nella finanza pubblica;

• il sostegno, finanziario e po-litico, da parte degli altri pae-si dell’area dell’euro ai paesi che correggevano i propri squilibri;

• misuredieffetto immediato,che facessero da ponte alle misure più fondamentali, ma anche dagli effetti differiti, descritte nei due punti prece-denti.

Di fatto, misure importanti sono state prese in tutti e tre i campi:• inGreciaedIrlandasistanno

attuando misure coraggiose di riequilibrio della finanza pubblica all’interno di pro-grammi concordati con il Fon-do Monetario Internazionale, la Commissione Europea e la Banca Centrale Europea ;

• il Fondo Monetario Interna-zionale e gli altri paesi dell’a-

rea dell’Euro stanno for-nendo sostanziale supporto finanziario e politico ai paesi interessati;

• laBancacentraleeuropeahafornito “un ponte di liquidità” per dare tempo alle altre mi-sure di svolgere i loro effetti positivi. Nonostante questi progressi la situazione rima-ne difficile.

Due sono le ipotesi interpretati-ve possibili:• il processo di guarigione ri-

chiede tempo, data la severi-tà della crisi;

• ilmercatodubitacheigover-ni dei paesi periferici siano in grado di portare a termine le manovre di correzione avvia-te e che i governi degli altri paesi dell’area dell’euro siano disposti a continuare ad ap-poggiarne l’azione.

La seconda linea interpretativa si poggia sulle seguenti consi-derazioni:• ilriequilibriodelbilanciofal-

lirà, a causa di una spirale negativa tra rientro della fi-nanza pubblica e recessione economica;

• igovernideipaesiperifericinon riusciranno a completa-re l’azione di risanamento dei conti pubblici, in quanto non potranno mantenere il necessario consenso politi-co;

• i governi degli altri paesidell’area dell’Euro non po-tranno sostenere l’azione

Page 19: Lezioni di management

19

dei governi dei paesi perife-rici, a causa di un’opposizio-ne crescente dell’opinione pubblica.

Io non trovo convincente queste considerazioni in quanto:• in condizioni favorevoli, le

correzioni di bilancio possono avere, oltre il breve periodo, effetti “non keynesiani” di sostituzione della domanda pubblica con quella privata;

• non è affatto scontato che igoverni che realizzano mano-vre di riequilibrio della finan-za pubblica perdano il con-senso;

• c’è un destino comune tratutti i paesi dell’area dell’Eu-ro, quando i paesi che sono in grado di farlo aiutano i pa-esi periferici in realtà aiuta-no se stessi.

Ho detto sopra che erano ne-cessarie anche azioni di effet-to immediato, che facessero

da “ponte di liquidità” alle misure più f o n d a m e n -tali appena descritte. La Banca Cen-trale Europea era l’unica i s t i t u z i o n e che avesse i mezzi e la ca-

pacità di decisione necessaria ad intraprendere queste azioni.Queste si sono svolte su due piani: verso le banche e verso i mercati delle obbligazioni dei

paesi periferici.La scelta, presa già nella fase Lehman, di permettere alle banche di avere qualunque am-montare di liquidità dalla ban-ca centrale, permane tuttora. Tuttavia il ricorso delle banche alla liquidità della banca centra-le è drasticamente diminuito dall’estate del 2010, mostran-do chiaramente che il bisogno di sostituire l’intermediazione del mercato con quella della banca centrale è fortemente diminuito. Permane, tuttavia, una situazione di polarizzazio-ne del mercato monetario. In aggregato, le banche hanno meno bisogno dell’intermedia-zione della banca centrale ma le banche dei paesi periferici, in particolare Grecia, Irlanda e Portogallo, dipendono critica-mente dal suo rifinanziamento.Anche l’azione nei confronti dei mercati delle obbligazio-ni emesse dai paesi periferici può essere compresa all’inter-no dell’interpretazione genera-le della sostituzione dell’inter-mediazione privata con quella della banca centrale. La Banca Centrale Europea ha contrasta-to i disturbi nella funzionalità di alcuni mercati, che rendevano incerta la trasmissione degli impulsi di politica monetaria, con acquisti mirati sul mercato obbligazionario, per dare tem-po alle misure fondamentali sopra menzionate di avere i loro effetti.Ciò che è comune all’azione

