liberta’ e legalita’ lavoro teatrale in piu’ quadri ...€¦ · il più corrotto dei sistemi...

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1 LIBERTA’ E LEGALITA’ LAVORO TEATRALE IN PIU’ QUADRI A cura delle classi: IV B SR, IV AFM, V CAT, III A AS Liceo I QUADRO (PREMESSA) Vengono proiettate le slide con immagini relative ai magistrati due ragazzi cantano “Pensa” di Moro: Ci sono stati uomini che hanno scritto pagine Appunti di una vita dal valore inestimabile Insostituibili perché hanno denunciato Il più corrotto dei sistemi troppo spesso ignorato Uomini o angeli mandati sulla terra per combattere una guerra Di faide e di famiglie sparse come tante biglie Su un isola di sangue che fra tante meraviglie Fra limoni e fra conchiglie... massacra figli e figlie Di una generazione costretta a non guardare A parlare a bassa voce a spegnere la luce A commentare in pace ogni pallottola nell'aria Ogni cadavere in un fosso Ci sono stati uomini che passo dopo passo Hanno lasciato un segno con coraggio e con impegno Con dedizione contro un'istituzione organizzata Cosa nostra Cosa vostra Cos'è vostro? È nostra... la libertà di dire Che gli occhi sono fatti per guardare La bocca per parlare Le orecchie ascoltano Non solo musica non solo musica La testa si gira e aggiusta la mira ragiona A volte condanna a volte perdona Semplicemente Pensa Prima di sparare Pensa Prima di dire e di giudicare prova a pensare Pensa Che puoi decidere tu Resta un attimo soltanto Un attimo di più Con la testa fra le mani Ci sono stati uomini che sono morti giovani Ma consapevoli che le loro idee Sarebbero rimaste nei secoli come parole iperbole Intatte e reali come piccoli miracoli Idee di uguaglianza idee di educazione Contro ogni uomo che eserciti oppressione Contro ogni suo simile contro chi è più debole Contro chi sotterra la coscienza nel cemento Pensa Prima di sparare Pensa Prima di dire e di giudicare prova a pensare Pensa Che puoi decidere tu Resta un attimo soltanto Un attimo di più Con la testa fra le mani Ci sono stati uomini che hanno continuato Nonostante intorno fosse tutto bruciato Perché in fondo questa vita non ha significato Se hai paura di una bomba o di un fucile puntato Gli uomini passano e passa una canzone Ma nessuno potrà fermare mai la convinzione Che la giustizia no Non è solo un'illusione Pensa Prima di sparare Pensa Prima di dire e di giudicare prova a pensare Pensa Che puoi decidere tu Resta un attimo soltanto Un attimo di più Con la testa fra le mani Pensa Pensa Che puoi decidere tu Resta un attimo soltanto Un attimo di più Con la testa fra le mani

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    LIBERTA’ E LEGALITA’

    LAVORO TEATRALE IN PIU’ QUADRI

    A cura delle classi: IV B SR, IV AFM, V CAT, III A AS Liceo

    I QUADRO (PREMESSA)

    Vengono proiettate le slide con immagini relative ai magistrati

    due ragazzi cantano “Pensa” di Moro:

    Ci sono stati uomini che hanno scritto pagine

    Appunti di una vita dal valore inestimabile

    Insostituibili perché hanno denunciato

    Il più corrotto dei sistemi troppo spesso ignorato

    Uomini o angeli mandati sulla terra per combattere

    una guerra

    Di faide e di famiglie sparse come tante biglie

    Su un isola di sangue che fra tante meraviglie

    Fra limoni e fra conchiglie... massacra figli e figlie

    Di una generazione costretta a non guardare

    A parlare a bassa voce a spegnere la luce

    A commentare in pace ogni pallottola nell'aria

    Ogni cadavere in un fosso

    Ci sono stati uomini che passo dopo passo

    Hanno lasciato un segno con coraggio e con

    impegno

    Con dedizione contro un'istituzione organizzata

    Cosa nostra

    Cosa vostra

    Cos'è vostro?

    È nostra... la libertà di dire

    Che gli occhi sono fatti per guardare

    La bocca per parlare

    Le orecchie ascoltano

    Non solo musica non solo musica

    La testa si gira e aggiusta la mira ragiona

    A volte condanna a volte perdona

    Semplicemente

    Pensa

    Prima di sparare

    Pensa

    Prima di dire e di giudicare prova a pensare

    Pensa

    Che puoi decidere tu

    Resta un attimo soltanto

    Un attimo di più

    Con la testa fra le mani

    Ci sono stati uomini che sono morti giovani

    Ma consapevoli che le loro idee

    Sarebbero rimaste nei secoli come parole iperbole

    Intatte e reali come piccoli miracoli

    Idee di uguaglianza idee di educazione

    Contro ogni uomo che eserciti oppressione

    Contro ogni suo simile contro chi è più debole

    Contro chi sotterra la coscienza nel cemento

    Pensa

    Prima di sparare

    Pensa

    Prima di dire e di giudicare prova a pensare

    Pensa

    Che puoi decidere tu

    Resta un attimo soltanto

    Un attimo di più

    Con la testa fra le mani

    Ci sono stati uomini che hanno continuato

    Nonostante intorno fosse tutto bruciato

    Perché in fondo questa vita non ha significato

    Se hai paura di una bomba o di un fucile puntato

    Gli uomini passano e passa una canzone

    Ma nessuno potrà fermare mai la convinzione

    Che la giustizia no

    Non è solo un'illusione

    Pensa

    Prima di sparare

    Pensa

    Prima di dire e di giudicare prova a pensare

    Pensa

    Che puoi decidere tu

    Resta un attimo soltanto

    Un attimo di più

    Con la testa fra le mani

    Pensa

    Pensa

    Che puoi decidere tu

    Resta un attimo soltanto

    Un attimo di più

    Con la testa fra le mani

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    II QUADRO

    (Intervallo scolastico. I ragazzi entrano in scena in ordine sparso. Parlano tra loro,

    emerge il problema della libertà. Hanno la sensazione di non essere liberi in varie

    situazioni: a scuola ci sono delle costrizioni, a casa i genitori impongono attività e

    orari restrittivi, le fidanzate/i impongono tempi e scadenze fastidiosi. Inoltre a volte

    i cellulari si rompono e creano improvvisamente delle limitazioni fortissime!)

    BRISELDA – Ma che cavolo!! Ma non è possibile studiare 50 pagine per domani!! Ho anche

    una vita sociale, ho degli impegni... IO! CIVITELLI – Ma guarda che avresti dovuto studiare volta per volta! Io per esempio, sapendo

    che dovevo uscire con il mio tipo, mi sono organizzata e ho già studiato tutto... TONDO – Eh sì, non ci credo neanche... tu studi volta per volta?? Ma cosa dici?? Tutti – (mormorano, danno ragione alle loro compagne) BEVACQUA – E’ difficile organizzare il tempo, molte cose ci vengono imposte e poi non rimane

    più tempo per le cose che ci piacciono, non è giusto, uffa....non pretendo che gli altri facciano i

    miei comodi, ma un minimo.... TONDO – ecco appunto... giusto (mormorio di approvazione)

    CIVITELLI - Vabbeh, parlate pure di questo, per me non è certo questo il problema pricipale.

