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‘IURIS QUIDDITASLiber amicorum per Bernardo Santalucia [ESTRATTO] EDITORIALE SCIENTIFICA NAPOLI MMX

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‘IURIS QUIDDITAS’

Liber amicorum per Bernardo Santalucia

[ESTRATTO]

EDITORIALE SCIENTIFICA

NAPOLI MMX

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1. I testi. – La nozione di impossibilità sopravvenuta di una pre-stazione – da non confondere, dal punto di vista dogmatico, conquella dell’impossibilità della prestazione intervenuta per un fattoimputabile al debitore – non ritrova, come tale, alcun prototipo nel-l’elaborazione concettuale dei giuristi romani. Cionondimeno i tantiproblemi, a essa sottesi, furono affrontati in più di un’occasione daigiureconsulti dell’età del principato

In questo contesto, una famosa quaestio (o tractatus) di Paolo,tramandataci in due distinti luoghi della sua opera e, in conseguenza,in due differenti frammenti della compilazione giustinianea (D.45.1.83.5 e D. 46.3.98.8), ha, più di una volta, catturato l’interesse deiromanisti, a iniziare dal Cujas nel XVI secolo:

D. 45.1.83.5 (Paul. 72 ad ed.) L. 798 Sacram vel religiosam rem vel usi-bus publicis in perpetuum relictam (ut forum aut basilicam) aut homi-nem liberum inutiliter stipulor, quamvis <res> (Momm.) sacra profanafieri et usibus publicis relicta in privatos usus reverti et ex libero servusfieri potest. nam et cum quis rem profanam aut Stichum dari promisit,

* Mi limito, in questa sede, a indicare i ragguagli bibliografici essenziali: maun’ampia rassegna della letteratura, soprattutto di quella più recente, è nell’articolodi Dieter Nörr (cit. infra, nt. 9), p. 544 ss. (nt. 94 part.). Sui temi, affrontati nelle pa-gine che seguono, è fondamentale l’acuta analisi di Carlo Augusto Cannata: vd.infra, nt. 15. Ho potuto conoscere il nuovo, densissimo articolo di D. NÖRR, Exem-pla nihil per se valent. Bemerkungen zu Paul. 15 quaest. D. 46,3,98,8; 72 ad ed. D.45,1,83,5, in ZSS. 126 (2009) 1 ss., soltanto quando il mio contributo era già statocomposto in bozze. Lo stesso è accaduto nel caso di O. BEHRENDS, Das Schiff desTheseus und die skeptische Sprachtheorie. Die Rationalität der antike Rechtssystemeund das romantische Rechtsbild Dieter Nörrs, in Index 37 (2009) 397 ss. e di D.MANTOVANI, Lessico dell’identità, in A. CORBINO, M. HUMBERT, G. NEGRI (a curadi), Homo, caput, persona. La costruzione giuridica dell’identità nell’esperienza ro-mana. Dall’epoca di Plauto a Ulpiano, CEDANT (Pavia 2010) 3 ss.

VALERIO MAROTTA

Una nota su D. 45.1.83.5(Paul. 72 ad ed.)*

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liberatur, si sine facto eius res sacra esse coeperit aut Stichus ad liberta-tem pervenerit, nec revocantur in obligationem, si rursus lege aliqua etres sacra profana esse coeperit et Stichus ex libero servus effectus sit.<Celso tamen contra visum est>1 quoniam una atque eadem causa et li-berandi et obligandi esset, quod aut dari non possit aut dari possit: namet si navem, quam spopondit, dominus dissolvit et isdem tabulis compe-gerit, quia eadem navis esset, inciperet obligari. pro quo et illud diciposse Pedius scribit: si stipulatus fuero ex fundo centum amphoras vini,exspectare debeo, donec nascatur: et si natum sine culpa promissoris con-sumptum sit, rursum exspectare debeam, donec iterum nascatur et daripossit: et per has vices aut cessaturam aut valituram stipulationem. sedhaec dissimilia sunt: adeo enim, cum liber homo promissus est, servitutistempus spectandum non esse, ut ne haec quidem stipulatio de homine li-bero probanda sit: “illum, cum servus esse coeperit, dare spondes?” item“eum locum, cum ex sacro religiosove profanus esse coeperit, dari?” quianec praesentis temporis obligationem recipere potest et ea dumtaxat,quae natura sui possibilia sunt, deducuntur in obligationem. vini autemnon speciem, sed genus stipulari videmur et tacite in ea tempus contine-tur: homo liber certa specie continetur. et casum adversamque fortunamspectari hominis liberi neque civile neque naturale est: nam de his rebusnegotium recte geremus, quae subici usibus dominioque nostro statimpossunt. et navis si hac mente resoluta est, ut in alium usum tabulae de-stinarentur, licet mutato consilio perficiatur, tamen et perempta priornavis et haec alia dicenda est: sed si reficiendae navis causa omnes tabu-lae refixae sint, nondum intercidisse navis videtur et compositis rursuseadem esse incipit: sicuti de aedibus deposita tigna ea mente, ut repo-nantur, aedium sunt, sed si usque ad aream deposita sit, licet eadem ma-teria restituatur, alia erit …2

È opportuno – nonostante il rischio di annoiare il lettore – pro-porre una parafrasi dettagliata di questo passo che si soffermi suisuoi molteplici contenuti.

Si conclude un atto invalido se ci si fa promettere una res sacra oreligiosa, o destinata in perpetuo a uso pubblico, come un foro o unabasilica, ovvero un uomo libero, benché una cosa sacra possa diven-

194 VALERIO MAROTTA

1 Vd. J. CUIACIUS, Opera ad Parisiensem Fabrotianam editionem dilingetissimeexacta auctiora atque emendatioria. Editio altera Pratensis II (Prato 1859) 662; VI(Prato 1862) 627-628: cfr. H.E. TROJE, Celso tamen contra visum est, in ZSS. 122(2005) 172 ss.

2 Il testo prosegue in tal modo … hic tractatus etiam ad praetorias stipulationespertinet, quibus de re restituenda cavetur et an eadem res sit, quaerit.

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tare profana3, una cosa destinata a uso pubblico possa venir ricon-dotta all’uso privato e un uomo possa da libero diventare schiavo.Infatti anche colui il quale abbia promesso di dare, ossia di trasferirela proprietà di una cosa profana o dello schiavo Stico, è liberato se,senza un suo intervento, la res sia divenuta sacra o Stico sia stato ma-nomesso: né egli è riassoggettato all’obbligazione se, in base a unalegge, la cosa sacra ritorni profana e Stico da persona libera ridivengaschiavo. Celso, tuttavia, espresse un diverso avviso4, poiché tanto lacausa della liberazione del promissor quanto la causa della sua obbli-gazione sarebbero, ciascuna, una sola e la stessa, e cioè, rispettiva-mente, che il dare sia possibile o non sia possibile: infatti – sempresecondo Celso – se uno abbia promesso una nave (appartenente a unterzo) e il proprietario l’abbia disfatta e poi ricomposta con le stessetavole, poiché la nave resta la stessa, il promissor ricomincerebbe adessere obbligato. Nello stesso senso5 Pedio scrive che si può anchegiungere alla seguente conclusione: se mi sono fatto prometterecento anfore del vino che sarà prodotto da un certo fondo, devoaspettare finché il vino sia stato prodotto; e se, dopo, che è venuto inessere sia perito senza colpa del promissor, devo di nuovo aspettareche sia prodotto daccapo e se ne possa trasferire la proprietà: così, inconformità con queste vicende, l’obbligazione dipendente dalla sti-pulatio entrerà in quiescenza o prenderà vigore. Ma questi casi – ri-leva Paolo – sono diversi. Difatti, quando è stato promesso un uomolibero, non si deve pensare al tempo in cui egli possa essere even-tualmente schiavo, tanto è vero che non potrebbe ammettersi nep-pure questa stipulatio di un uomo libero: «prometti di darmi queltale, quando diventerà schiavo?» e neppure «prometti di darmi quel

Una nota su D. 45.1.83.5 (Paul. 72 ad ed.) 195

3 Cfr. Macr. Sat. 3.3.3 quod ex religioso vel sacro in hominum usum proprieta-temque conversum est … Questa definizione è stata ripresa da Servius auctus. Aen.XII, 779 e dal commentatore di Frontinus, p. 22 Lachmann. Essa si può, senza dub-bio, comparare con D. 45.1.83.5 (Paul. 72 ad ed.): sacra profana fieri et usibus pu-blicis relicta in privatos usus reverti, il che puntualmente significa che le cose sacre epubbliche possono ritornare nella disponibilità dei privati, avendo reversum, in talecontesto, lo stesso senso di conversum in Trebatius Testa (Macr. Sat. 3.3.3 = de reli-gionibus Huschke, I, fr. 1 = Bremer I, p. 404 s., n. 2); cfr. I. 3.23.5, ove profano è ilcontrario di sacro e religioso, e privato il contrario di pubblico.

