lezioni di meccanica razionale

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Sergio Benenti Lezioni di Meccanica Razionale Capitolo 1 Sistemi dinamici La struttura di spazio affine ` e di supporto a due fondamentali modelli matematici della mecca- nica: la meccanica newtoniana e la meccanica einsteiniana (o teoria della relativit` a ristretta). Tuttavia, indipendentemente dalla presenza di una struttura ”euclidea” o ”pseudoeuclidea”, sugli spazi affini si definiscono le nozioni basilari di ”campo vettoriale” e di ”forma differen- ziale”, sulle quali si fonda il ”calcolo differenziale”, calcolo che, come sar` a visto in un capitolo successivo, si estende a spazi di natura pi` u generale: le variet` a differenziabili. In fisica i campi vettoriali sono utilizzati nella rappresentazione di entit` a di varia natura, ”campi di forze”, ”campi elettrici”, ”campi magnetici”, ecc. In questo capitolo vengono invece trattati come ”sistemi dinamici”, cio` e come entit` a capaci di generare ”moti”. Un campo vettoriale si identifica pertanto con un’equazione differenziale vettoriale ordinaria (quindi, in componenti, con un sistema di equazioni) le cui soluzioni o ”curve integrali” sono interpretabili come moti di un punto nello spazio affine. Tutte queste curve integrali si raccolgono in un’unica entit` a detta ”flusso”. Ad un campo vettoriale si associa anche un’equazione alle derivate parziali capace di fornire tutte le grandezze che si mantengono costanti lungo le curve integrali, dette ”integrali primi”. Questo capitolo si limita a introdurre questi concetti, indispensabili per la costruzione e l’analisi dei modelli matematici della meccanica considerati in seguito. Fatta eccezione di un breve cenno alla nozione di stabilit` a nell’ultimo paragrafo, non vengono toccati altri argomenti, pur importanti, della teoria dei sistemi dinamici. Versione 05/2007

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Lezioni di meccanica razionale del prof Benenti

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Page 1: Lezioni Di Meccanica Razionale

Sergio Benenti

Lezioni di Meccanica Razionale

Capitolo 1

Sistemi dinamici

La struttura di spazio affine e di supporto a due fondamentali modelli matematici della mecca-nica: la meccanica newtoniana e la meccanica einsteiniana (o teoria della relativita ristretta).Tuttavia, indipendentemente dalla presenza di una struttura ”euclidea” o ”pseudoeuclidea”,sugli spazi affini si definiscono le nozioni basilari di ”campo vettoriale” e di ”forma differen-ziale”, sulle quali si fonda il ”calcolo differenziale”, calcolo che, come sara visto in un capitolosuccessivo, si estende a spazi di natura piu generale: le varieta differenziabili.

In fisica i campi vettoriali sono utilizzati nella rappresentazione di entita di varia natura, ”campidi forze”, ”campi elettrici”, ”campi magnetici”, ecc. In questo capitolo vengono invece trattaticome ”sistemi dinamici”, cioe come entita capaci di generare ”moti”. Un campo vettoriale siidentifica pertanto con un’equazione differenziale vettoriale ordinaria (quindi, in componenti,con un sistema di equazioni) le cui soluzioni o ”curve integrali” sono interpretabili come moti diun punto nello spazio affine. Tutte queste curve integrali si raccolgono in un’unica entita detta”flusso”. Ad un campo vettoriale si associa anche un’equazione alle derivate parziali capace difornire tutte le grandezze che si mantengono costanti lungo le curve integrali, dette ”integraliprimi”. Questo capitolo si limita a introdurre questi concetti, indispensabili per la costruzionee l’analisi dei modelli matematici della meccanica considerati in seguito. Fatta eccezione di unbreve cenno alla nozione di stabilita nell’ultimo paragrafo, non vengono toccati altri argomenti,pur importanti, della teoria dei sistemi dinamici.

Versione 05/2007

Page 2: Lezioni Di Meccanica Razionale

2 Cap. 1 - Sistemi dinamici § 1.1

1.1 Richiami sugli spazi affini

Ricordiamo che uno spazio affine e una terna (A, E, δ) dove: A e un insieme i cui elementisono detti punti, E e uno spazio vettoriale reale di dimensione finita, detto spazio vettoriale

soggiacente allo spazio affine, δ:A×A → E e un’applicazione che ad ogni coppia ordinata dipunti associa un vettore soddisfacente alle due seguenti condizioni: (i) per ogni coppia (P, v) ∈A × E esiste un unico punto Q ∈ A tale che δ(P, Q) = v; (ii) per ogni terna di punti (P, Q, R)vale l’uguaglianza

δ(P, Q) + δ(Q, R) = δ(P, R).

Il vettore δ(P, Q) e piu semplicemente denotato con PQ, o anche con Q−P , per cui quest’ultimauguaglianza si scrive

PQ + QR = PR,

o anche(Q − P ) + (R − Q) = R − P,

assumendo in questo secondo caso l’aspetto di un’identita algebrica. La dimensione di unospazio affine e per definizione la dimensione dello spazio vettoriale associato.

Un vettore v ∈ E e anche detto vettore libero. Una coppia (P, v) ∈ A × E e detta vettore

applicato. Un vettore applicato (P, v) si identifica con la coppia ordinata di punti (P, Q) doveQ e tale che PQ = v.

Un sottoinsieme B ⊂ A e un sottospazio affine di dimensione m se l’immagine di B×B secondoδ e un sottospazio di E di dimensione m. In particolare, una retta e un sottospazio affine didimensione 1.

Se si fissa un punto O ∈ A allora lo spazio A si identifica con lo spazio vettoriale associato E.Infatti, in base agli assiomi (i) e (ii) la corrispondenza che ad ogni vettore x ∈ E associa il puntoP ∈ A tale che x = OP e biunivoca. L’origine viene identificata col vettore nullo.

Un riferimento cartesiano o affine di uno spazio affine (A, E, δ) di dimensione n e un insieme(O, c1, . . . , cn) dove O e un punto di A, detto origine, e (c1, . . . , cn) e una base dello spaziovettoriale E. Una generica base di E sara denotata con (cα), intendendo l’indice α variabileda 1 a n, per cui un generico riferimento affine sara denotato con (O, cα). Ad un riferimentocartesiano corrisponde un sistema di coordinate cartesiane (xα) = (x1, . . . , xn). Questesono le componenti del generico vettore OP secondo la base (cα) (1):

OP = xα cα. (1)

Risulta quindi definita una corrispondenza biunivoca fra lo spazio affine A e lo spazio Rn. In

altri termini, con l’assegnazione di un riferimento cartesiano lo spazio affine A risulta identificatocon R

n.

Se lo spazio vettoriale E soggiacente e dotato di un tensore metrico g, vale a dire di unprodotto scalare, si dice che lo spazio affine e euclideo, piu precisamente strettamente eu-

clideo se il tensore metrico e definito positivo (queste nozioni riguardanti il tensore metricosaranno richiamate piu avanti, a partire dall’Oss. 1 di § 2.1). Una base di E e canonica o

(1) Per indici ripetuti in alto e in basso sottintenderemo sempre la sommatoria estesa a tutto illoro campo di variabilita.

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Page 3: Lezioni Di Meccanica Razionale

§ 1.1 Richiami sugli spazi affini 3

ortonormale se tutti i suoi vettori sono unitari e mutuamente ortogonali. Le coordinate (xα)generate da un riferimento affine (O, cα) dove la base e canonica, si dicono coordinate cano-

niche o coordinate ortonormali.

Le entita che si introducono negli spazi affini (e le loro proprieta) si distinguono in puramente

affini o euclidee a seconda che esse prescindano o dipendano dall’esistenza di un tensore me-trico. La presenza di un tensore metrico consente di definire operazioni tipiche della geometria

euclidea, quali la misura di distanze, di angoli, di lunghezze di curve, di aree di superfici, divolumi, e cosı via, nonche speciali operazioni su campi scalari, vettoriali e tensoriali.

Quando e necessario specificarne la dimensione n, un generico spazio affine sara denotato conAn o anche con R

n. Se lo spazio affine e dotato di un tensore metrico definito-positivo, cioe se euno spazio affine strettamente euclideo, lo denoteremo con En. Considereremo in particolare ilpiano euclideo E2 e lo spazio euclideo (tridimensionale) E3. Per spazi affini di dimensione 2e 3 denoteremo generici riferimenti cartesiani con (O, i, j) e (O, i, j, k) e le coordinate associatecon (x, y) e (x, y, z). In E2 ed E3 le basi (i, j) e (i, j, k) si intenderanno, salvo esplicito avvisocontrario, ortonormali.

In questo capitolo tratteremo entita la cui definizione prescinde dalla presenza sullo spazio affinedi un tensore metrico: campi scalari, campi vettoriali, forme differenziali, curve, superfici.

1.1.1 Campi scalari

Sono le funzioni reali sopra uno spazio affine. Si rappresentano tramite funzioni f(x) del vettoreposizione x o, equivalentemente, da funzioni f(xα) nelle n coordinate cartesiane scelte sullospazio affine. Ricordiamo che una tale funzione e di classe Ck se ammette derivate parzialicontinue fino all’ordine k (k = 0 corrisponde alla continuita), di classe C∞ se ha derivateparziali continue di qualunque ordine. Se non specificato altrimenti, le funzioni considerate siintenderanno tacitamente di classe C∞. Denotiamo con Ck(A, R) o semplicemente con Fk(A)l’insieme dei campi scalari di classe Ck su A. Per k = ∞ usiamo semplicemente la notazioneF (A). Questi insiemi hanno la struttura di anello commutativo e di algebra associativa ecommutativa.

1.1.2 Campi vettoriali

Un campo vettoriale e una leggeX che associa ad ogni punto P ∈ An un vettoreX(P ) applicatoin P . Fissato un riferimento cartesiano, un campo vettoriale ammette una rappresentazione deltipo

X = Xα cα, (1)

dove le (Xα) sono funzioni reali su A: le componenti cartesiane. Un campo vettoriale e diclasse Ck se tali sono tutte le sue componenti. Nei casi n = 2 e n = 3 un campo vettoriale saragenericamente denotato con

X = X i+ Y j, X = X i+ Y j + Z k.

Denotiamo con X k(A) l’insieme dei campi vettoriali di classe Ck su A. Per k = ∞ usiamosemplicemente la notazione X (A). Questi insiemi hanno la struttura di modulo su Fk(A) e dispazio vettoriale reale a dimensione infinita.

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Page 4: Lezioni Di Meccanica Razionale

4 Cap. 1 - Sistemi dinamici § 1.1

Diciamo derivata di un campo scalare f rispetto ad un campo vettoriale X il campo scalareXf definito da

Xf = Xα ∂f

∂xα(2)

Questa definizione ha significato intrinseco (o assoluto), non dipende cioe dalla scelta dellecoordinate cartesiane (xα). Per dimostrarlo consideriamo due riferimenti cartesiani (O, cα)e (O′, cα′) (conviene, come vedremo, porre l’apice sull’indice). I due sistemi di coordinatecartesiane corrispondenti (xα) e (xα′

) sono legati da una trasformazione affine cioe da relazionidel tipo

xα = aαα′xα′

+ bα, xα′

= aα′

α xα + bα′

, (3)

dove le matrici costanti (aαα′) e (aα′

α ), una inversa dell’altra, sono le matrici di trasformazionedelle basi:

cα′ = aαα′cα, cα = aα′

α cα′ , (4)

mentre le (bα) e (bα′

) sono le componenti del vettore OO′ e del vettore opposto O′O nelle duebasi:

OO′ = bαcα, O′O = bα′

cα′ . (5)

Le (3) seguono infatti dalle uguaglianze OP = OO′ + O′P e O′P = O′O + OP , tenuto contodella (1) di § 1.1, insieme all’analoga O′P = xα′

cα′ , e delle (4) e (5). Se allora si rappresenta ilcampo vettoriale nei due riferimenti

X = Xα cα = Xα′

cα′ ,

tenuto conto delle relazioni (4), si vede che tra le componenti del campo sussiste il legame

Xα = aαα′ Xα′

. (6)

D’altra parte, interpretata la f come funzione delle (xα) per il tramite delle (xα′

), dalle relazioni(3) segue che

∂f

∂xα=

∂f

∂xα′

∂xα′

∂xα=

∂f

∂xα′aα′

α .

Si ha quindi:

Xα ∂f

∂xα= Xα ∂f

∂xα′aα′

α = Xα′ ∂f

∂xα′.

Cio mostra l’indipendenza della definizione (2) dalla scelta delle coordinate cartesiane.

Con l’operazione di derivazione cosı definita ogni campo vettoriale determina un’applicazioneX :F (A) → F (A) (si usa ancora lo stesso simbolo X) che e lineare

X(af + bg) = aXf + bXg (a, b ∈ R), (7)

e soddisfa alla regola di Leibniz:

X(fg) = gXf + fXg. (8)

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§ 1.1 Richiami sugli spazi affini 5

Si puo dimostrare che, viceversa, ogni operatore sulle funzioni soddisfacente a queste due con-dizioni (un tale operatore prende il nome di derivazione sulle funzioni) si identifica con uncampo vettoriale. Come sara giustificato piu avanti, al posto di Xf useremo anche la notazione

〈X, df〉.

1.1.3 Forme differenziali

Una forma lineare o 1-forma o forma differenziale di grado 1 sopra uno spazio affine Ae un’applicazione lineare ϕ:X (A) → F (A). Dunque associa ad ogni campo vettoriale X uncampo scalare ϕ(X), che denoteremo anche con

〈X,ϕ〉,

e soddisfa alla proprieta

ϕ(fX + gY ) = f ϕ(X) + gϕ(Y )

per ogni scelta delle funzioni f, g ∈ F(A) e dei campi vettoriali X,Y ∈ X (A). L’insieme delle1-forme sopra uno spazio affine A, che denotiamo con Φ1(A), e un modulo sull’anello F (A) euno spazio vettoriale su R. La somma di due forme lineari e il prodotto per una funzione sonodefiniti da:

(ϕ+ ψ)(X) = ϕ(X) +ψ(X), (fϕ)(X) = f · ϕ(X).

L’applicazione bilineare

〈·, ·〉:X (A)× Φ1(A) → F (A): (X,ϕ) 7→ 〈X,ϕ〉

prende il nome di valutazione (tra una forma lineare e un campo vettoriale).

Una forma lineare puo anche essere interpretata come campo di covettori cioe come appli-cazione

ϕ:A → A× E∗

che associa ad ogni punto P ∈ A un covettore (cioe un elemento dello spazio duale E∗) applicatoin P . Il collegamento tra questa e la precedente definizione e dato dalla formula

〈X,ϕ〉(P ) = 〈X(P ),ϕ(P )〉.

Ha allora senso valutare una 1-forma ϕ su di un vettore applicato (P, v). Il risultato 〈v,ϕ〉 eun numero reale.

Un esempio fondamentale di forma lineare e il differenziale df di un campo scalare f . Edefinito dall’uguaglianza

〈X, df〉 = Xf (1)

La linearita dell’applicazione df :X (A) → F (A):X 7→ 〈X, df〉 segue dal fatto che la derivataXf , tenuto fisso il campo scalare f , e lineare rispetto al campo vettoriale X . Dalla regola

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6 Cap. 1 - Sistemi dinamici § 1.1

di Leibniz per la derivata rispetto ad un campo vettoriale segue la regola di Leibniz per ildifferenziale:

d(fg) = g df + f dg (2)

Se nella definizione (2) di § 1.1.2 si pone al posto di f una qualunque delle coordinate (xα) sitrova

Xxα = 〈X , dxα〉 = Xα. (3)

Pertanto: la derivata di una coordinata coincide con la rispettiva componente del campo. D’altraparte, se consideriamo i vettori (cα) del riferimento come campi vettoriali (costanti) osserviamoche la derivata di una funzione f rispetto a cα coincide con la derivata parziale rispetto allacorrispondente coordinata:

cαf = 〈cα, df〉 =∂f

∂xα. (4)

Dalla (3) segue che una forma differenziale e sempre esprimibile come combinazione lineare deidifferenziali delle coordinate, ammette cioe una rappresentazione del tipo

ϕ = ϕα dxα (5)

dove le componenti ϕα sono le funzioni definite da

ϕα = 〈cα,ϕ〉. (6)

Infatti per la definizione (6) si ha

〈X,ϕ〉 = Xα 〈cα,ϕ〉 = Xα ϕα, (7)

mentre usando la definzione (5) e applicando la (3) si trova lo stesso risultato:

〈X ,ϕ〉 = 〈X, dxα〉 ϕα = Xα ϕα.

Si noti dalla (7) che la valutazione tra un campo vettoriale ed una forma differenziale e lasomma dei prodotti delle componenti corrispondenti (o, come si usa dire, ”omologhe”). Infine,particolarizzando la (5) al caso di un differenziale e tenendo conto della (4) si vede che

df =∂f

∂xαdxα. (8)

Dunque: le componenti del differenziale di una funzione sono le sue derivate parziali.

1.1.4 Coordinate generiche

Un’equazione vettoriale del tipox = x(qi) (1)

dove (qi) sono n parametri reali variabili in un dominio D′ ⊆ Rn, che in componenti e equivalente

ad un sistema di equazionixα = xα(qi), (2)

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§ 1.1 Richiami sugli spazi affini 7

stabilisce un’applicazione di D′ in un dominio D ⊆ An. Se quest’applicazione e invertibile ese le funzioni (2) insieme alle inverse sono di classe C1 almeno allora esse definiscono un nuovosistema di coordinate (qi) sul dominio D. In queste condizioni la matrice quadrata (Jα

i ) dellederivate parziali

Jαi =

∂xα

∂qi= ∂ix

α (3)

e ovunque regolare. Essa prende il nome di matrice jacobiana della trasformazione di

coordinate (2). Cio equivale a dire che i vettori

ei = ∂ix (4)

sono linearmente indipendenti in ogni punto del dominio D. Infatti le loro componenti secondola base (cα) sono le derivate parziali Jα

i :

ei = ∂ixα cα = Jα

i cα (5)

e quest’uguaglianza mostra che i vettori (ei) sono ottenuti dalla base (cα) mediante una trasfor-mazione lineare coinvolgente la matrice jacobiana (Jα

i ) che e regolare. Si dice che i vettori (ei)(sono in effetti dei campi vettoriali sul dominio D) costituiscono il riferimento associato allecoordinate (qi): in ogni punto P ∈ D forniscono una base dello spazio vettoriale, base che variada punto a punto.

Qui e nel seguito adottiamo le notazioni abbreviate

∂i =∂

∂qi, ∂ij =

∂qi∂qj,

convenendo che gli indici greci α, β, . . . si riferiscano alle coordinate cartesiane e quelli latinii, j, . . . alle nuove coordinate.

Esempio 1. Le coordinate polari del piano (q1, q2) = (r, ϑ) sono definite dalle equazioni

x = r cosϑ,

y = r sinϑ.(6)

con

D′ =

r > 0,

0 ≤ ϑ < 2π., D = R

2 − O.

L’equazione vettoriale (1) e in questo caso

x = r (cos ϑ i+ sinϑ j) = r u, (7)

introdotto il versore radiale

u = cos ϑ i+ sinϑ j (8)

I vettori (4) sono

e1 = er = ∂rx = cosϑ i+ sin ϑ j = u,

e2 = eϑ = ∂ϑx = r (− sin ϑ i+ cos ϑ j) = r τ,(9)

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Page 8: Lezioni Di Meccanica Razionale

8 Cap. 1 - Sistemi dinamici § 1.1

dove

τ = − sinϑ i+ cosϑ j (10)

e il versore trasverso a u nel verso di ϑ crescente. Se le coordinate cartesiane (x, y) sonoortonormali rispetto ad una metrica definita positiva (caso del piano euclideo), allora r e ladistanza dall’origine, ϑ e l’angolo formato da x col semiasse positivo delle x, τ e ortogonale au. •

Esempio 2. Le coordinate cilindriche (q1, q2, q3) = (r, ϑ, z) si ottengono riferendo lo spazioa coordinate cartesiane ortonormali (x, y, z) e considerando sul piano (x, y) le coordinate polaridefinite dalle (6). Oltre alle (9) si ha e3 = ez = k. •

Coordinate cilindriche.

Esempio 3. Le coordinate polari sferiche (q1, q2, q3) = (r, ϕ, λ) (raggio, latitudine elongitudine) sono definite dalle equazioni

x = r cosϕ cosλ,

y = r cosϕ sinλ,

z = r sinϕ.

(11)

con

D′ =

r > 0,

−π2 < ϕ < π

2 ,

0 ≤ λ < 2π,

, D = R3 − (asse z).

La latitudine ϕ puo essere sostituita dalla colatitudine ϑ che misura invece l’angolo formatoda OP con l’asse z ed e quindi variabile in (0, π). Si hanno in questo caso le equazioni:

x = r sinϑ cosλ,

y = r sinϑ sinλ,

z = r cosϑ.

(12)

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Page 9: Lezioni Di Meccanica Razionale

§ 1.1 Richiami sugli spazi affini 9

Coordinate sferiche.

Nel caso delle (11) i vettori del riferimento ei sono:

er = cos ϕ cosλ i+ cosϕ sinλ j + sinϕ k = u,

eϕ = − r (sinϕ cosλ i+ sinϕ sinλ j − cos ϕ k),

eλ = r (− cosϕ sinλ i+ cosϕ cosλ j).

(13)

Nel caso delle (12) si ha invece

er = sinϑ cosλ i+ sinϑ sinλ j + cos ϑk = u,

eϑ = r (cosϑ cosλ i+ cos ϑ sinλ j − sin ϑk),

eλ = r (− sinϑ sinλ i+ sin ϑ cosλ j). •

(14)

Le nuove coordinate (qi) e i vettori (ei) si possono utilizzare per rappresentare campi scalari,campi vettoriali e forme differenziali (nel dominio D) al posto delle coordinate cartesiane (xα) edei vettori della base (cα). Si hanno delle rappresentazioni del tutto analoghe a quelle relativealle coordinate cartesiane. Per un campo vettoriale e per una 1-forma si hanno rispettivamentele rappresentazioni

X = X i ei, ϕ = ϕi dqi, (15)

dove le componenti sono date da

X i = 〈X , dqi〉, ϕi = 〈ei,ϕ〉. (16)

Per la valutazione si ha〈X,ϕ〉 = X i ϕi (17)

e per il differenziale di una funzione

df = ∂if dqi, 〈ei, df〉 = ∂if. (9)

Osservazione 1. Come si vedra, il concetto di sistema di coordinate, qui considerato pergli spazi affini, si estende alle varieta differenziabili, di cui anzi costituisce il supporto della

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10 Cap. 1 - Sistemi dinamici § 1.1

definizione. In quell’ambito i domini D e D′ vanno scelti aperti (nella topologia di Rn), mentre

negli esempi sopra considerati non lo sono. •

Osservazione 2. I vettori ei sono tangenti alle rispettive curve coordinate. Queste curvesono il luogo dei punti caratterizzati da valori costanti per tutte le coordinate meno una. Peresempio, se si fissano i valori delle coordinate (q2, . . . , qn) si ottiene una curva parametrizzatadalla coordinata q1; il vettore e1 e tangente a tutte le curve ottenute in questo modo. Ilriferimento associato a coordinate cartesiane (xα) e proprio il sistema dei vettori costanti (cα).•

1.1.5 Curve

Per curva su di uno spazio affine A intendiamo sempre (salvo avviso contrario) una curva

parametrizzata cioe un’applicazione γ: I → A da un intervallo reale I ⊆ R in A. Una curvaammette una rappresentazione vettoriale

OP = x(t) (1)

che assegna il vettore posizione x(t) del punto P sulla curva per ogni valore del parametro

t ∈ I . Interpretando il parametro t come ”tempo”, una curva puo essere intesa come moto di

un punto P (t) nello spazio affine. Chiameremo cammino o orbita o traiettoria l’immagineγ(I) della curva γ (si tratta di una curva ”non parametrizzata”). Rispetto ad un riferimentocartesiano la rappresentazione vettoriale (1) si traduce in un sistema di n equazioni parame-

triche

xα = xα(t). (2)

Una curva e di classe Ck se tali sono tutte queste funzioni. Per ogni t ∈ I il limite

v(t) = limh→0

1

h

(

x(t + h) − x(t))

(3)

e un vettore tangente all’orbita nel punto x(t). Nell’interpretazione cinematica della curva e lavelocita istantanea. E la derivata della funzione x(t):

v =dx

dt= x (4)

(useremo il punto sovrapposto per denotare la derivata rispetto a t). Le componenti cartesianedi v sono le derivate delle funzioni (1):

vα =dxα

dt= xα. (5)

Se la curva si sviluppa sul dominio D di un sistema di coordinate (qi) allora essa ammetteequazioni parametriche del tipo

qi = qi(t). (6)

Siccome il vettore posizione x(t) puo pensarsi dipendere da t attraverso le coordinate (qi), risulta

v =dx

dt= ∂ix

dqi

dt,

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§ 1.1 Richiami sugli spazi affini 11

dove alle (qi) vanno sostituite le equazioni parametriche (6). Quindi

v = viei, vi =dqi

dt= qi. (7)

Questo mostra che le componenti del vettore tangente v secondo il riferimento associato allecoordinate (qi) sono ancora le derivate prime delle equazioni parametriche in quelle coordinate(come accade per le coordinate cartesiane).

1.1.6 Superfici

Data una funzione f(x) su A, l’equazione

f(x) = 0 (1)

definisce una superficie Q ⊆ A, piu precisamente una superficie regolare se in ogni punto diQ il differenziale df non e nullo (i punti in cui df = 0 si dicono punti singolari della superficie).Un’equazione del tipo

f(x) = c (2)

con c ∈ R (costante) definisce, al variare di c in un opportuno insieme di numeri reali, uninsieme di superfici Qc detto fogliettamento. Due superfici corrispondenti a valori distintidella costante c hanno intersezione vuota. Se invece di una funzione se ne considerano k ≤ n,fa(x), allora il sistema di equazioni

fa(x) = 0 (a = 1, . . . , k) (3)

definisce una superficie Q di codimensione k (cioe di dimensione n − k), piu precisamenteuna superficie regolare se in ogni punto di Q i k differenziali dfa sono linearmente indipendenti.Questo accade se e solo se la matrice k × n delle derivate parziali

∂fa

∂xα(4)

ha in ogni punto di Q rango massimo (= k). Un sistema di equazioni del tipo

fa(x) = ca (a = 1, . . . , k) (5)

al variare delle costanti ca in un opportuno dominio di Rk definisce un fogliettamento di codi-

mensione k.

Una superficie Q ⊆ An di dimensione m < n puo anche essere rappresentata, tutta o in parte,da un’equazione vettoriale parametrica

OP = r(qi) (7)

con m parametri (qi) = (q1, . . . , qm) variabili in un dominio D′ ⊆ Rm, equazione che in coordi-

nate cartesiane si traduce in un sistema di n equazioni parametriche

xα = xα(qi). (8)

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12 Cap. 1 - Sistemi dinamici § 1.2

Al variare dei parametri in D′ si descrive un sottoinsieme D ⊆ Q. Si richiede che tramite le (7)venga stabilita una corrispondenza biunivoca tra D e D′ e quindi che in ogni punto di D gli mvettori

ei = ∂ir (9)

siano indipendenti. Questo equivale alla massimalita del rango della matrice m×n delle derivateparziali ∂ix

α.

Queste formule sono del tutto simili a quelle di § 1.1.4. Qui pero i parametri (qi) sono m < n(e quindi gli indici latini variano da 1 a m). I parametri (qi) prendono il nome di coordi-

nate superficiali. Se la condizione d’indipendenza dei vettori (ei) e soddifatta si dice che la(7) rappresenta un’immersione dell’insieme D′ ⊆ R

m nello spazio affine An. In ogni puntodell’insieme immagine D, sottoinsieme della superficie Q, questi vettori, detti vettori coordi-

nati, sono tangenti alla superficie e determinano quindi il piano tangente. Piu precisamente essisono tangenti alle rispettive curve coordinate. Queste curve, tra loro trasverse, si ottengonofacendo variare una coordinata mantenendo costanti le rimanenti. Sono quindi le immaginisecondo l’immersione delle rette coordinate del piano R

m dove variano le (qi).

Esempio 1. Utilizzando coordinate polari sferiche dello spazio, la sfera S2 di raggio R centratanell’origine puo essere descritta da equazioni parametriche del tipo

x = R cos ϕ cosλ,

y = R cos ϕ sin λ,

z = R sin ϕ.

(11)

con

D′ =

−π2 < ϕ < π

2 ,

0 ≤ λ < 2π,, D = S2 − (polo N e polo S).

Qui le coordinate superficiali sono le coordinate geografiche (q1, q2) = (ϕ, λ) = (latitudine,longitudine). I vettori coordinati sono (si veda la (13) di §1.1.4)

eϕ = −R (sinϕ cosλ i+ sinϕ sinλ j − cosϕ k),

eλ = R (− cosϕ sinλ i+ cosϕ cosλ j). •(12)

1.2 Sistemi dinamici e curve integrali

L’assegnazione di un campo vettoriale X = Xα cα su di una spazio affine An genera due”problemi” di Analisi tra loro collegati: l’integrazione di un’equazione differenziale vettoriale

dx

dt=X(x) (1)

e l’integrazione di un’equazione differenziale scalare

〈X, dF 〉 = 0 (2)

Sergio Benenti

Page 13: Lezioni Di Meccanica Razionale

§ 1.2 Sistemi dinamici e curve integrali 13

L’equazione (1) equivale, in componenti, a un sistema di n equazioni differenziali ordinarie delprimo ordine (in forma normale e autonome) nelle n funzioni incognite xα(t):

dxα

dt= Xα(xβ)

(

α, β = 1, . . . , n)

(3)

Le sue soluzioni sono dette curve integrali di X . L’equazione (2) si traduce in un’equazionedifferenziale alle derivate parziali del primo ordine, lineare e omogenea, nella funzione incognitaa n variabili F (xα):

Xα(xβ)∂F

∂xα= 0 (4)

Le sue soluzioni sono dette funzioni integrali o integrali primi. Questo paragrafo e dedicatoal primo problema. Il § 1.4 e dedicato al secondo.

Nella discussione seguente una curva su An sara denotata, a seconda delle convenienze, conγ: I → An, o con γ(t), oppure con x(t) (la sua rappresentazione vettoriale) essendo t ∈ I(intervallo di definizione).

Definizione 1. Una curva integrale di un campo vettoriale X e una curva x(t) su An taleche per ogni t ∈ I il valore del campo X nel punto x(t) coincide col vettore velocita v(t):X(

x(t))

= v(t). Si assume che gli intervalli di definizione delle curve integrali siano aperti econtengano lo zero, detto istante iniziale. •

Dunque, essendo x = v, una curva integrale x(t) soddisfa identicamente (cioe per ogni t ∈ I)l’equazione differenziale (1). Una curva integrale si dice basata nel punto P0 (di vettore x0)se P (0) = P0, cioe se x(0) = x0. Si dice anche che P0 e il punto base o il punto iniziale dellacurva.

Osservazione 1. Si consideri uno spazio affine An (si pensi per semplicita a caso n = 2, cioe alpiano affine) invaso da un fluido in moto stazionario, cioe tale che in ogni prefissato punto diAn il vettore velocita delle particelle del fluido che vi transitano e costante nel tempo. In questecondizioni i vettori velocita nei vari punti danno luogo ad un campo vettoriale X indipendentedal tempo. Viceversa, se si assegna un campo vettoriale X su An, allora questo puo essereinterpretato come campo di velocita delle particelle di un fluido in moto stazionario. Inquesto caso si pone il problema della determinazione dei moti delle particelle. Il moto di unaparticella e rappresentato da una curva integrale del campo delle velocita. •

Fig. 1.2.1 - Campo vettoriale interpretato come campo di velocita

Lezioni di Meccanica Razionale

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14 Cap. 1 - Sistemi dinamici § 1.2

Un campo vettoriale, interpretato come campo di velocita ovvero come generatore dell’equazionedifferenziale (1) (o del sistema differenziale (3)), prende il nome di sistema dinamico. ”Inte-grare” un sistema dinamico significa determinare tutte le sue possibili curve integrali, cioe tuttele soluzioni del sistema (3), il cui insieme forma il cosiddetto spazio delle soluzioni.

Per distinguere le varie curve integrali si fa riferimento al punto iniziale. Si puo dimostrare che

Teorema 1. Se X e un campo vettoriale di classe Ck con k ≥ 1 su di un dominio apertoM ⊆ An, allora comunque si fissi il punto P0 ∈ M esiste una ed una sola curva integrale

massimale basata in P0.

Si dimostra infatti che, subordinatamente a opportune ipotesi di regolarita del campo, tutte lepossibili curve integrali basate in P0 coincidono nelle intersezioni dei loro rispettivi intervalli didefinizione (che contengono tutti lo zero) nel senso che se γ1: I1 → A e γ2: I2 → A sono duecurve integrali del campo basate nello stesso punto P0, allora le loro restrizioni all’intersezionedegli intervalli di definizione coincidono: γ1|I1 ∩ I2 = γ2|I1 ∩ I2. La curva integrale massimalebasata in P0, che denotiamo con

γP0: IP0

→ M,

e quella curva integrale tale cheI ⊆ IP0

, γP0|I = γ

per ogni altra curva integrale γ: I → A basata in P0. La curva integrale massimale ha dunquela massima ”estensione temporale” tra tutte le curve integrali basate nello stesso punto.

L’intervallo IP0di definizione della curva integrale massimale dipende dal punto base P0. Se

IP0= R per ogni P0 (tutte le curve integrali massimali sono definite su tutto l’asse reale) si dice

che il campo vettoriale e completo.

In ogni caso, poiche per ogni condizione iniziale P0 risulta determinata una ed una sola curvaintegrale massimale, possiamo descrivere lo spazio delle soluzioni, cioe l’insieme di tutte le curveintegrali del campo X, mediante una sola applicazione

ϕ: D ⊆ R × M → M

ponendoϕ(t, P0) = γP0

(t). (5)

Ad ogni coppia (t, P0) tale che t ∈ IP0l’applicazione ϕ fa corrispondere il valore per t della curva

integrale massimale γP0basata in P0. L’applicazione ϕ prende il nome di flusso del campo X.

Si dimostra (1) che:

Teorema 2. Se X e un campo vettoriale di classe Ck (k ≥ 1) su di un dominio M , allora:

(i) Il dominio D del flusso corrispondente e un aperto di R × M e ϕ e di classe Ck su D (2).

(1) Per la dimostrazione e la discussione dei Teoremi 1 e 2 si veda p.es. J. Dieudonne, Elementsd’analyse IV, Gauthier-Villars. In effetti per l’esistenza e unicita delle soluzioni di un sistemadifferenziale del tipo (3) e sufficiente che i secondi membri siano funzioni ”lipschitziane”, cioea rapporto incrementale limitato. Agli enunciati riguardanti l’esistenza e unicita delle curveintegrali di un sistema dinamico si da generalmente il nome di ”teorema di Cauchy”.(2) Si veda l’Oss. 5, piu avanti.

Sergio Benenti

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§ 1.2 Sistemi dinamici e curve integrali 15

(ii) Se U e un aperto di M e δ > 0 un numero tale che (−δ, δ)×U ⊆ D, allora per ogni t ∈ (−δ, δ)l’applicazione

ϕt: U → Ut: P 7→ ϕ(t, P )

e un omemorfismo di classe Ck da U sopra un aperto Ut ⊆ M eϕ−t: P 7→ ϕ(−t, P ) e l’omeomorfismo inverso.

(iii) Sussiste l’uguaglianzaϕ(

t, ϕ(s, P ))

= ϕ(t + s, P ), (6)

per ogni terna (t, s, P ) per cui i due membri hanno significato.

Osservazione 2. Nel caso di un campo completo risulta D = R × M e per ogni t ∈ R

l’applicazioneϕt: M → M : P 7→ ϕ(t, P ) = γP (t) (7)

e una trasformazione (di classe Ck) del dominio M del campo, cioe una corrispondenza biu-nivoca di M in se stesso. La (6) si traduce nella seguente proprieta di gruppo o proprieta

di evoluzione,

ϕt ϕs = ϕt+s (8)

dalla quale segue

ϕt ϕs = ϕs ϕt, ϕ0 = idM , (ϕt)−1 = ϕ−t (9)

L’insieme delle trasformazioni ϕt; t ∈ R forma dunque un gruppo commutativo, detto gruppo

di trasformazioni ad un parametro. •

Osservazione 3. La proprieta (iii) del Teorema 2, cioe la proprieta di gruppo (8), e unaconseguenza diretta, oltre che dell’unicita della soluzione determinata da un dato iniziale, dellaseguente notevole proprieta del sistema differenziale (3): lo spazio delle soluzioni e invarianterispetto alle traslazioni temporali, vale a dire, se γ(t) e una curva integrale (definita sull’intervalloI) allora per ogni fissato numero reale s ∈ I la curva γs(t) = γ(t+s) e ancora una curva integrale(definita sul’intervallo Is = I − s). Si vede infatti che se xα = γα(t) sono delle funzioni cherisolvono il sistema (3) e se a queste funzioni si sostituiscono le funzioni xα = γα

s (t) = γα(t + s)il sistema risulta ancora soddisfatto perche, posto u = t + s,

dγαs (t)

dt=

dγα(u)

du

du

dt=

dγα(u)

du= Xα

(

γβ(u))

= Xα(

γβs (t)

)

.

Segue che, per come e stato definito il flusso, si puo affermare da un lato che l’applicazionet 7→ ϕ

(

t, ϕ(s, P ))

e la curva integrale massimale basata in ϕ(s, P ) e dall’altro, per la proprietadi invarianza, che la curva t 7→ ϕ(t + s, P ) e ancora una curva integrale. Quest’ultima e basatain ϕ(0 + s, P ) = ϕ(s, P ), dunque nello stesso punto della curva precedente. Per l’unicita le duecurve coincidono: di qui l’uguaglianza ϕ

(

t, ϕ(s, P ))

= ϕ(t + s, P ). •

Osservazione 4. Si puo dimostrare che le proprieta (7) e (8) descritte nell’Oss. 2 non sonosolo necessarie ma anche sufficienti affinche un insieme di curve ϕ(t, P ) sia lo spazio delle curveintegrali di un certo campo vettoriale. •

Lezioni di Meccanica Razionale

Page 16: Lezioni Di Meccanica Razionale

16 Cap. 1 - Sistemi dinamici § 1.2

Osservazione 5. Il flusso ϕ associato ad un campo vettorialeX ammette una rappresentazionevettoriale del tipo

x = ϕ(t,x0) (10)

che in coordinate cartesiane equivale ad un un sistema di n funzioni in n + 1 variabili

xα = ϕα(t, xβ0 ). (11)

Per il Teorema 2, punto (i), queste funzioni sono di classe Ck. La (10) rappresenta una famiglia

di curve dipendenti da x0 = (xβ0 ). Per ogni fissato valore di t le relazioni (11) sono invertibili

(punto (ii) del Teorema 2) e quindi la matrice jacobiana

(

∂ϕα

∂xβ0

)

(12)

e ovunque regolare. •

Osservazione 6. Le immagini delle curve integrali di un campo vettoriale sono dette orbite

del campo. Il loro insieme costituisce il cosiddetto ritratto di fase del campo. Si noti cheun’orbita e l’immagine di tutte le curve integrali basate nei suoi punti. Nei testi di Fisica leorbite di un campo vettoriale vengono dette linee di flusso. •

Osservazione 7. La completezza o meno di un campo vettoriale puo essere determinata daconsiderazioni di ordine topologico sul dominio M . Si puo per esempio dimostrare che se uncampo vettoriale ha supporto compatto allora e completo. Il supporto e la chiusura dell’insiemedei punti non singolari del campo. •

Osservazione 8. Un punto P e detto punto critico o singolare di un campoX seX(P ) = 0.In corrispondenza ad un punto critico si annullano i secondi membri del sistema differenziale(3). Una curva integrale massimale basata in un punto critico e costante, assume cioe sempre ilvalore P per ogni t ∈ R. Il flusso del campo lascia quindi fisso ogni suo punto critico. Un puntocritico e per questo motivo anche detto punto fisso. •

Osservazione 9. Sistemi non autonomi. Nel caso di un campo vettoriale dipendente

dal tempo X(x, t) il sistema differenziale del prim’ordine corrispondente e non autonomo (lavariabile indipendente t compare a secondo membro):

dx

dt= X(x, t) (13)

Si considera allora nel prodotto cartesiano An × R il campo vettoriale, detto sospensione diX , X(x) =

(

X(x, τ), 1)

, posto x = (x, τ). Questo campo ha componente X rispetto al fattoreAn e componente 1 secondo il fattore R. Il sistema non autonomo (13) (di n equazioni) e infattiequivalente al sistema dinamico corrispondente a X cioe al sistema autonomo di n+1 equazioni

dx

dt= X(x, τ)

dt= 1

(14)

Sergio Benenti

Page 17: Lezioni Di Meccanica Razionale

§ 1.2 Sistemi dinamici e curve integrali 17

dove il parametro ausiliario τ e equivalente al tempo t: l’ultima equazione afferma infatti cheτ = t+costante. Tutte le soluzioni del sistema (13) si ottengono dalle curve integrali del sistema(14) dando valore zero a questa costante. •

Osservazione 10. Equazioni del secondo ordine. Specialmente in meccanica, e frequenteil caso di sistemi di equazioni differenziali del secondo ordine del tipo

d2x

dt2= F

(

x,dx

dt

)

(15)

Il secondo membro si puo intendere come campo vettoriale dipendente dalla velocita

F (x, v), posto v = dxdt

. Un tale sistema e equivalente ad un sistema dinamico sullo spazio (didimensione 2n) dei vettori applicati, cioe delle coppie (x, v), e precisamente al sistema

dx

dt= v

dv

dt= F (x, v)

(16)

Il campo vettoriale X(x, v) corrispondente, sul prodotto cartesiano An × En ' Rn × R

n, hacome prima componente la ”funzione” v e come seconda componente la funzione F (x, v). Se Fdipende anche dal tempo si procede alla sospensione del campo X nello spazio An × En × R esi ottiene quindi il sistema dinamico (di dimensione 2n + 1)

dx

dt= v

dv

dt= F (x, v, τ)

dt= 1

• (17)

Osservazione 11. Se la funzione F (x, v) e pari rispetto alla variabile v, cioe se F (x,−v) =F (x, v), quindi in particolare se non dipende da v, allora se x(t) e una soluzione dell’equazione(15) lo e anche x(−t) (ogni moto determinato dalla (15) e ripetibile ”a ritroso nel tempo”). •

Ci limitiamo a considerare due semplici esempi, su cui si ritornera nel seguito.

Esempio 1. Campo radiale. Nel piano (x, y), al campo vettoriale radiale definito da X(x) =x = x i+ y j, il cui andamento e rappresentato nella Fig. 1.2.2,

Lezioni di Meccanica Razionale

Page 18: Lezioni Di Meccanica Razionale

18 Cap. 1 - Sistemi dinamici § 1.2

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x

y

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Fig. 1.2.2 - Campo radiale.

corrisponde il sistema di equazioni

x = x,

y = y.

Si tratta di equazioni differenziali separate cioe coinvolgenti ciascuna una singola coordinata.La curva integrale basata in P0 = (x0, y0) ha equazioni

x = x0 et, y = y0 et,

ed e definita su tutto l’asse reale. Il campo e pertanto completo. Il flusso e dato da

ϕ(t;x0) = et x0,

posto x0 = x0 i+ y0 j. Le orbite delle curve integrali non basate nell’origine sono le semiretteaperte uscenti dall’origine, che e punto critico. Per t → −∞ le curve integrali tendono all’origine(Fig. 1.2.1). La trasformazione ϕt e l’omotetia di centro l’origine e coefficiente et. Il campo einvariante rispetto a rotazioni intorno all’origine. •

Esempio 2. Caduta dei gravi. Si consideri la famiglia di curve di equazioni parametriche

x = x0 + y0 t + 12

g t2,

y = y0 + g t.(†)

Queste curve rappresentano tutti i possibili moti di caduta di un grave lungo una retta verticale(l’asse x orientato verso il basso) essendo y la velocita e g l’accelerazione (costante). Posto(utilizziamo la notazione matriciale per i vettori)

[

xy

]

= ϕt

[

x0

y0

]

,

verifichiamo che le applicazioni ϕt: R2 → R

2 soddisfano alle proprieta di gruppo (8):

ϕs

(

ϕt

[

x0

y0

])

= ϕs

[

x0 + y0t + 12 g t2

y0 + gt

]

=

[

x0 + y0 t + 12

g t2 + (y0 + gt) s + 12

g s2

y0 + g t + g s

]

=

[

x0 + y0 (t + s) + 12

g (t + s)2

y0 + g(t + s)

]

= ϕt+s

[

x0

y0

]

.

Sergio Benenti

Page 19: Lezioni Di Meccanica Razionale

§ 1.3 L’equazione di Weierstrass 19

Le curve considerate costituiscono dunque lo spazio delle soluzioni di un sistema dinamico (Oss.4). Lo si riconosce direttamente derivando le (†):

x = y0 + g t = y, y = g.

Il campo vettoriale che genera il flusso considerato e pertanto

X = y i+ g j. •

1.3 L’equazione di Weierstrass

Come si vedra, per le applicazioni alla dinamica e di particolare interesse l’equazione differenzialedel secondo ordine del tipo

x = f(x) (1)

equivalente al sistema del primo ordine

x = v,

v = f(x).(1′)

Per la ricerca e lo studio delle sue soluzioni x(t), che interpretiamo al solito come moti di unpunto sulla retta reale, e conveniente associare all’equazione (1) l’equazione differenziale delprimo ordine

x2 = Φ(x) (2)

dove Φ(x) e una primitiva di 2f(x),

Φ′(x) = 2 f(x).

Chiamiamo equazione di Weierstrass un’equazione del tipo (2) (Karl Weierstrass, 1815 -1897) e funzione di Weierstrass la corrispondente funzione Φ.

Osserviamo innanzitutto che, supposta f(x) di classe Ck con k ≥ 1 in un aperto D ⊆ R, co-munque si fissino le condizioni iniziali (x0, v0) con x0 ∈ D, esiste un’unica soluzione (massimale)x(t) tale che x(0) = x0 e x(0) = v0. Ebbene questa e anche una soluzione della (2) purche laprimitiva Φ(x) sia quella soddisfacente alla condizione

v20 = Φ(x0). (3)

Essendo infattid

dt

(

x2 − Φ(x))

= 2xx − Φ′(x)x = 2x(

x − f(x))

,

si vede che per ogni soluzione della (1) questa derivata e nulla; dunque la funzione x2 − Φ(x) ecostante lungo le soluzioni dell’equazione differenziale (1) (e un integrale primo). Pertanto se valeinizialmente la (3) si ha sempre x2−Φ(x) = 0, il che significa che la soluzione della (1) consideratae anche soluzione della (2). Viceversa, dalle uguaglianze ora scritte si vede che una soluzione

Lezioni di Meccanica Razionale

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20 Cap. 1 - Sistemi dinamici § 1.3

della (2) e anche soluzione della (1) escludendo quegli istanti in cui x(t) = 0 (istanti di arresto).Osserviamo d’altra parte dall’equazione (2) che i moti del punto corrispondenti ad una prefissataprimitiva Φ(x) devono necessariamente avvenire in intervalli dell’asse x in cui Φ(x) ≥ 0, intervalliche sono delimitati dagli zeri della Φ(x). Ma la stessa equazione (2) mostra che questi zeri sonoposizioni di arresto del punto, cioe posizioni in cui il punto ha necessariamente velocita nulla.Da tutto questo si comprende che nello studio del comportamento delle soluzioni dell’equazione(1) giuocano un ruolo essenziale gli zeri della funzione di Weierstrass Φ. Vediamo come.

Fissate le condizioni iniziali (x0, v0), sia Φ(x) la funzione di Weierstrass determinata dalla (3).Consideriamo i due casi: (I) v0 = 0 e (II) v0 6= 0.

Caso (I). La (3) mostra che x0 e uno zero di Φ: Φ(x0) = 0. Distinguiamo due sottocasi: (Ia) x0

e uno zero semplice di Φ e quindi f(x0) 6= 0, (Ib) x0 e uno zero multiplo e quindi f(x0) = 0 (1).

Caso (Ia). Il punto non puo rimanere in x0, perche la funzione costante x(t) = x0 non puo esseresoluzione della (1), essendo il primo membro identicamente nullo e il secondo non nullo (perchef(x0) 6= 0). Il punto quindi abbandona la posizione x0 nella direzione in cui Φ(x) > 0.

Caso (Ib). La funzione costante x(t) = x0 e questa volta soluzione della (1) ed e unica. Dunqueil punto permane indefinitamente nella posizione iniziale x0. Uno zero multiplo della Φ(x) epertanto una posizione di equilibrio.

Caso (II). Per la (3) si ha Φ(x0) > 0. In questo caso x(t) e monotona crescente o decrescente,per un intorno t > 0, a seconda che sia v0 > 0 oppure v0 < 0. Il punto si muovera verso unprimo zero x1 della Φ(x) (dove si arresta) o verso un estremo x1 del suo campo definizione,eventualmente +∞ o −∞.

Se x1 e uno zero multiplo allora esso e una meta asintotica per il moto x(t) nel senso che

x(t) 6= x1, ∀t > 0,

limt→+∞

x(t) = x1.

In altre parole si ha un moto asintotico: il punto si avvicina indefinitamente alla posizione x1

senza mai raggiungerla. Si puo dimostrarlo per assurdo. Se raggiungesse x1 ad un certo istantet1, qui avrebbe velocita nulla e vi resterebbe per sempre perche x1 e uno zero multiplo: caso(Ib). Osserviamo d’altra parte che se x(t) e una soluzione della (1) lo e anche la funzione x(−t)(Oss. 11, § 1.2). Ma se x(t) e il moto ora considerato, quello a ritroso e assurdo perche il puntouscirebbe da uno zero multiplo, cosa vietata per quanto visto nel caso (Ib).

Se x1 e uno zero semplice allora esso viene raggiunto in un tempo finito t1 dato dall’integrale

t1 = ±

∫ x1

x0

dx√

Φ(x)(4)

col segno + se x1 > x0 (cioe se v0 > 0: x(t) monotona crescente) o il segno − nel caso opposto.Infatti dall’equazione (2) segue la duplice equazione

dt = ±dx

Φ(x)

(1) Diciamo che x0 e uno zero semplice di una funzione Φ(x) se in x0 si annulla la funzione manon la sua derivata prima: Φ(x0) = 0, Φ′(x0) 6= 0. E uno zero multiplo se invece si annullaanche la derivata prima: Φ(x0) = Φ′(x0) = 0.

Sergio Benenti

Page 21: Lezioni Di Meccanica Razionale

§ 1.3 L’equazione di Weierstrass 21

la cui integrazione, osservato che l’integrando ha segno costante, fornisce una funzione monotona

t(x) = ±

∫ x

x0

du√

Φ(u), (5)

funzione inversa della soluzione x(t) considerata. Si noti che l’integrale (4) e improprio, perchel’integrando non e limitato per x → x1. Tuttavia e un integrale finito perche l’integrando e uninfinito di ordine < 1 in quel punto, essendo questo uno zero semplice di Φ (2).

Si osservi ancora che per t > t1 il punto abbandona la posizione x1, per quanto visto nel caso(Ia), per ritornare a ripercorrere in senso contrario l’intorno di x1 in cui Φ e positiva. Uno zerosemplice si comporta quindi da punto di riflessione.

Se infine nella direzione in cui si muove inizialmente il punto non vi sono zeri di Φ(x), questoraggiunge un estremo x1 del campo di definizione di Φ oppure vi tende asintoticamente a secondache l’analogo integrale (4) sia finito oppure no. Il caso (II) e cosı completato. Possiamo allorariassumere tutta la discussione nel quadro seguente:

(2) Data una funzione F (x) continua in un intervallo [x0, x1) ma non limitata in x1, si pone

∫ x1

x0

F (x) dx = limx→x1

∫ x

x0

F (u)du.

Dall’Analisi sappiamo che una condizione sufficiente perche questo limite sia finito e che la F (x)abbia un infinito di ordine r < 1. Si dice che F ha un infinito di ordine r > 0 se esiste unacostante positiva A tale che nell’intorno sinistro di x1 vale la disuguaglianza

|F (x)| ≤ A1

(x1 − x)r.

Nel caso presente e F (x) =(

Φ(x))−

12 . Siccome Φ(x) ha uno zero semplice in x1, la funzione

integranda F (x) ha un infinito di ordine r = 12. Infatti uno zero semplice e di ordine 1, perche

per il teorema di Lagrange, posto che Φ(x1) = 0, si ha per ogni x prossimo a x1

Φ(x) = Φ′(ξ) (x− x1)

con x < ξ < x1. Siccome Φ′(x) e continua nell’intorno sinistro di x1 e inoltre Φ′(x1) 6= 0, valesenz’altro una limitazione del tipo |Φ′(x)| ≤ A con A > 0. Dunque dalla formula precedentesegue che a sinistra di x1 vale la limitazione

|Φ(x)| ≤ A (x1 − x),

la quale mostra appunto che Φ(x) ha uno zero di ordine 1. Di conseguenza la radice√

Φ(x) hauno zero di ordine 1

2e quindi l’inversa un infinito di ordine 1

2. Di qui la finitezza dell’integrale

(5).

Lezioni di Meccanica Razionale

Page 22: Lezioni Di Meccanica Razionale

22 Cap. 1 - Sistemi dinamici § 1.3

x1 zero della Φ(x)

con cond. iniziali

(x0, v0)

zero semplice

zero multiplo, x1 6= x0

zero multiplo, x1 = x0

⇔ riflessione

⇔ meta asintotica

⇔ equilibrio

Si consideri per esempio il caso in cui la posizione iniziale x0 e all’interno di un intervallo I0 =[x1, x2] delimitato da due zeri semplici successivi della funzione Φ (Fig. 1.3.1). Nell’intervalloaperto (x1, x2) la Φ e necessariamente positiva. Supposto v0 > 0, il punto si muovera per valoricrescenti di x fino a raggiungere in un tempo finito lo zero x2 dove si arrestera, per proseguire ilmoto in direzione opposta, cioe per valori decrescenti di x, fino a raggiungere in un tempo finitol’estremo sinistro x1 dell’intervallo. Qui avra un nuovo istante di arresto, invertira il moto fino aritrovarsi in x0 con la stessa velocita iniziale v0, e tutto si ripetera all’infinito. Pertanto il puntosi muove nell’intervallo [x1, x2] toccandone alternativamente gli estremi. Il moto e periodico e ilperiodo e dato dall’integrale

T = 2

∫ x2

x1

dx√

Φ(x). (6)

Infatti il tempo impiegato a percorrere l’intervallo in un verso o in quello opposto e lo stessoed e dato dall’integrale (5) esteso a tale intervallo. Si consideri, altro esempio, il caso di unozero multiplo x1 illustrato dalla Fig. 1.3.2. Se il punto si muove inizialmente verso lo zero x1,continuera a muoversi in quella direzione senza pero mai raggiungere x1.

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x

x

y

t

x1 x0 x2

v0

Φ(x)

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x

x

y

t

x0

v0

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Fig. 1.3.1 - Due zeri semplici:

moto periodico.Fig. 1.3.2 - Uno zero doppio:

moto asintotico.

E infine importante notare che Φ(x) e una primitiva di 2f(x) dipendente dalle condizioni iniziali(x0, v0). Quindi al variare di queste, la Φ(x) varia per una costante additiva. In altre paroleil suo grafico subisce delle traslazioni verticali (cioe lungo l’asse y) al variare delle condizioni

Sergio Benenti

Page 23: Lezioni Di Meccanica Razionale

§ 1.4 Integrali primi 23

iniziali. Cio consente, nota la Φ(x) per una coppia di condizioni iniziali, di avere un’idea globaledi tutte le possibili distribuzioni degli zeri e quindi di tutti i tipi di moti, per tutte le condizioniiniziali.

1.4 Integrali primi

La determinazione delle curve integrali e quindi del flusso di un dato campo vettoriale e unproblema che puo presentare notevoli difficolta. L’Analisi matematica ha tuttavia sviluppatosia dei metodi qualitativi atti a stabilire il comportamento delle curve integrali (come la lorostabilita, la periodicita, ecc.) sia dei metodi numerici per il loro calcolo approssimato.

Nell’ambito di questi metodi, notevoli semplificazioni dei calcoli e utili informazioni sul compor-tamento delle curve integrali possono scaturire dalla conoscenza di certe funzioni, dette integraliprimi, le quali godono della proprieta di mantenersi costanti lungo le curve integrali. Per e-sempio, se si conoscono n − 1 integrali primi indipendenti (dove n e la dimensione dello spazioaffine, cioe il numero delle equazioni del sistema differenziale) si e in grado di determinare lecurve integrali con una sola integrazione (o, come si usa dire, con una quadratura).

Gli integrali primi possono determinarsi risolvendo una particolare equazione alle derivate par-ziali. Si pone cosı un problema alternativo a quello dell’integrazione del sistema differenzialeassociato al campo, ma che puo a sua volta presentare notevoli difficolta. In certi casi tuttaviala ricerca degli integrali primi ha successo, o perche si e in grado di integrare la corrispondenteequazione differenziale, o perche il campo vettoriale gode di proprieta di simmetria o di invari-anza, tali da produrre, in base a opportuni teoremi, degli integrali primi (esempi notevoli sonoin Meccanica l’integrale primo dell’energia, l’ integrale primo della quantita di moto, l’integraleprimo delle aree).

Definizione 1. Dicesi funzione integrale o integrale primo di un campo vettoriale X sudi uno spazio affine An una funzione F sopra An che si mantiene costante lungo ogni curvaintegrale x(t) di X, cioe tale che

F(

x(t1))

= F(

x(t2))

, ∀t1, t2 ∈ I. • (1)

Prendendo in considerazione solo funzioni differenziabili quindi tali che le funzioni composteF(

x(t))

siano derivabili, la condizione (1) equivale a

d

dtF(

x(t))

= 0, ∀t ∈ I (2)

per ogni curva integrale, condizione che scriveremo piu sinteticamente

dF

dt= 0 (3)

Osservazione 1. Si puo piu in generale intendere come integrale primo una funzione a valori inuno spazio vettoriale (per esempio lo spazio vettoriale E soggiacente allo spazio affine) costantelungo le curve integrali. Incontreremo nel seguito degli esempi. •

Lezioni di Meccanica Razionale

Page 24: Lezioni Di Meccanica Razionale

24 Cap. 1 - Sistemi dinamici § 1.4

Per verificare che una funzione e un integrale primo di un sistema dinamico occorrebbe, secondola Def. 1, conoscere le curve integrali, le quali sono di solito incognite. Sussiste tuttavia unaproprieta caratteristica degli integrali primi che prescinde da tale conoscenza.

Proposizione 1. Condizione necessaria e sufficiente affinche una funzione F sia integrale primodi un campo vettoriale X e che la sua derivata rispetto a X sia nulla:

〈X, dF 〉 = 0 (4)

Dimostrazione. Osserviamo che sussiste in generale l’uguaglianza

d

dtF(

x(t))

= 〈v(t), dF 〉 (5)

dove v = x e la ”velocita” della curva x(t). Questa non e nient’altro che la formula della”derivata totale”:

dF

dt=

∂F

∂xα

dxα

dt=

∂F

∂xαvα.

Se la curva e integrale, cioe se x = X , allora questa diventa

d

dtF(

x(t))

= 〈X(

x(t))

, dF 〉.

Stante l’arbitrarieta di x(t) segue che la condizione (4) e equivalente alla (2).

In un qualunque sistema di coordinate (qi) la (4) si traduce nell’equazione

X i ∂F

∂qi= 0 (6)

Nel caso di coordinate cartesiane e la (4) di § 1.2. Si tratta di un’equazione differenziale allederivate parziali del primo ordine, lineare omogenea, nella funzione incognita F . La ricerca degliintegrali primi e quindi ricondotta all’integrazione di quest’equazione.

Osservazione 2. Dalla Def. 1 di integrale primo segue che se (F1, F2, . . . , Fm) sono m inte-grali primi, allora una qualunque loro composizione f (F1, F2, . . . , Fm) tramite una funzionef : R

m → R e ancora un integrale primo. •

Tra le soluzioni dell’equazione (4) vi sono le funzioni costanti. Esse sono ovviamente prive diinteresse (si dicono integrali primi banali). Si tratta quindi di stabilire se un campo vettorialeX ammette integrali primi non banali. Un campo vettoriale ammette integrali primi locali,vale a dire definiti nell’intorno di punti del suo dominio di definizione, ma puo non ammettereintegrali primi globali, cioe definiti su tutto il suo dominio di definizione. Integrali primiglobali si possono costruire, in linea di principio, prolungando o giustapponendo integrali primilocali, tenendo presente l’Oss. 2. Tale operazione puo tuttavia non dare esito positivo, comemostra l’esempio seguente.

Sergio Benenti

Page 25: Lezioni Di Meccanica Razionale

§ 1.4 Integrali primi 25

Esempio 1. Si consideri il campo vettoriale radiale (Esempio 1 del §1.2) X = xi + yj. Seescludiamo l’origine e consideriamo per esempio la circonferenza S1 di raggio unitario e centrol’origine, una qualunque funzione H : S1 → R sopra di questa si puo estendere al piano R

2,esclusa l’origine, per valori costanti lungo le semirette uscenti dall’origine. Siccome le orbitedel campo sono tutte queste semirette (aperte) piu l’origine (punto singolare) le funzioni cosıcostruite, a partire da funzioni H di classe C∞, sono gli integrali primi diX. Si vede chiaramenteche questi integrali primi non sono estendibili per continuita all’origine se non nel caso in cuila funzione H sulla circonferenza e costante: ma in questo caso l’integrale primo e anch’essouna funzione costante, quindi banale. Concludiamo allora che il campo X su R

2 non ammetteintegrali primi globali non banali, pur ammettendo nell’intorno di ogni punto diverso dall’origineinfiniti integrali primi. •

L’importanza della conoscenza di integrali primi e messa in evidenza dalle considerazioni se-guenti. Sia F una funzione reale sopra lo spazio affine An. Come si e visto al § 1.1.6, gli insiemiQc ⊂ An definiti dall’equazione F = c prendono il nome di insiemi di livello o superfici

di livello. Alcuni di questi possono essere vuoti. In ogni caso essi formano una partizione insottoinsiemi disgiunti di tutto il campo di definizione di F . Piu in generale si puo considerare uninsieme di k campi scalari (Fa) = (F1, . . . , Fk) e per ogni c = (c1, . . . , ck) considerare l’insiemedi livello Qc definito dalle equazioni

F1 = c1, F2 = c2, . . . Fk = ck.

Si ottiene cosı ancora una partizione (fogliettamento) in sottoinsiemi disgiunti del campo didefinizione delle funzioni (Fa). Sono delle superfici regolari se i differenziali dFa sono ovunquelinearmente indipendenti.

Proposizione 2. Se una curva integrale di X ha un punto di intersezione con una superficiedi livello generata da uno o piu integrali primi, allora e tutta contenuta in questa.

Si vuol dire che se γ(t) e una curva integrale di X e se per un qualche t0 ∈ I si ha γ(t0) ∈ Qc

allora γ(t) ∈ Qc per ogni t ∈ I .

Dimostrazione. La condizione P0 = γ(t0) ∈ Qc implica F (P0) = F (γ(t0)) = c, quindi F(

γ(t))

=c e quindi γ(t) ∈ Qc per ogni t.

Un’ulteriore fondamentale proprieta degli integrali primi, equivalente a quella espressa dallaProp. 2, e la seguente:

Proposizione 3. Una funzione F e un integrale primo di X se e solo se X e tangente ad ognisuperficie di livello F = c.

In altri termini: l’equazione (4) 〈X, dF 〉 = 0 equivale alla tangennza di X ad ogni superficie dilivello F = c. Questa proprieta discende direttamente dal fatto, messo in evidenza in precedenza,che ogni curva integrale giace su di una superficie di livello, quindi che il vettore x e tangente aquesta superficie. Ma in ogni punto della curva x = X.

Dalle proprieta ora viste segue in particolare che se il numero degli integrali primi (Fa) e taleche gli insiemi di livello sono o punti o curve (non parametrizzate) allora essi si identificanocon le orbite. Consideriamo a questo proposito tre esempi, elementari ma significativi. Il primo

Lezioni di Meccanica Razionale

Page 26: Lezioni Di Meccanica Razionale

26 Cap. 1 - Sistemi dinamici § 1.4

(Esempio 2) mostra come si possa giungere alla completa determinazione delle curve integraliattraverso l’integrazione dell’equazione degli integrali primi. Il secondo (Esempio 3) e un esempiodi sistema dinamico su di una superficie (il cilindro), le cui orbite si determinano attraverso unintegrale primo. Il terzo (Esempio 4) e un esempio di sistema dinamico dove la periodicita dellecurve integrali e riconosciuta per mezzo di un integrale primo.

Esempio 2. L’oscillatore armonico. Sul piano affine riferito a coordinate cartesiane (x, y) siconsideri il campo vettoriale

X = y i− ω2 x j

il cui sistema differenziale e

x = y,

y = −ω2 x.(7)

Posto che

F =∂F

∂xx +

∂F

∂yy =

∂F

∂xy −

∂F

∂yω2x,

l’equazione degli integrali primi diventa:

y∂F

∂x− ω2 x

∂F

∂y= 0. (8)

Questa si puo integrare per separazione delle variabili. Si cerca cioe una sua soluzione del tipoF (x, y) = A(x) + B(y). Con quest’ipotesi l’equazione (8) diventa (′ e il simbolo di derivataprima)

y A′(x)− ω2 x B′(y) = 0,

e quindi, subordinatamente alla condizione che i denominatori non si annullino,

y

B′(y)= ω2 x

A′(x).

Poiche il primo membro e funzione solo della x e il secondo solo della y, entrambi devono esserecostanti. Posta per esempio questa costante uguale a 1, quest’ultima equazione si spezza in dueequazioni differenziali ordinarie separate, coinvolgenti cioe ciascuna una singola variabile:

ω2 x

A′(x)= 1,

y

B′(y)= 1,

ovveroA′(x) = ω2 x, B′(y) = y.

Si ha quindi, a meno di inessenziali costanti additive,

A(x) = 12 ω2x2, B(y) = 1

2 y2.

Il procedimento della separazione delle variabili ha quindi successo. Eliminando l’inessenzialefattore 1

2, abbiamo infatti trovato il seguente integrale primo, soluzione della (8):

F (x, y) = ω2 x2 + y2.

Sergio Benenti

Page 27: Lezioni Di Meccanica Razionale

§ 1.4 Integrali primi 27

L’insieme Qc definito dall’equazione F = c e vuoto (nel campo reale) per c < 0; si riduceall’origine per c = 0 ed e un’ellisse per c > 0. Infatti in quest’ultimo caso

ω2 x2 + y2 = b2 (9)

posto c = b2. Si tratta di un’ellisse di semiassi a = bω

e b. Al variare di c si ottiene unafamiglia di ellissi, che sono orbite del campo X (percorse in senso orario, come si riconoscefacilmente valutando il campo in qualche punto del piano, per esempio sull’asse x, vedi Fig.1.4.1). Concludiamo pertanto che le curve integrali sono chiuse e quindi periodiche. Dalla (9)si trae

y = ±b

1 −x2

a2

(

a =b

ω

)

.

Scegliendo il segno + e sostituendo nella prima delle equazioni (7), si ottiene un’equazionedifferenziale del primo ordine nella sola x, a variabili separabili:

dx

dt= b

1−x2

a2.

Il suo integrale generale risulta essere

x = a sin(ωt + φ), (10)

con φ costante arbitraria. Sostituendo questa funzione nella seconda delle (6), si trova

dy

dt= −ω2 a sin(ωt + φ),

quindi:y = b cos(ωt + φ). (11)

La curva integrale cosı determinata, di equazioni parametriche (10) e (11), e basata nel punto(x0, y0) = (a sin φ, b cos φ). Per ottenere il flusso del campo occorre sostituire le costanti (a, b)con i dati iniziali (x0, y0). Sviluppando la (10) e la (11) si trova:

x = x0 cosωt + 1ω

y0 sin ωt,

y = −ω x0 sinωt + y0 cos ωt.(12)

E interessante osservare che in questo caso il legame tra il vettore x0 = (x0, y0) e il vettorex = (x, y) e lineare, sicche il legame x = ϕ(t,x0) puo porsi in forma matriciale:

[

xy

]

=

[

cosωt 1ω

sinωt−ω sinω t cos ω t

] [

x0

y0

]

. (12′)

In altre parole: il gruppo ad un parametro ϕt; t ∈ R generato dal campo X e un gruppo ditrasformazioni lineari rappresentato dalle matrici

ϕt =

[

cosωt 1ω

sinωt−ω sinω t cos ω t

]

Lezioni di Meccanica Razionale

Page 28: Lezioni Di Meccanica Razionale

28 Cap. 1 - Sistemi dinamici § 1.4

E un utile esercizio verificare che queste matrici godono della proprieta di gruppo ϕt ϕs = ϕt+s.•

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Fig. 1.4.1 - Le orbite dell’oscillatore armonico.

Osservazione 3. Sistemi dinamici lineari. Il sistema dinamico ora considerato rientra nellaparticolare classe di sistemi dinamici lineari, cioe del tipo

x = Ax,

con A matrice costante. Il flusso generato da questi sistemi e ancora lineare e puo essererappresentato dalla serie

ϕt = exp(A t) =

+∞∑

k=0

tk

k!Ak.

Nel caso precedente e

A =

[

0 1−ω2 0

]

e quindi, essendo A2 = −ω2 1, risulta

ϕt = cosω t 1 +1

ωsinω tA,

a conferma della (12). •

Esempio 3. Il pendolo semplice. Consideriamo lo spazio affine tridimensionale riferito sia acoordinate cartesiane (x, y, z), sia a coordinate cilindriche (r, ϑ, z). Consideriamo la superficieregolare Q definita dall’equazione r = R, con R costante positiva. Si tratta di un cilindro diraggio R e asse l’asse delle z. Intendendo l’angolo ϑ variabile nell’intervallo aperto (−π, π), lecoordinate (ϑ, z) si possono interpretare come coordinate superficiali, che mappano il cilindroQ, tolta una sua direttrice, nella striscia aperta di R

2 definita da (ϑ, z) ∈ R2| − π < ϑ < π.

Introdotti i vettori (ei) associati a queste, cioe i vettori (eϑ = Rτ, ez = k), si consideri il campovettoriale

X = z eϑ − ω2 sinϑ ez. (13)

Il sistema differenziale del primo ordine corrispondente e:

ϑ = z,

z = −ω2 sinϑ.(14)

Sergio Benenti

Page 29: Lezioni Di Meccanica Razionale

§ 1.4 Integrali primi 29

La combinazione di queste due equazioni fornisce l’equazione differenziale del secondo ordine

ϑ + ω2 sinϑ = 0, (15)

detta equazione del pendolo semplice. L’equazione degli integrali primi diventa:

z∂F

∂ϑ− ω2 sinϑ

∂F

∂z= 0. (16)

Anche in questo caso, come nel precedente, il procedimento di integrazione per separazione dellevariabili ha successo. Si trova, a conti fatti, un integrale primo del tipo

F (ϑ, z) = 12 z2 − ω2 cos ϑ. (17)

Il campo ha due punti singolari: P0 = (ϑ = 0, z = 0) e il punto opposto P1 = (±π, 0). Le orbitedi X sono le curve Qc sul cilindro di equazione

12 z2 − ω2 cos ϑ = c, (18)

che possiamo anche scrivere

z2 = 2 ω2(cosϑ + e), e =c

ω2. (19)

Per la realta di z deve essere c+ω2 cosϑ ≥ 0, quindi −ω2 ≤ c < +∞, vale a dire −1 ≤ e < +∞.Si hanno allora quattro possibilita. (I) Per c = −ω2 (cioe e = −1) dalla (18) si vede che nonpuo che essere ϑ = z = 0. Il questo caso l’orbita Qc si riduce al punto singolare P0. (II) Perc ∈ (−ω2, ω2) (cioe e ∈ (−1, 1)) Qc e una curva chiusa simmetrica rispetto a P0, all’asse z eall’asse ϑ, di equazione

z2 = 2 ω2 (cosϑ + cos ϑ0) (e = cos ϑ0). (20)

(III) Per c = ω2 (cioe e = 1) l’orbita Qc ha equazione

z2 = 2 ω2 (cosϑ + 1) = 4 ω2 cos2(

ϑ

2

)

,

e si spezza pertanto nelle due curve

z = ±2 ω cos

(

ϑ

2

)

che si chiudono nel secondo punto singolare P1 e che chiamiamo curve limite. (IV) Per c > ω2

(cioe e > 1) Qc si sdoppia in due curve chiuse simmetriche esterne alle curve limite (Fig. 1.4.2).•

Lezioni di Meccanica Razionale

Page 30: Lezioni Di Meccanica Razionale

30 Cap. 1 - Sistemi dinamici § 1.4

Fig. 1.4.2 - Le orbite del pendolo semplice.

Esempio 4. Il sistema dinamico di Lotka-Volterra (Alfred James Lotka, 1880-1849; VitoVolterra, 1860-1940). In R

2 si consideri sul dominio aperto D = (x, y) ∈ R2| x > 0, y > 0

costituito dai punti aventi entrambe le coordinate positive (primo quadrante) il campo vettoriale

X = (a − by)x i+ (cx − d)y j, (21)

con (a, b, c, d) numeri reali positivi. Il corrispondente sistema differenziale e:

x = (a − by)x,

y = (cx− d)y.(22)

Questo sistema costituisce il celebre modello di Lotka-Volterra per la dinamica di due popo-lazioni, il cui numero di individui e rappresentato dalle funzioni y(t) e x(t), la prima predatricedella seconda, viventi in un ambiente isolato ideale. L’equazione degli integrali primi diventa:

(a − by)x∂F

∂x+ (cx− d)y

∂F

∂y= 0.

Ancora una volta questa si integra per separazione delle variabili, ponendo cioe F (x, y) = A(x)+B(y). Si trova che una soluzione e

F (x, y) = cx − d log x + by − a log y.

L’analisi della funzione z = F (x, y) mostra che la superficie rappresentativa in R3 e convessa

verso il basso con un minimo nel punto P0 di coordinate

x0 =d

c, y0 =

a

b,

che e punto singolare del campo X. Le orbite Qc, di equazione F = c, si ottengono alloraintersecando questa superficie con il piano z = c (Fig. 1.4.3).

Sergio Benenti

Page 31: Lezioni Di Meccanica Razionale

§ 1.5 Stabilita di punti critici 31

Fig. 1.4.3 - Il grafico della funzione F (x, y) e le orbite F = c.

Stante la convessita della superficie, le orbite risultano delle curve chiuse, che circondano il puntosingolare P0. Di qui si deduce che le curve integrali sono periodiche e che il campo e completo(dunque il numero degli individui delle due popolazioni ha un andamento periodico, sfasato; sein particolare le condizioni iniziali corrispondano al punto singolare, il numero degli individui,per entrambe le specie, e costante nel tempo). Se si valuta il campo X in qualche punto di D,si riconosce che le orbite vengono percorse in senso antiorario (Fig. 1.4.4). •

Fig. 1.4.4 - Le orbite del sistema di Lotka-Volterra.

1.5 Stabilita di punti critici

Ricordiamo (Oss. 8, § 1.1.2) che i punti critici di un campo vettorialeX sono caratterizzati dallaseguente proprieta: un punto P0 ∈ A e critico di X se e solo se la curva

γP0: R → A: t 7→ P0,

che associa ad ogni valore del parametro t il punto P0, e la curva integrale massimale di Xbasata in P0. Infatti l’equazione caratteristica delle curve integrali x = X(x) e identicamente

Lezioni di Meccanica Razionale

Page 32: Lezioni Di Meccanica Razionale

32 Cap. 1 - Sistemi dinamici § 1.5

soddisfatta da γP0: il primo membro si annulla perche la curva ha valore costante, il secondo si

annulla perche P0 e punto critico.

Definizione 1. Un punto critico P0 di un campo vettoriale X si dice stabile se comunquesi fissi un intorno aperto A di P0 esiste un intorno B di P0 tale che per ogni P ∈ B la curvaintegrale massimale γP : IP → M di X e tale che γP (t) ∈ A per ogni t > 0, t ∈ IP (1). Un puntocritico non stabile, per cui cioe questa condizione non e soddisfatta, si dice instabile. Un puntocritico P0 stabile si dice asintoticamente stabile se ammette un intorno B tale che per ognip ∈ B si ha γp(t) → P0 per t → +∞ (2). •

Si osservi che queste due definizioni di stabilita riguardano il ’futuro’, tengono cioe solo contodello sviluppo della curva integrale per t → +∞.

Stabilita di P0: per ogni A esiste un B tale che . . .

Asintotica stabilita di P0: esiste un B tale che . . .

La stabilita o l’instabilita di un punto critico puo in certi casi essere riconosciuta indipendente-mente dalla conoscenza delle sue curve integrali (cioe senza dover integrare il sistema dinamico)

(1) In altre parole: per ogni intorno A esiste un intorno B tale che partendo da un qualunquepunto di B e seguendo una curva integrale, si resta sempre in A, almeno nel futuro, cioe pert > 0.(2) La condizione γp(t) → P0 per t → +∞ significa che comunque si scelga un intorno U di P0

esiste un t1 tale che γP (t) ∈ U per ogni t > t1.

Sergio Benenti

Page 33: Lezioni Di Meccanica Razionale

§ 1.5 Stabilita di punti critici 33

attraverso opportuni criteri di stabilita o di instabilita. Tra questi, fondamentale e il criterio

di Lyapunov (Alexandr Michailovic Lyapunov, 1857 - 1918):

Teorema 1. Se in un intorno di un punto critico P0 del campo X esiste una funzione realedifferenziabile W avente un minimo stretto in P0 e inoltre tale che

〈X , dW 〉 ≤ 0, (1)

allora il punto critico e stabile. Se, escluso il punto P0, vale la disuguaglianza stretta, cioe se

〈X , dW 〉 < 0, (2)

il punto critico e asintoticamente stabile. Se invece e

〈X , dW 〉 > 0, (3)

il punto critico e instabile. Una tale funzione prende il nome di funzione di Lyapunov.

Dimostrazione. Si puo sempre supporre W (P0) = 0 (aggiungendo eventualmente a W unacostante inessenziale). Siccome W ha un minimo stretto in P0, in un suo intorno (con l’esclusionedi P0) si ha W > 0 e le superfici di livello di equazione W = c con c > 0 sono diffeomorfe a dellesfere (di codimensione 1). Si consideri in quest’intorno un tensore metrico (definito positivo)qualsiasi ed il campo vettoriale gradiente di W : grad(W ) = dW ] (3). Per il teorema delgradiente questo campo e ortogonale ad ogni superficie di livello W = c, sempre diretto versol’esterno (cioe nella direzione di W crescente). La condizione (1) si traduce in grad(W ) · X ≤ 0e mostra quindi che i due campi formano in ogni punto un angolo non acuto. Cio sigifica cheil campo X e sempre o diretto verso l’interno delle superfici di livello o tangente a queste (o,in particolare, nullo). Una sua curva integrale, sempre nell’intorno considerato, tende quindiper t cescente a penetrare all’interno di ogni superficie di livello o al piu a restare su una diqueste. Si realizza in tal modo la condizione di stabilita del punto critico. La condizione (2)significa che i due campi formano sempre un angolo acuto e quindi che ogni curva integralepenetra sempre verso l’interno di ogni superficie di livello, tendendo necessariamente al puntoP0. Di qui l’asintotica stabilita. Se infine vale la condizione (3), si ha la situazione opposta:ogni curva attraversa le superfici di livello verso l’esterno e non puo quindi mai realizzare lecondizioni imposte dalla definizione di stabilita.

La precedente e in effetti una dimostrazione ”intuitiva”. Vediamo una dimostrazione rigorosanel solo caso della stabilita. Gli altri due casi si dimostrano con tecnica analoga.

Dimostrazione. Sia W una funzione di Lyapunov soddisfacente alla (1). Non e restrittivosupporre che sia W (P0) = 0 (e quindi W positiva nell’intorno). Si osservi che la condizione (1)equivale alla condizione

dW

dt≤ 0 (1′)

(3) Per la definizione generale di gradiente e il teorema del gradiente si veda l’Oss. 2 § 3.2. Quie sufficiente considerarlo come il campo vettoriale le cui componenti sono le derivate parziali diW rispetto a delle coordinate cartesiane (xα). Questo sottintende la scelta del tensore metricosecondo il quale la base (cα) corrispondente alle coordinate e ortonormale.

Lezioni di Meccanica Razionale

Page 34: Lezioni Di Meccanica Razionale

34 Cap. 1 - Sistemi dinamici § 1.5

lungo ogni curva integrale di X . Questo significa che la funzione W ristretta alla curva edecrescente (per t crescente). Come arbitrario intorno di cui alla definizione di stabilita si puosempre considerare un intorno aperto A di P0 a chiusura compatta. Il bordo (o frontiera) ∂A diA e compatto, sicche la restrizione di W a ∂A ammette un valore minimo µ > 0, positivo perchenell’intorno di P0, escluso P0, e W > 0. Per la continuita di W esiste un intorno B ⊂ A di P0

per cui W |B < µ (si applichi la definizione di continuita: siccome W (P0) = 0, comunque si fissiun intorno Iµ = (−µ, µ) ⊂ R dello zero esiste un intorno B di P0 tale che W (B) ⊂ Iµ). Presoallora un qualunque punto P ∈ B e la corrispondente curva massimale γP : IP → R, se esistesseun t > 0, t ∈ IP , per cui γP (t) ∈ ∂A (e quindi γP (t) /∈ A) risulterebbe W (γp(t)) ≥ µ. D’altraparte, lungo γP , la funzione W e decrescente per cui W (γP (t)) ≤ W (γP (0)) = W (P ) < µ:assurdo.

Il Teorema di Lyapunov.

Osservazione 1. Si noti che tra le possibili funzioni di Lyapunov da utilizzarsi per provare lastabilita vi sono gli integrali primi di X , per i quali nella (1) vale l’uguaglianza. •

Esempio 1. Si consideri su R3 il sistema dinamico

x = (c− b) y z

y = (a − c) z x

z = (b − a) x y

(4)

dove a, b, c ∈ R ea < b < c.

Queste equazioni sono equivalenti alle equazioni di Euler per la velocita angolare in un motorigido spontaneo (§3.7.2). I punti degli assi coordinati sono tutti e soli i punti critici. Dimostri-amo che ogni punto critico (x0, 0, 0) (con x0 6= 0) e stabile costruendo una funzione di Lyapunov.Come si e detto nell’Oss. 1, gli integrali primi sono dei buoni candidati per essere funzioni diLyapunov. Il sistema dinamico (4) ammette i due integrali primi

F = x2 + y2 + z2, G = ax2 + by2 + cz2.

Lo si riconosce in base ai teoremi della dinamica del corpo rigido, ma e comunque immediatoverificarlo direttamente:

F = 2(xx + yy + zz) = 2(

(c − b) + (a − c) + (b − a))

xyz = 0,

G = 2(axx + byy + czz) = 2(

a(c− b) + b(a − c) + c(b − a))

xyz = 0,

Sergio Benenti

Page 35: Lezioni Di Meccanica Razionale

§ 1.5 Stabilita di punti critici 35

Se consideriamo la differenza

G− aF = (b − a)y2 + (c − a)z2,

questa e ancora un integrale primo, e sempre positiva e si annulla su tutto l’asse x. Ha dunqueun minimo, ma non stretto, nel punto (x0, 0, 0). Si puo ottenere un minimo stretto aggiungendoa questa funzione un altro integrale primo, a valori sempre positivi o nulli, nulli su di un insiemedi punti che intersechi l’asse x proprio nel punto critico. Un buon candidato e per esempiol’integrale primo (F − x2

0)2. Infatti e sempre positivo fuorche nei punti di equazione F − x2

0 =x2 + y2 + z2 − x2

0 = 0, cioe sulla sfera centrata nell’origine e di raggio |x0|, quindi passante peril punto critico. In conclusione: la funzione

W = G − aF + (F − x20)

2

e un integrale primo con un minimo stretto in (x0, 0, 0). E dunque una funzione di Lyapunov ela stabilita del punto critico e dimostrata. Allo stesso modo si puo dimostrare che anche i punticritici del tipo (0, 0, z0) con z0 6= 0 sono stabili. •

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Page 36: Lezioni Di Meccanica Razionale

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Capitolo 2

Cinematica

La cinematica studia il moto dei corpi indipendentemente dalle cause che lo provocano e dalleleggi fisiche che lo governano. E quindi un ramo della meccanica avente carattere puramentedescrittivo, che propone modelli matematici per lo spazio fisico ed i corpi che in esso si muovono.La scelta di questi modelli non e unica.

Il modello classico dello spazio fisico osservato da un riferimento e lo spazio affine tridimensionaleeuclideo. E un modello immediatamente percettibile ed accettabile dal nostro intuito. Quandoosserviamo lo spazio che ci circonda, anche a estreme distanze, presupponiamo sempre la scelta diun riferimento, per esempio il nostro laboratorio, il treno su cui viaggiamo, la Terra, un sistemadi tre assi uscenti dal Sole e diretti verso tre stelle fisse, ecc. Identifichiamo un riferimento conun ”corpo rigido” ideale, invadente tutto l’universo, o almeno quella parte di universo in cui sievolve il sistema il cui moto vogliamo descrivere e studiare; questo ”corpo rigido” e modellatonello spazio affine euclideo.

La scelta di un riferimento e, a livello puramente cinematico, una questione di pura convenienzadescrittiva. Due riferimenti debbono essere considerati distinti se i corrispondenti ”corpi rigidi”sono in moto l’uno rispetto all’altro. Cosı, negli esempi sopra citati, il nostro laboratorio e laTerra costituiscono un medesimo riferimento, anche se la loro estensione, e quindi la scala deifenomeni a cui li rapportiamo, e ben diversa. Si pone comunque il problema di stabilire i legamiche intercorrono tra gli enti cinematici associati ad un medesimo moto ma relativi a due diversiriferimenti. A questo problema e dedicato un paragrafo di questo capitolo, ma su di esso siritornera in capitoli successivi.

Il concetto di moto si basa sui due concetti di spazio e di tempo. In questo capitolo il ruolo deltempo e ridotto a quello di parametro o di variabile indipendente. Si vedra nei capitoli successivicome esso possa assumere un carattere diverso, fondendosi con quello di spazio per costituire ununica struttura assoluta: lo ”spazio-tempo”.

Occorre infine scegliere un modello per il corpo o i corpi il cui moto si vuole studiare. Ilmodello fondamentale, ed anche il piu semplice, e quello di ”punto”. Il moto di un puntoe rappresentato da una curva nello spazio affine tridimensionale euclideo. Questo modello eaccettabile solo se l’estensione del corpo e del tutto trascurabile rispetto all’estensione del suomoto e alle altre grandezze significative che intervengono nel fenomeno studiato. Un secondomodello fondamentale e quello di ”corpo rigido”; esso e adottato per quei corpi estesi le cuiparticelle matengono sensibilemente invariate, durante il moto, le mutue distanze.