    Vogliamo parlare dei nostri genitori?? Sempre prediche... e il telefono, e le uscite, e quando

    ritorni, e dove vai, e con chi sei, e cosa fai... URECHE - ...e perchè lo fai, e non rispondi mai al cellulare, e non studi, e non mi aiuti mai... TONDO- .. e alla tua età io già ero sposato, avevo tre figli, badavo alla casa.... MIDHA- .. e ai fratelli, e alla nonna malata, poi lavoravo dodici ore al giorno.... Tutti - ..Che scatole!!!! Basta!! BEVACQUA - Già sì, basta, basta infierire su di noi, basta costrizioni, vogliamo più libertà, i

    tempi sono cambiati!! Tutti – Sì giusto, più libertà per tutti! BRISELDA – Noo, raga, sto impazzendo!! Mi si è rotto il cellulare, come faccio? Avevo tutto

    lì... come faccio a parlare con mia mamma ora?? E gli orari dei treni? Nooo, come faccio a

    tornare a casa?? Dovevo anche avvisare la mia amica... Sono disperata, non posso più fare

    niente. Basta, sono paralizzata, come un carcerato dietro le sbarre... senza più libertà… MIDHA – Ma senti, lascia stare che i problemi sono altri. Magari perdessi io il cellulare! C’è il

    mio tipo che continua a mandarmi messaggi, gli devo dire sempre dove sono, con chi sono,

    con chi sto parlando e di cosa.... Mi sembra di stare al muro davanti alla mitragliata delle sue

    domande!!! Ma si può vivere così?? BEVACQUA - Visto? È ora di dire basta con queste costrizioni! Propongo una ribellione di

    massa! Da oggi si fa come diciamo noi! Vogliamo essere liberi!!......

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    I ragazzi cantano la canzone di Gaber “La libertà” in due cori

    Vorrei essere libero

    libero come un uomo

    Come un uomo appena nato

    che ha di fronte solamente

    la natura

    che cammina dentro un bosco

    con la gioia di inseguire

    un’avventura

    Sempre libero e vitale

    fa l’amore come fosse

    un animale

    incosciente come un uomo

    compiaciuto della propria libertà

    La libertà

    non è star sopra un albero

    non è neanche il volo di un moscone

    la libertà non è uno spazio libero

    libertà è partecipazione

    Vorrei essere libero libero come un uomo

    Come un uomo che ha bisogno

    di spaziare con la propria fantasia

    e che trova questo spazio

    solamente nella sua democrazia

    Che ha il diritto di votare

    e che passa la sua vita a delegare

    e nel farsi comandare

    ha trovato la sua nuova libertà

    La libertà

    non è star sopra un albero

    non è neanche avere un’opinione

    la libertà non è uno spazio libero

    libertà è partecipazione

    Vorrei essere libero libero come un uomo

    Come l’uomo più evoluto che si innalza

    con la propria intelligenza

    e che sfida la natura con la forza

    incontrastata della scienza

    Con addosso l’entusiasmo di spaziare

    senza limiti nel cosmo

    è convinto che la forza del pensiero

    sia la sola libertà

    La libertà non è star sopra un albero

    non è neanche un gesto un’invenzione

    la libertà non è uno spazio libero

    libertà è partecipazione

    III QUADRO

    Si abbassano le luci. La musica inizia, i ragazzi escono. Entra un personaggio.

    1. Angelo Ansaldi – Primula rossa

    vengono proiettate immagini relative al partigiano

    Sono nato a Varzi ( Pavia ) il 2 agosto 1921 e morto a Segrate ( Milano ) il 10 agosto 1967.

    Appartenevo a una famiglia modesta e lavoravo nel mio paese come manovale. Mi ribellai allo

    strapotere, all’ingiustizia sociale e alla guerra in cui ci aveva trascinato il fascismo, formando,

    nel maggio 1944, una banda armata composta da giovani della mia zona. Rifiutai sempre di

    essere etichettato politicamente e di rientrare in un’inquadratura di partito: eravamo ribelli e

    autonomi. Nell’agosto 1944, durante il rastrellamento tedesco estivo, venne ucciso il giovane

    carabiniere Nando Dellagiovanna , mio grande amico e sempre al mio fianco fin dai primi

    giorni: fu per me un cocente dolore. Il mio nome di battaglia divenne PRIMULA ROSSA, come l’eroe francese immortalato nei

    romanzi dell’Ottocento, che combatteva il terrore dei giacobini dopo la rivoluzione francese e

    che sfuggiva ad ogni cattura. Infatti ero velocissimo nell’azione e sfuggivo alla cattura sfidando

    il pericolo. Nel giugno del 1944 disarmai il presidio fascista di San Sebastiano in val Curone, procurando

    armi e munizioni alla mia banda.

    In seguito i capi del CLN dell’Oltrepo mi convinsero ad entrare nella Resistenza ufficiale dei vari

    gruppi partigiani della zona. Accettai e divenni così il comandante della brigata garibaldina

    CAPETTINI.

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    Disarmato il presidio fascista di Cabella Ligure, fummo vittoriosi nella battaglia dell’Aronchio

    presso Varzi, combattuta insieme all’Americano e alle formazioni di “Giustizia e Libertà “. A Dego, il 10 agosto 1944 mettemmo in fuga la famigerata SICHERHEITS, che fu costretta a

    ripiegare su Varzi. Presa Pietragavina il 13 agosto 44, preparammo la liberazione di Varzi. Fu

    mia l’idea ed era un’idea che piaceva poco ai capi politici del CLN di zona. Ma io volevo liberare

    il mio paese e mi buttai nell’impresa come Garibaldi. Gli Alpini fascisti erano ormai allo stremo delle forze rifugiati nella palestra delle scuole

    elementari in via Rosara. La battaglia di Varzi fu aspra e cruenta. Vennero in nostro aiuto le

    formazioni partigiane vicine. Poco più in alto, vicino alla salita verso Rosara, mori il giovane

    ENZO TOGNI di Broni. Gli alpini alla fine si arresero e molti di loro passarono dalla nostra

    parte: divennero partigiani.

    Varzi liberata diventò un simbolo di riscossa per quanti aspettavano la caduta definitiva del

    fascismo la sconfitta dei tedeschi: si diede un ordinamento democratico con l’elezione di una

    giunta, che elaborò una vera e propria Costituzione. Ero fiero e orgoglioso di aver liberato Varzi e poco mi toccavano le accuse di intemperanza e di

    decisionismo individuale.

    I tedeschi risposero con un ferocissimo rastrellamento su tutta la valle Stàffora e i suoi monti,

    seminando terrore, incendi, violenze e morte tra la gente. Fu un inverno terribile. Noi partigiani

    salimmo in montagna.