4 Quest’esplicito riferimento a Celso, in D. 45.1.83.5, è frutto di un’integra-zione: vd. supra, nt. 1 e infra, 199.

5 Ma quest’interpretazione delle parole pro quo … non è condivisa da molti stu-diosi: vd. infra, nel testo, 199 s.

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luogo, quando da sacro o religioso diventerà profano?» perché lacosa (che è oggetto di queste stipulazioni) non può essere oggetto diobbligazione al tempo presente, e solo le cose che per loro naturasono possibili devono considerarsi tali. Del vino, invece, non si sti-pula la specie ma il genere, sicché la stipulazione prevede tacitamenteil tempo. Al contrario un uomo libero è determinato nella specie, enon è né civile né conforme al diritto naturale6 prendere in conside-razione le disgrazie che possono abbattersi su di un uomo libero. Inegozi che possiamo concludere correttamente riguardano le coseche attualmente possono essere fatte oggetto di nostro uso o pro-prietà. Quanto alla nave – osserva Paolo –, se è stata disfatta per de-stinare le tavole a un impiego diverso, anche se poi, avendo il pro-prietario cambiato idea, essa sia stata rifatta, quella precedente, tut-tavia, è venuta meno e, in conseguenza, altra deve considerarsi lanave adesso esistente; ma se tutte le tavole sono state staccate per ri-farla daccapo, la nave non è stata ancora eliminata, e, una volta ri-messe assieme le tavole, essa è la stessa di prima; come le travi, pre-levate da un edificio con l’intento di riportarvele, appartengono sem-pre all’edificio, ma, una volta demolito fino al suolo, benché sia statoricostruito impiegando lo stesso materiale, sarà un altro edificio.

Prima di leggere per esteso D. 46.3.98.8, occorre affrontare unevidente problema filologico proposto dall’esame di D. 45.1.83.5. Sideve concordare o meno con l’integrazione accolta, ma invero, comeha dimostrato Hans Erich Troje7, non congegnata per primo dalCujas? Per formulare più chiaramente questa domanda. Si deve in-serire, subito dopo le parole et Stichus – effectus sit, la frase <Celsotamen contra visum est> o altra di analogo contenuto?

Su questo punto è sufficiente accogliere – nonostante le recentiosservazioni critiche di Jan Dirk Harke8, che non approdano però,come ha mostrato Dieter Nörr9 a conclusioni convincenti – quellache è, da tempo, la communis opinio. Del resto, il pensiero del con-

196 VALERIO MAROTTA

6 Per l’interpretazione delle parole neque civile neque naturale est vd. infra,208 ss.

7 H.E. TROJE, Celso tamen cit. 172 ss.8 J.D. HARKE, Vorübergehende Unmöglichkeit, in ZSS. 123 (2006) 107 ss., 112 ss.9 D. NÖRR, Alla ricerca della vera filosofia. Valori etico-sociali in Giulio Paolo

(a proposito di D. 19.1.43 s.; 1.1.11; 45.1.83; 46.3.98.8; 18.1.34.1-2), in D. MANTO-VANI, A. SCHIAVONE (a cura di), Testi e problemi del giusnaturalismo romano, CE-DANT (Pavia 2007) 544 ss., 553 part.

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traddittore, riassunto da Paolo in D. 45.1.83.5, senza dubbio coin-cide con quello di Celso, così come esso è stato tramandato in D.46.3.98.8 e in:

D. 32.79.2-3 (Cels. 9 dig.) L. 16110 Area legata si inaedificata mediotempore fuerit ac <nunc> (Momm.) rursus area sit, quamquam tunc petinon poterat, nunc tamen debetur. 3. Servus quoque legatus si interimmanumittatur et postea servus factus sit, peti potest.

Non ha molto rilievo che D. 32.79.2-3 sia in tema di legati e nondi stipulatio. L’intentio dell’azione posta a tutela del legatum perdamnationem, ossia, in questo specifico caso, della formula dell’ac-tio ex testamento certi, doveva riprodurre nella definizione della pre-tesa, in aggiunta all’ulteriore indicazione delle parole ex testamento,il tenore della formula della condictio11.

Come ho già ricordato in precedenza, la quaestio presa in esameda Paolo in D. 46.3.98.8 è, almeno in larga misura, la stessa di D.45.1.83.5:

D. 46.3.98.8 (Paul. 15 quaest.) L. 1398 Aream promisi alienam: in ea do-minus insulam aedificavit: an stipulatio extincta sit, quaesitum est. re-spondi, si alienum hominem promisi et is a domino manumissus est, li-beror. nec admissum est, quod Celsus ait, si idem rursus lege aliqua ser-vus effectus sit, peti eum posse: in perpetuum enim sublata obligatiorestitui non potest, et si servus effectus sit, alius videtur esse. nec similiargumento usus est, ut, si navem, quam tu promisisti, dominus dissolve-rit, deinde isdem tabulis compegerit, teneri te: hic enim eadem navis est,quam te daturum spopondisti, ut videatur magis obligatio cessare quamextincta esse. homini autem manumisso simile fiet, si ea mente dissolu-tam esse navem posueris, ut in alios usus converterentur tabulae, deindemutato consilio easdem compositas: alia enim videbitur esse posteriornavis, sicut ille alius homo est. non est his similis area, in qua aedificiumpositum est: non enim desiit in rerum natura esse. immo et peti potest

Una nota su D. 45.1.83.5 (Paul. 72 ad ed.) 197

10 Il legame di D. 32.79.2-3 con D. 46.3.98.8 è individuato esplicitamente ancheda O. LENEL, Palingenesia iuris civilis, I (Lipsiae 1889) 162, nr. 226 e nt. 1.

11 O. LENEL, Das Edictum perpetuum. Ein Versuch zu seiner Wiederherstellung3

(Leipzig 1927) 367 s.; D. MANTOVANI, Le formule del processo romano. Per la di-dattica delle Istituzioni di diritto romano (Padova 1999) 48 s. Nel nostro caso – qua-lora, per esempio, vi fosse stata infitiatio – la formula si potrebbe, forse, ricostruirein tal modo: … Si paret N. Negidium Aulo Agerio servum Stichum ex testamentodare oportere, qua de re agitur, quanti ea res est tantam pecuniam duplam … iudexN. Negidium A. Agerio condemnato…

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area et aestimatio eius solvi debebit: pars enim insulae area est et qui-dem maxima, cui etiam superficies cedit. diversum dicemus, si servuspromissus ab hostibus captus sit: hic interim peti non potest quasi antediem, sed si redierit postliminio, recte tunc petetur: cessavit enim hicobligatio. area autem extat, sicut cetera, ex quibus aedificium constitit.

Si è promesso un terreno inedificato altrui. Il proprietario vi hacostruito un edificio a più piani. Si è domandato se la stipulatio siavenuta meno. Paolo ha proposto la seguente soluzione: se si è pro-messo uno schiavo altrui e questi è stato manomesso dal suo pro-prietario, il promissor è liberato dall’obbligazione. Né si ammette –osserva Paolo – quel che sostiene Celso: ossia che se costui, per ef-fetto di una qualche legge, è stato di nuovo reso schiavo lo si puòpretendere. Infatti un’obbligazione estinta in modo definitivo nonpuò più rivivere e se quello è stato reso schiavo, lo si considera unaltro schiavo. Né Celso, a parere de giurista severiano, si è giovato diun argomento fondato sull’analogia12 dicendo che «se la nave che haipromesso, il proprietario l’abbia sfasciata e, poi, l’abbia ricompostacon le medesime tavole, tu sei obbligato». Infatti, in questo caso, lanave è la stessa che tu avevi promesso di dare. In conseguenza si con-sidera che l’obbligazione è rimasta in quiescenza non già che si èestinta. Il caso sarà invece analogo a quello dello schiavo manomessose si proponesse l’esempio di una nave che è stata sfasciata con l’in-tento di utilizzare le tavole per altri usi e, poi, cambiata idea, le stessesiano state ricomposte. In questo caso si considera altra la posteriornavis, proprio come quello, dopo l’affrancazione e la nuova ridu-zione in servitù, è un altro schiavo. Non è simile a queste ipotesiquella del terreno nel quale è stato posto un edificio: difatti esso nonha cessato di esistere in natura. Il terreno, proprio per questo, puòessere preteso in giudizio e se ne dovrà pagare il valore: l’area, infatti,è parte dell’insula e, anzi, quella più importante, cui accede anche lasuperficies. Diversamente si dovrà decidere se lo schiavo promesso èstato catturato dai nemici: costui, nel frattempo, non può essere pre-teso, proprio come se fosse dovuto a termine ed esso non fosse an-cora scaduto. Qualora, però, il servus faccia ritorno al di qua dei con-

198 VALERIO MAROTTA

12 Su questo tema da ultimo, con specifico riferimento a D. 46.3.98.8, vd. Th.MAYER-MALY, Argumentum, in ZSS. 125 (2008) 273 ss.; rimarchevole il contributodi A. MANTELLO, L’analogia nei giuristi tardo repubblicani e augustei. Implicazionidialettico-retoriche e impieghi tecnici, in Studi in onore di Remo Martini II (Milano2009) 605 ss.