Versione 05/2007

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2 Cap. 2 - Cinematica § 2.1

2.1 Cinematica del punto

Il moto di un punto e rappresentato da una curva parametrizzata nello spazio affine euclideotridimensionale E3, cioe da un’applicazione γ: I → E3: t 7→ γ(t), con I intervallo di numerireali. La variabile indipendente t ∈ I e il tempo e l’intervallo di definizione I rappresental’estensione temporale del moto. Ad ogni istante t ∈ I corrisponde un punto γ(t) ∈ E3, chedenotiamo anche con P (t). Scelto un punto fisso O ∈ E3, il moto di un punto P (t) ammette unarappresentazione vettoriale

OP = r(t), (1)

la quale, con riferimento ad un sistema di coordinate cartesiane ortonormali (x, y, z) aventiorigine in O, si traduce in equazioni parametriche

x = x(t),

y = y(t),

z = z(t),

(2)

che forniscono la rappresentazione cartesiana del moto. Le funzioni(

x(t), y(t), z(t))

sono lecomponenti del vettore posizione r(t) rispetto ad O (1):

r(t) = x(t) i + y(t) j + z(t) k. (3)

Supporremo queste funzioni di classe C2 almeno. Da questa rappresentazione, con due derivatetemporali successive, si ricavano la velocita (istantanea) e l’accelerazione del punto

v =dr

dt, a =

dv

dt(4)

che sono a loro volta funzioni vettoriali di t. La velocita istantanea e il limite del rapportoincrementale della posizione rispetto al tempo

v(t) = limh→0

1

h

(

r(t+ h) − r(t))

(5)

e l’accelerazione e il limite del rapporto incrementale della velocita

a(t) = limh→0

1

h

(

v(t+ h) − v(t))

(6)

E la derivata seconda del vettore posizione:

a =d2r

dt2(7)

(1) E consuetudine in cinematica denotare con r, anziche con x come fatto in precedenza, ilvettore posizione di un punto nello spazio affine tridimensionale euclideo.

Sergio Benenti

Page 38: Lezioni Di Meccanica Razionale

§ 2.1 Cinematica del punto 3

Le tre funzioni vettoriali del tempo (r, v,a) sono gli enti cinematici fondamentali del moto diun punto. Conveniamo di considerare i vettori v(t) e a(t) applicati nel punto P (t). L’immagineγ(I) della curva rappresentatrice del moto prende il nome di orbita o traiettoria. Si tratta diuna curva non parametrizzata, che nei casi piu comuni e un sottinsieme (connesso) di una curvaregolare dello spazio affine E3. La velocita e tangente all’orbita. Le componenti di v e di a sonole derivate prime e seconde delle funzioni (2):

v = x i + y j + z k,

a = x i + y j + z k.(8)

Consideriamo alcuni tipi particolari di moti.

1 Moto rettilineo uniforme. E un moto con velocita vettoriale v costante, quindi caratter-izzato dalla condizione a = 0. La rappresentazione vettoriale del moto e di conseguenza

r = v t+ r0, (9)

dove r0 e la posizione del punto per t = 0. L’orbita e una retta, percorsa con velocita costante.

2 Moto circolare uniforme. Nel piano (x, y) ha una rappresentazione vettoriale del tipo

r(t) = r (cosωt i + sinωt j), (10)

con (r, ω) costanti (positive). Di conseguenza la velocita e l’accelerazione sono

v(t) = rω (− sinωt i + cosωt j),

a(t) = − rω2 (cosωt i + sinωt j) = −ω2r(t).(11)

Segue che |v| = rω = costante e |a| = rω2 = costante (2). L’accelerazione e sempre direttaverso l’origine (”centro del moto”). La costante ω e la velocita angolare.

3 Moto elicoidale uniforme. Ha una rappresentazione vettoriale del tipo

r(t) = r (cosωt i + sinωt j) + vtk (12)

con (r, ω, v) costanti. E la ”composizione” del moto circolare uniforme dell’esempio precedentecon un moto rettilineo uniforme parallelo all’asse z. La velocita e l’accelerazione sono

v(t) = rω (− sinωt i + cosωt j) + v k,

a(t) = − rω2 (cosωt i + sinωt j).(13)

Entrambi sono vettori di modulo costante.

4 Moto uniformemente accelerato. E un moto ad accelerazione a costante. Con dueintegrazioni successive si ottiene:

v = a t+ v0,

r = 12 a t2 + v0 t+ r0,

(14)

(2) Per le notazioni adottate si veda l’Oss. 1 a fine paragrafo.

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Page 39: Lezioni Di Meccanica Razionale

4 Cap. 2 - Cinematica § 2.1

con v0 ed r0 velocita e posizione all’istante t0. Se a = 0 si ritrova il moto rettilineo uniforme.Se a 6= 0 e v0 e parallelo ad a (in particolare v0 = 0) il moto e rettilineo. Se v0 non e paralleload a, il moto e piano: il piano del moto e individuato dalla terna (P0, v0,a), con P0 puntoposizione iniziale. La traiettoria e una parabola. Sono di questo tipo i moti dei ”gravi”.

5 Moto periodico. Un moto e detto periodico se e definito su tutto l’asse temporale e seesiste un numero T tale che per ogni t ∈ R

r(t) = r(t+ T ). (15)

Se un tal numero esiste, non e unico (si osservi infatti che per ogni intero k, il numero kT

sostituito a T rende ancora valida la (15)). Il piu piccolo dei numeri positivi T per cui vale la(15) e il periodo, ν = 1

T e la frequenza, ω = 2πν = 2πT e la pulsazione. Un esempio e il

moto circolare uniforme. Si noti bene che in un moto periodico l’orbita e chiusa e che anchela velocita e l’accelerazione sono funzioni periodiche. Non e vero il viceversa: se un moto havelocita periodica non e detto che sia periodico (si pensi al moto elicoidale uniforme).

5 Moto piano. E un moto la cui orbita giace su di un piano. Se ne vedranno alcuni esempinotevoli.

Alla rappresentazione vettoriale del moto (1) possiamo affiancare la rappresentazione radiale

di centro O, costituita da una coppia di funzioni del tempo (r(t),u(t)), una scalare l’altravettoriale, tali che:

r = r u, |u| = 1, r > 0 (16)

Pertanto, in ogni istante t, u e il versore del vettore posizione del punto rispetto al centroO mentre r e la sua distanza da questo. Una tale rappresentazione e valida per moti nonpassanti per il centro O. Se ad un certo istante t0 il punto mobile passa per O, nel quale u

risulta indeterminato, puo essere conveniente una rappresentazione radiale (r(t),u(t)) estesa percontinuita a t0, con la funzione r non ristretta a valori positivi (si pensi, per esempio, al semplicecaso del moto di un punto su di una retta per O di versore, costante, u: nell’attraversare O puorestare valida la rappresentazione (16) pur di lasciar assumere ad r valori positivi, negativi enulli).

Un ulteriore ente cinematico associato alla rappresentazione radiale, la cui importanza saramessa in evidenza in seguito, e la velocita areale rispetto ad un punto O:

var = 12

r × v (17)

Si puo dimostrare che se si considera l’area A(t) della superficie descritta dal vettore posizioner(t) a partire da r(0), allora la derivata A coincide, in valore assoluto, con il modulo dellavelocita areale. Lo si constata facilmente nel caso dei moti piani (come vedremo piu avanti).

Osservazione 1. Richiami sugli spazi vettoriali euclidei. Anche per precisare le notazioniadottate, richiamiamo alcune nozioni fondamentali di calcolo vettoriale (altre saranno riportatenel seguito in note a pie’ di pagina, quando necessarie). Un tensore metrico (o metrica) su di

Sergio Benenti

Page 40: Lezioni Di Meccanica Razionale

§ 2.2 Rappresentazione in coordinate generiche 5

uno spazio vettoriale E e una forma bilineare simmetrica non degenere g:E ×E → R: (u, v) 7→g(u, v), cioe tale che

g(u, v) = g(v, v),

g(u, v) = 0, ∀ v ∈ E =⇒ u = 0.

Il numero reale g(u, v) prende il nome di prodotto scalare dei due vettori u e v e lo si denotapiu semplicemente con u · v. Due vettori si dicono ortogonali se u · v = 0. Denotiamo con ‖·‖la forma quadratica associata alla forma bilineare g. Poniamo cioe ‖u‖ = u · u. Data una base(ei) di E (i = 1, . . . , n dove n e la dimensione di E), il tensore metrico si esprime attraverso lamatrice quadrata delle sue componenti definite da

gij = ei · ej ,

detta matrice metrica. E una matrice simmetrica e regolare: gij = gji, det(gij) 6= 0. Unabase e detta canonica se composta da vettori mutuamente ortogonali e unitari, cioe tali che‖ei‖ = ±1. Si dimostra che tali basi esistono e che il numero p dei vettori per cui ‖ei‖ = +1(e quindi il numero q di quelli per cui ‖ei‖ = −1) e invariante. La coppia (p, q) (in questo casop+ q = n) prende il nome di segnatura del tensore metrico. Il una base canonica la matricemetrica e diagonale, con sulla diagonale principale p volte +1 e q volte −1. Uno spazio vettorialeE e strettamente euclideo se su di esso e definito un tensore metrico la cui forma quadraticaassociata e definita positiva, la cui segnatura e quindi (n, 0). In questo caso ad ogni vettore(non nullo) u corrisponde il numero (positivo) |u| =

‖u‖ detto modulo di u. Un vettore dimodulo unitario e detto versore. Si dimostra che vale la disuguaglianza (u · v)2 ≤ ‖u‖ ‖v‖ esi definisce quindi l’angolo ϑ tra due vettori u e v ponendo

cos ϑ =u · v

|u| |v|.

In una base canonica la matrice metrica e la matrice diagonale unitaria (costituita da tutti 1 sulladiagonale principale). Nel caso dello spazio vettoriale (strettamente) euclideo tridimensionalesi definisce anche il prodotto vettoriale di due vettori, che qui denotiamo con u × v, ed ilprodotto misto di tre vettori u × v · w, le cui proprieta e applicazioni sono argomento deicorsi di calcolo vettoriale. Ricordiamo soltanto che il prodotto vettoriale e quindi quello mistopresuppongono la scelta di un orientamento dello spazio vettorialeE (di solito quello della ”manodestra”).

2.2 Rappresentazione in coordinate generiche

Nello spazio affine euclideo tridimensionale E3, oltre a coordinate cartesiane (xα) = (x, y, z)associate ad un riferimento (O, cα) = (O, i, j, k), consideriamo un generico sistema di coordinate(qi) = (q1, q2, q3) su di un dominio D ⊆ E3. Come si e visto al § 1.1.4, un tale sistema e definitoda un’equazione del tipo

OP = r(qi) ⇐⇒ xα = xα(qi), (1)

tale che i vettoriei = ∂ir = Jα

i cα (Jαi = ∂ix

α) (2)

sono linearmente indipendenti in ogni punto di D. Siccome questi vettori (ei) sono funzionidelle coordinate (qi) ha senso considerarne le derivate parziali

∂jei = ∂jir (3)

Lezioni di Meccanica Razionale

Page 41: Lezioni Di Meccanica Razionale

6 Cap. 2 - Cinematica § 2.2

e le componenti dei vettori cosı ottenuti secondo la base (ei), ponendo

∂jei = Γkji ek ⇐⇒ Γk

ji = 〈∂jei, dqk〉 (4)

Le funzioni Γkji prendono il nome di simboli di Christoffel (Elwin Bruno Christoffel, 1829-

1900) delle coordinate (qi). Questi simboli, stante la presenza nella (3) di una derivata parzialeseconda, sono simmetrici rispetto agli indici in basso:

Γkji = Γk

ij . (5)

Osservazione 1. I simboli di Christoffel sono identicamente nulli se e solo se le coordinate sonocartesiane. Dalla definizione (4) si vede infatti che e identicamente Γk

ji = 0 se e solo se i vettoriei sono costanti. Cio accade se e solo se le coordinate sono cartesiane. •

Dato un sistema di coordinate (qi) su di un dominio D ⊆ E3, il moto di un punto (quandoavviene tutto all’interno di D) si rappresenta con equazioni parametriche

qi = qi(t). (6)

Sostituite queste nella (1) si ottiene il vettore posizione in funzione del tempo. Scriviamo allora,con abuso di notazione

OP = r(

qi(t))

= r(t). (7)

Siccome il vettore posizione puo pensarsi dipendere da t attraverso le coordinate (qi), risulta

v =dr

dt= ∂ir

dqi

dt,

dove alle (qi) vanno sostituite le equazioni parametriche (6). Quindi

v = viei (8)

posto

vi =dqi

dt= qi (9)

Si osserva allora che: nella rappresentazione di un moto in coordinate generiche le componentidella velocita, rispetto al riferimento associato (ei), sono le derivate prime delle funzioni rap-presentatrici qi(t) (come nel caso della rappresentazione in coordinate cartesiane). Invece lecomponenti dell’accelerazione non sono le derivate prime delle componenti della velocita vi, cioele derivate seconde delle funzioni qi(t). Infatti, derivando la (8) e tenendo conto che i vettori(ei) dipendono dal parametro t attraverso le coordinate (qi), si ha successivamente:

dv

dt=dvi

dtei + vi dei

dt=dvi

dtei + vi∂jei

dqj

dt

=dvi

dtei + vivjΓk

jiek =

(

dvi

dt+ vjvhΓi

jh

)

ei.

Sergio Benenti

Page 42: Lezioni Di Meccanica Razionale

§ 2.2 Rappresentazione in coordinate generiche 7

Risulta quindi

a = aiei (10)

posto

ai = vi + Γijh v

j vh = qi + Γijh q

j qh (11)

Come si vede, le componenti dell’accelerazione sono le derivate prime delle componenti dellevelocita (cioe le derivate seconde delle corrispondenti coordinate) piu una forma quadratica intali componenti, i cui coefficienti sono i simboli di Christoffel.

2.2.1 Rappresentazione polare di un moto piano

Consideriamo in particolare la rappresentazione in coordinate polari (r, ϑ) del moto di un puntonel piano (x, y). Il vettore posizione e

r = r u = r (cosϑ i + sinϑ j). (1)

La velocita e l’accelerazione assumono la forma

v = r u + r ϑ τ,

a =(

r − r ϑ2)

u +(

2 r ϑ+ r ϑ)

τ.(2)

dove τ e il versore trasverso, ortogonale al versore radiale u nel verso di ϑ crescente, quinditale che

τ = k × u. (3)

Infatti, derivando la rappresentazione radiale r = ru si trova

v = ru + r u.

D’altra parte

u =du

dt= (− sinϑ i + cosϑ j) ϑ,

cioeu = ϑ τ. (4)

Di qui segue la (2)1. Si osserva inoltre, derivando la (3) e tenendo conto della (4), che

τ = − ϑu. (5)

Allora, derivando ancora la (2)1 si trova la (2)2. La velocita e l’accelerazione risultano decom-poste nella somma di due vettori, uno parallelo al versore radiale u, la velocita radiale el’accelerazione radiale rispettivamente, e uno ortogonale a questo, la velocita trasversa el’accelerazione trasversa:

vrad = r u,

vtrasv = r ϑ τ,

arad =(

r − r ϑ2)

u,

atrasv =(

2 r ϑ+ r ϑ)

τ.(6)

Lezioni di Meccanica Razionale

Page 43: Lezioni Di Meccanica Razionale

8 Cap. 2 - Cinematica § 2.2

Inoltre, dalla (1) e dalla (1)1 segue per la velocita areale di un moto piano l’espressione

var = 12 r

2 ϑ k (7)

Essa e dunque un vettore ortogonale al piano del moto il cui modulo e pari alla derivata rispettoal tempo della funzione A(t) data dall’area descritta dal vettore r(t) a partire da un istanteprefissato qualsiasi. Infatti, considerato un qualunque istante t e un incremento positivo ∆tdel tempo, denotati con ∆ϑ e ∆A i corrispondenti incrementi dell’angolo e dell’area, risulta,nell’ipotesi che la funzione r sia crescente nell’intervallo (t, t+ ∆t),

12r2(t) ∆ϑ ≤ ∆A ≤ 1

2r2(t+ ∆t) ∆ϑ,

quindi, dividendo per ∆t > 0,

12r2(t)

∆ϑ

∆t≤

∆A

∆t≤ 1

2r2(t+ ∆t)

∆ϑ

∆t.

Per ∆t→ 0 si trovaA = 1

2r2 ϑ. (8)

Si osservi dalla (6)4 che l’accelerazione trasversa e, a meno di un fattore 2r , la derivata della

velocita areale scalare:

atrasv =1

r

d

dt

(

r2 ϑ)

τ =2

rA τ. (9)

I vettori ei per le coordinate polari sono

er = ∂rr = u, eϑ = ∂ϑr = r τ. (10)

Di qui segue che la (2)2 puo anche scriversi

a =(

r − r ϑ2)

er +

(

ϑ+2

rr ϑ

)

eϑ.

Le componenti dell’accelerazione in coordinate polari sono dunque:

ar = r − r ϑ2, aϑ = ϑ+2

rr ϑ, (11)

Si vede allora, dal confronto con l’espressione generale delle componenti dell’accelerazione, chei simboli di Christoffel non identicamente nulli delle coordinate polari piane sono

Γ122 = Γr

ϑϑ = − r, Γ212 = Γϑ

rϑ =1

r. (12)

Sergio Benenti

Page 44: Lezioni Di Meccanica Razionale

§ 2.2 Rappresentazione in coordinate generiche 9

2.2.2 Il tensore metrico

Denotato con g il tensore metrico, sul dominio D delle coordinate (qi) sono definite le funzioni

gij = g(ei, ej) = ei · ej (1)

che chiamiamo componenti del tensore metrico nelle coordinate (qi). Formano una ma-trice simmetrica e regolare, detta matrice metrica. Le coordinate (qi) sono dette ortogonali

se la corrispondente matrice metrica (gij) e ovunque diagonale:

gij = 0, per i 6= j.

Cio significa che in ogni punto di D i vettori (ei) sono fra loro ortogonali. Il prodotto scalare didue campi vettoriali X e Y si puo calcolare attraverso le loro componenti e la matrice metricacon la formula

X · Y = gij Xi Y j . (2)

Siccome le componenti dei campi vettoriali sono le derivate delle coordinate rispetto al campostesso, X i = 〈X, dqi〉 (si veda il § 1.1.4), il tensore metrico, come forma bilineare, puo esprimersicome combinazione dei prodotti tensoriali dei differenziali delle coordinate:

g = gij dqi ⊗ dqj (3)

Infatti: X · Y = g(X ,Y ) = gij dqi⊗dqj (X,Y ) = gij 〈X , dqi〉 〈Y , dqj〉 = gij X

i Y j , a confermadella (2).

Osservazione 1. In molti testi il tensore metrico e rappresentato dal simbolo ds2 e l’espressione(3) e sostituita dalla scrittura

ds2 = gij dqi dqj (4)

Questa notazione rende in effetti automatico il calcolo delle componenti della metrica. Infatti,posto che in coordinate cartesiane ortonormali si ha

ds2 =

3∑

α=1

(

dxα)2, (5)

se si considerano altre coordinate (qi), si calcolano i differenziali delle equazioni di trasformazionexα = xα(qi),

dxα =∂xα

∂qidqi

e si sostituiscono nella sommatoria (5), si trova un polinomio di secondo grado omogeneo nei(dqi), cioe un’espressione del tipo (4), i cui coefficienti sono

gij =∑

α

∂xα

∂qi

∂xα

∂qj=∑

α

Jαi J

αj = ei · ej ,

Lezioni di Meccanica Razionale

Page 45: Lezioni Di Meccanica Razionale

10 Cap. 2 - Cinematica § 2.2

a conferma della (1). •

Osservazione 2. Quanto ora detto si puo estendere, con qualche attenzione, al caso di unospazio affine euclideo con dimensione e segnatura qualunque. Se la metrica e di segnatura (p, q),in qualunque sistema di coordinate cartesiane ortonormali per il ds2 sussiste l’espressione

ds2 =

p∑

α=1

(

dxα)2

n∑

β=p+1

(

dxβ)2,

dalla quale si parte, procedendo allo stesso modo, per calcolare la matrice metrica in unqualunque altro sistema di coordinate. •

Esempio 1. Per calcolare le componenti del tensore metrico per le coordinate polari (del piano),cilindriche e polari sferiche, anziche calcolare i vettori ei (vedi § 1.6, Cap. I) ed eseguirne iprodotti scalari, si puo partire dalla scrittura

ds2 = dx2 + dy2 + dz2

(che si riduce a ds2 = dx2 + dy2 nel caso del piano) e sostituirvi le espressioni delle coordinatecartesiane in funzione delle coordinate considerate. La (4) diventa rispettivamente nei tre casi:

ds2 = dr2 + r2 dϑ2,

ds2 = dr2 + r2 dϑ2 + dz2,

ds2 = dr2 + r2(

dϑ2 + sin2 ϑ dλ2)

.

(6)

Le coordinate polari sferiche qui considerate sono (r, ϑ, λ) con ϑ colatitudine e λ longitudine. Letre matrici metriche sono dunque:

1 0

0 r2

,

1 0 0

0 r2 0

0 0 1

,

1 0 0

0 r2 0

0 0 r2 sin2 ϑ

.

Si osservi che tutte queste coordinate sono ortogonali. •

Osservazione 3. In analogia con quanto accade negli spazi vettoriali euclidei, la presenza deltensore metrico stabilisce una corrispondenza biunivoca fra campi vettoriali e 1-forme. Ad ognicampo vettoriale X corrisponde la 1-forma denotata con X[ e definita dall’equazione

〈Y ,X[〉 = Y · X (7)

per ogni campo vettoriale Y . Le componenti Xi di questa 1-forma, che chiamiamo componenti

covarianti del campo X , sono date da

Xi = gij Xj. (8)

Sergio Benenti

Page 46: Lezioni Di Meccanica Razionale

§ 2.2 Rappresentazione in coordinate generiche 11

Si ottengono dunque ”abbassando” gli indici con la matrice metrica. Viceversa, ad una 1-formaξ = ξi dq

i corrisponde un campo vettoriale ξ] le cui componenti contravarianti sono date da

ξi = gij ξj , (9)

dove (gij) e la matrice inversa della matrice metrica. Le gij sono le componenti contravariantidel tensore metrico. E importante osservare che vale la formula

〈X, dqk〉 = X · gkh eh, (10)

cioe che il differenziale dqk di una coordinata opera su di un vettore X come il prodotto scalareper il vettore

ek = gkh eh. • (11)

Osservazione 4. Calcolo dei simboli di Christoffel. I simboli di Christoffel Γkij di un

sistema di coordinate (qi), che si dicono di seconda specie, possono calcolarsi con la formula

Γkij = gkh Γijh (12)

dove le funzioni Γijh sono i simboli di Christoffel di prima specie, calcolabili attraverso lederivate delle componenti del tensore metrico con la formula

Γijh = 12

(

∂igjh + ∂jghi − ∂hgij

)

(13)

Per dimostrarlo si pone per definizione

Γijh = ∂iej · eh (14)

e si osserva, dalla definizione dei simboli di Christoffel Γkij , che

Γkij = 〈∂iej , dq

k〉 = ∂iej · ek = ∂iej · eh ghk.

Per cui vale la (12). Si osserva inoltre che il secondo membro della (14) e anche uguale a

∂iej · eh = ∂i(ej · eh) − ∂ieh · ej = ∂igjh − ∂ieh · ej ,

per cui, combinando i due risultati si ottiene l’uguaglianza

Γijh + Γihj = ∂igjh.

Con la permutazione degli indici si ottengono altre due uguaglianze simili:

Γjhi + Γjih = ∂jghi,

Γhij + Γhji = ∂hgij .

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Page 47: Lezioni Di Meccanica Razionale

12 Cap. 2 - Cinematica § 2.2

Sommando membro a membro le prime due e sottraendo la terza, tenuto conto della simme-tria rispetto ai primi due indici dei simboli di Christoffel di prima specie, si ricava propriol’uguaglianza (13). •

Osservazione 5. Calcolo diretto delle componenti dell’accelerazione. Come si vedrapiu avanti quest’osservazione e di fondamentale importanza per lo sviluppo della meccanica. Lecomponenti covarianti dell’accelerazione rispetto ad un qualunque sistema di coordinate(qi),

ai = a · ei, (15)

legate alle componenti contravarianti ai dall’uguaglianza

ai = gij aj , (16)

si possono calcolare per via diretta con la formula

ai =d

dt

∂T

∂qi−∂T

∂qi(17)

dove

T = 12

v · v = 12gij q

i qj (18)

Infatti, osservato che∂T

∂qi= gij q

j ,

d

dt

∂T

∂qi= ∂hgij q

hqj + gijdqj

dt,

∂T

∂qi= 1

2∂igjh q

j qh,

la (17) diventa

ai = gijdqj

dt+ ∂hgij q

hqj − 12∂igjh q

j qh.

Ma, per la simmetria di qj qh e di ghj , si puo anche scrivere

ai = gij qj + 1

2

(

∂jghi + ∂hgij − ∂igjh

)

qj qh

e quindi, per la definizione (13) dei simboli di Christoffel di prima specie,

ai = gij qj + Γjhi q

j qh.

Di qui, con l’innalzamento dell’indice i (si vedano la (12) e la (16)) si conclude che le equazioni(17) sono equivalenti alle (11) di § 2.2. Si noti che una volta scritte le componenti dell’accelerazio-ne secondo la (17), risultano di conseguenza calcolabili immediatamente i simboli di Christoffel.Si noti ancora che la funzione T , che in dinamica si interpreta come energia cinetica di unpunto di ”massa unitaria”, si puo formalmente ottenere dall’espressione del ds2 sostituendo lederivate qi ai differenziali dqi (e dividendo per 2). •

Sergio Benenti

Page 48: Lezioni Di Meccanica Razionale

§ 2.3 Rappresentazione intrinseca 13

Esempio 2. In coordinate polari sferiche (con colatitudine ϑ e longitudine λ) risulta dalla (6):

T = 12

(

r2 + r2 ϑ2 + r2 sin2 ϑ λ2)

.

Calcoliamo gli ”ingredienti” della (17):

∂T

∂r= r,

∂T

∂ϑ= r2 ϑ,

∂T

∂λ= r2 sin2 ϑ λ,

∂T

∂r= r

(

ϑ2 + sin2 ϑ λ2)

,

∂T

∂ϑ= r2 sinϑ cos ϑ λ2,

∂T

∂λ= 0.

Allora la (17) fornisce:

ar = r − r (ϑ2 + sin2 ϑ λ2),

aϑ = r2 ϑ+ 2 r r ϑ− r2 sinϑ cos ϑ λ2,

aλ = r2 sin2 ϑ λ+ 2 r r sin2 ϑ λ+ 2 r2 sinϑ cosϑ ϑ λ.

Queste sono dunque le componenti covarianti dell’accelerazione in coordinate polari. Le compo-nenti contravarianti (ar, aϑ, aλ) si calcolano con la (16) tenendo conto che le componenti dellamatrice diagonale inversa (gij) sono

grr = 1, gϑϑ =1

r2, gλλ =

1

r2 sin2 ϑ.

Allora

ar = ar , aϑ =1

r2aϑ, aλ =

1

r2 sin2 ϑaλ.

Quindi:

ar = r − r (ϑ2 + sin2 ϑ λ2),

aϑ = ϑ+2

rr ϑ− sinϑ cosϑ λ2,

aλ = λ+2

rr λ+ 2

cosϑ

sinϑλ.

Dal confronto con la formula generale (11) §2.2 per le componenti dell’accelerazione, si possonodi qui calcolare i simboli di Christoffel di seconda specie non identicamente nulli:

Γrϑϑ = − r, Γϑ

rϑ = Γϑϑr = Γλ

λr = Γλrλ =

1

r,

Γrλλ = − r sin2 ϑ, Γϑ

λλ = − sinϑ cosϑ, Γλϑλ = Γλ

λϑ = cotϑ. •

2.3 Rappresentazione intrinseca

Dato il moto di un punto, si consideri sull’orbita l’ascissa euclidea s avente origine in un puntoP0. Allora il moto e completamente determinato dalla funzione

s = s(t) (1)

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Page 49: Lezioni Di Meccanica Razionale

14 Cap. 2 - Cinematica § 2.3

dette legge oraria del moto. Questa funzione infatti fa corrispondere ad ogni istante t ∈ I lalunghezza (con segno) dell’arco di orbita che separa il punto P (t) dal punto P0. Orbita e leggeoraria forniscono una descrizione completa del moto, scindendolo nella sua parte puramentegeometrica e nella sua parte temporale. In questa descrizione per la velocita e l’accelerazionesussiste la seguente rappresentazione intrinseca:

v = s t, a = s t + c s2 n (2)

dove t, n e c sono il versore tangente, il versore normale principale e la curvatura

dell’orbita, tutte funzioni di s. Per dimostrare le (2) ricordiamo dalla Geometria la definizionedi questi elementi intrinseci. Data la funzione r(t), con derivata x(t) = v(t), si considera lafunzione integrale

s(t) =

∫ t

0

|v(u)| du. (3)

E la primitiva della funzione |v(t)| tale che s(0) = 0. Si tratta di una funzione monotonacrescente di t (perche l’integrando e positivo), quindi invertibile in una funzione t = t(s). Senell’intervallo temporale I in cui si considera il moto si ha sempre v(t) 6= 0 (non vi sono ”istantidi arresto”) allora la funzione s(t) misura la lunghezza dell’arco di traiettoria compresa tra P0

e P (t). Inoltre anche la funzione inversa t = t(s) e derivabile. In questo caso l’ascissa euclideapuo essere scelta come parametro per rappresentare l’orbita. Il vettore ”velocita” in questaparametrizzazione e

t =dr

ds=dt

ds

dr

dt=dt

dsv (4)

Si tratta di un vettore unitario perche per la definizione (3) si ha s = |v| e quindi

|t| =dt

ds|v| =

|v|

s= 1.

Dalla (4) segue subito la (2)1. Si considera quindi la derivata del versore tangente t rispetto alparametro s e si pone

dt

ds= cn (5)

assumendo c ≥ 0 e |n| = 1. Si definiscono in tal modo due grandezze: lo scalare non negativoc = c(s), detto curvatura della curva, e il versore n = n(s), detto versore normale principaledella curva. Si ha allora successivamente

a =dv

dt=ds

dtt + s

dt

dt= s t + s

dt

ds

ds

dt= s t + c s2 n,

e anche la (2)2 e dimostrata.

Osservazione 1. Il versore n e in ogni punto ortogonale a t, quindi all’orbita, per effettodella seguente proprieta: sia u(s) una funzione vettoriale derivabile nella variabile reale s; se ilmodulo di u e costante allora la sua derivata e un vettore ortogonale a u:

|u(t)| = cost. =⇒ u ·

du

ds= 0.

Sergio Benenti

Page 50: Lezioni Di Meccanica Razionale

§ 2.3 Rappresentazione intrinseca 15

Infatti da u · u = cost. segue:

0 =d

ds(u · u) = 2

du

ds· u.

Si e qui applicata la proprieta, di dimostrazione immediata, che per la derivata di un prodottoscalare vale la regola di Leibniz:

d

ds(u · v) =

du

ds· v + u ·

dv

ds.

Analoga proprieta vale per il prodotto vettoriale:

d

ds(u× v) =

du

ds× v + u ×

dv

ds. •

Osservazione 2. Dalla rappresentazione intrinseca (2) si osserva che l’accelerazione e la sommadi due vettori diretti secondo la tangente all’orbita e alla normale principale,

at = s t, an = c s2 n, (6)

che chiamiamo rispettivamente accelerazione tangente e accelerazione normale. Di con-seguenza in ogni punto P dell’orbita l’accelerazione appartiene al piano individuato dai versori(t,n), detto piano osculatore in P . Le funzioni s e s sono dette rispettivamente velocita

scalare e accelerazione scalare. •

Esempio 1. Moto uniforme. E per definizione un moto a velocita scalare costante, quindicaratterizzato dalla condizione |v| = cost. ovvero s = costante. Non esistono istanti di arresto,a meno che non sia proprio v = 0, nel qual caso il punto e immobile e la sua orbita si riduce adun punto. Al di fuori di questo caso l’orbita ammette sempre il versore tangente t. Dalla (2)2 sivede che un moto e uniforme se e solo se la sua accelerazione e sempre normale alla traiettoria.Esempi sono il moto rettilineo uniforme, il moto circolare uniforme, il moto elicoidale uniforme,gia considerati. •

Esempio 2. Se consideriamo in un intervallo temporale ∆t > 0 l’incremento ∆A dell’area dellasuperficie descritta da r nell’intervallo (t, t+ ∆t), questo, a meno di infinitesimi di ordine supe-riore a ∆t, e pari all’area del triangolo formato da r(t) e dal vettore ∆s t, dove ∆s e l’incrementod’arco euclideo. Ricordato il significato geometrico del prodotto vettoriale, quest’area e data da12 ∆s|r × t|. Pertanto dividendo per ∆t e passando al limite per ∆t→ 0 si trova:

A = 12s |r × t| = 1

2|r × v|.

Si ha cosı una dimostrazione ”intuitiva” della proprieta della velocita areale var = 12 r×v (§2.1).

Aggiungiamo ancora alcune osservazioni di carattere essenzialmente geometrico.

Osservazione 3. Dalla (5) si nota che lo scalare c misura la rapidita con cui cambia la tangentealla curva al variare del parametro euclideo s. Se c 6= 0, l’inverso

% =1

c

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Page 51: Lezioni Di Meccanica Razionale

16 Cap. 2 - Cinematica § 2.4

prende il nome di raggio di curvatura della curva. Se t e costante, la curvatura e nulla e ilversore normale principale e indeterminato. E questo il caso delle rette. Infatti, se t = cost.dalla (4) segue r(s) = s t + r0, con r0 = r(0). •

Osservazione 4. Il vettore unitario

b = t × n (7)

prende il nome di versore binormale. In ogni punto della curva e pertanto definita una ternadi versori fra lo ortogonali (t,n, b), detta terna fondamentale o triedro fondamentale.Siccome per la derivazione di un prodotto vettoriale vale la regola di Leibniz, si ha

db

ds=dt

ds× n + t ×

dn

ds= t ×

dn

ds.

Quindi la derivata di b e ortogonale a t. Ma essa e anche ortogonale a b, perche b ha modulocostante. E dunque necessariamente parallela a n. Si pone allora

db

ds= τ n (8)

Lo scalare τ = τ(s) cosı definito prende il nome di torsione della curva. La torsione da lamisura di quanto la curva si discosti da una curva piana (si veda a questo proposito l’Esercizio3). Le formule precedenti (5) e (8) esprimono la derivata rispetto al parametro euclideo s deiversori t e b. La derivata di n e invece data dalla formula

dn

ds= −c t − τ b (9)

che non introduce ulteriori caratteristiche scalari intrinseche della curva. Infatti da n = b × t

segue:dn

ds=db

ds× t + b×

dt

ds= τ n × t + c b× n.

Le formule (5), (8) e (9) sono chiamate formule di Frenet (Jean Frederic Frenet, 1816-1900).

Esercizio 1. Dimostrare che una circonferenza di raggio R ha curvatura costante pari a 1R

. •

Esercizio 2. Calcolare la curvatura e la torsione di un’elica di raggio R e passo p. Ricordiamoche l’elica e l’orbita di un moto elicoidale, cioe della composizione di un moto circolare uniformee da un moto rettilineo uniforme in direzione ortogonale al piano del moto circolare; inoltre ilpasso e la distanza tra due punti che si corrispondono dopo un giro completo nel moto circolare.•

Esercizio 3. Dimostrare che una curva e piana se e solo se la sua torsione e ovunque nulla.Suggerimento: la condizione τ = 0 equivale (si veda la (8)) a b = costante, e questa implicab · r = costante; di qui far seguire che il moto e piano. Viceversa, se la curva sta su di unpiano, sia il versore tangente che il versore normale principale sono tangenti al piano, e quindib e ortogonale a questo, dunque e costante; per cui τ = 0. •

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§ 2.4 Moti centrali 17

2.4 Moti centrali

Un moto si dice centrale se esiste un punto fisso O ∈ A, detto centro del moto, tale che ilvettore accelerazione a(t) e in ogni istante t parallelo al vettore OP = r(t). Questa condizionedi parallelismo si traduce nell’equazione caratteristica dei moti centrali

a × r = 0 (1)

Un’altra caratterizzazione dei moti centrali e la seguente.

Teorema 1. Un moto e centrale se e solo se la velocita areale vettoriale e costante:

var = cost. (2)

Dimostrazione. Per la derivazione di un prodotto vettoriale vale la regola di Leibniz, quindi:

d

dt(r × v) =

dr

dt× v + r ×

dv

dt= v × v + r × a = r × a,

per cui si ha 2var = r × v = cost. se e solo se r × a = 0.

E notevole il fatto che

Teorema 2. Un moto centrale e un moto piano.

Dimostrazione. Da OP × v = 2var = cost. segue che il punto P (t) si trova sempre sul pianoper O ortogonale al vettore costante var.

In particolare si ha un moto rettilineo se e solo se la velocita areale e nulla (lo chiamiamo moto

centrale degenere). Infatti la condizione OP × v = 0 equivale al parallelismo tra il vettoreposizione OP e la velocita v, per cui il punto si muove su di una retta passante per O.

Nello studio di un moto centrale e conveniente utilizzare coordinate polari (r, ϑ) sul piano delmoto, aventi polo nel centro O. Si denota con k il versore dell’angolo ϑ ortogonale a talepiano. Ricordata l’espressione della velocita areale in coordinate polari (formula (17), §2.2.1)dal Teorema 1 segue che

Corollario 1. In un moto centrale la grandezza

c = r2 ϑ (3)

e costante (e detta costante delle aree).

Osservazione 1. Si vede dalla (3) che in un moto centrale con c 6= 0 le funzioni r(t) e ϑ(t) nonsi annullano mai. Dunque il punto non passa mai per il centro del moto e per un osservatoreposto nel centro O il punto P ruota sempre nella stessa direzione, con velocita angolare tantopiu piccola quanto piu il punto P e distante da O. •

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Page 53: Lezioni Di Meccanica Razionale

18 Cap. 2 - Cinematica § 2.4

Osservazione 2. Se di un moto centrale si conoscono la costante delle aree c 6= 0, l’equazionepolare r = r(ϑ) della traiettoria e l’angolo ϑ0 all’istante t = 0, allora il moto e completamentedeterminato. Basta infatti calcolare l’integrale (si veda la (3))

t(ϑ) =1

c

∫ ϑ

ϑ0

r2(x) dx. (4)

Esso fornisce una funzione monotona, quindi invertibile in una funzione ϑ = ϑ(t) che insiemeall’equazione della traiettoria r = r(ϑ) definisce completamente il moto. •

Osservazione 3. In un moto centrale non degenere la velocita e l’accelerazione risultanodeterminate dalla conoscenza dell’orbita e della costante delle aree. Se infatti si rappresental’orbita con un’equazione r = r(ϑ), la velocita e l’accelerazione si calcolano con le formule

v = c

(

−d

1

ru +

1

)

, a = −c2

r2

(

1

r+

d2

dϑ2

1

r

)

u (5)

Queste sono chiamate formula di Binet (Jacques Binet, 1786-1856) (per quanto fossero gianote, sotto altra forma, a Isaac Newton (1642-1727)). Per dimostrare le (5) si osserva che

ϑ =c

r2,

e quindi:

r =dr

dϑϑ = c

1

r2dr

dϑ= − c

d

1

r,

r =dr

dt=dr

dϑϑ = − cϑ

d2

dϑ2

1

r= −

c2

r2d2

dϑ2

1

r.

Si sostituiscono allora queste espressioni di ϑ, r e r nelle rappresentazioni polari della velocitae dell’accelerazione, tenendo conto che per definizione di moto centrale l’accelerazione trasversasi annulla identicamente. •

Osservazione 4. Deduzione della legge di gravitazione universale. Utilizzando la teoriadei moti centrali ed in particolare la seconda formula di Binet, si puo facilmente dedurre la leggedi gravitazione universale a partire dalle leggi di Keplero (Johann Kepler, 1571-1630) di solitoenunciate come segue:

I. Le orbite dei pianeti sono ellittiche e il Sole occupa uno dei fuochi.

II. Le aree descritte dal raggio vettore che va dal Sole ad un pianeta sono proporzionali ai tempiimpiegati a descriverle.

III. I quadrati dei tempi impiegati dai pianeti a percorrere le loro orbite sono proporzionali aicubi dei semiassi maggiori.

Queste leggi furono dedotte da una enorme massa di dati astronomici raccolti dal maestro diKepler, Tycho Brahe (1546-1601). I pianeti vengono rappresentati da punti mobili nel riferimentocentrato nel Sole, che e un punto fisso, con orientamento invariabile rispetto alle stelle fisse. Laprima legge mostra innanzitutto che il moto di un pianeta e piano. La seconda legge afferma che

Sergio Benenti

Page 54: Lezioni Di Meccanica Razionale

§ 2.5 Moti su di una superficie 19

la velocita areale rispetto al Sole e costante. Di qui segue che il moto di ogni pianeta e centraledi centro il Sole.

La prima legge afferma che l’orbita di ogni pianeta e ellittica. Sappiamo che l’equazionedell’ellisse in coordinate polari centrate in uno dei fuochi e

r =p

1 + e cos ϑ, (6)

dove

p =b2

a(7)

e il parametro, con (a, b) semiassi maggiore e minore rispettivamente, e

e =

1 −b2

a2≤ 1 (8)

e l’eccentricita. Poiche il moto centrale, per il Teorema 3 sappiamo che e possibile, appli-cando la formula di Binet, determinare l’accelerazione a partire dall’orbita. Sostituendo alloral’espressione

1

r=

1

p

(

1 + e cosϑ)

nella seconda delle (5) si ottiene semplicemente

a = − γ1

r2u, (9)

posto

γ =c2

p. (10)

E cosı dimostrato che l’accelerazione di ogni pianeta e diretta e orientata verso il Sole ed einversamente proporzionale al quadrato della distanza dal Sole. Tutto questo segue dalle primedue leggi di Keplero.

La terza legge, denotato con T il periodo di rivoluzione del pianeta, afferma che la quantita

a3

T 2

non dipende dal pianeta. E quindi un invariante del sistema solare. Da questa invarianza seguel’universalita della legge (9), cioe che la costante γ che vi compare non dipende dal pianeta.Infatti, per il significato di velocita areale l’area A = πab dell’orbita ellittica di un pianeta edata da

A = 12

∫ T

0

r2 ϑ dt =c

2

∫ T

0

dt = 12c T.

Vale quindi dall’uguaglianzaπab = 1

2c T.

Lezioni di Meccanica Razionale

Page 55: Lezioni Di Meccanica Razionale

20 Cap. 2 - Cinematica § 2.5

Per il coefficiente γ si ricava quindi l’espressione

γ =c2

p=

4 π2 a2 b2

T 2

a

b2= 4 π2 a3

T 2,

Per la terza legge questo e un numero indipendente dal pianeta. •

2.5 Moti su di una superficie

Si consideri una superficie regolare Q nello spazio affine euclideo E3. Data una sua rappresen-tazione parametrica

OP = r(qi) (i = 1, 2), (1)

il moto di un punto P (t) sulla superficie Q (piu precisamente sul dominio D ⊆ Q delle coordinate(qi)) si rappresenta con equazioni parametriche

qi = qi(t) (i = 1, 2). (2)

Infatti, sostituite queste nella (1) si ottiene il vettore posizione in funzione del tempo

OP = r(

qi(t))

= r(t). (3)

Derivando rispetto al tempo si trova

v =dr

dt= ∂ir q

i,

cioev = qi ei (4)

posto (§1.1.4)ei = ∂ir. (5)

Dunque le componenti della velocita secondo la base (ei) tangente alla superficie sono propriole derivate delle coordinate.

Fig. 2.5.1 - Rappresentazione parametrica di una superficie.

Sergio Benenti

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§ 2.5 Moti su di una superficie 21

Consideriamo ora un vettore w(t) dipendente dal tempo, applicato in P (t) e tangente alla su-perficie. Supposto derivabile rispetto a t, in generale la sua derivata w non e piu un vettoretangente alla superficie. Per esprimere questa derivata si osserva che le derivate parziali dei vet-tori (ei) non sono piu in generale tangenti ma si decompongono in una parte tangente ed in unaparte ortogonale (o ”normale”) alla superficie. La parte tangente si esprime come combinazionelineare degli stessi (ei) e la parte normale attraverso uno dei due versori normali alla superficieN . Scriviamo pertanto

∂iej = Γkij ek +Bij N (6)

Risultano di conseguenza definiti due sistemi di funzioni, (Γhij) e (Bij), entrambi simmetrici negli

indici in basso,Γh

ij = Γhji, Bij = Bji, (7)

perche ∂iej = ∂i∂jr = ∂j∂ir = ∂jei. Le funzioni (Γhij) prendono il nome di simboli di

Christoffel di seconda specie della superficie nelle coordinate (qi). Le funzioni (Bij)possono interpretarsi come componenti di una forma bilineare simmetrica B sui vettori tangentialla superficie, detta seconda forma fondamentale o tensore di curvatura della superficie.

Ritornando al vettore w(t), posto w = wi ei, per la sua derivata si ha successivamente:

dw

dt=dwi

dtei + wi dei

dt=dwi

dtei +wi∂jei

dqj

dt

=

(

dwk

dt+ Γk

ji

dqj

dtwi

)

ek + Bjidqj

dtwi N .

(8)

La derivata di w(t) risulta pertanto decomposta nella somma di un vettore ortogonale allasuperficie e di un vettore tangente

D(i)w =(

wk + Γkji q

j wi)

ek (9)

a cui diamo il nome di derivata intrinseca o derivata interna del vettore tangente allasuperficie w(t). Le sue componenti sono

dwk

dt+ Γk

jiqj vi. (10)

Fig. 2.5.2 - Derivata intrinseca di un vettore w(t).

Lezioni di Meccanica Razionale

Page 57: Lezioni Di Meccanica Razionale

22 Cap. 2 - Cinematica § 2.5

Osservazione 1. Geometria interna ed esterna di una superficie. Per comprendere egiustificare l’attributo ”intrinseco” o ”interno” dato al vettore (9) e essenziale osservare quantosegue. Per ogni coppia di vettori (u, v) tangenti alla superficie in un medesimo punto, quinditali che u = ui ei e v = vj ej , il prodotto scalare assume la forma

u · v = Aij ui vj , (11)

posto

Aij = ei · ej (12)

Si definisce in questo modo una matrice 2× 2 di funzioni, simmetrica e regolare, detta matrice

metrica superficiale, quindi una forma bilineare simmetrica A (ovvero una forma quadrat-ica) sui vettori tangenti a Q in un medesimo punto detta prima forma fondamentale dellasuperficie. In altri termini, la prima forma fondamentale e la restrizione del tensore metrico g

in E3 ai vettori tangenti alla superficie.

Per quel che riguarda la seconda forma fondamentale B, osserviamo che moltiplicando scalar-mente la (6) per il versore normale N si ottiene

Bij = ∂iej · N = − ∂iN · ej (13)

Come si vede da quest’ultima espressione, le (Bij) forniscono una misura del variare del versorenormale alla superficie e quindi la curvatura della superficie stessa.

Immaginiamo la superficie Q materializzata in una membrana sottile flessibile ma inestendibile.Le proprieta metriche delle figure che possono tracciarsi su tale foglio e che prescindono darelazioni con lo spazio ambiente esterno e che quindi sono invarianti rispetto a flessioni dellasuperficie, fanno parte della cosiddetta geometria interna della superficie. Tali proprietasono tutte determinate dalla prima forma fondamentale A e quindi, qualunque sia il sistema dicoordinate superficiali (qi), dalle sue componenti (Aij) e da tutte le sue derivate parziali. Invece,la geometria esterna della superficie tiene conto del modo con cui la membrana e immersanello spazio ambiente e dipende anche dalla seconda forma fondamentale B. Nei testi classici lecomponenti della prima e della seconda forma fondamentale sono denotate rispettivamente con(E, F, G) e (L,M,N ); si pone cioe

E = A11, F = A12 = A21, G = A22,

L = B11, M = B12 = B21, N = B22. •(14)

Osservazione 2. Calcolo diretto dei simboli di Christoffel. Moltiplicando la (6) scalar-mente per eh e con un procedimento del tutto analogo a quello svolto in § 2.2.2 (Oss. 4) sidimostra che

Γkij = Akh Γijh (15)

posto

Γijh = 12

(

∂iAjh + ∂jAhi − ∂hAij

)

(16)

Sergio Benenti

Page 58: Lezioni Di Meccanica Razionale

§ 2.5 Moti su di una superficie 23

dove (Aij) e la matrice inversa di (Aij). Le funzioni Γijh sono i simboli di Christoffel di

prima specie della superficie. Siccome questi (e quindi i simboli di seconda specie Γkij) sono

calcolabili a partire dai coefficienti della prima forma fondamentale e dalle loro derivate, siconclude, come si voleva sottolineare, che il vettore (9) dipende dalla sola geometria internadella superficie. •

Fatte queste osservazioni, si consideri il caso particolare, ma fondamentale, in cui il vettore w(t)e il vettore velocita v(t). In tal caso la sua derivata coincide con l’accelerazione a e la (8) diventa

a =dv

dt=(

qk + Γkij q

i qj)

ek +Bij qi qj N (17)

Chiamiamo allora accelerazione intrinseca o interna la sola parte tangente alla superficie,cioe la derivata intrinseca del vettore velocita:

a(i) = D(i)v (18)

Le sue componenti sono (vista la (10)):

ak(i) = qk + Γk

ij qi qj (19)

Fig. 2.5.3 - Accelerazione intrinseca.

E importante osservare l’analogia tra questa formula e quella delle componenti dell’accelerazionedi un punto in uno spazio affine riferito a coordinate generiche.

La (17) mette anche in evidenza che la componente normale alla superficie dell’accelerazione faintervenire solo la seconda forma fondamentale B della superficie, valutata sul vettore velocita.Posto allora

a(N) = B(v)N = Bij qi qj N , (20)

la (17) diventa

a = a(i) + a(N) (21)

Lezioni di Meccanica Razionale

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24 Cap. 2 - Cinematica § 2.6

Osservazione 3. Calcolo diretto dell’accelerazione intrinseca. Per le componenti covari-anti dell’accelerazione intrinseca di un punto su di una superficie

ai = a · ei = a(i) · ei

valgono le stesse formule viste nell’Oss. 5 di § 2.2.2 con le gij sostituite dalle Aij e con gli indiciche assumono valori (1, 2). Infatti queste seguono dall’espressione (16) dei simboli di Christoffeldi prima specie della superficie, formalmente analoga a quella vista in §2.2.2. •

2.6 Moti geodetici

Nello spazio affine euclideo tridimensionale un moto rettilineo uniforme e per definizione unmoto a velocita vettoriale v costante, cioe un moto ad accelerazione identicamente nulla: a = 0.La traiettoria e una retta. Un moto di questo tipo e anche detto inerziale. Il concetto di motoinerziale si puo estendere al caso di un punto mobile sopra una superficie alla maniera seguente:

Definizione 1. Il moto di un punto su di una superficie si dice moto geodetico o moto

inerziale se l’accelerazione intrinseca e identicamente nulla:

a(i) = 0 (1)

Chiamiamo geodetiche della superficie le orbite dei moti geodetici. •

Siccome l’accelerazione intrinseca e la parte tangente alla superficie dell’accelerazione, dalladecomposizione ortogonale-tangente (si veda la (21) del § precedente) segue che: un moto egeodetico se e solo se l’accelerazione e sempre ortogonale alla superficie:

a = a(N) (2)

Dalla (19) del § precedente segue inoltre che i moti geodetici sono caratterizzati dalle equazionidifferenziali

d2qk

dt2+ Γk

ij

dqi

dt

dqj

dt= 0 (3)

dette equazioni delle geodetiche.

E importante osservare che queste equazioni equivalgono al sistema di quattro equazioni dif-ferenziali

dqi

dt= vi,

dvk

dt= −Γk

ijvivj ,

(4)

nelle quattro funzioni incognite(

qi(t), vk(t))

. Ne consegue che i moti geodetici sono le curveintegrali di un sistema dinamico X sopra lo spazio TQ dei vettori tangenti alla superficie Q.Questo spazio puo essere interpretato come superficie di dimensione 4 immersa nello spazioTE3 a 6 dimensioni dei vettori applicati di tutto lo spazio affine euclideo tridimensionale E3,oppure come varieta differenziabile di dimensione 4 (come meglio si vedra in un successivo

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§ 2.6 Moti geodetici 25

capitolo) rappresentata dalle coordinate (qi, vj); le prime due sono coordinate sulla superficieQ, le seconde sono le componenti dei vettori tangenti secondo queste coordinate. Al campo X

si da il nome (con abuso di linguaggio) di flusso geodetico della superficie. A questo campovettoriale possiamo applicare tutte le considerazioni svolte per i sistemi dinamici in generale. Inprimo luogo, in base al teorema di Cauchy, possiamo affermare che:

Proposizione 1. Assegnato un vettore v0 tangente ad una superficie regolare Q in un puntoP0, esiste uno ed un solo moto geodetico massimale (cioe con estensione temporale massimale)avente velocita v0 per t = 0.

In secondo luogo possiamo considerare integrali primi delle geodetiche, cioe integrali primidel sistema dinamico (4). Questi sono, per definizione, funzioni sullo spazio TQ a valori reali (oanche funzioni a valori vettoriali) costanti lungo le soluzioni del sistema (4), cioe lungo le geode-tiche. Si tratta, nel nostro caso, di funzioni del tipo F (r, v), cioe dipendenti dal vettore posizioner e dalla velocita v, le quali, subordinatamente alla condizione che il moto r(t) avvenga sullasuperficie e che la corrispondente accelerazione intrinseca sia nulla, soddisfano alla condizione

d

dtF (r(t), v(t)) = 0 (5)

Ad esempio (esempio notevole) abbiamo

d

dtv2 = 2 v · a = 0

perche v e tangente alla superficie mentre a, riducendosi al solo termine a(N), e ortogonale aquesta. Pertanto la semplice funzione v2, ovvero |v|, e un integrale primo. Di qui segue che

Proposizione 2. I moti geodetici sono moti uniformi.

Possiamo riesaminare questa circostanza da un altro punto di vista, considerando la rappresen-tazione intrinseca dell’accelerazione:

a = s t + c s2 n.

Siccome il versore t tangente alla curva e anche tangente alla superficie, la condizione a = a(N)

caratteristica dei moti geodetici equivale alle due condizioni

s = 0, c s2 n = Bij vi vj N . (6)

La prima di queste afferma che il moto e uniforme (|v| = s =cost.). La seconda mostra in parti-colare che il versore normale principale alla curva e parallelo (cioe uguale o opposto) al versorenormale alla superficie. Osservato che l’uniformita del moto e un fatto puramente cinematico,mentre la condizione n = ±N e essenzialmente geometrica, si deduce la seguente proprietacaratteristica delle geodetiche, proprieta che puo essere assunta come definizione:

Proposizione 3. Una geodetica e una curva tale che in ogni suo punto il versore normaleprincipale e ortogonale alla superficie.

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26 Cap. 2 - Cinematica § 2.6

Osservazione 1. Interpretazione variazionale delle geodetiche. Le geodetiche di unasuperficie sono caratterizzate da una notevole proprieta geometrica la cui trattazione rientranell’ambito del calcolo delle variazioni. Non disponendo per ora di questo calcolo, possiamoricorrere ad una affermazione di carattere intuitivo: le geodetiche sono le curve a lunghezzastazionaria. Si vuol dire che se si fissano due punti qualunque della superficie, tra tutte le curvetracciate su questa e aventi i due punti come estremi, le geodetiche sono quelle di lunghezzastazionaria (in particolare minima) rispetto a curve prossime. Gli esempi seguenti chiarirannoquesto concetto (si osservera anche che di geodetiche congiungenti due punti prefissati ne possonoesistere piu di una, anche infinite). Una semplice interpretazione fisica di questa definizione ela seguente: se un filo flessibile e teso su di una superficie liscia, esso traccia su di questa unageodetica. •

Osservazione 2. Interpretazione dinamica delle geodetiche. Anticipiamo alcune consid-erazioni di carattere dinamico che saranno riprese nel capitolo seguente. Si consideri un puntomobile sopra una superficie fissa. L’equazione dinamica del moto e ma = F a + F r, dove m e lamassa, F a e il vettore rappresentante la forza attiva agente sul punto ed F r e la forza reattivao reazione vincolare esercitata dalla superficie sul punto. Si dice che la superficie e liscia se lareazione vincolare e sempre ortogonale a questa. Si dice inoltre che il punto si muove di moto

spontaneo se la forza attiva e nulla, cioe se il punto e soggetto alla sola reazione vincolare.In questo caso l’equazione del moto diventa semplicemente ma = F r. Se la superficie e liscia,segue da questa equazione che l’accelerazione e sempre ortogonale alla superficie, cioe che lasua accelerazione intrinseca e sempre nulla. Pertanto: il moto spontaneo di un punto su di unasuperficie liscia e un moto geodetico. •

Fig. 2.6.1 - Le geodetiche del cilindro.

Esempio 1. Superfici sviluppabili. La loro geometria interna e, localmente, quella del pianoeuclideo. Consideriamo per esempio un cilindro. Se lo si taglia lungo una sua direttrice, lo sisviluppa in una striscia del piano compresa tra due rette parallele. Un punto di una delle duerette viene identificato con il punto ortogonalmente opposto sull’altra retta. Poiche le geodetichedel piano sono le rette, le geodetiche del cilindro sono rappresentate, nello sviluppo, o da retteparallele alle rette limite della striscia, o da segmenti di rette trasversi alla striscia fra loro

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§ 2.6 Moti geodetici 27

paralleli ed equidistanti. Pertanto, sul cilindro, esse danno luogo a delle eliche (Fig. 2.6.1),eventualmente degeneri, cioe direttrici o circonferenze. Due punti distinti non giacenti su di unacirconferenza sono congiungibili da infinite geodetiche.

Un cono e invece sviluppabile in una parte di piano compresa fra due semirette a e a′ uscenti daun punto V (vertice). Un punto P ∈ a e identificato col punto P ′ ∈ a′ equidistante da V . Uncaso particolare di geodetica e fornito dalle semirette uscenti da V : sono le direttrici del cono. Sevogliamo invece altre geodetiche, cominciamo col tracciare una semiretta a partire da un puntoA ∈ a, interna allo sviluppo del cono. Preso il punto A′ ∈ a′ corrispondente all’estremo A ∈ a,proseguiamo la geodetica con una semiretta che parte da A′ con lo stesso angolo di incidenzache la semiretta precedente ha in A, ma in senso opposto rispetto al vertice V , come indicato inFig. 2.6.2. Analogamente si procede sulle eventuali altre intersezioni di queste semirette con lesemirette limite. •

Fig. 2.6.2 - Le geodetiche del cono.

Esercizio 1. Quante intersezioni avra una geodetica del cono (non direttrice) con se stessa? Sistudi come varia questo numero al variare dell’angolo di apertura del cono. Si applichi questostudio per risolvere il seguente problema di statica: una ”collana” costituita da un filo sottilecon appeso un ”ciondolo” viene apppoggiata sopra un sostegno conico circolare ad asse verticale,liscio. Quale deve essere l’apertura di questo cono perche la collana non si sfili? •

Esempio 2. La sfera. Sia O il centro di una sfera e sia r = OP il vettore posizione di ungenerico punto P di questa. Osserviamo subito che la funzione (vettoriale) r × v e un integraleprimo delle geodetiche. Infatti, derivando questo prodotto e imponendo la condizione a = a(N)

caratteristica delle geodetiche si trova

d

dt(r × v) = v × v + r × a = r × a(N) = 0,

perche a(N) e parallelo ad N ed i vettori (r,N) sono paralleli. Allora lungo una geodetica dellasfera il vettore K = r × v e costante (si noti che tale vettore non puo essere nullo). Questo

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28 Cap. 2 - Cinematica § 2.6

implica che il vettore posizione r e sempre ortogonale ad un vettore costante K. Dunque ilvettore r descrive necessariamente una circonferenza di raggio massimo, intersezione della sferacol piano passante per il suo centro O e ortogonale a K . La stessa proprieta puo dimostrarsi,in via piu breve, utilizzando quanto gia noto per i moti centrali. Infatti la condizione a = a(N)

sulla sfera implica che l’accelerazione e sempre diretta verso il suo centro: i moti geodetici dellasfera sono dunque moti centrali di centro il centro della sfera. Siccome i moti centrali sono pianie contengono il centro del moto, si conclude che le orbite sono circonferenze massime. •

.........................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................

..................

..........................

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......

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···························································································

......................................................

............

............

............

............

............

............

................

.......................

............................................

O

K

r

v

Fig. 2.6.3 - Le geodetiche della sfera.

Esempio 3. Superfici di rotazione. Si consideri una superficie regolare di rotazione intornoad un asse di versore u. Sia O un punto qualunque di questo asse e sia r = OP il vettoredi posizione di un generico punto P della superficie. In questo caso la funzione u × r · v eun integrale primo delle geodetiche. Infatti, derivando questo prodotto misto, e imponendo lacondizione a = a(N) caratteristica delle geodetiche si ha successivamente:

d

dt(u × r · v) = u × v · v + u × r · a = u × r · a(N) = 0,

perche a(N) e parallelo a N ed i vettori (u, r,N) sono complanari. Osserviamo ora che ilvettore u× r e tangente al parallelo passante per P e ha modulo pari alla distanza ρ del puntoP dall’asse di rotazione. Sicche, detto ϑ l’angolo formato tra questo e il vettore velocita v edosservato che quest’ultimo per i moti geodetici ha modulo costante, dall’integrale primo dellegeodetiche u× r · v = costante deduciamo che: per ogni curva geodetica su di una superficie dirotazione si ha

ρ cosϑ = cost.

dove ρ e la distanza dall’asse di rotazione e ϑ e l’angolo formato con il parallelo. Questo e ilteorema di Clairaut (Alexis Claude Clairaut, 1713-1765). •

Esercizio 2. Si consideri il teorema di Clairaut nei casi sopra considerati (sono tutte superficidi rotazione). Nel caso del cilindro si riconosce immediatamente che le geodetiche sono delleeliche, perche ϑ = costante. Nel caso del cono si vede che una geodetica, allontanandosi dalvertice, tende asintoticamente a porsi perpendicolare ai paralleli, perche crescendo ρ, cosϑ devetendere a zero. •

Sergio Benenti

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§ 2.7 Rotazioni 29

Fig. 2.6.4 - Le geodetiche di una superficie di rotazione.

2.7 Rotazioni

Un endomorfismo ortogonale o isometria e un endomorfismo Q su di uno spazio vettorialeeuclideo (E, g) conservante il prodotto scalare, cioe tale che

Q(u) · Q(v) = u · v (1)

per ogni coppia di vettori u, v ∈ E. Questa definizione equivale a:

Q(u) · Q(u) = u · u (2)

E infatti ovvio che la (1) implica la (2). Viceversa, se vale la (2) risulta

Q(u + v) · Q(u + v) = (u + v) · (u + v) (∀u, v ∈ E).

Sviluppando ambo i membri di quest’uguaglianza e riutilizzando la (2) si trova l’uguaglianza(1). Dalla (1), per il fatto che la metrica non e degenere, segue che Ker(Q) = 0. Di conseguenzaQ(E) = E. Ne deduciamo che un endomorfismo ortogonale e un isomorfismo. Per definizione

di endomorfismo trasposto (1) la (1) equivale a QTQ(u) · v = u · v e quindi, per l’arbitrarietadei vettori, alla condizione

QTQ = 1 ⇐⇒ QT = Q−1 (3)

(1) Ricordiamo che su di uno spazio vettoriale E dotato di un tensore metrico g (di qualunquesegnatura) ad ogni endomorfismo lineare Q:E → E corrisponde l’endomorfismo trasposto

QT definito dall’uguaglianza QT(u) · v = Q(v) · u.

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30 Cap. 2 - Cinematica § 2.7

Dunque le formule (1), (2) e (3) sono tutte definizioni equivalenti di endomorfismo ortogonale.

Poiche det(QT) = det(Q) (2), la (3) implica (det(Q))2 = 1 cioe

det(Q) = ±1. (4)

Le isometrie il cui determinante vale +1 sono chiamate rotazioni; quelle con determinante −1rotazioni improprie. L’identita 1 e ovviamente una rotazione. Il prodotto di due (o piu)rotazioni e una rotazione. Il prodotto di due rotazioni improprie e una rotazione. Il prodotto diuna rotazione per una rotazione impropria e una rotazione impropria.

L’insieme di tutti gli endomorfismi ortogonali sopra uno spazio (E, g) e un gruppo rispettoall’ordinaria composizione degli endomorfismi, cioe un sottogruppo di Aut(E), detto gruppo

ortogonale di (E, g). Lo denotiamo con O(E, g). Le rotazioni formano un sottogruppo, dettogruppo ortogonale speciale, che denotiamo con SO(E, g). Le rotazioni improprie non for-mano ovviamente sottogruppo. Se due spazi vettoriali hanno uguale dimensione e segnatura,allora i rispettivi gruppi ortogonali sono isomorfi.

Passando alle componenti, osserviamo che un endomorfismo Q e ortogonale se e solo se le suecomponenti (Qj

i ) rispetto ad una base generica verificano le uguaglianze

gij QihQ

jk = ghk (5)

Queste si ottengono dalla (1) scritta per una generica coppia (eh, ek) di vettori della base.

Se lo spazio e strettamente euclideo e se la base scelta e canonica, allora le (5) diventano (3)

n∑

i=1

QihQ

ik = δhk (6)

Cio significa che il prodotto della matrice (Qij) per la sua trasposta e la matrice unitaria. Le

matrici soddisfacenti a questa proprieta sono dette matrici ortogonali.

Se la base e canonica ma lo spazio non e strettamente euclideo la formula (6) non e piu valida.In ogni caso, le matrici delle componenti in una base canonica degli endomorfismi ortogonali(o delle rotazioni) di uno spazio di segnatura (p, q) formano un gruppo denotato con O(p, q)

(2) Ricordiamo che il determinante di un endomorfismo Q, qui denotato con det(Q), e il de-terminante della matrice delle sue componenti (Qj

i) rispetto ad una base qualsiasi (ei) di E (sidimostra che non dipende dalla scelta della base). Le componenti di un endomorfismo linearesono definite dall’uguaglianza Q(ei) = Q

ji ej . Conveniamo che l’indice in basso sia indice di riga

(quello in alto di colonna). Il determinante di un endomorfismo e uguale al prodotto dei suoiautovalori. Il determinante di un endomorfismo e del suo trasposto coincidono. Il determinantedel prodotto di due endomorfismi e il prodotto dei determinanti. Si noti che la matrice dellecomponenti dell’endomorfismo trasposto non e la matrice tasposta (cioe ottenuta scambiandorighe con colonne) se non in casi particolari: per esempio nel caso di una metrica definita positivae rispetto a una base canonica.(3) In questo caso la matrice metrica diventa gij = δij . Il simbolo δij vale 1 se i = j, 0 se i 6= j.

E il simbolo di Kronecker.

Sergio Benenti

Page 66: Lezioni Di Meccanica Razionale

§ 2.7 Rotazioni 31

(oppure SO(p, q)). Si denotano in particolare con O(n) e SO(n) i gruppi delle matrici n × n

ortogonali, cioe soddisfacenti alla (6), e di quelle ortogonali a determinante unitario. La sceltadi una base canonica stabilisce un isomorfismo tra O(E, g) e O(p, q).

Osservazione 1. Gli autovalori, complessi o reali, di un endomorfismo ortogonale in unospazio strettamente euclideo sono unitari: |λ| = 1. Infatti, dall’equazione Q(v) = λv segue, ap-plicando la coniugazione, l’equazione Q(v) = λv. Moltiplicando scalarmente membro a membroqueste due uguaglianze si ottiene Q(v) · Q(v) = λλv · v. Poiche Q e ortogonale si ha ancheQ(v) · Q(v) = v · v. Di qui segue λλ = 1, come asserito. •

Le rotazioni possono essere rappresentate, oltre che con matrici ortogonali, anche in vari altrimodi. Ne vediamo alcuni.

1 Rappresentazione mediante simmetrie. Sia a ∈ E un vettore non isotropo. Si consideril’endomorfismo Sa definito da

Sa(v) = v − 2a · v

a · aa. (7)

Esso e una simmetria rispetto al piano ortogonale ad a, nel senso che, come si verifica imme-diatamente,

Sa(a) = − a, Sa(v) = v

per ogni vettore v ortogonale ad a. Di conseguenza Sa e un’isometria, piu precisamente unarotazione impropria. Infatti a e un autovettore di autovalore −1 mentre ogni vettore ortogonalead a e autovettore di autovalore +1, sicche lo spettro e (−1, 1, . . . , 1) e quindi det(Sa) = −1.Si puo dimostrare, ma la dimostrazione non e semplice, che ogni isometria e il prodotto disimmetrie. E invece piu facile dimostrare che due simmetrie Sa e Sb commutano se e solose i corrispondenti vettori a e b sono dipendenti (allora le simmetrie coincidono) oppure sonoortogonali.

2 Rappresentazione esponenziale. Dato un endomorfismo A, consideriamone tutte le sue

potenze Ak; k ∈ N e quindi la serie

eA =∞∑

k=0

1

k!Ak, (8)

detta esponenziale di A. Questa e convergente, nel senso che qualunque sia A e comunque si

fissi una base di E, le n2 serie di numeri reali date dalle componenti di eA sono tutte convergenti(anzi, assolutamente convergenti) o, se si vuole, che tale e la serie vettoriale

∞∑

k=0

1

k!Ak(v),

qualunque sia il vettore v. Si osserva che se (λ1, . . . , λn) e lo spettro di A allora lo spettro di

eA e (eλ1 , . . . , eλn). Infatti da A(v) = λv segue Ak(v) = λkv e quindi

eA(v) =∞∑

k=0

1

k!Ak(v) =

∞∑

k=0

1

k!λk v = eλv.

Lezioni di Meccanica Razionale

Page 67: Lezioni Di Meccanica Razionale

32 Cap. 2 - Cinematica § 2.7

L’esponenziale di un endomorfismo non gode di tutte le proprieta della corrispondente funzioneanalitica. Per esempio l’uguaglianza

eA+B = eAeB

non e piu vera in generale. Lo e se i due endomorfismi A e B commutano (col che commutanoanche gli esponenziali). Vale comunque la proprieta

(eA)T = eAT

.

Di qui segue che: se A e antisimmetrico (4) allora eA e una rotazione. Si ha infatti:

eA(eA)T = eAeAT

= eAe−A = e(A−A) = 1.

Inoltre la condizione det(eA) = 1 segue dal fatto che nello spettro di un endomorfismo anti-simmetrico gli autovalori non nulli si distribuiscono in coppie di segno opposto, sicche la lorosomma e uguale a zero. Allora, per quanto sopra detto,

det(eA) =n∏

i=1

eλi = e∑

n

i=1λi = e0 = 1.

3 Rappresentazione di Cayley (Arthur Cayley, 1821-1895). Se A e un endomorfismoantisimmetrico tale che A − 1 e invertibile allora l’endomorfismo

Q = (1 + A)(1− A)−1 (9)

e ortogonale. Si verifica infatti facilmente, utilizzando le proprieta della trasposizione e il fattoche i due endomorfismi 1±A commutano, che QQT = 1. Un po’ meno immediata e la verifica delfatto che det(Q) = 1. Si ottiene quindi un’ulteriore rappresentazione delle rotazioni in terminidi endomorfismi antisimmetrici. Va osservato che la condizione det(1 − A) 6= 0, richiesta perla validita della scrittura (9), e sempre soddisfatta in uno spazio strettamente euclideo (metricadefinita positiva). Infatti, questa equivale alla condizione che 1 sia un autovalore di A, cosaimpossibile perche in tali spazi gli autovalori non nulli di un endomorfismo antisimmetrico sonoimmaginari puri.

4 Rappresentazione quaternionale. Questa e le rappresentazioni seguenti, al contrariodelle precedenti, riguardano soltanto le rotazioni nello spazio euclideo tridimensionale E3. Siconsideri nella somma diretta di spazi vettoriali R⊕E3 l’applicazione binaria interna (prodotto)definita da

(a,u)(b, v) = (ab− u · v, av + bu + u × v) (10)

e il prodotto scalare definito da

(a,u) · (b, v) = ab+ u · v. (11)

(4) Un endomorfismo A su di uno spazio vettoriale dotato di tensore metrico e antisimmetrico

se AT = − A (simmetrico se AT = A).

Sergio Benenti

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§ 2.7 Rotazioni 33

L’elemento inverso e definito da

(a,u)−1 =(a,−u)

‖(a,u)‖(12)

dove si e posto‖(a,u)‖ = (a,u) · (a,u) = a2 + u2.

Quindi tutti gli elementi sono invertibili, fuorche quello nullo (0, 0), e si ottiene un’algebraassociativa, non commutativa, con unita (1, 0). Si pone per comodita (a, 0) = a e (0, v) = v. Ilprodotto scalare e conservato dal prodotto interno, nel senso che

‖(a,u)(b, v)‖ = ‖(a,u)‖ ‖(b, v)‖. (13)

Da questa proprieta segue per esempio che gli elementi unitari, cioe quelli per cui ‖(a,u)‖ = 1,formano un sottogruppo del gruppo degli elementi non nulli.

Un modo conveniente per rappresentare quest’algebra, e quindi riconoscerne facilmente le pro-prieta fondamentali, consiste nella scelta di una base canonica (i, j, k) dello spazio vettoriale enella rappresentazione di un generico elemento (a,u = bi + cj + dk) nella somma formale

a+ bi + cj + dk, (14)

detta quaternione. Il prodotto di due quaternioni, in conformita alla definizione (10), el’estensione lineare dei seguenti prodotti fondamentali:

i2 = j2 = k2 = −1, i j = k, j k = i, k i = j. (15)

Definita quest’algebra, ad ogni suo elemento non nullo (a,u) si associa un’applicazione Q : E3 →E3 definita da

Q(v) = (a,u)v(a,u)−1. (16)

E un utile esercizio dimostrare che: (i) il secondo membro definisce effettivamente un vettore;(ii) che l’applicazione cosı definita e un endomorfismo ortogonale, anzi una rotazione; (iii) chel’applicazione

f : (R × E3)\0 → SO(3)

definita dalla (16) e un omomorfismo di gruppi.

In particolare possiamo restringere quest’applicazione agli elementi unitari di R×E3, Osserviamoallora che, scegliendo una base canonica nello spazio euclideo, questi elementi sono caratterizzatidall’equazione (si veda la (14))

a2 + b2 + c2 + d2 = 1,

e quindi descrivono tutta la sfera unitaria S3 ⊂ R4. Risulta pertanto che: (i) la sfera S3 ha una

struttura di gruppo; (ii) esiste un omomorfismo di gruppi

ϕ: S3 → SO(3)

che costituisce un ricoprimento universale del gruppo delle rotazioni dello spazio euclideo tridi-mensionale (questo termine e proprio della teoria dei gruppi di Lie, argomento di corsi superiori).Si osservi che ogni elemento di SO(3) ha come controimmagine due punti opposti di S3.

Lezioni di Meccanica Razionale

Page 69: Lezioni Di Meccanica Razionale

34 Cap. 2 - Cinematica § 2.7

5 Rappresentazione versore-angolo. Ritornando all’Oss. 1 sugli autovalori di un’isometria,nel caso tridimensionale gli autovalori sono radici di un polinomio di terzo grado a coefficientireali. Quindi almeno uno di essi e reale, gli altri due complessi coniugati o reali. Imponendola condizione che il prodotto di tutti e tre gli autovalori sia uguale a 1 = det(Q) si trova chel’unico spettro possibile di una rotazione e del tipo

(1, eiϑ, e−iϑ). (17)

Cio premesso, se escludiamo il caso Q = 1, il cui spettro e (1, 1, 1), l’unico autovalore reale 1determina in maniera unica un sottospazio unidimensionale di autovettori che chiamiamo asse

della rotazione. Il numero ϑ che compare nella (17), determinato a meno del segno e di multiplidi 2π, prende il nome di angolo della rotazione. Si puo allora rappresentare la rotazione Q

mediante una coppia (u, ϑ) dove u e un versore dell’asse e ϑ e l’angolo della rotazione, orientatoin maniera tale che per ogni vettore c ortogonale a u il passaggio da c a Q(c) secondo il versodi ϑ sia tale da produrre un ”avvitamento” nel verso di u (e sottintesa la scelta del solitoorientamento dello spazio, secondo la regola della mano destra). Si dice allora che (u, ϑ) sonoversore e angolo della rotazione Q o anche che u e il versore dell’angolo ϑ. Si osserviche le coppie (u, ϑ) e (−u,−ϑ) danno luogo alla stessa rotazione come anche, in particolare, lecoppie (u, π) e (u,−π).

Se si sceglie una base canonica (cα) tale che c3 = u, allora la matrice delle componenti dellarotazione Q generata dalla coppia (u, ϑ), con u versore di ϑ, ha la forma seguente:

(Qβα) =

cosϑ sinϑ 0

− sinϑ cos ϑ 0

0 0 1

. (18)

6 Gli angoli di Euler. Una rappresentazione classica delle rotazioni in E3, dovuta a Euler(Leonhard Euler, 1707-1783) e che ha notevoli applicazioni nella dinamica del corpo rigido ein astronomia, e basata sulla relazione fra una terna ortonormale di vettori, detta terna fissa,e la terna ruotata: la prima e una base canonica (cα) = (i, j, k); la seconda e la terna(Q(cα)) = (i′, j′, k′). Gli angoli di Euler (θ, φ, ψ), detti rispettivamente angolo di nutazione,angolo di rotazione propria, angolo di precessione e soddisfacenti alle limitazioni

0 < θ < π,

0 ≤ φ < 2π,

0 ≤ ψ < 2π,

(19)

sono definiti, nell’ipotesi che k′ = Q(c3) sia distinto da k = c3, come segue (Fig. 2.7.1). (I)

L’angolo di nutazione θ e l’angolo compreso tra k e k′. (II) Si consideri l’intersezione fra ilpiano (i′, j′) e il piano (i, j): e una ”retta” detta linea dei nodi. Questa e individuata dalversore del prodotto vettoriale k × k′ che denotiamo con N (infatti la retta in questione eortogonale sia a k che a k′). (III) L’angolo di rotazione propria φ e l’angolo formato da (N , i′)di versore k′ e l’angolo di precessione ψ e l’angolo formato da (i,N) di versore k. Da questa

Sergio Benenti

Page 70: Lezioni Di Meccanica Razionale

§ 2.7 Rotazioni 35

definizione discende che assegnati comunque tre angoli soddisfacenti alle limitazioni (19) risultaunivocamente definita la terna ruotata (si veda anche l’Esercizio 1 seguente).

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i

j

k

i′

j′

k′

N

θ

φψ

Fig. 2.7.1 - Gli angoli di Euler

Esercizio 1. Dimostrare che la matrice delle componenti della rotazione Q determinata dagliangoli di Euler (θ, φ, ψ) e:

(Qβα) =

cosφ cosψ− sinφ sinψ cos θ

cosφ sinψ+ sinφ cosψ cos θ

sinφ sin θ

− sinφ cosψ− cosφ sinψ cos θ

− sinφ sinψ+ cosφ cosψ cos θ

cosφ sin θ

sinψ sin θ − cosψ sin θ cos θ

(20)

Per questo, si puo osservare che la rotazione Q e composta da tre rotazioni successive Φ,Θ,Ψ,caratterizzate dalle seguenti coppie versore-angolo:

Φ = (k, φ), Θ = (i, θ), Ψ = (k, ψ).

Le matrici delle componenti sono rispettivamente:

(Φβα) =

cosφ sinφ 0

− sinφ cosφ 0

0 0 1

, (Θβα) =

1 0 0

0 cos θ sin θ

0 − sin θ cos θ

,

(Ψβα) =

cosψ sinψ 0

− sinψ cosψ 0

0 0 1

.

Lezioni di Meccanica Razionale

Page 71: Lezioni Di Meccanica Razionale

36 Cap. 2 - Cinematica § 2.8

Si deve quindi eseguire il prodotto matriciale

Qβα = Φρ

α Θσρ Ψβ

σ .

Eseguendo il prodotto delle prime due matrici si ottiene

(Φρα Θσ

ρ ) =

cosφ sinφ cos θ sinφ sin θ

− sinφ cosφ cos θ cosφ sin θ

0 − sin θ cos θ

Moltiplicando questa per la terza si ottiene la (20). •

2.8 Cinematica del corpo rigido

Un corpo rigido e un insieme di punti mobili che durante il moto mantengono inalteratele mutue distanze. Nell’analisi cinematica di un corpo rigido si prescinde inizialmente dallasua forma, in particolare dal fatto che esso sia costituito da un numero finito o infinito dipunti. Il moto di un corpo rigido prende il nome di moto rigido. Un corpo rigido puo essererappresentato, in sintesi, da una quaterna di punti (Q, P1, P2, P3), vertici di un tetraedro nondegenere, le cui distanze sono costanti nel tempo. Noto il moto di questo tetraedro, e bendeterminato il moto di ogni altro punto ad esso rigidamente collegato, detto punto solidale. Lascelta del tetraedro rappresentante il corpo rigido, per quanto in principio del tutto arbitraria,puo essere in alcuni casi dettata da ragioni di opportunita (per esempio, nel caso in cui unpunto solidale al corpo sia fisso, conviene sceglierlo come uno dei vertici del tetraedro). Ingenere si sceglie una quaterna di punti tali che i vettori uα = QPα, con α = 1, 2, 3, sonounitari e fra loro mutuamente ortogonali. Pensati applicati nel punto Q, essi costituiscono unriferimento canonico solidale, o, come si usa dire, una terna solidale. Noto il moto delpunto Q e la dipendenza dal tempo dei versori uα, noto cioe il moto di una terna solidale, risultacompletamente determinato il moto di un qualunque punto solidale P, avendosi

P (t) = Q(t) + xα uα(t), (1)

dove le (xα) sono le coordinate, costanti, del punto P rispetto alla terna solidale. La dipendenzadal tempo dei versori (uα) deve essere compatibile con il vincolo di ortonormalita, devono cioead ogni istante essere verificate le uguaglianze

uα · uβ = δαβ (α, β = 1, 2, 3). (2)

Subordinatamente al vincolo (2), la (1) fornisce la rappresentazione del piu generale moto rigido.

Sergio Benenti

Page 72: Lezioni Di Meccanica Razionale

§ 2.8 Cinematica del corpo rigido 37

2.8.1 Moto rigido con punto fisso

Nel caso del moto con un punto fisso Q = O, se si fissa una terna ortonormale (cα), detta terna

fissa, ad ogni istante la terna solidale e completamente determinata dalla rotazione Qt che fapassare dalla terna fissa alla terna solidale, cioe tale che

uα(t) = Qt(cα). (3)

Il moto rigido si rappresenta quindi con una funzione del tempo a valori nel gruppo delle rotazioniSO(3) dello spazio vettoriale euclideo tridimensionale. Premettiamo allora alcune considerazionisugli endomorfismi di uno spazio vettorialeE dipendenti da un parametro t ∈ I ⊆ R. La derivatadi un tale endomorfismo Qt e l’endomorfismo Qt definito da

Qt = limh→0

1

h

(

Qt+h − Qt

)

. (4)

Quest’operazione di derivazione degli endomorfismi lineari dipendenti da un parametro e li-neare e per la derivata della composizione di due endomorfismi vale la regola di Leibniz (ladimostrazione della regola di Leibniz e formalmente analoga a quella relativa al prodotto difunzioni). Applicandola per esempio, nel caso in cui Qt sia invertibile, al prodotto QQ−1 = 1

si ottiene l’uguaglianza (omettiamo per semplicita il suffisso t quando non necessario)

QQ−1 = − Q(Q−1 ). (5)

Per gli endomorfismi in uno spazio euclideo la trasposizione commuta con la derivazione, valecioe l’uguaglianza

(QT)˙= QT

. (6)

Venendo al caso delle rotazioni, caratterizzate dalla condizione

Q−1 = QT, (7)

se si applica Qt ad un qualunque prefissato vettore u0, si ottiene un vettore dipendente dalparametro t, ut = Qt(u0). La derivata rispetto a t di questo vettore e data da

u = Q(u0),

quindi, essendo u0 = Q−1(u), da

u = Ω(u) (8)

posto

Ω = QQ−1 (9)

La formula (8) consente di calcolare la derivata del vettore ut tramite l’endomorfismo dipendentedal tempo Ωt, chiamato velocita angolare. E notevole il fatto che Ω e antisimmetrico. Se lo

Lezioni di Meccanica Razionale

Page 73: Lezioni Di Meccanica Razionale

38 Cap. 2 - Cinematica § 2.8

si interpreta come forma bilineare (1) si ha infatti

Ω(u,u) = Ω(u) · u = u · u = 0,

perche u ha modulo costante. Nel caso di uno spazio vettoriale tridimensionale (le precedenticonsiderazioni valgono per uno spazio di dimensione e di segnatura qualsiasi), al tensore anti-simmetrico Ωt corrisponde per aggiunzione (2) il vettore

ω = ∗Ω (10)

detto vettore velocita angolare, per cui la (8) diventa

u = ω × u (11)

Del vettore velocita angolare si puo dare un’altra definizione. Si considerino tre versori solidalifra loro ortogonali (uα) = (u1,u2,u3) e le loro derivate rispetto a t. Poniamo per definizione

ω = 12

3∑

α=1

uα × uα (12)

(1) Ad ogni endomorfismo lineare Ω su di uno spazio vettoriale E dotato di un tensore metrico(di segnatura qualunque) corrisponde una forma bilineare denotata ancora con Ω e definitadall’uguaglianza

Ω(u, v) = Ω(u) · v.

Questa corrispondenza e biunivoca. La simmetria (o l’antisimmetria) di Ω come forma bilinearecorrisponde alla simmetria (o antisimmetria) di Ω come endomorfismo. L’antisimmetria di unaforma bilineare Ω, che si esprime nell’uguaglianza Ω(u, v) = −Ω(v,u), e anche caratterizzatadalla condizione Ω(u,u) = 0 per ogni vettore u ∈ E.(2) Ad ogni forma bilineare antisimmetrica Ω corrisponde (in maniera biunivoca) un vettore

aggiunto ω = ∗Ω definito dall’uguaglianza

ω× u = Ω(u).

L’operazione, denotata con ∗, che fa passare da forme bilineari simmetriche a vettori e viceversae chiamata aggiunzione. Inuna base canonica (cα), se (ωα) sono le componenti di un vettoreω allora la matrice delle componenti Ωαβ = Ω(cα, cβ) della forma bilineare antisimmetricaaggiunta Ω = ∗ω e (il primo indice α e indice di riga):

(Ωαβ) =

0 ω3 −ω2

−ω3 0 ω1

ω2 −ω1 0

.

Sergio Benenti

Page 74: Lezioni Di Meccanica Razionale

§ 2.8 Cinematica del corpo rigido 39

Si ha successivamente:

ω × uβ = 12

3∑

α=1

(uα × uα) × uβ = 12

3∑

α=1

(δαβ uα − uα · uβ uα)

= 12

(

uβ +

3∑

α=1

uβ · uα uα

)

= 12

(

uβ + uβ

)

= uβ,

osservato che dalla condizione di ortonormalita segue uβ · uα+uβ · uα =(

uβ · uα

)

˙= 0, quindiuβ · uα = − uβ · uα, e che inoltre, essendo (uα) una terna ortonormale, per qualunque vettorev vale l’uguaglianza

v =

3∑

α=1

v · uα uα.

Pertanto, definito ω con la (12), risulta

uβ = ω × uβ (β = 1, 2, 3) (13)

a conferma della (11). Le formule (13) sono chiamate formule di Poisson (Simeon DenisPoisson, 1781-1840).