    La guerra non finiva e Varzi era stata ripresa dai fascisti. Ma l’esperienza della repubblica

    continuo poi alcuni mesi dopo . Il 17 gennaio 1945 caddi nella feroce imboscata nazifascista

    presso Bralello. Ferito ad una gamba mentre fuggivo sugli sci nella neve, feci in tempo a nascondere in una

    buca i preziosi documenti della mia compagnia. Fui fatto prigioniero e portato a Voghera,

    quindi all’ospedale di Alessandria mi venne amputata la gamba sinistra. Un mese dopo, liberato tramite una trattativa di scambio di prigionieri, tornai, pesantemente

    menomato nell’animo e nel fisico, alla guida della mia CAPETTINI, che mi diede il coraggio e la

    forza di ritrovare me stesso, di reagire e di riprendere a combattere con nuovo coraggio e

    grande determinazione, appoggiato alla mia stampella. Fui molto amato dalla Varzi popolare e democratica, come disse il responsabile della missione

    americana Roanoke: “Ansaldi è il comandante più amato dalla sua gente” e come testimonierà

    nel suo diario Don Rino Cristiani, parroco di Nivione e comandante partigiano. Dopo la liberazione, lontano da onori e oneri, invalido e deluso dalla solitudine in cui ero

    isolato, tornai alla mia vita familiare e di umili lavori.

    Pochi giorni prima di morire, precocemente colpito da malattia a 46 anni, chiamai al mio

    capezzale Enrica, la mia figlia più grande allora tredicenne. Le consegnai la bandiera della

    brigata Capettini, lacera e strappata, che ora si trova al Museo di Voghera. E le dissi queste

    parole: “Conservala sempre, perché per questa bandiera e per la libertà d’Italia ha combattuto

    anche tuo padre, Angelo Ansaldi, Primula Rossa “.

    (musica – l’attore esce, entra un altro personaggio)

    2. Franco Antonicelli

    Recitato, Quinti

    I partigiani del nostro territorio sono stati molti, ma oggi voglio raccontarvi la mia storia. Ho

    operato lontano dalla mia città, senza per questo tagliare il cordone ombelicale che mi lega ai

    luoghi dove sono nato.

    Mi chiamo Franco Antonicelli. Sono nato a Voghera il 15 novembre 1902. Sono stato, prima di

    tutto, un insegnante, poi un poeta, ma soprattutto un antifascista. Se andate a cercarmi sul sito

    dell’ANPI troverete un ricordo di me, anche se sono più di quarant’anni che sono scomparso.

    Nel 1943, nei giorni dell’armistizio, ho tentato una difesa di Torino dalle truppe tedesche,

    pubblicando un articolo che invitava la popolazione a combattere sulla “Stampa”, il giornale di

    Torino. Sono scappato poi a Roma, dove ho organizzato la Resistenza, ma il 6 novembre sono

    stato arrestato, perché lavoravo a un giornale clandestino chiamato “Risorgimento Liberale”. Mi

    hanno scarcerato solo nell'aprile del 1944.

    Allora sono tornato nel Nord, dove ho rappresentato il Partito Liberale all'interno del CLN

    piemontese. Se non lo sapete, il CLN era un gruppo di persone che combattevano contro il

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    fascismo, a cui partecipavano tutti i partiti, dai liberali ai democristiani, dai socialisti ai comunisti.

    I miei nomi di battaglia erano Ranieri, Soler e Ansaldi. Alla vigilia del 25 aprile, Antonicelli sono

    diventato addirittura il presidente del CLN.

    Dopo la liberazione non ho interrotto la lotta antifascista. Ho diretto il quotidiano liberale

    “L'Opinione”, per cui avevo lavorato dal 1944 al 1945. “L'Opinione” fu un giornale che riprese le

    proprie pubblicazioni nel '44 venendo considerato come giornale clandestino in quanto trattava

    di argomenti contrari al fascismo.

    Ma forse è meglio far raccontare la mia storia da altri… Da ragazzi che hanno la vostra età…

    Proiezione del video realizzato dagli alunni, in cui si racconta la storia di Antonicelli

    giovane dal 1929 al 1940 (durata di circa 4 minuti)

    Lettura della poesia A un compagno di Corrado Alvaro, trovata fra le carte di Antonicelli con data 1944.

    (recitato, Castelli & Ricotti)

    A UN COMPAGNO

    Se dovrai scrivere alla mia casa,

    Dio salvi mia madre e mio padre,

    la tua lettera sarà creduta

    mia e sarà benvenuta.

    Così la morte entrerà

    e il fratellino la festeggerà.

    Non dire alla povera mamma

    che io sia morto solo.

    Dille che il suo figliolo

    più grande, è morto con tanta

    carne cristiana intorno.

    Se dovrai scrivere alla mia casa,

    Dio salvi mia madre e mio padre,

    non vorranno sapere

    se sono morto da forte.

    Vorranno saper se la morte

    sia scesa improvvisamente.

    Di’ loro che la mia fronte

    è stata bruciata là dove

    mi baciavano, e che fu lieve

    il colpo, che mi parve fosse

    il bacio di tutte le sere.

    Di’ loro che avevo goduto

    tanto prima di partire,

    che non c’era segreto sconosciuto

    che mi restasse a scoprire;

    che avevo bevuto, bevuto

    tanta acqua limpida, tanta,

    e che avevo mangiato con letizia,

    che andavo incontro al mio fato

    quasi a cogliere una primizia

    per addolcire il palato.

    Di’ loro che c’era gran sole

    pel campo, e tanto grano

    che mi pareva il mio piano;

    che c’era tante cicale

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    che cantavano; e a mezzo giorno

    pareva che noi stessimo a falciare,

    con gioia, gli uomini intorno.

    Di’ loro che dopo la morte

    è passato un gran carro

    tutto quanto per me;

    che un uomo, alzando il mio forte

    petto, avea detto: Non c’è

    uomo più bello preso dalla morte.

    Che mi seppellirono con tanta

    tanta carne di madri in compagnia

    sotto un bosco d’ulivi

    che non intristiscono mai;

    che c’è vicina una via

    ove passano i vivi

    cantando con allegria.

    Se dovrai scrivere alla mia casa,

    Dio salvi mia madre e mio padre,

    la tua lettera sarà creduta

    mia e sarà benvenuta.

    Così la morte entrerà

    e il fratellino la festeggerà

    Queste sono le parole del poeta Corrado Alvaro, che Antonicelli conserva, fra le sue carte, nel

    1944.

    (musica – il personaggio esce, entra un altro personaggio)

    3. mamma Togni Viene proiettata la fotografia di Mamma Togni

    Costanza: “Mamma, mamma, se io non torno, tu resti coi compagni finché finisce, tu resti con

    loro”

    “Sì, caro, io resto”.

    E come facevo a lasciarli, io facevo l’infermiera, ero diplomata, senza vantarmi io ero brava.

    Avevo da curare fino a cinquanta feriti nella mia infermeria.