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fini, in tal caso potrà essere preteso, proprio perché l’obbligazioneera entrata in quiescenza. Il terreno, al contrario, è presente, al paridelle altre cose di cui l’edificio è fatto.

Tre i giuristi protagonisti di questo dibattito, così come esso puòessere ricostruito alla luce di D. 45.1.83.5 e di D. 46.3.98.813. Inprimo piano si stagliano le figure di Giulio Paolo, l’autore del trac-tatus, e di Giuvenzio Celso: le sue dottrine, infatti, costituiscono ilprincipale oggetto della polemica del giurista severiano. Sullo sfon -do, inoltre, ma ben visibile, appare anche Sesto Pedio, autore di libriad edictum che alcuni studiosi collocano in età flavia e altri, invece,in epoca tardo adrianea. Si ha modo di percepire, leggendo questipassi, quale fosse la misura delle divergenze che dividevano Paolo daCelso. È arduo, al contrario, stabilire come si sviluppasse il ragiona-mento di Sesto Pedio e se questi proponesse altre riflessioni oltre aquella sul caso del perimento dell’oggetto di una obbligazione gene-rica, ossia del vino prodotto nel vigneto e nella cantina di un deter-minato fondo.

Le forme impiegate nel tractatus paolino, per ricordare la dot-trina di Pedio, pongono, senza dubbio, un grave problema storico-esegetico: alludo alle parole pro quo et illud dici … Il tenore di que-sta frase sembrerebbe dar ragione a quanti sostengono che Pedio siavissuto dopo o, al più, negli stessi anni di Celso. Ma l’insieme delletestimonianze, che riguardano questo giurista, deve indurci alla cau-tela14. Oltretutto le parole pro quo etc.… potrebbero forse tradursi«nello stesso senso…»15.

Una nota su D. 45.1.83.5 (Paul. 72 ad ed.) 199

13 Ma non si dimentichi D. 32.79.2-3: vd. supra, 197.14 Vd. C. GIACHI, Studi su Sesto Pedio. La tradizione, l’editto (Milano 2005) 1

ss., ove altri riferimenti.15 Così C.A. CANNATA, Corso di Istituzioni di diritto romano II.1 (Torino 2003)

222 ss., 226, 228 (Paolo avrebbe letto l’analisi di Pedio nei libri di Celso) (in questamonografia l’Autore ripropone un contributo apparso in due differenti versioni, coiseguenti titoli: Appunti sulla impossibilità sopravvenuta e la culpa debitoris nelle ob-bligazioni da stipulatio in dando, in SDHI. 32 [1966] 63 ss.; Per lo studio della re-sponsabilità per colpa nel diritto romano [Milano 1969]). In senso contrario D.NÖRR, Alla ricerca della vera filosofia cit. 553: a suo parere Pedio avrebbe ripreso,sviluppandola ulteriormente, l’argomentazione celsina. Occorre, però, riconoscereche se la traduzione, proposta dal Cannata, delle parole pro quo et illud dici po-trebbe non convincere a pieno, anche altre, che procedono dal presupposto chePedio avrebbe ricordato esplicitamente la dottrina celsina, possono lasciar adito adubbi altrettanto consistenti: «a nome del quale» o «in luogo del quale», per esem-

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Sul piano generale i due testi paolini (D. 45.1.83.5 e D. 46.3.98.8)adoperano, per descrivere le vicende dell’obbligazione, tre verbi: ex-tingui, cessare, valere. Il primo segnala che l’obbligazione è ormaiestinta (ma è utilizzato solo in D. 46.3.98.8); il secondo che l’obbli-gazione è in quiescenza (temporanea inesigibilità); il terzo che l’ob-bligazione e il diritto riprendono vigore alla fine della quiescenza(così unicamente in D. 45.1.83.5).

Sulle conseguenze del perimento dell’oggetto di una obbliga-zione generica Paolo conviene con Pedio16: … Pedius scribit: si stipu-latus fuero ex fundo centum amphoras vini, exspectare debeo, donecnascatur: et si natum sine culpa promissoris consumptum sit, rursumexspectare debeam, donec iterum nascatur et dari possit: et per hasvices aut cessaturam aut valituram stipulationem. Non è possibilestabilire se, in Pedio, quest’esempio si coordinasse con una succes-siva valutazione dei casi dello schiavo, oggetto della stipulatio dap-prima affrancato e poi di nuovo ridotto in servitù, e della nave, di-sfatta e poi ricostruita con le stesse assi. Né, tantomeno, possiamoazzardare l’ipotesi che i suoi sforzi interpretativi si servissero delprecedente dibattito giurisprudenziale sulle stipulazioni condizio-nali17. Comunque stiano le cose, Paolo ha decisamente sbarrato lastrada a questa possibilità, dal momento che, contrapponendo aquella del vino le ipotesi dello schiavo e della nave, egli sottolineacome, qualora sia stato promesso un uomo libero, non si debba pen-sare al tempo in cui quell’uomo possa, eventualmente, divenireschiavo. Per il giurista severiano non potrebbe neppure ammettersiuna stipulatio di un uomo libero concepita in tal modo: «prometti didarmi quel tale, quando diventerà schiavo?» e neppure quest’altra:«prometti di darmi quel luogo, quando da sacro o religioso diventeràprofano?». Difatti, a suo parere, la cosa (promessa con queste stipu-lazioni) non può essere oggetto di obbligazione al tempo presente.

200 VALERIO MAROTTA

pio, sarebbero tentativi di traduzione che non terrebbero adeguatamente conto delfatto che, in D. 45.1.83.5, le parole <Celso tamen contra visum est> non compaiono.In altre parole, in tale àmbito, ogni congettura presenta ampi margini di incertezza.

16 Ma Sesto Pedio – preceda o meno, nel tempo, il console ordinario del 129 –doveva certamente pervenire a conclusioni più prossime al pensiero di Celso che aquello di Paolo.

17 Vd., in argomento, A. MASI, Studi sulla condizione nel diritto romano (Mi-lano 1966) 11 ss. e W. FLUME, Rechtsakt und Rechtsverhältnis. Römische Jurispru-denz und modernrechtliches Denken (Paderborn-München-Wien-Zürich 1990) 120ss.

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Al contrario – osserva Paolo – del vino non si stipula la specie ma ilgenere, sicché la stipulazione prevede tacitamente il tempo, a diffe-renza dell’uomo libero, che è, al contrario, determinato nella specie.

2. Due posizioni a confronto. – Per Paolo una impossibilità origi-naria o successiva non può mai essere sanata da una possibilità so-pravvenuta nel caso dell’uomo libero, della res sacra o della res pu-blica, ossia quando l’impossibilità della prestazione sia prevista dalius.

È opportuno descrivere solo per capita la posizione di Paolo, sof-fermandosi esclusivamente sui punti che palesano il suo contrastocon Celso.

Per Celso il caso della nave, qualora essa venga ricostruita, deverisolversi nel senso della reviviscenza dell’obligatio, a prescinderedalla mens del dominus al momento della dissoluzione18. Al contra-rio, secondo Paolo questa circostanza – ossia la mens del dominusdella nave – è decisiva.

Qualora uno schiavo manomesso subisca una nuova riduzione inschiavitù, per Celso si determina una reviviscenza dell’obligatio.Paolo, viceversa, ritiene che si tratti di un alius servus.

Per Celso, mentre l’edificio insiste sull’area, non si può proporreazione, ovverossia l’obbligazione si estingue. Ma può prodursi unasua reviviscenza in caso di distruzione dell’edificio. Paolo, dal cantosuo, ritiene che il terreno possa essere preteso in giudizio per otte-nerne il valore pecuniario: difatti esso non solo è parte dell’edificio,ma quella più importante, rispetto alla quale anche l’edificio è cosaaccessoria.

A parere di Carlo Augusto Cannata19, Celso non avrebbe presoin considerazione la distinzione, su cui, invece, Paolo si sofferma, traestinzione e inesigibilità temporanea (quiescenza). Egli avrebbe am-messo solo la prima. La reviviscenza, nel pensiero del giurista adria-

Una nota su D. 45.1.83.5 (Paul. 72 ad ed.) 201

18 È un caso più volte riproposto nel dibattito filosofico greco a partire dal-l’esempio della nave di Teseo: Plut. Thes. 23.1; de communibus notitiis 1083a; de seranuminis vindicta 559b; Arist. Cat. 15a, 15-15b 17. Sul tema, per le sue implicazionisul piano filosofico e giuridico, M.J. SCHERMAIER, Materia. Beiträge zur Frage derNaturphilosophie im klassischen römischen Recht (Wien-Köln-Weimar 1992) 221ss., con altri rinvii alle fonti. Nuove, ulteriori indicazioni in O. BEHRENDS, DasSchiff cit. (supra, sub nt.*) 422 ss.