Dal 2010 il bisogno di sostituire

l’intermediazione del mercato con quella

della banca centrale è fortemente diminuito

Page 20: Lezioni di management

20

I VALORI OLIVETTIANI PER LACOMPETITIVITÀ DELLE IMPRESE

della Banca Centrale Europea sia nei confronti delle banche sia delle obbligazioni statali dei paesi periferici è la piena coe-renza con la sua responsabilità primaria: mantenere la stabilità dei prezzi.Sia pure in termini sintetici, la mia presentazione ha illustrato che la Banca Centrale Europea ha dovuto modificare, anche profondamente, il suo modus operandi, avventurandosi in Terra Incognita, mostrando doti inattese di coraggio e immagina-zione. Ciò è stato possibile, sen-

za rischiare nulla nel persegui-mento della stabilità dei prezzi, grazie al capitale di credibilità ac-cumulato negli anni precedenti.È pero necessario tornare appe-na possibile a modi di funziona-mento più tradizionali, che non carichino le banche centrali di responsabilità eccedenti il loro mandato.Appena possibile, immagina-zione e prudenza dovranno es-sere sostituite da doti più tra-dizionali dei banchieri centrali: prudenza e, perché no, una gri-gia monotonia.

Bibliografia essenziale

Mercier P. - Papadia F. (a cura di), The Concrete Euro, Oxford University Press, 2011

Papadia F. - Santini C., La Banca centrale euro-pea (Farsi un’idea), Bossura, 2006

Page 21: Lezioni di management

21

di Ida

Simo

nellaINTERMODALITÀ

E IMPRESE FERROVIARIE

Le imprese ferroviarie a totale o parziale partecipazione pub-blica si garantiscono l’equilibrio economico grazie al sostegno pubblico, in particolare delle Regioni; gli operatori privati che riescono a stare su questo difficile mercato spesso appartengo-no a grandi gruppi europei e quasi sempre scelgono di posizio-narsi sulle direttrici internazionali più ricche.

L’Italia rappresenta uno dei Paesi europei con la più bassa quota di merci trasportate via ferrovia e la situazione è peg-giorata con la crisi economica internazionale iniziata sul finire del 2008. Solo nel 2009 il crollo è stato del 20% e nel 2010 la flessione è continuata, anche se negli ultimi mesi sono ap-parsi segnali di ripresa.

Esiste anche un forte divario tra Nord e Sud del Paese. Gli opera-tori, specialmente quelli interna-zionali, entrati dopo il processo di liberalizzazione del trasporto

ferroviario, tendono a concentra-re i traffici al Nord Italia e su rotte internazionali. In quel contesto si possono offrire servizi door to door, arricchiti di logistica (e dunque ad alto valore aggiunto), si coprono lunghe distanze e ciò consente una minore incidenza dei costi di terminalizzazione. Queste sono le zone più ricche, con un mercato che ha volumi tali da giustificare anche ineffi-cienze dell’ultimo miglio e ecce-denza di nodi logistici. Il Centro Sud invece, a queste inefficien-ze, aggiunge anche bassi volumi ed elevata polverizzazione della domanda.Le politiche nazionali inoltre sono fortemente sbilanciate a favore dell’autotrasporto. E’ ormai chiaro che, in quei Pae-si come Austria e Svizzera, in cui alti sono gli oneri per i vei-coli che transitano su strada, la quota di traffico alternativo, su ferrovia, sia alta. Viceversa lad-dove gli oneri sono bassi, come in Spagna e in Italia, il peso del trasporto su ferro è esiguo. Cosa succede sul fronte marchi-