2.8.2 Moto rigido generico

Nel caso di un moto rigido generico e utile considerare una rappresentazione alternativa a quellaillustrata all’inizio del paragrafo, che ha il pregio di prescindere dalla scelta di una terna solidale.Essa e basata sulle seguenti generali definizioni (valide per uno spazio affine di dimensionequalsiasi)

Definizione 1. Un endomorfismo affine su di uno spazio affine (A, E, δ) e un’applicazioneϕ:A → A tale che esiste un endomorfismo lineare Q:E → E, detto soggiacente o associato aϕ, per cui

δ(

ϕ(A), ϕ(B))

= Q(

δ(A,B))

, ∀ A,B ∈ A, (14)

ovvero, con le usuali notazioni,

ϕ(B) − ϕ(A) = Q(B −A). (15)

Si ha in particolare un automorfismo affine, detto anche trasformazione affine, se ϕ e biet-tiva (per la qual cosa occorre e basta che l’endomorfismo lineare associato sia un automorfismo).•

Definizione 2. Un’isometria affine e una trasformazione affine su di uno spazio affine euclideoconservante la distanza dei punti,

‖ϕ(A)− ϕ(B)‖ = ‖A−B‖, (16)

Lezioni di Meccanica Razionale

Page 75: Lezioni Di Meccanica Razionale

40 Cap. 2 - Cinematica § 2.8

quindi tale che l’endomorfismo associato Q e un’isometria, cioe un elemento del gruppo ortogo-nale su E. Diciamo che un’isometria affine e propria se Q e una rotazione, cioe se det(Q) = 1.•

Definizione 3. Un moto rigido su di uno spazio affine euclideo e una isometria affine propriadipendente da un parametro reale t (il tempo) variabile in un intervallo reale I , ϕt:A → A, acui corrisponde una rotazione dipendente dal tempo Qt:E → E. •

Ad ogni prefissato punto P0 ∈ A corrisponde il punto mobile

P (t) = ϕt(P0). (17)

Due punti siffatti mantengono invariata la loro distanza. Infatti:

‖P (t) −Q(t)‖ = ‖ϕt(P0) − ϕt(Q0)‖ = ‖Qt(P0 −Q0)‖ = ‖P0 −Q0‖.

Se si considera un riferimento cartesiano ortonormale (O, cα), cioe una terna fissa, risulta diconseguenza definito il moto di una terna solidale (Q,uα) ponendo

Q(t) = ϕt(O), uα(t) = Qt(cα). (18)

e si ricade cosı nella rappresentazione (1), § 2.8 (Fig. 2.8.1).

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O

Q(t)

P (t)

c1c2

c3

u1

u2

u3

ϕt

Fig. 2.8.1 - Rappresentazione di un moto rigido.

In queste premesse sono contenuti tutti gli elementi necessari per enunciare e dimostrare iseguenti due teoremi fondamentali della cinematica del corpo rigido.

Teorema 1. In un moto rigido le velocita vP e vQ di due qualsiasi punti P e Q solidali sonotali che ad ogni istante

vP · QP = vQ · QP (19)

Sergio Benenti

Page 76: Lezioni Di Meccanica Razionale

§ 2.8 Cinematica del corpo rigido 41

Dimostrazione. Per due punti mobili vale l’uguaglianza

(QP )˙= (P −Q) = vP − vQ.

Se si deriva rispetto al tempo la condizione di rigidita QP · QP = cost. si trova la (19).

La (19) prende il nome di prima formula fondamentale della cinematica del corpo rigido.Essa mostra che le proiezioni delle velocita di due punti solidali sulla loro congiungente sonouguali (Fig. 2.8.2).

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QP

vQ

vP•

Fig. 2.8.2 - Prima formula fondamentale.

Teorema 2. In un moto rigido ad ogni istante t esiste ed e unico un vettore ω(t), detto velocita

angolare, tale che qualunque siano i punti P e Q solidali al corpo le loro velocita vP e vQ inquell’istante sono legate dalla relazione

vP = vQ + ω ×QP (20)

Dimostrazione. Diamo di questo teorema due dimostrazioni. La prima fa capo alla Def. 3 dimoto rigido, la seconda alla rappresentazione (1) e alle formule di Poisson. (I) Il moto dei puntisolidali e definito da (si veda la (17))

P (t) = ϕt(P0), Q(t) = ϕt(Q0).

Derivando rispetto al tempo si ottiene:

vP − vQ =(

ϕt(P0)− ϕt(Q0))

˙= Q(Q0P0)

= QQ−1(QP ) = Ω(QP )

= ω ×QP.

(II) Derivando la (1) rispetto al tempo si ottiene:

vP − vQ = xαuα = xα ω × uα

= ω × (xα uα) = ω×QP.

Lezioni di Meccanica Razionale

Page 77: Lezioni Di Meccanica Razionale

42 Cap. 2 - Cinematica § 2.8

Il fatto che ω sia unico e conseguenza ovvia della stessa (20): se essa sussistesse per un altrovettore ω′, sottraendo membro a membro le due equazioni si otterrebbe (ω−ω′)×QP = 0 perqualunque coppia di punti solidali; quindi necessariamente ω − ω′ = 0.

La (20) prende il nome di seconda formula fondamentale della cinematica del corpo rigido.Si noti che, moltiplicata scalarmente per QP , la seconda formula fondamentale implica la prima.La seconda formula fondamentale consente di calcolare, in ogni prefissato istante t, la velocitadi un qualunque punto solidale P nota la velocita angolare e la velocita di un solo punto solidaleQ in quell’istante. Essa consente quindi di descrivere l’atto di moto rigido cioe il campovettoriale delle velocita dei punti solidali v:P → vP in un istante t fissato.

Una completa percezione dell’atto di moto rigido si ha tuttavia attraverso il seguente fondamen-tale teorema di Mozzi (Giulio Mozzi, 1730-1813).

Teorema 3. In ogni istante t in cui ω 6= 0 esiste ed e unica una retta a i cui punti hannovelocita parallela a ω. La retta a, detta asse di Mozzi, e parallela a ω.

Dimostrazione. I punti A dell’insieme a cercato sono caratterizzati dall’equazione

vA × ω = 0.

Per la seconda formula fondamentale vA = vO + ω × OA. Da questa si trae l’equazione

vO × ω +(

ω ×OA)

× ω = 0 (21)

nel vettore OA, dove il punto O ed i vettori ω e vO sono assegnati. Se quest’equazione esoddisfatta da un punto A essa e soddisfatta anche per tutti i punti A′ = A + kω che stannosulla retta per A parallela ad ω:

vO × ω +(

ω ×OA′)

× ω = vO × ω +(

ω × OA)

× ω = 0.

Dunque il luogo cercato e costituito da rette parallele a ω. Per dimostrare che esso si riducead una sola retta, si consideri il piano per O contenente A e perpendicolare a ω. Qui sopral’equazione (21), sviluppato il doppio prodotto vettoriale ed essendo OA · ω = 0, si riduce a

ω× vO − |ω|2OA = 0.

Quest’equazione definisce un solo punto A, intersezione del luogo cercato col piano.

Riscriviamo la formula fondamentale prendendo come punto di riferimento un punto A dell’assedi Mozzi:

vP = vA + ω× AP. (22)

Si osserva allora che la velocita vP di un generico punto P e somma di un vettore vA parallelo adω, cioe all’asse di Mozzi, e di un vettore ω×AP ortogonale ad ω il cui modulo cresce in manieraproporzionale alla distanza del punto P dall’asse di Mozzi. La Fig. 2.8.3 rappresenta il variaredi vP al variare di P su di una semiretta ortogonale all’asse di Mozzi a. Per rappresentarel’andamento del campo v in tutto lo spazio occorre ruotare tale figura intorno all’asse di Mozzie traslarla lungo questo.

Sergio Benenti

Page 78: Lezioni Di Meccanica Razionale

§ 2.9 Cambiamenti di riferimento 43

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A

P

a (= asse di Mozzi)

vA vP

ω

ω× AP

Fig. 2.8.3 - Atto di moto rigido.

Si noti che le velocita dei punti di una retta parallela a ω, quindi all’asse di Mozzi, sono fra lorouguali. Si osserva infine direttamente dalla figura che sull’asse di Mozzi le velocita sono minimein modulo. L’asse di Mozzi e dunque caratterizzato dalla seguente proprieta, che potrebbe essereassunta come sua definizione:

Teorema 4. In un atto di moto rigido con ω 6= 0 l’asse di Mozzi e il luogo dei punti a velocitaminima.

Osservazione 1. Atti di moto particolari. Le considerazioni precedenti mostrano che ilgenerico atto di moto e elicoidale (le curve integrali del campo v sono delle eliche). Se ω = 0dalla (20) si vede che tutti i punti hanno istante per istante la stessa velocita. Si e in presenzadi un atto di moto traslatorio. Se la velocita dei punti dell’asse di Mozzi e nulla si dice chel’atto di moto e rotatorio. •

Osservazione 2. Distribuzione delle accelerazioni. Derivando la (20) rispetto al temposi trova la formula seguente, che fornisce l’accelerazione istantanea aP di un qualunque puntosolidale P , nota l’accelerazione aQ di un punto prefissato Q, la velocita angolare ω e la suaderivata ω:

aP = aQ + ω×QP + ω× (ω×QP )

= aQ + ω×QP + ω · QP ω − |ω|2 QP• (23)

2.9 Cambiamenti di riferimento

I concetti di moto, di velocita, di accelerazione sono concetti relativi: la loro definizionepresuppone la scelta di un riferimento. Come si e gia detto, scegliere un riferimento significaassumere come modello dello spazio fisico, nell’ambito delle teorie classiche, lo spazio affinetridimensionale euclideo. I punti di questo spazio affine si identificano con delle particelle idealicostituenti un corpo rigido invadente tutto l’universo. A ciascuna di queste particelle, con mutuedistanze costanti, attribuiamo un ”nome convenzionale”, ricorrendo a sistemi di coordinate.

Lezioni di Meccanica Razionale

Page 79: Lezioni Di Meccanica Razionale

44 Cap. 2 - Cinematica § 2.9

Possiamo quindi descrivere il moto di un punto esprimendo in funzione del tempo le coordinatedei punti del riferimento via via occupati dal punto mobile. In genere, per rappresentare ipunti di un riferimento, si usano coordinate cartesiane ortonormali, associate ad un riferimentocartesiano (O, cα).

Siano dunque: R un riferimento rispetto al quale lo spazio fisico si modella nello spazio affineeuclideo tridimensionale E3, (O, cα) un riferimento cartesiano ortonormale rappresentante R,che chiamiamo brevemente terna fissa (i versori ortogonali (cα) si pensano applicati nel puntoO). Si consideri un corpo rigido in moto rispetto ad R. Questo corpo rigido costituisce unsecondo riferimento R′. Sia (O′, cα′) una terna solidale a R′. Si consideri inoltre un vettoreu(t) dipendente dal tempo e per questo la doppia rappresentazione

u = uα cα = uα′

cα′ . (1)

Denotiamo con Du la derivata rispetto al tempo del vettore u relativa al riferimento originarioR. Essa e data da

Du = uα cα, (2)

dove uα denota la derivata della funzione reale uα(t). Stante la seconda delle (1) si ha anche,tenuto conto delle formule di Poisson,

Du = uα′

cα′ + uα′

ω × cα′ , (3)

dove ω e la velocita angolare di R′ rispetto a R. D’altra parte, rispetto ad un osservatore postoin R′ i versori (cα′) sono costanti, quindi se denotiamo con D′u la derivata rispetto al temporelativa al riferimento R′, si ha

D′u = uα′

cα′ . (4)

Pertanto dal confronto delle (2), (3) e (4) segue l’uguaglianza

Du = D′u + ω × u (5)

che esprime il legame tra le derivate temporali di un vettore u rispetto ai due riferimenti. Sinoti che per vettori solidali a R′, per i quali D′u = 0, si ritrovano le formule di Poisson.

Osservazione 1. Dalla (5) segue in particolare

Dω = D′ω (6)

Il vettore velocita angolare ha la stessa derivata temporale in entrambi i riferimenti. •

Per stabilire anche la relazione tra le derivate seconde, applichiamo la (5) a se stessa. Otteniamosuccessivamente:

D2u = D(D′u + ω × u)

= D′(D′u + ω× u) + ω × (D′u + ω × u)

= D′2u +Dω× u + 2 ω×D′u + ω × (ω × u).

Sergio Benenti

Page 80: Lezioni Di Meccanica Razionale

§ 2.9 Cambiamenti di riferimento 45

Stante la (6) possiamo porre per comodita ω = Dω = D′ω. Abbiamo allora ottenuto la formula

D2u = D′2u + 2 ω×D′u + ω × u + ω × (ω × u) (7)

Si consideri il moto di un punto P (t). Esso puo essere osservato dal riferimento R oppure dalriferimento R′. Tra il vettore posizione r = OP nel riferimento R e il vettore posizione r′ = O′P

nel riferimento R′ sussiste la relazione

r = OO′ + r′ (8)

Denotiamo conv = Dr, v′ = D′r′

le velocita relative ai due riferimenti. Applicando l’operatore D alla (8), vista la (5), si ottienel’uguaglianza

v = vO′ + v′ + ω × r′, (9)

dovevO′ = D(OO′)

e la velocita del punto O′ rispetto ad R. In virtu della seconda formula fondamentale dellacinematica del corpo rigido il vettore

vtr = vO′ + ω× O′P (10)

che compare a secondo membro dell’uguaglianza (9) e la velocita del punto P pensato, nell’istanteconsiderato, solidale al riferimento, ovvero la velocita del punto solidale a R′ che nell’istanteconsiderato e occupato dal punto mobile P (t). A questa velocita si da il nome di velocita di

trascinamento. Possiamo allora enunciare il seguente

Teorema 1 (teorema dei moti relativi). La velocita di un punto relativa ad un riferimentoR e la somma della velocita relativa ad un altro riferimento R′ e della velocita di trascinamento,cioe della velocita del punto solidale a R′ istantaneamente occupato dal punto mobile:

v = v′ + vtr (11)

Si consideri ora la derivata seconda dell’uguaglianza (8):

D2r = D2(OO′) +D2r′.

Tenuto conto della (7) applicata ad r′ si ottiene subito

a = aO′ + a′ + 2 ω× v′ + ω× r′ + ω× (ω× r′), (12)

doveaO′ = DvO′ = D2(OO′)

Lezioni di Meccanica Razionale

Page 81: Lezioni Di Meccanica Razionale

46 Cap. 2 - Cinematica § 2.10

e l’accelerazione del punto O′ rispetto a R. Per la formula (23) del § precedente il vettore

atr = aO′ + ω × r′ + ω × (ω × r′) (13)

che compare a secondo membro della (12) e l’accelerazione del punto solidale a R′ che nell’istanteconsiderato e occupato dal punto mobile P (t). A questo vettore si da il nome di accelerazione

di trascinamento. Al vettore

ac = 2 ω × v′ (14)

che pure compare nella (12), si da il nome di accelerazione complementare o accelerazione

di Coriolis (Gustave Gaspard Coriolis, 1792-1843). Possiamo allora enunciare il seguente

Teorema 2 (teorema di Coriolis). L’accelerazione di un punto relativa ad un riferimentoR e la somma dell’accelerazione relativa ad un altro riferimento R′, dell’accelerazione di trasci-namento, cioe dell’accelerazione del punto solidale a R′ istantaneamente occupato dal puntomobile, e dell’accelerazione complementare:

a = a′ + atr + ac (15)

Si noti bene che l’accelerazione complementare ac si annulla identicamente quando e semprenulla la velocita angolare: in tal caso, come vedremo al prossimo paragrafo, il moto di R′

rispetto a R e traslatorio. Se in piu e anche aO′ = 0, cioe se il moto di R′ e traslatorio rettilineouniforme (si veda il prossimo paragrafo), si annulla anche l’accelerazione di trascinamento equindi

a = a′ (16)

Le accelerazioni nei due riferimenti sono dunque rappresentate dal medesimo vettore. Il riferi-mento R′ si dice allora equivalente a R.

2.10 Moti rigidi particolari

Esaminiamo in questo paragrafo alcuni particolari tipi di moti rigidi.

1 Moto traslatorio. E un moto rigido con velocita angolare identicamente nulla: ω(t) = 0ad ogni istante t. Un moto e traslatorio se e solo se ogni vettore solidale al corpo e costante;lo si deduce dalla formula (5) di § 2.9: se D′u = 0 si ha l’equivalenza Du = 0 ⇐⇒ ω = 0.Un moto e traslatorio se e solo se ad ogni istante le velocita di tutti i punti solidali coincidono(cioe se e solo se in ogni istante l’atto di moto e traslatorio); lo si deduce dalla seconda formulafondamentale: vP = vQ, ∀P,Q solidali ⇐⇒ ω = 0. Tra i moti traslatori troviamo inparticolare il moto traslatorio rettilineo, in cui ogni punto solidale si muove di moto rettilineo,e il moto traslatorio rettilineo uniforme, in cui ogni punto solidale si muove di motorettilineo uniforme.

2 Moto rigido con punto fisso. E un moto rigido in cui uno dei punti solidali O ha semprevelocita nulla: vO = 0. La seconda formula fondamentale diventa

vP = ω × OP. (1)

Sergio Benenti

Page 82: Lezioni Di Meccanica Razionale

§ 2.10 Moti rigidi particolari 47

Ogni punto solidale si muove su di una sfera di centro O. L’asse di Mozzi passa in ogni istantet per il punto fisso O, perche questo ha sempre velocita minima. Pertanto l’asse di Mozzi e laretta parallela a ω passante per O. I suoi punti hanno tutti velocita istantanea nulla. L’assedi Mozzi varia in genere da istante ad istante e descrive quindi una superficie rigata, un cono Cdi vertice O, detta cono fisso. Nel corpo rigido, inteso come riferimento R′, esso descrive unsecondo cono C′, detto cono solidale o cono mobile. Questi coni prendono il nome di coni

di Poinsot (Louis Poinsot, 1777-1859).

Teorema 1. In un moto rigido con punto fisso il cono solidale rotola senza strisciare sul conofisso.

Quest’enunciato, che fornisce una notevole interpretazione geometrica dei moti rigidi con puntofisso, richiede l’intervento della definizione seguente.

Definizione 1. Si dice che una superficie regolare rigida C′ rotola senza strisciare su di unasuperficie regolare rigida fissa C (si dice anche che il moto di C′ su C e di puro rotolamento)se in ogni istante nei punti di contatto coincidono i piani tangenti alle due superfici e i puntisolidali a C′ a contatto con C hanno velocita nulla. •

Dimostrazione. In ogni istante i due coni di Poinsot si toccano su una direttrice (l’asse di Mozziin quell’istante). Consideriamo una curva non parametrizzata sul cono solidale C′ trasversa alledirettrici. Per ogni istante t risulta definito un punto di contatto P (t) che sta sulla curva. Ilpunto P si muove rispetto al riferimento R′ solidale a C′ con una velocita v′ tangente a C′ e nonparallela all’asse di Mozzi. Siccome il punto si muove anche sul cono fisso C, la sua velocita v

relativa al riferimento fisso, rispetto al quale studiamo il moto del corpo rigido, e tangente a C.Per il teorema dei moti relativi v = v′ + vtr. Ma in questo caso la velocita di trascinamentoe la velocita di un punto solidale che sta sull’asse di Mozzi, quindi nulla. Dunque v = v′. Maentrambi questi vettori sono tangenti ai rispettivi coni e non paralleli all’asse di Mozzi. Dunquei piani tangenti ai due coni coincidono. Inoltre, come gia si e osservato, i punti solidali a C′

che sono a contatto con C si trovano sull’asse di Mozzi e quindi hanno velocita nulla per cui lecondizioni di puro rotolamento richieste dalla Def. 3 sono soddisfatte.

3 Moto rigido con asse fisso. E un moto rigido con una retta solidale di punti fissi.Questa retta e evidentemente l’asse di Mozzi. Ogni punto del corpo rigido si muove di motocircolare intorno all’asse. Se questo e individuato dal versore k di un riferimento ortonormale(O, i, j, k), allora la velocita angolare e data da

ω = ϑ k (2)

dove ϑ e l’angolo di rotazione, funzione del tempo, di versore k. Per dimostrarlo possiamo peresempio ricorrere alla definizione (12) di §2.8.1, considerata una terna solidale (uα) con k = u3.Per quanto si e gia visto in cinematica del punto (§ 2.2.1) si ha u1 = ϑu2 e u2 = − ϑu1. Percui, essendo u3 = 0, si ha

ω = 12

(

u1 × u1 + u2 × u2

)

= 12 ϑ(

u1 × u2 − u2 × u1

)

= ϑ u3 = ϑ k.

4 Moto rigido piano. E un moto rigido in cui un piano di punti solidali scorre su di un

piano fisso. E dunque, essenzialmente, il moto di un piano rigido Π′ sopra un piano fisso Π. La

Lezioni di Meccanica Razionale

Page 83: Lezioni Di Meccanica Razionale

48 Cap. 2 - Cinematica § 2.10

velocita angolare, quindi l’asse di Mozzi, e sempre ortogonale al piano. Infatti se k e un versoreortogonale a Π′, da k = ω×k = 0 segue che ω e sempre parallelo a k. Per la velocita angolare diun moto rigido piano vale ancora la formula (2), dove ϑ e l’angolo compreso tra una qualunqueretta solidale a Π′ e una qualunque retta fissa in Π. La dimostrazione e formalmente la stessa,scelte le terne con k = u3 ortogonali ai piani. Il punto intersezione C(t) dell’asse di Mozzi a(t)con il piano fisso Π prende il nome di centro d’istantanea rotazione. Il punto solidale a Π′

che nell’istante considerato e sovrapposto a C ha velocita nulla. Il punto C descrive su Π unacurva P detta polare fissa e su Π′ una curva P ′ solidale a questo detta polare mobile. Inmaniera del tutta analoga al caso del moto rigido con un punto fisso (nel caso presente i conidi Poinsot degenerano in cilindri e le loro intersezioni coi piani danno luogo alle polari) si provache:

Teorema 2. In un moto rigido piano la polare mobile ruota senza strisciare sulla polare fissa.

Quindi, note queste due curve, il moto rigido piano e geometricamente determinato. Per de-terminarlo completamente occorre per esempio conoscere la legge oraria del moto di C. Perdeterminare il centro d’istantanea rotazione, e quindi le due polari, si puo in molti casi utilizzareil teorema di Chasles (Michel Chasles, 1793-1880):

Teorema 3. In un moto rigido piano ad ogni istante t per cui ω(t) 6= 0 il centro d’istantanearotazione e l’intersezione di due rette condotte per due punti solidali e ortogonali alle rispettivevelocita.

Dimostrazione. Siano P e Q due punti solidali al corpo. Se ω(t) 6= 0 l’atto di moto e rotatoriodi centro C(t), quindi vP = ω ×CP e vQ = ω × CQ e le rette CP e CQ sono rispettivamenteortogonali a vP e vQ. Se PC e parallela a QC, l’intersezione di cui all’enunciato non esiste (”vaall’infinito”). Se cosı fosse per tutti le coppie di punti solidali l’atto di moto sarebbe traslatorio,contro l’ipotesi ω(t) 6= 0.

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P

Q

C

vP

vQ•

Fig. 2.10.1 - Il teorema di Chasles.

Esempio 1. Si consideri il moto di un’asta rigida di lunghezza l i cui estremi A e B sono vincolatia scorrere su due assi incidenti e ortogonali (assi x e y rispettivamente) (Fig. 2.10.2). Si pensi almoto del piano solidale all’asta sul piano fisso (O, x, y). Per determinare le polari si puo applicareil teorema di Chasles. Le velocita dei due estremi sono necessariamente parallele ai rispettiviassi di scorrimento. Quindi il centro di istantanea rotazione C si trova come intersezione dellerette per A e B e ortogonali agli assi. Per un osservatore solidale col piano fisso questo puntoha sempre distanza pari a l dall’origine O: la polare fissa P e quindi la circonferenza di raggiol e centro l’origine. Per un osservatore solidale all’asta invece, il punto C sottende sempre gli

Sergio Benenti

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§ 2.11 Moti rigidi composti 49

estremi A e B sotto un angolo retto; quindi la polare mobile e la circonferenza di raggio l2

ecentro il punto medio dell’asta. Il moto dell’asta e dunque geometricamente equivalente al motodi puro rotolamento di una circonferenza di raggio l

2all’interno di una circonferenza fissa di

raggio l. •

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x

y

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O A

B C

l

P

P ′

Fig. 2.10.2

2.11 Moti rigidi composti

Si consideri la composizione di due moti rigidi

ϕt = ϕ2t ϕ1t

e la parte lineare ad essa associata:Qt = Q2tQ1t.

Il corrispondente tensore velocita angolare e

Ω = Ω2 + Q2Ω1Q−12 (1)

dove Ω1 e Ω2 sono le velocita angolari dei moti componenti. Infatti:

Ω = QQ−1 =(

Q2Q1 + Q2Q1

)(

Q−11 Q−1

2

)

= Q2Q−12 + Q2Q1Q

−11 Q−1

2 = Ω2 + Q2Ω1Q−12 .

Passando ai vettori aggiunti, si trova la formula

ω = ω2 + Q2(ω1) (2)

Si osservi infatti che vale la formula generale

∗QΩQ−1 = Q(ω), ω = ∗Ω, (3)

Lezioni di Meccanica Razionale

Page 85: Lezioni Di Meccanica Razionale

50 Cap. 2 - Cinematica § 2.11

dove Ω e antisimmmetrico e Q e una rotazione. Questo perche una rotazione, conservando tuttele grandezze definite tramite il tensore metrico, conserva anche il prodotto vettoriale:

Q(u× v) = Q(u)× Q(v). (4)

Quindi:QΩQ−1(v) = Q

(

ω× Q−1(v))

= Q(ω) × v,

da cui la (3).

La formula (2) fornisce la legge di composizione delle velocita angolari di due moti rigidi.La formula (2) puo essere reinterpretata come legame tra le velocita angolari di un corpo rigidoin due riferimenti diversi. Sia ω la velocita angolare di un corpo rigido R′′ relativa ad unriferimento R. Sia invece ω′ la sua velocita angolare osservata da un altro riferimento R′. Siainfine ωtr la velocita angolare di R′ rispetto a R, che possiamo chiamare velocita angolare di

trascinamento. Allora:

ω = ω′ + ωtr (5)

Si ha cosı il teorema della somma delle velocita angolari, analogo al teorema dei motirelativi. Una dimostrazione diretta elementare di questo teorema e la seguente. Per la secondaformula fondamentale di cinematica rigida si ha, per qualunque coppia (P,Q) di punti solidalial corpo R′′,

vP − vQ = ω ×QP,

v′

P − v′

Q = ω′ ×QP.

D’altra parte, per il teorema dei moti relativi,

vP = v′

P + vO′ + ωtr × O′P,

vQ = v′

Q + vO′ + ωtr × O′Q,

essendo O′ un prefissato punto solidale a R′. Sottraendo membro a membro e tenendo contodelle uguaglianze precedenti si trova

ω ×QP = ω′ ×QP + ωtr ×QP.

Di qui la (5) per l’arbitrarieta di QP .

Esercizio 1. Applicando le considerazioni precedenti, si dimostri la formula

ω = ψk + φk′ + θN (6)

che esprime la velocita angolare tramite le derivate degli angoli di Eulero. Si puo applicare laformula (2) tenendo presente quanto svolto nell’Esercizio 1 di § 2.7. Si puo anche applicare laformula (5) considerando pero, oltre al riferimento fisso R rispetto al quale si calcolano gli angolidi Euler, due riferimenti intermedi: il riferimento R′ solidale alla linea dei nodi e al versore k eil riferimento R′′ solidale alla linea dei nodi e al versore k′. •

Un esempio notevole di composizione di moti rigidi e il moto di precessione regolare: sitratta di un moto rigido composto di due moti rigidi con punto fisso O, il primo di velocita

Sergio Benenti

Page 86: Lezioni Di Meccanica Razionale

§ 2.11 Moti rigidi composti 51

angolare costante ωr, detta velocita di rotazione propria, il secondo di velocita angolare ωp,pure costante, detta velocita di precessione. Lo si realizza facendo ruotare un corpo rigidointorno ad un suo asse solidale f , detto asse di figura, con velocita angolare ωr, ovviamenteparallela a f , e facendo quindi ruotare l’asse f intorno ad un asse fisso p passante per un suopunto O, detto asse di precessione, con velocita angolare costante ωp. La velocita angolaredel corpo rigido risulta essere la somma

ω = ωp + ωr (7)

dove, in base alla (2), il vettore ωr e inteso solidale al corpo. Si dice allora, brevemente, che inun moto di precessione la velocita angolare e la somma di un vettore costante nello spazio e diun vettore costante nel corpo.

In un moto di precessione i coni di Poinsot sono rotondi. L’asse di Mozzi a forma infatti angolocostante sia con l’asse di precessione che con l’asse di figura (Fig. 2.11.1). Dunque ogni moto diprecessione e realizzabile facendo rotolare uniformemente un cono circolare retto C′ su di un conofisso C, pure circolare retto. Una precessione si dice progressiva o retrograda a seconda che idue vettori ωp e ωr formino angolo acuto o ottuso. Nella Fig. 2.11.1 la precessione e progressiva.Nella Fig. 2.11.2 sono raffigurati i coni di Poinsot in due moti di precessione retrograda.

Un esempio notevole di moto di precessione e quello della Terra intorno al suo centro rispettoalle stelle fisse. Sappiamo che la Terra ruota intorno al suo asse polare f con velocita angolarecostante. Ma l’asse polare f non conserva rispetto alle stelle fisse direzione invariabile. Essoinfatti ruota uniformemente intorno ad un asse fisso p passante per il suo centro e ortogonaleal piano dell’eclittica (cioe al piano dell’orbita terrestre intorno al Sole) compiendo pero un sologiro in circa 26 mila anni! (questo periodo prende il nome di anno platonico). Si tratta di unmoto di precessione retrograda. I coni di Poinsot si configurano come nella prima della due Fig.2.11.2. Soltanto che, mentre il cono fisso ha un’apertura lievemente superiore a 2330′, il conosolidale che gli rotola all’interno ha un’apertura di soli 8,67 millesimi di secondo circa, dovendocompiere un giro completo intorno all’asse p dopo aver compiuto su se stesso un numero di giripari al numero dei giorni in un anno platonico (circa 9.400.000 giorni).

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C

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C′

·

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ωp

ω

Fig. 2.11.1 - Coni di Poinsot in un moto di precessione progressiva.

Lezioni di Meccanica Razionale

Page 87: Lezioni Di Meccanica Razionale

52 Cap. 2 - Cinematica § 2.11

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ωp

ω

Fig. 2.11.2 - Sezione dei coni di Poinsot in due moti di precessione retrograda.

Sergio Benenti

Page 88: Lezioni Di Meccanica Razionale

Sergio Benenti

Lezioni di Meccanica Razionale

Capitolo 3

Meccanica Newtoniana

Sorta dall’opera di Galileo Galilei (Pisa 1564 - Arcetri 1642), consolidata da Isaac Newton(Woolsthorpe 1642 - Kensington 1727) ed eretta a sistema da Leonhard Euler (Basilea 1707 -San Pietroburgo 1783), la ”meccanica razionale” o ”meccanica classica” fornisce i primi fonda-mentali modelli matematici della fisica. I corpi in movimento sono rappresentati da singoli puntio da insiemi discreti o continui di punti, mobili con o senza vincoli nello spazio affine tridimen-sionale euclideo oppure in uno spazio affine a quattro dimensioni, lo spazio-tempo di Newton,dotato di una particolare struttura metrica. Le sollecitazioni che provocano o modificano il motodei corpi sono rappresentate da vettori o anche, specialmente nella meccanica dei continui, datensori. In questo capitolo vengono esaminati i modelli matematici fondamentali della ”mecca-nica razionale”: punto libero, punto vincolato, sistema finito di punti, corpo rigido. Gli aspettipuramente cinematici di questi modelli sono gia stati trattati nel Capitolo 2.

Versione 05/2007

Page 89: Lezioni Di Meccanica Razionale

2 Cap. 3 - Meccanica Newtoniana § 3.1

3.1 Dinamica del punto libero

Il modello piu semplice che la meccanica newtoniana assume per i corpi in movimento e quellodi punto materiale libero.

Definizione 1. Dicesi punto materiale una coppia (P,m) costituita da un punto mobilenello spazio affine tridimensionale euclideo (che rappresenta lo spazio fisico osservato da unriferimento) e da un numero positivo m detto massa inerziale. Un punto materiale si dicelibero se puo assumere qualunque posizione nello spazio e qualunque velocita. •

La dinamica newtoniana del punto materiale e fondata su princıpi la cui discussione e argomentodei corsi di Fisica. Qui li formuliamo direttamente, mettendone in risalto gli aspetti matematici.

Principio I. Ogni azione atta a provocare il moto di un punto materiale e rappresentata da unvettore F detto forza. I moti conseguenti all’azione di una forza F sono retti dall’equazione

ma = F (1)

dove a e l’accelerazione del punto. Per la forza F si postula una legge di forza cioe una suadipendenza dalla posizione del punto, dalla sua velocita ed eventualmente dal tempo:

F = F (r, v, t) (2)

Principio II. L’azione simultanea di due (o piu) forze F 1 e F 2 e rappresentata dalla loro somma(principio di sovrapposizione delle forze) e il moto del punto e allora retto dall’equazione

ma = F 1 + F 2. (3)

La meccanica newtoniana non considera leggi di forza dipendenti dall’accelerazione. Una forzaattiva dipendente dalla sola posizione del punto prende il nome di forza posizionale o campo

di forza.

Come si e detto, questi princıpi presuppongono la scelta di un riferimento rispetto al qualecalcolare la posizione del punto, la sua velocita, la sua accelerazione. La definizione di velocitae di accelerazione presuppongono anche la scelta di un parametro temporale. La meccanicanewtoniana postula con il seguente principio d’inerzia l’esistenza di una classe privilegiatadi riferimenti e di un tempo universale indipendente dalla scelta del riferimento, parametroprivilegiato rispetto al quale calcolare gli enti cinematici:

Principio III. Esistono dei riferimenti, detti riferimenti inerziali o galileiani, e un tempo,detto tempo assoluto, rispetto ai quali un punto libero e isolato si muove di moto rettilineouniforme, detto moto inerziale.

In quest’enunciato per punto isolato s’intende un punto non interagente con alcun campofisico (gravitazionale, elettromagnetico, ecc.). Tra i moti inerziali, caratterizzati dalla condizionea = 0, vi e in particolare la quiete. Questo principio ha due importanti conseguenze.

Sergio Benenti

Page 90: Lezioni Di Meccanica Razionale

§ 3.1 Dinamica del punto libero 3

Proposizione 1. Due riferimenti inerziali si muovono uno rispetto all’altro di moto traslatoriorettilineo uniforme.

Dimostrazione. Sia R un riferimento inerziale. Sia R′ un corpo rigido in moto rispetto a R.Supponiamo che R′ definisca anch’esso un riferimento inerziale. Consideriamo un punto P liberoe isolato, in quiete rispetto a R′. Questo punto si muove rispetto a R, che e inerziale, di motorettilineo uniforme. Ma un tale punto P si puo pensare come punto solidale a R′ visto che e inquiete rispetto a questo. Dunque tutti i punti solidali a R′ si muovono rispetto ad R di motorettilineo uniforme.

Proposizione 2. Un punto libero e isolato si muove rispetto ad un qualunque riferimento Rcome se fosse soggetto all’azione di due forze, una forza di trascinamento ed una forza di

Coriolis, date rispettivamente da

F tr = −matr, F c = −mac (4)

dove atr e ac sono l’accelerazione di trascinamento e l’accelerazione di Coriolis misurate rispettoad un qualunque riferimento inerziale.

Dimostrazione. Sia R′ un qualunque riferimento inerziale. Per il teorema di Coriolis si ha

a′ = a + atr + ac,

dove atr e ac sono le accelerazioni di trascinamento e di Coriolis calcolate rispetto ad R′. Se ilpunto si muove di moto inerziale in R′ allora a′ = 0 e quindi

a = −atr − ac.

Moltiplicando per la massa m,ma = −matr −mac,

e dal confronto con la (1) si vede che il punto P si muove come se fosse soggetto alle forze (4).

Osservazione 1. La forza di trascinamento e la forza di Coriolis si dicono forze apparenti

per distinguerle dalle altre forze, dette forze reali, dovute ad interazioni con altri corpi o concampi fisici. In conclusione: se il riferimento scelto per descrivere la dinamica di un punto none inerziale, allora a secondo membro dell’equazione fondamentale (1) alle forze reali occorreaggiungere le forze apparenti. Queste svaniscono se il riferimento scelto e inerziale.

Vediamo ora le leggi di forza piu ricorrenti, cominciando dalle forze apparenti.

Osservazione 2. Forze apparenti. Per quanto visto al § 2.9 (formule (13) e (14)) le forzeapparenti hanno le seguenti espressioni:

F tr = −m(aO + ω × r + ω × (ω × r)

)

F c = − 2mω× v(5)

Lezioni di Meccanica Razionale

Page 91: Lezioni Di Meccanica Razionale

4 Cap. 3 - Meccanica Newtoniana § 3.1

dove ω e la velocita angolare del riferimento scelto rispetto ad un qualunque riferimento in-erziale, aO e l’accelerazione di un qualunque punto O solidale al riferimento scelto rispetto adun qualunque riferimento inerziale, r e il vettore posizione del punto P rispetto a O e infine v ela sua velocita. Si noti che ω e aO sono funzioni vettoriali del tempo t, sicche la forza di Coriolise in generale funzione di (v, t) mentre la forza di trascinamento e in generale funzione di (r, t).•

Osservazione 3. Forze reali. La Fisica considera varie leggi di forza. (I) La piu semplice(usata per esempio nello studio della caduta di un grave) e

F = m g = costante.

(II) La legge di forzaF = − k r, k > 0,

e usata per rappresentare la forza esercitata su di un punto in posizione r = OP da una mollaelastica perfetta a lunghezza a riposo nulla, avente estremi in O e P . (III) Una legge di forzadel tipo

F = − γ

r3r = − γ

r2u,

definita per r 6= 0, rappresenta l’azione esercitata da una massa gravitazionale M posta nelpunto O su di un punto materiale P di massa gravitazionale m (la massa gravitazionale vieneidentificata con la massa inerziale), posto

γ = GMm

con G costante di gravitazione universale. Rappresenta anche la forza esercitata da una caricaelettrica e0 posta in O su di un punto materiale P dotato di carica elettrica e, posto

γ = − e0 e.

(IV) Una legge di forza del tipo

F = e(E(r, t) − 1

cB(r, t)× v

),

detta forza di Lorentz (Hendrik Antoon Lorentz, 1853-1928), rappresenta l’azione meccanicaesercitata da un campo elettromagnetico (E,B) su di una particella di carica elettrica e. •

Abbiamo a questo punto tutti gli elementi necessari per la costruzione del modello matematicoper la dinamica del punto libero: e costituito semplicemente dall’equazione vettoriale

ma = F (r, v, t) (6)

combinazione dell’equazione fondamentale (1) e della legge di forza (2). In conformita al principiodi sovrapposizione la funzione a secondo membro della (6) puo essere la somma di piu leggi diforza. Se il riferimento scelto non e inerziale tra gli addendi di F dobbiamo includere la forzadi trascinamento e la forza di Coriolis.

Sergio Benenti

Page 92: Lezioni Di Meccanica Razionale

§ 3.1 Dinamica del punto libero 5

Assegnata la legge di forza, l’equazione della dinamica (6) da luogo ad un’equazione differenziale(vettoriale) del secondo ordine nell’incognita r(t),

md2r

dt2= F

(

r,dr

dt, t

)

(7)

equivalente (si veda l’Oss. 10, § 1.2) ad un sistema di equazioni del primo ordine nelle funzioniincognite (r(t), v(t)),

dr

dt= v

dv

dt=

1

mF (r, v, t)

(8)

Se la forza e indipendente dal tempo il sistema (8) e autonomo. Se invece la forza dipende daltempo, ci si riconduce ad un sistema autonomo con l’artificio visto all’Oss. 10, § 1.2, aggiungendoun’ulteriore equazione con un parametro ausiliario τ equivalente al tempo t:

dr

dt= v

dv

dt=

1

mF (r, v, τ)

dt= 1

(9)

Questi sistemi differenziali del primo ordine corrispondono ad un campo vettoriale X, rapp-resentante la dinamica di un punto materiale libero. Se la forza dipende dal tempo si puointerpretare X come campo vettoriale dipendente dal tempo (sistema (8)) sopra lo spazioR

6 delle coppie posizione-velocita (r, v), oppure come campo vettoriale sopra lo spazio R7 delle

terne posizione-velocita-tempo (r, v, τ) (sistema (9)). Se la forza non dipende dal tempo X eun campo vettoriale ordinario sullo spazio delle (r, v). La proiezione delle curve integrali di X

sullo spazio R3 delle posizioni r fornisce tutti i possibili moti del punto. In base al teorema

di Cauchy e subordinatamente alle opportune ipotesi di regolarita del campo X e quindi dellalegge di forza, possiamo in conclusione affermare che: fissata la posizione r0 e la velocita v0 diun punto libero ad un istante iniziale t0, risulta univocamente determinato il suo moto cioe unafunzione r(t) soddisfacente all’equazione (7) ovvero alle equazioni (8) e tale che

r(t0) = r0, v(t0) = v0.

In un generico sistema di coordinate (qi) su E3, ricordata l’espressione delle componenti dell’ac-celerazione e denotate con F i le componenti della forza F , il sistema (8) si traduce in un sistemadi tre equazioni differenziali del primo ordine del tipo

dqi

dt= vi

dvi

dt= −Γi

hj vh vj +

1

mF i(qj , vj, t),

(h, i, j = 1, 2, 3) (8′′)

Lezioni di Meccanica Razionale

Page 93: Lezioni Di Meccanica Razionale

6 Cap. 3 - Meccanica Newtoniana § 3.2

nelle sei funzioni incognite(qi(t), vi(t)

).

Come per ogni sistema dinamico lo studio del sistema (8) o del sistema (9) puo essere facilitatodalla conoscenza di integrali primi. Un integrale primo e in questo caso una grandezza (scalareo vettoriale), funzione di (r, v) (oppure di (r, v, t) nel caso non autonomo), che si mantienecostante lungo ogni moto. Per questo motivo gli integrali primi della meccanica prendono ancheil nome di costanti di moto. Integrali primi tipici sono associati alle tre grandezze cinetichefondamentali considerate nel paragrafo seguente.

3.2 Grandezze cinetiche fondamentali

Chiamiamo atto di moto di un punto la coppia (r, v) costituita dal vettore posizione rispettoad un punto fisso O e dal vettore velocita. Ad ogni atto di moto vengono associate le tregrandezze cinetiche fondamentali: (i) la quantita di moto

p = mv (1)

(ii) il momento della quantita di moto o momento angolare rispetto al polo O

KO = OP × p = m r × v (2)

e (iii) l’energia cinetica

T = 12mv2 (v2 = v · v). (3)

Derivando rispetto al tempo queste tre grandezze e tenuto conto dell’equazione fondamentaledella dinamica, si trovano le equazioni

dp

dt= F

dKO

dt= MO

dT

dt= W,

(4)

dove

MO = r × F (5)

e il momento della forza F rispetto al polo (fisso) O, e

W = F · v (6)

e la potenza della forza F . Le tre equazioni (4) prendono rispettivamente il nome di teorema

della quantita di moto, teorema del momento angolare, teorema dell’energia.

Sergio Benenti

Page 94: Lezioni Di Meccanica Razionale

§ 3.2 Grandezze cinetiche fondamentali 7

Da questi teoremi seguono semplici ma importanti corollari, detti teoremi di conservazione,i quali, subordinatamente a certe ipotesi sulle leggi di forza, mostrano l’esistenza di integraliprimi tipici della meccanica del punto.

1 Integrale primo della quantita di moto: se F = 0 allora p = costante (ovvero v =costante). Segue dalla (4)1. In questo caso ogni moto e rettilineo e uniforme. Piu in generale:se esiste una direzione fissa, rappresentata da un versore fisso u, a cui la forza F e sempreortogonale, F · u = 0, allora la componente della quantita di moto, ovvero della velocita,secondo questa direzione e un integrale primo: v · u = costante.

2 Integrale primo del momento angolare: se esiste un punto fisso O rispetto al qualeil momento della forza e nullo, cioe se la forza F (r, v, t) e sempre diretta verso O, ovvero seF × r = 0, allora il momento angolare KO e un integrale primo: r × v = costante. Segue dalla(4)2.

Si osservi che l’integrale primo del momento della quantita di moto, a meno del fattore m,coincide con la velocita areale vettoriale. A questa conclusione si giunge anche osservando chese la forza e sempre parallela a OP , allora anche l’accelerazione del punto e sempre parallela aOP ; quindi tutti i moti conseguenti all’azione di tale forza sono moti centrali.

3 Integrale primo del momento assiale. Se a e una retta, u un suo versore, O un suopunto, la quantita

Ma = MO · u = r × F · u (7)

(posto r = OP ) prende il nome di momento assiale della forza F e non dipende dalla sceltadel punto O sulla retta. Esso si annulla se e solo se i tre vettori (r,u,F ) sono dipendenti. Ciosignifica che la retta di applicazione del vettore applicato (P,F ) interseca la retta a. Segueallora dalla (4)2 moltiplicata scalarmente per u che se la forza F e sempre diretta verso unaretta fissa a di versore u allora la funzione r × v · u e un integrale primo.

Si osservi che la quantita r × v · u coincide con la velocita areale della proiezione del punto sudi un piano ortogonale alla retta a (rispetto al centro dato dall’intersezione di a con tale piano).

4 Integrale primo dell’energia. Se la forza F e posizionale e conservativa, se esiste cioeun campo scalare U tale che

F = grad(U),

allora la funzione

E = T − U (8)

e un integrale primo. Infatti da F = grad(U) segue

W = F · v =dU

dt

perche, facendo intervenire coordinate cartesiane ortonormali (si veda l’Oss. 2, piu avanti),

grad(U) · v =∂U

∂xαvα =

∂U

∂xα

dxα

dt=dU

dt.

Quindi dal teorema dell’energia (4)3 segue ddt

(T −U

)= 0. Vedremo piu avanti (Cap. 4) una pos-

sibile estensione dell’integrale dell’energia nel caso di una forza dipendente anche dalla velocitae dal tempo.

Lezioni di Meccanica Razionale

Page 95: Lezioni Di Meccanica Razionale

8 Cap. 3 - Meccanica Newtoniana § 3.3

Ricordiamo che la funzione U prende il nome di potenziale. Alla funzione V = −U si da inveceil nome di energia potenziale, cosicche la funzione E = T + V , somma dell’energia cinetica edell’energia potenziale, prende il nome di energia totale.

Osservazione 1. Consideriamo una prima semplice ma interessante applicazione dell’integraledell’energia. Sia h la costante dell’energia, cioe il valore assunto dall’energia totale E per unprefissato moto del punto. Si osservi che

h = T0 − U0

dove T0 ed U0 sono i valori iniziali dell’energia cinetica e del potenziale. Poiche e sempre T ≥ 0dalla condizione T − U = h segue che le possibili posizioni del punto debbono soddisfare alladisuguaglianza

h+ U(r) ≥ 0. (9)

L’uguaglianza nella (9) definisce una superficie, detta superficie limite, regolare nei punti incui il gradiente di U , cioe la forza, non e nulla. In genere questa superficie divide lo spazio indue regioni. Il moto avviene in una delle due regioni, quella definita dalla disuguaglianza (9),e la superficie limite costituisce una barriera invalicabile. Se raggiunta dal punto essa non puoessere superata. Su di essa il punto ha velocita nulla (perche T = 0). Si noti bene che talesuperficie limite dipende dalla costante dell’energia quindi dalle condizioni iniziali. •

Osservazione 2. Il gradiente di un campo scalare. Nella corrispondenza biunivoca tracampi vettoriali e 1-forme su di uno spazio affine euclideo (si veda l’Oss. 3 di § 2.2.2) il gradiente

di un campo scalare U corrisponde al differenziale dU : grad(U) = (dU)] ⇐⇒ dU =(grad(U)

)[.

La definizione di gradiente si esprime anche con l’uguaglianza

v · grad(U) = 〈v, dU〉 (9)

per ogni vettore (o campo vettoriale) v. Posto F = grad(U), in componenti rispetto ad unqualunque sistema di coordinate si ha

F i = gij ∂jU. (10)

Si noti che tutto cio vale per dimensione e segnatura qualsiasi. Nel caso di una metrica definitapositiva, in coordinate ortonormali (xα) risulta

Fα =∂U

∂xα(11)

Il teorema del gradiente afferma che: il gradiente di una funzione U e ortogonale alle superficidi livello (o equipotenziali) U = costante ed e orientato nel verso della crescita di U . Questoenunciato si riferisce a punti non critici di U (in cui cioe dU 6= 0). E una conseguenza immediatadella (9): la condizione di tangenza ad una superficie equipotenziale del vettore v e infatti〈v, dU〉 = 0 e questo significa che il gradiente e ortogonale ad ogni vettore tangente; inoltre,dalla stessa (9), ponendo il gradiente al posto di v ed essendo quindi il primo membro positivo,segue che la derivata di U rispetto al suo gradiente e positiva. Le condizioni necessarie e sufficientiper l’esistenza di un potenziale sono note dall’Analisi (saranno comunque riviste in un contestopiu generale nel Cap. 4).

Sergio Benenti

Page 96: Lezioni Di Meccanica Razionale

§ 3.3 Lo spazio-tempo di Newton 9

3.3 Lo spazio-tempo di Newton

Il modello di spazio affine tridimensionale euclideo assunto per lo spazio fisico e subordinatoalla scelta di un riferimento. Noi concepiamo l’idea di piu riferimenti ma quando osserviamoe descriviamo movimenti di oggetti presupponiamo la scelta di un ben definito riferimento. Astretto rigore gli spazi affini associati a due riferimenti diversi (in moto uno rispetto all’altro)sono diversi: il mondo osservato da un riferimento e diverso dal mondo osservato da un altroriferimento. E di conseguenza del tutto naturale concepire l’idea che anche il tempo cambi dariferimento a riferimento, cioe che ad ogni riferimento non solo sia associato uno spazio affinema anche un tempo.

La meccanica newtoniana postula pero l’esistenza di un tempo unico per tutti i riferimenti (iltempo assoluto). Non postula invece l’esistenza di un riferimento privilegiato quindi di unospazio assoluto tridimensionale (ripropostosi in fisica piu tardi sotto forma di etere e poi defini-tivamente abbandonato) bensı l’esistenza di una classe di riferimenti privilegiati, i riferimenti

inerziali o galileiani. Inoltre, col principio di relativita galileiana, postula che le leggi dellameccanica siano invarianti in forma rispetto ad ogni sistema inerziale. Questo principio, estesoda Einstein a tutti i fenomeni fisici riferiti a sistemi inerziali (principio di relativita speciale)e successivamente anche ai non inerziali (principio di relativita generale), puo riformularsicome principio dell’assoluto, nel senso seguente: tutte le leggi fisiche (in particolare quelledella meccanica) possono esprimersi in forma assoluta, cioe indipendente dalla scelta del rifer-imento. Siamo cosı condotti a ricercare un ambiente opportuno dove formulare tali leggi. Aquesto scopo osserviamo che un concetto primitivo assoluto elementare per la meccanica (comelo e per la geometria euclidea quello di punto) e il concetto di evento. Un evento (quale adesempio lo scoppio di una stella, l’accendersi di una lampadina, l’urto di due particelle, ecc.)ha un suo carattere assoluto, che si puo pero tradurre in termini ”relativi” quando lo si vogliacollocare nello spazio (con la scelta di un riferimento) e nel tempo (con la scelta di un calen-dario o di un orologio). Si possono allora descrivere in maniera assoluta le leggi dell’universooperando sull’insieme di tutti gli eventi, chiamato spazio-tempo o universo o cronotopo, edenunciando il principio dell’assoluto nella maniera seguente:

Principio I. Tutte le leggi fisiche si esprimono in forma assoluta, cioe indipendente dalla sceltadel riferimento, nello spazio-tempo.

Per rendere effettivo questo principio occorre istituire sullo spazio-tempo una struttura matem-atica atta a rappresentare le suddette leggi. Questa struttura puo essere dedotta a partireda postulati di natura fisico-matematica oppure postulata direttamente. Seguiremo il secondoapproccio.

Vi sono vari modelli matematici per lo spazio-tempo. Essi si distinguono sostanzialmente in dueclassi: spazi-tempi affini e spazi-tempi non affini. La struttura affine dello spazio-tempoe concomitante al postulato dell’esistenza dei riferimenti inerziali: i moti inerziali, connessi contali riferimenti, sono rappresentati da rette nello spazio-tempo.

Gli spazi-tempi affini fondamentali sono lo spazio-tempo di Newton, sede della meccanicanewtoniana, e lo spazio-tempo di Minkowski, sede della meccanica einsteiniana (o teoria dellaRelativita Ristretta). Questo paragrafo e dedicato allo studio dello spazio-tempo di Newton. Lasua struttura e definita nel seguente enunciato.

Principio II. Lo spazio-tempo di Newton e uno spazio affine a 4 dimensioni (N,E, δ). Per

Lezioni di Meccanica Razionale

Page 97: Lezioni Di Meccanica Razionale

10 Cap. 3 - Meccanica Newtoniana § 3.3

ogni coppia di eventi P,Q ∈ N il vettore PQ = δ(P,Q) ∈ E prende il nome di intervallo

assoluto dei due eventi. Lo spazio vettoriale associato E e dotato di un covettore χ ∈ E∗

(χρoνoς = tempo). Per ogni coppia di eventi P,Q ∈ N il numero reale 〈PQ,χ〉 prende il nomedi intervallo temporale assoluto dei due eventi. Se 〈PQ,χ〉 > 0 si dice che l’evento Q segue

P o che P precede Q. Se 〈PQ,χ〉 = 0 si dice che gli eventi sono contemporanei. Lo spazio

E0 = v ∈ E | 〈v,χ〉 = 0 (1)

dei vettori di E che annullano χ e dotato di un tensore metrico g0 definito positivo per cuila coppia (E0, g0) e uno spazio vettoriale euclideo tridimensionale. Ogni vettore di E0 e dettospaziale. A due eventi distinti contemporanei P e Q (quindi tali che PQ ∈ E0) si associa ilnumero positivo |PQ| =

g0(PQ, PQ) =√PQ · PQ detto intervallo spaziale assoluto dei

due eventi.

Si osservi che in questo modello di spazio-tempo e definita la distanza spaziale assoluta solo fraeventi contemporanei. La distanza spaziale di eventi non contemporanei e un concetto relativo(si veda piu avanti). Una prima conseguenza delle precedenti assunzioni e la seguente

Proposizione 1. Esiste una funzione reale (definita a meno di una costante additiva) t:N → R,detta tempo assoluto, tale che

χ = dt (2)

e

〈PQ,χ〉 = t(Q) − t(P ) (3)

per ogni coppia di eventi P, Q ∈ N . Per ogni numero reale s l’insieme

Ns = P ∈ N | t(P ) = s = t−1(s)

degli eventi occorrenti alla data s e un sottospazio affine tridimensionale euclideo con spaziovettoriale soggiacente (E0, g0).

Dimostrazione. Si consideri su N un sistema di coordinate affini (xα). Al covettore χ ∈ E∗

corrisponde su N la forma differenziale

χ = χα dxα,

le cui componenti (χα) sono costanti. Questa 1-forma e esatta, perche se si pone

t = χα xα,

si vede che dt = χα dxα = χ. Inoltre:

t(Q)− t(P ) = χα (xα(Q) − xα(P )) = 〈PQ,χ〉,

e la (3) e dimostrata. Se inoltre P e un evento di Ns, allora ogni altro evento Q contemporaneoe tale che t(Q) − t(P ) = 0, quindi tale che 〈PQ,χ〉 = 0, vale a dire PQ ∈ E0. Lo spazio Ns e

Sergio Benenti

Page 98: Lezioni Di Meccanica Razionale

§ 3.3 Lo spazio-tempo di Newton 11

quindi il sottospazio affine generato da un qualunque suo punto P e da tutti i vettori di E0. Lospazio vettoriale corrispondente si identifica banalmente con E0.

I sottospaziNs, che possiamo chiamare spazi di contemporaneita, formano un fogliettamentodello spazio-tempo e stabiliscono una cronologia assoluta degli eventi. Si dice inoltre chel’applicazione t:N → R costituisce la fibrazione temporale assoluta dello spazio-tempo diNewton: le fibre sono i sottospazi Ns.

Fig. 3.3.1 - Il tempo assoluto ed i sottospazi di contemporaneita.

Il moto di una particella e interpretabile come una successione continua di eventi, quindi comecurva.

Definizione 1. Il moto di un punto (o storia di una particella) e una curva nello spazio-tempo di Newton σ: I → N : τ 7→ σ(τ) (di classe C1 almeno). •

Il parametro τ della storia prende il nome di tempo proprio della particella: puo pensarsicome il tempo misurato da un orologio posseduto dalla particella. Vista l’esistenza in N di untempo assoluto, e ragionevole assumere come principio che i tempi propri delle particelle sianosincronizzati col tempo assoluto:

Principio III. Lungo una storia σ(τ) il tempo proprio coincide con il tempo assoluto (modulouna costante):

t(σ(τ)) = τ + cost. (4)

Di conseguenza:

Proposizione 2. Il vettore tangente V = σ ad una storia σ, detto velocita assoluta, soddisfaalla condizione

〈V ,χ〉 = 1 (5)

detta condizione di normalizzazione. La velocita assoluta e trasversa (cioe non tangente)agli spazi di contemporaneita Ns.

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Page 99: Lezioni Di Meccanica Razionale

12 Cap. 3 - Meccanica Newtoniana § 3.3

Dimostrazione. La condizione (4) equivale a

D(t σ)(τ) =dt

dτ= 1 (6)

e questa a sua volta, ricordata la definizione di vettore tangente, a

〈V , dt〉 = 1, (5′)

cioe alla (5). Per dimostrare la trasversalita basta ricordare che la condizione di tangenza e〈V , dt〉 = 0, perche Ns e definito dall’equazione t = s = cost.

Osservazione 1. Essendo N uno spazio affine, fissato un suo qualunque punto O, la storia diuna particella ammette una rappresentazione vettoriale del tipo

OP = R(τ), (7)

denotato con P (τ) il punto mobile. La velocita assoluta puo dunque definirsi come limite di unrapporto incrementale:

V (τ) = limh→0

1

h

(R(τ + h) − R(τ)

). • (8)

Fig. 3.3.2 - La storia di una particella e gli enti cinematici assoluti.

Definizione 2. Dicesi accelerazione assoluta di una particella il vettore

A =dV

dτ(9)

definito, per ogni valore del tempo proprio τ , da

A(τ) = limh→0

1

h

(V (τ + h) − V (τ)

). (9′)

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Page 100: Lezioni Di Meccanica Razionale

§ 3.3 Lo spazio-tempo di Newton 13

Si dice che una particella si muove di moto inerziale o che e in stato inerziale se la suavelocita assoluta e costante, ovvero se A = 0. •

Osservazione 2. Al contrario della velocita assoluta, l’accelerazione assoluta e sempre tangenteai sottospazi Ns. Infatti

〈A, dt〉 = 〈dVdτ

,χ〉 =d

dτ〈V ,χ〉 = 0,

perche χ e costante e 〈V ,χ〉 = 1. •

Un moto inerziale e rappresentato da una retta nello spazio-tempo, trasversale al fogliettamentodegli spazi di contemporaneita. Il moto inerziale rappresenta il moto di un punto materialelibero e isolato, non soggetto cioe ad alcuna sollecitazione. I moti inerziali sono i soli ad essererappresentati da rette nello spazio-tempo e quindi sono alla base della sua struttura affine. Edunque ragionevole formulare per la dinamica di un punto materiale libero il seguente principio:

Principio IV. Un punto o particella materiale e una coppia (P,m) costituita da un puntomobile P (τ) nello spazio-tempo di Newton N e da un numero reale positivo m, detto massa

propria o massa inerziale. Le sollecitazioni a cui esso e soggetto e che lo deviano dallo statoinerziale sono rappresentate da un vettore F ∈ E. Tutte le possibili storie di un punto materialesoddisfano all’equazione

mA = F (10)

Come si vede, la formulazione di questo principio fa intervenire soltanto concetti assoluti, cioedefiniti sullo spazio-tempo. Introduciamo ora il concetto di riferimento ed analizziamone leconseguenze.

Per riferimento fisico s’intende un insieme di punti distribuiti con continuita nello spaziofisico, ciascuno caratterizzato da un nome, costituito in genere da tre coordinate. Le particelledi un riferimento vengono anche chiamate osservatori. Nello spazio-tempo le storie di questiosservatori sono rappresentate da curve non intersecantisi che lo ricoprono completamente (sidice anche che esse formano una congruenza di curve nello spazio-tempo) oppure solo in parte,nel caso che il riferimento fisico considerato non invada tutto lo spazio. Le velocita assolute degliosservatori, cioe i vettori tangenti alle loro storie, formano un campo vettoriale soddisfacente,per definizione, alla condizione di normalizzazione (5). Le accelerazioni assolute sono infine nullese e solo se gli osservatori si muovono tutti di moto inerziale e costituiscono quindi un riferimentoinerziale. Di qui la seguente

Definizione 3. Un riferimento e un campo vettoriale X sullo spazio-tempo N soddisfacentein ogni punto alla condizione di normalizzazione

〈X,χ〉 = 1 (11)

Se il campo X e costante il riferimento si dice inerziale o galileiano. Le curve integrali delcampo X rappresentano le storie delle particelle del riferimento. •

Qui ci limitiamo a considerare solo riferimenti inerziali. Le storie degli osservatori di un riferi-mento inerziale formano, nello spazio-tempo, un fascio di rette parallele (Fig. 3.3.3).

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Page 101: Lezioni Di Meccanica Razionale

14 Cap. 3 - Meccanica Newtoniana § 3.3

Proposizione 3. Sia X un riferimento inerziale. L’insieme NX degli osservatori (cioe dellestorie delle sue particelle) e uno spazio affine euclideo tridimensionale.

Fig. 3.3.3 - Un riferimento inerziale nello spazio-tempo.

Dimostrazione. Nello spazio vettorialeE soggiacente allo spazio affine N si consideri la relazionedi equivalenza generata da X ,

u ∼ v ⇐⇒ u − v = kX (k ∈ R).

ed il corrispondente spazio vettoriale quoziente EX = E/X. Si denoti con [v]X la classe diequivalenza rappresentata dal vettore v ∈ E. Si consideri inoltre l’applicazione

δX :NX ×NX → EX

definita daδX(o1, o2) = [P1P2]X , ∀P1 ∈ o1, ∀P2 ∈ o2.

Si verifica facilmente che questa definizione e ben data, cioe che il primo membro non dipendedalla scelta degli eventi P1 e P2 lungo le storie dei due osservatori o1 e o2, e che inoltrel’applicazione δX soddisfa ai requisiti richiesti dalla definizione di spazio affine. Si ha dunqueche la terna

(NX, EX, δX)

e uno spazio affine. Inoltre sullo spazio vettoriale EX si puo definire un tensore metrico ponendo

|δX(o1, o2)| = |P1P2|, ∀P1 ∈ o1, ∀P2 ∈ o2 | 〈P1P2,χ〉 = 0.

Cio significa che la distanza di due osservatori e uguale all’intervallo spaziale assoluto di duequalunque eventi contemporanei appartenenti alle loro rispettive storie. Lo spazio affine diventaallora euclideo.

Lo spazio affine NX rappresenta lo spazio fisico osservato dal riferimento inerziale X . SiaπX :N → NX l’applicazione suriettiva che associa ad ogni evento P ∈ N l’osservatore la cui

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§ 3.3 Lo spazio-tempo di Newton 15

storia contiene P . La proposizione precedente mostra che con la scelta di un riferimento lospazio-tempo si decompone, tramite l’applicazione biunivoca

πX × t:N → NX × R:P 7→(πX(P ), t(P )

),

nel prodotto cartesiano dello spazio NX e dell’asse reale dei tempi (Fig. 3.3.3).

Lo spazio vettoriale EX e canonicamente isomorfo allo spazio E0 perche ogni classe [v]X ∈ EX

ammette uno ed un solo rappresentante v ∈ E0. Infatti, fissato un riferimento X , ogni vettorenello spazio-tempo puo essere rappresentato, in maniera unica, come somma di un vettore paral-lelo a X e di un vettore spaziale, cioe appartenente a E0. Applichiamo questa rappresentazioneagli enti vettoriali assoluti fin qui introdotti.

Definizione 4. Diciamo rappresentazione o decomposizione relativa al riferimento X

dell’intervallo assoluto PQ di due eventi la scrittura

PQ = r + θX , 〈r,χ〉 = 0 (12)

Il vettore spaziale r prende il nome di intervallo spaziale relativo dei due eventi. •

Si noti che, applicando all’uguaglianza (12) il covettore χ e tenendo conto della (3), si ottiene

t(P ) − t(Q) = θ. (13)

Il numero θ che compare nella (12) e dunque l’intervallo temporale assoluto dei due eventi.

Definizione 5. Sia σ: I → N la storia di una particella. Diciamo moto relativo al riferimentoinerziale X della particella la curva σX : I → NX proiezione della σ mediante la πX :

σX = πX σ.

Diciamo rappresentazione o decomposizione relativa al riferimento X della velocita

assoluta della particella la scrittura

V = v + X, 〈v,χ〉 = 0 (14)

Il vettore spaziale v prende il nome di velocita relativa a X della particella. •

Questa definizione richiede alcuni commenti. Si consideri una rappresentazione vettoriale OP =R(τ) della storia σ riferita ad un punto O ∈ N . Per ogni valore del tempo proprio τ si puoconsiderare la decomposizione relativa a X del vettore R(τ):

R(τ) = r(τ) + θ(τ) X, 〈r(τ),χ〉 = 0. (15)

Il vettore r(τ) fornisce la rappresentazione vettoriale relativa al riferimento X del moto dellaparticella. Tenuto conto di quanto osservato in precedenza, lungo la storia della particella il

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16 Cap. 3 - Meccanica Newtoniana § 3.3

tempo proprio τ si puo identificare con il tempo assoluto t. Supposto che l’evento O sia tale chet(O) = 0 la (15) diventa allora

R(t) = r(t) + tX, 〈r(t),χ〉 = 0. (16)

Derivando quest’uguaglianza rispetto a t = τ , a primo membro si trova la velocita assoluta V ea secondo membro proprio l’espressione (14), posto che si abbia

v =dr

dt. (17)

Quindi il vettore v che compare nella decomposizione (14) rappresenta proprio la velocita relativaal riferimento X della particella (Fig. 3.3.4).

Fig. 3.3.4 - La storia di una particella osservata da un riferimento.

Si consideri ora la presenza di due riferimenti inerziali X e X′. Abbiamo, secondo quanto finoravisto, due rappresentazioni tridimensionali dello spazio fisico, NX e NX′ . Questi due spazi affinisono del tutto distinti. Il collegamento tra questi due spazi avviene solo tramite lo spazio tempoN e le proiezioni πX e πX′ (Fig. 3.3.5).

I vettori X e X ′ rappresentano le velocita assolute delle particelle dei due riferimenti fisicicorrispondenti. Si puo per esempio considerare la rappresentazione della velocita assoluta X ′

relativa al riferimento X :

X ′ = vtr + X (18)

Il vettore spaziale (costante) vtr cosı determinato prende il nome di velocita di trascinamento

del riferimento X′ rispetto al riferimento X : e infatti, secondo quanto affermato qui sopra, lavelocita relativa a X delle particelle costituenti il riferimento X ′.

Considerata allora la storia di una particella σ, la sua velocita assoluta V ammette due rappre-sentazioni relative ai due riferimenti:

V = v + X = v′ + X ′.

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§ 3.4 Dinamica del punto vincolato 17

Di qui, essendo per la (18)

vtr = X ′ − X

segue subito l’uguaglianza

v = v′ + vtr

che esprime il teorema dei moti relativi (Fig. 3.3.5).

Fig. 3.3.5 - Il teorema dei moti relativi nello spazio-tempo.

Si puo considerare la rappresentazione relativa ad un generico riferimento inerziale X dell’acce-lerazione assoluta:

A = a + αX , 〈a,χ〉 = 0.

Derivando la (14) si vede che essa si riduce semplicemente a

A = a =dv

dt,

conformemente all’osservazione gia fatta che essa e un vettore spaziale. Dunque l’accelerazioneassoluta coincide con l’accelerazione relativa ad un qualunque riferimento inerziale. L’equazionedinamica assoluta (10) risulta quindi equivalente all’equazione relativa

ma = F .

Si noti che anche la forza, come l’accelerazione assoluta, e sempre un vettore spaziale.

3.4 Dinamica del punto vincolato

Un punto materiale, anziche essere libero di occupare qualunque posizione nello spazio e di as-sumere qualunque velocita, puo essere soggetto a vincoli di posizione o a vincoli di velocita.Un vincolo di posizione puo essere rappresentato da una superficie (fissa o mobile) oppure da

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18 Cap. 3 - Meccanica Newtoniana § 3.4

una curva (fissa o mobile): al vettore posizione r = OP e imposto di soddisfare un’equazionedel tipo

ϕ(r, t) = 0, (1)

rappresentante la superficie al tempo t, oppure una coppia di equazioni

ϕ1(r, t) = 0, ϕ2(r, t) = 0, (2)

rappresentanti la curva al tempo t. Ogni moto compatibile con il vincolo deve essererappresentato da una funzione OP = r(t) soddisfacente identicamente la (1) o le (2). Affinche la(1) rappresenti una superficie regolare si richiede che la funzione ϕ abbia, per ogni istante t e peri punti soddisfacenti alla (1), gradiente non nullo. Analogamente, affinche le (2) rappresentinouna curva regolare si richiede che le funzioni ϕ1 e ϕ2 abbiano, per ogni t e per i punti soddisfacentialle (2), gradienti linearmente indipendenti.

Un vincolo di posizione rappresentato da un’uguaglianza del tipo (1) (superficie) e un vincolo

bilaterale. Si possono considerare anche vincoli unilaterali, rappresentati da disuguaglianzedel tipo ϕ(r, t) ≥ 0 (per esempio il caso del pendolo: il punto rappresentativo e vincolato a nonoccupare posizioni esterne ad una sfera di raggio pari alla lunghezza del filo, inestendibile maflessibile, del pendolo).

Un vincolo di posizione implica sempre un vincolo di velocita, ma non viceversa. Per esempioper un punto vincolato ad una superficie di equazione (1) le velocita devono soddisfare allacondizione

grad(ϕ) · v +∂ϕ

∂t= 0, (3)

che e la scrittura sintetica dell’equazione

∂ϕ

∂xα

dxα

dt+∂ϕ

∂t= 0

ottenuta derivando totalmente rispetto al tempo la rappresentazione in coordinate cartesiane(xα) dell’equazione (1). Si ha conferma dalla (3) che se il vincolo e fisso (il tempo t non compareesplicitamente nella funzione ϕ) allora la velocita e sempre tangente al vincolo. Si osservi che ilvincolo di velocita (3) e lineare (non omogeneo) nella v.

Dal punto di vista dinamico, conformemente al principio newtoniano secondo cui ogni azioneche tende a rimuovere un punto dal suo stato naturale di moto rettilineo uniforme e una forzarappresentata da un vettore, si postula che il soddisfacimento del vincolo sia da attribuirsi allapresenza di una forza F r, detta forza reattiva o reazione vincolare.

In base a questo postulato, detto postulato delle reazioni vincolari, l’equazione della di-namica di un punto soggetto ad un vincolo diventa

ma = F a + F r (4)

dove il vettore F a, detto forza attiva, rappresenta la somma di tutte le forze di natura nonvincolare che agiscono sul punto.

Mentre della forza attiva F a si postula una ben determinata dipendenza dalla posizione e velocitadel punto (cioe una legge di forza, eventualmente dipendente dal tempo), la reazione vincolare

Sergio Benenti

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§ 3.4 Dinamica del punto vincolato 19

e a priori un’incognita. Si sa soltanto, in base al postulato, che essa deve operare in modotale da rendere sempre soddisfatto il vincolo. Alla reazione vincolare e tuttavia imposta unacondizione costitutiva che traduce in termini matematici le caratteristiche fisiche del vincolo,cioe il tipo di forza reattiva che il vincolo e capace di esplicare.

La condizione costitutiva piu semplice e quella di vincolo liscio, rappresentata dall’ortogonalitadella reazione vincolare F r al vincolo (curva o superficie). Si osservi che questa condizionetraduce matematicamente il concetto intuitivo di assenza di attrito, ovvero di non dissipazionedi potenza da parte del vincolo (almeno nel caso in cui questo e fisso). Infatti se la potenzareattivaWr = F r · v e sempre nulla qualunque sia la velocita del punto, siccome questa e sempretangente al vincolo (se questo e fisso), segue che F r e ortogonale.

Esaminiamo in questo paragrafo la dinamica di un punto vincolato ad un vincolo liscio e fisso.Per la discussione del caso di un vincolo mobile e conveniente porsi in un contesto piu generale(Cap. 4).

La dinamica di un punto vincolato ad un superficie liscia fissa, per quanto sopra visto, eretta dal sistema di equazioni

ϕ(r) = 0,

ma = F a(r, v, t) + λ grad(ϕ)(5)

composto dall’equazione della superficie (1), dall’equazione fondamentale (4) e dalla condizionecostitutiva di vincolo liscio, che per il teorema del gradiente si puo esprimere con l’uguaglianza

F r = λ grad(ϕ) (6)

dove λ e un coefficiente di proporzionalita. Si tratta di un sistema differenziale del secondo ordinenell’incognita r(t) contenente un’incognita ausiliaria λ(t), detta moltiplicatore di Lagrange

(Joseph-Louis Lagrange, 1736-1813). La discussione di questo sistema (riportata in appendice alparagrafo) porta alla conclusione seguente: comunque si fissino la posizione e la velocita inizialidel punto, compatibili con il vincolo, esiste un’unica soluzione (r(t), λ(t)) del sistema (5).

Un metodo alternativo alle equazioni (5) consiste nel decomporre l’equazione fondamentale (4)nella sua parte tangente e nella sua parte ortogonale alla superficie. Ricordiamo a questo propo-sito (§ 2.5) che l’accelerazione e decomponibile nella somma

a = a(i) + a(N)

dove a(i) e la parte tangente (l’accelerazione intrinseca) e a(N) e la parte ortogonale. Quest’ul-tima risulta essere data da

a(N) = B(v, v) N ,

dove B e la seconda forma fondamentale ed N e un versore ortogonale alla superficie. Lacondizione di vincolo liscio si esprime semplicemente nell’uguaglianza

F r = RN .

Decomposta anche la forza attiva nella somma

F a = F + FN N (F · N = 0) (7)

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Page 107: Lezioni Di Meccanica Razionale

20 Cap. 3 - Meccanica Newtoniana § 3.4

della sua parte tangente F e della sua parte ortogonale alla superficie FNN , l’equazione (4)risulta allora decomposta nelle due equazioni

ma(i) = F (r, v, t),

mB(v, v) = FN (r, v, t) + R(8)

E importante osservare che la prima delle equazioni (8) non coinvolge la reazione vincolare epermette da sola la determinazione dei moti. La seconda invece, una volta che sia determinatoil moto, consente di calcolare la funzione R(t) e quindi la reazione vincolare.

Se si considerano coordinate (qi) sulla superficie (i = 1, 2), ricordate le espressioni delle compo-nenti dell’accelerazione intrinseca e posto

F = F i ei, (9)

si vede che la prima delle equazioni (8) risulta equivalente al seguente sistema del primo ordine:

dqi

dt= vi

dvi

dt= −Γi

hj vh vj +

1

mF i(qj , vj, τ),

dt= 1,

(h, i, j = 1, 2) (10)

ovvero, se le forze attive non dipendono dal tempo, al sistema

dqi

dt= vi

dvi

dt= −Γi

hj vh vj +

1

mF i(qj , vj).

(h, i, j = 1, 2) (11)

Osservazione 1. Il sistema (11) corrisponde ad un campo vettoriale XL sopra lo spazio TQdei vettori tangenti alla superficie Q rappresentante il vincolo, di coordinate (qi, vi). Comevedremo, TQ e una varieta differenziabile di dimensione 4. Per il teorema di Cauchy esisteuna ed una sola curva integrale massimale basata in un prefissato punto iniziale di TQ, valea dire posizione e velocita iniziali del punto. Questa curva sara localmente rappresentata daquattro equazioni parametriche, qi = qi(t), vi = vi(t), soluzioni del sistema (11). Le prime due,qi = qi(t), forniscono il moto del punto. •

Osservazione 2. Se la forza attiva F a e nulla si dice che il punto si muove di moto spontaneo

sulla superficie: e soggetto alla sola reazione del vincolo. In tal caso l’equazione (8)1 forniscea(i) = 0. I moti spontanei su di una superficie sono quindi moti geodetici (si veda § 2.6, Oss. 2).•

Osservazione 3. Nel caso di un punto vincolato ad una superficie l’energia cinetica e data da

T = 12mAij v

i vj , (12)

Sergio Benenti

Page 108: Lezioni Di Meccanica Razionale

§ 3.4 Dinamica del punto vincolato 21

dove le (Aij), funzioni delle coordinate (qi), sono le componenti della prima forma fondamentale.Infatti: v · v = vi vj ei · ej = vi vj Aij . Le equazioni di moto di un punto vincolato ad unasuperficie liscia possono anche costruirsi, con un procedimento diretto, partendo dalla conoscenzadell’energia cinetica e delle cosiddette forze lagrangiane:

φi = F a · ei = F · ei. (13)

Infatti, per quanto si e visto sulle componenti covarianti dell’accelerazione di un punto liberoe sull’accelerazione intrinseca di un punto su di una superficie (§ 2.2, Oss. 5, e §2.5, Oss. 3)l’equazione (8)1 risulta equivalente alle due equazioni

d

dt

(∂T

∂vi

)

− ∂T

∂qi= φi (i = 1, 2) (14)

posto vi =dqi

dt= qi. Queste sono le equazioni di Lagrange, la cui validita si estende ad una

vasta classe di sistemi meccanici (Cap. 4). •

Osservazione 4. Le considerazioni svolte al § 3.2 sugli integrali primi tipici associati allegrandezze cinetiche fondamentali possono estendersi al caso di un punto vincolato ad una su-perficie. Omettendo la discussione dettagliata, consideriamo solo tre esempi. (I) Se il vincolo ela forza attiva sono tali che la somma F a + F r e un vettore sempre diretto verso una retta fissasussiste l’integrale primo del momento assiale. (II) Se la superficie e liscia e fissa e la forza attivae conservativa sussiste l’integrale primo dell’energia. (III) In quest’ultimo caso la restrizionedel potenziale U alla superficie si rappresenta con una funzione U(qi) delle coordinate dellasuperficie. Le forze lagrangiane risultano allora date da

φi =∂U

∂qi(15)

Per riconoscerlo basta calcolare la potenza della forza attiva Wa = F a · v. Da un lato si ha

Wa = F a · vi Ei = φi vi.

Dall’altro

Wa =dU

dt=∂U

∂qi

dqi

dt=∂U

∂qivi. •

Osservazione 5. La dinamica di un punto vincolato ad una curva liscia fissa puo esseretrattata proiettando l’equazione fondamentale (4) sul triedro fondamentale della curva (t,n, b)(§2.3). Poiche l’accelerazione e suscettibile della decomposizione intrinseca

a = s t + c s2 n,

postoF a = Fat t + Fan n + Fab b, F r = Frn n + Frb b

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Page 109: Lezioni Di Meccanica Razionale

22 Cap. 3 - Meccanica Newtoniana § 3.4

(si noti che la condizione di vincolo liscio si esprime nell’annullarsi della componente tangentealla curva della reazione vincolare) l’equazione fondamentale (4) risulta decomposta nel sistemadi equazioni

m s = Fat(s, s, t),

m c s2 = Fan(s, s, t) + Frn,

0 = Fab(s, s, t) + Frb.

(16)

dette equazioni intrinseche del moto. La prima non coinvolge la reazione vincolare e quindiconsente di determinare completamente il moto. Essa infatti e un’equazione differenziale delsecondo ordine nella funzione incognita s(t). Noto il moto, la seconda consente di calcolare lareazione normale Frn e la terza la reazione binormale Frb, sicche tutti gli elementi incognitirisultano completamente determinati. •

Osservazione 6. Si puo ripetere per il punto vincolato ad una curva l’Oss. 4. In questo casopero si puo affermare che nel caso di una forza attiva posizionale, qualunque essa sia, sussistesempre l’integrale primo dell’energia. Infatti la prima equazione intrinseca diventa

m s = Fat(s)

e se si considera una qualunque primitiva U(s) della funzione Fat(s) risulta:

Wa = F a · v = Fat s =dU

dss =

dU

dt.

Sicche dal teorema dell’energia

Wa +Wr =dT

dt,

essendo Wr = 0 per l’ipotesi del vincolo liscio, segue ddt

(T − U

)= 0. •

Osservazione 7. Nel caso di un punto su di una curva l’energia cinetica e data da

T = 12m s2.

Sussistendo l’integrale primo dell’energia, si ha dunque

12m s2 − U(s) = h, (17)

dove h e la costante dell’energia. Posto allora

f(s) = 1m Fat(s), Φ(s) = 2

m

(h+ U(s)

),

l’equazione di moto (16)1 e l’integrale dell’energia (17) assumono rispettivamente la forma:

s = f(s), s2 = Φ(s). (18)

Si osservi che Φ(s) e una primitiva di 2f(s). La seconda e un’equazione di Weierstrass e si puoquindi applicare la discussione di § 1.3. •

Sergio Benenti

Page 110: Lezioni Di Meccanica Razionale

§ 3.4 Dinamica del punto vincolato 23

***

Discussione del sistema di equazioni (5). Si consideri lo spazio TE3 ' R6 dei vettori applicati

dello spazio affine euclideo tridimensionale E3, cioe delle coppie di vettori (r, v), di coordinate(xα, vα). Sia Q ⊂ E3 la superficie di vincolo di equazione ϕ(xα) = 0. Sia TQ ⊂ TE l’insieme deivettori tangenti alla superficie Q. Un vettore e tangente alla superficie se e solo se e applicato inun punto di questa ed inoltre e ortogonale a grad(ϕ). Pertanto TQ e il sottoinsieme di TE3 ' R

6

definito dalle due equazioni

ϕ(r) = 0, ψ(r, v) ≡ v · grad(ϕ) = 0. (19)

Poiche la matrice 2 × 6 delle derivate parziali

∂ϕ

∂xα

∂ϕ

∂vα

∂ψ

∂xα

∂ψ

∂vα

=

∂ϕ

∂xα0

vβ ∂2ϕ

∂xα∂xβ

∂ϕ

∂xα

ha rango massimo (le derivate ∂ϕ/∂xα, componenti del gradiente, non si annullano mai simul-taneamente per l’ipotesi di regolarita della superficie Q) le equazioni (19) definiscono TQ comesuperficie regolare di codimensione 2 in R

6. Introdotta la forma quadratica associata all’hessianodella funzione ϕ,

Φ(v) = vα vβ ∂2ϕ

∂xα∂xβ,

si puo affermare che

Proposizione 1. I moti r(t) di un punto vincolato ad una superficie liscia fissa, cioe le soluzionidel sistema (5), sono la prima componente di tutte e sole le curve integrali (r(t), v(t)) basate inpunti di TQ del sistema dinamico X su TE3 di equazioni

dr

dt= v,

dv

dt=

1

mF a −

(1

mF a · grad(ϕ) + Φ(v)

)grad(ϕ)

|grad(ϕ)|2 .(20)

In corrispondenza a tali curve integrali il moltiplicatore di Lagrange λ(t) e dato da

λ = − mΦ(v) + F a · grad(ϕ)

|grad(ϕ)|2 . (21)

Dimostrazione. Si moltiplichi scalarmente la (5)2 per grad(ϕ) in modo da risolverla rispetto aλ. Tenuto conto che per ogni moto compatibile col vincolo si ha v · grad(ϕ) = 0, quindi che

a · grad(ϕ) = −v ·

d

dtgrad(ϕ) = −Φ(v), (22)

si trova la (21). Sostituendo la (21) nella stessa (5)2 si vede che le soluzioni del sistema (5)soddisfano al sistema (20). Viceversa, osservato che per ogni curva su TE3 si ha

ψ =dϕ

dt,

dt=dv

dt· grad(ϕ) + Φ(v), (23)

Lezioni di Meccanica Razionale

Page 111: Lezioni Di Meccanica Razionale

24 Cap. 3 - Meccanica Newtoniana § 3.5

si consideri una curva integrale del sistema (20) basata in un punto di TQ. In virtu della (20)2si ha per la (23)2 ψ = 0, quindi ψ = costante, anzi ψ = 0 perche cosı e inizialmente. Dalla (23)1segue allora ϕ = costante, anzi ϕ = 0 perche cosı e inizialmente. Pertanto ogni curva integraledel sistema (20) basata in TQ giace tutta su TQ (vale a dire: il campo vettoriale X e tangente aTQ). Una tale curva, per il modo con cui si e costruita l’equazione (20)2, e soluzione del sistema(5).

Si noti come questo metodo (del moltiplicatore di Lagrange) appaia piu complesso rispettoa quello della decomposizione ortogonale-tangente dell’equazione della dinamica, se non altroperche richiede l’integrazione di un sistema di sei equazioni differenziali anziche di quattro.

3.5 Esempi notevoli

Consideriamo in questo paragrafo alcuni classici esempi di applicazione della teoria svolta neiparagrafi precedenti.

3.5.1 Il moto dei gravi

Dalla Fisica sappiamo che la forza agente su di un punto materiale liberamente gravitante inprossimita della superficie terrestre, per tempi brevi e per piccoli spazi, preso come riferimentola Terra ma trascurate le forze apparenti (e la resistenza dell’aria), e rappresentabile da unvettore costante proporzionale alla massa gravitazionale del punto (che si identifica con la suamassa inerziale) e verticale, cioe ortogonale al piano orizzontale rappresentante localmentela superficie terrestre, e orientato ”verso il basso”. La legge di forza e cioe F = m g, dove g eun vettore costante, detto accelerazione gravitazionale. L’equazione differenziale del motosi riduce allora semplicemente a

a = g (= cost.). (1)

Con due integrazioni successive si ottengono i vettori velocita e posizione del punto in funzionedel tempo:

v = g t+ v0, r = 12

g t2 + v0 t+ r0, (2)

essendo (r0, v0) posizione e velocita iniziali. Le (2) mostrano che, com’e ben noto, il moto epiano (il piano del moto e verticale e determinato dalla posizione iniziale P0 e dalla velocitainiziale v0) ed e la composizione di un moto rettilineo uniforme di velocita v0 e di un motoverticale uniformemente accelerato. Essendo F · u = 0 con u versore orizzontale qualsiasi,sussiste l’integrale primo della quantita di moto secondo ogni direzione orizzontale: la parteorizzontale della velocita resta costante. Siccome la forza e conservativa, di potenziale

U = −mgz

(si scelgano assi cartesiani (x, y, z) con asse z verticale orientato verso l’alto) sussiste l’integraleprimo dell’energia (diviso per la massa)

12

(x2 + y2 + z2) + gz = cost.

Siccome la quantita di moto orizzontale e costante, e anche costante la parte ”orizzontale”dell’energia cinetica, sicche combinando i due integrali primi si ottiene un terzo integrale primo:

12z2 + g z = h, h = 1

2z20 + g z0,

Sergio Benenti

Page 112: Lezioni Di Meccanica Razionale

§ 3.5 Esempi notevoli 25

che puo porsi nella forma di equazione di Weierstrass (§1.3)

z2 = Φ(z), Φ(z) = 2 (h− gz).

La funzione Φ(z) ha come grafico una retta (Fig. 3.5.1) e mette quindi in evidenza, qualunquesia la costante h, uno zero semplice z1 rappresentante la quota massima raggiunta dal grave (selanciato inizialmente verso l’alto)

z1 =h

g= 1

2

z20

g+ z0.

La quota massima e raggiunta in un tempo finito

t1 =

∫ z1

z0

dz√

2(h− gz)=z0g.

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z

Φ(z)

z1

z0•

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Fig. 3.5.1 - La funzione di Weierstrass Φ(z) della cadutadi un grave.