    Mi ricordo quando c’è stato il rastrellamento dei mongoli… volevano che io me la squagliavo in

    ospedale… che m’avevano trovato un posto, ma io, ma piuttosto crepare… mi son presa i miei

    trentadue ragazzi e pasin pasin… quello zoppo s’aiutava con quello con l’occhio tappato, quello

    con la ferita alla pancia lo portavano in barella due che erano feriti di striscio alla testa… sem-

    bravamo una carovana dei disperati, ma andavamo avanti e con me si sono salvati, li ho sal-

    vati tutti. Il guaio era il trovare da mangiare, mangiare per trentadue e ogni giorno… io li siste-

    mavo in una cascina o sotto un ponte e poi andavo alla cerca. Casa per casa. E dappertutto ‘sti

    contadini, ‘sti montanari, con tutto che non avevano quasi più niente, si tiravano via la roba

    dalla bocca per aiutarci… stracciavano le lenzuola per darmi delle bende per i feriti… lenzuola

    belle, addirittura di lino! Invece capitava che magari andavo a chiedere in qualche famiglia di

    sfollati, gente benestante, dentro le villette e quelli dicevano: “No, non possiamo dare niente”

    E allora io tiravo fuori di botto la mia pistola P 38 quindici colpi e gliela picchiavo sotto il naso e

    gridavo: “visto che sei così taccagno allora sputa fuori tutto quello che ti chiedo se no ti am-

    mazzo, o pidocchio”.

    Sì, ho fatto anche delle rapine per salvare quei ragazzi, i miei ragazzi, c’è qualcosa da dire? E

    lo farei ancora oggi. I miei ragazzi… ero la loro mamma… mamma Togni, guai a chi toccava

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    mamma Togni. L’americano, il comandante, diceva: “A mamma Togni non si dice mai di no!” E

    tutti mi ubbidivano.

    Quando quel giorno di primavera del ’44 mio figlio era andato giù che dovevano prendere la

    caserma dei briganti neri, dopo un’ora vedo tornare il Ciro, bianco che mi dice: “L’hanno ferito,

    tuo figlio è ferito”

    “Fermo lì, guardami Ciro, io non piango, non grido, guardami, io non piango… E’ morto, vero?

    Lo so che è morto”

    “Sì”.

    Me l’hanno portato su in braccio, in due. Mi son messa seduta e me l’hanno messo sulle ginoc-

    chia, aveva un buco piccolo sul collo. I compagni me l’hanno portato via… l’hanno portato sotto

    il portico, io sono andata dentro nello stanzone dove c’erano tutti i miei ragazzi feriti e gli ho

    detto: “Fieuj, ragazzi, il mio figlio è morto, adesso non ho più nessuno… adesso siete voi che

    mi chiamerete mamma… adesso sono la vostra mamma”.

    Ghè stà un gran silenzio e po’: “Mamma, mamma – si son messi a gridare tutti – mamma”.

    E adesso per tutti sono rimasta Mamma Togni.

    (musica – il personaggio rientra dietro le quinte – entra un altro personaggio)

    4 . RENATO CODARA

    vengono proiettate immagini relative al partigiano mentre cinque ragazzi che entrano

    espongono vita ed eventi relativi al personaggio

    BREGA – MIDHA – URECHE – CALATRONI - DELMONTE

    BREGA - Mi chiamo Renato Codara sono nato il 18 luglio del 1922, mio papà si chiamava

    Ferdinando ed era un pensionato invalido delle Ferrovie dello Stato.. Ho prestato servizio

    militare nella regia arenautica, ma l’otto settembre 1943 con la dichiarazione d'armistizio mi

    trovai fuggiasco e sbandato, come altri giovani miei coscritti.

    Durante questo periodo di sbandamento, in un clima caotico e in un’Italia senza più certezze,

    trovai un lavoro presso il signor Guido Vigoni; andavo con altri contadini a falciare l'erba del

    sottobosco che poi veniva messo in cascina per foraggiare il bestiame bovino. La mia paga era

    solo di 100 lire al giorno. Nei boschi dove operavo non c'era pericolo di brutti incontri, cioè i

    fascisti, quindi si poteva lavorare in sicurezza e in tranquillità.

    MIDHA - Ad un certo punto ci fu la chiamata alle armi delle nostre classi ed il signor Guido ci

    disse che non poteva più darci lavoro, era troppo pericoloso perché si minacciavano sanzioni

    durissime per i disertori e per i cittadini che li avessero aiutati. Ero triste per aver perso il

    lavoro e non volendo essere un peso per la mia numerosa famiglia cercai un'altra occupazione,

    ma in quel periodo il lavoro scarseggiava. Però dall'altra parte mi rifiutavo di prestare servizio

    nell'esercito "repubblichino". Decisi, quindi, di fuggire in montagna, era una decisione che

    avevo maturato dopo averne parlato con i miei genitori i quali con tanta tristezza mi diedero la

    loro approvazione.

    Dopo essere partito per l'Oltrepo', trovai Stefano Bolduri che con il suo traghetto mi portò a

    Portalbera. A piedi, cercando di evitare i centri abitati, aggirai Stradella e arrivai a Santa Maria

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    Della Versa e qui alcune brave persone mi fecero passare il posto di blocco e mi

    accompagnarono a Sovranco a piedi. Fui aggregato a un Plotone comandato da un giovane di

    Nibbiano. Rimasi lì circa due mesi, fino a quando iniziò l'offensiva fascista che portò le truppe

    "repubblichine" a Santa Maria Della Versa.

    URECHE- Io appartenevo all'87^ Brigata Garibaldi della divisione "Aliotta". La vita del

    partigiano era dura, si era sempre in movimento, ci si muoveva a piedi. Si scendeva dalla

    montagna durante la notte per essere sul posto di primo mattino per tendere gli agguati a

    piccoli gruppi di fascisti e tedeschi che passavano sulla via Emilia.

    Partecipai con il mio reparto alle battaglie per la presa di Pietragavina e Varzi ed a quella di

    "costa pelata" che rappresentò una svolta nella guerra partigiana. Terribile fu l'inverno del

    1944-1945, iniziarono in tutto l'Oltrepò e nelle zone vicine i massicci rastrellamenti di nazi-

    fascisti che commisero azioni atroci distruggendo, incendiando e fucilando anche intere

    frazioni.

    La mia brigata, sfuggendo all'accerchiamento, si portò nella zona di Novi Ligure. Ricevemmo in

    seguito l'ordine di tornare a piccoli gruppi nei posti di partenza. Cosi tornai a Valverde, che era

    occupata dai fascisti, con me c'era il figlio del sepellitore del posto, il quale scavando una buca

    nel cimitero ci trovò un rifugio e lì rimanemmo nascosti, coperti dalla neve per alcuni giorni.

    CALATRONI - Con l'arrivo della primavera si facevano sempre più evidenti i segni di debolezza

    dei fascisti che si ritiravano pian piano verso la valle del Po. Noi eravamo sempre più con il

    morale alto perchè ci dava molto coraggio e fiducia sapere che presto ci sarebbe stata la

    "insurrezione generale" proclamata dal comitato di liberazione nazionale e la battaglia decisiva

    per la liberazione dell'Italia. Partimmo il 24 aprile alla volta di Pietragavina per liberare Voghera

    e ci riuscimmo.

    Mi ricordo che nella cantina della villa del segretario del fascio di questa città trovammo un

    baule pieno di fedi d'oro. Portammo tutto in Comune e le consegnammo alle autorità locali. Il

    giorno dopo nel castello visconteo di Pavia incontrai Maria, la donna che abitava vicino alla mia

    famiglia e la pregai di andare a salutare i miei, di dire loro che stavo bene e che appena mi

    fosse stato possibile sarei tornato a casa, però ancora non potevo perchè il mio reparto era in

    partenza per Milano dove ancora si combatteva.