Page 22: Lezioni di management

22

INTERMODALITÀ E IMPRESE FERROVIARIE

giano? Il traffico ferroviario delle merci oggi praticamente non esi-ste, ad esclusione di alcuni treni blocco per il trasporto di merci di, rare, grandi imprese. Fino a qualche tempo fa un consisten-te flusso di traffico via treno ave-va origine dal porto di Ancona: si trattava dei 4-5 treni giorna-lieri carichi di carbone, destinati alla centrale Enel di Bastardo in Umbria, oggi chiusa dalla socie-tà. Un altro flusso consistente di treni carichi di container deriva-va da un servizio della compa-gnia di navigazione Evergreen che collegava le 17 Marche al porto di Taranto. Questi traffici non ci sono più e per ora non si vedono all’orizzonte grandi pro-getti destinati a sostituirli. Paradossalmente però in que-sto preciso momento storico, le Marche e in particolare la provin-cia di Ancona, si trovano con una dotazione di infrastrutture ferro-viarie ragguardevole: l’Interpor-to di Jesi è diventato operativo, l’ex scalo Marotti nel porto di Ancona diventerà a breve un terminal intermodale, il terri-torio è oggetto di importanti interventi sulla rete ferroviaria da parte di RFI, in particolare l’adeguamento della galleria di Cattolica a standard capaci di sostenere tutte le tipologie di trasporto merci su treno. A questa aumentata capacità di offerta non corrisponde un in-cremento di domanda. Lo stesso ex monopolista del settore, l’attuale Trenitalia,

non ha intenzione di sviluppare servizi merci, neanche su scala nazionale. Al contrario, tende a tagliare il più possibile collega-menti che non generino redditi-vità, tanto che ormai si parla di exit strategy dal settore cargo.Da qualche tempo sono le Re-gioni, con le proprie imprese ferroviarie, a tentare di dare im-pulso al traffico merci sui rispet-tivi territori. L’Osservatorio sulla Piattaforma Logistica Marchigia-na (PLM), curato dall’ISTAO e promosso da Autorità Portuale di Ancona, Interporto Marche, Regione, Provincia, Comune e Camera di Commercio di Anco-na, ha quest’anno curato uno studio sulle prospettive di svilup-po dell’intermodalità nelle Mar-che, analizzando in particolare i modelli di intervento messi in piedi da altre Regioni, tramite imprese proprie o controllate. In particolare sono state analiz-zate Ferrovie Emilia Romagna,

Page 23: Lezioni di management

23

Alpe Adria in Friuli Venezia Giu-lia, Ferrovia Centrale Umbra, Ferrovia Adriatico Sangritana in Abruzzo. Fatta eccezione per Alpe Adria, tutte operano sia sul segmen-to merci che su quello passeg-geri, o almeno hanno licenza ferroviaria per farlo, alcune gestendo tutto il sistema del

trasporto pubblico locale. Il traffico merci incide sul valo-re della produzione per un 5% al massimo. Molte sono dota-te di rete ferroviaria propria, e hanno, per la varietà di attività svolte, un organico molto con-sistente, dell’ordine delle cen-tinaia di unità. Tutte le società analizzate godo-no di contributi pubblici di vario tipo. Alpe Adria ha ottenuto nel 2009 risorse per 7,5 milioni di euro, pari al 24% circa del valore della produzione. In questo caso possiamo dire che vanno diret-tamente a sostegno del traffico

merci. Più complessa l’indivi-duazione dell’impegno pubblico per le altre società. Tutte ricevo-no contributi in conto esercizio per l’intera attività svolta, a cui si aggiungono le cospicue risor-se derivanti dai contratti di servi-zio. Di fatto le risorse pubbliche complessive pesano per oltre il 70% del valore della produzio-ne, quando le aziende offrono servizi di trasporto pubblico lo-cale. Effettivamente le risorse relative al contratto di servizio, sono formalmente dedicate ad altro, rispetto alle merci. Tut-tavia molte sinergie tra le divi-sioni possono essere messe in campo, specialmente sui costi non diretti, generali e di strut-tura (si pensi soltanto agli one-ri derivanti dalla necessità di possedere un nucleo formativo interno necessario al manteni-mento della licenza, o a quelli di manutenzione). In estrema sintesi le imprese ferroviarie a totale o parziale partecipazione pubblica hanno dalla loro parte, spesso, una rete ferroviaria propria, competenze storicamente consolidate e, so-prattutto, si garantiscono l’equi-librio economico grazie al soste-gno pubblico (in particolare delle Regioni, ma anche di altri enti) e alle forti sinergie con il trasporto pubblico locale.Gli operatori privati che riescono a stare su questo difficile mer-cato hanno anch’essi, dalla loro parte, alcune condizioni che li rendono efficienti: spesso sono