3.5.2 Il pendolo semplice

S’intende comunemente per pendolo un corpo pesante collegato con un filo inestendibile adun punto fisso O e per il resto libero di muoversi sotto l’influenza della gravita. Si tratta diun sistema meccanico schematizzabile in prima approssimazione in un punto materiale (P,m)vincolato ad una sfera di centro O e raggio l pari alla lunghezza del filo, supposto che questo restisempre teso, o meglio che esso sia in realta costituito da un’asticciola rigida di massa trascurabile.Se si trascurano gli attriti dovuti alle articolazioni tra corpo, asta e punto fisso, nonche all’aria,il vincolo e da ritenersi liscio: la forza reattiva F r e ortogonale alla sfera e rappresenta la forzache il filo esercita sul punto P (la sua intensita e la tensione del filo). Se il riferimento scelto equello terrestre, per moti di breve durata e a bassa velocita si puo trascurare la forza di Coriolis,sicche la forza attiva si riduce alla sola forza peso, la quale puo ritenersi costante perche ledimensioni del pendolo sono trascurabili rispetto alla sfera terrestre. Il modello cosı costruitoprende il nome di pendolo sferico. Se invece si vuol tener conto della forza di Coriolis, siottiene il classico pendolo di Foucault.

Lezioni di Meccanica Razionale

Page 113: Lezioni Di Meccanica Razionale

26 Cap. 3 - Meccanica Newtoniana § 3.5

Se la velocita v0 del punto e nulla oppure appartiene al piano verticale contenente P0 e O, allorail moto avviene in questo piano. Per dimostrarlo si puo osservare che sussiste l’integrale primodel momento assiale della quantita di moto OP ×v · k = cost., con k versore verticale, perche ilvettore forza a secondo membro della (1) e sempre diretto verso la retta verticale passante perO (oppure, quando F r = 0, parallela a questa). Questa quantita rappresenta la velocita arealedel punto P∗, proiezione del punto P su di un piano orizzontale (ortogonale a k). Se e nullaall’inizio, essa e sempre nulla, quindi il moto avviene in un piano verticale.

Il caso particolare ora considerato giustifica lo studio del pendolo semplice, costituito da unpunto pesante vincolato ad una circonferenza verticale (cioe giacente su di un piano parallelo alcampo di forza costante mg).

Si considerino assi cartesiani (x, z) aventi origine in O, con z verticale orientato verso il basso.Conviene anche considerare l’angolo ϑ compreso tra OP e l’asse z (vedi Fig. 3.5.2).

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··········································· mg

x

z

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Fig. 3.5.2 - Il pendolo semplice.

Il potenziale della forza peso e U = mgz, quindi la sua restrizione alla circonferenza e U =mgl cosϑ. Cominciamo col considerare l’integrale primo dell’energia T − U = h, che in questocaso diventa

12 m l2 ϑ2 −mg l cos ϑ = h.

Questo produce un’equazione di Weierstrass:

ϑ2 = Φ(ϑ), Φ(ϑ) = 2

(h

ml2+g

lcosϑ

)

.

Posto

ω2 =g

l, k =

h

mgl,

risulta

Φ(ϑ) = 2ω2(k + cosϑ).

Si riconoscono di qui immediatamente i vari tipi di moto del pendolo semplice gia considerati al§ 1.4, Esempio 3 (si veda la Fig. 3.5.3 e la Fig. 1.4.2).

Sergio Benenti

Page 114: Lezioni Di Meccanica Razionale

§ 3.5 Esempi notevoli 27

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ϑ

Φ(ϑ)

0

0

2ω2

−2ω2

−π π−π

2

π

2

k=−1

k=0

k=1

k=2

I

II

II

IV

················································································································································································································································································

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················································································································································································································································································

················································································································································································································································································

················································································································································································································································································

················································································································································································································································································

················································································································································································································································································..............................................................................................................................................................................................................................................................................

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Fig. 3.5.3 - La funzione di Weierstrass Φ(ϑ) del pendolo semplice.

(I) Se k = −1, si ha uno zero doppio per ϑ = 0: e uno stato di equilibrio. L’equilibrio e stabileperche per piccole variazioni di k (che per la sua stessa definizione non puo mai essere < −1)questo zero doppio si modifica in un intervallino compreso tra due zeri semplici, quindi lo statodi equilibrio si modifica in un moto periodico (”piccole oscillazioni”). La nozione di posizione diequilibrio stabile, derivante da quella di punto critico stabile, sara precisata al Cap. 4.

(II) Se −1 < k < 1, si hanno due zeri semplici ϑ1 e ϑ2 simmetrici rispetto a ϑ = 0: il pendolooscilla tra questi due estremi con moto periodico.

(III) Se k = 1, si ha uno zero doppio ϑ = ±π, che corrisponde alla sommita del pendolo.Questa puo essere una meta sintotica oppure una posizione di equilibrio se il pendolo vi si trovainizialmente (l’equilibrio pero non e stabile, perche piccole variazioni di k non producono piu”piccole oscillazioni”).

(IV) Se k > 1, la funzione di Weierstrass e sempre positiva, non vi sono zeri: il pendolo non siarresta mai, ruotando sempre nello stesso verso con moto periodico.

Consideriamo ora le equazioni intrinseche del moto nel caso del pendolo (Oss. 5, §3.4). Essendoin questo caso s = lϑ, g · t = − g sinϑ, g · n = − g cosϑ, si ottengono le equazioni

lϑ = − g sinϑ,

mlϑ2 = − mg cosϑ+ Frn,

0 = Frb.

La prima e l’equazione del pendolo:

ϑ+ ω2 sinϑ = 0, ω2 =g

l.

Nel caso di piccole oscillazioni l’approssimazione ϑ ' sinϑ produce l’equazione del moto

armonico:ϑ+ ω2ϑ = 0.

Lezioni di Meccanica Razionale

Page 115: Lezioni Di Meccanica Razionale

28 Cap. 3 - Meccanica Newtoniana § 3.5

La seconda equazione intrinseca consente di calcolare la reazione vincolare F r che e tutta direttasecondo il versone normale n. Se si tien conto anche dell’integrale primo dell’energia si trova aconti fatti che

Frn = m(l ϑ2

0 − 2 g cosϑ0 + 3 g cosϑ).

Questa formula esprime quindi la tensione del filo, nota la sua posizione istantanea, la suaposizione iniziale e la sua velocita iniziale. Le eventuali posizioni in cui Frn si annulla sonopossibili punti di distacco del punto dalla circonferenza.

3.5.3 Moto di un punto in un campo centrale simmetrico

Un campo di forza F (P ) e detto campo centrale se esiste un punto O, detto centro del

campo, tale che F (P ) e parallelo al vettore OP . Il campo F ammette in questo caso unarappresentazione del tipo

F = F u,

dove u e il versore di OP ed F e un campo scalare (l’intensita della forza). Piu in particolareun campo centrale e detto simmetrico o a simmetria sferica se la sua intensita F e funzionedella sola distanza r dal centro O:

F = F (r) u.

Un tale campo e conservativo: una qualunque primitiva U(r) di F (r) e un potenziale. Per ladinamica di un punto materiale mobile in un campo centrale simmetrico sussistono quindi dueintegrali primi: l’integrale primo del momento della quantita di moto (o delle aree, vedi § 2) el’integrale primo dell’energia. I moti sono centrali di centro O (perche a× r = 0), quindi piani.Il piano del moto e individuato dal punto O e dai vettori posizione e velocita iniziali (r0, v0). Sesu questo piano si considerano coordinate polari (r, ϑ) di centro il punto O allora i due integraliprimi si traducono nelle uguaglianze

r2 ϑ = c,12 m

(r2 + r2 ϑ2

)− U(r) = h,

(1)

dove c e la costante delle aree e h la costante dell’energia. Fissata la costante delle aree, chesupponiamo non nulla (quindi e anche r 6= 0), dalla (1)1 si ricava

ϑ =c

r2, (2)

e quindi dalla (1)2

12m r2 − U(r) + 1

2mc2

r2= h.

Quest’equazione, che coinvolge solo la variabile r e la sua derivata prima, assume la forma diequazione di Weierstrass

r2 = Φ(r) (3)

ponendo

Φ(r) = 2m

(U(r) + h

)− c2

r2. (4)

Sergio Benenti

Page 116: Lezioni Di Meccanica Razionale

§ 3.5 Esempi notevoli 29

D’altra parte, ricordata l’espressione dell’accelerazione in coordinate polari, l’equazione fonda-mentale della dinamica ma = F si riduce all’equazione scalare

r − rϑ2 = 1m F (r)

e quindi, ancora per la (2), all’equazione

r =c2

r3+ 1

mF (r). (5)

Questa e l’equazione differenziale del secondo ordine del tipo r = f(r), a cui e associatal’equazione di Weierstrass (3) con Φ(r) primitiva di 2f . Queste sono le equazioni del moto

radiale cioe del moto del punto lungo la retta che lo congiunge al centro del campo. Questaretta ruota con velocita angolare data dalla (2). Possiamo allora applicare al moto radiale ladiscussione vista al §1.3. Consideriamo a titolo di esempio tre casi significativi.

(I) Ad uno zero multiplo r1 di Φ corrisponde un’orbita circolare. Questa e effettivamente percorsase inizialmente e proprio r0 = r1. In caso contrario e un’orbita limite perche r1 e una metaasintotica (se per esempio r0 < r1 e r0 > 0, come in Fig. 3.5.4).

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r1

•r0 r

Φ(r)

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r0

r1

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··········

···········

···············

··························

·····

Fig. 3.5.4 - Orbita limite circolare.

(II) Se la funzione Φ(r) ha un unico zero semplice r1 ed e positiva per r > r1, allora l’orbitae illimitata, tangente alla circonferenza di raggio r1 in un punto P1 e simmetrica rispetto allaretta OP1 (Fig. 3.5.5).

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r1

•r0 r

Φ(r)

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•r0

r1

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········

Fig. 3.5.5 - Orbita illimitata.

Lezioni di Meccanica Razionale

Page 117: Lezioni Di Meccanica Razionale

30 Cap. 3 - Meccanica Newtoniana § 3.5

(III) Se r1 < r2 sono due zeri semplici successivi, estremi di un intervallo in cui Φ e positiva, alloral’orbita del punto e tutta interna alla corona circolare delimitata dalle circonferenze di raggior1 e r2 e tocca alternativamente tali circonferenze in punti detti rispettivamente apocentri

e pericentri, formanti due successioni, (a1, a2, . . . ) e (p1, p2, . . . ), le cui anomalie, misuratesempre nel medesimo verso, differiscono per multipli interi di un angolo ϑ∗ (Fig. 3.5.6). Sebbeneil moto radiale sia periodico, in genere non e periodico il moto del punto. Affinche lo sia (equindi l’orbita sia chiusa) e necessario e sufficiente che la successione degli apocentri (o deipericentri) sia ciclica, cioe l’angolo ϑ∗ sia commensurabile con π. Se cosı non e la successionesegli apocentri e densa sulla circonferenza di raggio r2 e di conseguenza, come si puo dimostrare,l’orbita e densa nella corona circolare; in questo caso si dice che il moto e quasi-periodico:comunque si fissi un punto della corona circolare, un suo qualunque intorno ha intersezione nonvuota con l’orbita.

A questo proposito e naturale chiedersi per quali potenziali l’angolo ϑ∗ e sempre commensurabilecon π e quindi le orbite al finito sono sempre chiuse. La risposta e data dal seguente classicoteorema di Bertrand (Joseph Louis Francois Bertrand, 1822-1900), di non immediata dimo-strazione.

Teorema 1. In un campo centrale simmetrico le orbite al finito sono sempre chiuse se e solose il potenziale U(r) e del tipo

U = − kr2

oppure del tipo

U =k

r

con k > 0.

Si tratta rispettivamente del potenziale di una forza elastica di origine in O (oscillatore armonicopiano) e del potenziale di un campo newtoniano. Per questi potenziali le orbite al finito sonoellittiche (per il secondo, sono tutte al finito).

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r1

•r0 rr2

Φ(r)

·········································································································································································································································································

•ϑ∗

r0

r1

r2

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..................

......................

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·············································································

a1

....

.....

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a2

p1

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a3 p2

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a4

p3

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a5

p4

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a6

p5

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Fig. 3.5.6 - Orbita limitata.

Sergio Benenti

Page 118: Lezioni Di Meccanica Razionale

§ 3.5 Esempi notevoli 31

Ritornando al caso generale, va osservato che dalla (3) si trae l’equazione differenziale

dt = ± dr√

Φ(r)(6)

il cui segno va scelto concorde a r0 e la cui integrazione determina la funzione

t(r) = ±∫ r

r0

dx√

Φ(x). (7)

Questa e invertibile nella funzione r(t) che fornisce il moto radiale. Dalla (2) e dalla (6) (conper esempio il segno +) si ricava l’equazione differenziale

dϑ =c

r2dr

Φ(r)(8)

la cui integrazione fornisce, assegnata l’anomalia iniziale ϑ0, una funzione ϑ(r), invertibile in unafunzione r = r(ϑ) rappresentatrice dell’orbita (in coordinate polari). Ritornando al caso (III)si osserva in particolare che l’angolo ϑ∗ compreso tra un pericentro e un apocentro successivi edato dall’integrale della (8) tra i limiti r1 ed r2, zeri semplici della Φ(r):

ϑ∗ = c

∫ r2

r1

1

r2dr

Φ(r). (9)

Le orbite possono anche determinarsi attraverso la formula di Binet (§2.4) che permette ditradurre l’equazione fondamentale della dinamica ma = F nell’equazione differenziale del se-condo ordine

d2

dϑ2

1

r+

1

r+

r2

mc2F (r) = 0 (10)

3.5.4. Moto di un punto in un campo newtoniano

Particolarizziamo lo studio precedente al caso di un campo newtoniano, cioe al caso in cui

F (r) = − k

r2, U(r) =

k

r, k > 0. (1)

La funzione Φ(r) diventa

Φ(r) =2

m

(

h+k

r

)

− c2

r2. (2)

Oltre alle due costanti strutturali del sistema dinamico, la massam del punto e la costante k (che,come sappiamo, e proporzionale alla massa), compaiono in questa funzione le due costanti dimoto c e h. E importante osservare che la costante dell’energia h, a meno del fattore 2

m, compare

additivamente nella funzione Φ(r). Fissata la costante delle aree c, consideriamo cinque casi.

Lezioni di Meccanica Razionale

Page 119: Lezioni Di Meccanica Razionale

32 Cap. 3 - Meccanica Newtoniana § 3.5

(I) Conviene considerare dapprima il caso h = 0 . Il grafico della funzione Φ(r) ha comeasintoto orizzontale l’asse r, uno zero semplice in

rz =mc2

2k(3)

e assume il valore massimo

M = Φ(r∗) =k2

m2c2(4)

nel punto (Fig. 3.5.7)

r∗ =mc2

k= 2rz. (5)

In questo caso l’orbita e illimitata e tocca la circonferenza di raggio r1 (e, come si vedra, unaparabola).

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r

Φ(r)

• •O

M

r2r∗

r1

rz

h=h∗

h=<0

h=0

h>0

.....

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Fig. 3.5.7 - La funzione di Weierstrass del campo newtoniano.

(II) Qualunque sia h > 0 la funzione Φ(r) ha sempre un solo zero semplice r1 < rz. Anche inquesto caso l’orbita e illimitata e tocca la circonferenza di raggio r1 (e, come si vedra, un ramodi iperbole).

(III) Se h = h∗ con

h∗ = − k2

2mc2, (6)

allora la funzione Φ(r) ha uno zero doppio in r∗ ed e ovunque negativa. L’orbita e circolare diraggio r∗.

(IV) Se 0 > h > h∗ si hanno due zeri semplici r1 ed r2 tali che rz < r1 < r∗ < r2. L’orbita e

allora contenuta nella corona circolare compresa dalle dirconferenze di raggio r1 ed r2 (si trattadi una ellisse).

(V) Se h < h∗ la funzione Φ(r) e sempre negativa. Si tratta quindi di un caso impossibile.

Sergio Benenti

Page 120: Lezioni Di Meccanica Razionale

§ 3.5 Esempi notevoli 33

Va osservato che la costante dell’energia e determinata dalle condizioni iniziali:

h = T0 − U0 =1

2mv2

0 − k

r0. (7)

Posto

v2f =

2k

mr0, (8)

risulta

h = 12 m

(v20 − v2

f

). (9)

La quantita vf prende il nome di velocita di fuga. Se v0 ≥ vf si ha h ≥ 0 e l’orbita e illimitata(casi I e II).

Le orbite si ottengono integrando o l’equazione (8) o l’equazione (10) del paragrafo precedente.La prima diventa

dϑ =c dr

r2

2

m

(

h+k

r

)

− c2

r2

, (10)

e la secondad2

dϑ2

1

r+

1

r=

k

c2. (11)

Quest’ultima e un’equazione del secondo ordine a coefficienti costanti nell’incognita 1r che fornisce

immediatamente la soluzione1

r=

1

p

(1 + e cos(ϑ− ϑ0)

)(12)

con

p =mc2

k(13)

ed e costante arbitraria. La orbite sono dunque delle coniche di parametro p ed eccentricita e. Epero necessario stabilire la relazione tra la costante d’integrazione e e le costanti di moto (h, c).Per far questo si deve pero ritornare all’equazione differenziale (10), che e dedotta proprio dagliintegrali primi delle aree e dell’energia. Se si pone

x = α( c

r− β

)

(α, β ∈ R)

risulta

dx = − αc

r2dr, 1 − x2 = α2

(1

α2− β2 +

2βc

r− c2

r2

)

,

per cui se

βc =k

m, α−2 − β2 =

2h

m,

l’equazione (10) diventa

dϑ = − dx√1 − x2

.

Lezioni di Meccanica Razionale

Page 121: Lezioni Di Meccanica Razionale

34 Cap. 3 - Meccanica Newtoniana § 3.5

Un integrale e ϑ = arccosx da cui segue x = cosϑ e quindi

1

r=

1

c

(

β +1

αcosϑ

)

.

Questa soluzione assume la forma (12) (con ϑ0 = 0) posto

p =c

β=mc2

k, e =

p

cα=

1

αβ=

1

β

β2 +2h

m=

1 +2mhc2

k2.

Si trova cosı, oltre che una conferma della (13), l’espressione dell’eccentricita in funzione dellecostanti di moto. Si osservi che

p = r∗, e =

1 − h

h∗. (14)

I quattro casi possibili sopra considerati corrispondono allora alle situazioni seguenti:

(I)

(II)

(III)

(IV)

h = 0,

h > 0,

h = h∗,

0 > h > h∗,

e = 1,

e > 1,

e = 0,

0 < e < 1,

orbita parabolica,

orbita iperbolica,

orbita circolare,

orbita ellittica.

Esercizio 1. Si dimostri che nel moto di un punto in un campo centrale simmetrico il vettore

L = v × (r × v) − γ(r) u(

u =r

r

)

(15)

e un integrale primo se e solo se

γ = costante, F (r) = −mγr2

,

cioe se e solo se il campo e newtoniano o coulombiano:

F = − k

r2, γ =

k

m, k ∈ R.

L’integrale primo vettoriale L e chiamato vettore di Laplace (Pierre Simon de Laplace, 1749-1827). Utilizzando quest’integrale primo e immediato dimostrare che le orbite sono delle coniche.Infatti, osservato che se L e un integrale primo anche il suo modulo L e una costante del moto,si ha da un lato

L · r = L r cosϑ,

con ϑ angolo compreso tra i due vettori, mentre dalla (15) risulta

L · r = c2 − γr,

con c costante delle aree. Uguagliando i due risultati si trova l’equazione r(L cosϑ+γ) = c2 chepuo porsi nella forma (12) con

p =c2

γ, e =

L

γ. •

Sergio Benenti

Page 122: Lezioni Di Meccanica Razionale

§ 3.6 Dinamica dei sistemi finiti di punti 35

3.6 Dinamica dei sistemi finiti di punti

Il modello matematico newtoniano per i sistemi meccanici schematizzabili in un insieme finitodi punti materiali M = (Pν, mν); ν = 1, . . . , N si fonda sui seguenti postulati. (I) Lesollecitazioni a cui ogni punto Pν e soggetto sono rappresentate dalla somma di due vettori: unvettore F iν, detto forza interna, risultante di tutte le forze agenti su Pν dovute alla presenzadi tutti gli altri punti del sistema, e un vettore F eν , detto forza esterna, risultante di tuttele forze agenti su Pν dovute ad azioni esterne al sistema. (II) Postulato delle forze interne:per ogni punto Pν la forza interna F iν e data dalla somma

F iν =∑

µ F νµ (1)

dove F νµ e la forza che il punto Pµ esercita sul punto Pν . Per questi vettori valgono le condizioni

F νµ × PνPµ = 0

F νµ = −F µν

(2)

costituenti il cosiddetto principio di azione e reazione (la (2)1 significa che F νµ e paralleloalla congiungente PνPµ). (III) Per ogni punto del sistema vale l’equazione dinamica

maν = F iν + F eν (3)

Una conseguenza immediata del postulato delle forze interne e il seguente teorema delle forze

interne.

Teorema 1. Le forze interne formano un sistema equivalente a zero, cioe tale che:

Ri.=

ν F iν = 0, MOi.=

ν OPν × F iν = 0. (4)

Infatti il sistema dei vettori applicati (Pν ,F iν) e equivalente ad un sistema di coppie a braccionullo. Per le nozioni essenziali concernenti i sistemi di vettori applicati si veda il §3.6.1.

Un sistema di punti materiali si dice isolato se F eν = 0 per ogni punto Pν . Quindi per unsistema isolato anche il sistema delle forze esterne e equivalente a zero.

Esempio 1. Il problema ristretto dei due corpi. Consideriamo due punti materiali (S,M)e (T,m), liberi e isolati, cioe non soggetti a vincoli e ad alcuna forza esterna. Il moto dell’unoe influenzato dalla sola presenza dell’altro attraverso una reciproca sollecitazione che, per ilprincipio di azione e reazione, e costituita da due forze opposte, di uguale intensita, direttesecondo la congiungente i due punti. Supponiamo che tali forze dipendano solo dalla distanzar = |ST | dei due punti. Sia allora φ(r)u la forza che S esercita su T , con u versore di ST . SianoaS e aT le accelerazioni relative ad un riferimento inerziale R. Le equazioni del moto (3) scrittein questo riferimento diventano:

M aS = −φ(r) u, maT = φ(r) u. (5)

Lezioni di Meccanica Razionale

Page 123: Lezioni Di Meccanica Razionale

36 Cap. 3 - Meccanica Newtoniana § 3.6

Queste danno origine ad un sistema di sei equazioni differenziali scalari del secondo ordine, conincognite le sei coordinate dei punti in funzione del tempo. Il cosiddetto problema ristretto dei

due corpi consiste nello studio del moto del punto T rispetto al riferimento R∗ univocamentedefinito dalle seguenti due condizioni: (i) il punto S e fisso in R∗, (ii) R∗ e in moto traslatoriorispetto ad un qualunque riferimento inerziale (in altri termini, R∗ e il riferimento rappresentantoda una terna di assi aventi origine in S e orientamento invariabile rispetto alle ”stelle fisse”).L’equazione del moto di T relativa a questo riferimento deve pertanto tener conto delle forzeapparenti:

ma = φ(r) u + F tr + F c. (6)

In quest’equazione a e l’accelerazione di T rispetto a R∗ e φ(r)u e la forza reale agente su T .Poiche R∗ si muove di moto traslatorio rispetto ad R, con accelerazione pari a quella del puntosolidale S, si ha

F tr = −maS, F c = 0.

Dalla (5) e dalla (6) segue allora l’equazione

ma =(

1 +m

M

)

φ(r) u.

Posto

m∗ =mM

m+M, (7)

quest’ultima diventam∗a = φ(r) u. (8)

L’equazione (8) mostra che il punto T si muove in R∗ come un punto di massa m∗ soggettoalla forza centrale simmetrica φ(r) di centro fisso S. Il numero m∗ prende il nome di massa

ridotta. Si noti infatti che m∗ < m. •

Definizione 1. Fissato un riferimento, si dice atto di moto del sistema di punti Pν ; ν =1, . . . , N un qualunque sistema di vettori (rν , vν); ν = 1, . . . , N dove ogni vettore rν rapp-resenta la posizione del punto Pν rispetto ad un prefissato punto O (quindi rν = OPν) ed ognivettore vν rappresenta la velocita del punto Pν . •

Ad ogni atto di moto di un sistema di punti materiali vengono associate alcune grandezze

cinetiche aventi carattere globale o di media, analoghe a quelle gia definite nel caso di un solopunto. Esse sono: la quantita di moto

p =∑

ν mνvν (9)

il momento della quantita di moto rispetto ad un generico polo O (o momento angolare)

KO =∑

ν rν ×mνvν (10)

e l’energia cinetica

T = 12

ν mνv2ν (11)

Sergio Benenti

Page 124: Lezioni Di Meccanica Razionale

§ 3.6 Dinamica dei sistemi finiti di punti 37

Per la quantita di moto e l’energia cinetica valgono due notevoli proprieta coinvolgenti il bari-centro G del sistema che, ricordiamo, e definito da una delle due equazioni seguenti (per glielementi essenziali della teoria dei baricentri si veda il § 3.6.2):

ν mνGPν = 0, ⇐⇒ OG =1

m

ν mνrν

(m =

ν mν

). (12)

La prima proprieta, semplice ma importante per le sue implicazioni, e espressa dalla formula

p = mvG (13)

dove vG e la velocita del baricentro. Essa afferma che

Teorema 2. La quantita di moto dell’intero sistema e pari alla quantita di moto del baricentropensato dotato della massa totale del sistema.

Dimostrazione. Ad un generico atto di moto del sistema corrisponde un atto di moto delbaricentro, vale a dire una velocita vG, ottenibile derivando formalmente rispetto al tempo unadelle equazioni (12), per esempio la prima. Si ottiene

ν mν(vν − vG) = 0,

da cui segue la (13).

La seconda proprieta, nota come teorema di Konig (Samuel Konig, 1712-1757), e assai utilenel calcolo effettivo dell’energia cinetica:

Teorema 3. L’energia cinetica di un sistema e uguale alla somma dell’energia cinetica del suobaricentro, pensato dotato di tutta la massa del sistema, e dell’energia cinetica nel moto rispettoal baricentro.

Per moto rispetto al baricentro s’intende il moto rispetto al riferimentoR′ in moto traslatoriorispetto al riferimento R e solidale col baricentro. Il teorema di Konig e espresso dunque dallaformula

T = 12 m v2

G + T ′ (14)

dove T ′ e l’energia cinetica nel moto rispetto al baricentro.

Dimostrazione. Denotiamo con v′

ν la velocita del punto Pν misurata nel riferimento R′. Per ilteorema dei moti relativi abbiamo vν = v′

ν + vG, perche la velocita di trascinamento del puntoPν coincide, qualunque sia il punto Pν , con la velocita del baricentro vG, posto che il baricentroe fisso nel riferimento R′ e che quest’ultimo si muove di moto traslatorio rispetto al riferimentoR. Abbiamo allora successivamente:

ν mνv2ν =

ν mν

(v′

ν + vG

)2

=∑

ν mνv′2ν +

ν mνv2G + 2

ν mνv′

ν · vG.

Lezioni di Meccanica Razionale

Page 125: Lezioni Di Meccanica Razionale

38 Cap. 3 - Meccanica Newtoniana § 3.6

D’altra parte l’ultimo termine e nullo perche la somma∑

ν mνv′

ν definisce la quantita di motop′ del sistema rispetto a R′. Questa, per il Teor. 2, e pari alla massa totale per la velocita delbaricentro rispetto allo stesso R′, che e nulla perche il baricentro e fermo in R′.

Dopo aver introdotto le grandezze cinetiche fondamentali della meccanica dei sistemi finiti dipunti, passiamo all’esame di alcune loro proprieta immediatamente conseguenti ai postulati.

Teorema 4. Per la dinamica di un sistema di punti materiali valgono le equazioni cardinali

:dp

dt= Re

dKO

dt= p × vO + MOe

dT

dt= W

(16)

doveRe =

ν F eν (17)

e il risultante delle sole forze esterne,

MOe =∑

ν rν × F Oe (18)

e il momento risultante delle sole forze esterne rispetto ad un qualunque polo O di velocita vO,e

W =∑

ν F ν · vν (19)

e la potenza di tutte le forze, sia interne che esterne al sistema.

Dimostrazione. Dimostriamo che per un sistema finito di punti materiali le equazioni cardinalidiscendono dalle equazioni fondamentali (3), valide per ogni singolo punto, e dal teorema delleforze interne (sono nulli il risultante ed il momento risultante, rispetto ad un qualunque polo O,delle forze interne). Dalla definizione di p segue:

dp

dt=

ν mνaν =∑

ν F eν +∑

ν F iν = Re,

e la (16)1 e dimostrata. Dalla definizione di KO segue:

dKO

dt=

ν

d

dt

(OPν ×mνvν

)

=∑

ν(vν − vO)×mνvν +∑

ν OPν ×mνaν

= −vO × ∑

ν mνvν +∑

ν OPν ×(F eν + F iν

)

= p × vO + MOe,

e la (16)2 e dimostrata. Dalla definizione di T segue infine immediatamente la (16)3:

dT

dt=

ν mνvν · aν =∑

ν vν ·

(F eν + F iν

)= We +Wi = W.

Sergio Benenti

Page 126: Lezioni Di Meccanica Razionale

§ 3.6 Dinamica dei sistemi finiti di punti 39

Le equazioni cardinali esprimono tre proprieta dinamiche di media che vanno rispettivamentesotto il nome di teorema della quantita di moto, teorema del momento della quantita

di moto (o del momento angolare) e teorema dell’energia. Esse non sono in genere sufficienti(a parte qualche caso particolare) a determinare il moto di ogni singolo punto del sistema. Nelleprime due intervengono esplicitamente soltanto le forze esterne. Vediamone alcune notevoliconseguenze.

Osservazione 1. Poiche p = mvG, l’equazione (18)1 equivale a

maG = Re (20)

Quest’equazione esprime il seguente teorema del moto del baricentro:

Teorema 5. Il baricentro di un sistema di punti si muove come punto materiale dotato dellamassa totale del sistema e soggetto ad una forza pari al risultante delle forze esterne. •

Esempio 2. Se le forze agenti su ogni singolo punto sono proporzionali alle rispettive masse(come nel caso della forza peso) cioe del tipo F eν = mνg, allora si ha Re = mg e il baricentro simuove secondo la legge aG = g qualunque siano gli effetti delle sollecitazioni interne al sistema.L’esempio classico e quello di un proiettile che esplode durante il tiro; mentre non e in generepossibile prevedere i moti delle singole parti in cui viene diviso, si puo affermare che il baricentrocontinua senza disturbi il moto che aveva prima dell’esplosione: questa infatti e prodotta da soleforze interne al sistema. •

Osservazione 2. Se il polo O e fisso oppure coincide con il baricentro, allora la secondaequazione cardinale si riduce semplicemente a

dKO

dt= MOe (21)

Infatti nel primo caso si ha vO = 0, nel secondo p × vG = m vG × vG = 0. •

Osservazione 3. Sia a una retta, u un suo versore, O un suo punto. Cosı come per un puntomateriale, per un sistema di punti definiamo il momento assiale della quantita di moto

rispetto ad a:Ka = KO · u. (22)

Tale numero non dipende dalla scelta di O sulla retta e cambia ovviamente di segno cambiandou nel suo opposto (il momento assiale dipende dunque dal verso della retta). In maniera analogasi definisce il momento assiale delle forze esterne,

Mae = MOe · u. (23)

Se la retta a e fissa nello spazio, la seconda equazione cardinale, moltiplicata scalarmente per u,fornisce l’equazione scalare

dKa

dt= Ma

e • (24)

Lezioni di Meccanica Razionale

Page 127: Lezioni Di Meccanica Razionale

40 Cap. 3 - Meccanica Newtoniana § 3.6

Dalle equazioni cardinali seguono infine alcuni teoremi di conservazione, esprimenti, sottocerte condizioni per le forze, l’esistenza di integrali primi.

1 Se Re = 0, allora p = costante, vale a dire vG = costante. Si dice in questo caso che sussistel’integrale primo della quantita di moto. Piu in generale, se esiste un vettore costante u

tale che sia sempre Re · u = 0, allora vG · u = costante.

Esempio 3. Si consideri un sistema soggetto alla sola forza peso: il risultante e sempre ortogonalead un qualunque prefissato vettore orizzontale. •

2 Se rispetto ad un polo O fisso oppure coincidente con il baricentro si ha MOe = 0, alloraKO = costante. Sussite cioe l’integrale primo del momento della quantita di moto. Siosservi che da MOe · u = 0, con u vettore costante, segue KO · u = costante.

Esempio 4. Si consideri il sistema solare, con Sole e pianeti assimilabili a punti materiali.Ritenute trascurabili le forze esercitate dalle stelle su di questi, il sistema solare e un sistemaisolato, vale a dire: Re = 0 e MGe = 0. Pertanto il suo baricentro G si muove rispetto ad unqualunque riferimento inerziale di moto rettilineo e uniforme, mentre il momento della quantitadi moto rispetto al baricentro KG e costante. Il piano ad esso ortogonale e passante per G efisso nel riferimento inerziale individuato da G. Esso prende il nome di piano di Laplace ecoincide approssimativamente con il piano dell’orbita terrestre. •

3 Se esiste una funzione reale U dipendente dalla posizione di tutti i punti, cioe dalla config-

urazione del sistema, tale che per ogni moto si ha

dU

dt= W,

si dice che il sistema e conservativo. La funzione U , definita a meno di una costante additiva,e detta potenziale. Dal teorema dell’energia segue allora l’integrale primo dell’energia:T − U = costante.

Esempio 5. Nel caso di un sistema le cui forze esterne sono le forze peso si ha, per ogniconfigurazione del sistema,

Ue = mg · OG,

dove O e un qualunque punto fisso. Infatti:

We =∑

ν mνg · vν = g · mvG =dUe

dt. •

Sergio Benenti

Page 128: Lezioni Di Meccanica Razionale

§ 3.6 Dinamica dei sistemi finiti di punti 41

3.6.1 Sistemi di vettori applicati

Sia S = (Pν, vν); ν = 1, . . . , N un sistema di vettori applicati nello spazio affine euclideotridimensionale. Diciamo risultante del sistema S il vettore

R =∑

ν vν (1)

momento risultante rispetto al punto o polo O il vettore

MO =∑

ν OPν × vν (2)

Il momento OP × v di un singolo vettore applicato (P, v) e, per le proprieta del prodottovettoriale, un vettore ortogonale al piano individuato dai vettori OP e v, di modulo uguale alprodotto del modulo di v per la distanza del polo O dalla retta di applicazione di (P, v), cioedella retta passante per P e parallela a v.

Facendo variare il polo nello spazio affine si ottiene un campo vettoriale M :P 7→ MP . Laseguente formula di trasposizione dei momenti consente di calcolare il momento risultantenel polo P , noti il suo valore in un polo O e il risultante R:

MP = MO + R × OP (3)

Per dimostrarla basta considerare la decomposizione OPν = OP + PPν nella definizione (2).Dalla (3) si deducono le proprieta seguenti:

MO = MP ⇐⇒ R parallelo a OP, (4)

MO = MP , ∀O, P ⇐⇒ R = 0, (5)

MO · R = MP · R. (6)

La (4) mostra che il momento risultante non varia spostando il polo lungo una retta parallelaal risultante R. La (5) mostra che il momento risultante non dipende dalla scelta del polo se esolo se il risultante e nullo. La (6) mostra che la componente del momento risultante rispetto alrisultante e invariante rispetto alla scelta del polo. L’andamento del campo vettoriale M , nelcaso in cui R 6= 0, e ulteriormente chiarito dal seguente enunciato:

Teorema 1. Dato un sistema di vettori applicati con R 6= 0 l’insieme dei punti A tali che ilmomento risultante MA e parallelo ad R e una retta parallela ad R, detta asse centrale delsistema. L’asse centrale e il luogo dei punti in cui il momento risultante ha modulo minimo.

Siccome la (3) e analoga alla seconda formula fondamentale di cinematica rigida (con ω sostituitoda R e il campo delle velocita sostituito da quello dei momenti) questa proposizione si identificacol teorema di Mozzi (§2.8.2, Teor. 3). Di conseguenza, tutte le proprieta viste per un atto dimoto rigido valgono per il campo vettoriale dei momenti risultanti.

Due sistemi di vettori applicati S e S ′ si dicono equivalenti se i corrispondenti momenti risul-tanti coincidono in ogni punto: M = M ′. Per questo occorre e basta che i due sistemi abbianolo stesso risultante e lo stesso momento risultante rispetto ad un polo prefissato:

S ∼ S ′ ⇐⇒ R = R′, MO = M ′

O.

Lezioni di Meccanica Razionale

Page 129: Lezioni Di Meccanica Razionale

42 Cap. 3 - Meccanica Newtoniana § 3.6

3.6.2 Baricentro di un sistema di masse

I concetti trattati in questo paragrafo sono puramente affini, sussistono cioe in uno spazio affinequalsiasi, senza struttura euclidea. Ci riferiamo comunque, per semplicita, allo spazio affineeuclideo tridimensionale. I termini sistema di masse e sistema di punti materiali sonosinonimi. Consideriamo un insieme finito di N punti materiali

M = (Pν, mν); ν = 1, . . . , N.

Il baricentro (o centro di massa) di M e il punto G definito dall’equazione

ν mν GPν = 0 (1)

ovvero da

OG =1

m

ν mν OPν , m =∑

ν mν (2)

dove O e un qualsiasi punto di riferimento ed m e la massa totale del sistema. Osserviamoinnanzitutto che la definizione (2) non dipende dalla scelta del punto O. Infattti se P e un altropunto:

PG = PO +OG = PO +1

m

ν mν OPν

=1

m

ν mν (PO +OPν) = 1m

ν mν PPν .

La (2) definisce G in maniera univoca. Ponendo O = G nella (2) si trova la (1). Viceversa, conla decomposizione GPν = GO+OPν = OPν −OG dalla (1) si ricava la (2). Le definizioni (1) e(2) sono dunque equivalenti.

Sia (xα) un qualunque sistema di coordinate cartesiane. Se denotiamo con (xαν ) le coordinate

del punto Pν e con (xαG) le coordinate del baricentro, dalla (2) segue che

xαG =

1

m

ν mν xαν . (3)

Il baricentro di un sistema di masse gode delle seguenti proprieta.

1 Proprieta di appartenenza: se tutti i punti materiali stanno in un semispazio delimitatoda un piano allora il baricentro giace in quel semispazio. Basta considerare un riferimentocartesiano per il quale il piano ha per esempio equazione x1 = 0 ed i punti sono tutti situatinel semispazio x1 ≥ 0. Dalla (3) segue necessariamente x1

G ≥ 0 e il baricentro sta nello stessosemispazio.

2 Se i punti materiali appartengono tutti ad un piano (o ad una retta) anche il baricentroappartiene a quel piano (a quella retta). Si applica la proprieta precedente ai due semispazideterminati dal piano.

3 Se i punti sono contenuti in un dominio chiuso convesso allora anche il baricentro e contenutoin quel dominio. Infatti un tale dominio e l’intersezione di semispazi.

Sergio Benenti

Page 130: Lezioni Di Meccanica Razionale

§ 3.6 Dinamica dei sistemi finiti di punti 43

4 Proprieta di partizione o distributiva: se il sistema di masse M e l’unione di duesistemi di masse disgiunti M′ e M′′ allora il baricentro G di M coincide col baricentro delsistema costituito dai due baricentri di M′ e M′′ dotati delle rispettive masse totali. Si consideriinfatti il sistema suddiviso in due sottosistemi disgiunti M′ = (Pν′ , mν′); ν′ = 1, . . . , N ′ eM′′ = (Pν′′ , mν′′); ν′′ = N ′ + 1 . . . , N. Dalla definizione (2) segue

m′OG′ =∑

ν′ mν′ OPν′ , m′′OG′′ =∑

ν′′ mν′′ OPν′′ .

Dunque:

m′ OG′ +m′′OG′′ =∑

ν mν OPν = mOG.

Si osservi che la proprieta distributiva vale piu in generale per una qualunque partizione delsistema, in piu di due sottosistemi disgiunti.

5 Proprieta di simmetria. Un piano Π si dice piano di simmetria materiale coniugato

alla direzione u (u e un vettore non nullo, eventualmente unitario) se per ogni coppia (Pν, mν)del sistema di masse esiste una coppia (Pρ, mρ) tale che: (i) mν = mρ, (ii) PνPρ e parallelo au, (iii) il punto medio di PνPρ appartiene a Π. Non si esclude che sia Pν = Pρ ∈ Π. Allora:un piano di simmetria materiale contiene il baricentro. Basta applicare la proprieta distributivae la 2 considerando il sistema come unione del sistema dei punti che stanno sul piano Π disimmetria e delle coppie dei punti materiali simmetrici, il cui baricentro giace su Π.

La nozione di baricentro, insieme a tutte le proprieta viste per il caso di un sistema finito di puntimateriali, si estende al caso di un sistema materiale continuo. Un tale sistema e definitoda una coppia (D, µ) dove D e un dominio di dimensione k (= 3, 2, 1) e µ una funzione su D,detta densita di massa, tale che abbia senso considerare gli integrali

m =

D

µη, OG =1

m

D

OP µη,

dove η e la k-forma elemento di volume (o area, o di lunghezza). Se µ e costante si dice che ilsistema materiale e omogeneo. Per i sistemi omogenei le formule ottenute continuano a valerecon µ = 1 e intendendo la massa totale m uguale al volume, o all’area, o alla lunghezza deldominio. Sussitono a questo proposito i seguenti classici teoremi di Guldino (Paul Guldin,1577-1643):

Teorema 1. Il volume del solido generato dalla rotazione di un dominio piano intorno ad unaretta del piano stesso, che non lo interseca, e uguale al prodotto dell’area del dominio per lalunghezza della circonferenza descritta dal suo baricentro.

Teorema 2. L’area della superficie generata da un arco di curva piana ruotata intorno ad unaretta del suo piano e uguale al prodotto della lunghezza dell’arco per quella della circonferenzadescritta dal suo baricentro.

Dimostrazione. Si consideri un sistema di coordinate cartesiane ortonormali tale che l’asse zsia asse di rotazione e il dominio piano stia sul piano (x, z). Allora la coordinata x del suobaricentro e

xG =1

A

∫∫

D

x dx dz,

Lezioni di Meccanica Razionale

Page 131: Lezioni Di Meccanica Razionale

44 Cap. 3 - Meccanica Newtoniana § 3.7

essendo A la sua area. D’altra parte il volume V del solido di rotazione e la somma, cioel’integrale, dei volumi elementari degli anelli ottenuti facendo ruotare elementi del dominio, valea dire:

V =

∫∫

D

2π x dx dz.

Quindi: V = 2π xGA. In maniera analoga si dimostra il secondo teorema di Guldino.

3.7 Dinamica del corpo rigido

Le considerazioni svolte nel paragrafo precedente si applicano in particolare ai sistemi rigidicostituiti da un numero finito di punti materiali (Pν , mν); ν = 1, . . . , N. I risultati chesi ottengono sono comunque validi per un corpo rigido continuo. Mentre le caratteristiche”inerziali” di un singolo punto sono riassunte in un numero positivo, la sua massa inerziale, perun corpo rigido le caratteristiche inerziali sono invece rappresentate dal tensore d’inerzia. Glielementi fondamentali della teoria dei tensori d’inerzia sono raccolti al § 3.7.4.

Proposizione 1. In un corpo rigido per il momento angolare KO, l’energia cinetica T e lapotenza W di un qualunque sistema di forze (Pν ,F ν) valgono le espressioni seguenti:

KO = mOG× vO + IO(ω)

T = 12

KO · ω + 12

p · vO

W = MO · ω + R · vO

(1)

dove m e la massa totale del corpo, G e il baricentro, O e un punto solidale, vO la sua velocita,ω la velocita angolare del corpo rigido, IO e il tensore d’inerzia nel punto O, R e MO sono ilrisultante ed il momento risultante del sistema di forze.

Dimostrazione. Ricordata la seconda formula fondamentale di cinematica rigida, per un qua-lunque punto solidale O si ha

vν = vO + ω ×OPν ,

denotata per semplicita con vν la velocita del punto Pν . Per la definizione di IO (formula (1),§ 3.7.4), si ha successivamente:

KO =∑

ν OPν ×mν vν

=∑

ν mν OPν × (vO + ω ×OPν)

= mOG× vO +∑

ν mν (OPν × ω) ×OPν

= mOG× vO + IO(ω).

Di qui la (1)1. La (1)2 segue da:

T = 12

ν mν v2ν

= 12

ν mν vν · (vO + ω ×OPν)

= 12

p · vO + 12

ω ·

ν OPν ×mν vν .

Sergio Benenti

Page 132: Lezioni Di Meccanica Razionale

§ 3.7 Dinamica del corpo rigido 45

La (1)3 segue da:

W =∑

ν F ν · vν

=∑

ν F ν · (vO + ω× OPν)

= R · vO +∑

ν F ν · ω ×OPν

= R · vO + ω ·

ν OPν × F ν .

Osservazione 1. Se il polo O coincide col baricentro (che e punto solidale) oppure se O e unpunto solidale fisso (vO = 0), allora, omettendo il suffisso O, l’espressione del momento angolaresi semplifica in

K = I(ω) (2)

Denotati con (i, j, k) i versori della terna principale d’inerzia relativa al punto O, con (A,B, C)i rispettivi momenti principali d’inerzia, con (p, q, r) le componenti secondo questa terna dellavelocita angolare, posto cioe

ω = p i + q j + r k, (3)

dalla (2) segue la formula

K = Ap i + B q j +C r k (4)

che esprime il momento angolare relativo ad un punto fisso o al baricentro secondo la ternaprincipale d’inerzia in quel punto. •

Osservazione 2. Se O e un punto solidale fisso l’energia cinetica si riduce a

T = 12

K · ω = 12I(ω) (5)

dove I e la forma quadratica d’inerzia nel punto O. Siccome la velocita angolare e ad ogniistante parallela all’asse di Mozzi a, dalla (5) segue

T = 12Iaω2 (6)

dove Ia e il momento d’inerzia rispetto all’asse di Mozzi. Dalla (5) segue anche, secondo lenotazioni considerate nella precedente osservazione,

T = 12

(Ap2 +B q2 +C r2

)• (7)

Osservazione 3. Se si considera il sistema delle forze interne, che e equivalente a zero, dalla(1)3 segue

Wi = 0.

Dunque: le forze interne di un corpo rigido hanno potenza nulla. •

Lezioni di Meccanica Razionale

Page 133: Lezioni Di Meccanica Razionale

46 Cap. 3 - Meccanica Newtoniana § 3.7

Dopo le premesse sulle grandezze cinetiche del corpo rigido passiamo ora a considerare leequazioni della dinamica. Come per ogni sistema di punti materiali anche per un corpo rigidovalgono le equazioni cardinali della meccanica. Nel caso del corpo rigido pero accade che: (I) ledue prime equazioni, vale a dire il teorema della quantita di moto ed il teorema del momentodella quantita di moto, che qui scriviamo rispetto ad un polo O fisso o coincidente col baricentro,

dp

dt= Re,

dK

dt= Me (8)

descrivono completamente la dinamica, sono cioe equazioni differenziali sufficienti a determinarei moti del corpo rigido; (II) la terza equazione cardinale, vale a dire l’equazione dell’energia

dT

dt= We, (9)

e una conseguenza delle precedenti. Va inoltre osservato che le reazioni vincolari responsabilidella rigidita del corpo sono forze soddisfacenti al postulato delle forze interne al sistema e nonintervengono pertanto nelle equazioni cardinali, neanche nel teorema dell’energia, per quantovisto nell’Oss. 3. Rinunciando alla discussione del punto (I), dimostriamo soltanto che la (9) econseguenza delle (8). Posto come si e detto O = G, per la (1)2 e la (7) si ha

T =1

2

(Ap2 + Bq2 +Cr2

)+

1

2m vG · vG. (10)

D’altra parte, stante la (4), denotando brevemente con il punto sovrapposto la derivata rispettoal tempo e facendo intervenire le formule di Poisson, si ha

K = A p i +B q j + C r k +Apω × i +Bqω × j +Crω × k,

quindi

K = A p i + B q j +C r k + ω × K. (11)

Di qui si osserva che

K · ω = App+Bqq +Crr.

Se allora si deriva la (10) e si applicano le (8), si trova la (9):

T = App+ Bqq + Crr +maG · vG

= K · ω + p · vG = M e · ω + Re · vG = We.

3.7.1 Corpo rigido con un punto fisso

Consideriamo il caso di un corpo rigido con un punto fisso O. In questo caso la seconda equazionecardinale si scrive semplicemente

K = M (1)

Sergio Benenti

Page 134: Lezioni Di Meccanica Razionale

§ 3.7 Dinamica del corpo rigido 47

dove K e M sono il momento angolare e il momento delle forze esterne di polo O. Per la formula(11) precedente, sviluppando il prodotto ω × K, l’equazione vettoriale (1) si traduce nelle treequazioni scalari

A p− (B − C) q r = X

B q − (C − A) r p = Y

C r − (A− B) p q = Z

(2)

dove (X, Y, Z) sono le componenti del momento delle forze esterne M rispetto alla terna prin-cipale d’inerzia. Queste sono le celebri equazioni di Euler della dinamica del corpo rigido.

Le equazioni di Euler sono equazioni differenziali del primo ordine nelle componenti della velocitaangolare

(p(t), q(t), r(t)

)secondo la terna principale d’inerzia. I secondi membri, vale a dire le

componenti del momento delle forze esterne, dipendono in generale dalla posizione del corpoe dalla velocita dei suoi punti, cioe dall’atto di moto. Essi si esprimono quindi come funzionidei tre parametri scelti per rappresentare la posizione del corpo rigido, delle tre componenti lavelocita angolare ed eventualmente del tempo (se le forze attive dipendono dal tempo). Se peresempio per rappresentare la posizione del corpo si scelgono gli angoli di Euler (θ, φ, ψ), allorale componenti (X, Y, Z) risultano in definitiva funzioni delle sette variabili (θ, φ, ψ, p, q, r, t).Alle equazioni di Euler (2) vanno poi affiancate le equazioni che esprimono le componenti dellavelocita angolare in funzione degli angoli di Euler e delle loro derivate rispetto al tempo. Essesono (si veda l’Oss. 2 piu avanti):

p = cosφ θ + sinφ sin θ ψ,

q = − sinφ θ + cosφ sin θ ψ,

r = cos θ ψ + φ.

(3)

Queste equazioni possono essere risolte rispetto alle derivate (θ, φ, ψ) per sin θ 6= 0 (si tratta di unsistema di equazioni lineari). Il sistema complessivo delle equazioni (2)+(3) e allora equivalentead un sistema di sei equazioni differenziali del primo ordine in forma normale nelle sei funzioniincognite

(θ(t), φ(t), ψ(t), p(t), q(t), r(t)

), almeno nel caso in cui nessuno dei momenti principali

d’inerzia si annulla (il caso in cui uno di questi si annulla, caso degenere, richiede una trattazionea parte). L’integrazione di questo sistema, che fornisce i moti del corpo rigido intorno al puntofisso, presenta in genere delle notevoli difficolta, anche in casi apparentemente semplici, comeper esempio nel caso in cui le componenti (X, Y, Z) sono nulle (moti alla Poinsot, §3.7.2) oppurenel caso in cui sul corpo agisce una forza costante (come si vedra nel Cap. 4). Si va allora allaricerca di eventuali integrali primi tramite i quali dedurre proprieta qualitative o geometrichedei moti.

Osservazione 1. Le forze reattive esterne al corpo, responsabili del mantenimento del puntofisso O, si sommano in una forza applicata in O e quindi non danno alcun contributo al momentodelle forze esterne M . Esse danno pero un contributo al risultante delle forze esterne che inter-viene nella prima equazione cardinale. Quest’equazione pertanto, noto il moto del corpo rigido enoto il risultante delle forze esterne attive, serve proprio alla determinazione del risultante delleforze reattive. •

Osservazione 2. Ritorniamo alla definizione degli angoli di Euler data al § 2.7, cambiandoopportunamente le notazioni per i versori della terna fissa, ora denotati con (cα) = (c1, c2, c3), e

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Page 135: Lezioni Di Meccanica Razionale

48 Cap. 3 - Meccanica Newtoniana § 3.7

della terna solidale, che ora e la terna principale d’inerzia (uα) = (u1,u2,u3) = (i, j, k). Postoper semplicita c = c3 si dimostra innanzitutto che (si veda l’Eserc. 1, §3.11)

ω = ψ c + φk + θN . (4)

Si osserva quindi che

N · i = cosφ, N · j = − sinφ, N · k = 0,

c · i = sin θ sinφ, c · j = sin θ cosφ, c · k = cos θ.(5)

Moltiplicando allora scalarmente la (4) per (i, j, k) si trovano le (3). •

3.7.2. Moti alla Poinsot

Si dicono moti alla Poinsot (Louis Poinsot, 1777-1859), o anche moti rigidi spontanei,i moti di un corpo rigido con un punto fisso soggetto ad un sistema di forze il cui momentorisultante, rispetto al punto fisso, e nullo.

Sono esempi notevoli di moti alla Poinsot: (i) il moto di un corpo rigido fissato nel baricentro esoggetto alla gravita, (ii) il moto rispetto al baricentro di un corpo rigido in caduta libera. Nelprimo caso infatti, essendo F eν = mν g, risulta: MGe =

ν GPν ×mν g =∑

ν mν GPν ×g = 0perche

ν mν GPν = 0. Nel secondo caso, poiche ci si pone in un riferimento che si muovedi moto traslatorio rispetto al riferimento in cui la forza peso e ritenuta costante, e che vieneassunto come inerziale, si ha F eν = mν (g − aG), essendo −mν aG la forza di trascinamento.Per cui, come sopra, si trova MGe = 0.

Nel caso dei moti alla Poinsot la seconda equazione cardinale diventa

K = 0 (1)

e le equazioni di Euler si semplificano in

A p− (B −C) q r = 0

B q − (C − A) r p = 0

C r − (A−B) p q = 0

(2)

Queste sono le equazioni di Euler-Poinsot. Formano un sistema del primo ordine nelle solefunzioni incognite

(p(t), q(t), r(t)

)che, se nessuno dei momenti principali d’inerzia (A,B, C)

e nullo, puo porsi in forma normale. La sua integrazione consente di determinare la velocitaangolare e quindi il moto del corpo rigido a partire da un atto di moto iniziale (si veda l’Oss. 5).

L’equazione cardinale (1) mostra che il momento angolare e un integrale primo (vettoriale):

K = costante. (3)

Il teorema dell’energia, annullandosi anche la potenza delle forze esterne, mostra che anchel’energia cinetica e un integrale primo:

T = 12

K · ω = costante. (4)

Sergio Benenti

Page 136: Lezioni Di Meccanica Razionale

§ 3.7 Dinamica del corpo rigido 49

Questi due integrali primi producono una notevole proprieta geometrica dei moti alla Poinsot:

Teorema 1 (teorema di Poinsot). In ogni moto alla Poinsot l’ellissoide d’inerzia relativo alpunto fisso O rotola senza strisciare su di un piano fisso ortogonale al momento angolare costanteK.

Per la sua dimostrazione occorre utilizzare una proprieta generale dei moti rigidi con un puntofisso:

Lemma 1. In un qualunque moto rigido con un punto fisso O, in ogni istante in cui ω 6= 0, ilmomento angolare K rispetto ad O e ortogonale all’ellissoide d’inerzia relativo ad O nei puntidi intersezione con l’asse di Mozzi e forma angolo acuto con la velocita angolare (Fig. 3.7.1).

Dimostrazione. Si consideri il riferimento principale d’inerzia in O, di coordinate (x, y, z).L’ellissoide d’inerzia ha equazione

Ax2 +B y2 +C z2 = 1.

Il gradiente della funzione a primo membro, le cui componenti sono (2Ax, 2By, 2Cz), e unvettore ortogonale all’ellissoide nel punto P di coordinate (x, y, z) (teorema del gradiente). Sequesto punto sta sull’asse di Mozzi, che e parallelo a ω di componenti (p, q, r), allora il gradientee parallelo al vettore di componenti (Ap, Bq, Cr). Ma queste sono appunto le componenti diK: la prima parte dell’enunciato e dimostrata. Osservato poi che ω · K = 2T e che l’energiacinetica e sempre positiva o nulla, si conclude che l’angolo tra ω e K e sempre acuto o retto.Ma il caso in cui ω · K = 0 corrisponde a T = 0, cioe ω = 0.

...............................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................

....................................................................

.....................................................................................................................................................................................................................................................................................................

..........................................................................................................

.........................................................................................................

Π

a

O

d

KO

ω·······································································································································································

···················

······························································································································································································································································································

··················································································································································································

Fig. 3.7.1 - Il teorema di Poinsot (in sezione).

Dimostrazione della teorema di Poinsot. In virtu del Lemma 1 il piano Π tangente all’ellissoided’inerzia in uno dei due punti d’intersezione con l’asse di Mozzi ha giacitura costante, perche eortogonale al vettore costante K. Si prenda il piano tangente nel punto P per cui OP e ω sonoconcordi. Per il significato dell’ellissoide d’inerzia e per quanto visto sull’energia cinetica si ha

1

|OP |2 = Ia =2T

ω2. (5)

Sia θ l’angolo formato tra ω e K. Allora

cos θ =K · ω

|K| |ω| =2T

|K| |ω| .

Lezioni di Meccanica Razionale

Page 137: Lezioni Di Meccanica Razionale

50 Cap. 3 - Meccanica Newtoniana § 3.7

D’altra parte, se d e la distanza del piano Π dal punto O, per la (5) si ha

d = |OP | cos θ =2T |OP ||K| |ω| =

√2T

|K| . (6)

Poiche T e K sono costanti, d e costante: dunque il piano Π e fisso. Poiche il punto P dicontatto tra ellissoide e piano sta sull’asse di Mozzi, la velocita di P , pensato solidale al corpo,e nulla quindi l’ellissoide rotola senza strisciare su Π.

Osservazione 1. La (5) mostra che in ogni istante

ω =√

2T OP. (7)

La (6) fornisce la distanza del piano fisso dal punto fisso O:

d =

√2T

|K| . • (8)

Conseguenze notevoli del teorema di Poinsot:

Corollario 1. Tra i moti alla Poinsot esistono moti rotatori (cioe con un asse fisso). Essi sononecessariamente uniformi (ω = costante) e intorno ad un asse principale d’inerzia.

Dimostrazione. I moti rotatori sono caratterizzati dall’avere l’asse di Mozzi fisso. Dal teoremadi Poinsot si vede che l’asse di Mozzi e fisso se e solo se il punto P di contatto tra l’ellissoide edil piano e fisso. D’altra parte un ellissoide con centro fisso puo rotolare senza strisciare su di unpiano fisso se e solo se il punto di contatto coincide con un suo vertice e quindi appartiene aduno degli assi. Inoltre, se P e fisso, ω e costante (formula (7)).

I moti rigidi con punto fisso e con ω costante si dicono moti stazionari. Il precedente enunciatoafferma allora che moti alla Poinsot stazionari sono possibili solo intorno agli assi principalid’inerzia.

Corollario 2. Se l’ellissoide d’inerzia e rotondo, allora i moti alla Poinsot sono moti diprecessione regolare.

Dimostrazione. Se l’ellisoide e rotondo il punto di contatto P descrive sul piano fisso (e anchesull’ellisoide) una circonferenza. Quindi la distanza |OP | e costante, col che |ω| e costante.Siccome P sta sull’asse di Mozzi, i coni di Poinsot sono rotondi. Quello mobile rotola su quellofisso con velocita costante perche e costante l’energia cinetica.

Osservazione 2. L’equazione cardinale (1) e equivalente all’equazione vettoriale

K = K × ω (9)

dove ora la derivata temporale s’intende riferita al corpo rigido. Infatti denotate con DK econ D′K le derivate temporali di un vettore generico K fatte rispetto al riferimento fisso e alriferimento solidale al corpo rigido, vale la formula (5), § 2.9:

DK = D′K + ω × K.

Sergio Benenti

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§ 3.7 Dinamica del corpo rigido 51

Sicche l’equazione (1) DK = 0 e equivalente a D′K +ω×K = 0, cioe alla (9). La (9) e dunquela seconda equazione cardinale riferita al corpo, scritta cioe nel riferimento solidale. Se ci si ponenel riferimento solidale (i, j, k) appare piu naturale considerare le equazioni di Euler (2) comesistema dinamico nello spazio R

3 delle componenti

x = Ap, y = Bq, z = Cr (10)

del vettore momento angolare K rispetto alla terna solidale. Il sistema (2) e allora equivalenteal sistema normale

x = (c− b) y z

y = (a− c) z x

z = (b− a) x y

(11)

posto (si suppone, al solito, che nessuno dei momenti principali d’inerzia sia nullo)

a =1

A, b =

1

B, c =

1

C. (12)

Questo sistema possiede due integrali primi. Il primo e conseguente all’integrale dell’energia2T = Ap2 +Bq2 + Cr2 = costante e si scrive

ax2 + by2 + cz2 = h2. (13)

Il secondo e |K| = costante (K, costante nello spazio, non e costante rispetto al corpo rigidoma e costante il suo modulo) cioe

x2 + y2 + z2 = k2. (14)

Le orbite del sistema dinamico (11) sono dunque date dall’intersezione delle sfere di equazione(14) con gli ellissoidi di equazione (13) che prendono il nome di ellissoidi dell’energia. Si trattadi curve chiuse, che degenerano nei vertici degli ellissoidi (gli assi (x, y, z) sono luogo di puntisingolari). Lo studio di queste curve consente tra l’altro di ottenere un teorema sulla stabilita deimoti di Poinsot stazionari intorno agli assi principali d’inerzia. Si consideri il caso di un corporigido asimmetrico rispetto ad O: l’ellissoide d’inerzia non e rotondo (nel caso simmetrico, comesi e gia osservato, i moti del corpo rigido sono di precessione regolare). Si supponga

A > B > C (a < b < c).

A seconda dei valori delle costanti h =√

2T e k = |K| l’intersezione della sfera (14) di raggiok con l’ellissoide (13) di semiassi (h

√A, h

√B, h

√C) e di vario tipo. (i) Se k < h

√C, e vuota;

la sfera e interna all’ellissoide e non vi e alcun moto reale; questa relazione tra le costanti eimpossibile. (ii) Se k = h

√C, e costituita dai due vertici dell’ellissoide sull’asse z. (iii) Se

h√B > k > h

√C, e costituita da due curve chiuse, simmetriche rispetto al piano (x, y), intorno

ai suddetti vertici. (iv) Se k = h√B, e costituita da due circonferenze passanti per i vertici

dell’asse y. (v) Se h√A > k > h

√B, e costituita da due curve chiuse simmetriche rispetto al

piano (y, z). (vi) Se k = h√A, e costituita dai due vertici sull’asse x. (vii) Se infine k > h

√A,

e vuota e anche questa relazione tra le costanti e impossibile. Nei casi (iii) e (v) si hanno deimoti di K periodici. Nei casi (ii) e (vi) il vettore K e costante anche nel corpo ed i moti del

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52 Cap. 3 - Meccanica Newtoniana § 3.7

corpo rigido sono stazionari. Questi moti sono stabili, nel senso che una piccola perturbazionetrasforma il moto stazionario in una piccola orbita chiusa di K (si veda anche il §1.5, Esempio1). Il caso singolare (iv) comprende invece due distinte situazioni: quella di un moto stazionariointorno all’asse y e quella di un moto di K lungo una semicirconferenza (si tratta di un motoasintotico). Di qui si osserva che il moto stazionario intorno all’asse y e instabile. Si e cosıdimostrato che i moti stazionari intorno agli assi di massimo e minimo momento d’inerzia sonostabili, quelli intorno all’asse intermedio sono instabili. •

Osservazione 3. Si considerino gli endomorfismi antisimmetrici aggiunti dei vettori K e ω (siveda la nota (1) di § 2.8):

L = ∗K, Ω = ∗ω. (15)

Si dimostra che vale in generale l’uguaglianza

∗(K × ω) = [L,Ω],

dove[L,Ω] = LΩ − ΩL

e il commutatore dei due endomorfismi (e nullo se questi commutano). L’equazione (9) risultaallora equivalente all’equazione

L = [L,Ω] (16)

Lo si puo anche riconoscere direttamente considerando le matrici

L = (Lαβ) =

0 Cr −Bq−Cr 0 ApBq −Ap 0

,

Ω = (Ωαβ) =

0 r − q− r 0 pq − p 0

,

le quali rappresentano proprio le forme bilineari antisimmetriche aggiunte di K e ω (si convieneche il primo indice α sia indice di riga). Il commutatore C = [L,Ω] = LΩ − ΩL delle duematrici ha componenti

Cαβ = Σγ

(ΩαγLγβ − LαγΩγβ

).

Quindi

(Cαβ) =

0 (A− B)pq (A−C)pr(B −A)pq 0 (B − C)qr(C − A)pr (C −B)qr 0

.

Si vede allora che le equazioni di Euler-Poinsot (2) equivalgono proprio alle equazioni Lαβ = Cαβ ,quindi all’equazione (16). •

Osservazione 4. Un’equazione differenziale del tipo (16), coinvolgente endomorfismi L e Ω

sopra uno spazio vettoriale E reale e a dimensione finita (quindi coinvolgente matrici realiquadrate), prende il nome di equazione di Lax (Peter Lax, Courant Institute di New York). Si

Sergio Benenti

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§ 3.7 Dinamica del corpo rigido 53

dice inoltre che un sistema dinamico, ossia un campo vettoriale X sopra uno spazio di coordinate(xα), ammette una rappresentazione di Lax se il sistema differenziale del primo ordine adesso associato risulta traducibile in un’equazione del tipo (16). L’utilita della rappresentazionedi Lax risiede nel fatto che da essa si ricavano immediatamente integrali primi. Segue infattidalla (16) che le tracce (1)

Fk =1

ktr

(Lk

), k ∈ Z, (17)

sono integrali primi (il fattore 1k e inessenziale ma e conveniente per ragioni formali). Infatti:

1

k

d

dttr

(Lk

)= tr

(L Lk−1

)= tr

([L,Ω] Lk−1

)

= tr(L Ω Lk−1 − ΩLk

)= 0.

Anzi, se vale anche la condizione

tr(LΩ

)= tr

(Ω L

), (18)

allora anche la funzioneT = − 1

2tr

(LΩ

)(19)

e un integrale primo. La dimostrazione e analoga alla precedente.

Se gli endomorfismi L e Ω sono antisimmetrici, come nel caso delle equazioni di Euler-Poinsot,tutti gli Fk sono nulli per k dispari. Per k = 2, siccome per qualunque vettore K = ∗L si ha

tr(L2) = − 2 K2 (K2 = K · K),

si vede che e proprioF2 = −K2.

Per valori pari di k si hanno integrali primi dipendenti da questo. Infine, poiche per duequalunque vettori K = ∗L e ω = ∗Ω vale la formula

tr(LΩ) = − 2 K · ω,

si vede che l’integrale primo (19) coincide proprio con l’energia cinetica, mentre la (18) e veraperche K · ω = K · ω (per verificare quest’uguaglianza basta ricordare che K = I(ω)). •

Osservazione 5. Si consideri il problema, puramente cinematico, di determinare il moto diun corpo rigido con un punto fisso conoscendone la velocita angolare ω(t). Il moto rigido erappresentato da una rotazione in funzione del tempo Q(t). Se denotiamo con (cα) una ternafissa e con (uα) = (i, j, k) una terna solidale (entrambe ortonormali e centrate nel punto fissoO) la posizione del corpo rigido e definita dalle equazioni

uα = Q(cα). (20)

(1) La traccia tr(A) di un endomorfismo lineare A su di uno spazio vettorialeE e la somma deglielementi della diagonale principale della matrice delle componenti secondo una base qualunquedi E (non dipende infatti dalla base scelta). E uguale alla somma degli autovalori.

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Page 141: Lezioni Di Meccanica Razionale

54 Cap. 3 - Meccanica Newtoniana § 3.7

Un primo metodo consiste nell’integrare il sistema dinamico

Q = Ω Q (21)

nell’incognita Q dove l’endomorfismo antisimmetrico Ω = ∗ω e noto in funzione del tempo.L’equazione (21) si ricava direttamente dalla definizione di Ω: Ω = QQ−1. Si tratta di unsistema a 9 funzioni incognite, le componenti di Q. Si osservi pero che dall’equazione (21) segue

d

dt

(QT Q

)= Q

T

Q + QT Q = −QT Ω Q + QT ΩQ = 0.

Dunque se inizialmente Q e una rotazione, cioe se QT Q = 1, lo e necessariamente per tuttigli istanti. Quasi sempre pero il vettore velocita angolare ω, ottenuto per esempio integrandole equazioni di Euler, e espresso in componenti non secondo la terna fissa (cα) ma secondola terna solidale (uα). La questione e tuttavia immediatamente risolta perche una proprietacaratteristica delle rotazioni e proprio quella di avere uguali componenti rispetto alla terna fissae alla terna solidale. Si ha infatti, tenuto conto della (20):

Q(cα) · cβ = uα · Q−1(uβ) = uα · QT(uβ) = Q(uα) · uβ .

Un secondo metodo, che in sostanza e una riduzione del precedente, prende in considerazioneun vettore fisso nello spazio c. Vale per un tale vettore l’equazione del tipo (9)

c = c × ω, (22)

dove la derivata temporale e riferita al corpo rigido. Quest’equazione vettoriale si puo intenderecome sistema dinamico nell’incognita c, noto il vettore ω in funzione del tempo. Se si denotanocon (α, β, γ) le componenti di c secondo la terna solidale principale d’inerzia, rispetto alla qualeω ha componenti (p, q, r), la (22) si traduce nelle tre equazioni scalari

α = r β − q γ,

β = p γ − r α,

γ = q α − p β,

(23)

Un integrale primo e il modulo di c, cioe la quantita α2 + β2 + γ2. Si puo quindi scegliere c

unitario. Se si fanno assumere inizialmente a c i tre valori (cα) della terna di riferimento fissa,si ricostruisce la matrice Q (2). L’integrazione di questo sistema non e in generale riconducibilealle quadrature (3). Lo e pero nel caso dei moti alla Poinsot. Si consideri infatti come vettorefisso il vettore K. Se (α, β, γ) sono i suoi coseni direttori secondo la terna principale d’inerzia,posto K = |K|, si ha

Kα = Ap, Kβ = Bq, Kγ = Cr. (24)

(2) Si noti che, fissato c la conoscenza dei tre coseni direttori (α, β, γ) rispetto alla terna solidale(i, j, k) determina la posizione di quest’ultima rispetto alla terna fissa soltanto a meno di unarotazione intorno a c. Il vettore unitario c mobile rispetto al corpo e di componenti (α, β, γ)prende il nome di vettore di Poisson.(3) Per un primo approccio a questo problema si veda p.es. T. Levi-Civita, U. Amaldi, Lezionidi Meccanica Razionale (Zanichelli), Vol. I, Cap. IV, § 7.

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§ 3.7 Dinamica del corpo rigido 55

Se si fanno intervenire gli angoli di Euler (θ, φ, ψ) e si sceglie la terna fissa in modo che c = c3

sia parallelo e concorde con K, utilizzando le (5) del § 3.7.1 si trova che

cos θ =Cr

K, tanφ =

Ap

Bq. (25)

Gli angoli di nutazione e di rotazione propria (θ, ψ) sono quindi determinati in funzione deltempo attraverso (p, q, r). Utilizzando inoltre le prime due equazioni del sistema (3) del §3.7.1si trova che (4)

ψ =p sinφ+ q cosφ

sin θ. (26)

L’angolo di precessione ψ in funzione del tempo e quindi determinato con una quadratura.In generale, se si vogliono utilizzare gli angoli di Euler per rappresentare le rotazioni, si deveconsiderare, come si e detto, il sistema dinamico fornito dalle equazioni (3) del § 3.7.1 risolterispetto alle derivate. •

3.7.3 Corpo rigido con un asse fisso

Consideriamo infine il caso di un corpo rigido con asse fisso. Le forze vincolari si esplicanotutte sull’asse fisso quindi, in assenza di attriti, il loro momento assiale rispetto all’asse fisso ae da ritenersi nullo. Essendo l’asse fisso a asse di Mozzi e quindi ω parallelo al suo versore u,posto

ω = ωu,

risultaKa = KO · u = IO(ω) · u = ωIO(u) = ωIa, (1)

con Ia momento d’inerzia rispetto all’asse a. Pertanto la seconda equazione cardinale proiettatasull’asse a diventa

Ia ω = Ma. (2)

La posizione del corpo rigido e determinata dall’angolo di rotazione ϑ concorde col versore u,per cui ω = ϑu. L’equazione (2) diventa

Ia ϑ = Ma. (3)

Il momento assiale delle forze esterne attive Ma dipende in generale dalla posizione e dallavelocita angolare del corpo rigido, quindi e una funzione nota di ϑ e ϑ. Pertanto la sola equazione(3) e suficiente a determinare il moto.

Esempio 1. Il pendolo composto. E un corpo rigido vincolato a ruotare senza attrito attornoad un asse fisso orizzontale (asse di sospensione) e soggetto alla sola forza peso. Sia O il puntoproiezione ortogonale del baricentro G sull’asse di sospensione a. Il punto O prende il nome dicentro di sospensione. Se si misura l’angolo di rotazione ϑ a partire dalla posizione in cui ilvettore OG e verticale discendente risulta

Ma = −mg d sinϑ, d = |OG|.

(4) Si veda ancora il Levi-Civita, Amaldi, Vol. II, Cap. VIII, §3.

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56 Cap. 3 - Meccanica Newtoniana § 3.7

Pertanto l’equazione di moto (3) diventa

Ia ϑ+mg d sinϑ = 0. (4)

Se si pone

l =Ia

md, (5)

si ottiene un’equazione analoga a quella del pendolo semplice di lunghezza l:

ϑ+g

lsinϑ = 0. (6)

Questa lunghezza viene detta lunghezza ridotta del pendolo. Il punto P sulla retta OGdistante l da O prende il nome di centro di oscillazione del pendolo. La retta per P parallelaall’asse di sospensione prende il nome di asse di oscillazione. La denotiamo con a′ e poniamod′ = |PG|. L’interesse di queste definizioni e dovuto al teorema di Huygens (ChristiaanHuygens, 1629-1695):

Teorema 1. Un pendolo composto oscilla nello stesso modo scambiando l’asse di sospensionecol corrispondente asse di oscillazione.

Dimostrazione. Sia g l’asse per il baricentro parallelo ad a. Per il teorema di Huygens relativoai momenti d’inerzia si ha

Ia = Ig +md2,

quindi

l =Ig

md+ d. (7)

Di qui si deduce innanzitutto che l > d, quindi che G e compreso tra O e P . Se ora si assumecome asse fisso l’asse a′, in analogia con la (7), deve essere

l′ =Ig

md′+ d′.

Tenuto allora conto che d′ = l − d, di qui e dalla (7) si deduce

l′ =Ig

md′+

Ig

md.

Dalla simmetria di questa formula segue l = l′ e il teorema di Huygens e dimostrato.

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§ 3.7 Dinamica del corpo rigido 57

3.7.4 Tensore d’inerzia di un sistema di masse

Si consideri un sistema di masse M = (Pν, mν); ν = 1, . . . , N nello spazio affine euclideotridimensionale E3 (con spazio vettoriale soggiacente E3).

Definizione 1. Chiamiamo tensore d’inerzia di M nel punto O ∈ E3 l’endomorfismo lineareIO:E3 → E3 definito da (1)

IO(v) =∑

ν mν (OPν × v)× OPν • (1)

Per la formula del doppio prodotto vettoriale (2) la definizione (1) equivale a

IO(v) =∑

ν mν

(|OPν |2v − OPν · vOPν

). (1′)

Dalla definizione (1) segue, per la proprieta di scambio del prodotto misto (3),

IO(v) · u =∑

ν mν(OPν × v) · (OPν × u).

Dunque il tensore d’inerzia I e simmetrico (4):

IO(v) · u = IO(u) · v.

(1) Un tensore T di tipo (p, q) su di uno spazio vettoriale E (reale e a dimensione finita) eun’applicazione multilineare

T :E∗ × E∗ × . . .×E∗

︸ ︷︷ ︸

p volte

×E ×E × . . .× E︸ ︷︷ ︸

q volte

→ R.

Per esempio, una forma bilineare ϕ:E × E → R e un tensore di tipo (0, 2) (di qui il termine”tensore metrico” usato per un prodotto scalare di vettori). Anche un endomorfismo lineareA su E puo essere visto come tensore di tipo (1,1) ponendo, per ogni vettore v ∈ E e ognicovettore α ∈ E∗,

A(α, v) = 〈A(v),α〉.

A primo membro abbiamo il tensore A, a secondo membro l’endomorfismo A (si usa lo stessosimbolo). Questo giustifica l’uso del termine ”tensore d’inerzia” al posto di ”endomorfismod’inerzia”.

(2) E la formula (u × v) × w = u · w v − v · w u.(3) Il prodotto misto non cambia se si scambiano fra loro i due prodotti: u×v · w = u · v×w.(4) Un endomorfismo lineare A su di uno spazio vettoriale dotato di tensore metrico e sim-

metrico se (si vedano le note (1) e (4), § 2.7) AT = A, cioe se A(u) · v = A(v) · u per ognicoppia di vettori. Si dimostra che, se il tensore metrico e definito positivo, gli autovalori di unendomorfismo simmetrico sono tutti reali ed inoltre gli autovettori corrispondenti ad autovaloridistinti sono fra loro ortogonali. La forma quadratica associata ad A e definita positiva se e solose gli autovalori sono positivi.

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58 Cap. 3 - Meccanica Newtoniana § 3.7

Denotiamo ancora con lo stesso simbolo, com’e consuetudine, la forma bilineare simmetricaassociata. Poniamo cioe

IO(v,u) = IO(v) · u. (3)

Denotiamo invece con IO la forma quadratica associata a IO, detta forma d’inerzia nel puntoO, definita da

IO(v) = IO(v) · v =∑

ν mν |OPν × v|2 (4)

Osservazione 1. Segue immediatamente dalla definizione (1) che il tensore d’inerzia IO (equindi anche la forma d’inerzia IO) sono ”funzioni additive” di sistemi materiali, vale a dire:se M′ e M′′ sono due sistemi materiali disgiunti e I ′

O e I ′′

O sono i rispettivi tensori d’inerzia,allora IO = I′

O + I ′′

O e il tensore d’inerzia del sistema M = M′ ∪M′′. •

Definizione 2. Chiamiamo momento d’inerzia rispetto ad una retta a il numero Ia, positivoo nullo, dato dalla somma dei prodotti delle masse mν per le distanze al quadrato dei punti Pν

dalla retta a:

Ia =∑

ν mν

(d(a, Pν)

)2 • (5)

Per le proprieta del prodotto vettoriale,

(d(a, Pν)

)2= |OPν × u|2,

dove u e un versore della retta a ed O un suo qualunque punto. Quindi per la (4)

Ia = IO(u), ∀O ∈ a, u versore di a (6)

Pertanto: il momento d’inerzia rispetto ad una retta e uguale al valore che la forma d’inerziarelativa ad un qualunque suo punto assume su di un suo versore.

Vediamo come varia il tensore d’inerzia IO, quindi anche la forma d’inerzia IO, al variaredel punto O. Le formule seguenti, che chiamiamo formule di trasposizione, consentono dicalcolare IO e IO in un qualunque punto O quando siano noti i loro valori nel baricentro G delsistema:

IO(v) = IG(v) +m (OG× v) × OG,

IO(v) = IG(v) +m |OG× v|2(7)

(m e la massa totale). Si ha infatti successivamente:

IO(v) =∑

ν mν (OPν × v) ×OPν

=∑

ν mν

((OG+GPν) × v

)× (OG+GPν)

= m (OG× v)× OG+ (OG× v) × ∑

ν mν GPν+

+((∑

ν mν GPν

)× v

)×OG+

ν mν (GPν × v) ×GPν

= m (OG× v)× OG+ IG(v),

Sergio Benenti

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§ 3.7 Dinamica del corpo rigido 59

ricordato che, per definizione di baricentro, e∑

ν mν GPν = 0. La seconda della (7) segueimmediatamente dalla prima. Immediata conseguenza delle formule di trasposizione e il seguenteteorema di Huygens sui momenti d’inerzia:

Teorema 1. Sia a una retta e sia g la retta parallela ad a passante per il baricentro G di unsistema di masse M, allora

Ia = Ig +m(d(a, g)

)2(8)

dove m e la massa totale e d(a, g) e la distanza delle due rette.

Dimostrazione. Si consideri la definizione (6) e si applichi la seconda delle formule di tasposizione(7):

Ia = IO(u) = IG(u) +m |OG× u|2 = Ig +m(d(a, g)

)2.

Corollario 1. Al variare della retta a in un fascio di rette parallele il momento d’inerzia Ia

e minimo quando a passa per il baricentro.

Studiamo il comportamento del tensore e della forma d’inerzia in un punto O al variare delvettore v. Osserviamo innanzitutto dalla (4) che IO(v) ≥ 0. Si ha IO(v) = 0 se v = 0oppure se OPν e parallelo a v per ogni punto Pν . In quest’ultimo caso tutti i punti del sistemamateriale si trovano su di una retta passante per O e parallela a v. Chiamiamo questo casocaso degenere. Se il sistema si riduce al punto O il tensore d’inerzia in O e identicamentenullo. In conclusione: la forma d’inerzia IO e definita positiva, al di fuori del caso degenere incui e semi-definita positiva. Di conseguenza (si veda ancora la nota (4)) il tensore d’inerzia IO

ammette tre autovalori reali (I1, I2, I3): sono detti momenti principali d’inerzia relativi alpunto O. Nel caso non degenere sono tutti e tre positivi, nel caso degenere uno di essi e nulloe gli altri due sono uguali fra loro (per ragioni di simmetria, come sara chiarito fra poco). Leautodirezioni di IO, tra loro ortogonali, determinano tre rette passanti per O, (a1, a2, a3) detteassi principali d’inerzia relativi al punto O. Questi assi sono univocamente determinati see solo se i momenti principali d’inerzia sono tutti distinti. I momenti principali d’inerzia e gliassi principali d’inerzia relativi al baricentro si chiamano rispettivamente momenti centrali

d’inerzia e assi centrali d’inerzia.

Osservazione 2. I momenti principali d’inerzia (I1, I2, I3) in un punto O sono i momentid’inerzia relativi ai rispettivi assi principali (a1, a2, a3). Infatti, se per esempio u1 e un au-tovettore unitario associato all’autovalore I1, da IO(u1) = I1 u1 segue IO(u1) = IO(u1) · u1 =I1 u1 · u1 = I1. •

Come vedremo tra poco, la conoscenza degli assi principali d’inerzia e importante perche consentenotevoli semplificazioni nel calcolo dei momenti d’inerzia. La loro determinazione e facilitatadalla seguente importante proprieta di simmetria:

Teorema 2. Se Π e un piano di simmetria materiale ortogonale del sistema materiale M(cioe se e un piano di simmetria coniugato ad un versore ortogonale u) allora, qualunque siaO ∈ Π, la retta per O ortogonale a Π e asse principale d’inerzia in O.

Dimostrazione. Si prenda un versore u ortogonale al piano Π e si considerino due punti materialisimmetrici: (P1, m1) e (P2, m2). Per definizione di simmetria materiale ortogonale si ha m1 =

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60 Cap. 3 - Meccanica Newtoniana § 3.7

m2, P1P2 parallelo ad u, e il punto medio di P1P2 appartiene a Π: allora, qualunque sia O ∈ Π,si ha |OP1| = |OP2| e OP1 · u = −OP2 · u. Per il sistema materiale costituito da questi duesoli punti si ha di conseguenza:

IO(u) = m1

(|OP1|2u − OP1 · u OP1

)+m2

(|OP2|2u −OP2 · u OP2

)

= m1

(2 |OP1|2u +OP1 · u P1P2

)

= m1

(2 |OP1|2 ± OP1 · u |P1P2|

)u = I u.

Cio mostra che u e autovettore di IO. Invece per un sistema costituito da un solo puntomateriale (P,m) posto su Π, si ha semplicemente IO(u) = m |OP |2 u, perche OP · u = 0.Anche in questo caso u e autovettore. Cio basta a dimostrare il teorema in virtu della proprietaadditiva del tensore d’inerzia (Oss. 1).

Poiche gli assi principali d’inerzia sono fra loro ortogonali, l’enunciato del teorema puo continuarecon: . . . e gli altri due assi principali d’inerzia giacciono su Π. La dimostrazione del seguentecorollario, assai utile nelle applicazioni, e lasciata come esercizio.

Corollario 2. Se un sistema materiale M ammette due piani di simmetria materiale ortogo-nale fra loro ortogonali, allora gli assi principali d’inerzia relativi ad un qualunque punto O dellaloro retta d’intersezione sono la retta intersezione stessa e le due rette ortogonali per O giacentisui due piani. Se i due piani di simmetria ortogonale non sono fra loro ortogonali, allora la rettaintersezione e asse principale d’inerzia per ogni suo punto, gli altri due assi principali sono aquesta ortogonali ma indeterminati ed i due momenti d’inerzia corrispondenti sono uguali.

Veniamo infine al calcolo delle componenti del tensore d’inerzia. Si considerino un riferimentoortonormale di origine il punto O, (O, cα) = (O, i, j, k) e le corrispondenti coordinate (xα) =(x, y, z). Denotiamo con (xα

ν ) = (xν , yν, zν) le coordinate del punto Pν . Tenuto conto della

definizione (1′) e delle uguaglianze OPν = xαν cα e |OPν |2 =

∑3α=1(x

αν )2, posto

Iαβ = IO(cα) · cβ,

si ottiene:

Iαα =∑

ν mν

((xα+1

ν )2 + (xα+2ν )2

)

Iαβ = −∑

ν mν xαν x

βν (α 6= β)

(9)

Nei testi classici la matrice simmetrica (Iαβ) delle componenti della forma d’inerzia, detta ma-

trice d’inerzia, e denotata con

(Iαβ) =

A −C′ −B′

−C′ B −A′

−B′ −A′ C

,

cosicche le (9) diventano:

A =∑

ν mν(y2ν + z2

ν),

B =∑

ν mν(z2ν + x2

ν),

C =∑

ν mν(x2ν + y2

ν),

A′ =∑

ν mν yν zν ,

B′ =∑

ν mν zν xν,

C′ =∑

ν mν xν yν .