19 C.A. CANNATA, Corso di Istituzioni di diritto romano II.1 cit. 231.

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neo, corrisponderebbe, invece, a un nuovo sorgere della stessa obli-gatio. Celso, in altre parole, non avrebbe distinto perimento defini-tivo e temporaneo, ma semplicemente osservato lo svolgersi ogget-tivo degli eventi, per riflettere soltanto sulle vicende della res: vi-cende o determinate dalla natura della cosa o dal ius.

Ho attribuito al pensiero di Celso, non discostandomi, peraltro,dalla communis opinio, il contenuto della frase quoniam – possit(«Tuttavia, Celso espresse un diverso avviso, poiché tanto la causadella liberazione del promissor quanto la causa della sua obbligazionesarebbero, ciascuna, una sola e la stessa, e cioè – rispettivamente –che il dare sia possibile o non sia possibile»). Per Dieter Nörr20, cheripropone una osservazione già formulata da Jacques Cujas21, ilpunto di partenza di Celso coinciderebbe con la seguente osserva-zione: unica e identica è la causa che dà luogo tanto al liberari quantoall’obligari. Insomma il dari posse e il dari non posse sarebbero i dueaspetti (positivo e negativo) dell’una atque eadem causa, ossia dellastipulatio. Al contrario, secondo Carlo Augusto Cannata22, la frasedovrebbe esser interpretata in modo sensibilmente differente: unasola e sempre identica è la causa liberandi, e una sola e sempre iden-tica è la causa obligandi; e rispettivamente che la res o dari non po-test o dari potest. Per Celso il perimento genera il dari non potest conconseguente liberazione, in ogni caso. Simmetricamente la ricostitu-zione determina sempre il dari potest, e dà, quindi, luogo all’obliga-tio. Celso si affida al principio di non contraddizione. È o non è: ter-tium non datur23.

Per stabilire, per esempio, se il promissor dello schiavo sia attual-mente (ossia nunc) ancora obbligato a trasferirne la proprietà, si devepoter dire che egli (il servus) è il medesimo del tempus praesens dellastipulatio (tunc).

Un passo di Venuleio Saturnino (giurista di età antonina) può,probabilmente, contribuire a definire meglio il quadro entro il qualecollocare la posizione di Celso. È degno di nota, infatti, che Venu-

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20 D. NÖRR, Alla ricerca della vera filosofia cit. 552 s.21 J. CUIACIUS, Opera ad Parisiensem Fabrotianam editionem, VI cit. 628.22 C.A. CANNATA, Corso di Istituzioni di diritto romano II.1 cit. 230 s.23 Aristotele – è noto – ne sviluppò tutte le implicanze logiche (Metafisica, D cc.

3-7, 1005 a – 1012 a; 1005 b part.): «è impossibile che la medesima cosa appartengao non appartenga a una medesima cosa, nello stesso tempo e il medesimo rispetto».È il principio più evidente di tutti.

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leio, in tema di stipulatio condicionalis di res sacrae, religiosae, publi-cae, in forza di una posizione dottrinale largamente condivisa – co-mune, dunque, a Paolo e, probabilmente, anche al più risalente Giu-venzio Celso – adoperi una fictio. Si finge, in casi come questi, la im-possibilità naturale per motivare l’inefficacia di una stipulazionesotto condizione contra ius o illecita24. Non è un caso, del resto, cheper Paolo l’oggetto della stipulatio sub condicione debba essere pernatura possibile: a proposito dell’ipotesi dell’uomo promesso sottocondizione si servus esse coeperit, il giurista gioca, con la finezza in-tellettuale che gli era propria, oscillando, grazie all’ambiguità del ter-mine natura, fra esistenza naturale e liceità naturale. Ma, come bensapeva Paolo, non era questo il punto controverso. Anche Celso nonavrebbe risolto il problema di queste particolari stipulationes condi-cionales in termini differenti: anch’egli avrebbe guardato, propriocome il giurista severiano, al tempo presente. È Paolo, dunque, a in-serire nel suo itinerario spunti che, a un primo sguardo, non appari-rebbero del tutto congruenti con l’oggetto principale della contro-versia.

Insomma questi argomenti potevano senza dubbio sostenere leposizioni paoline, ma non sino al punto di tacitare tutte le eventualiobiezioni di chi si fosse ispirato al pensiero dello scolarca procu-liano.

Proprio per tal motivo il tema dell’identità della res appare ed ètanto importante nell’impianto del discorso paolino.

Il giurista severiano, nella sua critica a Celso, insiste, soprattuttonella versione della quaestio tramandata da D. 46.3.98.5, sul requisitodell’identità dell’oggetto, che non sussisterebbe, a suo parere, nel-l’ipotesi del servus manumissus – alius servus – e, ragionando attorno

Una nota su D. 45.1.83.5 (Paul. 72 ad ed.) 203

24 Cfr. D. 45.1.137.6 (Ven. 1 stip.) L. 53 Cum quis sub hac condicione stipulatussit, si rem sacram aut religiosam Titius vendiderit vel forum aut basilicam et huiu-smodi res, quae publicis usibus in perpetuum relictae sint: ubi omnino condicio iureimpleri non potest vel id facere ei non liceat, nullius momenti fore stipulationem,proinde ac si ea condicio, quae natura impossibilis est, inserta esset. nec ad rem per-tinet, quod ius mutari potest et id, quod nunc impossibile est, postea possibile fieri:non enim secundum futuri temporis ius, sed secundum praesentis aestimari debet sti-pulatio. Sul meccanismo della finzione, in questo contesto, Y. THOMAS, Fictio legis.L’Empire de la fiction romaine et ses limites médiévales, in Droits 21 (1995) 58; sulpasso, con un’esegesi che ho ripreso e che condivido, D. NÖRR, Alla ricerca dellavera filosofia cit. 555 ss.

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alla mens del dominus, in quella della nave – alia navis, quando il suoproprietario avesse avuto l’intento, disfacendola, di impiegare le sueassi per costruire un’altra res.

Secondo Paolo vi sono cause di eliminazione della cosa stipulatache di per sé hanno effetto definitivo.

Nell’esegesi di questi frammenti il pensiero dei giuristi non ap-pare, almeno a un primo sguardo, del tutto limpido. È possibile chei compilatori giustinianei li abbiano radicalmente accorciati. Ma nonsi può neppure escludere che essi proponessero rinvii soltanto im-pliciti a dottrine precedenti o consolidate. Per esempio, cosa signi-fica, in Paolo, l’espressione alius servus, riferita al servo manomessoe poi ridivenuto schiavo? La posizione del giurista severiano divieneimmediatamente comprensibile se confrontiamo i nostri testi con:

D. 46.3.92.pr. (Pomp. 9 epist.) L. 196 Si mihi alienum servum dari pro-miseris aut testamento dare iussus fueris isque servus, antequam per testaret quo minus dares, a domino manumissus sit, haec manumissiomorti similis sit: si autem decessisset, non tenearis.

Come risulta immediatamente evidente, per Pomponio, la ma-numissio è simile alla morte, mentre lo stesso Paolo, in un altro con-testo, definisce novus homo lo schiavo affrancato e nuovamente as-servito25: l’idea che un cambiamento di status sia comparabile al cam-biamento del genus e persino alla morte è formulata, in più àmbiti,con estrema chiarezza26. Il liberto nuovamente asservito non è iden-tico allo schiavo oggetto della stipulatio: è necessariamente un alius.Si tratta, dunque, d’una dottrina consolidata, oggetto – potremmopresumere –, se più antica di Pomponio, delle critiche di Celso.

È forse superfluo sottolineare, a questo punto, che il caso delloschiavo, manomesso e poi ridivenuto schiavo, ha senza dubbio at-tratto, più degli altri, l’attenzione di Paolo. Tuttavia l’argomento, (etcasum adversamque fortunam spectari hominis liberi neque civileneque naturale est) cui egli ricorre, non può essere rivolto, come si ègià osservato, contro la posizione di partenza di Celso. Tuttalpiù losi può utilizzare contro i possibili, ulteriori sviluppi derivanti dal-

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25 D. 34.4.27.1 (Paul. 21 quaest.) L. 1410 Servo legato et inter vivos manumissosi legatum adimatur, nullius momenti ademptio est: igitur legatum, quod ipsi datumest, capiet. nam etsi rursus in servitutem ceciderit, non tamen legatum eius resuscita-bitur: novus enim videtur homo esse.

26 Gaius 3.153; I. 1.16; D. 4.5.11 (Paul. 2 ad Sab.); D. 1.1.4 (Ulp. 1 inst.); I. 1.16.4.

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l’approfondimento del caso proposto da Pedio: quello delle anforecontenenti il vino prodotto in uno stesso fondo. Paolo sapeva chel’esempio pediano poteva rivelarsi insidioso se impiegato per giusti-ficare una stipulatio condicionalis di questo tipo: illum, cum servusesse coeperit, dare spondes? (ossia la promessa di una cosa futura)27.