    DELMONTE - Arrivai a Milano in tarda sera e fummo alloggiati nelle scuole di Viale Romagna,

    piene di prigionieri tedeschi terrorizzati dal fatto che i partigiani li fucilassero!

    Il giorno dopo mi scelsero con undici miei compagni per formare una scorta. I miei coman-

    danti, il conte Luchino Dal Verme, Italo Pietra, Paolo Murialdi, mi informarono solo molto som-

    mariamente della natura della missione. Che era segretissima. Non mi è mai piaciuto parlare di questa missione, era così delicata, così grave, così urgente,

    difficile e piena di rischi e di incognite… ma poi ho capito che dovevamo, dovevamo compierla,

    a noi sarebbe spettato di scrivere, nel bene o nel male, la prima vera pagina di storia dell’Italia

    che stava nascendo, grazie al sacrificio e alla volontà partigiana. Andammo a Dongo, sulle rive del lago di Como dove i partigiani garibaldini della zona avevano

    fermato e arrestato il duce e i suoi pretoriani. Dovevamo chiudere i conti con Mussolini e gli ultimi gerarchi della repubblica di Salò che gli

    erano rimasti fedeli. E li chiudemmo. (Rumore forte di spari)

    Certe volte mi domando se ne è valsa la pena di fare quello che abbiamo fatto! Ma non bisogna

    dimenticare, solo così si continua a sperare, pensando al futuro, ai giovani ai quali cerchiamo

    di trasmettere i valori dell'antifascismo.

  • 9

    Uno dei miei ultimi desideri è stato avere sulla mia tomba una sola scritta "PARTIGIANO."

    Quell'esperienza ha segnato la mia vita, in quel nome e in quei valori, sentivo di potermi

    riconoscere.

    (musica – il personaggio rientra dietro le quinte – entra un altro personaggio)

    5. Cesare Pozzi – Fusco

    Viene proiettata la fotografia di Fusco

    Mi chiamo Cesare Pozzi, sono nato nel 1914, ho passato la mia infanzia e la mia giovinezza a

    Montù Beccaria. Il 18 aprile del ‘44 la Repubblica Sociale Italiana espose, sotto l’Albo pre-

    torio di Montù, chiamato comunemente dai montuesi “il Portichetto”, il bando di chiamata alle

    armi della classe 1914. A rispondere alla chiamata non ci pensavo neanche e volli dare al mio

    rifiuto un senso di netta ribellione e di spregiudicata propaganda. Pregai Paolo Montemartini,

    nipote del Senatore, di fare una fotografia con me sotto al Portichetto, dove, additando il mani-

    festo della mia chiamata alle armi, lo avrei irriso con una sghignazzata. E così fu, il mio rifiuto

    fu immortalato.

    Però, poiché il giorno dopo sarei diventato un renitente alla leva, la sera del 18 col mio zaino in

    spalla, coperte e qualcosa di indispensabile, lasciai qualche amico che mi aveva accompagnato

    sino al Cantinone e, salita la rupe fino a Casa Bernardini dove mi attendevano mio fratello Ma-

    rio, Albino e “Sangue di gatto” insieme andammo al Novello, un casino di campagna nella valle

    che guarda Casa Barbieri.

    Eravamo entrati in clandestinità. Da allora sono diventato Fusco, il leggendario comandante

    della Brigata Matteotti, con i miei uomini ho dato filo da torcere a tutti, fascisti e tedeschi, e ho

    avuto l’onore e la gioia di liberare Stradella il 26 aprile 1945.

    Dopo la guerra ne ho viste e ne ho sentite di tutti i colori sulla Resistenza: verità, bugie, criti-

    che, elogi...

    Una cosa ho capito: che la Resistenza è stata un meraviglioso momento del Popolo italiano!

    Siatene orgogliosi!

    Si dice che la libertà l'abbiano portata gli alleati... sì, ci han dato una mano... ma non qui!

    Nell'Italia del Nord gli alleati sono arrivati "invadendo" le città con quelle... Jeep... e i fucili nei

    bagagliai... l'Italia era libera!

    Poi c'è un dato di fatto: nell'Italia del Nord, durante la Resistenza, ci siamo scontrati varie volte

    con i tedeschi.

    A guerra finita i tedeschi hanno rastrellato tutti i loro morti dell'Italia del Nord facendo un fune-

    rale a Costermano, sul lago di Garda.

    Là c'è un cimitero militare tedesco che ha ventiduemila morti! ...che non sono morti di polmo-

    nite!

    E ora, miei cari, un saluto... un saluto affettuoso, cordiale... ricordatevi: io sarò sempre il vo-

    stro Fusco.»

    (musica – il personaggio rientra dietro le quinte – entra un altro personaggio)

    https://it.wikipedia.org/wiki/Repubblica_Sociale_Italianahttps://it.wikipedia.org/wiki/Albo_pretoriohttps://it.wikipedia.org/wiki/Albo_pretoriohttps://it.wikipedia.org/wiki/Utility_truck_¼_t_4x4_Jeephttps://it.wikipedia.org/wiki/Cimitero_tedesco_di_Costermano

  • 10

    1. LUCHINO DAL VERME

    vengono proiettate immagini relative al partigiano mentre sei ragazzi che entrano espogono

    vita ed eventi relativi al personaggio

    GRAMEGNA – FIORINO – GINGILLO – SLEVOACA – BODURRI - FAZARI

    GRAMEGNA – Sono Luchino dal Verme, ho 103 anni e sono libero. Durante la mia vita non ho

    avuto la possibilità di esserlo, per lo meno quando sono stato giovane. Sono nato in una famiglia

    aristocratica, molto agiata, avrei potuto continuare a vivere in quella realtà, ma decisi di seguire

    i miei ideali e combattere per la libertà. La mia fiducia venne tradita l’8 settembre da chi avrebbe

    dovuto guidarci e proteggerci, ma in realtà ha lasciato allo sbaraglio il nostro paese.

    FIORINO - Erano tutti scappati, persino i capistazione e i Podestà che erano diventati fascisti,

    tutto era travolto nel fango: il re, il giuramento verso di lui, la parola “dovere” era crollata, era

    nata al suo posto la parola “coscienza” con la quale rispondi dei tuoi atti verso te stesso,

    mentre il dovere è verso gli altri, verso lo Stato. Riunii I miei uomini, comprai una risma di carta bianca su cui scrissi " ha servito con onore il

    suo paese". la consegnai loro, riconoscendo il loro servizio fatto a quei bastardi.

    GINGILLO -Tornai a casa quando era buio. Sono andato dalla mamma e le ho detto “mamma

    non so più qual è il mio dovere” lei mi ha detto “non sei solo, la tua situazione è la nostra e di

    tutti i ragazzi che sono passati di qui”.

    Un prete mi disse ” Ma tu credi alla vita, credi che un altro uomo sia anche lui una creatura e

    cerchi sempre di capire l'altro chi sia? Ecco, il passo immediatamente successivo è la libertà.