(10)

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§ 3.7 Dinamica del corpo rigido 61

Osservazione 3. Se gli assi coordinati sono assi principali d’inerzia per il punto O, allora lamatrice metrica si deve diagonalizzare, quindi necessariamente

A′ = B′ = C′ = 0

e (A,B, C) sono i momenti principali d’inerzia. •

Osservazione 4. Dalle prime tre equazioni (10) si traggono le disuguaglianze

A+ B ≥ C, B + C ≥ A, C + A ≥ B. •

Osservazione 5. La matrice d’inerzia consente il calcolo del momento d’inerzia rispetto aduna qualunque retta a passante per O. Infatti dalla (6) e (4) si trae

Ia = Iαβ uα uβ , (11)

dove si sono denotati con (uα) le componenti di un versore u della retta a. Queste componentisono anche dette coseni direttori della retta a e sono classicamente denotati con (α, β, γ).Cosicche in notazioni classiche la (11) diventa:

Ia = Aα2 +Bβ2 +Cγ2 − 2(A′βγ +B′γα+C′αβ

). (12)

Se gli assi sono assi principali d’inerzia allora si ha piu semplicemente:

Ia = Aα2 + Bβ2 + Cγ2 • (13)

Osservazione 7. L’ellissoide d’inerzia. Si consideri la quadrica Q di centro O definita dalleequazioni

Iαβ xα xβ = 1, (14)

ovvero dalle equazioni (se gli assi sono principali d’inerzia):

Ax2 +By2 + Cz2 = 1. (15)

Siccome la forma d’inerzia e definita positiva, almeno nel caso non degenere, questa quadricae un ellissoide, detto ellissoide d’inerzia nel punto O, ed i suoi assi sono gli assi principalid’inerzia. Nel caso degenere, dove tutti i punti sono distribuiti su di una retta passante per O,la quadrica Q definita dalla (15) e un cilindro retto circolare avente come asse la retta; infattiuno dei due momenti principali, quello relativo alla retta materiale, si annulla e gli altri duesono uguali (si veda il Corollario 2 oppure si guardino le (10)). In ogni caso, dal confronto della(14) con la (11) si osserva che se Pa e il punto d’intersezione della quadrica Q con la retta apassante per O, essendo xα = |OPa| uα, risulta:

|OPa| =1√Ia. • (16)

Lezioni di Meccanica Razionale

Page 149: Lezioni Di Meccanica Razionale

62 Cap. 3 - Meccanica Newtoniana § 3.7

Osservazione 7. Sistemi materiali piani. Si consideri un sistema materiale piano: tuttii punti materiali giacciono su di un piano Π. Questo piano e ovviamente piano di simmetriamateriale ortogonale e quindi vale l’enunciato del Teorema 2. Se C e il momento principale d’i-nerzia rispetto all’asse ortogonale al piano passante per un suo qualunque punto O (che diventaasse z) allora

C = A+B (17)

Per riconoscerlo basta utilizzare le (10), tenendo conto che zν = 0. •

Osservazione 8. Sistemi materiali continui. Le definizioni di tensore d’inerzia rispetto adun punto e di momento d’inerzia rispetto ad una retta sono estendibili a un sistema continuodi masse, secondo quanto gia osservato per il baricentro. Valgono le stesse proprieta viste peril caso di un sistema finito di punti. Per esempio, la definizione (1) per un sistema continuotridimensionale (D, µ) diventa

IO(v) =

D

µ (r × v) × r η, (18)

dove r e il vettore posizione rispetto ad O del generico punto P del sistema continuo, η e laforma volume, µ e la densita di massa. Cosı le (10) si trasformano in integrali tripli:

A =

∫∫∫′

D

µJ (y2 + z2) dq1 dq2 dq3,

B =

∫∫∫′

D

µJ (z2 + x2) dq1 dq2 dq3,

C =

∫∫∫′

D

µJ (x2 + y2) dq1 dq2 dq3,

A′ =

∫∫∫′

D

µJ y z dq1 dq2 dq3,

B′ =

∫∫∫′

D

µJ z x dq1 dq2 dq3,

C′ =

∫∫∫′

D

µJ x y dq1 dq2 dq3,

(19)

dove D′ ⊂ R3 e il dominio di integrazione nelle coordinate (qi) considerate, e J il corrispondente

jacobiano. •

Sergio Benenti

Page 150: Lezioni Di Meccanica Razionale

Sergio Benenti

Lezioni di Meccanica Razionale

Capitolo 4

Meccanica Lagrangiana

Joseph-Louis Lagrange (Torino 1736 - Parigi 1813) pubblica nel 1788 la ”Mecanique Analitique”.Scrive nell’ ”avvertissement”, con piena coscienza della grandezza dell’opera compiuta:

”Si hanno gia diversi Trattati di Meccanica, ma il piano di questo e interamente nuovo. Misono proposto di ridurre la teoria di questa Scienza, e l’arte di risolvere i problemi che ad essasono riferiti, a delle formule generali, il cui semplice sviluppo dia tutte le equazioni necessarieper la soluzione di ciascun problema. Spero che la maniera con cui ho cercato di raggiungerequest’obiettivo, non lasciera niente a desiderare.

Quest’Opera avra d’altronde un’altra utilita; riunira e presentera sotto uno stesso punto divista, i differenti Princıpi trovati finora per facilitare la soluzione di questioni di Meccanica, nemostrera il legame e la mutua dipendenza, e consentira di giudicare la loro esattezza e la loroportata.

[...] Non si troveranno figure in quest’Opera. I metodi che vi espongo non richiedono ragio-namenti geometrici o meccanici, ma solamente delle operazioni algebriche, assogettate ad unamarcia regolare e uniforme. Coloro che amano l’Analisi, vedranno con piacere la Meccanicadiventarne una nuova branca, e mi saranno grati di averne cosı esteso il dominio.”

Questo capitolo e dedicato ad una trattazione moderna della Meccanica di Lagrange che, inalternativa alla Meccanica di Newton e Euler, trasferisce l’analisi dei sistemi meccanici dallospazio affine tridimensionale euclideo alle loro varieta delle configurazioni. I necessari strumentidi calcolo differenziale sulle varieta sono introdotti nei primi quattro paragrafi.

Versione 05/2007

Page 151: Lezioni Di Meccanica Razionale

2 Cap. 4 - Meccanica Lagrangiana § 4.1

4.1 Varieta differenziabili

La nozione di varieta differenziabile, fondamentale per la moderna Geometria Differenziale,sorge dalla necessita di operare con le tecniche del calcolo differenziale ed integrale su spazi dinatura piu generale degli spazi affini e soltanto localmente identificabili con aperti di R

n.

Definizione 1. SiaQ un insieme, i cui elementi chiamiamo punti. Dicesi carta di dimensione

n su Q un’applicazione iniettivaϕ:U → R

n

il cui dominio U e un sottoinsieme di Q e la cui immagine ϕ(U) e un aperto di Rn. Le n

funzioni qi:U → R (i = 1, . . . , n) tali che per ogni x ∈ U

ϕ(x) = (q1(x), . . . , qn(x))

prendono il nome di coordinate associate alla carta ϕ. Si dice anche che le (qi) formano unsistema di coordinate sull’insieme Q. Denoteremo una generica carta con la coppia (U, ϕ) ocon (U, qi). •

Una carta consente di rappresentare il dominio U ⊆ Q in un aperto di Rn e quindi di operare

su di questo con gli strumenti dell’analisi. Va osservato che pur essendo le coordinate (qi)definite come funzioni reali sopra U , esse possono anche assumere il ruolo di variabili reali. Adesempio, data una funzione reale f :Q → R sopra Q e data una carta (U, qi), risulta definitauna funzione f :ϕ(U) ⊆ R

n → R tale che f(x) = f(q1(x), . . . , qn(x)) per ogni punto x ∈ U ,cioe tale che f = f ϕ−1. Diciamo che la funzione f e la funzione rappresentatrice o larappresentazione locale della funzione f secondo la carta o secondo le coordinate (qi),funzione che per semplicita denoteremo con f(qi).

Fig. 4.1.1 - Carte compatibili.

Definizione 2. Due carte di dimensione n, ϕ1:U1 → Rn e ϕ2:U2 → R

n, si dicono Ck-compatibili se U1∩U2 = ∅ oppure se, quando U1∩U2 6= ∅, risultano verificate le due condizioniseguenti:

Sergio Benenti

Page 152: Lezioni Di Meccanica Razionale

§ 4.1 Varieta differenziabili 3

(i) gli insiemi O1 = ϕ1(U1 ∩ U2) e O2 = ϕ2(U1 ∩ U2), immagini dell’intersezione dei dominisecondo le due carte, sono entrambi aperti;

(ii) le funzioni di transizione ϕ12:O1 → O2 e ϕ21:O2 → O1, definite da ϕ12 = ϕ2 ϕ−11 e

ϕ21 = ϕ1 ϕ−12 , dove ϕ1 e ϕ2 s’intendono ristrette all’intersezione U1 ∩U2, sono di classe Ck. •

Le funzioni di transizione sono applicazioni, una inversa dell’altra, tra due aperti O1 e O2 di Rn

rappresentate da funzioni del tipo

qi2 = ϕi12(qh1 ), qi1 = ϕi21(q

h2 ), (2)

dove (qi1) e (qi2) sono le coordinate corrispondenti alle carte ϕ1 e ϕ2. Le (2) esprimono letrasformazioni di coordinate o il cambiamento di coordinate nel passaggio da una cartaall’altra. Le funzioni reali ϕi12(q

h1 ) e ϕi21(q

h2 ) sono per definizione di classe Ck, ammettono cioe

derivate parziali continue almeno fino all’ordine k. Nel caso in cui k ≥ 1, per l’invertibilita dellefunzioni di transizione, le corrispondenti matrici Jacobiane

(∂qi1∂qh2

)

,

(∂qi2∂qh1

)

(3)

sono regolari e una inversa dell’altra.

Definizione 3. Dicesi atlante sull’insieme Q un insieme di carte compatibili A = ϕα:Uα →Rn; α ∈ I (I e un insieme di indici) i cui domini (Uα) formano un ricoprimento di Q. Un

insieme Q dotato di un atlante prende il nome di varieta differenziabile di dimensione n. •

Osservazione 1. Un dato atlante puo essere ampliato con l’aggiunta di carte. Un atlante sidice saturato (o massimale) se contiene tutte le possibili carte ad esso compatibili. Per varietadifferenziabile s’intende, piu precisamente, un insieme dotato di un atlante massimale. •

Osservazione 2. Un atlante induce sull’insieme Q una topologia, quindi una varieta differen-ziabile e anche uno spazio topologico. Un sottoinsieme A ⊆ Q e per definizione un aperto

se per ogni carta (Uα, ϕα) l’insieme ϕα(A ∩ Uα) ⊆ Rn e un aperto (nella topologia di R

n). Isottoinsiemi aventi questa proprieta soddisfano agli assiomi degli aperti. Infatti, poiche ogni ϕαe iniettiva vale l’uguaglianza ϕα(A1 ∩ A2 ∩ Uα) = ϕα(A1 ∩ Uα) ∩ ϕα(A2 ∩ Uα). Quindi se A1 eA2 sono aperti, anche la loro intersezione e un aperto. Inoltre, per una qualunque collezione disottoinsiemi Ai di Q vale l’identita ϕα

((∪iAi) ∩ Uα

)= ∪iϕα

(Ai ∩ Uα

), quindi se questi sono

aperti anche la loro unione e un aperto. Infine l’insieme Q e un aperto perche le immagini deidomini delle carte sono aperti per definizione. •

Osservazione 3. Nella topologia indotta da un atlante i domini delle carte sono aperti e lecarte sono degli omeomorfismi. Per verificarlo occorre dimostrare che una carta ϕ:U → R

n, cheper definizione stabilisce una corrispondenza biunivoca tra il suo dominio e la sua immagine, ebicontinua cioe che: (i) se B ⊆ ϕ(U) e un aperto, allora l’insiemeA = ϕ−1(B) e un aperto, (ii) seA ⊆ U e un aperto, allora ϕ(A) e un aperto. (i) Oltre alla ϕ si consideri una qualunque altra cartacompatibile ϕα:Uα → R

n con A∩Uα 6= ∅. La funzione di transizione ψ:ϕ(U∩Uα)→ ϕα(U∩Uα)e per definizione almeno C0, cioe continua insieme all’inversa, quindi e un omeomorfismo. D’altraparte ϕα(A ∩ Uα) = ψ

(B ∩ ϕ(U ∩ Uα)

)dove B e aperto per ipotesi e ϕ(U ∩ Uα) e aperto per

definizione di compatibilita. Dunque ϕα(A ∩ Uα) e un aperto per ogni carta compatibile. Cio

Lezioni di Meccanica Razionale

Page 153: Lezioni Di Meccanica Razionale

4 Cap. 4 - Meccanica Lagrangiana § 4.1

dimostra che A e un aperto. (ii) Questa seconda proprieta e ovvia in base alla definzione diaperto: l’immagine di A secondo una qualunque carta e un aperto e ϕ e una di queste carte. Sinoti bene che, nella maggior parte dei testi di Geometria Differenziale, una varieta differenziabilee definita come insieme Q dotato di una struttura topologica e di un atlante le cui carte sonoomeomorfismi di aperti di Q su aperti di R

n. •

Osservazione 4. La topologia indotta da un atlante puo non essere di Hausdorff (cioe se-

parabile: punti distinti ammettono intorni disgiunti) anche se ogni dominio di carta, presoa se stante, e omeomorfo ad un aperto di R

n (si veda l’Esempio 3 qui di seguito). Qui enel seguito (cosı come nella maggior parte dei testi di Geometria Differenziale) per varietadifferenziabile s’intendera un’insieme dotato di un atlante la cui topologia indotta e separabilee a base numerabile. •

Osservazione 5. La compatibilita e un requisito essenziale richiesto alle carte sullo stesso in-sieme Q affinche, considerate nel loro complesso, possano fornire attraverso le parametrizzazionilocali una visione ”globale” coerente (in particolare, come si e visto, indurre una topologia). Siosservi che un atlante di classe Ck puo essere considerato come atlante di classe Ch con h < k.Si puo tuttavia dimostrare che una varieta differenziabile paracompatta di classe Ck con k ≥ 1ammette un atlante di classe Ch per ogni h > k. Dunque una varieta differenziabile paracom-patta di classe Ck con k ≥ 1 (e essenziale che non sia solo k = 0, cioe che la compatibilita trale carte non sia solo continua) ammette una struttura di varieta differenziabile di classe C∞.Pertanto si supporra tacitamente che le varieta considerate siano di classe C∞. •

Esempio 1. L’insieme dei numeri reali R e una varieta di dimensione 1. L’identita R → R euna carta (detta carta naturale) che da sola costuituisce un atlante. Analogamente, l’insiemeRn e una varieta di dimensione n e piu in generale gli spazi affini sono varieta. •

Esempio 2. Uno stesso insieme puo possedere atlanti fra di loro non conpatibili (anche se conla stessa topologia). Sull’insieme R la carta ϕ: R → R: x 7→ x3 non e compatibile con la cartanaturale perche una delle due funzioni di transizione e la radice cubica che non e derivabilenell’origine. •

Esempio 3. Sia Q l’insieme unione delle tre semirette A, B, C del piano R2 definite da (Fig.

4.1.2):

A : y = 0, x < 0,

B : y = 1, x ≥ 0,

C : y = −1, x ≥ 0.

Si considerino su Q le carte

ϕ1:A ∪B → R, ϕ2:A∪ C → R,

ottenute restringendo la proiezione di R2 sull’asse x agli insiemi A ∪ B e A ∪ C. Queste due

carte sono compatibili perche le funzioni di transizione coincidono con l’identita sulla semirettaaperta A, intersezione dei loro domini. Esse formano inoltre un atlante di Q, perche i loro dominiricoprono Q. La topologia indotta non e separabile perche i punti estremi delle due semirette Be C, di coordinate (0, 1) e (0,−1), non ammettono intorni disgiunti. •

Sergio Benenti

Page 154: Lezioni Di Meccanica Razionale

§ 4.1 Varieta differenziabili 5

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x

y

)A

B

C

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Fig. 4.1.2

Osservazione 6. Sottovarieta aperte. Ogni aperto A di una varieta differenziabile Qpossiede a sua volta una naturale struttura di varieta differenziabile (con la stessa dimensione).Si verifica infatti che se A = ϕα:Uα → R

n; α ∈ I e un atlante di Q allora le restrizioni dellesue carte ad un aperto A ⊆ Q formano un atlante ϕα|A:Uα ∩A→ R

n; α ∈ I di A. •

Osservazione 7. Sottovarieta. Una sottovarieta S di una varieta differenziabile Q e unsottoinsieme di Q tale che per ogni punto p0 ∈ S esiste una carta ϕ:U → R

n con dominiocontenente p0, di coordinate (qi) tali che

p ∈ S ∩ U ⇐⇒ qk+1(p) = 0, . . . , qn(p) = 0 (k < n),

cioe tale che i punti di S che stanno nel dominio della carta sono caratterizzati dall’annullarsidi n − k coordinate. Una tale carta si dice carta adattata a S e le corrispondenti coordinatesi dicono adattate. Si puo dimostrare che la restrizione ϕ|S:U ∩ S → R

k e una carta di S didimensione k e che l’insieme delle carte adattate induce un atlante su S. Si dimostra anche chela topologia indotta da questo atlante coincide con la topologia indotta da Q a S. •

Fig. 4.1.3 - Sottovarieta.

Osservazione 8. Applicazioni differenziabili. Un’applicazione ϕ:M → N tra due varietadifferenziabili M ed N (di dimensione m ed n rispettivamente), assegnate due carte su M edN di coordinate (xi) e (ya) rispettivamente (i = 1, . . . , m, a = 1, . . . , n), e rappresentabile daequazioni del tipo

ya = ϕa(xi)

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Page 155: Lezioni Di Meccanica Razionale

6 Cap. 4 - Meccanica Lagrangiana § 4.1

cioe da n funzioni reali nelle m variabili reali (xi). L’applicazione ϕ si dice di classe Ck,in particolare differenziabile, se ogni sua rappresentazione in coordinate e di classe Ck, inparticolare C∞. Si dice rango dell’applicazione ϕ in un punto di M il rango della matrice m×ndelle derivate parziali

(∂ϕa

∂xi

)

calcolate in quel punto. Si puo dimostrare che questo non dipende dalla scelta delle coordinate.Le stesse definizioni si applicano al caso in cui N = R, cioe al caso delle funzioni reali sullevarieta. Si dice che ϕ e una immersione di M in N se m ≤ n e se il rango di ϕ e ovunquemassimo (= m). Se ϕ e iniettiva allora si dice che l’immagine S = ϕ(M) e una sottovarieta

immersa di M . Questo concetto e piu generale di quello dell’Oss. 7 perche la topologia di Sindotta da M tramite ϕ puo essere diversa dalla topologia indotta da N . Se le due topologiecoincidono, cioe se S e una sottovarieta nel senso anzidetto, si dice che ϕ e una immersione

topologica. Si dice che ϕ e un diffeomorfismo se e invertibile e se ϕ ed ϕ−1 sono entrambedifferenziabili. Le due varieta M ed N si dicono allora diffeomorfe e si usa scrivere M ' N .Esse hanno la stessa dimensione. •

Osservazione 9. Varieta prodotto. Se M e N sono due varieta differenziabili, di dimensionem ed n rispettivamente, allora il loro prodotto cartesiano M × N e una varieta differenziabiledi dimensione m + n, detta varieta prodotto. Si dimostra infatti che i prodotti cartesiani dicarte delle due varieta definiscono carte su M × N che sono fra loro compatibili e che quindidue atlanti di M ed N generano un atlante di M ×N . •

Osservazione 10. Superfici regolari in uno spazio affine. Si consideri in Rm il sottinsieme

S costituito dai punti soddisfacenti a r < m equazioni indipendenti

Fa(x1, . . . , xm) = 0 (a = 1, . . . , r). (†)

S’intende con cio che i differenziali delle funzioni Fa sono indipendenti in ogni punto di S, ovveroche in corrispondenza ai punti di S la matrice r ×m

(∂Fa

∂xα

)

(α = 1, . . . , m) (‡)

ha rango massimo. L’insieme S e allora una superficie regolare. Dimostriamo che e una sottova-rieta di R

m e quindi essa stessa una varieta (si veda l’Oss. 7). Dire che la matrice (‡) ha rangomassimo in un punto di S equivale ad affermare che nell’intorno di quel punto una sua sot-tomatrice quadrata di ordine massimo r e regolare. Si puo supporre, cambiando eventualmentel’ordine delle coordinate, che questa sottomatrice sia composta dalle prime r righe e prime rcolonne:

det

[∂Fa

∂xb

]

6= 0 (a, b = 1, . . . , r).

Cio posto, si considerino le equazioni

qa = Fa(x1, . . . , xm)

qi = xi(a = 1, . . . , r; i = r + 1, . . . , m).

Sergio Benenti

Page 156: Lezioni Di Meccanica Razionale

§ 4.1 Varieta differenziabili 7

Queste definiscono nuove coordinate (qa, qi) in un certo intorno U del punto considerato, percheil corrispondente jacobiano non e nullo:

det

∂qa

∂xb∂qa

∂xi

∂qj

∂xb∂qj

∂xi

= det

∂Fa

∂xb∂Fa

∂xi

0 δji

= det

[∂Fa

∂xb

]

6= 0.

Poiche la superficie S e nell’intorno U caratterizzata dalle equazioni qa = 0, queste coordinatesono adattate a S. Si e cosı dimostrato che nell’intorno di ogni punto di S esistono carte adat-tate e quindi che S e una sottovarieta. Dimostrato che una superficie regolare e una varieta, sipuo anche dimostrare che una qualunque varieta differenziabile Q puo essere immersa topologi-camente in R

N con N opportuno non superiore a 2 dim(Q) + 1 (teorema di immersione di

Whitney, 1936) e quindi puo essere intesa come superficie regolare in RN . La definizione di

immersione topologica e data all’Oss. 8. •

Osservazione 11. Sottovarieta definite da equazioni. Quanto detto nell’osservazioneprecedente si puo ripetere per un sistema di r funzioni differenziabili (Fa) sopra una varieta Q.Le equazioni Fa = 0 definiscono un sottoinsieme S ⊆ Q. Se in ogni punto di S le (Fa) sonoindipendenti allora S e una sottovarieta di codimensione r. Piu in generale, se le funzioni sonoovunque indipendenti le equazioni Fa = ca, al variare delle costanti c = (ca) ∈ R

r, definisconoun fogliettamento sopra un sottoinsieme A ⊆ Q, cioe una partizione in sottovarieta disgiunte.•

Esempio 4. La circonferenza S1. Si consideri l’insieme S1 ⊂ R2 definito da

S1 = (x, y) ∈ R2 | x2 + y2 = 1.

Si tratta della circonferenza di raggio 1 centrata nell’origine. Quest’insieme e una curva regolare(superficie regolare di dimensione 1) di R

2 e quindi varieta differenziabile. Tuttavia si puoriconoscere direttamente che e una varieta, costruendone delle carte e quindi degli atlanti. Pos-siamo per esempio costruire una carta prendendo come dominio tutta la circonferenza meno unpunto A e considerare l’applicazione che ad ogni altro punto P associa l’angolo compreso tra 0e 2π (estremi esclusi) che separa P da A. Due carte di questo tipo sono compatibili (perche idue angoli differiscono per una costante) e formano un atlante su S1. Un altro tipo di carta e laproiezione stereografica rispetto ad un punto N . Si prenda per esempio N = (0, 1). Ad ognipunto P del dominio UN = S1 − N si fa corrispondere il punto P ′ intersezione della retta perO = (0, 0) ortogonale alla retta ON (in questo caso l’asse x) con la retta NP . L’applicazioneϕN :UN → R che associa al punto P = (x, y) l’ascissa del punto P ′ e una carta. Usando lasimilitudine tra triangoli si vede che

ϕN(x, y) =x

1− y .

Si noti che si ha sempre ϕN 6= 0, perche il punto (0, 1) e escluso dal dominio della carta. Duecarte di questo tipo sono fra loro compatibili e definiscono un atlante. Si prenda per esempioil punto S opposto ad N , nel nostro caso il punto S = (0,−1). La corrispondente carta ϕS,associa al punto P l’ascissa del punto corrispondente P ′′ sull’asse x. Risulta quindi

ϕS(x, y) =x

1 + y.

Lezioni di Meccanica Razionale

Page 157: Lezioni Di Meccanica Razionale

8 Cap. 4 - Meccanica Lagrangiana § 4.1

Poiche (x, y) ∈ S1, risulta ϕN · ϕS = 1. Il cambiamento di coordinate e allora rappresentatodalla relazione

ϕN =1

ϕS,

ovunque differenziabile (perche ϕN 6= 0, ϕS 6= 0). •

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x

y

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N

S

P

P ′

P ′′

••

Fig. 4.1.4 - Proiezione stereografica della circonferenza.

Esempio 5. Le sfere Sn. Per ogni intero n consideriamo l’insieme

Sn = (xα) ∈ Rn+1 |

(xα)2 = 1 ⊂ Rn+1

Per n = 1 si ritrova la definizione di S1. Per n = 2 si ha la sfera (unitaria, bidimensionale)

S2 = (x, y, z) ∈ R3 | x2 + y2 + z2 = 1.

Ad ogni prefissato punto N di S2 corrisponde una proiezione stereografica ϕN :UN → R2 che

associa ad ogni punto P di UN = S2 − N il punto P ′ intersezione della la retta NP col pianoperpendicolare a ON passante per il centro O. Se per esempio N = (0, 0, 1) questo piano e ilpiano coordinato (x, y) e quindi

ϕN(x, y, z) =

(x

1− z ,y

1− z

)

.

Una proiezione stereografica e una carta. Si dimostra che due proiezioni stereografiche sonocompatibili. Due proiezioni stereografiche corrispondenti a punti opposti della sfera formano unatlante. In maniera analoga si costruiscono le proiezioni stereografiche su ogni Sn. •

Esempio 6. I tori Tn. Si consideri sulla retta reale R la relazione di equivalenza x ' x′ ⇐⇒x − x′ ∈ Z (due numeri sono equivalenti se differiscono per un numero intero). L’insieme delleclassi di equivalenza e il quoziente di R rispetto a Z e si denota con T1 = R/Z. Fissato unnumero a si consideri l’intervallo aperto unitario Ia = (a, a+1). L’applicazione identica Ia → R

genera un’applicazione ϕa:Ua → R sopra l’insieme Ua delle classi di equivalenza rappresentatedai punti di Ia ponendo ϕa([x]) = x per ogni x ∈ Ia (si noti che Ua = T1 − [a]). Questa e unacarta. Due carte di questo tipo sono compatibili, perche le funzioni di transizione si riduconoall’identita, e formano un atlante. Dunque T1 e una varieta differenziabile, di dimensione 1.Si noti che T1 puo considerarsi rappresentato dall’intervallo chiuso [0, 1] dove pero gli estremivanno identificati. Quest’identificazione rende quest’intervallo, quindi T1, omeomorfo ad una

Sergio Benenti

Page 158: Lezioni Di Meccanica Razionale

§ 4.1 Varieta differenziabili 9

circonferenza. Per precisare questa corrispondenza si consideri l’applicazione θ: T1 → S1 che adogni classe [t] associa il punto di S1 determinato dall’angolo 2πt (misurato in un certo senso, peresempio antiorario, a partire da un certo punto, per esempio (1, 0)). Si tratta di un’applicazionebiunivoca. Se si prende su T1 la carta ϕ0, il cui dominio e U0 = [I0], si vede che l’applicazioneθ e definita da θ([t]) = 2πt con 0 < t < 1. L’applicazione θ e dunque invertibile e differenziabileinsieme alla sua inversa, quindi un diffeomorfismo. Le due varieta S1 e T1 sono pertanto diffeo-morfe. In maniera analoga a quanto visto per T1 si dimostra che l’insieme Tn = R

n/Zn, datodalle classi di equivalenza dei punti di R

n le cui coordinate differiscono per dei numeri interi,e una varieta differenziabile detta toro di dimensione n. Si dimostra che Tn e diffeomorfo alprodotto cartesiano S

n1 = S1× . . .×S1, n volte. Si osservi che il toro T2 puo essere rappresentato

in un quadrato, per esempio il quadrato unitario (x, y) ∈ R2 | 0 ≤ x ≤ 1, 0 ≤ y ≤ 1, dove i

lati opposti vengono identificati (Fig. 4.1.5). •

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x

y

1

1

0

Fig. 4.1.5 - Una carta sul toro bidimensionale T2=R2/Z

2.

Esempio 7. Gruppi di matrici, gruppi ortogonali. Si denota con GL(n,R) il gruppo dellematrici quadrate (Aji ) di ordine n di numeri reali a determinante non nullo (gruppo lineare

generale di ordine n sui reali). Le matrici reali di ordine n formano lo spazio Rn2

. Le matrici

il cui determinante e nullo formano una superficie regolare S dello spazio Rn2

, definita appuntodall’equazione

det[Aji ] = 0.

Essendo una superficie, l’insieme S e chiuso e quindi l’insieme complementare GL(n,R) = Rn2−

S e un aperto di Rn2

, quindi una varieta differenziabile (di dimensione n2).

Si consideri il sottogruppo O(n) delle matrici ortogonali, caratterizzate dalle equazioni

n∑

i=1

AihAik = δhk.

Queste equivalgono alle 12n(n+ 1) equazioni

F (h,k)(Aij) ≡n∑

i=1

AihAik − δhk = 0, h ≤ k

nelle Rn2

variabili (Aij). Si puo dimostrare che queste equazioni sono indipendenti (occorre

studiare il rango della matrice delle derivate delle funzioni F (h,k) rispetto alle variabili (Aij) e

Lezioni di Meccanica Razionale

Page 159: Lezioni Di Meccanica Razionale

10 Cap. 4 - Meccanica Lagrangiana § 4.2

mostrare che e massimo). Dunque O(n) e una superficie regolare di Rn2

di dimensione 12n(n−

1) (= n2 − 12n(n + 1)) quindi una varieta differenziabile. Si tratta di una varieta sconnessa.

La componente connessa che contiene la matrice unitaria, composta dalle matrici ortogonali adeterminante uguale a 1, e un sottogruppo denotato con SO(n). E interessante e complesso ilproblema della rappresentazione parametrica di tali matrici, cioe la costruzione di carte di questevarieta (per esempio gli angoli di Euler sono coordinate di una carta di SO(3); un altro sistemadi coordinate e dato dalle componenti delle matrici antisimmetriche 3×3 nella rappresentazioneesponenziale delle rotazioni). Questi esempi rientrano in una particolare ma importante classedi varieta: i gruppi di Lie. Un gruppo di Lie (Marius Sophus Lie, 1842-1899) e un gruppo Gdotato di una struttura di varieta differenziabile tale che le applicazioni G×G→ G: (g, h) 7→ gh(prodotto) e G→ G: g 7→ g−1 (inversione) sono di classe C∞. •

4.2 Fibrati tangenti

La nozione di spazio affine si basa essenzialmente su quella di spazio vettoriale, che invece none coinvolta nella definizione di varieta differenziabile. Per poter estendere alle varieta il calcolovettoriale occorre definire su queste la nozione di vettore.

Sia Q una varieta differenziabile di dimensione n. Come si e detto, una funzione reale (ocampo scalare) di classe Ck suQ e un’applicazione f :Q→ R tale che ogni sua rappresentazionelocale f(xi) e di classe Ck. Si denota con Ck(Q,R) l’insieme di tali funzioni. Su di essosono definite le operazioni di somma e di prodotto che gli conferiscono la struttura di anellocommutativo e di spazio vettoriale reale (di dimensione infinita). Denotiamo piu brevementecon F (Q) l’insieme C∞(Q,R) delle funzioni reali di classe C∞. In particolare, per ogni puntoq ∈ Q, denotiamo con Fq(Q) l’insieme delle funzioni C∞ definite in un aperto contenente q.

Un’applicazione γ: I → Q da un intervallo reale I ⊆ R ad una varieta Q prende il nome di curva

su Q. In un qualunque sistema di coordinate (qi) una curva γ e rappresentata da equazioni

parametriche del tipo

qi = γi(t) (i = 1, . . . , n),

con t variabile in un opportuno sottointervallo di I . Si conviene che gli intervalli di definizionedelle curve contengano lo zero. Una curva si dice basata in un punto q ∈ Q se γ(0) = q. Ilpunto q prende anche il nome di punto base o punto iniziale della curva. Una curva si dicedi classe Ck se tali sono le sue rappresentazioni parametriche.

Siamo ora in grado di dare tre definizioni equivalenti di vettore.

Definizione 1. Un vettore tangente in un punto q ad una varieta Q e una classe di

equivalenza di curve su Q basate in q. Due curve γ e γ ′ si dicono equivalenti o tangenti se

γ(0) = γ ′(0) (hanno lo stesso punto base),

D(f γ)(0) = D(f γ ′)(0), ∀ f ∈ F(Q).(1)

Si denota con [γ] la classe di equivalenza individuata dalla curva γ. •

In questa definizione D denota l’operazione di derivazione di funzione reale a variabile reale.

Definizione 2. Un vettore tangente in un punto q ad una varieta Q e una derivazione

Sergio Benenti

Page 160: Lezioni Di Meccanica Razionale

§ 4.2 Fibrati tangenti 11

sulle funzioni, cioe un’applicazione v:Fq(Q)→ R tale che

v(af + bg) = a v(f) + b v(g), ∀ a, b ∈ R, ∀ f, g ∈ Fq(Q),

v(fg) = v(f) g(q) + v(g) f(q). • (2)

La prima condizione mostra che v e R-lineare. La seconda e la regola di Leibniz. Il numerov(f) sara anche denotato con

〈v, df〉e chiamato derivata della funzione f rispetto al vettore v.

Definizione 3. Un vettore tangente in un punto q ad una varieta Q e una classe di

equivalenza di coordinate e componenti cioe di coppie

(qi, vi)

costituite da un sistema di coordinate (qi) in un intorno di q e da una n-pla di numeri reali (vi).Due coppie si dicono equivalenti se

vi = vi′

(∂qi

∂qi′

)

q

. (3)

I numeri (vi) si dicono componenti del vettore secondo le coordinate (qi). •

Se [γ] e una classe di curve equivalenti in un punto q ∈ Q, cioe un vettore tangente secondo laDef. 1, si definisce una derivazione v, cioe un vettore secondo la Def. 2, ponendo

v(f) = D(f γ)(0) (4)

In virtu della stessa definizione di equivalenza (1)2 questa definizione non dipende dalla curvarappresentatrice della classe. Che le proprieta (2) siano verificate segue dal fatto che, introdottecoordinate generiche nell’intorno del punto q, si ha

D(f γ) =∂f

∂qidqi

dt,

dove e sottintesa la sostituzione delle equazioni parametriche qi = γi(t) della curva γ. Per cui,posto

vi = Dγi(0) (5)

la (4) equivale a

v(f) = vi(∂f

∂qi

)

q

e le proprieta (2) discendono dalle analoghe proprieta delle derivate parziali. Se si usa un diversosistema di coordinate (qi

), avendosi

dqi

dt=

∂qi

∂qi′dqi

dt,

Lezioni di Meccanica Razionale

Page 161: Lezioni Di Meccanica Razionale

12 Cap. 4 - Meccanica Lagrangiana § 4.3

si riconosce che tra le componenti (vi) definite dalla (5) e le analoghe (vi′

) corrispondenti allecoordinate (qi

) sussiste il legame (3). La (4) stabilisce dunque il passaggio dalla Def. 1 alla Def.3. Se inoltre v e un vettore secondo la Def. 2 allora le sue componenti secondo la Def. 3 sonodefinite da

vi = v(qi) = 〈v, dqi〉 (6)

osservato che le coordinate sono particolari funzioni nell’intorno del punto q. Se v = [(qi, vi)]e un vettore secondo la Def. 3 allora una curva tale che v = [γ] secondo la Def. 1 ha equazioniparametriche

qi = vi t+ qi0, (7)

dove (qi0) sono le coordinate del punto base q.

Osservazione 1. L’attributo tangente dato ai vettori cosı definiti richiama la circostanza che,nel caso in cui Q sia una superficie regolare di un opportuno R

N , questi si identificano propriocoi vettori tangenti alla superficie. La nozione di vettore tangente ad una varieta si riduce, nelcaso in cui questa sia uno spazio affine, alla nozione di vettore applicato. Per questo motivo, alposto di vettore tangente si puo usare il termine vettore applicato in q. •Denotiamo con TqQ l’insieme dei vettori tangenti a Q nel punto q ∈ Q. Usando la Def. 3si riconosce che esso ha una naturale struttura di spazio vettoriale reale di dimensione n. Lochiamiamo pertanto spazio tangente a Q in q.

Denotiamo con TQ l’insieme di tutti i vettori tangenti alla varieta Q. Esso ha una naturalestruttura di varieta differenziabile di dimensione 2n che chiamiamo varieta tangente o fibrato

tangente di Q. Infatti ad ogni carta (U, qi) su Q corrisponde una carta (TU, qi, vi) su TQ, ilcui dominio TU e l’insieme di tutti i vettori tangenti nei punti di U : ad ogni v ∈ TU le (qi)associano le coordinate del suo punto di applicazione mentre le (vi) associano le sue componentisecondo queste coordinate. Due carte siffatte sono fra loro compatibili. Infatti se (U, qi) e(U ′, qi

) sono due carte di Q con U ∩ U ′ 6= ∅ allora valgono le (3), le quali rappresentano lefunzioni di transizione dalla seconda alla prima carta. Le funzioni a secondo membro sono diclasse C∞ sia nelle coordinate (qi

) (perche le due carte sono supposte compatibili) sia nellevelocita lagrangiane (vi

) (sono addirittura lineari in queste variabili). Lo stesso dicasi per ilegami inversi, del tutto analoghi. Dunque i cambiamenti di coordinate (qi, vi) ←→ (qi

, vi′

)sopra TU ∩TU ′ sono di classe C∞ e le due carte sono compatibili. Partendo da un atlante di Q,con carte di questo tipo si costruisce un atlante su TQ. Dunque TQ e una varieta differenziabiledi dimensione 2n.

Le coordinate (qi, vi) su TQ corrispondenti a coordinate (qi) su Q considerate nel ragionamentoprecedente si dicono coordinate naturali di TQ. Per queste coordinate nel seguito useremoanche la notazione (qi, qi) oppure (qi, δqi).

L’applicazione τQ: TQ→ Q che ad ogni vettore tangente associa il punto di Q a cui e applicatosi chiama fibrazione tangente di Q. Una fibra di TQ e dunque uno spazio tangente TqQ.

4.3 Campi vettoriali

Partendo dalla nozione di vettore tangente e possibile definire sulle varieta differenziabili, analo-gamente a quanto fatto per gli spazi affini (Cap. 1), le nozioni di campo vettoriale e di formadifferenziale.

Sergio Benenti

Page 162: Lezioni Di Meccanica Razionale

§ 4.3 Campi vettoriali 13

Un campo vettoriale (di classe Ck) su di una varieta differenziabile Q puo essere inteso: (i)Come applicazione (di classe Ck) X :Q → TQ che associa ad ogni punto q ∈ Q un vettoreX(q) ∈ TqQ (cioe un vettore applicato in q). Se (qi, qi) sono coordinate naturali su TQ,l’applicazione X:Q→ TQ e rappresentata da equazioni parametriche del tipo

qi = X i(qj) (1)

Le funzioni (X i) (di classe Ck) sono dette le componenti del campo vettoriale. (ii) Comeoperatore di derivazione sulle funzioni reali, cioe come applicazione

X :F (Q)→ F (Q): f 7→X(f)

R-lineare e soddisfacente alla regola di Leibniz:

X(a f + b g) = aX(f) + bX(g) (a, b ∈ R),

X(fg) = X(f) · g + f ·X(g).

In questo caso il campo vettoriale si rappresenta in un qualunque sistema di coordinate (qi) conl’operatore

X = X i ∂

∂qi(2)

Si usera di solito la notazione 〈X, df〉, al posto diX(f), per indicare la derivata della funzione

f secondo il campo vettoriale X . Pertanto

〈X, df〉 = X i ∂f

∂qi(3)

Osservazione 1. Le derivate parziali ∂i = ∂∂qi sono operatori lineari soddisfacenti alla regola

di Leibniz e pertanto possono intendersi come campi vettoriali sul dominio U delle coordinate(qi). Questi n campi vettoriali sono indipendenti e formano il cosiddetto riferimento naturale

associato alle coordinate (qi). La scrittura (2) esprime allora la rappresentazione di un campovettorialeX secondo il riferimento naturale associato a delle coordinate (qi). Le componenti diX coincidono con le derivate delle coordinate:

X i = 〈X, dqi〉 • (4)

Denotiamo con X k(Q) l’insieme dei campi vettoriali di classe Ck (con X (Q) se di classe C∞):e uno spazio vettoriale reale di dimensione infinita ovvero un modulo su Ck(Q,R). Nel seguitosottintenderemo di classe C∞ tutti i campi vettoriali considerati.

Come per gli spazi affini, un campo vettoriale puo essere inteso come sistema dinamico, cioecome generatore di curve integrali e flussi. Ad ogni curva γ: I → Q sopra Q si associa una curvaγ: I → TQ sopra il fibrato tangente TQ, detta curva derivata o curva tangente che ad ogni

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Page 163: Lezioni Di Meccanica Razionale

14 Cap. 4 - Meccanica Lagrangiana § 4.3

t ∈ I fa corrispondere il vettore tangente alla curva. Il vettore γ(t), come derivazione, e definitodall’uguaglianza

〈γ(t), df〉 = D(f γ)(t) (5)

Se in un sistema di coordinate (qi) su Q la curva γ ha equazioni parametriche qi = γi(t), allorala curva derivata γ ha equazioni parametriche

qi = γi(t),

qi = Dγi(t),(6)

dove Dγi(t) sono le derivate delle funzioni γi(t) e (qi, qi) le coordinate naturali su TQ cor-rispondenti alle coordinate (qi) su Q. Una curva γ: I → Q si dice curva integrale di un campovettorialeX se per ogni t ∈ I il valore del campo X nel punto γ(t) e uguale al vettore tangenteγ(t), cioe se

γ = X γ (7)

Le equazioni parametriche di una curva integrale soddisfano pertanto, in un qualunque sistemadi coordinate, al sistema di n equazioni differenziali del primo ordine in forma normale

dqi

dt= X i(qj) (8)

dove ai secondi membri compaiono le componenti del campo, funzioni delle coordinate (qj).La curva integrale si dice basata nel punto q0 ∈ Q se γ(0) = q0. Valgono allora tutte leconsiderazioni svolte al Cap. 1 (§ 1.2) sull’esistenza ed unicita delle curve integrali massimalie sui flussi. Se tutte le curve integrali massimali sono definite su tutto l’asse reale R allora ilcampo si dice completo. In questo caso e definito il flusso del campo X , cioe un’applicazionedifferenziabile

ϕ: R×Q→ Q: (t, q) 7→ ϕ(t, q) (9)

tale cheγq(t) = ϕ(t, q) (10)

e la curva integrale massimale basata in q e tale inoltre che le applicazioni

ϕt:Q→ Q: q 7→ ϕ(t, q) (11)

sono per ogni t ∈ R dei diffeomorfismi su Q (cioe delle trasformazioni su Q) soddisfacenti allaproprieta di gruppo

ϕt ϕs = ϕt+s (12)

e di conseguenza alle proprieta

ϕt ϕs = ϕs ϕt, ϕ0 = idQ, (ϕt)−1 = ϕ−t (13)

L’insieme delle trasformazioni ϕt; t ∈ R e allora un gruppo commutativo. Se il campo non ecompleto, esso genera solo dei flussi locali, come mostrato dal Teorema 2 del § 1.2.

Sergio Benenti

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§ 4.3 Campi vettoriali 15

Una funzione F :Q → R e detta integrale primo o funzione integrale di X se e costantelungo tutte le curve integrali di X . Gli integrali primi sono caratterizzati dall’equazione allederivate parziali (cfr. § 1.4)

〈X, df〉 = X i ∂f

∂qi= 0 (14)

Osservazione 2. La struttura topologica della varieta puo avere delle conseguenze notevolisul comportamento globale delle funzioni, dei campi vettoriali, delle loro curve integrali e degliintegrali primi. Vediamone alcuni esempi. (i) Si puo dimostrare che su di una varieta compatta(per esempio su di una sfera, su di un toro) ogni campo vettoriale e completo. (ii) Si puodimostrare che le sfere di dimensione dispari hanno almeno un campo vettoriale C∞ senzapunti singolari e che invece sulle sfere di dimensione pari un tale campo non esiste (ogni campoha almeno un punto singolare). (iii) Il fibrato tangente TQ non e in generale diffeomorfo alprodotto R

n × Q. Se lo e si dice che la varieta Q e parallelizzabile. La parallelizzabilitaequivale all’esistenza di n campi vettoriali indipendenti in ogni punto. Si puo dimostrare che lesfere S1, S3 e S7 sono le sole sfere parallelizzabili. Ogni toro Tn e parallelizzabile, perche potenzadi S1. Ogni gruppo di Lie e parallelizzabile. •

Osservazione 3. Parentesi di Lie. Dati due campi vettoriali X e Y su Q, si verifica chela doppia derivazione X

(Y (f)

), pur essendo lineare su f , non soddisfa alla regola di Leibniz e

quindi non e una derivazione. Lo e invece l’operazione

[X,Y ](f) = X(Y (f)

)− Y

(X(f)

), (15)

che pertanto definisce un campo vettoriale Z = [X ,Y ]. Le componenti di questo campo siottengono applicando la (4):

Zi = Xj ∂jYi − Y j ∂jX i. (16)

Sullo spazio X (Q) dei campi vettoriali e pertanto definita un’operazione binaria interna [·, ·],detta parentesi di Lie o commutatore, antisimmetrica, bilineare e soddisfacente all’identita

di Jacobi:[X ,Y ] = − [Y ,X],

[aX + bY ,Z] = a [X,Z] + b [Y ,Z] (a, b ∈ R),[X , [Y ,Z]

]+[Y , [Z,X]

]+[Z, [X,Y ]

]= 0.

(17)

Se [X ,Y ] = 0 si dice che i due campi commutano. Si puo infatti dimostrare (fatto notevole)che: i flussi ϕ e ψ di due campi vettorialiX e Y commutano, cioe ϕt ψs = ψs ϕt, se e solo se[X,Y ] = 0. Il significato di questa proprieta e il seguente. A partire da un punto q0, seguendoper un ”tempo” t la curva integrale di X e poi, dal punto cosı raggiunto, per un tempo s lacurva integrale di Y , si giunge ad un punto qts. Seguendo invece prima per un tempo s la curvaintegrale di Y e poi per un tempo t la curva integrale di X si giunge ad un punto qst in generalediverso dal precedente. Nel caso considerato invece i due punti coincidono sempre, qualunquesia il punto iniziale q0 e qualunque siano i tempi t e s, purche ammissibili. •

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Page 165: Lezioni Di Meccanica Razionale

16 Cap. 4 - Meccanica Lagrangiana § 4.4

4.4 Forme differenziali

Una forma differenziale lineare o 1-forma su di una varieta Q e un’applicazione lineare dacampi vettoriali a campi scalari, ϕ:X (Q)→ F (Q). Una 1-forma ϕ associa quindi ad ogni campovettoriale X su Q una funzione reale ϕ(X) su Q (1), in maniera tale che

ϕ(fX + g Y ) = f ϕ(X) + gϕ(Y ),

per ogni coppia di campi vettoriali (X,Y ) e di funzioni (f, g). Denoteremo di solito la funzioneϕ(X) con 〈X,ϕ〉, utilizzando il simbolo di valutazione 〈·, ·〉 tra campi vettoriali e 1-forme.Una 1-forma opera anche su vettori tangenti, associando ad ognuno di questi un numero reale,denotato con 〈v,ϕ〉.Un esempio fondamentale di 1-forma e il differenziale di una funzione. Richiamata infattila definizione di derivata 〈X, df〉 di una funzione f rispetto ad un campo vettoriale X (formula(3), § 4.3), si osserva che mantenendo fissa la funzione e facendo variare il campo si ottieneun’applicazione lineare da campi a funzioni:

df :X (Q)→ F (Q):X 7→X(f) = 〈X, df〉. (1)

La (4) § 4.3 mostra in particolare che i differenziali delle coordinate dqi sono delle 1-forme cheassociano ad ogni campo vettoriale X le rispettive componenti X i:

〈X, dqi〉 = X i (2)

Questa proprieta consente di rappresentare ogni 1-forma ϕ, nel dominio delle coordinate, comecombinazione lineare dei differenziali delle coordinate:

ϕ = ϕi dqi (3)

dove i coefficienti ϕi (funzioni delle coordinate), dette componenti della 1-forma, sono a lorovolta definite dalle uguaglianze

ϕi = 〈∂i,ϕ〉 (4)

sono cioe il risultato della valutazione di ϕ sui campi vettoriali ∂i del riferimento associato allecoordinate stesse. Infatti, posto che X = X i ∂i, assunta la (4) come definizione e tenuto contodella (2) si ha successivamente:

〈X,ϕ〉 = X i 〈∂i,ϕ〉 = X i ϕi = 〈X, dqi〉 ϕi = 〈X, ϕi dqi〉,

per cui vale la (3). Di qui si osserva inoltre che per la valutazione tra campi vettoriali e 1-formesussiste la rappresentazione

〈X,ϕ〉 = X i ϕi (5)

Le formule (3) e (4) forniscono la rappresentazione locale (in un qualunque sistema di coor-dinate) di una generica 1-forma.

(1) Per semplicita supporremo campi vettoriali e forme differenziali di classe C∞.

Sergio Benenti

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§ 4.4 Forme differenziali 17

Confrontando la (3) qui sopra con la (3) di § 4.3 si deduce in particolare che le componenti della1-forma df sono le derivate parziali di f :

df = ∂if dqi (6)

E di una certa importanza, in varie situazioni, poter stabilire se una data 1-forma ϕ e il dif-ferenziale di una funzione f , ϕ = df , cioe se e una forma esatta. Per poter stabilire un tale”criterio di esattezza” occorre procedere all’estensione del concetto di forma differenziale.

Definizione 1. Una forma differenziale di grado p o p-forma sopra una varieta differen-ziabile Q e un’applicazione multilineare antisimmetrica

ϕ:X (Q)×X (Q)× . . .× X (Q)︸ ︷︷ ︸

p volte

→ F (Q). • (7)

Una p-forma ϕ opera pertanto su p campi vettoriali (X1,X2, . . . ,Xp) producendo una funzioneϕ(X1,X2, . . . ,Xp) : Q → R. Quest’operazione e multilineare, cioe lineare rispetto ad ognunodei p ”argomenti” di ϕ. Cio significa che se si ”tengono fissi” p − 1 campi vettoriali e si la-scia variare il rimanente si ottiene una forma lineare. Inoltre la funzione ϕ(X1,X2, . . . ,Xp)e antisimmetrica negli argomenti. La definizione di antisimmetria puo essere data in tre modiequivalenti:

(i) Un’applicazione ϕ del tipo (7) e antisimmetrica se cambia di segno scambiando fra loro dueargomenti. Nel caso p = 2 cio equivale a

ϕ(X,Y ) = − ϕ(Y ,X). (8)

(ii) Un’applicazione ϕ del tipo (7) e antisimmetrica se applicando una permutazione ai suoiargomenti, il risultato resta invariato o cambia di segno a seconda che la permutazione sia pario dispari (sia cioe la composizione di un numero pari o dispari di scambi).

(iii) Se ϕ e multilineare (come nel nostro caso) allora e antisimmetrica se si annulla quando dueargomenti coincidono (o, piu in generale, quando gli argomenti sono linearmente dipendenti).Nel caso p = 2 cio equivale a (2)

ϕ(X,X) = 0. (9)

Una p-forma puo moltiplicarsi per un numero reale o una funzione. Due p-forme (dello stessogrado p) possono sommarsi. Denotiamo con Φp(Q) lo spazio delle p-forme sopra Q. Si tratta diuno spazio vettoriale reale a dimensione infinita. Per p = 0 si pone per definizione Φ0(Q) = F (Q)(una zero-forma e una funzione). Per p = 1 ci si riduce alle forme differenziali lineari consideratesopra. Si ha Φp(Q) = 0 quando p > n: ogni p-forma e la forma nulla se p > n = dim(Q) (perchein ogni punto di Q i suoi argomenti sono necessariamente vettori linearmente dipendenti). La

(2) Per esempio, e ovvio che la (8) implica la (9). Viceversa, se vale la (9) allora per la bilinearitasi ha succesivamente: 0 = ϕ(X + Y ,X + Y ) = ϕ(X ,X) +ϕ(X,Y ) +ϕ(Y ,X) +ϕ(Y ,Y ) =ϕ(X,Y ) + ϕ(Y ,X) e quindi la (8).

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18 Cap. 4 - Meccanica Lagrangiana § 4.4

teoria delle forme differenziali si basa sulle operazioni di prodotto esterno ∧ e di differenziale

d. Ne esaminiamo gli elementi che saranno utilizzati nel seguito.

1 2-forme. Come dalla Def. 1, una 2-forma su Q e un’applicazione bilineare antisimmetrica

ϕ:X (Q)×X (Q)→ F (Q): (X,Y ) 7→ ϕ(X,Y ).

Ogni 2-forma ammette una rappresentazione locale del tipo

ϕ = 12ϕij dq

i ∧ dqj

ϕij = ϕ(∂i, ∂j)(10)

dove le 2-forme dqi ∧ dqj operano sui campi vettoriali alla maniera seguente:

dqi ∧ dqj(X,Y ) = X i Y j −Xj Y i. (11)

Le componenti ϕij sono antisimmetriche negli indici,

ϕij = − ϕji (12)

e di conseguenzaϕ(X,Y ) = ϕijX

i Y j . (13)

Infatti, accettate le definizioni (10)2 e (11) e osservato che l’antisimmetria (12) segue diretta-mente dalla (10)2, si ha successivamente

ϕ(X,Y ) = X i Y j ϕ(∂i, ∂j) = X i Y j ϕij

= 12

(X i Y j ϕij +Xj Y i ϕji

)= 1

2

(X i Y j −Xj Y i

)ϕij

= 12ϕij dq

i ∧ dqj(X,Y ),

da cui segue la (10)1.

2 Prodotto esterno di due 1-forme. Date due 1-forme ξ e η il loro prodotto tensoriale

ξ⊗ η e la forma bilineare su X (Q) definita da

ξ⊗ η(X ,Y ) = 〈X, ξ〉 〈Y , η〉. (14)

(la prima forma valuta il primo vettore, la seconda forma valuta il secondo vettore e le funzionirisultanti si moltiplicano). Il loro prodotto esterno e la 2-forma definita da

ξ ∧ η = ξ⊗ η− η ⊗ ξ (15)

che opera quindi sui campi vettoriali alla maniera seguente:

(ξ ∧ η)(X,Y ) = 〈X , ξ〉〈Y , η〉 − 〈X , η〉〈Y , ξ〉 (16)

Sergio Benenti

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§ 4.4 Forme differenziali 19

Il prodotto esterno fra due 1-forme e quindi bilineare e anticommutativo,

ξ ∧ η = −η ∧ ξ, (17)

ed in particolare tale cheξ ∧ ξ = 0. (18)

Dalla (16) applicata al caso particolare dqi ∧ dqj si ricava la (11).

3 Differenziale di 1-forme. Data una 1-forma ξ se ne consideri una sua rappresentazionelocale ξ = ξidq

i in un generico sistema di coordinate (qi). Il differenziale dξ e la 2-forma definitada

dξ = dξi ∧ dqi (19)

Dimostriamo che questa definizione non dipende dalla scelta delle coordinate. Per far questosi consideri un secondo sistema di coordinate (qi

). Considerata la matrice jacobiana dellatrasformazione di coordinate

Ji′

i =∂qi

∂qi,

dall’uguaglianza

dqi′

=∂qi

∂qidqi

segue il legame tra le componenti della 1-forma:

ξi = Ji′

i ξi′ .

Si ha allora:dξi ∧ dqi = d(Ji

i ξi′) ∧ dqi = dξi′ ∧ Ji′

i dqi + ξi′∂jJ

i′

i dqj ∧ dqi.

Tuttavia, osservato che Ji′

i dqi = dqi

e che ∂jJi′

i e simmetrico rispetto agli indici (i, j) (perche

e la derivata seconda rispetto a qi e qj di qi′

) mentre il termine dqi ∧ dqj e antisimmetrico, ilsecondo termine si annulla e si ha semplicemente

dξi ∧ dqi = dξi′ ∧ dqi′

.

Pertanto la definizione di dξ e formalmente la stessa qualunque sia il sistema di coordinatescelto. Cio stabilito, va osservato che il termine dξi e il differenziale di una funzione ed e quindiesprimibile attraverso le sue derivate parziali:

dξi = ∂jξi dqj .

Pertanto la (19) si traduce nella formula

dξ = ∂jξi dqj ∧ dqi (20)

Siccome la (20) puo anche scriversi, per l’antisimmetria di dqi ∧ dqj ,

dξ = 12

(∂jξi − ∂iξj) dqj ∧ dqi

Lezioni di Meccanica Razionale

Page 169: Lezioni Di Meccanica Razionale

20 Cap. 4 - Meccanica Lagrangiana § 4.4

segue che le componenti di dξ sono

(dξ)ij = ∂iξj − ∂jξi (21)

E importante osservare che se in particolare ξ e a sua volta il differenziale di una funzione,cioe se ξ = df , allora dξ = 0 perche ξi = ∂if e quindi le componenti (21) si annullano per lacommutabilita delle derivate parziali. Da questa considerazione si deducono due fatti importanti:(i) per ogni funzione si ha ddf = 0, (ii) condizione necessaria affinche una 1-forma ξ sia undifferenziale esatto e che sia dξ = 0. Come si osservera piu avanti, questa condizione e anchesufficiente, in senso locale. Ci si pone inoltre un problema analogo a quello posto per le 1-forme:stabilire se una data 2-forma ϕ e ”esatta”, cioe il differenziale di una 1-forma ξ: ϕ = dξ. Perquesto occorre considerare le 3-forme ed i differenziali di 2-forme. Lo stesso problema si presentaquindi successivamente per forme di grado superiore.

4 Prodotto esterno di 1-forme. Il prodotto tensoriale ξ1 ⊗ ξ2 ⊗ . . .⊗ ξp di p 1-forme ha

una definizione analoga a quella data in 2 : applicato ad una successione (X1,X2, . . . ,Xp) dip campi vettoriali da come risultato il prodotto numerico delle valutazioni tra ogni 1-forma ed ilvettore dello stesso posto. Il prodotto esterno di p 1-forme (ξ1, ξ2, . . . , ξp) e la p-forma definitada

ξ1 ∧ ξ2 ∧ . . .∧ ξp =∑

σ∈Gp

ε(σ) ξσ(1) ⊗ ξσ(2) ⊗ . . .⊗ ξσ(p) (22)

dove Gp e il gruppo simmetrico d’ordine p (cioe il gruppo delle permutazioni di p oggetti),(σ(1), σ(2), . . . , σ(p)) e la permutazione σ degli indici (1, 2, . . . , p) e ε(σ) = ±1 a seconda che σsia pari o dispari. Nella (22) il prodotto esterno ∧ e anticommutativo, nel senso che scambiandofra loro due delle 1-forme, tutto cambia di segno. Inoltre esso e lineare su ogni fattore.

Osservazione 1. Indipendenza di funzioni. Date k funzioni reali differenziabili (f1, . . . , fk)su una varieta Q queste si dicono indipendenti se in ogni punto di Q i loro differenziali sono lin-earmente indipendenti. Dalle proprieta del prodotto esterno di 1-forme segue che l’indipendenzae caratterizzata dalla condizione

df1 ∧ . . . ∧ dfk 6= 0.

Si noti che n funzioni indipendenti (n = dim(Q)) determinano un sistema di coordinate. •

5 Rappresentazione locale delle p-forme. Estendendo quanto visto per le 2-forme, si puodimostrare che su di una carta di coordinate (qi) una p-forma ϕ e combinazione lineare diprodotti esterni dei differenziali delle coordinate dqi, ammette cioe una rappresentazione deltipo

ϕ =1

p!ϕi1i2...ip dq

i1 ∧ dqi2 ∧ . . .∧ dqip

ϕi1i2...ip = ϕ(∂i1 , ∂i2, . . . , ∂ip)

(23)

dove le componenti ϕi1i2...ip sono antisimmetriche, cambiano cioe di segno scambiando fra lorodue indici qualsiasi (e sono quindi nulle se due indici coincidono). Inoltre, comunque si assegninop campi vettoriali, si ha

ϕ(X1,X2, . . . ,Xp) = ϕi1i2...ip Xi11 X i2

2 . . .X ipp (24)

Sergio Benenti

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§ 4.4 Forme differenziali 21

con (come al solito) somma sottintesa su tutti gli indici ripetuti in alto e in basso. Per esempionel caso di una 3-forma (p = 3) si ha

ϕ =1

6ϕijk dq

i ∧ dqj ∧ dqk,ϕijk = ϕ(∂i, ∂j , ∂k)

(25)

eϕ(X,Y ,Z) = ϕijkX

i Y j Zk. (26)

6 Differenziale di una p-forma. Rappresentata una p-forma come nella (23) il suo differen-ziale e la p+ 1-forma definita da

dϕ =1

p!dϕi1i2...ip ∧ dqi1 ∧ dqi2 ∧ . . .∧ dqip

=1

p!∂i0ϕi1i2...ip dq

i0 ∧ dqi1 ∧ dqi2 ∧ . . .∧ dqip(27)

Per esempio, se ϕ e una 2-forma, si ha

dϕ = 12∂hϕij dq

h ∧ dqi ∧ dqj. (28)

Con un procedimento analogo a quello visto per il differenziale di una 1-forma si vede che lecomponenti di dϕ sono

(dϕ)hij = 12

(∂hϕij + ∂iϕjh + ∂jϕhi − ∂hϕji − ∂jϕih − ∂iϕhj

).

Ma le ϕij sono antisimmetriche, quindi

(dϕ)hij = ∂hϕij + ∂iϕjh + ∂jϕhi (29)

Si noti che a secondo membro gli indici sono permutati ciclicamente. Se applichiamo la definizio-ne di differenziale alla (28) troviamo che

ddϕ = 12 d(∂hϕij) ∧ dqh ∧ dqi ∧ dqj = 1

2 ∂k∂hϕij dqk ∧ dqh ∧ dqi ∧ dqj .

Siccome la somma ∂k∂hϕij dqk∧dqh tra indici (k, h) simmetrici (quelli delle due derivate parziali,

che commutano) e antisimmetrici (quelli dei prodotti esterni) e nulla, si ha (anche per p > 2)ddϕ = 0. Le considerazioni precedenti conducono alle seguenti definizioni e proprieta fonda-mentali per il calcolo differenziale.

Definizione 2. Una p-forma ϕ si dice chiusa se dϕ = 0. Una p-forma ϕ si dice esatta se e ildifferenziale di una (p− 1)-forma ψ, chiamata potenziale di ϕ: ϕ = dψ. •

Dalla proprieta d2ϕ = 0 osservata in precedenza segue che ogni forma esatta e chiusa. L’implica-zione inversa e valida sotto opportune condizioni coinvolgenti il grado della forma e la topologiadel dominio di definizione. Si puo dimostrare che:

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Page 171: Lezioni Di Meccanica Razionale

22 Cap. 4 - Meccanica Lagrangiana § 4.4

Teorema 1. Lemma di Poincare (Jules Henri Poincare, 1854-1912): Su di una varieta Qomeomeorfa a R

n ogni p-forma chiusa e esatta.

Per le 1-forme e per n = 2 o n = 3 si dimostra piu in particolare che se il dominio D e sem-plicemente connesso, cioe tale che al suo interno ogni curva chiusa e deformabile con continuitain un punto, allora la chiusura implica l’esattezza. Stante il fatto che ogni punto di una varietaammette un intorno omeomorfo a R

n, dal lemma di Poincare segue che

Teorema 2. Ogni forma chiusa e localmente esatta: per ogni punto della varieta esiste unintorno aperto in cui e esatta.

Cio vuol dire che una forma chiusa ammette nell’intorno di ogni punto dei potenziali, dettipotenziali locali. Possiamo schematizzare la precedente discussione nel quadro seguente:

forma esatta =⇒ forma chiusaforma chiusa =⇒ forma localmente esatta

forma chiusa su dominio ' Rn =⇒ forma esatta

Osservazione 2. Se una forma e esatta allora il suo potenziale e definito a meno di una formachiusa. Vale a dire: se ϕ = dψ, allora ogni forma del tipo ψ′ = ψ + η con dη = 0 e ancoraun potenziale di ϕ, perche dψ = dψ′. In particolare se ϕ e una 1-forma i suoi potenziali sonofunzioni che differiscono per delle costanti sulle componenti connesse del dominio di definizione.•

Osservazione 3. La (21) e la (29) mostrano che le condizioni di chiusura dϕ = 0 di una 1-formao di una 2-forma ϕ si traducono rispettivamente in componenti, qualunque siano le coordinatescelte, nelle equazioni

∂iϕj = ∂jϕi (30)

∂hϕij + ∂iϕjh + ∂jϕhi = 0 • (31)

Osservazione 4. Diamo in ultimo le definizioni generali del prodotto esterno e del differenziale.(i) Il prodotto tensoriale ϕ⊗ ψ di una forma p-lineare ϕ (qualunque, anche non antisimme-trica) per una forma q-lineare ψ e la forma p+ q-lineare definita da

ϕ⊗ ψ(X1, . . . ,Xp,Xp+1, . . . ,Xp+q) =

ϕ(X1, . . . ,Xp) · ψ(Xp+1, . . . ,Xp+q).

(ii) Il prodotto esterno ϕ ∧ ψ di una p-forma ϕ per una q-forma ψ e la p + q-forma definitada

ϕ ∧ ψ =(p+ q)!

p! q!A(ϕ⊗ψ)

dove A e l’operatore di antisimmetrizzazione definito su di una forma p-lineare qualsiasi ηda

Aη =1

p!

σ∈Gpε(σ) η σ,

Sergio Benenti

Page 172: Lezioni Di Meccanica Razionale

§ 4.5 Sistemi olonomi 23

dove Gp e il gruppo delle permutazioni di ordine p e ε(σ) = ±1 e il segno (o parita) di σ. Questedefinizioni si estendono al caso in cui p = 0 ponendo semplicemente

f ⊗ψ = f ∧ψ = f ψ.

(iii) Il prodotto esterno gode delle seguenti proprieta:

ϕ ∧ψ = (−1)pqψ ∧ϕ(aϕ + bπ

)∧ ψ = aϕ ∧ψ+ bπ∧ ψ

(ϕ∧ ψ) ∧ π = ϕ ∧ (ψ ∧ π)

La prima e una proprieta commutativa graduata. La seconda mostra che il prodotto esternoe bi-lineare (e lineare sul primo fattore, e quindi anche sul secondo, tenuto conto che vale laproprieta commutativa graduata). La terza mostra che il prodotto esterno e associativo. Ilprodotto esterno si estende per linearita alla somma diretta

Φ(Q) = ⊕+∞

p=0Φp(Q)

degli spazi delle p-forme su di una varieta Q, la quale assume la struttura di algebra associativa,detta algebra esterna su Q.

(iv) Nell’ambito della teoria delle derivazioni delle forme si dimostra che il differenziale el’applicazione d: Φ(Q)→ Φ(Q) univocamente definita dalle seguenti ”proprieta caratteristiche”:

dΦp(Q) ⊂ Φp+1(Q)

d(aϕ+ bψ) = a dϕ+ b dψ (a, b ∈ R)

d(ϕ∧ψ) = dϕ ∧ψ+ (−1)pϕ ∧ dψd2 = 0

〈X, df〉 = X(f)

Dunque d aumenta di 1 il grado delle forme, e R-lineare, soddisfa ad una regola di Leibniz

graduata, e nilpotente e si riduce per le funzioni al differenziale gia definito. •

4.5 Sistemi olonomi

Un sistema meccanico puo essere schematizzato in un insieme di punti mobili, con o senzavincoli, nello spazio affine tridimensionale euclideo, modello dello spazio fisico osservato da unriferimento. Sia Pν il generico punto del sistema; l’indice ν e da intendersi variabile in unopportuno insieme B, finito o infinito. Scelta un’origine O dello spazio affine, la posizione delpunto Pν e caratterizzata dal vettore OPν = rν . L’insieme dei vettori posizione rν ; ν ∈ Bdefinisce una configurazione del sistema. Denotiamo con Q l’insieme di tutte le possibiliconfigurazioni che il sistema puo assumere, compatibilmente coi vincoli imposti, rispetto ad unassegnato riferimento. Lo chiamiamo spazio delle configurazioni.

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24 Cap. 4 - Meccanica Lagrangiana § 4.5

Definizione 1. Un sistema di punti Pν; ν ∈ B si dice olonomo se il corrispondente spaziodelle configurazioni Q ha una struttura di varieta differenziabile. Si dice allora che Q e la varieta

delle configurazioni. La dimensione n di Q prende il nome di numero dei gradi di liberta

del sistema. Le coordinate (qi) associate ad una qualunque carta di Q prendono il nome dicoordinate lagrangiane (1). •

Per ogni indice ν ∈ B risulta definibile un’applicazione

rν:Q→ E3, (1)

da Q allo spazio vettoriale euclideo tridimensionale E3, che assegna il vettore posizione rν delpunto Pν in corrispondenza ad ogni configurazione del sistema. Scelte delle coordinate (qi) suQ le applicazioni (1) si traducono in funzioni vettoriali rν(q

i) nelle n variabili (qi),

OPν = rν(qi). (2)

Queste funzioni svolgono un ruolo di ponte tra la descrizione tridimensionale del sistema mec-canico e quella, piu astratta, ambientata nella varieta delle configurazioni Q; servono cioe atradurre entita meccaniche rappresentate nello spazio affine tridimensionale euclideo in entitasopra la varieta delle configurazioni. Una volta costruita la struttura della meccanica lagrangianascompariranno completamente dalla discussione.

Posto che una configurazione di un sistema olonomo e rappresentata da un punto sulla varietadelle configurazioni Q, un moto del sistema sara rappresentato dal moto di un punto su Q valea dire da una curva su Q,

γ: I → Q: t 7→ γ(t).

Assegnate delle coordinate lagrangiane (qi), un moto e allora descritto da equazioni parametriche

qi = γi(t). (3)

Se queste si sostituiscono nelle funzioni rν(qi) che danno le posizioni dei singoli punti del sistema,

cioe nelle (2), si trova il moto di ciascuno di questi:

OPν(t) = rν(qi(t)

).

Derivando rispetto al tempo si trova anche la loro velocita:

vν =∂rν∂qi

dqi

dt. (4)

(1) Si possono considerare definizioni piu generali di questa. Per esempio, assumere che la varietaQ possa essere una varieta con bordo, cioe ammettere delle carte sopra semispazi di R

n. Lanozione qui data di sistema olonomo sara comunque estesa, nel prossimo paragrafo, ai sistemicon vincoli dipendenti dal tempo. Le varieta delle configurazioni che consideriamo sono suppostetutte di classe C∞. Il termine olonomo, derivato da oλoς (intero) e νoµoς (legge), fu introdottoda H. Hertz (1857-1894) in un’analisi dei vincoli che possono essere imposti ad un sistemameccanico. Esso sta a significare che, pur essendo il sistema costituito da un numero finito oinfinito di punti, in virtu dei vincoli imposti la posizione di ciascuno di questi e determinatadai valori di un numero ridotto finito n di parametri reali (qi) = (q1, . . . , qn), come mostra ilragionamento che segue.

Sergio Benenti

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§ 4.5 Sistemi olonomi 25

Chiamiamo atto di moto di un sistema olonomo un sistema di vettori (rν, vν), ν ∈ Brappresentanti la posizione e la velocita dei suoi punti, compatibili con i vincoli imposti. Ilsistema di vettori rν , ν ∈ B rappresenta la configurazione corrispondente all’atto di moto.L’atto di moto e quindi un concetto istantaneo. Affinche i vettori velocita siano compatibili coni vincoli occorre e basta che in un qualsiasi sistema di coordinate lagrangiane si abbia

rν = rν(qi),

vν =∂rν∂qi

qi, (qi) ∈ Rn.

(5)

Cio segue dall’analogia formale tra la (4) e la seconda delle (5), posto

qi =dqi

dt. (6)

Si osservi infatti che un moto, inteso come successione temporale di configurazioni, stabilisce unasuccessione temporale di atti di moto e che, viceversa, un atto di moto compatibile coi vincolipuo sempre essere inteso come immagine istantanea della distribuzione dei vettori posizione evelocita dei punti del sistema olonomo durante un qualche moto. Pertanto: al variare dellecoordinate (qi) nel loro dominio U di definizione e delle (qi) in tutto R

n, le equazioni (5)forniscono tutti i possibili atti di moto corrispondenti alle configurazioni dell’insieme U . Iparametri (qi), chiamati velocita lagrangiane, possono interpretarsi come componenti di unvettore tangente alla varieta Q. Di conseguenza un atto di moto in una configurazione q ∈ Qsi identifica con un vettore tangente v ∈ TqQ e quindi il fibrato tangente rappresenta l’insiemedi tutti i possibili atti di moto del sistema olonomo. Per questo la varieta tangente TQ e anchechiamata varieta delle velocita. Riassumiamo la discussione precedente nel quadro seguente:

Configurazione:

Moto:

Atto di moto:

punto q della varieta Q

curva γ: I → Q sulla varieta Q

vettore v tangente a Q

Esempio 1. Punto libero. L’esempio piu semplice di sistema olonomo e il punto libero. Lavarieta delle configurazioni Q coincide con lo spazio affine euclideo tridimensionale E3 (dunqueil numero dei gradi di liberta e 3). Come coordinate lagrangiane si possono scegliere dellecoordinate cartesiane ortonormali (x, y, z). Il vettore posizione e allora ovviamente dato da

r(x, y, z) = x i+ y j + z k.

Si possono anche scegliere coordinate non cartesiane (qi) = (q1, q2, q3). La configurazione delpunto e descritta da una sola funzione vettoriale

OP = r(q1, q2, q3).

Questa funzione vettoriale e tale che i vettori ei = ∂r/∂qi sono in ogni punto indipendenti. •

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Page 175: Lezioni Di Meccanica Razionale

26 Cap. 4 - Meccanica Lagrangiana § 4.5

Esempio 2. Sistema finito di punti liberi. Si consideri un sistema costituito da N puntiliberi. La varieta delle configurazioni Q e lo spazio affine EN3 ' R

3N , potenza N -sima di E3 ' R3.

Si possono prendere come coordinate lagrangiane le coordinate cartesiane (xν, yν, zν) di tutti ipunti. Allora le funzioni vettoriali (1) sono semplicemente date da

rν = xν i+ yν j + zν k.

Da Q si possono eventualmente togliere quelle configurazioni in cui due o piu punti vengono acoincidere (si escludono cosı le collisioni). Queste configurazioni formano nel loro complesso unsottoinsieme chiuso C ⊂ Q = EN3 , quindi la varieta delle configurazioni senza collisioni e unasottovarieta aperta di Q. •

Esempio 3. Punto vincolato ad una superficie regolare. La varieta delle configurazioniQ e la stessa superficie (i gradi di liberta sono 2). La posizione del punto e descritta da unafunzione vettoriale

OP = r(q1, q2)

di due parametri (qi) (i = 1, 2), che e la rappresentazione parametrica (locale) della superficie.Considerazioni analoghe valgono per un punto vincolato ad una curva regolare, per cui si ha unsolo grado di liberta. Entrambi questi esempi sono casi particolari dell’esempio seguente. •

Esempio 4. Sistemi di punti vincolati. Si consideri un sistema costituito da un numero finitoN di punti: Pν (ν = 1, . . . , N ). Si supponga che questi punti non siano liberi ma sottoposti avincoli di posizione rappresentati da r equazioni scalari indipendenti

Fa(rν) = 0 (a = 1, . . . , r)

coinvolgenti i singoli vettori posizione rν . Queste si traducono in equazioni indipendenti coin-volgenti le 3N coordinate cartesiane dei punti e definiscono pertanto una superficie regolareQ, di dimensione 3N − r, dello spazio affine EN3 ' R

3N . Questa superficie e la varieta delleconfigurazioni del sistema (2).

Esempio 5. Il pendolo semplice. Dal punto di vista puramente cinematico e un puntovincolato ad una circonferenza. Dunque la sua varieta delle configurazioni e Q = S1. •

Esempio 6. Si consideri un’asta rigida con gli estremi vincolati a scorrere su due guide rettilineecomplanari e perpendicolari fra loro. Si tratta di un sistema olonomo ad un grado di liberta la cuivarieta delle configurazioni e ancora Q = S1. Infatti ogni configurazione dell’asta e univocamenteindividuata dalla posizione del suo punto medio che si muove su di una circonferenza di centrol’intersezione delle guide e raggio uguale alla meta della lunghezza (si veda l’Esempio 1, §2.10,Fig. 2.10.2). Abbiamo cosı un esempio di due sistemi olonomi, questo ed il pendolo semplice,dal punto di vista meccanico ovviamente diversi ma con la stessa varieta delle configurazioni. •

Esempio 7. Il pendolo sferico. Dal punto di vista puramente cinematico e un punto vincolatoad una sfera. Dunque la sua varieta delle configurazioni e Q = S2. •

(2) La definizione originaria di sistema olonomo deriva proprio da questo esempio, incluso il casodi un numero infinito di punti e di equazioni di vincolo (come per un corpo rigido continuo).Per questo motivo, prima che il concetto di varieta differenziabile venisse utilizzato, le varietadelle configurazioni venivano dette varieta vincolari.

Sergio Benenti

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§ 4.5 Sistemi olonomi 27

Esempio 8. Si consideri un’asta rigida con gli estremi vincolati a scorrere uno su di una guidarettilinea e l’altro su di un piano perpendicolare a questa. Si tratta di un sistema olonomo a 2gradi di liberta la cui varieta delle configurazioni e ancora Q = S2. Infatti, ogni configurazionee univocamente individuata dalla posizione del punto medio dell’asta, e questo punto si muovesulla sfera di centro l’intersezione della guida rettilinea col piano e raggio uguale alla meta dellalunghezza dell’asta. Ecco un altro esempio di due sistemi olonomi diversi ma con la stessa varietadelle configurazioni. •

Esempio 9. Il bipendolo piano. E costituito da due punti A e B mobili su di un piano evincolati rigidamente fra loro, con uno dei due (per esempio il punto A) collegato rigidamentead un punto fisso O. Si tratta di un sistema olonomo la cui varieta delle configurazioni e ilprodotto cartesiano di due circonferenze, cioe il toro bidimensionale: Q = T2. Se i due punti,restando fisso il punto O, non sono vincolati a muoversi su di un piano allora la varieta delleconfigurazioni e Q = S2×S2. Si tratta di un sistema a 4 gradi di liberta: il bipendolo sferico.•

Fig. 4.5.1 - Il Bipendolo piano.

Esempio 10. I corpi rigidi. Ritorniamo all’Esempio 4: sistemi di punti vincolati. Un esempiofondamentale di vincolo di posizione e il vincolo di rigidita: le mutue distanze dei punti delsistema restano costanti. Se i punti sono due questo vincolo si traduce in una sola equazionescalare ed il sistema ha quindi 5 gradi di liberta. Se i punti sono 3 le equazioni vincolari sono3 e quindi il sistema ha 6 gradi di liberta. Se i punti sono piu di 3 i gradi di liberta restano 6,perche ad ogni punto aggiunto si aggiungono 3 nuove coordinate ma anche 3 equazioni di vincolo,rappresentanti la costanza della distanza dai primi tre punti. D’altra parte va anche osservatoche le configurazioni di un corpo rigido con un punto fisso (che sia composto da un numerofinito o infinito di punti, ma non allineati) sono in corrispondenza biunivoca col gruppo dellerotazioni SO(3) dello spazio vettoriale euclideo tridimensionale (che e una varieta differenziabiledi dimensione 3). Dunque in questo caso la varieta delle configurazioni e Q = SO(3). Se il corporigido e libero, ogni sua configurazione e invece determinata dalla posizione nello spazio di unsuo qualunque punto prefissato e da una rotazione intorno a questo punto. Quindi la varietadelle configurazioni e in questo caso il prodotto cartesiano Q = R

3 × SO(3). Proseguendo inquest’analisi si conclude che un corpo rigido puo avere diverse varieta delle configurazioni. Neelenchiamo alcune:

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28 Cap. 4 - Meccanica Lagrangiana § 4.6

Q = R3 × SO(3),

Q = R3 × S2,

Q = SO(3),

Q = S2,

Q = R× S1,

Q = S1,

corpo rigido libero,

segmento rigido libero,

corpo rigido con un punto fisso,

segmento rigido con un punto fisso,

corpo rigido scorrevole su di un asse fisso,

corpo rigido con un asse fisso,

A quest’elenco vanno aggiunti quei casi in cui uno o piu punti del corpo rigido sono vincolati aspeciali curve o superfici (come negli Esempi 6 e 8). •

4.6 Sistemi olonomi a vincoli dipendenti dal tempo

I vincoli imposti ai punti di un sistema meccanico possono dipendere dal tempo. Si pensi adesempio a uno o piu punti vincolati ad una superficie mobile con legge assegnata, oppure ad uninsieme di punti le cui mutue distanze variano nel tempo con legge assegnata. Occorre dunqueestendere la nozione di sistema olonomo in modo da includere anche questi casi.

Definizione 1. Un sistema olonomo e un sistema di punti le cui possibili configurazioni intutti gli istanti formano una varieta differenziabile Q di dimensione n+ 1, detta spazio-tempo

delle configurazioni o varieta estesa delle configurazioni, tale che: (i) esiste una funzionedifferenziabile t: Q → R che assegna ad ogni configurazione l’istante a cui questa si riferisce;(ii) quest’applicazione e tale che per ogni t ∈ R l’insieme Qt di tutte le configurazioni possibiliall’istante t e una sottovarieta di dimensione n; (iii) esiste una varieta differenziabile Q didimensione n e un diffeomorfismo ϕ: R×Q→ Q tale da indurre per ogni t ∈ R un diffeomorfismo

ϕt:Q→ Qt: q 7→ ϕ(t, q)

tra la varieta Q e la varieta Qt. L’intero n prende il nome di numero dei gradi di liberta, lavarieta Q di varieta delle configurazioni di riferimento. •

Fig. 4.6.1 - Lo spazio-tempo delle configurazioni.

Sergio Benenti

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§ 4.6 Sistemi olonomi a vincoli dipendenti dal tempo 29

Osservazione 1. Nel linguaggio della Geometria Differenziale la Def. 1 si riassume dicendoche un sistema olonomo e costituito da una fibrazione t: Q → R di una varieta Q sopra laretta reale R. Le fibre sono le varieta Qt delle configurazioni possibili all’istante t. Questafibrazione e triviale, cioe tale che Q risulta essere diffeomorfa ad un prodotto cartesiano R×Qe la fibrazione t: Q → R equivalente alla proiezione naturale R × Q → R. Il diffeomorfismo ϕprende allora il nome di trivializzazione della fibrazione. •

Esempio 1. Pendolo semplice di lunghezza variabile. Si consideri un punto vincolato aduna circonferenza su di un piano fisso, con centro fisso O e raggio l(t) variabile (mai nullo).L’insieme Q di tutte le sue possibili configurazioni si puo identificare con il prodotto R× S1. Sipuo prendere infatti come varieta di riferimento Q la circonferenza S1 di raggio 1 e, tramite lesemirette uscenti da O, stabilire tra questa ed ogni circonferenza Qt di raggio l(t) un diffeomor-fismo. •

Esempio 2. Si consideri un punto vincolato ad una circonferenza di centro fisso, raggio costante,ma ruotante con legge assegnata intorno ad un suo diametro fisso. La varieta estesa delleconfigurazioni Q non e la sfera descritta dalla circonferenza (che e, se si vuole, l’insieme di tuttele possibili posizioni occupabili dal punto), bensı il prodotto cartesiano R× S1. Occorre infattidistinguere le configurazioni ”estese”, elementi di Q, non solo per la posizione effettivamenteoccupata dal punto, ma anche per l’istante in cui tale posizione e occupata. •

Se si considerano coordinate (qi) sulla varieta di riferimento Q e se si interpreta la funzionet come ulteriore coordinata (che denotiamo anche con q0) risultano definite delle coordinate(t, qi) sullo spazio-tempo delle configurazioni Q. Di conseguenza la posizione dei singoli puntidel sistema e determinata da funzioni vettoriali

OPν = rν(t, qi). (1)

Se queste non dipendono dal tempo si ricade nel caso considerato al § 4.5 dei sistemi olonomi

a vincoli indipendenti dal tempo, detti anche scleronomi. I sistemi olonomi a vincolidipendenti dal tempo sono detti reonomi.

Vi sono due modi, del tutto equivalenti, per rappresentare il moto di un sistema olonomo.

Un moto e una sezione della fibrazione t: Q→ R, cioe un’applicazione differenziabile

σ: R→ Q

che associa ad ogni istante t ∈ R una configurazione σ(t) ∈ Qt, cioe una configurazione cor-rispondente allo stesso istante. Questa definizione non ricorre alla trivializzazione ϕ.

Un moto puo anche essere definito come curva

γ: R→ Q

sopra la varieta di riferimento Q. Infatti, attraverso la trivializzazione ϕ, una curva γ su Qgenera una sezione σ ponendo

σ(t) = ϕ(t, γ(t)

).

Viceversa, una sezione σ genera una curva γ ponendo (si veda la Fig. 4.6.1)

γ(t) = ϕ−1t

(σ(t)

).

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30 Cap. 4 - Meccanica Lagrangiana § 4.7

Se, introdotte coordinate su Q, si considerano le equazioni parametriche qi = γi(t) della curva γe queste si sostituiscono nelle (1), si ottengono i moti dei singoli punti. Derivando si ottengonole velocita:

vν =∂rν∂qi

dqi

dt+∂rν∂t

. (2)

Segue che un generico atto di moto compatibile con i vincoli, che chiameremo atto di moto

possibile o attuale, e costituito dall’insieme dei vettori

rν = rν(t, qi),

vν =∂rν∂qi

qi +∂rν∂t

,(3)

con (qi) ∈ Rn, e quindi e rappresentato da un vettore v tangente alla varieta di riferimento Q,

di componenti (qi).

4.7 Le equazioni di Lagrange

Un sistema olonomo e costituito da punti liberi o vincolati. Nella dinamica newtoniana delpunto l’azione dei vincoli e rappresentata da un vettore F r, la forza o reazione vincolare, sullequali e necessario imporre delle condizioni costitutive. La piu semplice e quella di vincolo liscio

che si esprime nell’ortogonalita di F r al vincolo (curva o superficie). Per poter estendere questoconcetto al caso dei sistemi olonomi va innanzitutto osservato che l’ortogonalita della reazioneal vincolo si esprime con la condizione

F r · δr = 0

per ogni vettore δr tangente al vincolo. Se il vincolo e fisso ogni vettore tangente δr rappresentauna velocita compatibile col vincolo, cioe una ”velocita attuale”. Se invece il vincolo e mobile(cioe variabile nel tempo con legge assegnata) un suo vettore tangente δr non rappresenta piuin generale una velocita attuale ma soltanto una ”velocita virtuale” compatibile col vincolosupposto ”fisso” nell’istante considerato. Si usa anche dire che un tale vettore rappresenta uno”spostamento virtuale”.

Fig. 4.7.1 - Velocita virtuali e possibili per un pendoloa raggio variabile.

Sergio Benenti

Page 180: Lezioni Di Meccanica Razionale

§ 4.7 Le equazioni di Lagrange 31

Possiamo pertanto intendere per ”vincolo liscio” un vincolo (fisso o mobile) per il quale la”potenza virtuale” della reazione vincolare e nulla per ogni velocita virtuale. Questa definizioneha il vantaggio di potersi estendere immediatamente al caso dei sistemi olonomi pur di estenderea questi il concetto di ”velocita virtuale”. Chiamiamo allora atto di moto virtuale un attodi moto compatibile coi vincoli imposti al sistema, supposti fissi (o ”irrigiditi”, ”congelati”)nell’istante considerato. Con riferimento a quanto visto al § precedente, un tale atto di motosara costituito da un insieme di coppie di vettori (rν , δrν) definiti dalle equazioni

rν = rν(qi, t),

δrν =∂rν∂qi

δqi,(1)

con (δqi) parametri reali arbitrari. Un tale sistema di vettori e anche detto spostamento

virtuale (col che al termine ”potenza virtuale” usato nel seguito va sostituito il termine lavoro

virtuale). Il confronto con l’espressione generale (3)-§4.6 di un atto di moto attuale giustificale (1): sono stati cancellati i termini ∂rν/∂t. Un tale atto di moto non e quindi compatibilecon i vincoli a meno che questi siano indipendenti dal tempo, caso in cui questi termini sonoidenticamente nulli. Le (δqi) possono ancora interpretarsi come componenti di un vettore δrtangente alla varieta delle configurazioni Q, nel caso di un sistema a vincoli indipendenti daltempo, oppure alla fibra Qt relativa all’istante t considerato, nel caso di vincoli dipendenti daltempo. In questo secondo caso, per il diffeomorfismo ϕt:Qt → Q, il vettore δr puo intendersitangente alla varieta di riferimento Q. Cio posto, possiamo dare la seguente

Definizione 1. Diciamo che un sistema olonomo e perfetto o ideale (o a vincoli perfetti o

ideali) se la potenza virtuale W(v)r delle forze reattive e nulla per ogni atto di moto virtuale. •

Nel caso in cui il sistema sia costituito da un numero finito N di punti (1) questa potenza edata da

W (v)r =

∑Nν=1 F rν · δrν (2)

dove F rν e il risultante delle forze reattive sul punto Pν .