È opportuno, a questo punto, soffermarsi ancora un istante sulcaso della nave e sul rilievo delle sue vicende nelle argomentazioni diCelso e di Paolo.

Celso aveva difeso la sua opinione a proposito dello schiavo af-francato e poi di nuovo asservito, adducendo l’analogia della nave di-sfatta e in séguito ricostruita con lo stesso materiale. Secondo Paolo– come si è già rilevato più volte – l’esempio della navis, introdottoda Celso per sostenere la possibilità di domandare in giudizio loschiavo manomesso e poi di nuovo asservito, non è conclusivo, dalmomento che non sempre la nave, disfatta e successivamente rimon-tata, è la stessa nave. Qualora taluno avesse promesso di trasferire laproprietà di una nave di un terzo e questi l’avesse disfatta riducen-dola a una quantità di tavole, avendola poi ricomposta, se la scom-posizione fosse avvenuta con l’intento del proprietario di destinarele tavole ad altro uso (hac mente …), l’obbligazione avrebbe dovutoconsiderarsi definitivamente estinta; mentre, al contrario, se l’imbar-cazione fosse stata disfatta dal dominus con l’intento di ricomporla,la nave oggetto dell’obbligazione sarebbe stata la stessa e, pertanto,il creditore, dopo la ricomposizione, avrebbe avuto di nuovo dirittodi pretenderla. Per Paolo è sempre l’attività volontaria che decide sela cosa divenga definitivamente un aliud.

Ma, secondo Dieter Nörr28, «nessuno manomette un» servus«con l’intenzione di» ridurlo, in séguito, nuovamente in schiavitù.Insomma in questa circostanza, a differenza di quello della navis, lamens del dominus non avrebbe alcun rilievo. Non credo che si possaseriamente contestare quest’affermazione. Ma si potrebbe chiederese, nell’espressione lege aliqua, non sia possibile individuare, purescludendo ogni allusione al dominus che ha effettuato la manomis-sione, un riferimento alla voluntas di chi glielo alienò o di un altro,

Una nota su D. 45.1.83.5 (Paul. 72 ad ed.) 205

27 Dobbiamo rilevare che Paolo non tiene conto, in questo contesto, del fattoche la res futura, in quanto oggetto di una stipulazione, potrebbe essere anche unaspecies: si pensi, per esempio, al partus ancillae.

28 Alla ricerca della vera filosofia cit. 551.

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precedente nel tempo, dante causa. È opportuno, a questo punto, ap-profondire l’analisi del significato dell’espressione lege aliqua.

L’ipotesi dello schiavo manomesso e poi di nuovo asservito èsenza dubbio un caso limite (ma le regole del diritto si mettono apunto proprio in queste circostanze): cionondimeno essa non apparedel tutto inverosimile, come conferma, del resto, anche un famososcorcio degli Annales di Tacito29.

Più pertinente però, rispetto all’episodio raccontato dallo sto-rico, mi pare il confronto con un altro esempio, che Gaio ricorda nelsuo primo commentario:

Gai. 1.26-27 Pessima itaque libertas eorum est, qui dediticiorum numerosunt; nec ulla lege aut senatus consulto aut constitutione principali aditusillis ad civitatem Romanam datur. Quin etiam in urbe Roma vel intracentesimum urbis Romae miliarium morari prohibentur; et si qui contraea fecerint, ipsi bonaque eorum publice venire iubentur ea condicione, utne in urbe Roma vel intra centesimum urbis Romae miliarium serviantneve umquam manumittantur; et si manumissi fuerint, servi populiRomani esse iubentur. Et haec ita lege Aelia Sentia conprehensa sunt.

Ai dediticii detti Aeliani, ossia a servi manomessi tanto turpi, erainterdetta ogni possibilità di accesso alla civitas Romana30. Si proi-biva loro anche di trattenersi nell’Urbe ed entro cento miglia dal suopomerio: in caso di violazione del divieto, sarebbero stati vendutipubblicamente assieme ai loro beni, con la clausola che non servis-sero a Roma ed entro cento miglia dalla stessa e che non fossero maimanomessi. Ove ciò si verificasse, essi non ottenevano la cittadi-nanza e la libertà, ma divenivano servi populi Romani.

Ma l’espressione lege aliqua, come si può intuire, potrebbe piùverosimilmente riferirsi a una lex venditionis, ossia a una lex manci-pii: ciò emerge senza dubbio dalla casistica del titolo 18.7 del Dige-sto e, in forme ancor più evidenti, da Vat Frg. 6 (Pap. 3 resp.) L. 47131:

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29 Cfr. Tac. Ann. 13.26-27. Altri riferimenti in D. NÖRR, Alla ricerca della verafilosofia cit. 546 e nt. 106. Assieme alle disposizioni della lex Aelia Sentia (vd. infra,nt. 30), si devono ricordare quelle del senatusconsultum Claudianum.

30 Gaius 1.26. Ciò è, senza dubbio, confermato anche dalle regole disciplinantil’erroris probatio: Gaius 1.67-68; Tit. Ulp. 7.4.

31 Cfr. D. 18.7.1 (Ulp. 32 ad ed.): cfr. O. LENEL, Palingenesia iuris civilis I cit.895. Sul testo A. SICARI, Leges venditionis. Uno studio sul pensiero giuridico di Pa-piniano (Bari 1996) 301 ss. part.

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Mulier servam ea lege vendidit, ut, si redisset in eam civitatem, undeplacuit exportari, manus iniectio esset. Manente vinculo servitutis si re-dierit, quae vendidit manum iniciet et ex iure concesso mancipium ab-ducet. post manumissionem autem si redierit, in perpetuam servitutemsub eadem lege publice distrahetur. Quae vendidit si manum inieceritnon liberatae, mancipium retinere poterit ac manumittere; adimi quippelibertatem et publice venditionem ita fieri placuit propter pericula ven-ditorum, qui vel metuentes servis suis offensam vel duritiam possuntpaenitendo remittere.

A mio parere l’arco delle ipotesi prese in esame da Celso può cir-coscriversi entro i confini segnati dalle leges venditionis che, a suotempo, avevano forse fornito un modello alla legge Elia Senzia. In-somma in riferimento a questi liberti che, contravvenendo al dispo-sitivo della lex venditionis, avessero fatto ritorno nel luogo di resi-denza del loro antico padrone, sarebbe stato piuttosto arduo affer-mare, quantomeno da tale versante, che si trattasse di alii homines odi alii servi.

La sanzione loro inflitta da un precedente padrone, pur previstasotto condizione si redierit in eam civitatem, non era stata certa-mente posta nel nulla dalla manomissione.

Al contrario in Paolo, per quanto inespressa (ma i compilatoripotrebbero aver accorciato questi testi), doveva trovare spazio e in-discussa applicazione la dottrina, tramandataci da Pomponio e, al-trove, dallo stesso Paolo, per la quale manumissio morti similis est.D’altra parte, al centro degli esempi proposti dal giurista severiano,nella simmetria schiavo manomesso/nave disfatta, non sta tanto ilproblema della volontà, ma, come si è già posto in evidenza, quellodell’identità32 (come criterio del posse o non posse). L’analogia tramorte e manumissio, benché – mi ripeto – non espressa, consente aPaolo, in D. 46.3.98.8, di definire alius homo lo schiavo manomessoe poi, lege aliqua, ridivenuto servus. Ma il giurista severiano avvertel’insidia che potrebbe nascondersi in un’approfondita riformula-zione degli argomenti pediani. In altre parole si rende conto che, per

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32 Si può senz’altro sottoscrivere questa conclusione di D. NÖRR, Alla ricercadella vera filosofia cit. 550 s. part. Vd. anche D. MANTOVANI, Lessico cit. (supra, subnt. *) 30 s.

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alcuni liberti, gli stessi termini della loro affrancazione prevedevano,a determinate condizioni, l’eventualità di un nuovo asservimento.

Per Paolo, in ogni caso, manca il requisito dell’identità dell’og-getto, dal momento che si tratta di un alius servus (la manumissio, inanalogia con la morte, distrugge lo schiavo in quanto res; l’homo, perquesto, qualora ricada in servitù, è un altro schiavo). Dietro la suacostruzione dogmatica, che nega l’identità dello schiavo, oggettodella stipulatio, col liberto (nuovamente asservito), si nascondono,come si è osservato, profondi valori sociali inerenti alla dottrina deglistatus.