Page 24: Lezioni di management

24

INTERMODALITÀ E IMPRESE FERROVIARIE

operatori che gestiscono volumi di traffico per effetto di altre atti-vità (ad esempio, gestiscono un terminal), controllano a volte più pezzi della filiera logistica, spes-so appartengono a grandi gruppi europei, quasi sempre scelgono di posizionarsi sulle direttrici in-ternazionali più ricche (per volu-mi, lunghezza delle tratte) e qua-si mai si avvicinano ad un porto. Altre iniziative, avviate di recen-te in alcuni territori, vanno at-tentamente tenute sotto osser-vazione: è il caso ad esempio di FerNet, impresa nata dalla colla-borazione tra Autorità Portuale di Savona, che ha reso disponibi-li i locomotori, e soggetti privati (Gruppo Gavio, Fagioli, Orsero e Ferrovie dello Stato). La società offre servizi tra Genova-Voltri e Rivalta, avvalendosi della trazio-ne di Serfer. Ancora in Liguria, la nuova compagnia Fuori Muro, nata dalla partnership di Inrail, Compagnia Pietro Chiesa, Rival-

ta Terminal Europa, offre analo-gamente servizi di navettaggio tra Genova e Rivalta. Lo sviluppo di un business plan per un’impresa ferroviaria re-gionale marchigiana, ha dato spunto ad alcune riflessioni, in particolare quella di verificare se non vadano ricercate sinergie con l’intero sistema del traspor-to pubblico locale, ferroviario in primis, ma non solo. Tra gli strumenti di azione ipotiz-zati per il decollo dell’intermoda-lità nella piattaforma, vi è anche un possibile navettaggio tra por-to e interporto dei container in entrata. E’ allo studio un proget-to tecnico mirato per verificare la fattibilità dell’intervento, men-tre l’Osservatorio ISTAO sulla PLM cura l’analisi costi-benefici dell’iniziativa, visto che la navet-ta avrebbe l’effetto non secon-dario di ridurre la congestione da mezzi pesanti in porto e in alcu-ne zone critiche della città.

Bibliografia essenziale

Bologna S. (2010), Le multinazionali del mare. Letture sul sistema marittimo portuale - EGEA

Borruso G., Polidori G. (2003), Trasporto mer-ci, logistica e scelta modale. I presupposti eco-nomici del riequilibrio modale in Italia. Franco Angeli, Milano.

Notteboom T (2009), Economic analysis of the European seaport system. Report serving as input for the discussion on the TEN-T policy Report prepared by Prof. Dr. Theo, ITMMA, University of Antwerp.

Pettenati P., Simonella I. (a cura di ) (2000), Il Porto di Ancona: prospettive di sviluppo e vin-coli territoriali, Camera di Commercio, Ancona.

Pettenati P. e I. Simonella I (2010), “Il porto di Ancona e le prospettive di sviluppo dell’inter-modalità ferromere” - www.istao.it

Spirito P. (2007), “Il sistema italiano dei por-ti mediterranei e l’integrazione con il traffico terrestre” in Proteo, n.2/2007, www.proteo.rdbcub.it

Page 25: Lezioni di management

25

Bruno LamborghiniPresidente Associazione Archivio Storico Olivetti e docente Università Cattolica di Milano. Docente ISTAO.

Alberto CusiConsulente di Marketing strategico ed operativo; Associate Professor di Marketing internazionalepresso la Northwestern University di ChicagoDocente di Marketing dei Master ISTAO dal 1984.

Francesco PapadiaDirettore per le Operazioni di Mercato della BCE.Ha frequentato all’ISTAO il Corso di economia applicata 1971-72.

Andrea RicciProfessore di Economia presso l’Università di Urbino.Docente di Finanza Internazionale all’ISTAO.

Ida SimonellaConsulente e ricercatrice. E’ coordinatrice dell’Osservatorio Trasporti e Infrastrutture dell’ISTAO.Ha frequentato all’ISTAO il Corso di formazione manageriale e imprenditoriale sistema tessile 1992-1993.

Hann

o coll

abora

to a q

uesto

nume

ro