Esempio 1. Il vincolo di rigidita e, per il principio di azione e reazione, perfetto. Consideriamoinfatti per semplicita due punti di un corpo rigido. La potenza virtuale delle forze reattive che

i due punti si esercitano mutuamente e W(v)12 = F r1 · δr1 + F r2 · δr2. Siccome F r1 = − F r2,

si ha W(v)12 = F r2 · (δr2 − δr1). Ma per la formula fondamentale di cinematica δr2 − δr1 =

ω × (r2 − r1), quindi W(v)12 = 0 perche F r2 e parallelo a (r2 − r1). Alla stessa conclusione

si giunge anche osservando che: (i) il vincolo di rigidita e un vincolo indipendente dal tempo,quindi ogni atto moto virtuale e anche attuale; (ii) le forze reattive sono forze interne e queste,per il postulato delle forze interne, hanno potenza nulla (Oss 3, § 3.7). •

La distinzione tra atto di moto virtuale e atto di moto attuale conserva tuttavia la sua importanzaanche nel caso di sistemi scleronomi. Si consideri ad esempio il caso di un punto libero soggettoalla forza di Coriolis o alla forza esercitata da un campo magnetico. Entrambe le leggi di

(1) Nella discussione seguente ci limitiamo per semplicita a considerare questo caso, ma leconclusioni varranno in generale per un sistema olonomo qualsiasi.

Lezioni di Meccanica Razionale

Page 181: Lezioni Di Meccanica Razionale

32 Cap. 4 - Meccanica Lagrangiana § 4.7

forza sono del tipo F = ω × v. La ”potenza attuale” di questa forza e identicamente nulla:F · v = ω × v · v = 0. Con l’introduzione della velocita virtuale δr, intesa come puro vettore,la ”potenza virtuale” e espressa dal prodotto misto ω×v · δr e quindi non e piu identicamentenulla. Di qui si osserva anche che e possibile risalire al vettore F conoscendo la sua potenzavirtuale per ogni velocita virtuale (o per tre velocia virtuali indipendenti), non quella attuale(che e sempre nulla). Un’analisi piu approfondita del caso di una forza attiva F agente su di unpunto soggetto ad un vincolo liscio (fisso o mobile) mostra che l’influenza che essa ha sul motodipende solo dalla parte tangente al vincolo, supposto questo ”congelato” istante per istante,parte che e completamente determinata dalla sua potenza virtuale F · δr. Siamo allora condottia porre particolare attenzione al concetto di potenza virtuale delle forze attive agenti su diun sistema olonomo. Sempre nel caso di un sistema finito di punti si ha

W (v)a =

∑Nν=1 F aν · δrν, (3)

dove F aν e il risultante delle forze attive agenti sul punto Pν .

La potenza virtuale delle forze attive risulta essere una forma lineare nelle componenti (δqi)dell’atto di moto virtuale,

W (v)a = ϕi δq

i (4)

i cui coefficienti (ϕi) prendono il nome di forze lagrangiane o di componenti lagrangiane

delle forze attive. Infatti, sempre nel caso di un sistema finito, si ha

W (v)a =

∑Nν=1 F aν · δrν =

∑Nν=1 F aν ·

∂rν∂qi

δqi.

Vale quindi la (4) con

ϕi =∑Nν=1 F aν ·

∂rν∂qi

. (5)

Osservazione 1. Nel caso generale, in cui le forze attive dipendono dalla posizione e dallavelocita dei singoli punti ed eventualmente dal tempo, le forze lagrangiane risultano esserefunzioni delle coordinate lagrangiane, delle velocita lagrangiane e del tempo: ϕi = ϕi(q

j , qh, t).•

Osservazione 2. Nel caso di un solo punto la (5) diventa

ϕi = F a ·

∂r

∂qi= F a · ei.

Questa formula e valida sia per il punto libero, nel qual caso i = 1, 2, 3 e le (qi) sono coordinatedello spazio affine tridimensionale euclideo, sia per il punto vincolato ad una superficie, nel qualcaso i = 1, 2 e le (qi) sono coordinate superficiali. Si osserva quindi che per il punto liberole forze lagrangiane ϕi coincidono con le componenti covarianti della forza attiva rispetto allecoordinate (qi). •

Osservazione 3. La (4) mostra che per poter calcolare le forze lagrangiane si puo calcolare lapotenza virtuale delle forze attive per atti di moto virtuali in cui le velocita lagrangiane virtuali

Sergio Benenti

Page 182: Lezioni Di Meccanica Razionale

§ 4.7 Le equazioni di Lagrange 33

(δqi) sono tutte nulle salvo una. La componente ϕ1 e per esempio ottenibile calcolando lapotenza virtuale corrispondente all’atto di moto virtuale ottenuto ponendo δq2 = . . . = δqn = 0e δq1 = 1. •

Definizione 2. Chiamiamo stato dinamico di un sistema meccanico la distribuzione istanta-nea delle posizioni, velocita ed accelerazioni dei singoli punti. •

Ad ogni stato dinamico si associa la potenza virtuale delle forze di massa W(v)m , dove per

forza di massa o (forza d’inerzia), nel caso di un singolo punto di massa mν, s’intende ilvettore Fmν = −mνaν . Anche la potenza virtuale delle forze di massa risulta essere una formalineare nelle componenti (δqi) dell’atto di moto vituale,

W (v)m = ai δq

i (6)

Per esempio, nel caso di un sistema finito di punti si ha

W (v)m =

∑Nν=1 Fmν · δrν = − ∑N

ν=1mνaν ·

∂rν∂qi

δqi,

per cui vale la (6) con

ai = − ∑Nν=1mνaν ·

∂rν∂qi

. (7)

Si hanno cosı tutti gli elementi per formulare un principio generale della meccanica che governa,pur nella sua estrema semplicita, il comportamento dinamico di una vastissima classe di sistemimeccanici: il

Principio di d’Alembert-Lagrange (Jean-Baptiste Le Rond d’Alembert, 1717-1783): Perun sistema a vincoli ideali, in corrispondenza ad ogni stato dinamico e per ogni atto di motovirtuale e nulla la somma della potenza virtuale delle forze attive e della potenza virtuale delleforze di massa:

W (v)a +W (v)

m = 0 (8)

La (8) prende il nome di equazione simbolica della dinamica.

Osservazione 4. Si noti bene che nel caso di un solo punto materiale soggetto ad un vincololiscio questo principio e equivalente all’equazione fondamentale della dinamica ma = F a + F r.Infatti, se la si moltiplica scalarmente per una generica velocita virtuale δr si trova F a · δr −ma · δr = 0, perche F r · δr = 0, e quindi W

(v)a + W

(v)m = 0. Ragionando inversamente, da

quest’ultima equazione, supposta valida per ogni velocita virtuale, segue che F a−ma = F r conF r vettore ortogonale al vincolo. •

Mostriamo ora come dal principio di D’Alembert-Lagrange discendano le equazioni fondamentalidella dinamica dei sistemi olonomi.

Lezioni di Meccanica Razionale

Page 183: Lezioni Di Meccanica Razionale

34 Cap. 4 - Meccanica Lagrangiana § 4.7

Teorema 1. Comunque si scelgano le coordinate lagrangiane (qi), i moti di un sistema olonomoa n gradi di liberta e a vincoli ideali sono rappresentati dalle soluzioni qi(t) delle n equazionidifferenziali

d

dt

(∂T

∂qi

)

− ∂T

∂qi= ϕi, (i = 1, . . . , n) (9)

dove T e l’energia cinetica del sistema e le ϕi sono le forze lagrangiane.

Le equazioni (9) sono le celebri equazioni di Lagrange. Posto

qi =dqi

dt, qi =

dqi

dt=d2qi

dt2,

esse risultano essere del secondo ordine nelle qi(t) (si veda la discussione piu avanti).

Dimostrazione. Viste la (4) e la (6), l’equazione simbolica della dinamica (8) si traduce nell’equa-zione

(ϕi + ai) δqi = 0, ∀ (δqi) ∈ R

n.

Siccome le funzioni ϕi e ai non dipendono dalle δqi e queste sono arbitrarie, quest’equazioneequivale al sistema di n equazioni

ϕi + ai = 0 (i = 1, . . . , n). (10)

Occorre allora sviluppare i coefficienti ai a partire dalla (7). Dall’espressione delle velocita deisingoli punti

vν =∂rν∂qi

qi +∂rν∂t

, (11)

derivando rispetto alle (qi), segue l’identita

∂vν∂qi

=∂rν∂qi

. (12)

Se invece si deriva la (11) rispetto alle coordinate lagrangiane si trova

∂vν∂qj

=∂2rν

∂qi∂qjqi +

∂2rν

∂qj∂t.

D’altra parte

d

dt

∂rν∂qj

=∂2rν

∂qi∂qjqi +

∂2rν

∂qj∂t,

per cui dal confronto con la precedente espressione segue l’identita

∂vν∂qj

=d

dt

∂rν∂qj

. (13)

Sergio Benenti

Page 184: Lezioni Di Meccanica Razionale

§ 4.7 Le equazioni di Lagrange 35

A partire dalla (7) si ha allora successivamente, tenuto conto delle identita (12) e (13) (omettiamoil simbolo di sommatoria rispetto all’indice ν):

ai = −mνdvνdt

·

∂rν∂qi

= mν

(

vν ·

d

dt

∂rν∂qi− d

dt

(

vν ·

∂rν∂qi

))

= mν

(

vν ·

∂vν∂qi− d

dt

(

vν ·

∂vν∂qi

))

=∂T

∂qi− d

dt

∂T

∂qi,

osservato in ultimo che l’energia cinetica e per definizione

T = 12

∑Nν=1mνvν · vν . (14)

Dalle (10) seguono allora le equazioni di Lagrange.

Un primo grande vantaggio del metodo lagrangiano e che le equazioni di Lagrange sono diimmediata scrittura, una volta note le espressioni delle forze lagrangiane ϕi e dell’energia cineticaT . Sul calcolo delle forze lagrangiane si e gia detto nell’Oss. 3 e si ritornera ancora piu avanti(§4.9).

Osservazione 5. Espressione generale dell’energia cinetica. L’energia cinetica risultaessere un polinomio di secondo grado nelle velocita lagrangiane

T = 12 gij q

i qj + g0i qi + 1

2 g00 (15)

a coefficienti (gij , g0i, g00) dipendenti dalle coordinate lagrangiane e dal tempo. Infatti (ci limiti-amo al solito a considerare un sistema finito di punti) sostituendo l’espressione (11) delle velocitanella definizione (14) dell’energia cinetica si vede che vale la (15) posto

gij =∑Nν=1 mν

∂rν∂qi

·

∂rν∂qj

,

g0i =∑Nν=1mν

∂rν∂t

·

∂rν∂qi

,

g00 =∑Nν=1mν

∂rν∂t

·

∂rν∂t

.

(16)

Nel caso di vincoli indipendenti dal tempo i coefficienti g0i e g00 si annullano identicamente el’energia cinetica risulta essere una forma quadratica:

T = 12 gij q

i qj (17)

Questa e definita positiva: innanzitutto perche l’energia cinetica, per sua stessa definizione, euna quantita positiva, nulla se e solo se tutti i punti del sistema hanno velocita nulla cioe sel’atto di moto e nullo; inoltre gli atti di moto nulli sono caratterizzati dall’annullarsi di tutte levelocita lagrangiane, quindi T ≥ 0 con T = 0 se e solo se (qi) = 0. Anche nel caso di vincoliindipendenti dal tempo la parte quadratica omogenea dell’energia cinetica (15) risulta essere unaforma quadratica definita positiva. Per riconoscerlo basta ripetere il ragionamento precedente

Lezioni di Meccanica Razionale

Page 185: Lezioni Di Meccanica Razionale

36 Cap. 4 - Meccanica Lagrangiana § 4.7

considerando pero atti di moto virtuali, cioe con vincoli istantaneamente fissi, perche la partequadratica omogenea e proprio l’energia cinetica corrispondente a questi atti di moto. •

Mettiamo in opera il metodo lagrangiano con due semplici esempi.

Esempio 2. Il bipendolo piano: Esempio 9, § 4.5 (Fig. 4.5.1). Supposti nulli gli attriti, ivincoli sono perfetti. Si consideri per semplicita il caso in cui le masse dei due punti A e B sonouguali (= m) cosı come le lunghezze dei due segmenti OA e AB (= l). Fissato un riferimentocartesiano (O, x, y) come in figura (asse x verticale orientato verso il basso e asse y orizzontale),conviene scegliere come coordinate lagrangiane i due angoli (q1, q2) = (θ, φ) come in figura.

(a) Calcolo dell’energia cinetica : i vettori posizione dei due punti sono

rA = l(cosθ i+ sin θ j), rB = rA + l(cosφ i+ sinφ j),

quindi le loro velocita sono

vA = l θ (− sin θ i+ cos θ j), vB = vA + l φ (− sinφ i+ cosφ j).

Di qui segue

v2A = l2θ2, v2

B = l2[θ2 + φ2 + 2 cos(θ − φ) θ φ

],

quindi

T = 12m (v2

A + v2B) = 1

2m l2

[2 θ2 + φ2 + 2 cos(θ − φ) θ φ

]

(b) Calcolo delle forze lagrangiane: seguono dal calcolo della potenza virtuale delle forze attive:

W(v)a = ϕi δq

i = ϕθ δθ + ϕφ δφ. In questo caso W(v)a = m g · δrA + m g · δrB. Con atto

di moto (δθ 6= 0, δφ = 0), che provoca una rotazione del segmento OA ed una traslazionedel segmento AB, si ha δrA = δrB = l (− sin θ i + cos θ j) δθ e quindi, posto che g = g i,

W(v)a = − 2mg l sin θ δθ. Dunque

ϕθ = − 2mg l sin θ

Con atto di moto (δθ = 0, δφ 6= 0), che provoca una rotazione del solo segmento AB, si ha

δrA = 0 e δrB = l (− sinφ i+ cosφ j) δφ e quindi W(v)a = −mg l sinφ δφ. Dunque

ϕφ = −mg l sinφ

(c) Le equazioni di Lagrange: tenuto conto che

∂T

∂θ= ml2(2θ + cos(θ − φ) φ),

∂T

∂θ= −ml2 sin(θ − φ) θ φ,

∂T

∂φ= ml2(φ+ cos(θ − φ) θ),

∂T

∂φ= ml2 sin(θ − φ) θ φ,

Sergio Benenti

Page 186: Lezioni Di Meccanica Razionale

§ 4.7 Le equazioni di Lagrange 37

risultano essere, dividendo per ml,

2 θ + cos(θ − φ) φ+ sin(θ − φ) φ2 + 2g

lsin θ = 0

φ + cos(θ − φ) θ − sin(θ − φ) θ2 +g

lsinφ = 0

Esempio 3. Il pendolo a lunghezza variabile.

Fig. 4.7.3 - Pendolo a lunghezza variabile.

Utilizzando coordinate polari (r, ϑ) e tenuto conto che r = l(t) si trova subito che

T = 12mv2 = 1

2m(l2 + l2 ϑ2

)

L’unica forza attiva e la gravita F = m g (la forza che provoca la variazione della lunghezza delpendolo e di natura vincolare). La potenza virtuale e formalmente identica a quella del pendoloa lunghezza fissa:

W (v)a = F · δr = −mg l sinϑ δϑ,

per cui la forza lagrangiana e

ϕϑ = −mg l sinϑ

Poiche∂T

∂ϑ= m l2 ϑ,

d

dt

(∂T

∂ϑ

)

= 2m l l ϑ+m l2 ϑ,∂T

∂ϑ= 0,

l’equazione di Lagrange divisa per ml2 (supposto l(t) 6= 0) diventa

ϑ+ 2l

lϑ+

g

lsinϑ = 0

Chiaramente, per l = 0 (l = cost.) si ritrova l’equazione del pendolo semplice. •

Lezioni di Meccanica Razionale

Page 187: Lezioni Di Meccanica Razionale

38 Cap. 4 - Meccanica Lagrangiana § 4.8

4.8 Meccanica riemanniana

In questo paragrafo limitiamo le nostre considerazioni ai sistemi olonomi con vincoli indipen-denti dal tempo (sistemi scleronomi) (§4.5). Si e osservato alla fine del § precedente che l’energiacinetica e per un tale sistema una forma quadratica definita positiva nelle velocita lagrangiane.Tale circostanza e di importanza fondamentale: grazie all’energia cinetica la varieta delle con-figurazioni di un sistema scleronomo assume la struttura di varieta riemanniana.

Definizione 1. Una varieta riemanniana (1) e una coppia (Q, g) costituita da una varietadifferenziabile Q e da un tensore metrico g su Q. Un tensore metrico e un’applicazionedifferenziabile

g: TQ×Q TQ→ R

tale che per ogni punto q ∈ Q la restrizione

gq: TqQ× TqQ→ R

e una forma bilineare simmetrica definita positiva (2). •

Una superficie regolare immersa in uno spazio affine euclideo fornisce un esempio elementare divarieta riemanniana: il tensore metrico e la prima forma fondamentale (§2.5).

In un qualunque sistema di coordinate (qi) di Q il tensore metrico ammette una rappresentazionelocale del tipo

g = gij dqi ⊗ dqj ,

Infatti, posto per definizionedqi ⊗ dqj(u, v) = ui vj ,

risultag(u, v) = gij u

i vj.

I coefficienti (gij), funzioni delle coordinate lagrangiane, formano una matrice quadrata n × nsimmetrica e ovunque regolare, detta matrice metrica.

Il tensore metrico induce su ogni spazio tangente TqQ una struttura di spazio vettoriale euclideo,quindi un prodotto scalare u · v = g(u, v) ed una forma quadratica ‖u‖ = g(u,u). Essopertanto consente di estendere alle varieta riemanniane alcune nozioni ed operazioni proprie deglispazi affini euclidei (che sono particolari varieta riemanniane). Ne risulta una generalizzazionedella geometria euclidea: la geometria riemanniana.

Per un sistema scleronomo l’energia cinetica e una forma quadratica definita positiva:

T (v) = 12gij q

i qj

per ogni vettore tangente v di componenti (qi). Si interpretano allora i suoi coefficienti (gij)come componenti di un tensore metrico g, per cui

2 T (v) = g(v, v).

(1) Georg Friedrich Bernhard Riemann, 1826 - 1866.(2) Con TQ ×Q TQ si denota l’insieme delle coppie di vettori (u, v) tangenti in un medesimo

punto. E una varieta di dimensione 3n (se n = dim(Q)). Se la segnatura non e positiva si hauna varieta pseudo-riemanniana o semi-riemanniana.

Sergio Benenti

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§ 4.8 Meccanica riemanniana 39

La presenza della struttura riemanniana sulle varieta delle configurazioni stabilisce uno strettolegame tra la geometria riemanniana e la meccanica lagrangiana. Come si e detto, il moto di unsistema olonomo e rappresentato dal moto di un punto sopra la varieta delle configurazioni Q,cioe da una curva γ: I → Q descritta localmente da equazioni paratriche qi = γi(t) (brevemente:qi(t)). A questa curva corrisponde la curva tangente (o curva derivata, §4.3) v: I → TQ: t 7→v(t), di equazioni parametriche

qi = γi(t),

qi = Dγi(t),

che fornisce la velocita istantanea del sistema, vale a dire l’atto di moto istantaneo per ognit ∈ I . Grazie alla presenza del tensore metrico e pero possibile estendere ai sistemi olonomianche il concetto di ”accelerazione”. Si puo procedere per analogia con l’espressione in coordi-nate generiche dell’accelerazione di un punto libero o dell’accelerazione intrinseca di un puntovincolato ad una superficie (§ 2.2, formula (11), e § 2.5, formula (19):

Definizione 2. Chiamiamo accelerazione istantanea di un sistema olonomo in un moto diequazioni qi(t) il vettore a(t) ∈ Tγ(t)Q di componenti ai(t) definite da

ai =d2qi

dt2+ Γijh

dqj

dt

dqh

dt(1)

posto, con ∂i = ∂∂qi ,

Γijh = gik Γjhk, Γjhk = 12

(∂jghk + ∂hgkj − ∂kgjh

). (2)

essendo (gik) la matrice inversa della matrice metrica (gij). Le funzioni Γjhk e Γijh sono i simboli

di Christoffel corrispondenti alle coordinate (qi) (di prima e seconda specie rispettivamente).•

Si puo in effetti dimostrare, a parte l’analogia col caso del punto, che le ai si trasformano, alcambiare delle coordinate, come le componenti di un vettore tangente (formula (3), § 4.2).

Come per gli spazi affini euclidei, la presenza del tensore metrico consente di definire sulle varietariemanniane una corrispondenza biunivoca tra 1-forme e campi vettoriali. Ad una 1-forma

ϕ = ϕi dqi (3)

corrisponde il campo vettoriale F = ϕ] tale che per ogni vettore v

F · v = 〈v,ϕ〉. (4)

Le sue componenti sono definite da

F i = gij ϕj . (5)

Queste componenti sono dette contravarianti. Si dice che il campo F ha come componenticovarianti le ϕi. Consideriamo allora le forze lagrangiane ϕi come componenti di una 1-forma(3).

Lezioni di Meccanica Razionale

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40 Cap. 4 - Meccanica Lagrangiana § 4.8

Teorema 1. Le equazioni di Lagrange di un sistema olonomo a vincoli indipendenti dal temposono equivalenti all’equazione vettoriale

a = F (6)

sulla varieta riemanniana delle configurazioni, cioe al sistema di equazioni

d2qi

dt2+ Γijh

dqj

dt

dqh

dt= F i (7)

Dimostrazione. La dimostrazione ricalca formalmente quella dell’Oss. 5 di § 2.2.2. Essa consistenel dimostrare che, posto ai = [T ]i dove [T ]i sono i primi membri delle equazioni di Lagrange,allora le quantita ai = gij ai assumono proprio la forma (1). Di qui, stante la (5), segue che leequazioni di Lagrange [T ]i = ϕi sono equivalenti a ai = F i. Siccome

∂T

∂qi= gij q

j ,∂T

∂qi= 1

2∂igjh q

j qh,

d

dt

(∂T

∂qi

)

= ∂hgij qhqj + gij

dqj

dt,

si ha

[T ]i = gijdqj

dt+ ∂hgij q

hqj − 12∂igjh q

j qh.

Quindi, per la simmetria di qj qh e di gih,

[T ]i = gijdqj

dt+ 1

2

(∂jghi + ∂hgij − ∂igjh

)qj qh = gij

dqj

dt+ Γjhi q

j qh.

Con l’innalzamento dell’indice i si trova la (1).

Osservazione 1. L’aspetto ”newtoniano” dell’equazione (6) consente di affermare che: i motidi un sistema olonomo a vincoli indipendenti dal tempo possono interpretarsi come moti di unpunto materiale di massa unitaria sulla varieta riemanniana delle configurazioni, soggetto aduna forza F le cui componenti covarianti sono le forze lagrangiane. •

Osservazione 2. Quando le forze lagrangiane sono nulle, F = 0, i moti di un sistema olonomo sidicono moti spontanei: il sistema si muove soltanto sotto l’azione dei propri vincoli (perfetti,quindi non dissipativi). L’equazione (6) diventa a = 0. In analogia con quanto visto per lesuperfici (§ 2.6) possiamo definire i moti con accelerazione nulla moti geodetici. Pertanto:i moti spontanei di un sistema olonomo sono moti geodetici sulla varieta riemanniana delleconfigurazioni. Sempre in virtu di quest’analogia segue che nei moti spontanei l’energia cineticae costante. Come si vedra piu avanti (§ 4.12), la definizione di moto geodetico o di geodetica diuna varieta riemanniana puo darsi in maniera diretta e generale, senza il ricorso all’analogia conla geometria delle superfici. •

Sergio Benenti

Page 190: Lezioni Di Meccanica Razionale

§ 4.9 Il potenziale e la lagrangiana 41

Osservazione 3. Le equazioni (7) formano un sistema di n equazioni differenziali del secondoordine in forma normale nelle funzioni incognite qi(t). Esso e equivalente al seguente sistemadel primo ordine di 2n equazioni nelle incognite (qi(t), qi(t)):

dqi

dt= qi

dqi

dt= F i − Γijh q

j qh(8)

Se le forze lagrangiane non dipendono dal tempo questo sistema e autonomo e corrisponde quindiad un campo vettorialeXL sopra il fibrato tangente TQ, che chiamiamo campo lagrangiano.In questo caso pero l’intepretazione geometrica del campo vettoriale F e diversa. Esso non e piuun campo vettoriale su Q bensı un campo vettoriale ”verticale” su TQ. Un campo vettoriale Fsu TQ e detto verticale se ogni sua curva integrale giace su di una fibra cioe su di uno spaziotangente (che e una sottovarieta). Cio significa che il sistema dinamico ad esso associato e deltipo

dqi

dt= 0,

dqi

dt= F i(qj , qk).

(9)

In altri termini, un campo vettoriale su TQ e verticale se per ogni funzione f costante sulle fibre(che quindi e in definitiva una funzione su Q) si ha

〈F , df〉 = 0. (10)

Se denotiamo con XG il campo vettoriale geodetico, il cui sistema del primo ordine e (siconfronti con il sistema (4), § 2.6)

dqi

dt= qi,

dqi

dt= −Γijh q

j qh,

(11)

e le cui curve integrali rappresentano i moti geodetici (perche F i = 0), allora si riconosce che

XL = XG + F , (12)

cioe che XL differisce da XG per il campo verticale F . •

4.9 Il potenziale e la lagrangiana

Definizione 1. Sia dato un sistema olonomo a vincoli eventualmente dipendenti dal tempo convarieta delle configurazioni Q. Una funzione U : TQ× R→ R, localmente rappresentata da unafunzione U(qi, qi, t) delle coordinate lagrangiane, delle velocita lagrangiane e del tempo, e dettapotenziale se le forze lagrangiane sono esprimibili con la formula

ϕi =∂U

∂qi− d

dt

(∂U

∂qi

)

(1)

Lezioni di Meccanica Razionale

Page 191: Lezioni Di Meccanica Razionale

42 Cap. 4 - Meccanica Lagrangiana § 4.9

L’interesse di questa definizione risiede nel fatto che se esiste un potenziale U allora le equazionidi Lagrange assumono la forma

d

dt

(∂L

∂qi

)

− ∂L

∂qi= 0 (2)

introdotta la funzione

L = T + U (3)

Queste equazioni prendono il nome di equazioni di Euler-Lagrange. I primi membri, chedenoteremo con [L]i, prendono il nome di binomi lagrangiani. La funzione L e chiamatalagrangiana del sistema.

La lagrangiana e una funzione reale su TQ×R, esprimibile localmente in una funzione L(qi, qi, t)delle coordinate lagrangiane, delle velocita lagrangiane e del tempo. La lagrangiana racchiudein se tutte le caratteristiche e le proprieta dinamiche del sistema olonomo, perche e con questasola funzione che risultano determinate le equazioni che ne governano tutti i possibili moti: leequazioni di Euler-Lagrange.

Analizziamo allora le condizioni di esistenza di un potenziale. Si consideri, come primo caso, unsistema olonomo a vincoli indipendenti dal tempo e con forze lagrangiane dipendenti solo dallecoordinate lagrangiane. Come si e visto al § 4.8, le forze lagrangiane possono interpretarsi comecomponenti di una forma differenziale lineare sulla varieta delle configurazioni Q:

ϕ = ϕi dqi. (4)

Il potenziale e in questo caso una funzione U :Q → R, cioe una funzione delle sole coordinatelagrangiane, per cui la (1) si semplifica in

ϕi = ∂iU. (5)

Cio significa che

ϕ = dU (6)

cioe che ϕ e esatta e che U ne e un potenziale nel senso della teoria delle forme differenziali(§4.4). Il potenziale e determinato a meno di una costante additiva. Sappiamo per il lemma diPoincare che condizione necessaria per l’esistenza di un potenziale (e sufficiente per l’esistenzalocale) e che questa forma sia chiusa,

dϕ = 0, (7)

cioe che valgano le equazioni∂iϕj = ∂jϕi. (8)

Sulla varieta delle configurazioni, il campo vettorialeF corrispondente alla forma ϕ e il gradientedi U : F = grad(U):

F i = gij ∂jU. (9)

Un sistema olonomo a vincoli indipendenti dal tempo le cui forze lagrangiane ammettono unpotenziale indipendente dalle velocita e dal tempo si dice sistema olonomo conservativo.

Sergio Benenti

Page 192: Lezioni Di Meccanica Razionale

§ 4.9 Il potenziale e la lagrangiana 43

Un sistema olonomo conservativo e pertanto caratterizzato da una terna (Q, g, U) dove (Q, g) ela varieta riemanniana delle configurazioni e U :Q→ R e la funzione potenziale.

Nel caso di un sistema olonomo a vincoli eventualmente dipendenti dal tempo ma con forzelagrangiane non dipendenti dalle velocita (quindi dipendenti dalle coordinate lagrangiane e daltempo) il potenziale e una funzione U :Q×R→ R, cioe una funzione delle coordinate lagrangianee del tempo (si veda l’Oss. 5, piu avanti), per cui il legame (1) tra potenziale e forze lagrangianesi riduce ancora all’equazione (5).

Osservazione 1. Occorre osservare che, in questo come nel caso precedente, il potenziale U elegato alla potenza virtuale delle forze attive dall’equazione

W (v)a = δU = ∂iU δq

i. (10)

Qui il simbolo δ applicato alla funzione potenziale U ha formalmente il significato di ”derivatatotale rispetto al tempo”, fatta pero con i vincoli supposti fissi. L’utilita del concetto di poten-ziale risiede proprio nel fatto che esso si calcola di solito per via diretta, cioe senza il passaggioattraverso le forze lagrangiane, o mediante la (10) oppure sommando i potenziali delle varie forzeche operano sul sistema. •

Esempio 1. Nell’Esempio 2 di § 4.7 (bipendolo piano) si ha evidentemente U = mg xA+mgxBe quindi U = mg l (2 cos θ + cosφ). Nell’Esempio 3 (pendolo a raggio variabile) il calcolo delpotenziale e immediato, in base a quanto detto nell’osservazione precedente: U = mg xP =mg l(t) cosϑ.

Osservazione 2. Dato un sistema olonomo conservativo (Q, g, U), possiamo pensare di imporrea questo un ulteriore vincolo di posizione rappresentato da una sottovarieta C ⊂ Q: le confi-gurazioni ammissibili sono ora rappresentate dai punti di C. Si puo dimostrare, ricorrendo alprincipio di d’Alembert-Lagrange, che i moti del nuovo sistema vincolato sono quelli del sistemaolonomo conservativo (C, g|TC, U |C) dove la nuova varieta delle configurazioni e C, il tensoremetrico e la restrizione di g ai vettori tangenti a C (ovvero l’energia cinetica e la restrizione diT agli atti di moto TC) e il potenziale e la restrizione della funzione U a C. Questa notevoleproprieta di ”restrizione” e un’altra delle importanti caratteristiche del metodo lagrangiano. •

Discutiamo ora il caso generale. Poniamo q0 = t, interpretando il tempo come coordinata sullospazio-tempo delle configurazioni Q ' R ×Q. Poniamo inoltre (qA) = (q0, qi) con indici latinimaiuscoli variabili da 0 a n. Denotiamo con ∂A la derivata parziale rispetto alla coordinata qA.

Sviluppando il secondo membro della (1), tenendo conto che qi = dqi

dt, si trova

ϕi =∂U

∂qi− ∂2U

∂qj∂qiqj − ∂2U

∂qj∂qidqj

dt− ∂2U

∂t∂qi. (11)

Se si esclude per principio la dipendenza delle forze lagrangiane dalle accelerazioni, deve essereidenticamente

∂2U

∂qj∂qi= 0.

La piu generale funzione U soddisfacente a queste equazioni e un polinomio di primo grado nellevelocita lagrangiane:

U = α0 + αi qi (12)

Lezioni di Meccanica Razionale

Page 193: Lezioni Di Meccanica Razionale

44 Cap. 4 - Meccanica Lagrangiana § 4.9

Se si sostituisce nelle (11) una funzione di questo tipo si trova

ϕi = ∂iα0 − ∂0αi + (∂iαj − ∂jαi) qj.

Quindi se si pone

βij = ∂iαj − ∂jαiβi0 = ∂iα0 − ∂0αi

(13)

risulta

ϕi = βi0 + βij qj (14)

con

βij = −βji (15)

Si puo pertanto affermare che

Teorema 1. Esclusa la dipendenza dalle accelerazioni delle forze lagrangiane, condizione ne-cessaria affinche queste ammettano un potenziale e che esse siano polinomi di primo grado nellevelocita lagrangiane a coefficienti antisimmetrici, cioe del tipo (14). In tal caso il potenziale eun polinomio di primo grado nelle velocita lagrangiane, cioe del tipo (12).

Si tratta ora di interpretare i legami (13) tra i coefficienti del polinomio U ed i coefficienti deipolinomi ϕi. Per far questo si osserva che ad un potenziale del tipo (12) corrisponde una formadifferenziale lineare su TQ

α = α0 dt+ αi dqi = αA dq

A. (16)

mentre i coefficienti (βi0, βij) delle forze lagrangiane (14), posto βi0 = −β0i, possono interpre-tarsi come componenti

(βAB) =

0 β0j

βi0 βij

(17)

di una 2-forma su TQ:β = 1

2 βAB dqA ∧ dqB. (18)

Allora i legami (13) si traducono semplicemente nella condizione

β = dα (19)

Infatti differenziando la (16) si trova

dα = ∂iα0 dqi ∧ dq0 + ∂0αi dq

0 ∧ dqi + ∂jαi dqj ∧ dqi

=(∂iα0 − ∂0αi

)dqi ∧ dq0 + 1

2

(∂iαj − ∂jαi

)dqi ∧ dqj

= βi0 dqi ∧ dq0 + 1

2 βij dqi ∧ dqj = β.

Si puo quindi affermare che

Sergio Benenti

Page 194: Lezioni Di Meccanica Razionale

§ 4.9 Il potenziale e la lagrangiana 45

Teorema 2. Se le forze lagrangiane sono polinomi di primo grado nelle velocita lagrangianecon coefficienti antisimmetrici, cioe del tipo (14), e se questi coefficienti si interpretano comecomponenti di una 2-forma β su Q, allora condizione necessaria e sufficiente affinche esista unpotenziale e che β sia esatta: β = dα. Il potenziale e in tal caso un polinomio di primo gradonelle velocita lagrangiane i cui coefficienti sono le componenti della 1-forma α (formula (12)).

Ricordato il lemma di Poincare, si puo anche affermare che

Teorema 3. Condizione necessaria per l’esistenza di un potenziale e condizione sufficiente perl’esistenza di potenziali locali e che la 2-forma β sia chiusa: dβ = 0.

Osservazione 3. In componenti la condizione di chiusura di β e espressa dalle equazioni(formula (31), § 4.4)

∂AβBC + ∂BβCA + ∂CβAB = 0, (20)

le quali si spezzano nei due gruppi di equazioni

∂iβjk + ∂jβki + ∂kβij = 0

∂0βij + ∂iβj0 − ∂jβi0 = 0• (21)

Osservazione 4. La (19) mostra che la 1-forma potenziale α e determinata a meno di unaforma esatta, cioe che essa puo essere sostituita da α+dF qualunque sia funzione F :Q×R→ R.Cio significa che il potenziale e determinato a meno di funzioni additive del tipo

∂0F + ∂iF qi,

piu ovviamente delle costanti. •

Osservazione 5. Il caso delle forze lagrangiane non dipendenti dalle velocita lagrangianee caratterizzato dalla condizione βij = 0 (si veda la (14)). La prima delle (13) mostra che∂iαj = ∂jαi e quindi che esiste una funzione F delle coordinate e del tempo tale che αi = ∂iF .La seconda delle (13) mostra a sua volta che ϕi = βi0 = ∂i(α0 − ∂0F ), cioe che vale la (5) conU = α0 − ∂0F , cioe che, se esiste il potenziale, questo e funzione delle sole coordinate e deltempo. La (12) mostra invece che il potenziale e del tipo U = α0 + ∂iF q

i, cioe che e linearenelle velocita. Questa seconda conclusione non e in contraddizione con la prima per quanto vistonell’osservazione precedente. •

4.9.1 Il caso dello spazio euclideo tridimensionale

Adattiamo le considerazioni ora svolte al caso di un punto materiale mobile nello spazio affinetridimensionale euclideo: Q = E3. Occorrono alcune premesse generali sul calcolo differenzialein tale spazio. La presenza del tensore metrico (cioe del prodotto scalare fra vettori) consentedi definire, oltre alla corrispondenza biunivoca tra vettori e covettori e quindi tra campi e 1-forme (come per ogni varieta riemanniana), anche le operazioni di prodotto vettoriale, prodottomisto e aggiunzione. Quest’ultima e una corrispondenza biunivoca, denotata con ∗, tra vettorie forme bilineari antisimmetriche (o 2-forme) e tra scalari e forme trilineari antisimmetriche (o3-forme). La combinazione di queste operazioni con quella di differenziale consente di introdurre,

Lezioni di Meccanica Razionale

Page 195: Lezioni Di Meccanica Razionale

46 Cap. 4 - Meccanica Lagrangiana § 4.9

oltre all’operatore ”gradiente” gia visto, altri due operatori differenziali sui campi vettoriali: il”rotore” e la ”divergenza”.

Per definire tutte queste operazioni e conveniente riferirsi ad un sistema di coordinate cartesianeortonormali (xi) = (x1, x2, x3) (gli indici latini saranno variabili da 1 a 3) di versori (ei). Inquesto caso non vi e differenza tra i valori delle componenti contravarianti e quelle covariantidei vettori, nel senso che ad ogni vettore (o campo vettoriale)

v = vi ei,

corrisponde la forma linearev[ = vi dx

i

dovevi = vi.

Si osservi che in particolare si hae[i = dxi.

Dunque i versori della base delle coordinate cartesiane corrispondono ai differenziali delle coordi-nate medesime. E anche conveniente utilizzare il simbolo di Levi-Civita (Tullio Levi-Civita,1873-1941):

εijk = εijk =

1

−1

0

Vale 1 se la successione degli indici (i, j, k) e una permutazione pari della successione (1,2,3), vale−1 se invece e dispari, vale 0 negli altri casi, cioe quando almeno due indici sono coincidenti. Ilprodotto misto di tre vettori, che rappresenta il volume del parallelepipedo da essi individuato,essendo dato dal determinante delle componenti cartesiane dei vettori, e definibile con la formula

u× v · w = εijk ui vj wk. (1)

Di conseguenza il prodotto vettoriale e definito da

(u× v)k = εijk ui vj . (2)

L’aggiunzione fa corrispondere ad ogni vettore ω = ωi ei la 2-forma

Ω = ∗ω (3)

le cui componenti sono definite da (si veda la nota (1) di § 2.8.1)

Ωij = εijk ωk. (4)

Viceversaω = ∗Ω (5)

conωi = 1

2εijk Ωjk. (6)

Sergio Benenti

Page 196: Lezioni Di Meccanica Razionale

§ 4.9 Il potenziale e la lagrangiana 47

Intesa la 2-forma Ω come endomorfismo lineare, risulta

Ω(v) = ω× v. (7)

Infatti: Ωij vi = εijk v

i ωk = εkij ωk vi = (ω× v)j .

Il legame tra il prodotto esterno di 1-forme e il prodotto vettoriale di vettori e dato dalla formula

∗(u[ ∧ v[) = u× v. (8)

Infatti, posto Ω = u[ ∧ v[ = u[ ⊗ v[ − v[ ⊗ u[, quindi Ωij = ui vj − uj vi, e ω = ∗Ω, risulta:

ωi = 12εijk (uj vk − uk vj) = εijk uj vk,

cioe ω = u× v. La (8) da come caso particolare

∗(dxi ∧ dxj) = εijk ek. (9)

L’aggiunzione fa inoltre corrispondere ad una 3-forma

ϕ =1

3!ϕijk dx

i ∧ dxj ∧ dxk

lo scalare

∗ϕ =1

3!εijk ϕijk. (10)

e viceversa ad uno scalare a la 3-forma ∗a di componenti

(∗a)ijk = a εijk. (11)

In particolare si ha∗(dxi ∧ dxj ∧ dxk) = εijk. (12)

Dato un campo vettoriale F , il suo rotore e il campo vettoriale definito da

rot(F ) = ∗dF [ (13)

Posto F = F i ei, si haF [ = Fi dx

i (Fi = F i)

e per la definizione di differenziale

dF [ = ∂jFi dxj ∧ dxi.

Per la (9)

∗dF [ = ∂jFi ∗ (dxj ∧ dxi) = ∂jFi εjik ek.

Dunque in componenti(rot(F )

)k= εkij ∂iFj (14)

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Page 197: Lezioni Di Meccanica Razionale

48 Cap. 4 - Meccanica Lagrangiana § 4.9

Si ritrova quindi la definizione che utilizza il determinante formale

rot(F ) =

∣∣∣∣∣∣

e1 e2 e3

∂1 ∂2 ∂3

F1 F2 F3

∣∣∣∣∣∣

(15)

La divergenza di un campo vettoriale F e il campo scalare definito da

div(F ) = ∗d ∗F (16)

Si ha successivamente, per le formule precedenti:

(∗F )ij = εijk Fk,

∗ F = 12εijk F

k dxi ∧ dxj ,d ∗ F = 1

2εijk ∂hF

k dxh ∧ dxi ∧ dxj ,∗ d ∗F = 1

2εijk ∂hF

k ∗ (dxh ∧ dxi ∧ dxj) = 12εijk ∂hF

k εijh.

Va allora osservato che sussite l’identita

εijh εijk = 2 δhk . (17)

(il secondo membro e il simbolo di Kronecker). Dunque in componenti risulta semplicemente

div(F ) = ∂kFk (18)

Osservazione 1. La definizione (18) di divergenza si estende ad uno spazio affine di dimen-sione qualsiasi, purche le coordinate scelte siano cartesiane. Tuttavia si puo riconoscere che ladefinizione resta valida anche se queste non sono ortonormali. In altri termini: in uno spazioaffine di dimensione qualunque la definizione di divergenza di un campo vettoriale prescindedalla presenza della metrica. Si tenga comunque presente che l’operazione di divergenza sucampi vettoriali si estende a varieta riemanniane, dove l’intervento del tensore metrico e essen-ziale. •

Osservazione 2. Se si introduce il ”vettore formale” ∇ = (∂i) = (∂1, ∂2, ∂3) si hanno per i treoperatori differenziali gradiente, divergenza, rotore le definizioni formali:

grad(U) = ∇U,div(F ) = ∇ · F ,

rot(F ) = ∇× F .• (19)

Tutto cio premesso, dimostriamo che

Sergio Benenti

Page 198: Lezioni Di Meccanica Razionale

§ 4.9 Il potenziale e la lagrangiana 49

Teorema 1. Nello spazio affine tridimensionale euclideo la piu generale forza che ammettepotenziali locali e del tipo

F = E −B × v (20)

dove v e la velocita ed E, B sono campi vettoriali (eventualmente dipendenti dal tempo) sod-disfacenti alle equazioni

div(B) = 0,∂B

∂t+ rot(E) = 0 (21)

Il potenziale e del tipo

U = φ+A · v (22)

ed il legame tra forza e potenziale e dato dalle equazioni

B = rot(A), E = grad(φ)− ∂A

∂t(23)

Dimostrazione. (i) La (20) e infatti la traduzione in forma vettoriale della formula (14)-§4.9,

una volta introdotte le 1-forme ϕ = F [ e ε = E[, corrispondenti alle forze F e E, di componentiϕi e

εi = βi0

rispettivamente, e la 2-forma β = ∗B, di componenti βij , aggiunta del campo B. Va osservatoche B×v = β(v) e che in componenti

(β(v)

)

i= βji v

j . (ii) Le (21) sono le equivalenti vettorialidelle condizioni di chiusura (21)-§4.9. Infatti queste ultime si traducono nella scrittura

dβ = 0,

∂0β+ dε = 0,

e quindi, operando con l’aggiunzione su entrambe,

∗ d ∗B = 0,

∂0 ∗ β+ ∗ dε = 0.

Vista le definizioni sopra date di divergenza e di rotore si trovano le (21). (iii) L’espressione (22)

del potenziale e la traduzione della (12)-§4.9, denotata con α = A[ la 1-forma di componentiαi corrispondente al vettore A e posto

φ = α0.

(iv) Infine le equazioni (23) sono equivalenti alle condizioni di esattezza (13)-§4.9. Infatti questeultime, con le posizioni fatte, sono equivalenti a

β = dα,

ε = dφ− ∂0α.

Operando sulla prima con l’aggiunzione, sulla seconda con l’operatore inverso di [, e ricordatala definizione di gradiente, si trovano le (23).

Lezioni di Meccanica Razionale

Page 199: Lezioni Di Meccanica Razionale

50 Cap. 4 - Meccanica Lagrangiana § 4.10

Una particella dotata di carica elettrica e immersa in un campo elettrico E e in un campomagnetico B (nel vuoto) e soggetta alla forza di Lorentz

FL = e(E − 1

cB × v),

dove c e la costante velocita della luce. E una forza del tipo (20). Le corrispondenti equazioni(21), con B sostituito da 1

cB, costituiscono la prima coppia delle fondamentali equazioni

di Maxwell dell’elettromagnetismo (James Clerk Maxwell, 1831-1879). Il vettore A e dettopotenziale vettore, la funzione φ potenziale scalare (1). Si noti che le equazioni di Maxwell(21) si sono qui dedotte solo come condizioni necessarie per l’esistenza di un potenziale, senzaalcuna altra considerazione d’ordine fisico.

4.10 Sistemi lagrangiani

Nel § precedente si e visto che la dinamica di un sistema olonomo dotato di potenziale e ”gen-erata” da una funzione ”caratteristica”: la lagrangiana L = T +U . Questa circostanza conducealla seguente estensione del concetto di ”dinamica”.

Definizione 1. Diciamo sistema lagrangiano una coppia (Q, L) costituita da una varietadifferenziabile Q di dimensione n, detta varieta delle configurazioni, e da una funzionereale L: TQ×R→ R (di classe C∞) detta lagrangiana. Il sistema lagrangiano si dice tempo-

indipendente (brevemente, t-indipendente) se la lagrangiana si riduce ad una funzione L: TQ→R. La dinamica di un sistema lagrangiano e l’insieme delle curve su TQ soluzioni del sistemadi 2n equazioni differenziali

dqi

dt= qi

d

dt

(∂L

∂qi

)

− ∂L

∂qi= 0

• (1)

I primi membri delle equazioni (1)2,

[L]i =d

dt

(∂L

∂qi

)

− ∂L

∂qi, (2)

prendono il nome di binomi lagrangiani. Le equazioni (1)2 prendono il nome di equazioni

di Euler-Lagrange. Si denotano al solito con (qi) generiche coordinate su Q e con (qi, qi) lecorrispondenti coordinate su TQ (coordinate e velocita lagrangiane). La lagrangiana L e quindilocalmente rappresentata da una funzione nelle 2n+1 variabili (qi, qi, t) oppure nelle sole (qi, qi)nel caso t-indipendente. Il sistema (1) e del primo ordine nelle funzioni incognite (qi(t), qi(t)).Le (1)2, grazie alle (1)1, si riducono a equazioni del secondo ordine nelle (qi(t)).

Osservazione 1. Affinche la definizione ora data di dinamica di un sistema lagrangiano abbiasenso occorre verificare il carattere intrinseco delle equazioni di Euler-Lagrange (1), cioe la loro

(1) Questi potenziali possono apparire di segno opposto in altri testi.

Sergio Benenti

Page 200: Lezioni Di Meccanica Razionale

§ 4.10 Sistemi lagrangiani 51

indipendenza dalla scelta delle coordinate lagrangiane. Tuttavia, nel caso dei sistemi olonomi, ilcarattere intrinseco di queste equazioni e gia implicitamente riconosciuto dal fatto che esse sonodedotte dal principio di D’Alembert-Lagrange, che ha carattere intrinseco. Nel prossimo § saracomunque dimostrato che le equazioni di Euler-Lagrange, per una qualsiasi lagrangiana, sonoequivalenti ad un altro principio di natura intrinseca: il principio della minima azione. •

Osservazione 2. In certi casi il sistema (1), inteso come sistema del primo ordine nelle (qi, qi),puo essere posto completamente in forma normale (le prime n equazioni lo sono gia) cioe nellaforma

dqi

dt= qi,

dqi

dt= f i(qh, qk, t).

(3)

Il sistema lagrangiano e allora un sistema dinamico rappresentato da un campo vettoriale XL,detto campo lagrangiano. Se la lagrangiana, e quindi i secondi membri del sistema normaleequivalente (3), non dipendono esplicitamente dal tempo, col che il sistema (3) e autonomo,questo campo vettoriale e definito sopra il fibrato tangente TQ. Se invece vi e dipendenza daltempo, e definito sulla varieta prodotto TQ × R. In questo secondo caso infatti, seguendo lastessa tecnica vista per la dinamica di un punto, si introduce un tempo fittizio τ come ulteriorevariabile e si aggiunge al sistema l’equazione dτ

dt= 1. Quando un sistema lagrangiano e di questo

tipo si possono applicare tutte le nozioni ed i teoremi relativi ai campi vettoriali, in particolare(sotto le solite ipotesi di regolarita) il teorema di Cauchy per cui, assegnato un atto di motoiniziale, risulta determinato un unico moto del sistema. •

Definizione 2. Una lagrangiana si dice regolare se e regolare la sua matrice hessiana rispettoalle velocita lagrangiane, cioe se e det[gij] 6= 0, posto

gij =∂2L

∂qi ∂qj. • (4)

Teorema 1. Se la lagrangiana e regolare il sistema (1) e riducibile a forma normale, cioeequivalente ad un sistema del tipo (3).

Dimostrazione. Lo sviluppo dei binomi lagrangiani (primi membri delle (1)2) porta alle seguenti

equazioni (si tenga conto delle n equazioni dqi

dt = qi)

∂2L

∂qj∂qiqj +

∂2L

∂qj∂qidqj

dt+

∂2L

∂t∂qi− ∂L

∂qi= 0,

che in generale non possono risolversi rispetto alle derivate delle (qi). Se la lagrangiana eregolare cio e possibile. Operando con la matrice inversa (gki) si riconduce il sistema (1) allaforma normale

dqi

dt= qi,

dqk

dt= gki

(∂L

∂qi− ∂2L

∂qj∂qiqj − ∂2L

∂t∂qi

) (5)

Lezioni di Meccanica Razionale

Page 201: Lezioni Di Meccanica Razionale

52 Cap. 4 - Meccanica Lagrangiana § 4.11

Osservazione 3. Nel caso dei sistemi olonomi dotati di potenziale e L = T + U . Poiche elineare nelle velocita, il potenziale U non interviene nell’hessiano (4) per cui

gij =∂2L

∂qi∂qj=

∂2T

∂qi∂qj.

Questi elementi coincidono proprio con i coefficienti della parte omogenea quadratica dell’energiacinetica,

T = 12gij q

i qj + gi0 qi + 1

2g00.

Poiche, come si e osservato alla fine del § 4.7, questa e una forma quadratica definita positiva, siha det[gij ] > 0 e la lagrangiana e regolare. •

Osservazione 4. Si consideri una lagrangiana del tipo

L = ∂0F + qi ∂iF (6)

dove F e una funzione reale sopra Q × R (quindi funzione delle coordinate lagrangiane e deltempo). Poiche L e lineare nelle velocita lagrangiane si ha identicamente gij = 0. Non edunque una lagrangiana regolare. Si verifica che i binomi lagrangiani corrispondenti si annullanoidenticamente. Cio significa che la dinamica di una tale lagrangiana e costituita da tutte le curvesu Q. Di conseguenza, se ad una qualunque lagrangiana si aggiunge una lagrangiana del tipo(6) la dinamica non risulta alterata (si veda anche l’Oss. 4, § 4.9).

4.11 Integrali primi dei sistemi lagrangiani

Definizione 1. Una funzione differenziabile F : TQ × R → R e un integrale primo di unsistema lagrangiano (Q, L) se e costante su tutte le soluzioni delle corrispondenti equazioni diEuler-Lagrange, cioe se in corrispondenza ad ogni soluzione vale la condizione

dF

dt= 0. • (1)

Se il sistema lagrangiano e regolare, equivalente quindi ad un campo lagrangiano XL, si ricadenella solita definizione di integrale primo di un campo vettoriale. I teoremi seguenti mettono inevidenza due integrali primi tipici dei sistemi lagrangiani.

Teorema 1. Se la lagrangiana e indipendente dal tempo allora la funzione

E =∂L

∂qiqi − L (2)

detta energia, e un integrale primo.

Dimostrazione. Derivando totalmente rispetto al tempo si trova

dE

dt=

d

dt

(∂L

∂qi

)

qi +∂L

∂qidqi

dt− ∂L

∂qidqi

dt− ∂L

∂qidqi

dt− ∂L

∂t.

Sergio Benenti

Page 202: Lezioni Di Meccanica Razionale

§ 4.11 Integrali primi dei sistemi lagrangiani 53

Facendo intervenire le equazioni di Euler-Lagrange si trova

dE

dt= −∂L

∂t,

per cui l’indipendenza dal tempo della lagrangiana, che equivale all’annullarsi identico della suaderivata parziale rispetto a t, implica

dE

dt= 0.

Osservazione 1. Per un sistema scleronomo conservativo, dove il potenziale U e una funzionesu Q (dipende solo dalle coordinate lagrangiane), la funzione E si riduce proprio all’energia

totale

E = T − U. (3)

Infatti, siccome l’energia cinetica e omogenea di grado 2 nelle velocita lagrangiane, si ha (1)

qi∂T

∂qi= 2T (4)

(1) E bene ricordare a questo proposito il teorema di Euler sulle funzioni omogenee. Unafunzione F (vi) di n variabili (vi) si dice omogenea di grado k se per ogni α ∈ R si ha

F (αvi) = αk F (vi).

Il teorema di Euler afferma che se F (vi) e una funzione omogenea di grado k allora si haidenticamente (somma sottintesa sull’indice ripetuto)

vi∂F

∂vi= k F.

L’energia cinetica e omogenea di grado 2 nelle (vi) per cui la (4) puo essere vista come con-seguenza di questo teorema. Se F e omogenea di grado k allora le sue derivate parziali ∂F/∂vi

sono omogenee di grado k−1. Infatti, derivando parzialmente l’uguaglianza precedente rispettoa vj , risulta

vi∂2F

∂vi∂vj= (k − 1)

∂F

∂vj.

Se in particolare e k = 1 si trova che

vi∂2F

∂vi∂vj= 0.

Di qui si trae che se una lagrangiana e omogenea di grado 1 nelle velocita allora essa e neces-sariamente non regolare, perche valgono le equazioni

qi gij = 0

con le (qi) non necessariamente nulle.

Lezioni di Meccanica Razionale

Page 203: Lezioni Di Meccanica Razionale

54 Cap. 4 - Meccanica Lagrangiana § 4.11

e di conseguenza

E =∂L

∂qiqi − L =

∂T

∂qiqi − T − U = T − U. •

Definizione 2. Dato un sistema lagrangiano (Q, L) ed un sistema di coordinate (qi) sullavarieta Q, le funzioni

pi =∂L

∂qi(5)

prendono il nome di momenti cinetici o impulsi. Una coordinata qi si dice ignorabile seessa non compare nella lagrangiana, cioe se si ha identicamente

∂L

∂qi= 0. • (6)

Teorema 2. Il momento corrispondente ad una coordinata ignorabile e un integrale primo.

Dimostrazione. Stante la definizione (5) le equazioni di Euler-Lagrange possono scriversi

dpidt

=∂L

∂qi. (7)

Se una coordinata qi e ignorabile il secondo membro e identicamente nullo e quindi pi e costante.

Osservazione 2. Per un sistema olonomo con potenziale U = α0 + αi qi i momenti cinetici

sono dati dapi = gij q

j + g0i + αi.

Nel caso di un punto libero e con potenziale indipendente dalla velocita i momenti cinetici (pi)coincidono con le componenti covarianti della quantita di moto p = mv: pi = m v · ei. •

Esempio 1. Per un punto libero e soggetto ad un campo conservativo la lagrangiana e (incoordinate cartesiane ortonormali)

L = 12 m

(x2 + y2 + z2

)+ U(x, y, z),

per cui px = m x, ecc. Se la forza e perpendicolare all’asse z allora il potenziale U non dipende daz perche Fz = ∂U

∂z. Dunque anche la lagrangiana non dipende da z e il corrispondente momento

cinetico pz e un integrale primo. Si ritrova cosı l’integrale primo della quantita di moto rispettoad una direzione. •

Esempio 2. Nel moto piano di un punto soggetto ad un campo centrale simmetrico la la-grangiana e (in coordinate polari)

L = 12m(r2 + r2ϑ2

)+ U(r).

Sergio Benenti

Page 204: Lezioni Di Meccanica Razionale

§ 4.11 Integrali primi dei sistemi lagrangiani 55

La coordinata ϑ e ignorabile. Pertanto il corrispondente momento cinetico

pϑ =∂L

∂ϑ= mr2ϑ

e un integrale primo. Si ritrova cosı l’integrale primo delle aree. •

Osservazione 3. Nei due esempi precedenti gli integrali primi sono conseguenza di un’invarian-za della lagrangiana: nel primo caso rispetto a traslazioni lungo una direzione, nel secondorispetto a rotazioni intorno ad un punto. Anche l’integrale primo dell’energia e conseguenzadi un’invarianza: rispetto alle traslazioni temporali. Da questo punto di vista il tempo t puoessere considerato come coordinata ignorabile. Questi fatti lasciano intravedere una relazionegenerale tra l’esistenza di integrali primi e l’invarianza della lagrangiana rispetto a trasformazionio simmetrie della varieta Q. •

Esempio 3. Il giroscopio pesante o trottola di Lagrange. Uno dei primi notevoli suc-cessi del metodo lagrangiano, in particolare rivolto alla ricerca di integrali primi, si ebbe nellostudio del moto di un corpo rigido pesante. Considerato un corpo rigido con un punto fissoO, si prendano come coordinate lagrangiane i tre angoli di Euler (θ, φ, ψ) della terna principaled’inerzia (i, j, k) in O rispetto ad una terna fissa (c1, c2, c3), secondo quanto convenuto al § 3.7.Le componenti (p, q, r) della velocita angolare ω secondo la terna (i, j, k) sono date dalle formule(3) di § 3.7.1. Poiche

T = 12 (Ap2 +B q2 +C r2),

con (A,B, C) momenti principali d’inerzia, utilizzando le suddette formule si trova

T = 12

(A (cosφ θ + sinφ sin θ ψ)2 + B (− sinφ θ + cosφ sin θ ψ)2+

+ C (cos θ ψ + φ)2).

Quest’espressione si semplifica notevolmente nel caso in cui A = B, cioe nel caso di un corporigido simmetrico (detto anche giroscopio). Essendo p2 + q2 = θ2 + sin2 θ ψ2, risulta infatti

T =A

2

(θ2 + sin2 θ ψ2

)+C

2

(cos θ ψ + φ)2.

Nel caso in cui il corpo rigido simmetrico intorno all’asse k sia soggetto alla sola forza peso(come accade per una trottola), osservato che il baricentro G si trova sull’asse di simmetria, ilpotenziale e dato da

U = −mg l cos θ,

dove l = |OG| (il versore c3 e verticale e orientato verso l’alto). La lagrangiana della trottola epertanto

L =A

2

(θ2 + sin2 θ ψ2

)+C

2

(cos θ ψ + φ)2 −mg l cos θ

Si osserva allora che φ e ψ sono coordinate ignorabili. Quindi i corrispondenti momenti cinetici

pφ =∂L

∂φ= C

(cos θ ψ + φ

)= Cr,

pψ =∂L

∂ψ=(A sin2 θ +C cos2 θ

)ψ +C cos θ φ,

Lezioni di Meccanica Razionale

Page 205: Lezioni Di Meccanica Razionale

56 Cap. 4 - Meccanica Lagrangiana § 4.12

sono integrali primi (2). Per l’energia totale si trova inoltre l’espressione

E =A

2θ2 +

(pψ − pφ cos θ)2

2A sin2 θ+p2φ

2C+mg l cos θ.

La presenza di questi tre integrali primi consente di riconoscere facilmente alcune interessantiproprieta del moto di una trottola. Infatti dall’integrale dell’energia si trae un’equazione diWeierstrass per l’angolo di nutazione θ, angolo che l’asse della trottola forma con la verticale.Meglio ancora, se si pone x = cos θ, si vede che l’integrale dell’energia si traduce nell’equazionedi Weierstrass

x2 = Φ(x), Φ(x) = (1− x2)(a− b x)− (c− d x)2,con le costanti (a, b, c, d) date da

a =1

A

(

2E −p2φ

C

)

, b =2

Amg l, c =

pψA, d =

pφA.

La funzione Φ(x) e un polinomio di terzo grado che tende a +∞ per x → +∞ (essendo b > 0con l 6= 0). Le costanti di moto ammissibili devono essere tali da non produrre tutti valorinegativi di Φ(x) nell’intervallo [−1, 1] (perche x = cos θ). Siccome Φ(±1) = − (c ∓ d)2 ≤ 0,escludendo i casi in cui si hanno degli zeri agli estremi (si osservi che gli angoli di Euler ψ eφ non sono definiti per θ = 0 e θ = π), si devono avere almeno due radici (x1, x2) all’internodi quest’intervallo (distinte o coincidenti). Pertanto l’angolo di nutazione, fatta eccezione per icasi esclusi, varia periodicamente tra i due valori (θ1, θ2) determinati da queste radici. Dai dueintegrali primi dei momenti cinetici si possono invece ricavare la velocita di precessione ψ e lavelocita di rotazione propria φ in funzione di θ. Risulta:

ψ =c− d x1− x2

, φ = e+x(d x− c)

1− x2,

posto ancora

e =pφC

=A

Cd.

Per quel che riguarda il moto di precessione si hanno tre casi, a seconda che lo zero di ψ,x0 = c

d, si trovi all’esterno o all’interno dell’intervallo (x1, x2) o coincida con uno degli estremi.

Se si trova all’esterno, ψ non cambia di segno e il moto di precessione e monotono; il punto Pintersezione dell’asse della trottola con la sfera unitaria di centro O descrive una curva di tiposinusoidale compresa tra i due meridiani (θ1, θ2). Se e interno, siccome ψ cambia di segno, si hainvece un moto ”inanellato”, cioe di tipo cicloidale accorciato. Se coincide con uno degli estremi,il moto di precessione non si inverte mai ma ha degli istanti di arresto, per cui la curva descrittadall’intersezione P presenta delle cuspidi. Infine, il caso in cui i due zeri coincidono corrispondea un moto di precessione regolare. Infatti in questo caso θ e costante e di conseguenza anche ψ eφ sono costanti. Questi moti di precessione sono stabili, nel senso che una piccola perturbazione

(2) Che la componente r secondo l’asse di simmetria k della velocita angolare sia un integraleprimo segue immediatamente dalla terza delle equazioni di Euler, Cr = (A−B) p q+Z, osservatoche la componente Z rispetto a tale asse del momento MO della forza peso e nulla.

Sergio Benenti

Page 206: Lezioni Di Meccanica Razionale

§ 4.12 Il principio dell’azione stazionaria 57

non produce sensibili effetti: infatti una piccola variazione delle costanti di moto non puo cheprodurre uno dei tre casi precedenti, con i due meridiani ravvicinati. •

4.12 Il principio dell’azione stazionaria

Sia Ω l’insieme di tutte le n-ple(qi(t)

)=(q1(t), . . . , qn(t)

)di funzioni reali di classe Ck sopra

intervalli contenenti un prefissato intervallo chiuso limitato [t1, t2] ⊂ R. Chiamiamo funzionale

un’applicazioneφ: Ω→ R

che ad ogni n-pla di funzioni fa corrispondere un numero reale. Un funzionale φ si dice dif-

ferenziabile nel ”punto” (qi(t)) ∈ Ω se per ogni scelta degli incrementi o variazioni(δqi(t)

)

tali che(qi(t) + δqi(t)

)∈ Ω sussiste un’uguaglianza del tipo

φ(qi + δqi

)= φ(qi) + δφ(qi, δqi) +R, (1)

con δφ funzionale lineare delle (δqi) ed R funzionale di ”ordine superiore” in tali incrementi.Con cio si vuol dire che se si considera una famiglia di variazioni del tipo

δqi = εηi, (2)

con(ηi(t)

)∈ Ω n-pla fissata a piacere ed ε parametro reale, osservato che risulta definita la

funzione realeF (ε) = φ(qi + εηi), (3)

allora il funzionale e differenziabile se per ogni scelta delle (ηi) risulta

F (ε) = F (0) +(A+ σ(ε)

)ε (4)

con A costante e σ(ε) infinitesimo per ε→ 0. Dal confronto della (1) con la (4) segue che

Aε = δφ(qi, εηi). (5)

Il funzionale δφ prende il nome di variazione prima del funzionale φ in (qi) ∈ Ω. Poiche dalla(4) segue

A =

(dF

)

ε=0

,

per la (5) risulta

δφ = ε

(dF

)

ε=0

. (6)

Questa formula consente di calcolare la variazione prima di φ attraverso la funzione F costruitacon una qualsiasi famiglia di incrementi del tipo (2).

Una classe importante di funzionali e costituita dai funzionali d’azione. Sia L = L(qi, qi, t)una funzione reale di classe C2 in un dominio aperto D ⊆ R

2n+1 (di coordinate (qi, qi, t)) taleda rendere definito l’integrale

φL(qi(t)

)=

∫ t2

t1

L(t, qi(t), qi(t)

)dt (7)

Lezioni di Meccanica Razionale

Page 207: Lezioni Di Meccanica Razionale

58 Cap. 4 - Meccanica Lagrangiana § 4.12

per ogni n-pla di funzioni reali(qi(t)

)di classe C1 sopra [t1, t2] (intendendo con qi le derivate di

queste funzioni). L’integrale (7) definisce un funzionale sopra l’insieme Ω di tali n-ple, funzionaleche chiamiamo azione associata alla funzione L.

La funzione L(qi, qi, t) puo intendersi come rappresentazione locale di una funzione L: TQ ×R → R (di classe C2 almeno), dove Q e una varieta differenziabile di coordinate locali (qi).Il funzionale φL e allora definito sull’insieme delle curve sopra la varieta Q i cui intervalli didefinizione contengono l’intervallo chiuso [t1, t2].

Teorema 1. Il funzionale d’azione φL e differenziabile e la sua variazione prima e

δφL = −∫ t2

t1

[L]iδqi dt+

[∂L

∂qiδqi]t2

t1

(8)

posto

[L]i =d

dt

∂L

∂qi− ∂L

∂qi. (9)

Dimostrazione. Occorre far ricorso al teorema sulla derivazione delle funzioni integrali: se

F (x) =

∫ β(x)

α(x)

f(x, y)dy

alloradF

dx=

∫ β(x)

α(x)

∂f

∂xdy + f

(x, β(x)

)β′(x)− f

(x, α(x)

)α′(x).

Applichiamo questa formula alla funzione F (ε) definita come nella (3) per il funzionale (7):

F (ε) =

∫ t2

t1

L(t, qi + εηi, qi + εηi

)dt.

Siccome gli estremi d’integrazione sono fissi si ha semplicemente

dF

dε=

∫ t2

t1

∂L

∂εdt =

∫ t2

t1

(∂L

∂qiηi +

∂L

∂qiηi)

dt.

Valendo l’uguaglianza∂L

∂qiηi =

d

dt

(∂L

∂qiηi)

− d

dt

(∂L

∂qi

)

ηi,

risulta (dF

)

ε=0

=

∫ t2

t1

(∂L

∂qi− d

dt

∂L

∂qi

)

ηi dt+

[∂L

∂qiηi]t2

t1

.

Di qui, moltiplicando per ε in accordo con la (6) e tenuto conto della (2), si ottiene la (8). Siosservi che questo ragionamento non dipende dalla scelta della famiglia di variazioni del tipo(2).

Sergio Benenti

Page 208: Lezioni Di Meccanica Razionale

§ 4.12 Il principio dell’azione stazionaria 59

Definizione 1. Una variazione(δqi(t)

)si dice ad estremi fissi se δqi(t1) = δqi(t2) = 0. •

Fig. 4.12.1 - Variazioni ad estremi fissi (− −−) e no (− · −).

Teorema 2. Le funzioni(qi(t)

)per le quali si ha

δφL = 0 (10)

per ogni variazione ad estremi fissi sono tutte e sole le soluzioni delle equazioni differenziali

d

dt

(∂L

∂qi

)

− ∂L

∂qi= 0 (11)

Dimostrazione. Dalla (8) segue che per ogni variazione ad estremi fissi

δφL = −∫ t2

t1

[L]iδqi dt.

E ovvio che [L]i = 0 implica δφL = 0. Viceversa, se δφL = 0 per ogni δqi, con δqi(t1) = δqi(t2) =0, allora necessariamente [L]i = 0 per ogni indice i. Infatti se fosse per esempio [L]1 positivoin un certo punto t∗, quindi in tutto un suo intorno I∗ ⊂ [t1, t2], prendendo una variazione conδq2 = . . . = δqn = 0 e δq1 funzione di classe C1 non negativa con supporto contenuto in I∗,risulterebbe chiaramente δφL < 0 e non δφL = 0: assurdo.

Le curve(qi(t)

)soddisfacenti al Teorema 2, quindi le soluzioni del sistema (11), prendono il

nome di estremali o punti critici del funzionale d’azione φL. Si dice anche che esse rendonostazionario il funzionale.

E notevole il fatto che le equazioni (11) coincidono proprio con le equazioni di Euler-Lagrangedel sistema lagrangiano (Q, L). Si puo allora affermare che la dinamica di un sistema lagrangianoe costituita da tutte e sole le curve sulla varieta Q che sono estremali del funzionale φL, pervariazioni ad estremi fissi. Questa proprieta, assunta come postulato della meccanica, prende ilnome di principio dell’azione stazionaria (o anche della minima azione).

Lezioni di Meccanica Razionale

Page 209: Lezioni Di Meccanica Razionale

60 Cap. 4 - Meccanica Lagrangiana § 4.12

Questo principio, sostituibile a quello di D’Alembert-Lagrange nel caso di un sistema olonomoa vincoli perfetti e soggetto a sollecitazioni attive dotate di potenziale (dove la lagrangiana eL = T +U), rientra in una classe di principi di stazionarieta o di minimo assunti a fondamentodi molte teorie, per esempio il principio di Fermat per la propagazione della luce (Pierre deFermat, 1601-1665).

Osservazione 1. Su di una varieta riemanniana (Q, g) e del tutto naturale considerare ilfunzionale

φG =

∫ t2

t1

gijqiqj dt, (12)

di lagrangiana

G =√

gijqiqj . (13)

Questo funzionale associa ad ogni curva parametrizzata suQ, definita in un intervallo contenente[t1, t2], la lunghezza dell’arco da essa descritto tra i due punti estremi corrispondenti ai valori t1e t2 del parametro. Infatti G e il modulo o lunghezza del vettore tangente v = (qi) alla curva.Chiamiamo geodetica ogni curva su Q estremale del funzionale φG. Le geodetiche sono dunquele curve a lunghezza stazionaria (eventualmente minima) rispetto a curve prossime aventi glistessi estremi. Esaminiamo il legame tra il funzionale φG ed il funzionale

φT = 12

∫ t2

t1

gij qiqjdt, (14)

di lagrangiana

T = 12G2 = 1

2gij q

iqj . (15)

Questa e la lagrangiana dei moti spontanei di un sistema olonomo a vincoli indipendenti daltempo, cioe di quei moti relizzati in assenza di forze attive (U = 0) per cui la lagrangiana coincidecon l’energia cinetica T (la quale a sua volta coincide con l’energia totale, che e costante di moto).Le condizioni di stazionarieta δφG = 0 e δφT = 0 non sono equivalenti in senso stretto, poichenon producono le stesse curve estremali. Infatti, mentre la lagrangiana T e regolare e quindiproduce equazioni di Euler-Lagrange soddisfacenti al teorema di esistenza ed unicita, non loe invece la lagrangiana G, che e una funzione omogenea di grado 1 nelle velocita (si veda lanota (1) di §4.10). La non unicita delle soluzioni, con posizione e velocita iniziale assegnate,e resa evidente dal fatto che l’integrale (12) e invariante rispetto alla parametrizzazione dellacurva, cioe che la stessa traiettoria su Q puo essere percorsa, sempre nell’intervallo [t1, t2], conuna qualunque legge temporale e quindi con una qualunque velocita, senza per questo mutarel’integrale (12). Se ci si limita a considerare le estremali percorse con velocita costante, cioe seoltre alla condizione di stazionarieta δφG = 0 si impone il vincolo

G =√

gijqiqj = costante,

allora le estremali di φG coincidono con le estremali di φT . Infatti le equazioni di Euler-Lagrangecorrispondenti a G sono

d

dt

gijqj

G− 1

2G∂ighkq

hqk = 0.

Sergio Benenti

Page 210: Lezioni Di Meccanica Razionale

§ 4.12 Il principio dell’azione stazionaria 61

Se si impone il vincolo della velocita costante si trovano le equazioni

d

dt

(gijq

j)− 1

2∂ighkq

hqk = 0,

che sono proprio le equazioni di Euler-Lagrange corrispondenti alla lagrangiana T e che siriducono alle equazioni delle geodetiche (si veda § 4.8). •

4.12.1 Cenni di calcolo delle variazioni

Il Teorema 2 e il teorema fondamentale del calcolo delle variazioni. Questo teorema,insieme ad alcune sue varianti ed estensioni, e infatti la base su cui poggia la teoria dei massimie minimi dei funzionali d’azione (calcolo delle variazioni).

Accenniamo a due problemi classici risolti con tale calcolo, il problema degli isoperimetri e ilproblema della catenaria. A questo scopo e necessario l’utilizzo di una variante al teoremafondamentale, che tiene conto di una eventuale condizione supplementare, o vincolo, sullevariazioni (δqi). Questo vincolo e espresso dall’invarianza di un integrale del tipo

φV =

∫ t2

t1

V (qi, qi, t) dt (1)

quindi dalla condizioneδφV = 0. (2)

Si puo dimostrare che

Teorema 1. Le funzioni(qi(t)

)che rendono stazionario un funzionale d’azione φL con variazioni

ad estremi fissi soddisfacenti al vincolo (2) sono tutte e sole quelle che rendono stazionario ilfunzionale d’azione φL∗ associato alla lagrangiana

L∗ = L+ λV, (3)

dove λ e un parametro reale costante, detto moltiplicatore di Lagrange.

Cio significa che il funzionale da considerarsi e

φL∗ = φL + λ φV , (4)

e che quindi le equazioni di Euler-Lagrange sono

d

dt

∂L∗

∂qi− ∂L∗

∂qi= 0, (5)

con la lagrangiana L∗ data dalla (3) e con la condizione dλ/dt = 0.

Questo teorema e analogo al teorema, pure dovuto a Lagrange, sui massimi e minimi vincolati

o condizionati di una funzione reale a piu variabili: i punti di stazionarieta (cioe i punti critici)di una funzione F (xα) soddisfacenti ad un’equazione di vincolo V (xα) = 0 sono i punti criticidella funzione F ∗ = F + λ V , λ ∈ R. Una sua dimostrazione ”geometrica” e la seguente.

Lezioni di Meccanica Razionale

Page 211: Lezioni Di Meccanica Razionale

62 Cap. 4 - Meccanica Lagrangiana § 4.12

Interpretata l’equazione del vincolo come equazione di una superficie S nello spazio delle (xα),la condizione di stazionarieta condizionata si traduce nella stazionarieta della restrizione F |Sdella funzione F alla superficie S, cioe alla condizione 〈v, dF 〉 = 0 per ogni vettore v tangentea S, quindi per ogni vettore tale che 〈v, dV 〉 = 0. Cio equivale a dire che su ogni punto di S idifferenziali dF e dV (ovvero i rispettivi gradienti) sono dipendenti (ovvero paralleli), cioe chedeve esistere un λ per cui dF + λdV = 0, ovvero d(F + λV ) = 0, inteso dλ = 0.

Esempio 1. Il problema degli isoperimetri. Si vuole stabilire quali siano le curve pianechiuse che a parita di lunghezza racchiudono aree massime. Per far questo ci si puo limitareinizialmente a considerare il caso di una curva chiusa costituita da un intervallo [x1, x2] sull’assex e dal grafico di una funzione y = f(x) di classe C2, nulla agli estremi. Il funzionale φL darendere stazionario e quello dell’area,

φL =

∫ x2

x1

y dx,

il quale quindi corrisponde alla lagrangiana

L(x, y, y′) = y.

Il vincolo e rappresentato dalla costanza della lunghezza della curva cioe del funzionale

φV =

∫ x2

x1

ds =

∫ x2

x1

1 + y′2 dx,

il quale corrisponde alla lagrangiana

V (x, y, y′) =

1 + y′2.

Rispetto alle notazioni generali prima usate abbiamo nel caso presente n = 1, t = x (variabileindipendente), q = y e q = v = y′. Si tratta quindi effettivamente di un problema con variazionivincolate ed a estremi fissi (Fig. 4.12.2a).

La lagrangiana da considerarsi e allora

L∗ = y + λ

1 + y′2

e l’equazione di Euler-Lagrange e di conseguenza

d

dx

∂L∗

∂y′− ∂L∗

∂y= λ

d

dx

y′√

1 + y′2− 1 = 0.

Posto c = 1λ , segue che

y′√

1 + y′2= cx,

modulo una costante additiva, che riteniamo nulla, alla quale corrisponde una inessenzialetraslazione lungo l’asse x. Dalla formula precedente segue

y′ =cx√

1− c2x2,

Sergio Benenti

Page 212: Lezioni Di Meccanica Razionale

§ 4.12 Il principio dell’azione stazionaria 63

quindi, con semplice integrazione,

y = b− 1

c

1− c2x2, b ∈ R.

Elevando al quadrato si conclude che la curva cercata ha equazione

(y − b)2 + x2 = λ2.

Si tratta di una circonferenza di raggio λ (Fig. 9.2.b). Abbiamo allora dimostrato che le curveche risolvono il problema degli isoperimetri sono gli archi di circonferenza, in particolare che lecurve regolari chiuse del piano che a parita di lunghezza racchiudono l’area maggiore sono lecirconferenze. •

(a) (b)

Fig. 4.12.2

Esempio 2. La catenaria. Si vuole stabilire quale sia la curva descritta da un cavo inestendibilee omogeneo (per esempio una catena sottile) appeso a due estremi fissi, in equilibrio sotto lasola azione della forza peso. Si tratta di un classico problema di statica. Si puo far ricorsoal principio di Torricelli (Evangelista Torricelli, 1608-1647) secondo il quale in condizioni diequilibrio il baricentro della catena occupa la piu bassa posizione possibile. Questo principio sitraduce nell’equazione variazionale

δzG = 0.

La quota zG del baricentro e il funzionale (la catena e supposta omogenea e di massa unitaria)

zG = φL =

∫ x2

x1

z ds =

∫ x2

x1

z√

1 + z′2dx

corrispondente alla lagrangiana

L(x, z, z′) = z√

1 + z′2,

considerata la curva z = z(x) descritta dalla catena sul piano (x, z) di asse verticale z. Il vincoloe ancora rappresentato dall’invarianza della lunghezza, quindi del tipo considerato nell’esempioprecedente. Dunque la lagrangiana del problema e

L∗ = (z + λ)√

1 + z′2.

Lezioni di Meccanica Razionale

Page 213: Lezioni Di Meccanica Razionale

64 Cap. 4 - Meccanica Lagrangiana § 4.13

Tuttavia, con la sostituzione z + λ→ z corrispondente ad una traslazione verticale, ci si riducea considerare la lagrangiana

L∗ = z√

1 + z′2

la cui equazione di Euler-Lagrange e

d

dx

∂L∗

∂z′− ∂L∗

∂z=

d

dx

(

zz′√

1 + z′2

)

−√

1 + z′2 = 0.

Appare evidente la soluzione

z =1

acosh a(x− b),

perche e

1 + z′2

= 1 + sinh2 a(x− b) = cosh2 a(x− b) = a2z2

e quindizz′

1 + z′2=

1

az′,

per cui l’equazione differenziale e chiaramente soddisfatta. Tenendo conto che e sempre disponi-bile una traslazione verticale, le curve estremali del problema variazionale originario sono lefunzioni

z =1

acosh a(x− b)− λ.

Le costanti (a, b, λ) devono determinarsi assegnate le posizione degli estremi della catena. Ecomunque dimostrato che la catenaria e un arco di coseno iperbolico. •

4.13 Equilibrio e stabilita

Le considerazioni generali svolte al § 1.5 sulla stabilita dei punti critici (o punti singolari) di uncampo vettoriale su di uno spazio affine, avendo carattere ”locale”, possono adattarsi al caso diun campo vettoriale lagrangianoXL corrispondente ad un sistema olonomo conservativo, le cuiequazioni del primo ordine sono del tipo (§ 4.8)

dqi

dt= qi,

dqi

dt= F i − Γihj q

h qj ,

(1)

conF i = gij ∂jU. (2)

I punti critici di XL sono i punti di TQ in cui XL = 0 e quindi i punti in cui si annullano simul-taneamente i secondi membri del sistema (1). Essi sono pertanto caratterizzati dalle condizioni

F i = 0, qi = 0. (3)

Si puo allora affermare che:

Sergio Benenti

Page 214: Lezioni Di Meccanica Razionale

§ 4.13 Equilibrio e stabilita 65

Teorema 1. I punti critici del campo lagrangianoXL sono gli atti di moto nulli corrispondentialle configurazioni in cui si annullano le forze lagrangiane.

Per quanto visto al § 1.5 segue che se il sistema si trova inizialmente nelle condizioni (3) vi restaindefinitamente. E allora naturale dare la

Definizione 1. Una configurazione q0 ∈ Q e configurazione di equilibrio se, posto il sistemain quella configurazione con atto di moto nullo (cioe con tutti i suoi punti a velocita nulla), essovi permane indefinitamente. •

Risulta di conseguenza dimostrato che:

Teorema 2. Una configurazione q0 ∈ Q e di equilibrio se e solo se in essa si annullano le forzelagrangiane, ovvero se e solo se e punto critico (o di ”stazionarieta”) del potenziale: dU(q0) = 0.

Per giustificare questa seconda parte dell’enunciato va osservato che la condizione F i = 0 equivalea

∂U

∂qi= 0. (4)

Le configurazioni di equilibrio si determinano pertanto risolvendo il sistema di n equazioni”algebriche” (4)”: ogni n-pla (qi0) che lo soddisfa rappresenta una configurazione di equilibrio.

Adattiamo ora al caso di un sistema olonomo (del tipo qui considerato) la nozione di stabilitadata dalla Def. 1 di § 1.5.

Definizione 2. Una configurazione q0 ∈ Q e di equilibrio stabile (risp. instabile) se ilcorrispondente atto di moto nullo e punto critico stabile (risp. instabile) del campo XL.

La stabilita di una configurazione di equilibrio puo essere riconosciuta attraverso il teorema di

Lagrange-Dirichlet (Gustav Peter Lejeune Dirichlet, 1805-1859):

Teorema 3. Una configurazione di equilibrio e stabile se in essa il potenziale U ha un massimolocale in senso stretto (ovvero se l’energia potenziale V = −U ha un minimo locale in sensostretto).

Dimostrazione. Si puo applicare il criterio di Lyapunov al punto critico del campo XL, cor-rispondente all’atto di moto nullo nella configurazione q0 considerata, prendendo come funzionedi Lyapunov l’energia totale E = T − U = T + V , che e un integrale primo (Oss. 1, § 1.5). Seinfatti in q0 l’energia potenziale V ha un minimo stretto, supposto V (q0) = 0, nell’intorno di q0(escluso q0) si ha V > 0. Per l’atto di moto nullo si ha ovviamente T = 0, quindi nel suo intornosi ha E = V + T > 0 non potendo essere l’energia cinetica negativa. Pertanto E ha un minimostretto.

Si noti che la condizione di massimo stretto del potenziale e una condizione solo sufficienteper la stabilita. Per ottenere una condizione necessaria, e quindi invertire il teorema, occorreaggiungere ulteriori ipotesi sul potenziale. Tra i vari criteri di instabilita o ”teoremi inversi diLagrange-Dirichlet” che sono stati dimostrati va ricordato il criterio di instabilita di Cetaiev

(1930):

Lezioni di Meccanica Razionale

Page 215: Lezioni Di Meccanica Razionale

66 Cap. 4 - Meccanica Lagrangiana § 4.13

Teorema 4. Se una configurazione di equilibrio non e di massimo stretto del potenziale e setale fatto e riconoscibile dall’analisi dei valori delle derivate parziali del potenziale in quellaconfigurazione allora l’equilibrio e instabile (1).

Per applicare questo criterio occorre osservare che il ”carattere” di un punto stazionario di unafunzione (cioe l’essere un minimo o un massimo o una sella) e in genere deducibile dall’analisidel suo sviluppo di Taylor in quel punto, quindi in prima istanza dalle sue derivate seconde (lederivate prime sono nulle)

Hij =

(∂2U

∂qi∂qj

)

q0

(5)

Queste formano una matrice simmetrica, detta matrice hessiana, e quindi definiscono unaforma quadratica H , dalla cui segnatura (p, q) e possibile, salvo in un caso, determinare ilcarattere della configurazione di equilibrio:

(a) Se la segnatura e (n, 0), cioe se la forma quadratica e definita positiva, si ha in q0 un minimolocale stretto del potenziale e di conseguenza l’equilibrio e instabile per il criterio di Cetaiev.

(b) Se la segnatura e (0, n), cioe se la forma quadratica e definita negativa, si ha un massimolocale stretto e l’equilibrio e stabile per il criterio di Lagrange-Dirichlet.

(c) Se la segnatura e (p, q) con p e q non entrambi nulli non si ha ne massimo ne minimo (eindifferente il fatto che la matrice (Hij) sia o no singolare) e l’equilibrio e instabile per il criteriodi Cetaiev.

(d) Se la matrice hessiana e singolare (H = det[Hij ] = 0) e la segnatura e (p, 0) o (0, q), alloraoccorre passare all’esame delle derivate parziali di ordine superiore.

Osservazione 1. Calcolo della segnatura di una forma quadratica. La segnatura di unaforma quadratica si puo facilmente calcolare col metodo seguente. Data la matrice quadrataHn = (Hij) delle sue componenti rispetto ad una qualunque base, si sceglie una qualunquesuccessione (H1,H2, . . . ,Hn−1) di sue sottomatrici quadrate principali di ordine crescente da1 a n − 1, ciascuna contenuta nella successiva (una sottomatrice quadrata e principale se lasua diagonale principale e contenuta nella diagonale principale della matrice completa Hn). Siesamina quindi la successione degli n + 1 numeri

1, H1, detH2, . . . , detHn−1, detHn. (6)

Allora il numero q della segnatura (p, q) di H (vale a dire il numero dei vettori a norma negativain una base canonica rispetto a H) e uguale al numero delle variazioni di segno degli elementidi questa successione, dalla quale vanno tolti gli eventuali zeri. Il numero p (dei vettori a normapositiva di una base canonica) si trae dall’uguaglianza p+ q = r dove r e il rango della matriceHn, cioe il massimo ordine delle sue sottomatrici quadrate a determinante non nullo. Puoaccadere che la matrice hessiana (Hij) risulti diagonale, cioe che si abbia Hij = 0 per i 6= j.Allora la segnatura (p, q) e data dal numero p degli elementi Hii positivi e dal numero q di quellinegativi. Per n = 2 si puo considerare la successione

1, H11, H = H11H22 −H212.