3. Neque civile neque naturale est. – La frase et casum adver-samque fortunam spectari hominis liberi neque civile neque naturaleest si rivolge polemicamente contro la stessa eventualità di prefigu-rare una stipulatio condicionalis di questo tipo: illum, cum servus essecoeperit, dare spondes, anche nel caso in cui – dobbiamo presumere– la possibilità di ridiventare schiavo si connetta a una clausola che loha accompagnato in tutti i successivi atti di alienazione di cui egli siastato oggetto. Purtroppo non possiamo stabilire se, per Celso ePedio, la presenza di clausole sanzionatorie, come quelle riferite inVat. Frg. 6, impedisse di equiparare la manomissione alla morte. Maper i dediticii Aeliani e quei liberti – alienati, prima dell’affranca-zione, con dispositivi simili o identici a quelli descritti dal testo diPapiniano – la possibilità di essere di nuovo asserviti ineriva in fondoalla loro condizione. Per questo, forse, Paolo contesta, con espres-sioni enfatiche, ogni somiglianza con la promessa di cose future. Maegli a tal riguardo, diversamente da quanto emerge dall’insieme dellealtre argomentazioni utilizzate in D. 45.1.83.5 e in D. 46.3.98.8, mo-tiva la sua asserzione, ricorrendo anche a una nozione etico-sociale33:… et casum adversamque fortunam spectari hominis liberi neque ci-vile neque naturale est …

Naturale, in D. 45.1.83.5, si riferisce al concetto della ratio natu-ralis: il suo significato è dunque immediatamente percepibile. Il po-tere evocativo di questo termine completa e sostituisce una motiva-zione dogmatica. Sfugge al contrario, quantomeno a una prima,sommaria valutazione, il senso dell’espressione neque civile … est.

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33 Ma – occorre riconoscere – una motivazione dogmatica che non riceva sus-sidi dal sistema etico è insufficiente.

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Dieter Nörr, ragionando sul significato dell’aggettivo civile, isti-tuisce un confronto con D. 32.2334: questa operazione lo induce aconcludere che, nel passo paolino, l’espressione civile non indiche-rebbe l’ordinamento giuridico, ma, in forma colloquiale, essa acco-munerebbe al giusto ed equo ciò che decet.

In verità le interpretazioni plausibili dell’espressione neque civile… est sono davvero molto numerose35.

Antonio Palma36 sottolinea come, per Paolo, la moralità della sti-

Una nota su D. 45.1.83.5 (Paul. 72 ad ed.) 209

34 (Paul. 5 sent.) Ex imperfecto testamento legata vel fideicommissa imperatoremvindicare inverecundum est: decet enim tantae maiestati eas servare leges, quibusipse solutus esse videtur. Vd., in argomento, D. NÖRR, Alla ricerca della vera filoso-fia cit. 556.

35 E tutto questo, senza neppure soffermarsi più di tanto sulle congetture dellastoriografia interpolazionista. Alludo, in particolare, ai contributi di G. BESELER,Beiträge zur Kritik der römischen Rechtsquellen (Tübingen 1910) I, 111, II, 17; Mi-szellen, in ZSS. 45 (1925) 451; Et ideo – Declarare- Hic, in ZSS. 51 (1931) 81; Text-kritische Studien, in ZSS. 53 (1933) 44, e di F. DE MARTINO, Navis eadem navis-spe-cificatio, articolo del 1937, che cito da ID., Diritto privato e società romana (Roma1982) 53 ss., 55 ss., 60 part. (= Diritto Economia e Società nel mondo romano, conuna nota di lettura di F. D’IPPOLITO, Diritto privato I [Napoli 1995] 55 ss., 59 part.),che hanno condannato questi testi senza appello. Francesco De Martino, oltre a im-piegare gli argomenti stilistici consueti delle indagini interpolazionistiche di queltempo, ha giudicato non genuini D. 45.1.83.5 e D. 46.3.98.8 anche sulla base di unconfronto contenutistico con D. 7.4.10.7 (Ulp. 17 ad Sab.) L. 2555. Occorre rile-vare, senza soffermarsi su presupposti storiografici che trasformano sovente i com-pilatori in incorreggibili pasticcioni, come la nave, in D. 45.1.83.5, venga in rilievo,a differenza di quanto accade nel testo ulpianeo tramandato da D. 7.4.10.7, inquanto oggetto di un rapporto di natura obbligatoria. Nel caso della proprietà e deidiritti reali frazionari l’ordinamento e, in conseguenza, i giuristi devono predisporreregole di struttura che perseguano l’esigenza della certezza del diritto (in questa spe-cifica circostanza [D. 7.4.10.7], occorre determinare se e quando venga meno l’ususfructus legatus [perché a questo tema attiene, secondo la ricostruzione palingeneticadel Lenel, D. 7.4.10.7]). Viceversa nel caso in cui il medesimo bene, la nave per esem-pio, sia l’oggetto di una prestazione dedotta in obbligazione, non è unicamente ri-levante determinare l’identità materiale del bene stesso, quanto, piuttosto, stabilirese la prestazione, di cui il bene in questione è oggetto, sia o meno possibile. In fondoil diritto delle obbligazioni opera prioritariamente in funzione dell’esigenza di giu-stizia: in tema vd. C.A. CANNATA, Corso di Istituzioni di diritto romano II.1 cit. 16ss. Da questo punto di vista, credo si debba accedere alle conclusioni formulateadesso da D. NÖRR, Exempla nihil per se valent cit. (supra, sub nt. *) 50-54 part.

36 A. PALMA, Vicende della res e permanenza della causa, in Sodalitas (Scritti A.Guarino) III (Napoli 1984) 1489 ss.; Civile, incivile, civiliter, inciviliter. Contributoallo studio del lessico giuridico romano, in Index 12 (1983-84) 265.

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pulazione costituisse un limite invalicabile alla tutela dell’elementocausale, cui, negli altri casi presi in considerazione in D. 45.1.83.5, simostra, invece, attento. Il giurista apparirebbe particolarmente sen-sibile alla tutela di un’intima moralità dei meccanismi giuridici. Insostanza non si attribuisce all’espressione neque civile … est un va-lore specifico, ma se ne interpreta il senso in stretta connessione conl’altro elemento della medesima locuzione: neque naturale ...

Max Kaser37 rileva che, in questo testo, l’antitesi civilis – natura-lis assume uno specifico significato. La stipulazione avente ad og-getto un uomo libero, benché condizionata all’eventualità che costuidiventi schiavo, è immorale, perché contravviene, speculando sullapossibile perdita della sua libertà, alla dignità umana sia nel caso diun civis Romanus (neque civile) sia nel caso di un qualunque altrouomo (neque naturale).

Carlo Augusto Cannata traduce, in tal modo, la frase neque ci-vile neque naturale est: «non conforme né a diritto né a natura». Incivilis, pertanto, dovremmo cogliere un riferimento alla nozione diius civile38: a mio parere quest’interpretazione potrebbe individuare,nell’esame di alcuni testi della compilazione giustinianea, altri ri-scontri a sua conferma39.

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37 M. KASER, Ius gentium (Wien-Köln-Weimar 1993) 82.38 Corso di Istituzioni di diritto romano II.1 cit. 226, 231. In tal senso, adesso,

anche D. NÖRR, Exempla nihil per se valent cit. (supra, sub nt. *) 41.39 Si tratta di una conclusione plausibile, per quanto, come è ovvio, controversa.

Certamente in civilis (civile) si individua un riferimento al ius frutto dell’attività in-terpretativa dei prudentes (ius civile, D. 1.2.2.5 [Pomp. l.s. ench.] sed communi no-mine appellatur ius civile – D. 1.2.2.39 [Pomp. l.s. ench.] Post hos fuerunt … qui fun-daverunt ius civile). Un passo di Ulpiano fornisce, però, un esempio ancor più per-tinente: D. 34.1.14.pr.-1 (Ulp. 2 fideic.) L. 1867 Mela ait, si puero vel puellaealimenta relinquantur, usque ad pubertatem deberi. sed hoc verum non est: tamdiuenim debebitur, donec testator voluit, aut, si non paret quid sentiat, per totum tem-pus vitae debebuntur. Certe si usque ad pubertatem alimenta relinquantur, si quisexemplum alimentorum, quae dudum pueris et puellis dabantur, velit sequi, sciatHadrianum constituisse, ut pueri usque ad decimum octavum, puellae usque adquartum decimum annum alantur, et hanc formam ab Hadriano datam observan-dam esse imperator noster rescripsit. sed etsi generaliter pubertas non sic definitur,tamen pietatis intuitu in sola specie alimentorum hoc tempus aetatis esse observan-dum non est incivile. Ma l’osservazione di Ulpiano potrebbe anche possedere unavalenza più neutra e alludere, genericamente, alla tradizione della civitas. Sul testo,per gli aspetti che più da vicino ci riguardano, vd. la dettagliata analisi di S. TAFARO,Pubes e viripotens nella esperienza giuridica romana (Bari 1988) 200 ss. dell’espres-