    Allora, hai paura di batterti per la libertà di un altro uomo? hai il dovere di batterti”.

    Allora sono andato dalla mia mamma e le ho detto “sono a posto, io mi batto per la libertà di

    un altro uomo”.

    SLEVOACA . Quando mi chiedono se ne valeva la pena io rispondo “non c'è dubbio bisognava,

    non si poteva non fare. E’ nato un bisogno di verità dopo l' 8 settembre Decisi perciò di stravolgere la mia vita e presi parte alla Resistenza. Ho guidato tante persone

    che come me perseguivano il sogno della libertà. Uomini e donne legati per lottare, con

    l’obiettivo di raggiungere una società più giusta. Non eravamo ancora in grado di ribellarci, ma

    ad un certo punto bisogna smettere di scappare e farlo veramente.

    BODURRI - Mi domando spesso ma il nostro paese meritava tutto questo ? ho visto tante

    vedove, io ho visto morire tanti soldati. Non è vero che morivano con il sorriso sulle labbra

    morivano chiamando la loro mamma. C’era un grande valore della famiglia, stavamo delle ore

    qui nel bosco durante le imboscate a parlare, e di che cosa si parlava? della famiglia, della

    casa. Sono stato ricevuto di notte in tante di queste case gente che si è alzata e mi diceva “venga lei

    non ne può più abbiamo preparato un letto per lei”. non era vero qualcuno di loro si era alzato

    perché era ancora caldo per farmi dormire una notte nel loro letto. Voleva dire rischiare di farsi

    bruciare la casa. In questo gli italiani sono eccezionali.

    FAZARI - Il 25 aprile ero a Milano, fucilate da ogni parte e mi sono detto “no ora è finita non

    voglio più morire” e sono venuto qui nell’Oltrepò e qui l’ 8 maggio abbiamo fatto una grande

    festa. Il paese è venuto fuori da questo vuoto totale di istituzioni, vuol dire che questo è possibile.

    Questa è la speranza che vedo: l'Italia ce la può fare malgrado tutto ciò. E voi giovani non

    avete il diritto ma il dovere di ribellarvi per la libertà

    escono

  • 11

    IV QUADRO

    Entrano dei ragazzi

    MICHELA – RAMONA – TONDO – SLEVOACA

    MICHELA – caspita, che eroi! Certo che hanno vissuto in un momento storico davvero difficile RAMONA – Sì, la guerra è sempre brutta, ma questi partigiani l’hanno vissuta anche con

    grandi disagi… però nello stesso tempo pensa che entusiasmo quando sai che stai lottando per

    la libertà tua e del tuo popolo! Io mi sentirei davvero grande! TONDO – Sì, perché sei qui, nel 2018 e spaparanzata là… secondo me è difficile mettersi oggi

    nei loro panni. SLEVOACA – non so, io cosa avrei fatto se fossi stato in loro? Boh, forse sarei scappato… RAMONA – Ma non hai sentito? Mica potevi scappare e basta. Se ti prendevano ti fucilavano! MICHELA – difficile da capire veramente. Oggi se ti privassero della libertà, ci sarebbe

    qualcuno pronto a difenderti...puoi contare sui Carabinieri, la Polizia.. TONDO- al giorno d'oggi se ti succede qualcosa sai che puoi risolverla contando sulle

    istituzioni.. MICHELA - infatti, ora siamo una Repubblica, abbiamo una Costituzione che ci tutela, non può

    più accadere tutto questo RAMONA- si, vabbeh, però c'è ancora tanto da fare. C'è gente che non rispetta le leggi e la

    libertà degli altri per avere più potere, più denaro, per essere più temuti… SLEVOACA- .. e per raggiungere tutto questo sono pronti a fare del male, molto male agli

    altri...

    V QUADRO

    Si abbassano le luci. La musica si fa cupa, i ragazzi escono. Entra un personaggio per

    volta e presenta la sua vita:

    1. Carlo Alberto Dalla Chiesa

    vengono proiettate immagini relative al personaggio. Un ragazzo espone vita ed eventi relativi

    al personaggio

    Sono nato a Saluzzo il 27 settembre 1920, sono morto a Palermo il 3 settembre 1982.

    Fui generale e prefetto italiano.

    Figlio di un generale, entrai nell'arma dei carabinieri durante la seconda guerra mondiale e

    partecipai alla Resistenza.

    Nel dopoguerra partecipai alla lotta al banditismo in Campania e in Sicilia.

    Dopo un periodo trascorso a Firenze, Como, Roma e Milano, tra il 1966 e il 1973 fui di nuovo in

    Sicilia come colonnello comandante della Legione Carabinieri di Palermo e cominciai le indagini

    su Cosa Nostra.

    Tornato al nord come generale di brigata dal 1973 al 1977 fui protagonista nella lotta contro le

    Brigate Rosse. Erano gli anni della “strategia della tensione”, iniziata nel 1969 con l'autunno

  • 12

    caldo delle lotte sindacali e la strage di Piazza Fontana a Milano il 12 dicembre dello stesso

    anno.

    Bombe e attentati si susseguivano in ogni dove, soprattutto nel Nord del nostro paese stazioni

    e città principali erano bersagliate.

    Si formarono nuclei eversivi violenti, che si diedero il nome di Brigate Rosse. Le loro azioni

    terroristiche culminarono nel 1978 con il sequestro del ministro Aldo Moro e l'uccisione della

    sua scorta il 16 marzo, alla vigilia della firma del primo governo DC/PCI, i due magiori partiti

    italiani che avevano stipulato un accordo importante per la governabilità e le riforme

    nell'interesse del nostro paese.

    Così nel 1978 mi furono attribuiti poteri speciali come coordinatore delle forze di polizia e dei

    massimi agenti informativi.

    Voi capite che con questi incarichi la mia esposizione era indiscutibilmente totale e metteva in

    pericolo la mia stessa vita.

    Ma riuscimmo a sconfiggere il terrorismo, nei confronti del quale l'allora presidente della

    Repubblica Sandro Pertini, grande comandante partigiano, adottò una linea dura, ferma,

    intransigente.

    Dopo il successo ottenuto nella lotta contro il terrorismo, il governo italiano mi nominò prefetto

    di Palermo, affidando a me il compito e la speranza di debellare il potere mafioso in Sicilia.

    Pochi mesi dopo, durante i quali avevo cominciato a toccare con mano i gangli e le persone più

    pericolose e potenti, venni ucciso in un attentato con mia moglie Emanuela Setti Carraro e il

    mio agente di scorta Domenico Russo.

    I resti dell'auto su cui viaggiavo, completamente distrutta e accartocciata, potete vederli di

    persona al Museo storico di Voghera.

    Lo sapevo, sarebbe finita così, ero poco protetto e solo a combattere contro un mostro... la

    mafia è cauta, lenta, ti misura, ti ascolta, ti verifica alla lontana...

    Per i tre omicidi furono condannati all'ergastolo, come mandanti, i vertici di Cosa Nostra:

    Totò Riina

    Bernardo Provenzano

    Michele Greco

    Pippo Calò

    Bernardo Brusca

    Nenè Geraci

    Nel 2002 vennero condannati in primo grado gli esecutori materiali dell'attentato.