(1) Come precisato da studi recenti dei matematici russi Koslov e Palamodov, si richiede lariconoscibilita dell’esistenza del minimo stretto dall’analisi del primo termine omogeneo nonidenticamente nullo dello sviluppo di Taylor del potenziale.

Sergio Benenti

Page 216: Lezioni Di Meccanica Razionale

§ 4.13 Equilibrio e stabilita 67

I casi sopra elencati corrispondono allora alle condizioni seguenti:

(a) H > 0, H11 > 0, minimo → eq. instabile(b) H > 0, H11 < 0, massimo → eq. stabile(c) H < 0, sella → eq. instabile(d) H = 0. analizzare le derivate superiori •

Osservazione 2. Piccole oscillazioni nell’intorno di una configurazione di equilibrio

stabile. Si consideri una configurazione di equilibrio stabile q0, in cui il potenziale ha unmassimo stretto, con matrice hessiana regolare, det[Hij] 6= 0. Questa condizione di regolaritanon dipende dalla scelta delle coordinate (qi) nell’intorno di q0. Si supponga inoltre il potenzialeU di classe C3 almeno, nell’intorno di q0. In questo caso diciamo che q0 e una configurazionedi equilibrio stabile regolare o non degenere. Nell’ambito della teoria delle vibrazioni lamatrice (Hij) viene chiamata matrice di rigidezza. Se le coordinate lagrangiane sono scelte inmodo da annullarsi tutte in q0 e se inoltre si pone U(q0) = 0, allora per la formula di Taylor (conresto di Lagrange) il potenziale U e approssimabile nell’intorno di q0 dal polinomio di secondogrado omogeneo nelle (qi)

U = 12Hij q

i qj . (7)

(in q0 si annullano anche le derivate prime di U), a valori sempre negativi (salvo che per le qi

tutte nulle). Per l’energia cinetica si puo d’altra parte considerare l’approssimazione

T = T + . . .= 12Mij q

i qj + . . . , (8)

postoMij = gij(q0). (9)

Alla matrice quadrata simmetrica (Mij), chiamata matrice di massa, corrisponde una formaquadratica M definita positiva (l’energia cinetica nella configurazione q0). Con le approssi-mazioni (7) e (8) del potenziale e dell’energia cinetica le equazioni di Lagrange si riducono a

Mij qj −Hij q

j = 0. (10)

Si noti bene che le matrici (Mij) e (Hij) sono costanti. Queste equazioni prendono il nome diequazioni di Lagrange linearizzate nella configurazione di equilibrio q0. Le sue soluzionidescrivono le cosiddette piccole oscillazioni del sistema nell’intorno della configurazione diequilibrio stabile. Anche se la questione richiederebbe un’analisi rigorosa, e intuibile che questesoluzioni sono tanto piu ”vicine” alle soluzioni esatte (cioe delle equazioni di Lagrange non lin-earizzate) quanto piu ”piccoli” sono i valori iniziali dell’energia cinetica e delle coordinate. Ilsistema di equazioni differenziali (10) si puo integrare trasformandolo con un opportuno cambia-mento di coordinate in un sistema di n equazioni separate, coinvolgenti cioe ciascuna una singolacoordinata. Il procedimento di trasformazione e suggerito dalla teoria delle forme bilineari neglispazi euclidei. Si consideri il sistema di equazioni agli autovettori

(Hij − xMij

)vj = 0 (11)

e la corrispondente equazione caratteristica

det[Hij − xMij

]= 0. (12)

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Page 217: Lezioni Di Meccanica Razionale

68 Cap. 4 - Meccanica Lagrangiana § 4.13

Per il teorema sulle forme bilineari simmetriche negli spazi strettamente euclidei (qui la matricedi massa svolge il ruolo di tensore metrico), essendo la forma quadratica H definita negativa,l’equazione caratteristica (12) ammette n radici reali negative (λ1, λ2, . . . , λn). Risultano alloradeterminati n numeri positivi (ω1, ω2, . . . , ωn), detti pulsazioni proprie o caratteristiche,tali che

λ1 = −ω21 , λ2 = −ω2

2 , . . . , λn = −ω2n. (13)

Per ogni autovalore λk si consideri un corrispondente autovettore vk. Le sue componenti (vjk)sono soluzioni del sistema

(Hij − λkMij

)vjk = 0. (14)

In tal modo si puo costruire una base di autovettori (v1, v2, . . . , vn). L’indipendenza di questiautovettori equivale alla regolarita della matrice delle componenti (vjk): det[vjk] 6= 0. Cio posto,si considerino nuove coordinate (si) legate alle (qi) dalle relazioni lineari (invertibili)

qj = vjk sk. (15)

Tenuto conto della (14) si ha

Mij qj = Mij v

jk s

k,

Hij qj = Hij v

jk s

k = λkMij vjk s

k,

e le equazioni di Lagrange linearizzate (10) diventano

Mij vjk

(sk − λk sk

)= 0. (16)

Poichedet[Mij v

jk] = det[Mij ] det[vjk] 6= 0,

il sistema di equazioni (16) e equivalente alle n equazioni ”separate”

sk + ω2k s

k = 0 (k indice non sommato) (17)

ciascuna coinvolgente una sola funzione incognita sk. Ognuna di queste e un’equazione del

moto armonico ed ammette un integrale generale del tipo

sk(t) = Ak sin(ωk t+ φk), (19)

con Ak e φk costanti arbitrarie (ampiezza e fase). In conclusione:

Teorema 5. I moti di un sistema olonomo conservativo nell’intorno di una configurazione diequilibrio stabile regolare sono la composizione di n moti armonici secondo le autodirezioni dellamatrice di rigidezza rispetto alla matrice di massa, con pulsazioni date dalle radici quadrate deivalori assoluti degli autovalori.

Le autodirezioni vengono anche dette modi.

Sergio Benenti

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§ 4.14 Sistemi olonomi con vincoli di velocita 69

4.14 Sistemi olonomi con vincoli di velocita

Ad un sistema lagrangiano possono essere imposti vincoli addizionali, di posizione o di velocita.Ci limitiamo per semplicita a considerare soltanto sistemi olonomi e vincoli t-indipendenti.

Sia Q la varieta delle configurazioni del sistema, di dimensione n. Un vincolo di config-

urazione o olonomo e rappresentato da un sottoinsieme S ⊂ Q: il sistema e costretto adassumere soltanto le configurazioni q ∈ S. Se in particolare S e una sottovarieta, questa assumein effetti il ruolo di varieta delle configurazioni. Tuttavia, il considerare un sistema meccanicodi questo tipo come sistema a n gradi di liberta ma sottoposto ad ulteriori vincoli di config-urazione puo risultare utile in certi casi, per esempio quando si vogliano calcolare le ”reazionivincolari” (si veda piu avanti), oppure quando non e immediato riconoscere la struttura di S (disolito definito da un sistema di equazioni), oppure quando non e conveniente usare coordinatelagrangiane su S.

Esempio 1. Due punti sono vincolati a due circonferenze complanari di ugual raggio l (duependoli piani) e senza intersezioni: a > 2l con a distanza dei due centri. La varieta delleconfigurazioni e Q = T2. Si impone quindi il vincolo di rigidita: i due punti vengono mantenutia distanza costante b (i due pendoli sono congiunti da un’asta rigida). Sebbene non sia a primavista evidente, il vincolo S e una sottovarieta diffeomorfa a S1 (esclusi i casi b = a e b = a± 2l).•Un vincolo di velocita e invece rappresentato da un sottoinsieme C ⊂ TQ. In particolareun vincolo di velocita e lineare se per ogni configurazione q ∈ Q l’insieme degli atti di motoCq = C ∩ TqQ compatibili col vincolo nella configurazione q, se non vuoto, e un sottospaziodi TqQ. Osserviamo che un vincolo di configurazione S implica un vincolo di velocita lineareC = TS: gli atti di moto possibili sono tutti e soli i vettori tangenti a S. Se S e una sottovarietarappresentata da un sistema di k equazioni indipendenti

Sα(qi) = 0 (α = 1, . . . , k) (1)

allora TS e espresso, insieme alle (1), dalle equazioni

∂iSα qi = 0. (2)

Se non si e in questo caso si ha un vincolo di velocita in senso stretto o non integrabile.Diciamo che un vincolo di velocita C ⊂ TQ e regolare se C e una sottovarieta e se per ogniq ∈ Q il sottinsieme Cq e una sottovarieta di TqQ di dimensione costante cioe non dipendenteda q ∈ Q (si ricordi che ogni spazio vettoriale tangente TqQ e una sottovarieta di TQ; questesottovarieta sono dette ”fibre” del fibrato tangente TQ, §4.2). Se la sottovarieta C ⊂ TQha codimensione m allora puo essere rappresentata localmente da un sistema di m equazioniindipendenti

Ca(qi, qi) = 0 (a = 1, . . . , m) (3)

nelle coordinate e velocita lagrangiane: sono ammissibili solo gli atti di moto le cui coordinatesoddisfano alle (3). Si noti che nel caso di un vincolo di velocita C = TS conseguente ad unvincolo di posizione S le equazioni (3) sono date dal sistema (1)-(2). Per definizione, le equazioni(3) sono indipendenti se in ogni punto di C i differenziali dCa sono linearmente indipendenti,vale a dire se la la matrice m× 2n delle derivate parziali

(∂Ca

∂qi,∂Ca

∂qi

)

(4)

Lezioni di Meccanica Razionale

Page 219: Lezioni Di Meccanica Razionale

70 Cap. 4 - Meccanica Lagrangiana § 4.14

ha rango massimo. Il vincolo e regolare quando in particolare e massimo il rango della matricem× n delle derivate parziali rispetto alle velocita lagrangiane:

(∂Ca

∂qi

)

. (5)

Il vincolo e lineare se le equazioni (3) sono lineari (omogenee) nelle velocita lagrangiane:

Cai qi = 0 (6)

con Cai funzioni delle sole coordinate lagrangiane.

Estendendo ai sistemi olonomi il postulato delle reazioni vincolari della meccanica newtonianapossiamo assumere che il moto di un sistema olonomo vincolato sia retto dalle equazioni

[T ]i = ϕi + ρi (7)

dove [T ]i sono i primi membri delle equazioni di Lagrange, costruiti a partire dall’energia cineticaT , ϕi sono le forze lagrangiane (forze attive) e dove le ρi sono le forze lagrangiane reattive

responsabili del soddisfacimento del vincolo. Per quanto visto al §4.8 le equazioni di Lagrange(7) si sintetizzano nell’equazione vettoriale sopra la varieta delle configurazioni

a = F +R (8)

dove i vettori hanno componenti

ai = gij [T ]j, F i = gij ϕj , Ri = gij ρj. (9)

Per le forze reattive occorre postulare (come nel caso della dinamica del punto vincolato) dellecondizioni costitutive atte a rappresentare le caratteristiche fisiche del vincolo. Diciamo cheil vincolo di velocita e perfetto o ideale se le forze reattive sono del tipo

ρi = λaCai (10)

dove λa sono dei moltiplicatori di Lagrange (parametri indeterminati), posto

Cai =∂Ca

∂qi. (11)

La scelta di questa condizione costitutiva puo essere giustificata in vari modi, ricorrendo adun’estensione del concetto di spostamento virtuale e del principio di d’Alembert-Lagrange oppuread altri princıpi, tra i quali il principio di Gauss, che qui non discutiamo. Qui ci limitiamoad osservare che nel caso di un vincolo di configurazione S il corrispondente vincolo di velocitaC = TS e espresso dalle equazioni (1)-(2) per cui le derivate parziali (11) non identicamentenulle sono

Cαi = ∂iSα. (12)

In questo caso l’assunzione (10) significa che il vincolo e perfetto o ideale nel senso dei sistemiolonomi (§4.7). Infatti, siccome uno spostamento virtuale compatibile col vincolo e un vettore

Sergio Benenti

Page 220: Lezioni Di Meccanica Razionale

§ 4.14 Sistemi olonomi con vincoli di velocita 71

tangente a S, le sue componenti (δqi) soddisfano all’equazione (2) e quindi dalla (10) segue chela potenza virtuale delle forze reattive e identicamente nulla:

ρi δqi = λαC

αi δq

i = 0.

Un’altra osservazione che giustifica l’uso dell’equazione costitutiva (10) e che, almeno nel casodi un vincolo di velocita omogeneo, la potenza delle forze reattive e nulla. In questo casoinfatti le funzioni Ca sono omogenee (di grado p) nelle velocita lagrangiane, per cui Cai q

i = pCa

e quindiρi q

i = p λaCa = 0,

quando il vincolo e soddisfatto.

Dalle considerazioni precedenti risulta che il modello matematico per la dinamica di un sistemaolonomo con vincoli perfetti (di configurazione o di velocita) e basato sul sistema di equazioni

d

dt

(∂T

∂qi

)

− ∂T

∂qi= ϕi + λa

∂Ca

∂qi

Ca(qi, qi) = 0(i = 1, . . . , n)(a = 1, . . . , m)

(13)

Le prime sono le equazioni di Lagrange con moltiplicatori, le seconde sono le equazioni delvincolo. Occorre allora indagare se un tale sistema di equazioni ammette soluzioni e se questesono univocamente determinate dalle condizioni iniziali. Almeno per i sistemi con vincoli divelocita regolari la risposta, affermativa, e data dal seguente teorema (1).

Teorema 1. I moti di un sistema olonomo con vincolo di velocita regolare C ⊂ TQ, rappre-sentato dalle equazioni (3), sono dati dalle curve integrali basate in C del campo vettoriale Xsu TQ tangente a C il cui sistema differenziale e

dqi

dt= qi

dqi

dt= − Γijk q

j qk + F i + Ri(14)

doveRi = Aab ΛaCbi, (15)

posto

Cai = gij Caj ,

Λa = − ∂iCa qi + Cai(Γijk q

j qk − F i),

Aab = gij Cai Cbj = Cai C

bi,

(16)

essendo (Aab) la matrice inversa della matrice (Aab) e le Cai definite dalle (11).

(1) Per i sistemi con vincoli di posizione si puo invece dimostrare un teorema di esistenza edunicita analogo a quello visto per il punto vincolato ad una superficie liscia, § 3.4.

Lezioni di Meccanica Razionale

Page 221: Lezioni Di Meccanica Razionale

72 Cap. 4 - Meccanica Lagrangiana § 4.14

Dimostrazione. Il sistema differenziale (14) e la riduzione al primo ordine in forma normaledelle equazioni di Lagrange (13)1, che sono del secondo ordine in forma non normale, postoRi = gij λaC

aj . Con la posizione (16)1 si ha Ri = λaC

ai. Si tratta quindi di determinare imoltiplicatori λa in modo che il vincolo sia sempre soddisfatto. Questo significa che le curveintegrali di X basate in punti di C devono giacere sempre su C, ovvero che il campo vettorialeX sopra TQ deve essere tangente alla sottovarieta C. La condizione di tangenza 〈X, dCa〉 = 0si traduce nelle equazioni

∂iCa qi +Cai

(F i − Γijk q

j qk +Ri)

= 0

(al solito denotiamo con ∂i la derivata rispetto alla coordinata qi). Con la posizione (16)2 questaequivale a

Λa = Cai Ri. (17)

E conveniente a questo punto dare un’interpretazione vettoriale a queste scritture. Siano Ca ivettori tangenti a Q di componenti Cai (definizione (16)1). Le Cai sono quindi le componenticovarianti di tali vettori, o se si vuole le componenti delle 1-forme associate. Si noti bene chequesti vettori dipendono in generale dalle velocita, cioe non solo dal punto q ∈ Q ma anche dalvettore v ∈ TqQ. La (17) si esprime allora attraverso il prodotto scalare definito dal tensoremetrico g = (gij):

Λa = R · Ca, (18)

mentre la condizione costitutiva del vincolo si scrive

R = λaCa. (19)

Per la regolarita del vincolo e quindi per la massimalita del rango della matrice delle Cai , i vettoriCa sono linearmente indipendenti e formano quindi per ogni q ∈ Q un sottospazio vettorialeΓq ⊂ TqQ di dimensione m (in generale dipendente dalle velocita). La (19) mostra che Rappartiene a tale sottospazio e che le λa sono le sue componenti rispetto a questa base. Se allorasi introduce la matrice metrica associata alla base

Aab = Ca· Cb, (20)

si conclude dalla (18) cheλa = Aab Λb, (21)

dove (Aab) e la matrice metrica inversa. Si noti che la (20) non e altro che la traduzione intermini vettoriali della (16)3. Con la (21) la (19) fornisce in definitiva

R = Aab ΛbCa, (22)

che e la traduzione vettoriale delle (15).

Osservazione 1. Il Teorema 1 e rilevante non solo dal punto di vista teorico, perche conferisceil carattere deterministico al modello, ma anche dal punto di vista pratico. Fornisce infatti unmetodo generale per la scrittura di equazioni di moto (le equazioni (14)) prive delle incogniteausiliarie λa (2). Le soluzioni del sistema (14) con dati iniziali soddisfacenti alle equazioni del

(2) I sistemi con vincoli di velocita possono essere studiati con vari altri metodi, a partire daaltri tipi di equazioni di moto.

Sergio Benenti

Page 222: Lezioni Di Meccanica Razionale

§ 4.14 Sistemi olonomi con vincoli di velocita 73

vincolo forniscono i moti del sistema. Per ogni moto le equazioni (18) permettono di calcolarei moltiplicatori di Lagrange e quindi le reazioni vincolari. Si noti che il campo vettoriale Xdifferisce dal campo vettoriale lagrangiano XL corrispondente al sistema non vincolato (§4.8,Oss. 3) proprio per la presenza del vettore R = (Ri) che, come F , e qui da intendersi comecampo vettoriale verticale su TQ:

X = XL +R = XG + F +R. • (23)

Osservazione 2. Ogni Λa definito dalla (16)2 si spezza nella somma

Λa = Λa0 + Λa1,

Λa0 = − ∂iCa qi +Cai Γijk q

j qk,

Λa1 = −Cai F i = −Ca· F .

(24)

In assenza di forze attive (”moti spontanei”) si ha semplicemente Λa = Λa0 . Il termine aggiuntivoΛa1 e dovuto alla presenza delle forze attive. Di conseguenza, con la decomposizione (24), ilvettore reazione vincolare R si spezza nella somma

R = R0 +R1,

R0 = Aab Λb0C

a,

R1 = Aab Λb1Ca,

(25)

dove R0 e dovuto alla sola presenza dei vincoli e R1 alla presenza delle forze attive. Tuttaviaper la (24)2 risulta

R1 = −Aab (Cb· F ) Ca = − (F · Ca) C

a, (26)

introdotti i vettori duali Ca = AabCb della base Ca. Se decomponiamo allora in ogni punto di

Q il vettore forza attiva F nella somma della sua parte FΓ appartenente allo spazio Γq generatodai vettori Ca (o dai vettori duali Ca) e della parte F∆ appartenente allo spazio ∆q ortogonalea Γq (si veda anche l’Oss. 4 seguente) la (26) mostra che

R1 = − F Γ. (27)

Pertanto, sia nell’equazione vettoriale del moto (8) (sopra Q), sia nel sistema dinamico Xsopra TQ (si veda la (23)) alla somma F + R si puo sostituire la somma F∆ + R0. In altritermini: ad influire sul moto e la somma della sola parte F∆ della forza attiva e della sola partepuramente vincolareR0 della forza reattiva. La forza attiva FΓ e quella reattivaR1 si annullanovicendevolmente. •

Osservazione 3. Per quel che riguarda la tipologia dei vincoli di velocita va osservato chequelli piu comuni sono i vincoli lineari (esaminati nell’Oss. 4). Tra questi tipici sono i vincolidi puro rotolamento di superfici rigide regolari (ad esempio una sfera vincolata a rotolare senzastrisciare su di un piano: si pensi alla palla da biliardo). Un altro esempio elementare di sistemacon vincolo lineare e il ”pattino”: un segmento rigido mobile su di un piano e vincolato inmaniera tale che la velocita del suo centro e sempre parallela al segmento stesso. Meno comunisono i sistemi con vincoli non lineari. Quasi tutti gli esempi proposti sono piuttosto artificiosie di non facile realizzazione pratica. Un esempio semplice di vincolo non lineare e tuttavia ilseguente. •

Lezioni di Meccanica Razionale

Page 223: Lezioni Di Meccanica Razionale

74 Cap. 4 - Meccanica Lagrangiana § 4.14

Esempio 2. Un sistema con vincolo non lineare di velocita: due punti mobili su di unpiano e costretti ad avere ad ogni istante velocita parallele. Questo vincolo e omogeneo di secondogrado. Infatti la condizione di parallelismo delle due velocita v1 e v2 si traduce nell’equazionevettoriale v1 × v2 = 0, equivalente all’equazione scalare x1 y2 − x2 y1 = 0. Un tale sistema puoessere realizzato in pratica utilizzando due pattini scorrevoli sul piano e costretti ad essere sempreparalleli, ma a distanza libera, mediante un opportuno sistema di articolazioni. La Fig. 4.15.1fornisce un esempio di tali articolazioni. Il meccanismo proposto e pero insoddisfacente perchepone dei limiti sia alla distanza fra i centri dei pattini sia alla loro rotazione. Fissando al centrodei pattini due masse consistenti ma di piccole dimensioni e supposte invece trascurabili le massedei pattini e delle articolazioni (prive di attrito) si ottiene dal punto di vista ”macroscopico”un sistema di due punti materiali con velocita parallele. Dal punto di vista ”microscopico”invece il sistema ha 5 gradi di liberta (4 coordinate per i centri dei pattini e un angolo) conun vincolo lineare di velocita. Il vincolo di parallelismo delle velocita di due punti e omogeneo,quindi non regolare per gli atti di moto nulli. Dunque per condizioni iniziali di quiete il sistemadifferenziale (14) e indeterminato. Questa indeterminazione e in questo caso evidente, perchea partire dalla quiete i due pattini possono iniziare il moto in qualunque direzione, a meno diparticolari condizioni sulle forze attive (per esempio il loro parallelismo all’istante iniziale). •

Fig. 4.15.1 - I segmenti in neretto rappresentano i pattini. Lequattro aste sono imperniate in un unico punto e scorronoliberamente in fessure poste sui pattini a ugual distanza fraloro. I due pattini sono di conseguenza sempre paralleli.

Osservazione 4. Vincoli di velocita lineari. Nel caso lineare regolare i vettori indipendentiCa sono campi vettoriali sulla varieta Q (in questo caso non dipendono dalle velocita lagrangianema solo dal punto di Q). Essi determinano in ogni spazio tangente TqQ un sottospazio Γq didimensione m e quindi un sottospazio ortogonale ∆q di dimensione n − m. Un’applicazioneΓ che assegna ad ogni q ∈ Q il sottospazio Γq ⊂ TqQ prende il nome di distribuzione (ein particolare una distribuzione regolare se, come nel caso in esame, e definita da campivettoriali in ogni punto indipendenti). Siamo allora in presenza di due distribuzioni, Γ e ∆,una ortogonale all’altra. ∆ e la distribuzione degli atti di moto compatibili col vincolo e Γ e ladistribuzione delle possibili reazioni vincolari, nel caso di vincoli perfetti. Una distribuzione ∆

Sergio Benenti

Page 224: Lezioni Di Meccanica Razionale

§ 4.14 Sistemi olonomi con vincoli di velocita 75

si dice integrabile se per ogni q0 ∈ Q esiste una sottovarieta S ⊂ Q tale q0 ∈ S e TqS = ∆q

per ogni q ∈ S. In questo caso la varieta Q risulta fogliettata da sottovarieta di dimensionen −m tangenti in ogni punto a ∆q, dette varieta integrali. Un vincolo di velocita lineare sidice integrabile (o anche olonomo) se tale e la distribuzione ∆ degli atti di moto ammissibili.Si dimostra che in questo caso le configurazioni raggiungibili a partire da una configurazione q0sono tutte e sole quelle appartenenti alla varieta integrale di ∆, connessa e massimale, contenenteq0. Un vincolo lineare non integrabile si dice anche non-olonomo. •

Osservazione 5. Rappresentazione delle distribuzioni e loro integrabilita. Oltre cheda equazioni lineari del tipo (6) una distribuzione ∆ e determinata da ”forme caratteristiche” e”generatori”. Le forme differenziali

γa = Cai dqi (29)

corrispondenti ai vettori Ca annullano i vettori di ∆:

〈v, γa〉 = v · Ca = 0, ∀v ∈ ∆. (30)

Si dicono forme caratteristiche di ∆ (quindi forme caratteristiche del vincolo). Una dis-tribuzione ammette in genere solo sistemi di forme caratteristiche locali. Si dimostra che

Teorema 2. Una distribuzione ∆ e integrabile se e solo se per un qualunque sistema di formecaratteristiche (γa) esistono delle 1-forme θab tali che

dγa = θab ∧ γb, (31)

oppure se e solo se per ogni γa

dγa ∧ γ1 ∧ . . . ∧ γm = 0. (32)

La distribuzione ∆ puo anche essere rappresentata da n−m campi vettorialiDα (α = 1, . . . , n−m), detti generatori, che in ogni punto formano una base di ∆q. Un campo vettoriale D su Qsi dice interno alla distribuzione ∆ se in ogni punto D(q) ∈ ∆q, quindi se

〈D, γa〉 = D · Ca = 0 (33)

per ogni forma caratteristica. Dunque i generatori sono campi vettoriali indipendenti in ognipunto e interni alla distribuzione. Una distribuzione ammette in genere solo sistemi di generatorilocali. Si dimostra che

Teorema 3. Una distribuzione ∆ e integrabile se e solo se le parentesi di Lie dei campi vettorialiinterni sono ancora campi vettoriali interni alla distribuzione, cioe se e solo se per un qualunquesistema di generatori (Dα)

〈[Dα,Dβ ], γa〉 = 0, (34)

ovvero se e solo se esistono funzioni F γαβ tali che

[Dα,Dβ] = F γαβDγ . (35)

Lo studio delle distribuzioni e della loro integrabilita e un argomento tipico della GeometriaDifferenziale e della Teoria del Controllo. •

Lezioni di Meccanica Razionale

Page 225: Lezioni Di Meccanica Razionale

76 Cap. 4 - Meccanica Lagrangiana § 4.14

Esempio 3. Un classico esempio di sistema con vincoli lineari di velocita e costituito da un discomateriale (una ”moneta”) che rotola senza strisciare su di un piano. Poniamoci per semplicitanel caso i cui il piano e orizzontale (la forza attiva e la gravita) e la moneta e mantenuta sempreverticale con qualche sistema di appoggio non dissipativo e di massa trascurabile. La varietadelle configurazioni e Q = R

2 × T2. Come coordinate lagrangiane scegliamo (q1, q2, q3, q4) =(x, y, θ, ψ), con (x, y) coordinate cartesiane ortonormali del punto di contatto P (cioe dellaproiezione sul piano del centro della moneta G), con θ angolo di rotazione della moneta intornoal suo asse e con ψ angolo formato dall’asse della moneta con una retta fissa del piano. Piuprecisamente, scelto uno dei due versori n ortogonali alla moneta, θ e l’angolo di rotazione dellamoneta di versore n e ψ e l’angolo formato tra n e i (versore dell’asse x) di versore k = i× j.Con questa scelta la velocita angolare diventa

ω = θ n+ ψ k.

Siccome la velocita del punto di contatto e

vP = vG +ω×GP

e il vincolo di puro rotolamento (§ 2.10) si esprime con la condizione vP = 0, ne risultano leequazioni vincolari

C1 ≡ x−R sinψ θ = 0,

C2 ≡ y +R cosψ θ = 0.(36)

Di conseguenza

(∂iCa) =

[0 0 0 −R cosψ θ0 0 0 −R sinψ θ

]

, (Cai ) =

[1 0 −R sinψ 00 1 R cosψ 0

]

Le forme caratteristiche sono γ1 = dx−R sinψ dθ,

γ2 = dy +R cosψ dθ.

Di qui risultadγ1 ∧ γ1 ∧ γ2 = R cosψ dx ∧ dy ∧ dθ ∧ dψ,dγ2 ∧ γ1 ∧ γ2 = R sinψ dx ∧ dy ∧ dθ ∧ dψ,

e quindi il vincolo non e integrabile (le (32) non sono soddisfatte). Precisata la cinematica,passiamo a calcolare gli ”ingredienti” delle equazioni di moto. L’energia cinetica e

T = 12M(x2 + y2) + 1

2

(A θ2 +B ψ2

),

dove M e la massa totale della moneta,A e il momento d’inerzia rispetto all’asse e B il momentod’inerzia rispetto ad un diametro. Pertanto la matrice metrica e costante e diagonale; gli elementidella diagonale principale sono

(gii) = (M,M,A, B)

ed i simboli di Christoffel Γijk sono tutti nulli. Di conseguenza:

(Cai) =

[1M

0 − RA

sinψ 0

0 1M

RA

cosψ 0

]

Sergio Benenti

Page 226: Lezioni Di Meccanica Razionale

§ 4.14 Sistemi olonomi con vincoli di velocita 77

(Aab) =

[1M

+ R2

Asin2 ψ − R2

Asinψ cosψ

− R2

Asinψ cosψ 1

M+ R2

Acos2 ψ

]

(Aab) =M

1M

+ R2

A

[1M

+ R2

Acos2 ψ R2

Asinψ cosψ

R2

Asinψ cosψ 1

M+ R2

Asin2 ψ

]

La forza peso e ininfluente per il moto (si veda l’Oss. 2). Siccome Λa0 = − ∂iCa qi, risulta

Λ1

0 = R cosψ θ ψ,

Λ20 = R sinψ θ ψ.

e quindi dalla (21), a meno della reazione che contrasta il peso,

λ1 = MR cosψ θ ψ,

λ2 = MR sinψ θ ψ.

La (22) fornisce infineR0 = R θ ψ (cosψ, sinψ, 0, 0) .

In conclusione le equazioni (14)2 del moto diventano semplicemente

x = R cosψ θ ψ,

y = R sinψ θ ψ,

θ = 0,

ψ = 0,

Si hanno due integrali primi: θ = a, ψ = b costanti. Le prime due equazioni di moto, supponendoche inizialmente sia ψ = 0 (l’asse della moneta parallelo all’asse x), forniscono, in accordo conle equazioni del vincolo (36),

x = Ra sin(bt),

y = − Ra cos(bt).

Allora se b 6= 0 il moto del centro e descritto dalle equazioni parametriche

x = R a

b

(1− cos(bt)

)+ x0,

y = − R ab sin(bt) + y0.

Si tratta di un moto circolare uniforme di raggio R ab

e centro nel punto (x0 + R ab, y0), essendo

(x0, y0) la posizione iniziale. Se b = 0 si ha invece un moto rettilineo uniforme. •

Lezioni di Meccanica Razionale

Page 227: Lezioni Di Meccanica Razionale

Sergio Benenti

Lezioni di Meccanica Razionale

Capitolo 5

Meccanica Hamiltoniana

La meccanica hamiltoniana e la naturale evoluzione della meccanica lagrangiana. Trae le sueorigini dagli studi di ottica geometrica di William Rowan Hamilton (1805-1865) e dall’operadi Simeon Denis Poisson (1781-1840), Carl Gustav Jacob Jacobi (1804-1851) e Joseph Liouville(1809-1882), sviluppandosi fino ai nostri giorni con un cospicuo corredo di risultati raggiunti e diproblematiche aperte. Mentre la meccanica lagrangiana opera sulle varieta delle configurazionidei sistemi olonomi e sui corrispondenti fibrati tangenti, consentendo tra l’altro di interpretarele equazioni della dinamica dei sistemi olonomi come naturale estensione alle varieta riemanni-ane delle equazioni della dinamica del punto nello spazio euclideo, la meccanica hamiltonianaopera invece inizialmente sui fibrati cotangenti delle varieta delle configurazioni, avvalendonsidella struttura ”simplettica canonica” posseduta da questi fibrati, estendendo successivamenteil suo interesse alle piu generali ”varieta simplettiche”. Le equazioni dinamiche di Lagrangevengono sostituite da un sistema di 2n equazioni differenziali ordinarie del primo ordine, leequazioni di Hamilton, o, in alternativa, da una sola equazione alle derivate parziali del primoordine: l’equazione di Hamilton-Jacobi. Queste equazioni possiedono un notevole significatointrinseco-geometrico, dovuto proprio alla presenza della struttura simplettica, grazie alla qualesi sviluppano nuovi metodi di analisi e di integrazione. Il modello hamiltoniano della meccanicapropone dunque concetti e metodi di vasta portata, che giungono ad interessare altri importantisettori della fisica matematica, quali l’ottica geometrica, la meccanica statistica, la meccanicaquantistica. In questo capitolo ne saranno illustrati alcuni degli elementi fondamentali.

Versione 05/2007

Page 228: Lezioni Di Meccanica Razionale

2 Cap. 4 - Meccanica Hamiltoniana § 5.1

5.1 Fibrati cotangenti e sistemi hamiltoniani

Parallelamente al concetto di vettore tangente ad una varieta (§ 4.2) si puo introdurre il concettoduale di covettore tangente. Come per i vettori, per i covettori si possono dare varie definizioni.

Definizione 1. Un covettore tangente in un punto q di una varieta Q e una classe di

equivalenza di funzioni su Q. Due funzioni f e f ′ si dicono equivalenti (al primo ordine) inun punto q se, comunque si prenda una curva γ: I → Q basata in q (quindi tale che γ(0) = q),si ha

D(f γ)(0) = D(f ′ γ)(0). • (1)

Si noti che questa definizione e analoga a quella di vettore tangente come classe di equivalenzadi curve. La definizione seguente si basa invece sulla preesistente nozione di vettore tangente.

Definizione 2. Un covettore tangente p in un punto q di una varieta Q e un elemento delduale dello spazio tangente TqQ, vale a dire un’applicazione lineare p: TqQ → R. Si denota conT ∗

q Q lo spazio duale di TqQ, detto spazio cotangente a Q in q. •

Il legame tra queste due definizioni passa attraverso il concetto di differenziale di una fun-

zione f in un punto q ∈ Q: e l’applicazione lineare dqf : TqQ → R definita da

〈[γ], dqf〉 = D(f γ)(0), (2)

ovvero da〈v, dqf〉 = v(f), (3)

a seconda che si consideri il vettore tangente come classe di equivalenza di curve o comederivazione. Dal confronto della (1) con la (2) si vede che due funzioni appartenenti alla stessaclasse di equivalenza hanno lo stesso differenziale. Pertanto dqf si identifica con la classe diequivalenza di funzioni determinata da f . I differenziali dqf formano ovviamente un sottospaziodi T ∗

q Q, osservato che dqf + dqf′ = dq(f + f ′) e che adqf = dq(af), con a ∈ R. Se inoltre

su Q (di dimensione n) si prende un sistema di coordinate (qi) (i = 1, . . . , n) nell’intorno diq, si osserva che gli n differenziali dqq

i formano una base per questo sottospazio, che pertantocoincide con tutto lo spazio duale T ∗

q Q.

L’intervento di coordinate porta infine a considerare una terza definizione (analoga alla Def. 3,§ 4.2, per i vettori tangenti).

Definizione 3. Un covettore tangente in un punto q di una varieta Q e una classe di

equivalenza di coordinate e componenti cioe di coppie

(qi, pi)

costituite da un sistema di coordinate (qi) nell’intorno del punto q e da un insieme di n numeri(pi). Due coppie siffatte (qi, pi) e (qi′ , pi′) si dicono equivalenti se sussistono i legami

pi =

(

∂qi′

∂qi

)

q

pi′ . (4)

Sergio Benenti

Page 229: Lezioni Di Meccanica Razionale

§ 5.1 Fibrati cotangenti e sistemi hamiltoniani 3

I numeri (pi) si dicono componenti del covettore secondo le coordinate (qi). •

Il legame con la Def. 2, secondo la quale un covettore p e una forma lineare sui vettori, e datodalla formula

〈v, p〉 = pi vi, (5)

dove le (vi) sono le componenti di v. Il legame con la Def. 1 e invece espresso dal fatto che lascrittura p = dqf equivale a

pi =

(

∂f

∂qi

)

q

. (6)

Anche l’insieme di tutti i covettori tangenti a Q, denotato con T ∗Q e chiamato fibrato

cotangente, e una varieta differenziabile di dimensione 2n. La dimostrazione e analoga aquella svolta per il fibrato tangente. Infatti ad ogni sistema di coordinate (qi) su di un dominioaperto U ⊆ Q corrisponde un sistema di coordinate (qi, pi) sull’insieme T ∗U ⊆ T ∗Q dei covettoritangenti nei punti di U , dette coordinate canoniche naturali, definite alla maniera seguente:se q ∈ U e p ∈ T ∗

q U allora le (qi) sono le coordinate del punto q e le (pi) sono le componenti delcovettore p, cioe i numeri definiti dalla (5). Le (pi) vengono anche dette momenti o impulsi

corrispondenti alle coordinate di configurazione (qi) (si tratta di una terminologia legata alloro significato meccanico). Si osserva allora che passando da un sistema di coordinate (qi) adun altro (qi′) le coordinate (pi) e (pi′) sono legate da una relazione analoga alla (4) (1)

pi =∂qi′

∂qipi′ . (7)

Di qui segue che carte compatibili su Q generano carte compatibili su T ∗Q e quindi che T ∗Qe una varieta differenziabile. Ogni spazio cotangente T ∗

q Q costituisce una fibra del fibratocotangente T ∗Q. Ogni fibra e una sottovarieta di dimensione n.

Come si vedra nei prossimi paragrafi, l’importanza della struttura di fibrato cotangente in mecca-nica e dovuta essenzialmente alla cicostanza che ad ogni funzione differenziabile H : T ∗Q → R sudi un fibrato cotangente corrisponde un campo vettoriale XH su T ∗Q, detto campo hamilto-

niano o sistema dinamico hamiltoniano generato dalla hamiltoniana H , le cui equazionidifferenziali sono

dqi

dt=

∂H

∂pi

dpi

dt= − ∂H

∂qi

(8)

Queste prendono il nome di equazioni di Hamilton o equazioni canoniche.

Vediamo come questa corrispondenza venga realizzata, dando del campo XH una definizioneintrinseca, indipendente dall’uso di coordinate. A questo scopo si comincia con l’osservare chein coordinate canoniche naturali (qi, pi) una generica 1-forma su T ∗Q ammette una rappresen-tazione del tipo

ϑ = ϑi dqi + ϑi dpi, (9)

(1) Va osservato che a secondo membro di questa equazione le derivate parziali ∂qi′/∂qi sonoin prima istanza funzioni delle (qi). Occorre quindi risostituire a queste le loro espressioni infunzione delle (qi′) per avere in definitiva a secondo membro una funzione delle (qi′ , pi′).

Lezioni di Meccanica Razionale

Page 230: Lezioni Di Meccanica Razionale

4 Cap. 4 - Meccanica Hamiltoniana § 5.1

con le componenti (ϑi, ϑi) espresse mediante funzioni di queste coordinate. Se si scelgono come

componenti le funzioni ϑi = pi e ϑi = 0 si ottiene una 1-forma particolare

ϑ = pi dqi (10)

che ha carattere intrinseco, detta forma di Liouville o forma fondamentale di T ∗Q. L’indi-pendenza dalla scelta delle coordinate di questa definizione segue immediatamente dalla (7):

pi dqi = pi′∂qi′

∂qidqi = pi′ dqi′ .

Il carattere intrinseco della forma di Liouville (10) implica anche il carattere intrinseco del suodifferenziale

ω = dϑ = dpi ∧ dqi (11)

Questa 2-forma ω prende il nome di forma simplettica canonica su T ∗Q. Abbiamo dunquedimostrato che ogni fibrato cotangente possiede per sua stessa natura una 1-forma ed una 2-forma particolari.

Osserviamo ora che un generico campo vettoriale X sul fibrato cotangente T ∗Q, inteso comederivazione, ammette una rappresentazione del tipo

X = X i ∂

∂qi+ Xi

∂pi

, (12)

dove le componenti (X i, Xi) sono funzioni delle stesse coordinate (qi, pi). Usando la piu comodanotazione

∂i =∂

∂qi, ∂i =

∂pi

,

la (12) puo scriversiX = X i ∂i + Xi ∂i. (12′)

Se interpretato come sezione X: T ∗Q → TT ∗Q del fibrato tangente del fibrato cotangente T ∗Q,il campo X ammette una rappresentazione del tipo

qi = X i, pi = Xi, (13)

denotate con (qi, pi, qi, pi) le coordinate su TT ∗Q indotte dalle coordinate (qi, pi) su T ∗Q.

Cio posto, il valore assunto dalla forma simplettica ω su di una coppia di campi vettoriali (X , Y )e

ω(X, Y ) = (dpi ∧ dqi)(X, Y )

= 〈X, dpi〉〈Y , dqi〉 − 〈X , dqi〉〈Y , dpi〉= XiY

i − X iYi.

(14)

Si osserva allora che se si fissa il campo X e si fa variare Y si ottiene un’applicazione linearedai campi vettoriali alle funzioni su T ∗Q,

ω(X, ·): Y 7→ ω(X , Y )

Sergio Benenti

Page 231: Lezioni Di Meccanica Razionale

§ 5.1 Fibrati cotangenti e sistemi hamiltoniani 5

vale a dire una 1-forma differenziale su T ∗Q. Per la (14) questa 1-forma ammette la rappresen-tazione

ω(X , ·) = Xi dqi − X i dpi (15)

Sulla base di queste considerazioni possiamo dimostrare che

Teorema 1. Per ogni funzione differenziabile H : T ∗Q → R l’equazione

ω(XH , ·) = − dH (16)

definisce un campo vettoriale XH su T ∗Q le cui equazioni differenziali del primo ordine incoordinate canoniche naturali (qi, pi) sono le equazioni di Hamilton (8).

Dimostrazione. Scritto il differenziale di H ,

dH = ∂iH dqi + ∂iH dpi (17)

e tenuto conto della (15), scritta per X = XH , la definizione (16) equivale all’uguaglianza delleforme differenziali

Xi dqi − X i dpi = − ∂iH dqi − ∂iH dpi,

da cui seguono le uguaglianze

X i = ∂iH, Xi = − ∂iH. (18)

Di qui, tenuto conto delle (12), si vede che il sistema differenziale associato al campo XH coincideproprio con il sistema (8), cioe con le equazioni di Hamilton.

Osservazione 1. Si vede dalla (11) che la matrice delle componenti della forma simplettica ω

nelle coordinate (qi, pi) e la matrice antisimmetrica

J =

0

−1−1

.. .

−1

11

. . .

1

0

(19)

detta matrice simplettica, composta da quattro sottomatrici quadrate di ordine n, di cui duenulle (le diagonali), una unitaria ed una antiunitaria (2). In breve:

J =

0 −1n

1n 0

(19′)

(2) In alcuni testi, in base a convenzioni diverse da quelle qui adottate, per ”matrice simplettica”s’intende la matrice opposta alla (19).

Lezioni di Meccanica Razionale

Page 232: Lezioni Di Meccanica Razionale

6 Cap. 4 - Meccanica Hamiltoniana § 5.2

Sviluppando il determinante di questa matrice secondo le prime n righe con la regola di Laplacesi vede che, qualunque sia la dimensione n, e

det(J) = 1. (20)

La forma simplettica ω e dunque regolare. Si osserva inoltre che il quadrato della matricesimplettica e l’opposto della matrice unitaria:

J2 = −12n. • (21)

5.2 La trasformazione di Legendre

Alla formulazione lagrangiana delle equazioni della meccanica corrisponde una formulazionehamiltoniana equivalente, costruita sui fibrati cotangenti anziche sui fibrati tangenti. Il legametra le due formulazioni prende il nome di trasformazione di Legendre (Adrien-Marie Legen-dre, 1752-1833) ed e costruito alla maniera seguente.

Si consideri un sistema dinamico lagrangiano (Q, L) con lagrangiana L indipendente dal tempoL: TQ → R (1) e regolare, cioe tale che

det

(

∂2L

∂qi∂qj

)

6= 0 (1)

La condizione di regolarita della lagrangiana implica due fatti importanti: primo, come si e vistoal § 4.10, che la dinamica e rappresentata da un campo lagrangiano XL sopra la varieta TQ e,secondo, che esiste un diffeomorfismo

ϕL: TQ → T ∗Q

tra il fibrato tangente ed il fibrato cotangente, conservante le fibre, cioe tale che ad un vettoretangente in un punto q ∈ Q corrisponde un covettore tangente nello stesso punto. Questodiffeomorfismo e definito dalle equazioni

pi =∂L

∂qi(2)

Con queste equazioni infatti le coordinate (pi) risultano espresse come funzioni delle coordinate(qi, qi), per cui e definita un’applicazione da TQ a T ∗Q (2). La condizione di regolarita (1) e

(1) Ci limitiamo qui e nel seguito a considerare sistemi dinamici lagrangiani e hamiltonianiindipendenti dal tempo, che del resto sono i piu comuni nelle applicazioni. Il caso tempo-dipendente, il cui interesse e comunque rilevante, richiederebbe un’analisi molto piu ampia.Per quel che riguarda il particolare la trasformazione di Legendre va detto che la descrizionequi data, che e quella ”classica”, non ne rivela la vera ”essenza”. La sua definizione generalee infatti indipendente dall’assegnazione di una lagrangiana e si basa invece sulla particolarestruttura posseduta dalle varieta del tipo TT ∗Q, oggetto di studi relativamente recenti.(2) Si noti la diversa interpretazione delle equazioni (2) e delle analoghe equazioni (5) di §4.11.Qui le (2) definiscono un’applicazione tra la varieta TQ di coordinate (qi, qi) e la varieta T ∗Qdi coordinate (qi, pi). Le equazioni (5) di § 4.11 definiscono invece delle funzioni su TQ (oppuresu TQ × R nel caso di una lagrangiana t-dipendente).

Sergio Benenti

Page 233: Lezioni Di Meccanica Razionale

§ 5.2 La trasformazione di Legendre 7

necessaria e sufficiente per l’invertibilita di quest’applicazione, cioe alla possibilita di esprimerele coordinate (qi) come funzioni delle coordinate (qi, pi).

In effetti le equazioni (2) generano solo un diffeomorfismo locale tra TQ e T ∗Q. La lagrangianaL si dice iper-regolare se con la combinazione di questi diffeomorfismi locali si genera undiffeomorfismo globale ϕL tra TQ e T ∗Q. Se allora si e in queste condizioni, come nel caso diun sistema olonomo (si veda l’Oss. 1 a fine paragrafo), il campo lagrangiano XL sopra TQ sitrasforma tramite questo diffeomorfismo in un campo vettoriale sopra T ∗Q. Il fatto notevole eche questo campo e hamiltoniano, come mostrato dal teorema seguente:

Teorema 1. Il campo vettoriale su T ∗Q corrispondente a XL mediante il diffeomorfismo ϕL

(3) e un campo hamiltoniano XH con hamiltoniana H definita da

H = piqi − L (3)

dove le (qi) devono intendersi funzioni delle (qi, pi) per il tramite delle relazioni inverse delle (2).

Dimostrazione. Si consideri il differenziale della funzione H definita dalla (3):

dH = dpi qi + pi dqi − ∂L

∂qidqi − ∂L

∂qidqi.

L’intervento di ϕL, cioe delle (2), annulla i coefficienti di dqi, sicche risulta

dH = qi dpi −∂L

∂qidqi.

Cio significa che

∂H

∂qi= − ∂L

∂qi,

∂H

∂pi

= qi,

(4)

Si osserva d’altra parte che le equazioni di Euler-Lagrange possono porsi nella forma

dqi

dt= qi,

dpi

dt=

∂L

∂qi.

(5)

(3) In generale, dato un diffeomeorfismo ϕ: M → N tra due varieta, ad ogni campo vettoriale X

su M corrisponde un campo vettoriale Y su N ottenuto attraverso la cosiddetta applicazione

tangente Tϕ: TM → TN . Intendendo i vettori tangenti come classi di equivalenza di curve,questa applicazione e definita dall’uguaglianza Tϕ([γ]) = [ϕ γ]. Il campo vettoriale Y : N →TN e la composizione Tϕ X ϕ−1. Se ϕ e localmente rappresentata da equazioni (invertibili)del tipo ya = ϕa(xi) allora le componenti di Y sono date da

Y a =∂ya

∂xiX i.

L’applicazione Tϕ e anche detta ”differenziale di ϕ”.

Lezioni di Meccanica Razionale

Page 234: Lezioni Di Meccanica Razionale

8 Cap. 4 - Meccanica Hamiltoniana § 5.3

Quindi, grazie alle (4), esse sono equivalenti alle equazioni di Hamilton

dqi

dt=

∂H

∂pi

,

dpi

dt= − ∂H

∂qi.

(6)

Osservazione 1. Applichiamo le considerazioni precedenti al caso fondamentale di un sistemaolonomo conservativo, la cui lagrangiana e

L = T + U = 1

2gij qiqj + U(qi). (7)

Le equazioni (2) che definiscono ϕL diventano

pi = gij qj (8)

e si invertono nelle equazioni

qi = gij pj (9)

che rappresentano invece ϕ−1

L . In questo caso dunque ϕL e un diffeomorfismo globale e lalagrangiana L e iper-regolare. Per le (8) e le (9)

T = 1

2pi qi = 1

2gij pipj ,

e l’hamiltoniana definita dalla (3) diventa

H = 1

2gij pipj − U(qi) (10)

Di qui seguono le quazioni di Hamilton:

dqi

dt= gij pj ,

dpi

dt=

∂U

∂qi− 1

2

∂ghj

∂qiphpj .

(11)

Si vede dalla (10) che l’hamiltoniana coincide con la trasformata tramite ϕL dell’energia totaleE = T − U , a conferma del fatto che l’hamiltoniana e un integrale primo (si veda il § 5.4). •

5.3 Il metodo di Jacobi

Uno dei vantaggi principali dell’approccio lagrangiano e la totale liberta di scelta delle coordinate(qi) sulla varieta delle configurazioni Q. La formulazione hamiltoniana amplia ulteriormente lepossibilita di scelta delle coordinate perche la dinamica e sintetizzata in un campo vettoriale

Sergio Benenti

Page 235: Lezioni Di Meccanica Razionale

§ 5.3 Il metodo di Jacobi 9

XH sul fibrato cotangente T ∗Q, alla cui definizione concorre un elemento intrinseco proprio ditale varieta: la forma simplettica ω. Questo campo e infatti definito dall’equazione

ω(XH , ·) = − dH. (1)

In questo contesto e allora del tutto arbitraria la scelta delle coordinate su T ∗Q, non solo su Q.Tuttavia, un ruolo primario e privilegiato e svolto dalle coordinate canoniche.

Definizione 1. Un sistema di coordinate (bi, ai) su T ∗Q e canonico se in queste coordinatela 2-forma simplettica canonica ω assume la forma

ω = dai ∧ dbi • (2)

Va subito osservato che le coordinate canoniche naturali (qi, pi) corrispondenti a coordinate (qi)su Q sono coordinate canoniche nel senso ora dato perche ω = dpi ∧ dqi. Tuttavia, come si avramodo di osservare nel seguito, esistono sistemi di coordinate canoniche (bi, ai) dove le prime ncoordinate non sono coordinate di configurazione, cioe coordinate su Q.

L’importanza delle coordinate canoniche e sostanzialmente dovuta al fatto che, rispetto a queste,le equazioni differenziali del campo XH sono sempre equazioni canoniche:

dbi

dt=

∂H

∂ai

dai

dt= − ∂H

∂bi

(3)

Per riconoscerlo basta ripercorrere i calcoli svolti al § 1 ed osservare che le equazioni di Hamilton(3) si deducono dalla definizione intrinseca (1) del campo XH utilizzando il solo fatto che laforma simplettica ω e suscettibile di una scrittura del tipo ω = dpi ∧ dqi, cioe del tipo (2).

Dalle equazioni (3) si osserva che se la funzione h(bi, ai) rappresentatrice dell’hamiltoniana Hnelle coordinate canoniche (bi, ai) non dipende dalle (bi) (col che si puo dire dire che le (bi) sonoignorabili) allora queste equazioni si riducono a

dbi

dt=

∂h

∂ai

,dai

dt= 0. (4)

In tal caso le seconde n equazioni si integrano subito:

ai = cost. (5)

Cosı le prime, perche anche le derivate parziali

hi =∂h

∂ai

(6)

sono delle costanti, per cuibi = hi t + ci (7)

Lezioni di Meccanica Razionale

Page 236: Lezioni Di Meccanica Razionale

10 Cap. 4 - Meccanica Hamiltoniana § 5.3

con (ci) costanti arbitrarie. L’integrazione delle equazioni di Hamilton e dunque riconducibilealla ricerca di questi particolari sistemi di coordinate canoniche. E questa l’idea guida delmetodo di Jacobi.

Per costruire questo metodo si comincia con l’osservare che se (qi, pi) e un sistema di coordinatecanoniche (per esempio naturali) allora (bi, ai) e ancora un sistema di coordinate canoniche se esolo se

d(pi dqi + bi dai) = 0, (8)

perche la (8) equivale all’uguaglianza dpi ∧ dqi = dai ∧ dbi, cioe a ω = dai ∧ dbi. La (8) affermache la 1-forma pi dqi + bi dai sopra T ∗Q e chiusa, quindi localmente esatta: esistono localmentesu T ∗Q funzioni W per cui

pi dqi + bi dai = dW (9)

Si supponga ora che le 2n funzioni (qi, ai) siano indipendenti, formino cioe un sistema di coor-dinate su T ∗Q. Espressa la funzione W tramite queste coordinate,

W = W (qi, ai),

la (9) equivale alle equazioni

pi =∂W

∂qi, bi =

∂W

∂ai

(10)

Ma le prime n equazioni devono essere risolubili rispetto alle (ai) perche le (qi, ai), dovendoformare un sistema di coordinate, devono potersi esprimere come funzioni (invertibili) dellecoordinate (qi, pi). Le (10)1 mostrano che questo accade se e solo se

det

(

∂2W

∂qi∂aj

)

6= 0 (11)

La (11) e detta condizione di completezza. Una funzione W (qi, ai) soddisfacente a questacondizione prende il nome di funzione generatrice della trasformazione canonica

(qi, pi) → (bi, ai). Essa, tramite la (9) ovvero le equazioni (10), genera delle coordinate canon-iche (bi, ai) a partire da coordinate canoniche (qi, pi). Infatti, scritte le (10), si invertono le (10)1esprimendo cosı le (ai) in funzione delle (qi, pi); la successiva sostituzione di queste funzioni nelle(10)2 permette di esprimere anche le (bi) in funzione delle (qi, pi) (1).

(1) La condizione (8) e equivalente ad una delle seguenti

d(qi dpi − bi dai) = 0,

d(qi dpi − ai dbi) = 0,

d(pi dqi + ai dbi) = 0,

alle quali corrispondono altri tre tipi di funzioni generatrici:

qi dpi − bi dai = dW1, W1 = W1(pi, ai),

qi dpi − ai dbi = dW2, W1 = W1(pi, bi),

pi dqi + ai dbi = dW3, W1 = W1(qi, bi).

Sergio Benenti

Page 237: Lezioni Di Meccanica Razionale

§ 5.3 Il metodo di Jacobi 11

Fatta quest’osservazione sulla costruzione delle coordinate canoniche, ci si chiede quale sia lacondizione da imporre alla funzione generatrice W affinche le corrispondenti coordinate canon-iche soddisfino al requisito considerato all’inizio, per cui H non viene a dipendere dalle (bi) equindi il sistema di Hamilton e facilmente integrabile.

Per far questo e sufficiente osservare che se H(qi, pi) e la funzione rappresentativa di H nellecoordinate (qi, pi) allora e

H(qi, pi) = h(ai)

dove a secondo membro compare la funzione rappresentativa di H nelle coordinate (bi, ai). Conl’intervento delle (10)1 quest’uguaglianza assume la forma

H

(

qi,∂W

∂qi

)

= h (12)

dove, in virtu delle (5), h e una costante. Possiamo allora enunciare il classico teorema di

Jacobi:

Teorema 1. Data la rappresentazione H(qi, pi) in coordinate canoniche (qi, pi) di un’hamil-toniana H , se si conosce una soluzione W (qi, ai) dell’equazione differenziale (12) soddisfacentealla condizione di completezza (11) allora le curve integrali del campo hamiltoniano XH sonodeterminabili con sole operazioni di inversione e di sostituzione.

Infatti, in base a quanto visto, la funzione W e generatrice di un sistema di coordinate canon-iche (bi, ai) rispetto alle quali l’hamiltoniana H dipende dalle sole (ai) e quindi XH risulta diimmediata integrazione.

Il metodo di Jacobi riconduce il problema della determinazione delle curve integrali del campoXH , cioe l’integrazione delle equazioni di Hamilton (3), all’integrazione di una sola equazionealle derivate parziali del primo ordine: l’equazione (12). Questa prende il nome di equazione

di Hamilton-Jacobi (piu precisamente di equazione di Hamilton-Jacobi ridotta). Una suasoluzione W (qi, ai) soddisfacente alla condizione (11) prende il nome di integrale completo.

L’integrazione dell’equazione di Hamilton-Jacobi puo talvolta rivelarsi piu semplice dell’integra-zione delle equazioni di Hamilton anche se, una volta determinato un integrale completo W , puopresentarsi la difficolta di invertire le equazioni (10)1, operazione possibile in principio (in virtudella condizione (11)) ma non sempre facilmente eseguibile in pratica.

Sovente e possibile determinare un integrale completo, o almeno di ricondurre la sua deter-minazione alle quadrature, vale a dire di esprimerlo mediante integrali semplici, attraverso ilmetodo della separazione delle variabili. Questo metodo consiste nel ricercare delle coor-dinate (qi) su Q per le quali l’equazione di Hamilton-Jacobi ammette un integrale completoche e somma di funzioni dipendenti ciascuna da una singola coordinata Numerosi classici prob-lemi sono stati studiati e risolti per questa via. Per esempio il problema delle geodetiche di unellissoide asimmetrico, che ha in effetti condotto Jacobi all’invenzione del suo metodo.

Osservazione 1. Nell’integrare l’equazione di Hamilton-Jacobi e spontaneo far coincidere unadelle costanti d’integrazione (ai) con la costante h che compare a secondo membro (la costantedell’energia). Se per esempio si pone

an = h, (13)

La scelta qui fatta e la piu conveniente per gli sviluppi successivi.

Lezioni di Meccanica Razionale

Page 238: Lezioni Di Meccanica Razionale

12 Cap. 4 - Meccanica Hamiltoniana § 5.3

dalla (6) si vede chehi = δin. (14)

Pertanto le (7) diventano

bi = δin t + ci

bk = ck (k = 1, . . . , n− 1),

bn = t − t0 (posto cn = − t0)

(15)

Tenuto allora conto delle (10)2 si conclude che, noto un integrale completo W (qi, ai) con an = h,tutti i moti del sistema sono determinati dalle n equazioni

∂W

∂ak

= ck (k = 1, . . . , n− 1)

∂W

∂h= t − t0

(16)

dove le (ck) e t0 sono costanti arbitrarie. Le prime n−1 equazioni (16) non contengono il tempo,quindi al variare delle 2n−1 costanti (ai, c

k) definiscono le orbite. Il modo con cui queste orbitevengono percorse e invece descritto dall’ultima equazione (16). •

Mettiamo in opera il metodo di Jacobi in due semplici problemi.

Esempio 1. Si consideri la dinamica di un grave di massa m in un piano verticale. La va-rieta delle configurazioni Q e il piano euclideo (il piano verticale). Prendiamo su questo dellecoordinate cartesiane ortonormali (q1, q2) = (x, z) con l’asse z orientato verso l’alto. Poniamo(p1, p2) = (px, pz). L’energia cinetica e il potenziale sono

T = 1

2m(

x2 + z2)

, U = −mgz.

L’hamiltoniana eH = 1

2m

(

p2x + p2

z

)

+ m g z.

L’equazione di Hamilton-Jacobi (12) diventa

1

2m

[

(

∂W

∂x

)2

+

(

∂W

∂z

)2]

+ m g z = h. (17)

Cerchiamone una soluzione del tipo

W = ax + F (z),

con a ∈ R. Sostituendo una tale espressione nella (17) si trova

1

2m

[

a2 +

(

dF

dz

)2]

+ mgz = h.

Sergio Benenti

Page 239: Lezioni Di Meccanica Razionale

§ 5.3 Il metodo di Jacobi 13

Quindi(

dF

dz

)2

= 2m(

h − mgz)

− a2 = 2 m2 g( h

mg− z)

− a2

= 2m2g(

z0 − z)

,

posto

z0 = 1

mg

(

h − a2

2m

)

. (18)

Di qui segue subito che deve essere

z ≤ z0.

La costante z0 rappresenta quindi la quota massima raggiungibile dal punto (dotato di energiah). Integrando per valori positivi della derivata di F si ha, a meno di un’inessenziale costanteadditiva,

F = m√

2g

∫ √z0 − z dz = −2

3m√

2g(

z0 − z) 3

2 .

Si trova in definitiva la soluzione

W = ax − 2

3m√

2g(

z0 − z)

3

2 .

Ponendo a1 = a e a2 = h si verifica che questa funzione e effettivamente un integrale completo.Infatti, tenuto conto del legame (18) tra le varie costanti, si ha

∂z0

∂a= − a

m2g,

∂z0

∂h=

1

mg.

Per cui:

det

∂2W

∂x∂a

∂2W

∂x∂h

∂2W

∂z∂a

∂2W

∂z∂h

= det

1 0

∂2F

∂z∂a

∂2F

∂z∂h

=

∂2F

∂z∂h

=∂

∂h

(

m√

2g(

z0 − z)

1

2

)

=1√2g

(

z0 − z)− 1

2 .

Pertanto W e un integrale completo definito per z < z0. Mettiamo ora in opera le equazioni(16). A conti fatti risulta:

x +√

2

gam

(

z0 − z)

1

2 = c,√

2

g

(

z0 − z)

1

2 = t0 − t,

con c e t0 costanti arbitrarie. Elevando entrambe queste equazioni al quadrato (col che si eliminala doppia determinazione del segno della W ) si trova in conclusione:

z0 − z =gm2

2a2

(

x − c)2

,

z0 − z =g

2

(

t − t0)2

.

Lezioni di Meccanica Razionale

Page 240: Lezioni Di Meccanica Razionale

14 Cap. 4 - Meccanica Hamiltoniana § 5.3

La prima equazione mostra che le orbite sono delle parabole. La seconda esprime la nota leggedi caduta del grave. Non resta che chiarire il significato delle costanti. Dalla seconda di questeequazioni si vede che la costante t0 e l’istante in cui la quota massima z = z0 e raggiunta, dallaprima che c e l’ordinata corrispondente. Per quel che riguarda infine la costante a, dall’equazione

px =∂W

∂x= a

si vede che essa coincide con la quantita di moto orizzontale, a conferma del fatto che questa eun integrale primo. •

Esempio 2. Si consideri l’oscillatore armonico piano: un punto mobile su di un piano ed attrattoda una forza elastica centrata in un punto fisso O. Scegliendo coordinate cartesiane ortonormali(q1, q2) = (x, y) centrate nel punto O e posto al solito (p1, p2) = (px, py) l’hamiltoniana e

H = 1

2m

(

p2x + p2

y

)

+ k2

(

x2 + y2)

.

Moltiplicando per 2m l’equazione di Hamilton-Jacobi diventa

(

∂W

∂x

)2

+

(

∂W

∂y

)2

+ mk(

x2 + y2)

= 2mh. (19)

Anche in questo caso la si puo integrare separando le variabili. Con una soluzione del tipo

W = W1(x) + W2(y)

l’equazione (19) si spezza nella somma di due equazioni differenziali separate del tutto simili:

(

dW1

dx

)2

+ mk x2 = mka1,

(

dW2

dy

)2

+ mk y2 = mka2,

posto che si abbiah = k

2

(

a1 + a2

)

. (20)

Si noti che le costanti arbitrarie (a1, a2) devono essere positive. Dalla prima equazione si vedeche

W1 = ±√

mk

a1 − x2 dx.

Non e tuttavia necessario procedere al calcolo di quest’integrale, perche cio che in effetti tornautile e conoscere le derivate parziali della funzione W rispetto alle costanti (a1, a2). Derivandosotto il segno di integrale si trova allora (prendendo per esempio il segno +)

∂W

∂a1

=∂W1

∂a1

=√

mk

dx

2√

a1 − x2= 1

2

√mk arcsin

x√a1

.

Combinando ora le equazioni (7) con le equazioni (10)2, tenuto conto che per la (20) si ha

h1 =∂h

∂a1

= k2,

Sergio Benenti

Page 241: Lezioni Di Meccanica Razionale

§ 5.4 Parentesi di Poisson e integrali primi 15

si trova1

2

√mk arccos

x√a1

= 1

2k t − c1.

Di qui, con un riaggiustamento della costante arbitraria c1, segue infine

x =√

a1 cos

(√

k

mt − c1

)

.

Per la coordinata y sussiste un’equazione analoga:

y =√

a2 cos

(√

k

mt − c2

)

.

Si ritrovano cosı i moti armonici componenti. •

Esempio 3. Un altro classico problema che si integra per separazione delle variabili, gia studiatoda Euler e Lagrange, e quello di un punto materiale soggetto al campo generato da due centri

fissi (F1, F2) ”newtoniani” o ”coulombiani” (”attrattivi” o ”repulsivi”). Si dimostra che, nelcaso piano, denotate con (r1, r2) le distanze del punto dai due centri, l’equazione di Hamilton-Jacobi si separa rispetto alle coordinate q1 = r1 + r2 e q2 = r1 − r2. Le curve coordinate sono leconiche omofocali di fuochi (F1, F2) (ellissi e iperboli). Si dimostra anche che il piu generalecampo di forza conservativo piano per cui l’equazione di Hamilton-Jacobi si separa rispettoa queste coordinate, dette ellittico-iperboliche, e proprio dato dai due centri newtoniani ocoulombiani fissi a cui si puo aggiungere una forza lineare rispetto alla distanza dal loro puntomedio (attrattiva o repulsiva, quindi di tipo ”elastico” o ”centrifugo”). •

5.4 Parentesi di Poisson e integrali primi

Per un generico campo vettoriale X su T ∗Q, di componenti (X i, Xi) (si veda la (12) di §5.1),e per una qualunque funzione reale differenziabile F su T ∗Q si ha

〈X, dF 〉 = X i ∂iF + Xi ∂iF.

Se in particolare il campo vettoriale e un campo hamiltoniano XH , viste le (18) di § 5.1, risulta

〈XH , dF 〉 = ∂iH ∂iF − ∂iH ∂iF. (1)

Se allora si pone, qualunque siano le funzioni H ed F sopra T ∗Q,

H, F =

n∑

i=1

(

∂H

∂pi

∂F

∂qi− ∂H

∂qi

∂F

∂pi

)

(2)

l’uguaglianza (1) diventa

〈XH , dF 〉 = H, F (3)

Lezioni di Meccanica Razionale

Page 242: Lezioni Di Meccanica Razionale

16 Cap. 4 - Meccanica Hamiltoniana § 5.4

Parallelamente, tenuto conto della definizione (16)-§2 di campo hamiltoniano, si ha

ω(XH , XF ) = −〈XF , dH〉 = ∂iH ∂iF − ∂iH ∂iF,

quindi

ω(XH , XF ) = H, F (4)

Da queste formule emerge l’importanza dell’operazione definita dalla (2).

Definizione 1. L’operazione binaria interna ·, · sullo spazio delle funzioni reali differenziabilisopra T ∗Q definita dalla (2) prende il nome di parentesi di Poisson (1). Due funzioni F e Gsi dicono in involuzione se F, G = 0.

Le parentesi di Poisson istituiscono sullo spazio delle funzioni differenziabili sopra il fibratocotangente T ∗Q una struttura di algebra di Lie, che prende il nome di algebra di Poisson (2).Esse infatti sono anticommutative, bilineari e soddisfano all’identita di Jacobi:

F, G = −G, F,a F + b G, H = a F, H+ b G, H (a, b ∈ R),

F, G, H

+

G, H, F

+

H, F, G

= 0.

(5)

Le prime due proprieta sono immediate, la verifica dell’identita di Jacobi richiede invece qualchecalcolo. Di immediata verifica sono anche le seguenti proprieta differenziali: la regola di Leib-

niz (per entrambi i fattori)

F, GH = F, GH + F, HG (6)

(1) Nei testi di Meccanica Analitica le parentesi di Poisson sono in genere definite con segnoopposto a quello qui adottato.(2) Un’algebra di Lie e un’algebra il cui ”prodotto” e bilineare, anticommutativo e soddis-facente alla proprieta ciclica detta ”identita di Jacobi”. Oltre all’algebra di Poisson altri esempidi algebre di Lie gia visti sono: (i) Lo spazio vettoriale euclideo tridimensionale dotato del”prodotto vettoriale” ×. Infatti u × v = − v × u e inoltre

u × (v × w) + v × (w × u) + w × (u × v) = 0.

(ii) L’insieme degli endomorfismi antisimmetrici sopra uno spazio vettoriale euclideo (o pesu-doeuclideo), assunto come prodotto il commutatore (cfr. § 3.7) [A, B] = AB − B A. Eovviamente anticommutativo e si verifica subito che vale l’identita

[

A, [B, C]]

+[

B, [C, A]]

+[

C, [A, B]]

= 0.

(iii) L’insieme dei campi vettoriali sopra una varieta differenziabile, dove il prodotto e la parentesidi Lie (Oss. 3 di § 4.3).

Sergio Benenti

Page 243: Lezioni Di Meccanica Razionale

§ 5.4 Parentesi di Poisson e integrali primi 17

e la regolarita,

F, G = 0, ∀ G =⇒ dF = 0 (7)

Osservazione 1. Il legame tra la parentesi di Poisson e le parentesi di Lie dei campi vettorialihamiltoniani e dato dalla formula notevole

[

XH , XF

]

= XH,F (8)

Questa mostra due fatti interessanti: (i) la parentesi di Lie di due campi hamiltoniani e an-cora un campo hamiltoniano: la sua hamiltoniana e proprio la parentesi di Poisson delle duehamiltoniane. Siccome valgono anche le identita (di immediata verifica)

XaH = a XH (a ∈ R), XH+F = XH + XF , (9)

si conclude che l’insieme dei campi vettoriali hamiltoniani forma una sottoalgebra di Lie deicampi vettoriali su T ∗Q. (ii)L’applicazione che associa ad ogni funzione differenziabile H suT ∗Q il campo hamiltoniano XH su T ∗Q e un omomorfismo di algebre di Lie, ”conserva”cioe le due parentesi. Per dimostrare la (8) si usa la definizione (3) e l’identita di Jacobi (5)3:

〈[

XH , XF

]

, dG〉 = 〈XH , d〈XF , dG〉〉 − 〈XF , d〈XH , dG〉〉= 〈XH , dF, G〉− 〈XF , dH, G〉=

H, F, G

F, H, G

=

H, F, G

+

F, G, H

= −

G, H, F

= 〈XH,F, dG〉. •

Le parentesi di Poisson svolgono un ruolo cruciale nella trattazione degli integrali primi di uncampo hamiltoniano. Infatti, richiamata la definizione di derivata di una funzione rispetto adun campo vettoriale,

〈XH , dF 〉 =dF

dt,

si vede dalla (3) che la derivata di una funzione F lungo le curve integrali del campo hamiltonianoXH e data da

dF

dt= H, F (10)

Di qui si conclude che

Teorema 1. Una funzione F e un integrale primo del campo hamiltoniano XH se e solo seH, F = 0, cioe se e solo se essa e in involuzione con l’hamiltoniana H del campo.

Siccome e ovviamente H, H = 0 si ha anche che

Corollario 1. L’hamiltoniana H e un integrale primo del campo vettoriale XH .

Lezioni di Meccanica Razionale

Page 244: Lezioni Di Meccanica Razionale

18 Cap. 4 - Meccanica Hamiltoniana § 5.4

E inoltre un’immediata conseguenza dell’identita di Jacobi il seguente classico teorema di

Poisson sugli integrali primi:

Teorema 2. Se F e G sono due integrali primi del campo XH , allora la loro parentesi diPoisson F, G e anche un integrale primo.

Dalle condizioni H, F = 0 e H, G = 0 segue infatti, per l’identita di Jacobi,

H, F, G

= 0.Si ha cosı un semplice metodo di costruzione di nuovi integrali primi a partire da integrali priminoti, il cui utilizzo pero e limitato dal fatto che la parentesi di Poisson F, G puo essere fun-zionalmente dipendente da F e G e quindi non dare luogo a nessun integrale primo essenzialmentenuovo, o essere addirittura nulla.

Come sappiamo, la conoscenza di integrali primi facilita l’analisi e la determinazione delle curveintegrali di un campo vettoriale. Se, nel migliore dei casi, si conoscono m − 1 integrali primiindipendenti (dove m e la dimensione della varieta su cui il campo e definito) allora risultanodeterminate le orbite e le curve integrali sono almeno ”ricondotte alle quadrature”, cioe al calcolodi integrali. Tuttavia e notevole il fatto che per l’integrabilita di un sistema hamiltoniano XH esufficiente conoscere n integrali primi indipendenti (con n = 1

2dim(T ∗Q) = dim(Q)) tra i quali

possiamo sempre includere l’hamiltoniana H , purche questi siano in involuzione. Si tratta delnotevole teorema di integrabilita di Liouville:

Teorema 3. Se di un campo hamiltoniano XH su di un fibrato cotangente T ∗Q di dimensione2n si conoscono n integrali primi indipendenti ed in involuzione allora le sue curve integrali sonoricondotte alle quadrature con operazioni di inversione.

Questo teorema, su cui si ritornera al §5.6, e una conseguenza diretta del fatto che la conoscenzadi un sistema di n integrali primi in involuzione equivale alla conoscenza di un integrale completodell’equazione di Hamilton-Jacobi, come mostrato dal teorema seguente.

Teorema 4. (i) Se (Fi) sono n integrali primi verticalmente indipendenti (3) ed in involuzionedi un campo hamiltoniano XH allora, risolte le n equazioni

Fi(qj , pk) = ai (11)

rispetto alle (pi), si ottengono delle funzioni

pi = Wi(qj, ak) (12)

tali che per ogni valore dei parametri (ak) la 1-forma Wi dqi e chiusa. Esiste quindi localmenteuna funzione W (qj , ak) per cui

pi =∂W

∂qi. (13)

Questa funzione e un integrale completo dell’equazione di Hamilton-Jacobi. (ii) Viceversa, se siconosce un integrale completo W (qi, aj) dell’equazione di Hamilton-Jacobi allora, risolvendo le

(3) La definizione di indipendenza verticale e data nell’Oss. 2 seguente. Il suo significato sarachiarito nel prossimo paragrafo. L’ipotesi di verticale indipendenza degli integrali primi puo es-sere omessa; la dimostrazione del teorema di Liouville richiederebbe pero ulteriori considerazionisulle trasformazioni di coordinate canoniche.

Sergio Benenti

Page 245: Lezioni Di Meccanica Razionale

§ 5.4 Parentesi di Poisson e integrali primi 19

equazioni (13) rispetto alle costanti (aj), si trovano delle funzioni (11) che sono integrali primiin involuzione di XH .

Come si vede, si passa dagli integrali primi in involuzione (Fi) alle funzioni (Wi) con operazionidi inversione e dalle (Wi) alla funzione W con uno o piu integrali semplici (4). Infine, dalla Wsi ottengono le curve integrali con le operazioni viste al § precedente (Oss. 1). L’integrazionedelle equazioni di Hamilton e dunque ricondotta ad operazioni di inversione e a quadrature, percui il teorema di Liouville e dimostrato.

Resta dunque da dimostrare il Teorema 4, il quale peraltro, come si vedra nel prossimo paragrafo,e un’immediata conseguenza dell’interpretazione geometrica di integrale completo.

Osservazione 2. Per definizione, le n funzioni Fi(qj, pk) sono indipendenti se i loro differenziali

dFi sono ovunque linearmente indipendenti. Questa proprieta e caratterizzata dalla massimalitadel rango della matrice 2n × n delle derivate parziali

(

∂Fi

∂qj,

∂Fi

∂pk

)

. (14)

Le funzioni (Fi) si dicono in particolare verticalmente indipendenti se

det

(

∂Fi

∂pk

)

6= 0. (15)

Questa e proprio la condizione necessaria e sufficiente per la risolubilita delle (11) rispetto alle(pi). •

Osservazione 3. Alla luce del Teorema 4, l’equazione di Hamilton-Jacobi puo anche esserevista come strumento per la costruzione di integrali primi in involuzione. Dalla seconda partesi puo infatti estrarre l’enunciato seguente:

Teorema 5. Se si determina un sistema di n funzioni pi = Wi(qj , ak) dipendenti da n parametri

(ak) tali che

det

(

∂Wi

∂ak

)

6= 0,

∂iWj = ∂jWi,

H(qi, Wj) = h = costante,

(16)

allora le funzioni ai = Fi(qj , pk) che si ottengono da questo sistema risolto rispetto alle (ai) sono

integrali primi verticalmente indipendenti ed in involuzione.

La differenza rispetto al Teorema 4 e che qui intervengono solo le funzioni Wi e non l’integralecompleto W . La (16)1 e la condizione di completezza, la (16)2 e la condizione di chiusuradella 1-forma Wi dqi e la (16)3 e l’equazione di Hamilton-Jacobi. La (16)3 sta a significare che

(4) Infatti W e ottenibile integrando la forma differenziale Wi dqi sul piano coordinato (qi) = Rn,

o lungo una retta uscente dall’origine, oppure lungo una spezzata di segmenti di rette paralleleagli assi coordinati.

Lezioni di Meccanica Razionale

Page 246: Lezioni Di Meccanica Razionale

20 Cap. 4 - Meccanica Hamiltoniana § 5.4

una volta sostituite le funzioni (Wi) al posto delle (pi) nell’hamiltoniana, le (qi) scompaiono el’hamiltoniana si riduce ad una funzione h dei soli parametri (ai). •

Esempio 1. Consideriamo un punto libero sul piano euclideo, con coordinate polari (r, ϑ) esoggetto ad un campo di dipolo di potenziale

U = kcos ϑ

r2,

con k costante positiva. La lagrangiana e l’hamiltoniana sono rispettivamente (la massa eunitaria)

L = 1

2

(

r2 + r2 ϑ2)

+ k cos ϑr2 ,

H = 1

2

(

p2r + 1

r2 p2ϑ

)

− k cosϑr2 ,

posto chepr = r, pϑ = r2 ϑ.

Dall’esame dell’hamiltoniana si osserva che l’equazione (16)3 e soddisfatta con

p2ϑ = 2 k cos ϑ + a, p2

r = 2 h − a

r2,

per cui, oltre all’integrale dell’energia, troviamo immediatamente l’integrale primo

a = p2ϑ − 2 k cos ϑ = r4 ϑ2 − 2 k cos ϑ.

La condizione di chiusura (16)2 e soddisfatta perche in questo caso ogni pi e funzione dellacorrispondente qi solamente: si tratta del gia citato fenomeno della separazione delle variabili

nell’equazione di Hamilton-Jacobi. Anche la condizione di completezza (16)3 risulta soddisfatta,come si vede con qualche calcolo (salvo che per ϑ = 0, π, ma queste singolarita isolate sonoirrilevanti). Da quest’integrale primo e da quello dell’energia si traggono le equazioni

ϑ2 =a + 2 k cos ϑ

r4,

r2 = 2 h − a

r2,

(17)

su cui si puo basare lo studio dei moti. Si noti che la seconda equazione e del tipo Weierstrass.Si puo per esempio dedurre che i moti per cui h = 0 e a = 0 sono semi-circolari, analoghi aquelli di un pendolo centrato nell’origine, con oscillazioni tra −π

2e π

2. Infatti in questo caso la

(17)2 implica r = r0 = costante e la (17)1 diventa un’equazione di Weierstrass

ϑ2 =2 k cos ϑ

r40

,

con il secondo membro nullo per ϑ = ±π2. •

Sergio Benenti

Page 247: Lezioni Di Meccanica Razionale

§ 5.5 Sottovarieta lagrangiane 21

5.5 Sottovarieta lagrangiane

Definizione 1. Una sottovarieta Λ ⊂ T ∗Q e detta lagrangiana se la sua dimensione e n (cioeuguale alla dimensione di Q) e se inoltre la 2-forma simplettica ω = dϑ si annulla sui vettoritangenti a Λ: ∀ p ∈ Λ, ∀ u, v ∈ TpΛ, ω(u, v) = 0. •

Vediamo ora la caratterizzazione delle sottovarieta lagrangiane attraverso le loro possibili rappre-sentazioni. Una sottovarieta Λ ⊂ T ∗Q di dimensione n puo essere descritta (almeno localmente)da un numero complementare (quindi ancora uguale a n) di equazioni

Fi(qj , pk) = 0, (1)

dove le (Fi) sono n funzioni indipendenti su T ∗Q, quindi tale che la matrice n×2n delle derivateparziali

(

∂Fi

∂qj,

∂Fi

∂pk

)

(2)

ha rango massimo. La stessa sottovarieta puo essere anche descritta localmente da equazioniparametriche in n parametri (uh)

qi = qi(uh),

pi = pi(uh),

(3)

con la matrice n × 2n delle derivate parziali

(

∂qi

∂uh,

∂pi

∂uh

)

(4)

di rango massimo. Cominciamo con l’esame di questa seconda rappresentazione.

Teorema 1. La sottovarieta Λ rappresentata dalle equazioni parametriche (3) e lagrangiana see solo se valgono le uguaglianze (somma sottintesa sull’indice ripetuto i) (1)

∂pi

∂uh

∂qi

∂uk− ∂pi

∂uk

∂qi

∂uh= 0 (5)

Dimostrazione. Sostituendo le equazioni parametriche (3) nell’espressione ω = dpi ∧ dqi dellaforma simplettica troviamo

dpi ∧ dqi =∂pi

∂uh

∂qi

∂ukduh ∧ duk. (6)

Quindi, per l’antisimmetria del prodotto esterno duh∧duk, l’annullarsi del primo membro equiv-ale alle condizioni (5). D’altra parte va osservato che la (6) esprime proprio la restrizione di ω

ai vettori tangenti a Λ, o come si usa dire, la restrizione di ω a Λ, denotata con ω|Λ (si vedal’osservazione seguente).

Osservazione 1. L’enunciato precedente e una proprieta generale delle forme differenzialiristrette alle sottovarieta. Sia M una varieta di dimensione m e sia S ⊂ M una sottovarieta di

(1) I primi membri delle (5) sono espressioni chiamate parentesi di Lagrange.

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Page 248: Lezioni Di Meccanica Razionale

22 Cap. 4 - Meccanica Hamiltoniana § 5.5

dimensione n. Siano (xA) (A = 1, . . . , m) coordinate su di un dominio U di M a intersezionenon vuota con S e

xA = xA(ui)

delle equazioni parametriche di S nei parametri (ui) (i = 1, . . . , n). Derivando formalmentequeste equazioni si ottengono le componenti (vA) dei vettori v tangenti a S,

vA = xA =∂xA

∂uiui,

come funzioni di altri n parametri reali (ui), che possono essere interpretati come le componentidi un vettore u ∈ R

n. Sia allora ϑ = ϑA dxA una 1-forma su M (questo ragionamento si estendeal caso di una qualunque p-forma). Il valore di ϑ su di un generico vettore v ∈ TS e dato da

〈v, ϑ〉 = ϑA 〈v, dxA〉 = ϑA vA = ϑA

∂xA

∂uiui.

Possiamo d’altra parte interpretare le componenti ui come il valore dei differenziali dui sulgenerico vettore u ∈ R

n:ui = 〈u, dui〉.

Allora la formula precedente mostra che la restrizione di ϑ ai vettori tangenti a S, che denotiamosemplicemente con ϑ|S (anziche, come sarebbe piu corretto, con ϑ|TS), si ottiene semplicementesostituendo nella sua espressione ϑA dxA le equazioni parametriche di S:

ϑ|S = ϑA

∂xA

∂uidui.

Applicando questa regola alla 2-forma simplettica ω|Λ si trova

ω|Λ = (dpi ∧ dqi)|Λ =

(

∂pi

∂uhduh

)

∧(

∂qi

∂ukduk

)

,

cioe la (6). •

Consideriamo ora la rappresentazione (1).

Teorema 2. La sottovarieta Λ definita dalle equazioni (1) e lagrangiana se e solo se le funzioni(Fi) sono in involuzione sopra Λ, cioe

Fi, Fj|Λ = 0 (7)

Dimostrazione. Si considerino i campi vettoriali hamiltoniani (X i) generati dalle (Fi) (usiamola notazione X i, piu semplice di XFi

) e quindi definiti dalle equazioni

ω(Xi, ·) = − dFi. (8)

Dalle formule (2) e (3) del § precedente seguono le uguaglianze

〈X i, dFj〉 = Fi, Fj,ω(Xi, Xj) = Fi, Fj.

(9)

Sergio Benenti

Page 249: Lezioni Di Meccanica Razionale

§ 5.5 Sottovarieta lagrangiane 23

Se valgono le (7) allora segue dalle (9) che sui punti di Λ valgono le uguaglianze

〈Xi, dFj〉 = 0,

ω(Xi, Xj) = 0.(10)

La prima afferma che ogni campo X i e tangente a Λ. Siccome questi campi sono punto perpunto indipendenti, la seconda mostra che ω ristretta a tutte le coppie di vettori tangenti a Λe nulla (2). Dunque Λ e lagrangiana. Viceversa, dimostriamo che le (7) sono necessarie per lalagrangianita cominciando con l’osservare che, valendo le (1), un generico vettore tangente v aΛ e caratterizzato dalle equazioni 〈v, dFi〉 = 0, quindi dalle equazioni

ω(Xi, v) = 0.

Quest’equazione, valida per ogni v ∈ TΛ, mostra che anche ogni campo vettoriale X i e a suavolta tangente a Λ (si veda l’Oss. 2 seguente). Pertanto, per la lagrangianita di Λ, su Λ eω(Xi, Xj) = 0 e quindi Fi, Fj = 0 per la (3)-§4.

Nell’ultima parte di questa dimostrazione si e utilizzata una proprieta di algebra lineare sim-plettica, oggetto dell’osservazione seguente.

Osservazione 2. Chiamiamo spazio vettoriale simplettico una coppia (E, ω) costituita dauno spazio vettoriale E (reale e a dimensione finita) e da una forma bilineare antisimmetrica ω

su E a valori in R e regolare, cioe tale che ω(u, v) = 0, ∀v ∈ E =⇒ u = 0. Se si considerauna base qualsiasi (eA) di E, le componenti ωAB = ω(eA, eB) di ω soddisfano alle condizioni diantisimmetria ωAB = −ωBA e di regolarita det(ωAB) 6= 0. Siccome una matrice antisimmetricaha determinante nullo se e di ordine dispari, lo spazio vettoriale E ha necessariamente dimen-sione pari m = 2n. In analogia con quanto si fa per gli spazi euclidei, si definisce l’ortogonale(simplettico) di un sottospazio K ⊂ E ponendo

K⊥ = v ∈ E | ω(u, v) = 0, ∀ u ∈ K.

La dimensione di K⊥ e complementare a quella di K. Si osservi che ogni vettore e ortogonalea se stesso. Un sottospazio L ⊂ E e detto lagrangiano se ha dimensione n (la meta di E) ese su di esso si annulla ω: ω(u, v) = 0 per ogni u, v ∈ L (si puo dimostrare che in effetti n ela dimensione massima dei sottospazi su cui si annulla ω). E allora interessante osservare cheL⊥ = L. Infatti da u ∈ L segue u ∈ L⊥ (perche per la lagrangianita e ω(u, v) = 0 per ogniv ∈ Λ), dunque L ⊂ L⊥. Ma poiche L ha la stessa dimensione di L⊥, segue l’uguaglianza deidue sottospazi. Si puo allora affermare che un vettore ortogonale a L sta in L. Questa e appuntola proprieta usata alla fine della dimostrazione precedente. Occorre a questo proposito ancoraosservare che in ogni punto p ∈ T ∗Q la forma simplettica ω si riduce ad una forma bilineareantisimmetrica regolare (Oss. 1, § 5.1), per cui Tp(T

∗Q) e uno spazio vettoriale simplettico.Inoltre se Λ ⊂ T ∗Q e una sottovarieta lagrangiana, allora per ogni p ∈ Λ lo spazio tangente TpΛe un sottospazio lagrangiano di Tp(T

∗Q). •

Consideriamo ora una classe particolare di sottovarieta lagrangiane.