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D’altra parte, se si preferisce seguire l’itinerario indicato da MaxKaser, civilis può assumere, in tale contesto, sfumature di significatosensibilmente differenti: nel caso di un civis Romanus, il neque civiledovrebbe (o, meglio) potrebbe essere riferito al piano eminente-mente politico del detrimentum rei publicae che si determinerebbequalora un civis sia ridotto in schiavitù. Nei giuristi d’età severianasi registra ancora, del resto, l’identificazione, in sostanziale conti-nuità con la tradizione repubblicana, tra res publica e sintesi concretadei suoi elementi personali, l’insieme, cioè, dei cives Romani40. Ma acivilis, da un altro versante (rimanendo pur sempre, però, nel quadrodella soluzione kaseriana), potrebbe anche attribuirsi un’accezioneulteriore. In latino, a partire dal IV secolo, termini come civilis o ci-vilitas indicano, soprattutto se riferiti all’imperatore e alle sue virtù,valori come l’urbanitas e, soprattutto, la socievolezza. In realtà que-sto ampliamento di significato è già rilevabile nella prosa del II se-colo d.C. In una lettera scritta da Antonino Pio, ma trasmessaci dal-l’epistolario di Frontone, si loda l’arte oratoria del retore di Cirtacon queste parole: Nihil istis sensibus validius, nihil elocutione, salvasanitate tamen, civilius, che io tradurrei in tal modo: «nulla di piùforte di questi sentimenti, nulla di più socievole di questo stile, chepure serba intatta la sua purezza»41. Civilis connota, dunque, unavirtù sociale: la capacità, cioè, di rifuggire atteggiamenti segnati se-gnati da distacco e albagia. Se si potesse cogliere, in D. 45.1.83.5, unanalogo significato, allora quest’espressione si collocherebbe sul me-desimo piano di valori definito dalla locuzione naturalis, perché, siapur nel quadro dei rapporti riferibili all’appartenenza a un’unica ci-vitas, essa alluderebbe alla benevola disposizione che ogni civis devenutrire nei confronti dei suoi concittadini. Il vincolo della solidarietàpolitica (nel significato antico dell’espressione) impedirebbe di nu-trire sentimenti non amichevoli nei confronti dei concittadini e dipensare solo a se stessi.

Valore e significato dell’espressione neque naturale est possono

Una nota su D. 45.1.83.5 (Paul. 72 ad ed.) 211

sione incivile; spunti anche in A. PALMA, Civile, incivile cit. 266 s. Da un altro ver-sante si tenga presente la convincente esegesi di G. MAININO, La Tabula Alimenta-ria di Veleia fra politica, diritto ed evergetismo: problemi e prospettive, in ArchivioStorico per le Province Parmensi 4a s. 44 (1992) 7 ss.

40 Con specifico riferimento al contenuto di D. 49.15.21.1 (Ulp. 5 opin.), vd. sulpunto V. MAROTTA, Ulpiano e l’Impero I (Napoli 2000) 99-110.

41 Ad Ant. Pium 2 – Van den Hout2 156-157.7.

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essere definiti ancor meglio grazie al confronto con alcuni testi dellostesso Paolo o di età severiana42. Particolarmente interessante appare:

D. 18.1.34.1-2 (Paul. 33 ad ed.) L. 505 omnium rerum, quas quis haberevel possedere vel persequi potest, venditio recte fit: quas vero natura velgentium ius vel mores civitatis commercio exuerunt, earum nulla vendi-tio est. Liberum hominem scientes emere non possumus. sed nec talisemptio aut stipulatio admittenda est: “cum servus erit”, quamvis dix-erimus futuras res emi posse: nec enim fas est eiusmodi casus exspectare.

Più esplicitamente in D. 45.1.83.5, che in D. 18.1.34.1-2, si osservaun’associazione che oggi – ha acutamente osservato Yan Thomas43 –a un primo sguardo potrebbe apparire sorprendente: res sacrae, reli-giosae, publicae e libertà dell’uomo sono tutte prese in considera-zione sulla base delle medesime categorie che disciplinano il regimedi indisponibilità delle cose sottratte al commercium. Gli uomini li-beri, che dovessero la propria libertà alla nascita o a una manumissio,erano rigorosamente indisponibili agli altri. Un principio appare as-solutamente inderogabile e lo si fonda anche sull’idea di inestimabi-lità: l’indisponibilità, per i terzi, della libertà di un uomo libero.«L’uomo libero, in effetti, non può esser stimato a nessun prezzo»44.Ma perché la libertà di uomo era senza prezzo?

Non se ne può far l’oggetto di una promessa, rileva Modestino,perché l’intentio della formula, in casi come questi, non potrebbe es-sere costruita con le parole ‘la proprietà deve essere trasferita’. Allostesso tempo, anche una stima in denaro di tale prestazione appari-rebbe impossibile. In altre parole, il promittente non era obbligatoné a trasferire la proprietà di quest’uomo al suo creditore né a ver-sargli, in suo luogo, l’equivalente pecuniario (pretium): anche il giu-dice non avrebbe avuto alcun mezzo per determinare il valore di

212 VALERIO MAROTTA

42 Ma vd. anche C.7.51.3 Honor. et Theodos. AS. Asclepiodoto PP. Terminatotransactoque negotio posthac nulli actio neque ex rescripto super sumptuum repeti-tione praestetur, nisi iudex, qui de principali negotio sententiam promulgavit, comi-nus partibus constitutis iuridica pronuntiatione signaverit victori causae restitui de-bere expensas aut super his querellam iure competere. post absolutum enim dimis-sumque iudicium nefas est litem alteram consurgere ex litis primae materia. <a 423d.Iii k.April.Constantinopoli Asclepiodoto et Mariniano conss.>

43 In argomento un suo suggestivo articolo: L’indisponibilité de la liberté endroit romain, in Hypothèses. Travaux de l’École doctorale d’histoire de l’UniversitéParis I Panthéon-Sorbonne 10 (2006) 379 ss.

44 D 45.1.103 (Mod. 5 pand.) L. 115; P.S. 5.1.1.

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questa prestazione evidentemente impossibile. Modestino comparauna promessa, così concepita, con quelle che prendessero a oggettouno schiavo morto o un fondo occupato dal nemico45. Per i giuristidel secondo e del terzo secolo l’indisponibilità, per i terzi, della li-bertà era disciplinata dal diritto allo stesso modo di quella delle ressacrae, religiosae o publicae46. Quando Seneca definì l’uomo sacrares47, egli alludeva, forse, allo spirito della categoria giuridica delle resquae nullius in bonis [sunt]48. Insomma la garanzia ultima, riservatadal diritto alla libertà degli uomini, si fondava su di un regime co-struito alla stessa stregua di quello concepito per i loca sacra, reli-giosa, sancta e publica49. L’uomo libero, al pari dello schiavo, è una

Una nota su D. 45.1.83.5 (Paul. 72 ad ed.) 213

45 D 45.1.103 (Mod. 5 pand.) L. 115: ancora una volta ritorna il tema dellamorte, ben presente nel testo pomponiano richiamato supra, 204: manumissio mortisimilis est. Cfr. anche Gaius 3.97-99, Epit. Gai 2.9.5 e I. 3.19.2

46 Cfr. D. 18.1.4 (Pomp. 9 ad Sab.); D. 18.1.34.1 (Pomp. 33 ad Sab.); cfr. D.11.7.36 (Pomp. 26 ad Q. Mucium); Gaius 3.97-99, (cfr. Epit. Gai. 3.9.5); D. 41.3.9(Gaius 4 ad ed. prov.); I. 3.19.2; 3.23.5; D. 43.1.1.pr. (Ulp. 77 ad ed.); D. 43.1.2.1(Paul. 63 ad ed.); D. 43.1.2.2 (Paul. 63 ad ed.): cfr. D. 17.1.22.6 (Paul 32 ad ed.).

47 Ep. 15.95.33; cfr. anche 15.95.53: vd., infra, nt. 49, ove sono riferite le osser-vazioni di Yan Thomas.

48 Cfr. Gaius 2.1-11. È un’osservazione di Y. THOMAS, L’indisponibilité de la li-berté cit. 381, per il quale quest’estensione era già conosciuta nel I secolo, ben prima,dunque, di Gaio e dei testi che possiamo leggere nel Digesto.