    Voce fuori campo - Sul luogo della strage, all'indomani dell'omicidio di Carlo Alberto Dalla

    Chiesa apparve una frase: “Qui è morta la speranza dei palermitani onesti”

    (musica – il personaggio rientra dietro le quinte – entra un altro personaggio)

    3. Rocco Chinnici

    Christian Lanzillotta

    vengono proiettate immagini relative al personaggio mentre un ragazzo espone vita ed eventi

    relativi al personaggio

    Sono stato un magistrato italiano; forse ho fatto qualcosa e non sono un giudice qualsiasi, ma

    sono ricordato soprattutto per aver fondato un gruppo straordinario, ovvero il primo “pool

    antimafia”. Mi piace ricordare di aver partecipato in qualità di relatore a molti congressi e

    convegni giuridici, credendo molto nel coinvolgimento dei giovani nella lotta contro la mafia. Tra

    questi giovani magistrati verranno a far parte della mia squadra Giovanni Falcone e Paolo

    Borsellino; siamo stati molto produttivi, a tal punto da lavorare al primo grande processo di Cosa

    Nostra, ovvero il cosiddetto “maxi processo” di Palermo. La cosa di cui vado più fiero è però

    l’aver incontrato tanti giovani nelle scuole d’Italia e di averli messi in guardia dai pericoli delle

    droghe, oltre che da quelli della mafia. Detto questo, fatemi le vostre domande.

    Intervista a Rocco Chinnici

  • 13

    Metodo: domande dal pubblico, un alunno risponde come se fosse Chinnici (oppure

    video, da concordare con i ragazzi)

    - I magistrati non si sentono in pericolo, dopo quello che è successo a Ciaccio Montalto,

    che è stato assassinato poco tempo fa? (Rebuffi)

    Chi lavora in questo ambito è consapevole del rischio che corre ogni giorno, ma i magistrati

    dispongono di scorte armate sempre più nutrite; nel caso di Ciaccio c’è da capire perché questa

    non sia entrata in azione.

    - Ecco, giudice, secondo lei cos’è realmente la mafia? (Castelli)

    La mafia è un fenomeno mortale, nato dall’esigenza di difendere la proprietà, da 150 anni a

    questa parte. Prima era il feudo da difendere, ora sono i grandi appalti pubblici, i mercati dove

    girano tanti soldi, i contrabbandi che percorrono il mondo e amministrano migliaia di miliardi.

    - C’è un legame tra la mafia e la politica? (Ricotti)

    La mafia stessa è un modo di far politica attraverso la violenza, è fatale che cerchi una complicità,

    un riscontro, una alleanza con la politica pura, cioè praticamente con il potere. Non posso

    scendere nei dettagli perché sarebbe come riferire nelle direzioni delle indagini, ma una cosa è

    certa: esiste una connessione profonda fra mafia e politica.

    - Lei ritiene che la legge La Torre, che istituisce il regime carcerario 41 bis, con tutta

    la sua durezza, sia veramente utile? (Marossa)

    Sicuramente la legge La Torre è uno strumento di eccezionale validità, mettendo a disposizione

    delle autorità i mezzi giuridici necessari per poter incriminare autori di reati mafiosi che nel

    passato, anche in quello più recente, sono sempre riusciti a farla franca sfuggendo alle indagini

    con diversi espedienti. Ma onestamente la legge La Torre non basta a contenere il fenomeno

    mafioso in tutte le sue manifestazioni: abbiamo bisogno di mezzi che non siano soltanto giuridici,

    basti dire che negli recentemente la criminalità organizzata ha moltiplicato la sua potenza,

    mentre gli organici nelle varie sedi gudiziarie sono gli stessi di quindici anni fa e necessitano

    quindi di un aumento.

    Inoltre, con l'istituzione delle sciagurata politica del confino che ha esportato la mafia in tutto il

    territorio italiano, esiste la necessità di uno strumento più moderno ed efficace, una banca dei

    dati che possa mettere in condizione di sapere istantaneamente chi sono i personaggi implicati

    nei vari delitti mafiosi e quali eventuali collegamenti ci siano tra di loro. Lo Stato deve intervenire

    concretamente nella struttura tecnica della lotta.

    - Credi in una legge sul mafioso pentito? (Ghioni)

    Io non credo al pentimento del mafioso. Il mafioso, come il terrorista, è e rimarrà violento e

    criminale, non può pentirsi, ma può esserci un mafioso che sapendo di essere stato condannato

    a morte, si rivolge alla Giustizia che ha sempre disprezzato. La Giustizia è la sua ultima possibilità.

    Può servire una diminuzione di pena per il mafioso che si è deciso a contribuire alla Giustizia

    purchè il suo contributo sia utile. Ben venga quindi una legge sui mafiosi pentiti.

    - Quale è stata la reazione dei giudici del trapanese di fronte all’omicidio di Rocco

    Montalto: rassegnazione, collera, impotenza, paura? (Hallulli)

    Non ho paura e non mi demoralizzo, vado avanti con più forza. Per ognuno che cade ce ne sono

    altri dieci disposti a proseguire con maggior impegno, coraggio e determinazione.

    Lettura dell’appello di Chinnici ai giovani

    lettura, Rebuffi

    Io credo nei giovani. Credo nella loro forza, nella loro limpidezza, nella loro coscienza. Credo nei

    giovani perché forse sono migliori degli uomini maturi, perché cominciano a sentire stimoli morali

    più alti e drammaticamente veri. E in ogni caso sono i giovani che dovranno prendere domani in

    pugno le sorti della società, ed è quindi giusto che abbiano le idee chiare. Quando io parlo ai

    giovani della necessità di lottare contro la droga, praticamente indico uno dei mezzi più potenti

  • 14

    per combattere la mafia. In questo tempo storico infatti il mercato della droga costituisce senza

    dubbio lo strumento di potere e guadagno più importante. Nella sola Palermo c’è un fatturato di

    droga di almeno quattrocento milioni al giorno, a Roma e Milano addirittura di tre o quattro

    miliardi. Siamo in presenza di una immane ricchezza criminale che è rivolta soprattutto contro i

    giovani, contro la vita, la coscienza, la salute dei giovani. Il rifiuto della droga costituisce l’arma

    più potente dei giovani contro la mafia.

    (musica – il personaggio rientra dietro le quinte – entra un altro personaggio)

    4.Antonino Scopelliti

    Andrea: Il giudice solo: così era stato ribattezzato il magistrato Antonio Scopelliti, ucciso in un

    agguato di mafia a pochi chilometri da Villa San Giovanni, in Calabria, mentre era alla guida

    della sua auto. Nativo di Reggio Calabria, dove era nato nel 1935 , da Roma, dove abitava, era

    tornato nella sua regione per trascorrere le vacanze estive con la sua famiglia. Come Sostituto

    Procuratore Generale presso la Suprema Corte di Cassazione, avrebbe dovuto rappresentare

    l’accusa contro gli imputati del maxiprocesso di mafia a Palermo. Secondo i pentiti della

    ‘ndrangheta Giacomo Lauro e Filippo Barreca, sarebbe stata la cupola di Cosa Nostra siciliana a

    chiedere alla ‘ndrangheta di uccidere Scopelliti, che, in cambio del ”favore” ricevuto, sarebbe

    intervenuta per fare cessare la ”guerra di mafia” che si protraeva a Reggio Calabria.