(2) I vettori (Xi) sono indipendenti perche dalla (8) segue ω(aiXi, ·) = − ai dFi e quindi da

ai Xi = 0 segue ai dFi = 0. Ma i differenziali (dFi) sono indipendenti, dunque ai = 0.

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24 Cap. 4 - Meccanica Hamiltoniana § 5.5

Definizione 2. Una sottovarieta lagrangiana Λ ⊂ T ∗Q si dice trasversa alle fibre se in ognisuo punto p lo spazio tangente TpΛ e complementare allo spazio Vp(T

∗Q) dei vettori verticali inp. Un vettore di T (T ∗Q), cioe un vettore tangente a T ∗Q, si dice verticale se le sue componenti(qi) sono nulle (3). •

Teorema 3. Una sottovarieta Λ ⊂ T ∗Q rappresentata da n equazioni (1) e trasversa alle fibrese e solo se le funzioni (Fi) sono verticalmente indipendenti.

Dimostrazione. I vettori tangenti a Λ hanno componenti (qi, pi) soddisfacenti alle equazionilineari

∂kFi qk + ∂kFi pk = 0, (11)

ottenute derivando formalmente le (1). I vettori verticali di TΛ soddisfano quindi alle equazioni

∂kFi pk = 0. (12)

La sottovarieta e trasversa alle fibre se e solo se in ogni suo punto i vettori tangenti e verticalisi riducono al vettore nullo, quindi se e solo se il sistema lineare omogeneo (12) ammette comeunica soluzione quella nulla: pk = 0. Cio equivale alla condizione det(∂kFi) 6= 0.

Teorema 4. Una sottovarieta Λ ⊂ T ∗Q di dimensione n e trasversa alle fibre se e solo seammette (localmente) una rappresentazione parametrica del tipo

pi = Wi(qj), (13)

cioe tale che i momenti (pi) sono funzioni delle coordinate (qj) di Q (4).

Dimostrazione. Ritornando alla proposizione precedente, si osserva che la verticale indipen-denza delle funzioni (Fi), equivalente alla trasversalita, equivale a sua volta alla risolubilita delleequazioni (1) rispetto alle (pi), quindi alla possibilita di scrivere delle equazioni del tipo (13).

E essenziale ai fini che ci siamo proposti il fatto che

Teorema 5. Le equazioni (13) definiscono una sottovarieta lagrangiana se e solo se la 1-formasu Q

W = Wi dqi (14)

e chiusa: dW = 0.

Dimostrazione. Si puo utilizzare il Teorema 1. In questo caso e uh = qh quindi la condizione dilagrangianita (5) diventa semplicemente

∂hpk − ∂kph = 0,

(3) Una definizione equivalente e la seguente: un vettore v ∈ Tp(T∗Q) e verticale se e una classe

di equivalenza di curve su T ∗Q la cui immagine sta tutta nello spazio T ∗q Q (cioe nella fibra)

contenente p.(4) Le (qj) hanno dunque il ruolo di parametri.

Sergio Benenti

Page 251: Lezioni Di Meccanica Razionale

§ 5.5 Sottovarieta lagrangiane 25

ovvero∂hWk − ∂kWh = 0,

cioe dW = 0.

Osservazione 3. La chiusura della forma W equivale alla sua locale esattezza: per ognipunto di Q su cui W e definita esiste un intorno U ⊆ Q ed una funzione W : U → R tale chedW = W |U . Cio significa che Wi = ∂iW quindi che le (13) assumono la forma

pi =∂W

∂qi. (15)

Queste funzioni, che sulle intersezioni dei loro domini di definizione differiscono per delle costanti,si chiamano funzioni generatrici della sottovarieta lagrangiana Λ. Concludiamo pertanto cheogni sottovarieta lagrangiana trasversa alle fibre di T ∗Q e generata (almeno localmente) dafunzioni generatrici, le quali sono funzioni sopra la varieta delle configurazioni Q, cioe funzionidelle coordinate lagrangiane. •

Osservazione 4. Siamo ora in grado di dare una notevole interpretazione geometrica di inte-grale completo. Un’integrale completo, in senso geometrico, di un’hamiltoniana H e un

(i) fogliettamento lagrangiano di T ∗Q,

(ii) trasverso alle fibre,

(iii) compatibile con H (H e costante su ogni foglio).

Per fogliettamento intendiamo una partizione di un aperto V di T ∗Q in sottovarieta connesse emassimali, tutte della stessa dimensione (dette ”fogli”). Per la condizione (i) queste sottovarietasono lagrangiane, quindi di dimensione n; per la (ii) sono trasverse alle fibre. Con la (iii) s’intendeche su ognuna di esse H e costante. Un integrale completo puo allora essere rappresentato in duemodi: (a) con equazioni del tipo (10)1-§ 5.3 (ovvero (15)) dove la funzione W (qi, aj) e un integralecompleto dell’equazione di Hamilton-Jacobi, (b) con un sistema di equazioni indipendenti

Fi(qj, ph) = ai (16)

dove le funzioni Fi sono integrali primi in involuzione. Infatti, per ogni prefissato valore deiparametri a = (aj), la funzione W (qi, aj) e generatrice di una sottovarieta lagrangiana Λa

trasversa alle fibre. La condizione di completezza (11)-§5.3, assicurando la risolubilita dellesuddette equazioni rispetto alle a, consente di affermare che per ogni punto di V passa una eduna sola di tali sottovarieta, perche le a vengono ad essere funzioni delle (qi, pj), come nelle (16).Le sottovarieta lagrangiane costituiscono pertanto un fogliettamento. L’equazione di Hamilton-Jacobi (13)-§5.3 afferma infine che l’hamiltoniana H calcolata attraverso le suddette equazioni,per ogni prefissato valore delle a e costante (= h), vale a dire che H |Λa = costante per ogniΛa. D’altra parte, osservato che le equazioni (16), essendo del tutto equivalenti alle (10)1-§ 5.3,rappresentano ancora il fogliettamento lagrangiano, le funzioni (Fi) sono in involuzione per ilTeorema 2, nonche verticalmente indipendenti per il Teorema 3. Inoltre, per quanto visto nelladimostrazione del Teorema 2, i campi vettoriali (X i) generati dalle funzioni (Fi) sono tangentia ciascuna delle Λa e siccome su queste H e costante segue

0 = 〈Xi, dH〉 = Fi, H.

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Page 252: Lezioni Di Meccanica Razionale

26 Cap. 4 - Meccanica Hamiltoniana § 5.6

Dunque le (Fi) sono integrali primi di XH . Il legame tra i due tipi di rappresentazione oradescritto e proprio il contenuto del Teorema 4 di § 5.4, che risulta pertanto dimostrato. Os-serviamo ancora, per completare il quadro geometrico, che la condizione che H sia costantesulle sottovarieta lagrangiane equivale alla tangenza del campo hamiltoniano XH a queste. Perriconoscerlo basta osservare che

〈XH , dFi〉 = H, Fi = 0.

Possiamo allora anche affermare che la compatibilita del fogliettamento con H coincide conl’invarianza di ogni sottovarieta lagrangiana rispetto al flusso generato da XH . •

5.6 Varieta simplettiche e sistemi hamiltoniani integrabili

L’interpretazione geometrica di integrale completo dell’equazione di Hamilton-Jacobi suggeriscedi collocare tutta la materia riguardante le equazioni di Hamilton in un contesto piu ampio, chevede sostituita la struttura di fibrato cotangente da una struttura piu generale: quella di varietasimplettica.

Definizione 1. Dicesi varieta simplettica una coppia (M, ω) costituita da una varieta dif-ferenziabile M e da una 2-forma ω su M , chiusa (dω = 0) e regolare, cioe tale che in ogni puntop ∈ M vale l’implicazione ω(u, v) = 0, ∀u ∈ TpM =⇒ v = 0. Una 2-forma soddisfacentea queste condizioni prende il nome di forma simplettica. •

Rappresentata ω in un qualunque sistema di coordinate (xA) di M , ω = 1

2ωAB dxA ∧ dxB, la

condizione di regolarita equivale a det(ωAB) 6= 0. Pertanto, per l’antisimmetria della matricedelle componenti (ωAB), la dimensione di M e necessariamente pari (si veda l’Oss. 2, § 5.5).

Osservazione 1. Un fibrato cotangente e una varieta simplettica. Infatti la forma simpletticacanonica ω, essendo esatta perche definita come il differenziale della 1-forma fondamentale diLiouville, e chiusa. Inoltre essa e regolare per quanto visto nell’Oss. 1, § 5.1. Esistono perovarieta simplettiche che non sono fibrati cotangenti. Si consideri per esempio una qualunquesuperficie bidimensionale immersa nello spazio affine euclideo ed orientabile. La forma ω = ∗N

aggiunta di uno dei due versori ortogonali alla superficie, e una 2-forma regolare. Siccome dω euna 3-forma, essa e identicamente nulla (perche la varieta ha dimensione 2). Pertanto ω e unaforma simplettica. Certamente, se la superficie e compatta (una sfera, per esempio) come varietasimplettica non puo identificarsi con un fibrato cotangente tramite un diffeomorfismo (che pergiunta trasformi la forma volume nella forma simplettica canonica) per la semplice ragione chei fibrati cotangenti non sono compatti. •

Le definizioni di campo vettoriale hamiltoniano (quindi di sistema dinamico hamiltoniano), diparentesi di Poisson e di sottovarieta lagrangiana, viste per i fibrati cotangenti, si estendono im-mediatamente alle varieta simplettiche perche richiedono l’intervento della sola forma simpletticaω (si vedano, rispettivamente, l’equazione (1)-§5.3 per i campi hamiltoniani, la formula (3) o la(4) di § 5.4 per le parentesi di Poisson e infine la Def. 1 di § 5.5 per le sottovarieta lagrangiane).Le condizioni di regolarita e di chiusura imposte ad ω sono poi indispensabili per estendere allevarieta simplettiche le proprieta fondamentali di questi oggetti. Si puo infatti dimostrare che laregolarita di ω equivale alla regolarita delle parentesi di Poisson e che la chiusura di ω equivale

Sergio Benenti

Page 253: Lezioni Di Meccanica Razionale

§ 5.6 Varieta simplettiche e sistemi hamiltoniani integrabili 27

all’identita di Jacobi. Inoltre resta valida la proprieta che una sottovarieta rappresentata dan equazioni indipendenti Fi = 0 e lagrangiana se e solo se le funzioni (Fi) sono in involuzione(Teorema 2, § 5.5).

In questo contesto si colloca il teorema di Darboux (Gaston Darboux, 1842-1917) il qualeafferma che, assegnata una forma simplettica ω su M , allora nell’intorno di ogni punto di Mesistono delle coordinate canoniche (qi, pj) per cui si ha

ω = dpi ∧ dqi. (1)

Pertanto in queste coordinate le equazioni differenziali del primo ordine di un campo hamilto-niano XH sono ancora le equazioni di Hamilton (8)-§5.1 e le parentesi di Poisson sono ancoraesprimibili con la formula (2)-§5.4.

Nel contesto piu generale delle varieta simplettiche il teorema di Jacobi e il parallelo teorema diLiouville, formulati e dimostrati per i fibrati cotangenti, perdono in tutto o in parte il loro signi-ficato. Infatti, sebbene la Def. 1, § 5.5 di sottovarieta lagrangiana richieda solo l’uso della formasimplettica e sia quindi senz’altro estendibile alle varieta simplettiche, viene pero a decadereil concetto di trasversalita, proprio dei fibrati cotangenti, concetto usato sistematicamente (in-sieme a quello di verticale indipendenza) sia per la formulazione del teorema di Jacobi sia perla dimostrazione del teorema di Liouville.

Tuttavia per i sistemi hamiltoniani sulle varieta simplettiche il teorema di integrabilita di Liou-ville, opportunamente riformulato, assume un notevole significato geometrico globale. Si trattadel fondamentale teorema di Arnold-Liouville (Vladimir Iliic Arnold, Mosca) relativo aisistemi hamiltoniani integrabili.

Definizione 2. Un sistema hamiltoniano (M, ω, H), generato da una funzione H sopra unavarieta simplettica (M, ω) di dimensione 2n, si dice integrabile se ammette un sistema di nintegrali primi indipendenti ed in involuzione (Fi) (1).

Teorema 1. Se un sistema hamiltoniano e integrabile allora le equazioni Fi = ai (= costante)definiscono un fogliettamento lagrangiano (Λa) a cui XH e tangente. Se i campi hamiltonianigenerati dalle (Fi) sono completi (2), allora ogni Λa e diffeomorfa a R

n−k × Tk con 0 ≤ k ≤ n(3). Secondo tale diffeomorfismo su ogni Λa la restrizione del campo XH e un campo quasi-

periodico.

La prima parte dell’enunciato e un’immediata estensione alle varieta simplettiche di quanto vistoall’Oss. 4 del § precedente.

La seconda parte, la cui dimostrazione e materia di corsi superiori, fonda la sua importanza sulsignificato di campo quasi periodico. Si ricordi che il toro Tk e il quoziente di R

k rispetto a Zk.

Si consideri ora su Rn un campo vettoriale costante X di componenti (ωi) ∈ R

n. Per effetto delquozientamento rispetto a Z

k che riduce Rn alla varieta R

n−k × Tk, questo campo si riduce ad

(1) Uno di questi puo essere la stessa hamiltoniana H . Questa definizione si estende anche alcaso in cui i punti in cui gli integrali primi non sono indipendenti formano un insieme chiuso(eventualmente di misura nulla) detto insieme critico.(2) Ipotesi senz’altro soddisfatta se le Λa sono compatte.(3) Si ha necessariamente Λ ' Tn se la sottovarieta lagrangiana e compatta.

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28 Cap. 4 - Meccanica Hamiltoniana § 5.6

un campo X. Un campo siffatto si dice quasi-periodico. E particolarmente interessante il casok = n, cioe il caso in cui le varieta lagrangiane Λa sono dei tori. In questo caso le componenti(ωi), che sono costanti su ogni toro ma che variano da toro a toro (sono funzioni delle (ai)),prendono il nome di frequenze.

Per comprendere la ragione di questi termini conviene porsi nel caso di n = 2 (toro bidimen-sionale). Si vede facilmente che se le frequenze (ω1, ω2) sono commensurabili, cioe soddisfano adun’uguaglianza del tipo z1 ω1 + z2 ω2 = 0 con (z1, z2) interi, allora le curve integrali di X sonoperiodiche. Si puo invece dimostrare che in caso contrario le curve integrali sono dense sul toro:cio significa che, considerata una qualunque curva integrale massimale γ: R → T2 (4), per ogniprefissato punto p ∈ T2 e per ogni suo intorno U esiste almeno un t∗ ∈ R tale che γ(t∗) ∈ U .In altri termini, una curva integrale passa vicino quanto si vuole ad un qualunque punto prefis-sato. Il teorema di Arnold-Liouville fornisce pertanto una notevole descrizione qualitativa delcomportamento delle curve integrali dei sistemi hamiltoniani integrabili.

(4) Essendo il toro una varieta compatta ogni suo campo vettoriale e completo.

Sergio Benenti

Page 255: Lezioni Di Meccanica Razionale

Sergio Benenti

Lezioni di Meccanica Razionale

Capitolo 6

Meccanica Relativistica

Le equazioni del campo elettromagnetico di Maxwell prescrivono per le onde elettromagnetichenel vuoto una velocita di propagazione costante. Questa velocita risulta essere indipendente dallascelta del riferimento, in evidente contrasto con la meccanica classica e la legge di composizionedelle velocita. Le soluzioni proposte nel 1904 dal fisico Hendrik Antoon Lorentz (Arnhem 1853 -Haarlem 1928) e dal matematico Jules Henri Poincare (Nancy 1854 - Parigi 1912) per superarequesto contrasto, soluzioni basate su di una radicale modifica dei concetti primitivi di tempo edi spazio, vengono nel 1905 raccolte, rielaborate e sintetizzate da Albert Einstein (Ulm 1879 -Princeton 1955) in elementari ma, per quel tempo, rivoluzionari princıpi per una nuova mecca-nica. Tre anni dopo, Hermann Minkowski (Alexotas, Lituania 1864 - Gottinga 1909) mostra chequesti princıpi trovano una chiara e sintetica formulazione in uno spazio affine a quattro dimen-sioni dotato di un tensore metrico di segnatura iperbolica: lo spazio-tempo di Minkowski. Perdescrivere la meccanica di Einstein occorrera quindi premettere alcune elementari considerazionisugli spazi vettoriali iperbolici.

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2 Cap. 6 - Meccanica Relativistica § 6.1

6.1 Spazi vettoriali iperbolici

Richiamiamo le definizioni fondamentali concernenti i tensori metrici (si veda l’Oss. 1, §2.1). Untensore metrico g su di uno spazio vettoriale E e una forma bilineare simmetrica regolare soprai vettori di E. Il numero g(u, v) e anche denotato con u · v ed e detto prodotto scalare deivettori u e v. La regolarita del tensore metrico si esprime nell’implicazione u · v = 0, ∀v =0 =⇒ u = 0. Due vettori si dicono ortogonali se u · v = 0. Chiamiamo (anche seimpropriamente, rispetto allo stesso termine usato in Analisi) norma del vettore u il numero

‖u‖ = u · u.

Diciamo che il vettore u e del genere spazio, del genere tempo o del genere luce se lasua norma e rispettivamente positiva, negativa o nulla (in quest’ultimo caso il vettore si diceanche isotropo: un vettore isotropo e ortogonale a se stesso). Si noti che la norma ‖ · ‖ e laforma quadratica associata alla forma bilineare simmetrica g. Una base di E si dice canonica

(o ortonormale) se costituita da vettori mutuamente ortogonali e unitari, cioe di norma ±1.Si dimostra che esistono basi canoniche e che la coppia (p, q) costituita dal numero p dei vettoria norma positiva e dal numero q di quelli a norma negativa e invariante rispetto alla scelta dellabase canonica. Questa coppia prende il nome di segnatura del tensore metrico (o, con abusodi linguaggio, di segnatura dello spazio). Per la regolarita del tensore metrico si ha p+ q = n.Se la segnatura e (n, 0) (cioe se la norma e definita positiva) lo spazio si dice euclideo (ostrettamente euclideo). Se la segnatura e (n− 1, 1) lo spazio si dice iperbolico.

Osservazione 1. E un utile esercizio sul concetto di prodotto scalare dimostrare quanto segue.Sia V uno spazio vettoriale reale di dimensione finita n e sia E = End(V ) lo spazio vettorialedegli endomorfismi lineari di V (quindi di dimensione n2). Su di E risulta definito un prodottoscalare ponendo

A · B = tr(AB).

La sua segnatura (p, q) e

p = 12n (n+ 1), q = 1

2n (n− 1).

Quindi se n = 2, E diventa uno spazio iperbolico a quattro dimensioni. Se si considera su V

un tensore metrico positivo, allora gli endomorfismi simmetrici rispetto a questo tensore sonodel genere spazio, mentre quelli antisimmetrici sono del genere tempo. Inoltre gli endomorfismisimmetrici sono ortogonali a quelli antisimmetrici. Ad ogni tensore metrico definito positivo suV corrisponde quindi una decomposizione di E nella somma diretta di un sottospazio del generespazio ed in un sottospazio del genere tempo. Infine, se si assegna su V un tensore metricopositivo si puo definire su E il prodotto scalare

A · B = tr(ABT)

che, a differenza del precedente, risulta definito positivo. •

Si consideri ora uno spazio vettoriale iperbolico (E, g) di dimensione n+1. Denotiamo una baseortonormale generica di E con (eA), intendendo gli indici latini maiuscoli variabili in (0, 1, . . . , n),assumendo e0 del genere tempo e gli altri vettori (ei) del genere spazio, per cui gli indici latini

Sergio Benenti

Page 257: Lezioni Di Meccanica Razionale

§ 6.1 Spazi vettoriali iperbolici 3

minuscoli s’intendono variabili in (1, . . . , n). Posto gAB = eA · eB, la matrice metrica ha la forma

(gAB) =

−1 0 . . . 00 1 . . . 0...

.... . .

...0 0 . . . 1

. (1)

Consideriamo alcune proprieta fondamentali degli spazi iperbolici.

Proposizione 1. Un vettore (diverso dal vettore nullo) ortogonale ad un vettore del generetempo e del genere spazio. Il sottospazio ortogonale ad un vettore del genere tempo e uno spaziostrettamente euclideo.

Dimostrazione. Sia u ∈ E un vettore del genere tempo. Si puo costruire una base canonica taleche e0 = λu. I restanti vettori (ei) formano allora una base del sottospazio dei vettori ortogonalia u. Siccome questi vettori sono tutti del genere spazio, tale sottospazio e strettamente euclideoed i suoi vettori (non nulli) hanno tutti norma positiva.

Sempre utilizzando una base canonica si dimostra in maniera analoga che:

Proposizione 2. Il sottospazio ortogonale ad un vettore del genere spazio e uno spazio iper-bolico se n > 1 o del genere tempo se n = 1.

Osservazione 1. Dalla Prop. 1 segue che i sottospazi del genere tempo hanno dimensione 1. •

Proposizione 3. Due vettori del genere luce fra loro ortogonali sono necessariamente paralleli(cioe linearmente dipendenti).

Dimostrazione. Un generico vettore isotropo v 6= 0 puo sempre mettersi nella forma v =a(u+ e0), dove u e un vettore unitario, del genere spazio, ortogonale a e0; basta infatti porreu = 1

av − e0 con a = −v · e0 (si osservi che la condizione v · e0 = 0 violerebbe la Prop. 1).

Se v′ = a′(u′ + e0) e un altro vettore isotropo decomposto allo stesso modo, dalla condizionev · v′ = 0 segue u · u′− 1 = 0. Ma due vettori unitari del genere spazio hanno prodotto scalareuguale a 1 se e solo se sono uguali. Da u = u′ segue che v e v′ sono dipendenti.

Osservazione 2. Dalla proposizione precedente segue che i sottospazi isotropi hanno dimen-sione 1. Inoltre, fissato un vettore c 6= 0 del genere luce, un qualunque vettore u ad essoortogonale e non parallelo e del genere spazio (altrimenti si violerebbe la Prop. 1 e la Prop. 3).Pertanto il sottospazio dei vettori ortogonali a c e a metrica singolare (la restrizione del tensoremetrico a questo spazio non e piu una forma bilineare regolare). •

Denotiamo con T il sottoinsieme dei vettori del genere tempo. Diciamo che due vettori u, v ∈ Tsono ortocroni se u · v < 0.

Proposizione 4. La relazione di ortocronismo e una relazione di equivalenza che divide T indue classi, T + e T −.

Dimostrazione. La relazione di ortocronismo e riflessiva perche si ha v · v = ‖v‖ < 0 per ognivettore del genere tempo (per definizione). E ovviamente simmetrica, perche e simmetrico ilprodotto scalare. Per dimostrare la proprieta transitiva dobbiamo dimostrare l’implicazione

u · v < 0, v · w < 0 =⇒ u · w < 0. (2)

Lezioni di Meccanica Razionale

Page 258: Lezioni Di Meccanica Razionale

4 Cap. 6 - Meccanica Relativistica § 6.1

Per dimostrare che le classi di equivalenza sono due dobbiamo dimostrare l’implicazione

u · v > 0, v · w > 0 =⇒ u · w < 0. (3)

Per questo scopo, supposto senza ledere la generalita che il vettore v sia unitario, si scelga unabase canonica tale da aversi e0 = v. Si ha allora:

u · w =

n∑

i=1

ui wi − u0 w0, u · v = g00 u0 = −u0, w · v = −w0.

Le condizioni u ∈ T e w ∈ T sono equivalenti alle disuguaglianzen∑

i=1

(ui)2 − (u0)2 < 0,

n∑

i=1

(wi)2 − (w0)2 < 0.

Per la disuguaglianza di Schwarz, valida nello spazio strettamente euclideo ortogonale a e0 egenerato dai vettori (ei), si ha anche

(

n∑

i=1

ui wi

)2

n∑

i=1

(ui)2n∑

i=1

(wi)2 < (u0w0)2.

Abbiamo allora le seguenti implicazioni : (u · v < 0, v · w < 0) ⇐⇒ (u0 > 0, w0 > 0) =⇒u0w0 > 0 =⇒ u · w < 0. Quindi l’implicazione (2) e dimostrata. Analogamente si ha: (u · v >

0, v · w > 0) ⇐⇒ (u0 < 0, w0 < 0) =⇒ u0w0 > 0 =⇒ u · w < 0. Quindi anche l’implicazione(3) e dimostrata.

Osservazione 3. Se v ∈ T + allora −v ∈ T −, cioe −T − = T +. Inoltre la somma (non ladifferenza) di due o piu vettori di T + (risp. di T −) e ancora un vettore di T + (risp. di T −). •

Osservazione 4. Sia L l’insieme dei vettori del genere luce. Essi formano il cosiddetto cono

di luce. Se infatti denotiamo con x = xA eA il generico vettore dello spazio e se imponiamo cheesso sia isotropo, cioe che x · x = 0, troviamo la condizione

n∑

i=1

(xi)2 − (x0)2 = 0. (4)

Questa e l’equazione di un cono di centro l’origine (vettore nullo). Il cono di luce e diviso indue falde, L+ e L−, definite dalle condizioni T +

· L+ < 0 e T −· L− < 0, ciascuna delle quali

separa dai vettori del genere spazio i vettori delle classi T + e T − rispettivamente, i quali stannoall’interno di ciascuna falda del cono di luce (Fig. 6.1.1). •

Fig. 6.1.1 - Suddivisione dei vettori di uno spazio iperbolico.

Sergio Benenti

Page 259: Lezioni Di Meccanica Razionale

§ 6.1 Spazi vettoriali iperbolici 5

Osservazione 5. I vettori unitari del genere spazio sono caratterizzati dall’equazione

n∑

i=1

(xi)2 − (x0)2 = 1. (5)

Si tratta di un iperboloide a una falda. I vettori unitari del genere tempo sono invece caratter-izzati dall’equazione

n∑

i=1

(xi)2 − (x0)2 = − 1. (6)

Si tratta di un iperboloide a due falde. •

Esaminiamo ora, per meglio comprendere la struttura di uno spazio iperbolico, il caso piusemplice dello spazio iperbolico bidimensionale (n = 1 nelle formule precedenti). Fissata unabase canonica (e0, e1), con e0 del genere tempo, osserviamo innanzitutto che il cono di luce,insieme dei vettori isotropi, ha ora equazione

(x1)2 − (x0)2 = 0

e si riduce pertanto alle rette isotrope di equazione x1 − x0 = 0 e x1 + x0 = 0, bisettricidei quadranti individuati dai vettori della base. Volendo raffigurare su di un piano coordinato ivettori (e0, e1), unitari e ortogonali fra loro, occorre tener presente che il foglio su cui riportiamola figura (Fig. 6.1.2) e la rappresentazione intuitiva dello spazio bidimensionale strettamenteeuclideo, non di quello iperbolico. Per esempio, contrariamente al nostro senso euclideo, i vettoriche si trovano sulle bisettrici hanno lunghezza nulla. Inoltre i vettori unitari del genere temposono caratterizzati dall’equazione

(x0)2 − (x1)2 = 1

e descrivono quindi un’iperbole di vertici i punti (±1, 0) e asintoti le rette isotrope, mentre ivettori unitari del genere spazio sono caratterizzati dall’equazione

(x1)2 − (x0)2 = 1

e descrivono pertanto l’iperbole di vertici i punti (0,±1) con gli stessi asintoti. Dato un vettoreu = (u0, u1) unitario del genere tempo, la retta descritta dai vettori x ortogonali a u haequazione

u1 x1 − u0 x0 = 0.

Si consideri fra questi uno dei due vettori v unitari. Sappiamo che questi sono del genere spazio.Allora

‖u− v‖ = ‖u‖ + ‖v‖ − 2u · v = −1 + 1 − 0 = 0.

Cio significa che il vettore differenza u−v e isotropo, quindi giacente su una delle due bisettrici.Concludiamo che, nella rappresentazione euclidea, due vettori del piano iperbolico unitari eortogonali sono simmetrici rispetto ad una delle due bisettrici (Fig. 6.1.2).

Lezioni di Meccanica Razionale

Page 260: Lezioni Di Meccanica Razionale

6 Cap. 6 - Meccanica Relativistica § 6.1

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x0

x1

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u

v

e0

e1

Fig. 6.1.2 - Ortogonalita nel piano iperbolico.

Si osservi ancora, guardando la figura, che per un ”osservatore iperbolico” la coppia (u, v) eancora una base canonica quindi del tutto equivalente alla coppia (e0, e1) e ottenibile da questamediante una rotazione. Siamo allora condotti ad esaminare il gruppo delle isometrie sullospazio iperbolico bidimensionale. Ci limitiamo a quelle di determinante +1, cioe alle rotazioniproprie. Data una rotazione Q, si ponga

Q(e0) = a e0 + b e1, Q(e1) = c e0 + d e1.

Cio equivale a considerare la matrice delle componenti di Q:

(QB

A) =

[

a b

c d

]

.

Dalle condizioni Q(eA) · Q(eB) = eA · eB, detQ = 1, caratteristiche di una rotazione, seguonole uguaglianze:

a2 − b2 = 1, d2 − c2 = 1, bd− ac = 0, ad− bc = 1.

Dalle ultime due si trae a = d e b = c. Dalla prima segue a2 ≥ 1. Possiamo allora porre

a = coshχ, b = sinhχ, (7)

oppurea = − coshχ, b = sinhχ. (8)

Nel primo caso e a > 0 e siccome a = −Q(e0) · e0 segue Q(e0) · e0 < 0. Dunque Q e unarotazione ortocrona, conserva cioe le classi dei vettori del genere tempo. La matrice dellecomponenti di una rotazione ortocrona ha quindi la forma:

(QB

A) =

coshχ sinhχ

sinhχ coshχ

. (9)

Sergio Benenti

Page 261: Lezioni Di Meccanica Razionale

§ 6.2 Lo spazio-tempo di Minkowski 7

Nel secondo caso si ha una rotazione non ortocrona e la matrice corrispondente e:

(QB

A) =

− coshχ sinhχ

sinhχ − coshχ

. (10)

Il parametro χ che interviene nella rappresentazione (9) prende il nome di pseudoangolo della

rotazione. Esso puo variare da −∞ a +∞, ricoprendo tutte le rotazioni ortocrone. Per χ = 0 siha ovviamente Q = 1. La composizione di due rotazioni di pseudoangolo χ1 e χ2 e la rotazionedi pseudoangolo χ1 +χ2; lo si desume dalla (9) utilizzando le proprieta elementari delle funzionitrigonometriche iperboliche. Sempre in base a tali proprieta, si osserva che si puo scegliere comeparametro rappresentativo la tangente iperbolica dello pseudoangolo,

β = tanhχ =sinhχ

coshχ, (11)

variabile nell’intervallo aperto (−1, 1). La (9) diventa allora

(QB

A) =

1√

1 − β2

1 β

β 1

. (12)

6.2 Lo spazio-tempo di Minkowski

La meccanica classica (o newtoniana) postula l’esistenza di un tempo assoluto e di una classeparticolare di riferimenti (i riferimenti inerziali o galileiani) rispetto ai quali una particella liberada vincoli e isolata (non soggetta cioe ad alcuna sollecitazione) si muove di moto rettilineouniforme. Postula inoltre l’invarianza delle leggi della meccanica in questi riferimenti (principio

di relativita galileiana). Di conseguenza le leggi della meccanica ammettono una formulazioneassoluta, cioe indipendente dalla scelta del riferimento, nell’insieme degli eventi dotato di unastruttura di spazio affine a quattro dimensioni (§3.3): lo spazio-tempo di Newton. I motiinerziali, cioe i moti dei punti liberi e isolati, sono rappresentati da rette nello spazio-tempoed il tempo assoluto definisce un fogliettamento di sottospazi affini tridimensionali di eventicontemporanei.

La meccanica relativistica (o einsteiniana) postula ancora l’esistenza dei riferimenti inerzialima abbandona l’idea di un tempo assoluto, assumendo invece che ogni riferimento inerziale siadotato di un suo tempo (il tempo relativo). All’invarianza rispetto alla scelta del riferimentodell’intervallo temporale t(P ) − t(O) di due eventi (O, P ) viene sostituita l’invarianza dellaquantita

‖OP‖ = |OP |2s − c2 |OP |2t , (1)

detta intervallo spazio-temporale. Qui il simbolo |OP |s indica la distanza spaziale rela-

tiva al riferimento dei due eventi e il simbolo |OP |t = t(P )− t(O) il loro intervallo temporale

relativo. Inoltre c e una costante universale (la velocita della luce nel vuoto). Piu precisamente,se in due riferimenti (o laboratori) inerziali diversi R e R′ si misurano con strumenti dello stessotipo distanze spaziali s ed s′ e tempi relativi t e t′ rispettivamente, allora si ha

|OP |t = |OP |t′

|OP |2s − c2 |OP |2t = |OP |2s′ − c2 |OP |2t′

in meccanica newtoniana,

in meccanica einsteiniana.

Lezioni di Meccanica Razionale

Page 262: Lezioni Di Meccanica Razionale

8 Cap. 6 - Meccanica Relativistica § 6.2

L’esistenza dei riferimenti inerziali e dei moti inerziali porta ancora ad assumere per lo spazio-tempo M della meccanica einsteiniana una struttura di spazio affine a quattro dimensioni.Inoltre l’invarianza dell’intervallo spazio-temporale (1) si traduce nell’esistenza su M (cioe sullospazio vettoriale soggiacente) di un tensore metrico g tale che ‖OP‖ e proprio la norma delvettore OP . Questo tensore metrico e iperbolico, cioe di segnatura (3,1). Infatti, se in unriferimento inerziale consideriamo coordinate cartesiane ortonormali (x, y, z) aventi origine nelpunto dove accade l’evento O ed il tempo relativo t si misura a partire dallo stesso evento O,allora ogni altro evento P e determinato dalle coordinate spazio-temporali (x, y, z, t) ed inoltre

|OP |2s = x2 + y2 + z2, |OP |2t = t2.

Di conseguenza‖OP‖ = x2 + y2 + z2 − c2t2. (2)

Dunque la metrica ha segnatura (3,1).

Possiamo allora sintetizzare tutte le precedenti considerazioni nel seguente assioma: lo spazio-tempo M della relativita ristretta, detto spazio-tempo di Minkowski, e uno spazio affineiperbolico a quattro dimensioni.

Adotteremo le seguenti convenzioni riguardanti i riferimenti affini in M . Conformemente aquanto fatto al § 6.1, denoteremo con

(eA) = (e0, ei) = (e0, e1, e2, e3) = (e0, i, j, k)

una generica base canonica, dove

‖e0‖ = − 1, ‖ei‖ = 1.

Gli indici latini maiuscoli assumeranno quindi i valori (0, 1, 2, 3), quelli minuscoli i valori (1, 2, 3).La matrice delle componenti del tensore metrico gAB = eA · eB assume la forma canonica

(gAB) =

−1 0 0 00 1 0 00 0 1 00 0 0 1

. (3)

Denoteremo con(xA) = (x0, xi) = (x0, x1, x2, x3) = (x0, x, y, z)

le corrispondenti coordinate cartesiane ortonormali aventi origine in un punto (evento) O ∈M .Pertanto per ogni punto P

OP = xA eA = x0 e0 + xi ei = x0 e0 + x i+ y j + z k

e‖OP‖ = − (x0)2 + x2 + y2 + z2.

Dal confronto di quest’ultima uguaglianza con la (2) si osserva che conviene porre

x0 = ct. (4)

Sergio Benenti

Page 263: Lezioni Di Meccanica Razionale

§ 6.2 Lo spazio-tempo di Minkowski 9

Come si vede da queste premesse e come sara ulteriormente precisato nel seguito, un versoredel genere tempo e0 individua un riferimento inerziale (e del tutto arbitraria la scelta dei trevettori ortonormali del genere spazio (ei) ortogonali a e0) e, con la (4), il corrispondente temporelativo t.

Passiamo ora a definire gli enti cinematici fondamentali del moto di un punto. Nello spazio-tempo il moto di una particella e una successione di eventi (la sua ”storia”) rappresentabile conuna curva di equazione parametrica vettoriale

OP = R(τ). (5)

Ad ogni valore del parametro τ corrisponde il vettore posizione R(τ) dell’evento P (τ) rispettoad un prefissato evento di riferimento O. Questo parametro τ puo essere pensato come ”tempo”misurato da un orologio posseduto dalla particella. La scelta del parametro non e unica, ma noiassumeremo che sia tale da soddisfare alla seguente definizione:

Definizione 1. La storia di una particella materiale e una curva parametrizzata tale cheil vettore

V =dR

dτ(6)

e del genere tempo e soddisfa alla condizione di normalizzazione

‖V ‖ = − c2. (7)

Il vettore V ed il parametro τ (definito a meno di una costante additiva) sono detti rispettiva-mente velocita assoluta e tempo proprio della particella. •

Osservazione 1. Occorre aggiungere una ulteriore convenzione: che tutte le particelle abbianovelocita assolute ortocrone, appartengano cioe all’interno di una medesima falda del cono diluce dello spazio vettoriale soggiacente a M . Chiamiamo questa falda futuro e la denotiamocon T + (l’altra falda T − sara chiamata passato). Cio significa che le velocita assolute di dueparticelle, oltre alla condizione (14), soddisfano anche alla condizione di ortocronismo (siveda il § 6.1)

V 1 · V 2 < 0. • (8)

Osservazione 3. La storia di una particella materiale e dunque una curva del genere tempo,cioe tale che in ogni suo punto il vettore tangente e del genere tempo. Questa assunzionetrova giustificazione nelle considerazioni seguenti. Per particella materiale intendiamo unaparticella tale che in ogni evento della sua storia esiste un riferimento inerziale in cui e in quiete(un fotone, espressione della teoria particellare della luce, non soddisfa a questa condizione).In un generico riferimento affine si ha

V =dx0

dτe0 +

dxi

dτei. (9)

Dunque, per ogni prefissato valore di τ deve esistere un riferimento nel quale dxi

dτ= 0 (queste

derivate rappresentano infatti le componenti della velocita relativa a quel riferimento). Allorain quell’istante

V =dx0

dτe0

Lezioni di Meccanica Razionale

Page 264: Lezioni Di Meccanica Razionale

10 Cap. 6 - Meccanica Relativistica § 6.3

e quindi

‖V ‖ = −

(

dx0

)2

< 0. (10)

Dunque V e sempre del genere tempo. Per quel che riguarda invece la condizione di normaliz-zazione (7) va osservato quanto segue. E ragionevole assumere che per una particella in quietein un riferimento il tempo proprio τ coincida a meno di una costante additiva col tempo relativot, cioe che si abbia sempre dt

dτ = 1. Allora dalla (9), tenuto conto della (4), segue ‖V ‖ = − c2.D’altra parte, siccome per una particella materiale qualsiasi esiste in ogni evento della sua storiaun riferimento di ”quiete istantanea”, e ragionevole assumere la condizione ‖V ‖ = − c2 pertutti questi eventi. •

Osservazione 4. Per ogni evento O ∈M l’insieme degli eventi P tali che ‖OP‖ = 0 (cioe taliche i vettori OP sono del genere luce) prende il nome di cono di luce in O. Questo termine egiustificato dalle considerazioni seguenti. Si supponga che l’evento O, origine di un sistema dicoordinate affini, corrisponda all’accensione di una lampada puntiforme al tempo t = 0. Il fronted’onda luminoso che si propaga nello spazio tridimensionale e una sfera centrata nell’origine edi raggio ct, dove c e la velocita della luce. Esso ha quindi equazione

x2 + y2 + z2 = c2t2.

Nello spazio-tempo questa e l’equazione di un cono di vertice l’origine e asse l’asse x0. Gli eventiP che si trovano sui vari fronti d’onda soddisfano quindi alla condizione

‖OP‖ = x2 + y2 + z2 − c2t2 = 0.

Il vettoreOP e pertanto isotropo. Si noti che questa e una condizione assoluta, cioe indipendentedal riferimento, per l’invarianza dell’intervallo spazio-temporale. Si osservi inoltre che ogni rettageneratrice del cono rappresenta un raggio di luce emesso dall’evento O. Pertanto nello spazio-tempo i raggi luminosi nel vuoto sono rappresentati da rette isotrope. •

6.3 Riferimenti inerziali e tempo relativo

Possiamo ora precisare la nozione di riferimento e di tempo relativo. Un riferimento fisico Re identificabile con un insieme continuo di particelle materiali ideali invadente (in tutto o inparte) l’universo. Le storie di queste particelle vengono a formare nello spazio-tempo M unacongruenza di curve, cioe un insieme di curve non intersecantisi, ricoprenti M in tutto o in parte.I vettori velocita assoluta di queste particelle definiscono dunque un campo vettoriale X su M

soddisfacente alla condizione di normalizzazione

‖X‖ = − c2. (1)

Pertanto identificheremo un riferimento con un campo vettorialeX a valori in T + e soddisfacentealla (1). Le curve integrali di X sono le storie delle particelle del riferimento. In particolareabbiamo che un riferimento e inerziale se e solo se X e costante. Infatti questa condizione everificata se e solo se tutte le particelle del riferimento hanno storie rettilinee. Diamo ora lagenerale definizione di tempo relativo ad un riferimento.

Sergio Benenti

Page 265: Lezioni Di Meccanica Razionale

§ 6.3 Riferimenti inerziali e tempo relativo 11

Definizione 1. Il tempo relativo ad un riferimento X e una funzione t:M → R tale che

dt = −1

c2ξ, ξ = X[ • (2)

Questa definizione ha senso perche, essendo lo spazio-tempo dotato di un tensore metrico, adogni campo vettoriale X corrisponde una 1-forma ξ = X[ tale che per ogni vettore u

〈u, ξ〉 = u · X . (3)

Di conseguenza

〈X, dt〉 = 1 (4)

perche

〈X, dt〉 = −1

c2〈X, ξ〉 = −

1

c2X · X = 1.

Affinche esista la funzione t, nel qual caso essa e definita modulo una costante, e necessario esufficiente che la 1-forma ξ sia chiusa (lemma di Poincare: si osservi che M e identificabile conR

4):dξ = 0. (5)

Questa condizione e senz’altro soddisfatta se X e costante, cioe se il riferimento e inerziale.

Le proposizioni seguenti mostrano che la nozione di tempo relativo ora introdotta e coerente conquella gia utilizzata nei ragionamenti precedenti.

Proposizione 1. Il tempo relativo ad un riferimento coincide (modulo una costante) col tempoproprio delle particelle del riferimento.

Dimostrazione. Infatti la derivata del tempo relativo t rispetto al tempo proprio τ di unaparticella del riferimento coincide con la derivata di t rispetto al campo vettorialeX , quindi perla (4)

dt

dτ= 〈X, dt〉 = 1.

Proposizione 2. Le varieta di contemporaneita t = costante sono ortogonali al campo X cioealle storie delle particelle del riferimento. Esse sono varieta tridimensionali riemanniane, conmetrica definita positiva.

Dimostrazione. Siccome dt 6= 0 le equazioni t = costante definiscono effetivamente delle sotto-varieta tridimensionali di M . Ogni vettore u tangente ad una superficie t = costante e caratter-izzato dalla condizione 〈u, dt〉 = 0 che per la (2) e la (3) equivale a u · X = 0. Per dimostrarela seconda parte della proposizione basta ricordare che in uno spazio vettoriale iperbolico ilsottospazio ortogonale ad un vettore del genere tempo e strettamente euclideo.

Proposizione 3. Se il riferimento rappresentato dal campoX e inerziale allora il tempo relativodefinito dalla (2) e tale che per ogni coppia (O, P ) di eventi vale l’uguaglianza

t(P ) − t(O) = −1

c2OP · X (6)

Lezioni di Meccanica Razionale

Page 266: Lezioni Di Meccanica Razionale

12 Cap. 6 - Meccanica Relativistica § 6.4

Gli spazi affini tridimensionali ortogonali a X sono strettamente euclidei e rappresentano gliinsiemi degli eventi contemporanei rispetto al tempo relativo t.

Dimostrazione. In un qualunque sistema di coordinate ortonormali (xA) (A = 0, 1, 2, 3) per ξsussiste la rappresentazione

ξ = ξA dxA,

con le componenti ξA costanti. Si consideri su M la funzione

t = −1

c2ξA x

A.

Differenziando si trova

dt = −1

c2ξA dx

A = −1

c2ξ,

quindi t e un tempo relativo. Inoltre, per ogni coppia di eventi (O, P ),

t(P ) − t(O) = −1

c2ξA(

xA(P ) − xA(O))

= −1

c2〈OP, ξ〉

e la (6) e soddisfatta. La seconda parte e conseguenza diretta della proposizione precedente.

Osservazione 1. Per i riferimenti inerziali nello spazio-tempo di Minkowski si possono ripetereconsiderazioni analoghe a quelle svolte per i riferimenti inerziali nello spazio-tempo di Newton.(i) Le storie delle particelle costituenti un riferimento inerziale X formano un fascio di retteparallele al vettoreX . (ii) Le varieta Ms costituite dagli eventi contemporanei (t = s) nel temporelativo a quel riferimento sono gli spazi affini tridimensionali euclidei ortogonali a X (Prop.3). (iii) L’insieme MX delle rette del fascio e uno spazio affine euclideo tridimensionale: essorappresenta l’universo osservato dal riferimento X . (iv) Lo spazio-tempo di Minkowski risultadi conseguenza identificabile nel prodotto di due spazi affini euclidei: M ' MX × R ' R

3 × R.Appare evidente dalle considerazioni precedenti, in particolare dall’osservazione (iii), che lacontemporaneita degli eventi e un concetto relativo, non assoluto. Questo fatto e discusso neidettagli piu avanti. •

6.4 Decomposizioni relative

D’ora innanzi considereremo solo riferimenti inerziali, ciascuno dei quali sara quindi rappresen-tato da un vettore X costante del genere tempo, orientato verso il futuro e normalizzato (dinorma uguale a −c2). Denoteremo con S il sottospazio dei vettori ortogonali ad X , i quali sidiranno vettori spaziali rispetto a X. Per ogni vettore U sussistera una decomposizione

relativa ad un riferimento X

U = u+ αX, u · X = 0,

Il vettore u ∈ S e lo scalare α si diranno rispettivamente parte spaziale e parte temporale

relativa a X di U .

Per il vettore posizione OP =R(τ) di una particella materiale nello spazio-tempo M sussiste ladecomposizione relativa

R = r + κX, r · X = 0. (1)

Sergio Benenti

Page 267: Lezioni Di Meccanica Razionale

§ 6.4 Decomposizioni relative 13

La parte spaziale r rappresenta il vettore posizione della particella nello spazio affine tridimen-sionale euclideo MX rappresentante lo spazio fisico osservato dal riferimento. La parte temporaleκ rappresenta l’intervallo temporale relativo perche per la (6) del § precedente e per la (1)

t(P ) − t(O) = −1

c2R · X = κ. (2)

Se si pensa R funzione del tempo proprio attraverso il tempo relativo t si trova

V =dR

dt

dt

dτ=dt

(

dr

dt+X

)

,

cioe

V = γ(

v +X)

(3)

posto

v =dr

dt(4)

e

γ =dt

dτ(5)

La (3) e la decomposizione relativa della velocita assoluta. Dalla (4) si osserva che ilvettore spaziale v e la velocita relativa al riferimento X. Lo scalare γ prende il nome difattore di Lorentz. Oltre che dalla (5) esso e anche definito dall’uguaglianza

γ = −1

c2V · X (6)

ottenuta moltiplicando scalarmente la (3) per X. Siccome i vettori velocita assoluta sono perconvenzione ortocroni, si ha V · X < 0 e quindi γ > 0.

Osservazione 1. Moltiplicando ambo i membri della (3) per se stessi si trova γ2 (c2 − v2) = c2

quindi, essendo γ > 0,

γ =1

1 −v2

c2

(7)

dove v e la velocita scalare relativa al riferimento inerziale scelto. Di qui segue la limitazione

v < c (8)

imposta alle velocita relative delle particelle materiali e la limitazione

γ ≥ 1 (9)

Lezioni di Meccanica Razionale

Page 268: Lezioni Di Meccanica Razionale

14 Cap. 6 - Meccanica Relativistica § 6.4

per il fattore di Lorentz. Si ha γ = 1 solo per gli eventi di istantanea quiete nel riferimento. •

Osservazione 2. Il paradosso dei gemelli. Si noti bene che il tempo relativo ad un riferi-mento e una funzione reale definita su tutto lo spazio-tempo, t:M → R, e che invece il tempoproprio di una particella puo essere visto come una funzione definita lungo la storia di questa.Dalle (5) e (9) segue che

dt

dτ≥ 1.

Cio mostra che lungo la storia di una particella non in quiete rispetto ad un riferimento inerzialeX il tempo relativo al riferimento cresce piu rapidamente del tempo proprio della particella.Una conseguenza e che al ritorno sulla Terra, dopo un viaggio interplanetario di lunga durata ead alta velocita, un astronauta risulta essere piu giovane del fratello gemello rimasto sul pianeta:il suo orologio, sincronizzato al momento della partenza con un orologio di egual tipo possedutodal gemello, segna un tempo trascorso ∆τ pari a

∆τ =1

γ∆t =

1−v2

c2∆t

dove ∆t e il tempo trascorso sulla Terra. Si suppone, per la validita di questa formula, che ilviaggio avvenga a velocita scalare costante v rispetto al riferimento inerziale definito dal sistemasolare, nel quale la Terra si muove con velocita decisamente trascurabile rispetto a quella dellaluce. Nel caso di una velocita pari a v = c

10= 30.000 Km/sec il fattore di Lorentz e di circa

γ = 1, 005 e quindi γ−1 = 0, 99498 circa. Se l’intervallo di tempo ∆t e di 50 anni (∼ 18.262giorni) la differenza con ∆τ e comunque soltanto di ∼ 91 giorni. L’andamento del fattore diLorentz e illustrato in Fig. 6.4.1. •

Fig. 6.4.1 - Il fattore di Lorentz γ (grafico superiore)

e la funzione inversa γ−1 (graf. inferiore), con x = vc.

Si consideri ora la decomposizione relativa di un intervallo assoluto OP di due eventi diM . Si ponga cioe

OP = r + κX , r · X = 0. (10)

La parte spaziale r e l’intervallo spaziale relativo al riferimento e lo scalare κ e l’intervallo

temporale relativo (si veda la (2)):

κ = −1

c2OP · X = t(P ) − t(O). (11)

Sergio Benenti

Page 269: Lezioni Di Meccanica Razionale

§ 6.4 Decomposizioni relative 15

Se r = 0 i due eventiO e P sono spazialmente coincidenti, avvengono cioe nel medesimo luogorispetto al riferimento. Se κ = 0 allora essi sono contemporanei rispetto al riferimento. Seκ > 0, cioe se t(P ) > t(Q), si dice che P segue (o e successivo a) O nella cronologia determinatadal riferimento. Consideriamo sparatamente i due casi in cui l’intervallo assoluto OP e delgenere tempo oppure del genere spazio.

Proposizione 1. Se OP e del genere tempo ed orientato verso il futuro (OP ∈ T +) alloraesiste un riferimento in cui i due eventi avvengono nel medesimo luogo e inoltre l’evento P esuccessivo a O in ogni riferimento (si dice che P appartiene al futuro assoluto di O).

Dimostrazione. Se OP e del genere tempo si puo porre OP = κX con X ∈ T +, ‖X‖ = − c2 eκ > 0. AlloraX definisce un riferimento inerziale in cui r = 0, nel quale cioe gli eventi occorrononel medesimo luogo. Per ogni altro riferimento X′ si ha, tenuto conto della (11),

κ′ = t′(P ) − t′(O) = −1

c2OP · X ′ = −

1

c2κX · X′ > 0

essendo κ > 0 e X · X′ < 0 per l’ortocronismo dei vettori rappresentanti i riferimenti. Cioprova che P segue O in ogni riferimento.

Proposizione 2. Se OP e del genere spazio allora esiste un riferimento rispetto al qualegli eventi O e P sono contemporanei. La relazione temporale tra i due eventi dipende dalriferimento: a seconda della scelta di questo l’evento P puo precedere o essere contemporaneo oseguire l’evento O.

Dimostrazione. Se OP e del genere spazio esiste certamente un vettore del genere tempo adesso ortogonale, quindi un riferimento X tale che OP · X = 0. Quindi rispetto al riferimentoX i due eventi sono contemporanei. Nel 2-piano iperbolico generato dai vettori OP e X si puosempre scegliere un vettore X′ rappresentante un riferimento, quindi tale che X · X′ < 0 e‖X′‖ = − c2, tale da soddisfare alla condizione OP · X′ < 0, cosı come se ne puo scegliere unaltro X′′ tale che OP · X ′′ > 0.

Nella Fig. 6.4.2 le linee tratteggiate rappresentano il fogliettamento ortogonale aX′′ degli eventicontemporanei secondo il tempo t′′ relativo a questo riferimento; quelle a punto e tratto rapp-resentano il fogliettamento ortogonale a X′, di tempo relativo t′. Seguendo il tempo relativo t′

si osserva che l’evento O precede P , mentre nel tempo relativo t′′ l’evento O segue P .

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··········································································································

t

t′′t′

O

P

X

X′′

X′

Fig. 6.4.2.

Lezioni di Meccanica Razionale

Page 270: Lezioni Di Meccanica Razionale

16 Cap. 6 - Meccanica Relativistica § 6.5

Osservazione 3. La circostanza che i due eventi (O, P ) possano avere relazione cronologica in-vertita a seconda della scelta del riferimento puo suscitare perplessita, per l’eventuale sussitenzadi una relazione di causa-effetto tra gli eventi stessi. Una tale relazione e tuttavia esclusa se siassume il seguente principio di causalita: due eventi (O, P ) sono in relazione di causa-effettose e solo se sono connessi da storie, cioe da archi di curve del genere tempo. Da questo principiosegue che se due eventi O e P sono collegati da storie allora il vettore OP e necessariamente delgenere tempo e quindi, per la Prop. 1, vi e una relazione cronologica assoluta fra i due eventi.Sia infatti R(τ) una curva del genere tempo tale che OP0 = R(τ0) e OP1 = R(τ1) con τ1 > τ0.Allora, posto che la velocita assoluta V (τ) e la derivata di R(τ), si ha

P0P1 = R(τ1)−R(τ0) =

∫ τ1

τ0

V (τ) dτ.

D’altra parte la somma di due vettori V 1 e V 2 del genere tempo ed entrambi orientati nelfuturo e ancora un vettore del genere tempo ed orientato nel futuro. Quindi anche l’integraleprecedente da luogo ad un vettore del genere tempo orientato nel futuro (Oss. 3, § 6.1). Allastessa conclusione si giunge se O e P sono congiunti da piu storie: l’evento P appartiene alfuturo assoluto di O, cioe sta all’interno del cono di luce originato in O (Fig. 6.4.3).

Fig. 6.4.3

6.5 Le trasformazioni di Lorentz

Si considerino nello spazio-tempo di Minkowski due riferimenti inerzialiX e X′. Siccome questivettori rappresentano le velocita assolute delle particelle inerziali dei rispettivi riferimenti, se nepossono considerare le reciproche decomposizioni relative. Per esempio

X ′ = ρ (u+X), u · X = 0 (1)

dove

ρ = −1

c2X ′

· X =

(

1 −u2

c2

)−1

2

(2)

Sergio Benenti

Page 271: Lezioni Di Meccanica Razionale

§ 6.5 Le trasformazioni di Lorentz 17

e u2 = ‖u‖ = u · u, e la decomposizione della velocita assoluta X′ rispetto a X. La partespaziale u, essendo la velocita delle particelle del riferimento X ′ rispetto a X, ha il significatodi velocita di trascinamento. Scambiando il ruolo dei due riferimenti, posto cioe

X = ρ′ (u′ +X ′), u′· X ′ = 0, (1′)

ρ′ = −1

c2X · X′ =

(

1 −u′

2

c2

)−1

2

(2′)

e confrontando la (2) con la (2′) si osserva che

ρ = ρ′ (3)

e quindi che

u2 = u′2

(4)

Pertanto:

Proposizione 1. Le due velocita di trascinamento determinate da due riferimenti hanno ugualeintensita.

Osservazione 1. Si noti che a questo risultato, ovvio nell’ambito della cinematica classica, noncorrisponde l’analoga classica relazione tra le velocita di trascinamento, una opposta all’altra:u = −u′. L’eliminazione del vettoreX ′ dal sistema di equazioni (1) e (1′) porta infatti all’ugua-glianza

−u′ = ρu+

(

ρ−1

ρ

)

X. (5)

Poiche per la (2) si ha

1 −1

ρ2=u2

c2, (6)

si puo anche scrivere

−u′ = ρ

(

u+u2

c2X

)

. (7)

La (7) mostra che −u′ ha componente positiva rispetto a X . •

Si consideri ora l’intervallo assoluto OP di sue eventi decomposto rispetto ai due riferimenti:

OP = r + κX = r′ + κ′X ′ (8)

Moltiplicando scalarmente quest’uguaglianza con la (1),

X′· (r′ + κ′X ′) = ρ (u+X) · (r + κX),

si deduce la formula

κ′ = ρ(

κ −r · u

c2

)

(9)

Lezioni di Meccanica Razionale

Page 272: Lezioni Di Meccanica Razionale

18 Cap. 6 - Meccanica Relativistica § 6.5

Se si introduce la distanza nella direzione di trascinamento dei due eventi

δ =r · u

u(10)

conu = |u| =

‖u‖ > 0,

allora la relazione precedente si scrive

κ′ = ρ

(

κ−u δ

c2

)

(11)

Si ha cosı il legame tra gli intervalli temporali relativi dei due eventi.

Osservazione 2. La dilatazione dei tempi. Si supponga che gli eventi O e P avvengano nelmedesimo luogo rispetto al riferimento X , cioe che sia r = 0. Allora dalla (8) segue

κ′ = ρ κ. (12)

Siccome ρ > 1 (infatti ρ = 0 e escluso perche X 6= X ′) dalla (12) segue

κ′ > κ.

Pertanto: l’intervallo temporale di due eventi relativo al riferimento in cui sono spazialmentecoincidenti (perche questo esista deve essere OP del genere tempo, Prop. 1, § 6.4) e sempreinferiore all’intervallo temporale relativo ad un qualunque altro riferimento. Questo fenomeno echiamato dilatazione dei tempi. •

Esempio 1. Un’astronave viaggia di moto inerziale nel cosmo con velocita u costante rispetto alriferimento inerziale solare (Sole e stelle ”fisse”) X ′. Anche l’astronave definisce un riferimentoinerzialeX . Su questa viene osservato un fenomeno o un processo della durata di κ secondi. Glieventi finali ed iniziali di questo processo avvengono nello stesso luogo rispetto al riferimentoX.Osservati dal riferimento solare (per esempio dalla Terra) questi due eventi hanno un intervallotemporale pari a κ′ = ρκ > κ. •

Dalla (11) per simmetria segue, tenuto conto della (3) e della (4),

κ = ρ

(

κ′ −u δ′

c2

)

(11′)

e quindi

κ′ =κ

ρ+u δ′

c2.

Combinando quest’uguaglianza con la (11) si trova

ρ

((

1−1

ρ2

)

κ−u δ

c2

)

=u δ′

c2.

Sergio Benenti

Page 273: Lezioni Di Meccanica Razionale

§ 6.5 Le trasformazioni di Lorentz 19

Stante l’identita (6) si conclude che

δ′ = ρ (u κ− δ) (13)

Si ottiene cosı il legame tra le distanze spaziali dei due eventi nella direzione delle velocita ditrascinamento.

Osservazione 3. Contrazione delle lunghezze. Si supponga che gli eventi siano contempo-ranei in X: κ = 0. Dalla (13) segue

δ′ = − ρ δ, (14)

e quindi

|δ′| > |δ|.

Pertanto: la distanza spaziale di due eventi contemporanei in un riferimento X, misuratanella direzione della velocita di trascinamento di un qualunque altro riferimento X ′, e infe-riore all’analoga distanza spaziale misurata in X′. Questo fenomeno e chiamato contrazionedelle lunghezze. •

Esempio 2. Un’esperienza ”ideale” classica che di solito si cita per illustrare il fenomeno dellacontrazione delle lunghezze e la seguente. Un’asta rigida si muove lungo una guida rettilineadi moto uniforme con velocita u. La guida e fissa in un riferimento inerziale X e quindi anchel’asta definisce un riferimento inerziale X ′. Uno sperimentatore fermo nel riferimento X dellaguida misura la lunghezza dell’asta in moto. Per far questo rileva la posizione contemporaneadei due estremi dell’asta in un dato istante, considerando due eventi per lui contemporaneicollocati in tali estremi (per esempio, l’accensione di due lampade), e ne misura la distanzaδ. Per un osservatore posto nel riferimento solidale X′ la distanza spaziale dei due eventi ela lunghezza propria dell’asta. Siamo nelle condizioni di poter applicare la (14). Pertanto:la lunghezza dell’asta misurata da un osservatore rispetto al quale l’asta e in moto (rettilineouniforme) risulta sempre minore della sua lunghezza propria. •

Osservazione 4. Trasformazioni di Lorentz. Diciamo che un sistema di coordinate ortonor-mali (xA) e adattato ad un riferimentoX se la base dei vettori (eA) (si veda il § 6.2) e tale cheX = c e0. In questo caso x0 = ct dove t e il tempo relativo al riferimento, con t(O) = 0, essendoO l’origine delle coordinate. Si considerino due sistemi di coordinate (xA) e (xA

) adattate aidue riferimenti X e X′ ed aventi la stessa origine O. Posto (ei) = (i, j, k) e (ei′) = (i′, j′, k′),si scelgano i vettori i e i′ nel 2-spazio generato dai vettori X e X ′ e

j = j′, k = k′. (15)

SiccomeX′ e complanare alla coppia di vettori ortogonali (i,X) (Fig. 6.5.1a), la decomposizionerelativa (1) mostra che il vettore u, che e ortogonale aX , deve essere parallelo a i. Supponiamoche sia

u = u i (16)

con u > 0 (se non e cosı basta invertire i). Cio significa che la velocita di trascinamento di Xrispetto a X′ e parallela e concorde al versore i. Tenuto inoltre conto che il vettore −u′, che

Lezioni di Meccanica Razionale

Page 274: Lezioni Di Meccanica Razionale

20 Cap. 6 - Meccanica Relativistica § 6.5

deve essere parallelo a i′, ha componente positiva rispetto a X (Oss. 1), si puo scegliere i′ inmodo che si abbia (si veda ancora la Fig. 6.5.1a)

u′ = −u i′. (16′)

La scelta cosı fatta per i due riferimenti cartesiani adattati equivale, nella visione tridimensionale,a scegliere gli assi omologhi fra loro paralleli ed equiorientati, con l’asse x scorrevole su se stessocon velocita positiva u (Fig. 6.5.1b).

Fig. 6.5.1 - Cambiamento di riferimenti: X ↔X ′.

(a) Il piano (X,X′) nello spazio-tempo

(gli assi y = y′ e z = z′ sono ortogonali a questo piano).

(b) Rappresentazione nello spazio tridimensionale.

Si noti pero che mentre nella visione spazio-temporale, a cui per principio dobbiamo attenerci,gli assi x e x′ non coincidono, nella visione tridimensionale (che e imperfetta) gli assi coordinati xe x′ sono paralleli. Per quel che riguarda i tempi, siccome per definizione si ha t(O) = t′(O) = 0,posto genericamente t = t(P ) e t′ = t′(P ) per un qualunque evento P , risulta κ = t(P )−t(O) = t

ed analogamente κ′ = t′. Inoltre, stante la (16), dalla definizione (10) e da r = xi+yj+zk segueδ = x. Analogamente dalla (16′) segue δ′ = −x′. Le relazioni (11) e (13) diventano pertanto

t′ = ρ(

t−ux

c2

)

x′ = ρ (x− ut)(17)

Sergio Benenti

Page 275: Lezioni Di Meccanica Razionale

§ 6.5 Le trasformazioni di Lorentz 21

Queste equazioni, insieme alle uguaglianze

y′ = y, z′ = z (18)

dovute alle (15), forniscono i legami tra le coordinate cartesiane relative ai due riferimenti scelti.Nel loro complesso esse prendono il nome di trasformazioni standard di Lorentz. •

Osservazione 5. Le trasformazioni delle velocita. Data la storia di una particella, per ilvettore velocita assoluta sussiste la doppia decomposizione relativa

V = γ (v +X) = γ ′ (v′ +X ′). (19)

Ricordata la definizione (6)-§6.4 del fattore di Lorentz, si ha successivamente:

γ ′ = −1

c2V · X′ = −

ρ

c2V · (u+X) = −

ρ

c2

(

γ(v+X) · u+ V · X)

= ρ γ(

1 −u · v

c2

)

.

Di qui, per la definizione (5)-§6.4 del fattore di Lorentz, segue

γ

γ ′=

dt

dt′=σ

ρ, (20)

posto

σ =(

1 −u · v

c2

)−1

. (21)

Alle (20) e (21) corrispondono per simmetria le uguaglianze analoghe

γ ′

γ=dt′

dt=σ′

ρ, σ′ =

(

1 −u′

· v′

c2

)−1

.

Dal loro confronto segueσ σ′ = ρ2. (22)

Cio premesso, si osserva che dalla trasformazione di Lorentz (17)2 segue, derivando rispetto a t′:

dx′

dt′=

dt

dt′dx′

dt=σ

ρ

d

dt

(

ρ(x− ut))

= σ(dx

dt− u)

.

Operando allo stesso modo sulle (18) si vede che tra le componenti cartesiane delle velocitarelative ai due riferimenti intercorrono i seguenti legami:

v′x = σ (vx − u), v′y =σ

ρvy, v′z =

σ

ρvz • (23)

Lezioni di Meccanica Razionale

Page 276: Lezioni Di Meccanica Razionale

22 Cap. 6 - Meccanica Relativistica § 6.6

6.6 Dinamica di una particella materiale

Anche in relativita ristretta lo schema dinamico piu semplice, adatto allo studio del moto di corpipoco estesi, e quello di punto o particella materiale. Un punto materiale e caratterizzatoda un numero positivo m detto massa propria. Come in meccanica newtoniana, assumiamocome principio che i moti di un punto materiale siano governati da una equazione dinamica

assoluta

mdV

dτ= F (1)

dove per la forza assoluta F e postulata una legge di forza, cioe una dipendenza dallaposizione del punto nello spazio-tempo e dalla sua velocita assoluta:

F = F (R,V ). (2)

La derivata rispetto al tempo proprio della velocita assoluta e l’accelerazione assoluta

A =dV

dτ(3)

e la legge (1) puo anche scriversimA = F . (1′)

Essendo V a norma costante, l’accelerazione assoluta e ortogonale a V

A · V = 0 (4)

e quindi necessariamente del genere spazio. Pertanto:

Proposizione 1. La legge di forza (2) deve essere tale da rendere il vettore forza assoluta Fsempre ortogonale alla velocita assoluta V :

F (R,V ) · V = 0. (5)

Non sono ammissibili leggi di forza puramente posizionali, cioe non dipendenti da V .

Siamo allora condotti ad considerare il caso piu semplice di una legge di forza lineare

F = F (V ), (6)

interpretando F come endomorfismo lineare, dipendente dalla posizione del punto. Dovendoessere per la (5) F (V ) · V = 0, si conclude che F e necessariamente un endomorfismo anti-simmetrico. Siccome si e in presenza di un tensore metrico, cioe di un prodotto scalare, F puoanche essere intepretato come forma bilineare antisimmetrica ponendo

F (V ,U) = F (V ) · U (7)

per ogni coppia di vettori (V ,U). Concludiamo pertanto che:

Sergio Benenti

Page 277: Lezioni Di Meccanica Razionale

§ 6.6 Dinamica di una particella materiale 23

Proposizione 2. La piu generale legge di forza lineare nella velocita assoluta e rappresentatada una forma bilineare antisimmetrica.

Il tipo di forza ora considerato si ritrova effettivamente in natura: e la forza prodotta da un campoelettromagnetico (nel vuoto) su di una particella carica. Per riconoscerlo occorre esprimerel’equazione assoluta del moto (1) e la legge di forza (6) in termini relativi ad un generico riferi-mento inerziale. Cominciamo con l’esaminare alcune conseguenze algebriche della legge di forza(6).

Proposizione 3. Assegnato un vettoreX del genere tempo, tale che ‖X‖ = −c2, e consideratolo spazio vettoriale tridimensionale euclideo S dei vettori ortogonali a X, ogni endomorfismoantisimmetrico F equivale ad una coppia (E,B) di vettori di S. (i) Assegnato F , i due vettorisono determinati dalle equazioni

E = F (X)

B × v = − c(

F (v) + 1c2F (v) · X X

)

(8)

per ogni vettore v ∈ S, con × prodotto vettoriale in S. (ii) Viceversa, assegnati i due vettori,l’endomorfismo F e determinato da

F (V ) = γ(

E − 1cB × v + 1

c2E · v X

)

V = γ (v +X), v · X = 0(9)

Osservazione 1. Interpretando il vettore X come rappresentante un riferimento inerziale e ilvettore V che compare nella (9) come velocita assoluta (per cui v e la velocita relativa e γ ilfattore di Lorentz, la (9)1 esprime la decomposizione relativa della forza assoluta nel casolineare. •

Dimostrazione. (i) Dato F , il vettore E definito dalla (8)1 appartiene ad S perche E · X =F (X) · X = 0 per l’antisimmetria di F . Per ogni v ∈ S poniamo

FS(v) = F (v) +1

c2F (v) · X X . (10)

Si ha F S(v) ∈ S perche, essendo X · X = − c2,

FS(v) · X = F (v) · X − F (v) · X = 0.

E pertanto definito un endomorfismo lineare FS : S → S. Questo e antisimmetrico perche

F S(v) · v = F (v) · v +1

c2F (v) · X X · v = 0,

essendo F (v) · v = 0 (perche F e antisimmetrico) e X · v = 0 (perche v ∈ S). L’antisimmetriadi FS equivale all’esistenza di un vettore K ∈ S tale che K × v = F S(v). Per la successivainterpretazione fisica conviene porre

F S(v) = −1

cB × v. (11)

Lezioni di Meccanica Razionale

Page 278: Lezioni Di Meccanica Razionale

24 Cap. 6 - Meccanica Relativistica § 6.6

Combinando questa uguaglianza con la (10) si trova la (8)2. (ii) Viceversa, definiti i vettoricome nelle (8), dalla (8)2 si ricava

F (v) = −1

cB × v +

1

c2E · v X, (12)

tenuto conto che F (v) · X = − F (X) · v = E · v. Di qui, applicando F ad un qualunquevettore V decomposto come nella (9)2 si ricava la (9)1.

Osservazione 2. Se si interpreta F S come forma bilineare antisimmetrica, allora questa formarisulta la restrizione a S della forma bilineare antisimmetrica F . Di conseguenza il vettore Bdefinito dalla (11) e, a meno del fattore −c, il vettore aggiunto di F S :

B = − c ∗F S . • (11′)

Se si riportano le decomposizioni relative (9) nell’equazione dinamica assoluta (1) si prova che:

Proposizione 4. In un riferimento inerziale l’equazione dinamica assoluta (1) si decomponenelle equazioni dinamiche relative

dp

dt= E − 1

c B × v

dmr

dt= 1

c2E · v

(13)

posto

mr = γ m, p = mrv (14)

Dimostrazione. Tenuto conto che γ = dtdτ

dalla decomposizione relativa di una velocita assolutasi ricava

dV

dτ= γ

(

d(γv)

dt+dγ

dtX

)

.

Siccome m e costante, per la (9)1 l’equazione (1) si spezza nelle (13).

Osservazione 3. Lo scalare positivo mr = γm prende il nome di massa relativa dellaparticella. Si noti che mr ≥ m, con mr = m se e solo se la velocita relativa e nulla. Per questola massa propria m viene anche detta massa a riposo della particella. Il vettore spaziale pprende il nome di impulso relativo della particella. Al vettore

P = mV = p+mrX (15)

si da il nome di impulso assoluto (1). •

(1) Nei testi di Fisica la massa a riposo di una particella e di solito denotata con m0, mentrela massa relativa e denotata con m. L’uguaglianza (14)2, scritta m = γ m0, viene interpretatacome fenomeno di crescita della massa col crescere della velocita della particella.

Sergio Benenti

Page 279: Lezioni Di Meccanica Razionale

§ 6.6 Dinamica di una particella materiale 25

Osservazione 4. Il secondo membro dell’equazione (13)1, cioe il vettore

F r = E − 1c B × v (16)

prende il nome di forza relativa o forza di Lorentz. E di questo tipo la forza che uncampo elettrico E ed un campo magnetico B (nel vuoto) esercitano su di una particelladotata di carica unitaria. Qualora si vogliano interpretare le equazioni trovate come equazionidella dinamica di una particella di carica elettrica e non unitaria (e massa propria m) occorresostituire i vettori (E,B) con (eE, eB), vale a dire F con eF . •

Osservazione 5. L’equazione scalare (13)2 e conseguenza dell’equazione vettoriale (13)1. In-fatti dalla (15), moltiplicata scalarmente per se stessa, si ricava −m2c2 = p2 −m2

rc2 quindi il

legame

m2r −m2 =

p2

c2. (17)

Derivando e tenendo conto della (13)1 si trova

mrdmr

dt=

1

c2p ·

dp

dt= mr

1

c2v · E,

cioe la (13)2. •

Osservazione 6. Se si introduce la quantita

Er = mr c2 (18)

la (13)2 diventadEr

dt= E · v. (19)

Siccome il secondo membro e la potenza della forza relativa,

F r · v = E · v,

la quantita Er ha il significato di energia relativa della particella. Se la particella e in quietequest’energia si riduce alla energia propria

E = mc2 • (20)

Osservazione 7. L’equazione di moto (13)1 e equivalente al seguente sistema dinamico

dr

dt= v

dv

dt=

1

m

1 −v2

c2

(

E − 1cB × v − 1

c2E · v v

) (21)

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Page 280: Lezioni Di Meccanica Razionale

26 Cap. 6 - Meccanica Relativistica § 6.6

nelle incognite (r, v) posizione e velocita relative della particella, funzioni del tempo relativot. In queste equazioni i vettori (E,B) devono intendersi come funzioni assegnate di (r, t). Perdimostrare le (21) basta derivare p = mrv rispetto a t:

dp

dt= v

dmr

dt+mr

dv

dt.

Di qui, isolando la derivata di v e tenendo conto di entrambe le (13) si ricavano le (21). Il sistemadinamico (21) descrive dunque il moto di una particella materiale relativistica in un qualunqueriferimento inerziale, nel caso in cui la forza assoluta dipende linearmente dalla velocita assoluta.•

Esempio 1. Si consideri il caso in cui E = costante e B = 0. La seconda equazione (21)coinvolge la sola funzione incognita v(t):

dv

dt=

1

(

E −1

c2E · v v

)

. (22)

Di qui, moltiplicando vettorialmente per E (costante), si ricava

d

dt

(

E × v)

= −1

mγc2E · v E × v.

Cio mostra che la condizione E× v = 0 e invariante, cioe che se e soddisfatta all’istante inizialee sempre soddisfatta. Cio significa che se la velocita v e inizialmente parallela a E, lo e sempre.Si consideri per semplicita questo caso. L’equazione (22) si riduce allora ad una sola equazionescalare

mdv

dt= Ex

(

1 −v2

c2

)

3

2

, (23)

postoE = Ex i, Ex > 0, v = v i.

Si tratta di un’equazione differenziale a variabili separabili. Posto v = c sinϑ la (23) diventa

mc cosϑdϑ

dt= Ex cos3 ϑ,

cioe

d tanϑ =Ex

mcdt.

L’equazione (23) e pertanto risolta implicitamente dalle equazioni

v(t) = c sinϑ(t), c(

tanϑ(t) − tanϑ0

)

=Ex

mt. (24)

E conveniente rappresentare questo risultato come nella Fig. 6.6.1 che mostra come cresce lavelocita v al crescere di 1

mExt. La velocita tende asintoticamente a c (raggio della circonferenza).Dalla similitudine dei due triangoli di vertice il centro della circonferenza si deduce che

v(t) =c Ex t

m2c2 + E2x t

2. (25)

Sergio Benenti

Page 281: Lezioni Di Meccanica Razionale

§ 6.6 Dinamica di una particella materiale 27

Questa e la soluzione della (23) con la condizione iniziale v(0) = 0. Posto ancora r = x i conun’integrazione si ottiene

x(t) =mc2

Ex

(

secϑ− secϑ0

)

. (26)

Infatti:

d secϑ = d1

cos ϑ= sinϑ d tanϑ =

v

c

Ex

mcdt =

Ex

mc2dx,

per cui

dx =mc2

Exd secϑ.

Se si pone x(0) = 0 e quindi ϑ0 = 0 dalla (26) si trae

x(t) =mc2

Ex

(

secϑ(t)− 1)

=mc2

Ex

(

1 +E2

xt2

m2c2− 1

)

. (27)

Si e cosı completamente determinato il moto della particella inizialmente in quiete.

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.........................

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.................................

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ϑ(t)

v(t) x(t)

Ex

mt

Fig. 6.6.1.

Esempio 2. Si consideri il caso B = costante e E = 0. La seconda delle (21) diventa

dv

dt= −

1

mcγB × v. (28)

Moliplicando scalarmente per v si vede che sussiste l’integrale primo della velocita

v2 = costante. (29)

Dunque i moti sono tutti uniformi. Moltiplicando invece scalarmente per B, che e costante, sitrova l’integrale primo

B · v = costante. (30)

Dunque anche la componente della velocita nella direzione diB e costante. E pertanto sufficientestudiare il moto in cui questa e inizialmente nulla, cioe il moto piano in cui la velocita inizialev0 e non nulla e ortogonale a B. Si ponga

B = B i, v = vu,

conB > 0, v > 0

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Page 282: Lezioni Di Meccanica Razionale

28 Cap. 6 - Meccanica Relativistica § 6.7

e con i versore ortogonale al piano del moto e u versore ortogonale a i. Introdotto l’angolo ψcompreso tra u ed una retta fissa nel piano e orientato concordemente a i, risulta

dv

dt= v

du

dt= v ψ i× u, B × v = Bv i× u.

La (28) si riduce pertanto all’equazione scalare

dt= −

B

mcγ, (31)

dove il secondo membro e costante. Cio significa che la velocita v ruota nel piano con velocitaangolare costante, negativa rispetto al versore i, mantenendosi costante in modulo. Segue cheil moto e circolare uniforme. Se invece la velocita iniziale non e ortogonale a B allora il motoe elicoidale uniforme, con asse parallelo a B. Ritornando al caso del moto circolare uniforme siosserva che il raggio r della traiettoria e dato da

r =mcvγ

B=pc

B. (32)

Se infatti si considerano coordinate polari (r, θ) centrate nel centro della traiettoria e angoloconcorde a i, osservato che v = rθ e che θ = ψ, la (32) segue direttamente dalla (31).

6.7 Il campo elettromagnetico

Ritornando alla legge di forza lineare F = F (V ), consideriamo il caso in cui l’endomorfismolineare F e un campo sopra lo spazio-tempo M . Interpretato F come forma bilineare antisim-metrica, e conveniente, per le ragioni che ora si vedranno, considerare la 2-forma

ϕ = cF . (1)

Si prendano in M coordinate cartesiane ortonormali (xA) di base (eA) e origine O (si veda §6.2),adattate ad un riferimento inerziale di vettore X, per cui

X = c e0. (2)

Si consideri la rappresentazione della 2-forma ϕ:

ϕ = 12ϕAB dx

A ∧ dxB,

ϕAB = ϕ(eA, eB).(3)

Dimostriamo che la matrice delle componenti ϕAB della 2-forma ϕ assume la forma (il primoindice A e indice di colonna):

(ϕAB) =

0 E1 E2 E3

−E1 0 −B3 B2

−E2 B3 0 −B1

−E3 −B2 B1 0

. (4)

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Page 283: Lezioni Di Meccanica Razionale

§ 6.7 Il campo elettromagnetico 29

dove (Ei, Bi) sono le componenti dei vettori (E,B) dello spazio S ortogonale a X, rappresen-tativi di F , quindi di ϕ, secondo la (8) del § precedente. Va osservato a questo proposito che,essendo la base (ei) = (i, j, k) di S ortonormale, non vi e differenza tra componenti covariantie contravarianti dei vettori (1). Infatti per la (9)1 di § 6.6,

ϕ0i = ϕ(e0, ei) = 1cϕ(X, ei) = 1

cϕ(X) · ei = E · ei,

dunqueϕ0i = Ei. (5)

Inoltre si osserva che le ϕij sono le componenti della restrizione ϕS di ϕ ai vettori di S. Poichesi ha

ϕS = c F S , B = − c ∗ F S ,

risultaϕS = − ∗B,

dunque, ricordando la definizione dell’aggiunzione (§ 4.9.1),

ϕij = − Bk εkij . (6)

La (4) e cosı dimostrata. Il confronto coi testi di Fisica mostra che la matrice (4) e tipica dellarappresentazione in componenti (covarianti) del campo elettromagnetico ϕ.

Un ulteriore interessante aspetto matematico della teoria del campo elettromagnetico e messoin evidenza dalla proprieta seguente:

Teorema 1. La chiusura della 2-forma ϕ,

dϕ = 0 (7)

e equivalente alle equazioni di Maxwell

divB = 0

1c

∂B

∂t+ rotE = 0

(8)

Dimostrazione. (i) La condizione di chiusura (7) si traduce in componenti nelle equazioni (vedi§ 4.4, formula (31))

∂AϕBC + ∂BϕCA + ∂CϕAB = 0.

Con la scelta (A, B, C) = (0, i, j) si trova l’equazione

0 = ∂0ϕij + ∂iϕj0 + ∂jϕ0i = ∂0ϕij − ∂iEj + ∂jEi.

(1) In una base qualsiasi, posto E = Ei ei e E[ = Ei dxi, si ha Ei = E · ei = gij E

j, congij = ei · ej . In una base ortonormale si ha gij = δij e quindi Ei = Ei.

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Page 284: Lezioni Di Meccanica Razionale

30 Cap. 6 - Meccanica Relativistica § 6.7

Siccome ∂iEj − ∂jEi sono le componenti del differenziale dE[ della 1-forma corrispondenteal campo vettoriale E, quest’ultima equazione e la traduzione in componenti dell’equazioneintrinseca

∂0ϕS − dE[ = 0.

Operando con l’aggiunzione e ricordando che ∗dE[ = rotE si trova la seconda delle (8), osservatoche

∂0 = 1c

∂t.

Con la scelta (A, B, C) = (h, i, j) si trova la condizione

∂hϕij + ∂iϕjh + ∂jϕhi = 0,

cioe dϕS = 0, che e equivalente a d ∗B = 0 cioe a divB = 0.

Osservazione 1. La condizione di chiusura dϕ = 0 implica, per il Lemma di Poincare,l’esistenza (locale) di una 1-forma potenziale α tale che

ϕ = dα (9)

Il campo vettoriale corrispondente ammette una decomposizione relativa del tipo

α] = A+ 1cφX , A · X = 0, (10)

dove A e detto potenziale vettore e φ potenziale scalare. In coordinate adattate al riferi-mento si ha

α = αi dxi + α0 dx

0. (11)

Dall’uguaglianza 〈X ,α〉 = α]· X segue

α0 = − φ.

D’altra parte Ai = αi. La (9) e allora equivalente alle equazioni (1)

E = 1c

∂A

∂t+ gradϕ

B = − rotA(12)

Infatti, siccome la (9) equivale a ϕAB = ∂AαB − ∂BαA, ne risultano le uguaglianze

Ei = ϕ0i = ∂0αi − ∂iα0 = ∂0αi + ∂iφ,

Bk = − εkij ϕij = − εkij ∂iαj ,

equivalenti alle (12). •

(1) Nei testi di Fisica si adotta di norma una convenzione che vede α e quindi la coppia (A, ϕ)cambiata di segno.

Sergio Benenti

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§ 6.7 Il campo elettromagnetico 31

Osservazione 2. Le (8) costituiscono in effetti la prima coppia delle equazioni di Maxwellper il campo elettromagnetico. La seconda coppia e

divD = ρ

1c

∂D

∂t+ 1

c j = rotH(13)

doveD e l’induzione elettrica,H il campo magnetico, j la corrente di carica e ρ la densita

di carica. Anche queste equazioni sono la traduzione relativa ad un riferimento inerziale diequazioni differenziali assolute, coinvolgenti un’altra 2-forma ψ. Sia ψ una 2-forma su M dicomponenti ψAB e sia Ψ = ψ] il campo tensoriale antisimmetrico di componenti ψAB ottenutecon l’innalzamento degli indici tramite la matrice (gAB) inversa della (gAB),

ψAB = gAC gBD ψCD. (14)

Chiamiamo codifferenziale di Ψ il campo vettoriale δΨ di componenti

(δΨ)B = ∂AψAB. (15)

Questa definizione si estende immediatamente al caso di una p-forma ψ di componenti ψAB...C. Ilrisultato dell’operazione di codifferenziale e un campo tensoriale antisimmetrico contravariantedi ordine p− 1. Se si procede ad un riabbassamento degli indici si riottiene una p− 1-forma. Inparticolare, nel caso p = 1 la definizione di codifferenziale si riduce a quella di divergenza diun campo vettoriale J (che e un campo scalare)

δJ = ∂AJA. (16)

Si pone in particolare δf = 0 per ogni funzione (0-forma). Si noti che il codifferenziale enilpotente:

δ(δΨ) = ∂B∂AψAB = 0,

perche la doppia derivata parziale e simmetrica negli indici mentre le componenti ψAB sono anti-simmetriche. Si puo dimostrare che la definizione data di codifferenziale non dipende dalla sceltadella coordinate, purche queste siano coordinate cartesiane. Questa definizione puo estendersi,con opportune avvertenze, a varieta riemanniane. Dimostriamo allora che

Teorema 2. Se i vettori (D,H) rappresentano nello spazio-tempo M la 2-forma ψ (nello stessomodo con cui (E,B) rappresentano ϕ) allora la coppia di equazioni (13) equivale all’equazione

δΨ = 1cJ (17)

dove J e il vettore corrente assoluta di carica, la cui decomposizione relativa e

J = j + ρX. (18)

Dimostrazione. Analogamente alle (5) e (6) si ha

ψ0i = Di, ψij = −Hk εkij ,

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32 Cap. 6 - Meccanica Relativistica § 6.7

quindiψij = − εijk Hk.

Va osservato che la matrice inversa (gAB) ha la stessa forma (2) della matrice (gAB), per cui

ψ0i = g00 gij ψ0j = −Di.

Inoltre la (18) puo scriversi J = J0 e0 + j, e moltiplicando scalarmente per X queste duescritture si trova J · X = − c2 ρ = − c J0, per cui

J0 = c ρ.

Pertanto, traducendo in componenti l’equazione (17), si trova

1cJ0 = ∂Aψ

A0 = ∂iψi0 = ∂iD

i = divD,

1cJi = ∂Aψ

Ai = ∂0ψ0i + ∂jψ

ji = − ∂0Di − εjik ∂jHk

= − ∂0Di + εijk ∂jHk.

Di qui segue l’equivalenza con le (13).

Per le due 2-forme (ϕ,ψ) rappresentatrici del campo elettromagnetico e per il campo vettorialeJ occorre postulare delle equazioni costitutive atte a rappresentare le caratteristiche fisichedel mezzo in cui ha sede il campo. Per il vuoto si assume

ψ = ϕ

quindiD = E, H = B. •

Sergio Benenti