49 In conclusione, secondo Y. THOMAS, L’indisponibilité de la liberté cit. 381 ss.,le associazioni di idee che si riconnettono a questa operazione di qualificazione ri-sultano le seguenti: l’uomo libero, la cosa, il prezzo, l’inestimabile, il pubblico, ilsacro. Quando Ulpiano classifica gli interdetti e distingue, tra queste proceduremesse a punto per tutelare le cose degli uomini, quelle che riguardano le res appar-tenenti a qualcuno e quelle che hanno a oggetto res nullius, gli uomini liberi sonocollocati in quest’ultima categoria (D. 43.29.1.pr. [Ulp. 71 ad ed.] “Esibisci l’uomolibero che trattieni dolosamente”). Mediante l’interdetto ‘de homine libero exhi-bendo’ si poteva costringere chiunque detenesse fraudolosamente un uomo libero aesibirlo in iure, perché così si potesse instaurare un processo di libertà. Nessunaprocedura certa, nessuna consecratio, nessuna publicatio si poneva in essere per pro-teggere lo statuto dell’uomo libero. Si faceva esclusivamente ricorso all’espedientetecnico(-giuridico) dell’equiparazione: la libertà conquistava un fondamento altret-tanto solido di quello con il quale la città rendeva, in qualche modo, indisponibilese stessa. I Romani non coltivarono mai l’idea di comparare lo statuto d’inalienabi-lità degli esseri umani con quello delle cose naturali – il mare, i litora, l’acqua cor-rente e l’aria – che erano inappropriabili perché comuni a tutti gli uomini. Una taleequiparazione non è mai attestata prima di Gregorio di Nissa alla fine del IV secolo.Con questo Padre della Chiesa il riferimento al regime romano delle cose comunicontribuisce a fondare ‘il carattere inestimabile e senza prezzo’ della creatura umana

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res: ma, diversamente dal secondo, egli (e, dunque, la sua libertas) èindisponibile per i terzi.

Occorre riprendere il filo del nostro discorso principale, con-frontando più esplicitamente il neque naturale est di D. 45.1.83.5 conil nec enim fas est … di D. 18.1.34.1-2.

Quest’ultimo passo propone un’evidente connessione con:

D. 1.1.3 (Florent. 1 inst.) L. 1 Ut vim atque iniuriam propulsemus: namiure hoc evenit, ut quod quisque ob tutelam corporis sui fecerit, iure fe-cisse existimetur, et cum inter nos cognationem quandam natura consti-tuit, consequens est hominem homini insidiari nefas esse.

Si insiste, nel testo di Fiorentino, sull’identificazione del legamesociale con la parentela naturale50. Appare evidente il riferimento allanozione di oikeíōsis, o, meglio, alla cosiddetta oikeíōsis sociale51: que-st’ultima a differenza dell’angusta oikeíōsis pròs eautó, che ignoraogni istinto sociale, non limita l’uomo, così come gli animali, al-l’amore esclusivo verso sé stesso e i propri figli. L’uomo, al contra-rio, proprio perché è un essere razionale, supera i confini della so-cietà familiare, per stabilire un rapporto con l’intera umanità52. Esi-ste dunque, tra gli uomini, un vincolo derivante non da utilità, ma da

214 VALERIO MAROTTA

fatta a immagine di Dio (Homilia IV in Ecclesiastem 2. 7. 326, 20). Oggi siamo an-cora molto prossimi a questo modo di pensare, quando osserviamo che la libertàdell’uomo è sacra. Difatti essa è concepita come un valore troppo elevato per nongarantirla istituzionalmente, collocandola, in conseguenza, al di sopra di ogni isti-tuzione umana: si tenta, in altre parole, di inscriverla in una sfera tanto più inviola-bile quanto più elevata, sotto la protezione di un diritto universale naturale o di undiritto voluto da Dio. In tal modo – osservava Yan Thomas – pensiamo di potercitutelare contro noi stessi, dichiarando la libertà umana sottratta al nostro potere. Perquanto laicizzata, tale concezione è stata definita dal cristianesimo medievale. Que-sto meccanismo è, tuttavia, agli antipodi di quello che emerge dai testi giurispru-denziali romani. Nel diritto romano si poteva pensare che lo statuto della libertàfosse ‘sacro’ nella stessa maniera di quelle cose che un rito giuridico avrebbe potutorendere tali o che un altro rito avrebbe potuto rendere pubbliche: due riti comple-mentari, dunque, che non rinviavano in alcun modo a una disposizione divina oumana in quanto essenze, ma associavano in permanenza, come istituzioni, comestatuti, come procedure, l’appartenenza di una cosa agli dèi o alla città.

50 S. QUERZOLI, Il sapere di Fiorentino. Etica, natura e logica nelle Institutiones(Napoli 1996) 134 ss. part. Meno significativo appare questo riscontro in C. 7.3.3 (a.423) = CTh. 4.18.2.

51 Cfr. Cic. de off. 1.11.52 Cic. de fin. 3.65; de off. 1.153; Diog. L. 7.123.

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reciproca benevolenza, un vincolo che trova nell’amicizia la suaespressione più alta53. Entrambi i testi (di Paolo e di Fiorentino), orarichiamati, sanzionano ogni violazione di questa disposizione det-tata dalla natura definendola nefas, ovvero contrastante con il fas. Ènefas, o contro il fas, qualunque comportamento, violento o meno,volto non soltanto a danneggiare un proprio simile ma anche, piùsemplicemente, disponibile a considerare una sua eventuale disav-ventura. Un uomo libero non può essere considerato come unoschiavo in potenza. D’altra parte, solamente una adversa fortuna, unennesimo radicale rovesciamento della sorte può far sì che un libertosia nuovamente ridotto in schiavitù54.

La ratio decidendi, che ha determinato Paolo a percorrere un iti-nerario opposto a quello seguìto da Celso, inducendolo, in conse-guenza, a escludere la reviviscenza dell’obbligazione qualora loschiavo manomesso venga nuovamente asservito, non è certamenteravvisabile nelle parole et casum adversamque fortunam spectari ho-minis liberi neque civile neque naturale est. Dobbiamo rivolgerci,piuttosto, all’analogia riscontrabile, sulla base d’una dottrina tra-mandataci da Pomponio e dallo stesso Paolo, tra manumissio e mors.Un indizio in questo senso emerge anche dalla cura che il giuristapone nel contestare la lettura celsina del caso della navis smontata epoi ricomposta. Una nave disfatta per utilizzarne il legname ad altriscopi, se ricostruita, non sarà, in base a tale considerazione dellamens del dominus, la medesima, ma un’altra.

Sfuggono, al contrario, i motivi che hanno indotto Paolo ad ado-

Una nota su D. 45.1.83.5 (Paul. 72 ad ed.) 215

53 Cic. de fin. 3.63; 3.68. Su questi testi e quelli citati in ntt. 51 e 52 vd. V. MA-ROTTA, Iustitia, vera philosophia e natura. Una nota sulle Institutiones ulpianee, inD. MANTOVANI, A. SCHIAVONE (a cura di), Testi e problemi cit. 597 ss., ove bibl.

54 Di notevole interesse, in D. 45.1.83.5, anche l’espressione adversa fortuna.Nella ‘Cena di Trimalcione’, i commensali accordano un grande ruolo alla fortuna (oalla sors): la mala sorte conduce alla schiavitù e la fortuna all’affrancazione: Petr. Sat.71, ma cfr. anche 54-55. Nella pseudo-quintilianea decl. XIII p. 273 H. si leggono leparole taceo de servis quos bellorum iniquitas in praedam victoribus dedit, isdem le-gibus, eadem forma, eadem necessitate natos. Ex eodem caelo spiritum trahunt, necnatura vilis sed fortuna dominum dedit … «Taccio degli schiavi che l’iniquità delleguerre ha dato come preda ai vincitori, sebbene siano nati con le stesse leggi, il me-desimo aspetto, il medesimo destino; essi traggono lo spirito dal medesimo cielo enon la natura ma la sorte ha dato loro un padrone»: sul testo (e la sua traduzione) D.MANTOVANI, I giuristi, il retore e le api. Ius controversum e natura nella DeclamatioXIII, in D. MANTOVANI, A. SCHIAVONE (a cura di), Testi e problemi cit. 323 ss.

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perare nel passo trasmessoci da D. 18.1.34.1 – in luogo dell’espres-sione neque civile neque naturale est, utilizzata in D. 45.1.83.5 – leparole nec enim fas est. Mediante l’uso della locuzione predicativanefas est (nec fas), impiegata per valutare la conformità di ogniazione, di ogni comportamento alla norma religiosa, il giurista, intale circostanza, ha forse fatto riferimento a due significati contigui,ma distinti: «non è lecito»/«non è possibile»55. Qualora si accolga laseconda soluzione, Paolo avrebbe addirittura negato, in forza diqueste premesse, che si potesse concepire un atto obbligatorio (unastipulatio) corredato dalla clausola cum servus erit. Ma io propende-rei per la prima soluzione: il giurista, così facendo, avrebbe intesodefinire un’illiceità di carattere spiccatamente etico, o, meglio, etico-sociale: la contrarietà di certi affari ai principii della naturalis ratio, aimores civitatis e ai boni mores. Il discrimine etico, in questo caso,non è tanto ravvisabile nel generico sottomettersi alle leggi della na-tura (un’idea molto lontana, peraltro, dalle concezioni dei giuristiromani), quanto, piuttosto, nella cosiddetta oikeíōsis sociale, che ac-comuna uomini e dèi in un’unica comunità, e, allo stesso tempo, neivalori della civilitas e, forse, nei principii dello stesso ius civile.

55 Sul punto P. CIPRIANO, Fas e Nefas (Roma 1978) 35 ss.