    Viene proiettato il video di Rosanna Scopelliti che parla del padre.

    Denis:“… il giudice non è mai popolare, soprattutto il Pubblico Ministero, che è quasi

    sempre impopolare in tutti i processi. Il giudice va incontro a queste critiche, a volte anche

    aspre, vivaci, a volte anche ingiuste, ma non può sacrificare il suo ministero, la sua milizia

    ormai, per una popolarità che non è un suo privilegio, può essere popolare o impopolare ma

    deve fare anzitutto il proprio dovere. Quindi la popolarità è un privilegio del quale il giudice non

    deve tener conto. […] L’importante è avere la coscienza di fare il proprio dovere. È questo

    secondo me il traguardo unico ed essenziale che il giudice deve proporsi sempre.”

    Andrea: Le è mai accaduto che nel corso di una indagine o di un processo di

    accorgersi che forse la strada che stava seguendo non era quella giusta e di non aver

    potuto o di non aver voluto cambiar strada?

    Denis:“Sì debbo dirle che spesso mi sono accorto che la strada che seguivo non era quella

    giusta e penso che qualunque giudice, non voglio che questo sia un mio privilegio, che ad un

    certo punto si accorga che la strada percorsa non è quella giusta, la cambi. Deve cambiarla. In

    fondo, credo che il buon giudice è quello che lavora in assoluta umiltà, sempre pronto ad

    ascoltare gli altri perché gli altri quando parlano possono dire delle cose che il giudice non ha

    visto ed è importante che il giudice si accorga che quelle cose che non ha visto andavano

    vedute, io spesso mi sono trovato in situazioni, agli incroci, ai bivi ed ho dovuto cambiare

    strada e l’ho fatto volentieri. Le posso dire anche questo: spesso succede che nei processi io

    porto a giudizio una determinata persona e mi accorgo poi in dibattimento, nella coralità del

    contraddittorio che la mia tesi non è quella giusta e sono felicissimo di cambiarla, perché penso

    che questo atto di umiltà è un atto di estrema cultura e di estrema responsabilità.”

    Andrea: Lei crede come molti che il giudice o il magistrato non politicizzato, alla fine

    diventi un emarginato?

    Denis: “No, affatto. Io non mi sento un magistrato politicizzato, anzi io ritengo che il giudice

    che professa un credo politico in modo molto clamoroso, ecco non è il mio giudice, non è

    l’esempio che io condivido, perché se per magistrato politico si intende il magistrato che deve

    vivere nel suo tempo, rendersi conto di certi problemi, di trasformazione …della società, di

  • 15

    tante altre tensioni morali, il giudice che deve vivere nel suo mondo, se politico si intende

    questo e sia politico! Ma se per politico si intende il magistrato che professa clamorosamente

    un credo politico, non sono più d’accordo perché secondo me, pur essendo sereno e mi rifiuto

    di pensare che non lo sia nel suo giudizio, non appare tale al cittadino. Il cittadino ha bisogno

    non solo di vedere il suo giudice sereno ma tale deve apparire anche il giudice agli altri, cioè la

    credibilità nelle istituzioni, nel giudice. Il sospetto che il giudice possa, quello politicamente e

    clamorosamente impegnato, nella decisione farsi sedurre dal fascino di certe suggestioni

    politiche: questo non è che porti giovamento alla credibilità del suo ministero.”

    (musica – il personaggio rientra dietro le quinte – entra un altro personaggio)

    5.Libero Grassi

    vengono proiettate immagini relative al partigiano mentre sei ragazzi in scena espogono vita

    ed eventi relativi al personaggio

    D’ALFONSO - Io sono Libero…. Libero Grassi. I miei genitori avevano deciso di chiamarmi

    così in nome di Giacomo Matteotti, un vero esempio di libertà. E questo nome ha segnato il

    mio destino, perché anch’io sono morto per la libertà. Il 7 agosto del 1991 sono stato ucciso

    dall’omertà, dall’associazione degli industriali, dall’indifferenza dei partiti e dall’assenza dello

    Stato.

    MAGROTTI- Nel 1932 avevo otto anni quando la mia famiglia si trasferì da Catania a Palermo,

    perché papà fu promosso direttore dei negozi “CROFF”. Vivevo con spensieratezza gli anni

    dell’adolescenza, imparando a comprendere il significato dei principi di democrazia e libertà.

    Mentre ero al liceo capii che il fascismo mi stava francamente antipatico, e manifestai “pacifici”

    atteggiamenti antifascisti. Poi scoppiò la guerra e ci trasferimmo a Roma. Nel 1943 iniziai a

    frequentare l’università e di nuovo si presentò una cocente avversione alla politica antisemita,

    nazista e fascista. Decisi addirittura di entrare in convento come seminarista, per non

    combattere una guerra ingiusta al fianco di fascisti e nazisti.

    Dopo la laurea in legge ho vissuto parecchio al nord dove ho incominciato a fare l’imprenditore.

    Ho anche partecipato attivamente alla politica e sono stato uno dei primi a pensare di sfruttare

    l’energia solare per produrre energia elettrica.

    PRENGA - La mia azienda di famiglia però era la SIGMA, producevo pigiami. Nella metà degli

    anni '80 iniziarono i problemi con la criminalità organizzata. Ricevetti una telefonata di minacce

    alla mia incolumità personale, se non avessi pagato una certa somma a due emissari che mi

    presenteranno per riscuotere: rifiutai.

    La prima conseguenza fu il rapimento di Dick, il mio cane lasciato a guardia degli stabilimenti

    della SIGMA, che mi venne restituito in fin di vita. Dopo poco tempo, due giovani a volto

    scoperto tentarono di rapinare le paghe dei dipendenti della fabbrica: vennero identificati e

    arrestati grazie ad alcuni miei dipendenti. Ma era solo l'inizio.

    BARBIERI - La mia colpa è stata quella di far pubblicare, sul Giornale di Sicilia, una lettera

    per far capire a tutti gli imprenditori di non pagare il pizzo. Ho scritto questo (apre un foglio e

    legge):

    « Volevo avvertire il nostro ignoto estorsore di risparmiare le telefonate dal tono minaccioso e

    le spese per l'acquisto di micce, bombe e proiettili, in quanto non siamo disponibili a dare

    contributi e ci siamo messi sotto la protezione della polizia. Ho costruito questa fabbrica con le

    mie mani, lavoro da una vita e non intendo chiudere. Se paghiamo i 50 milioni, torneranno poi

    alla carica chiedendoci altri soldi, una retta mensile, saremo destinati a chiudere bottega in

    poco tempo. Per questo abbiamo detto no al "Geometra Anzalone" e diremo no a tutti quelli

    come lui. » (chiude il foglio)

    VERCESI - in questa lettera ho voluto denunciare pubblicamente la mafia. La prima volta mi

    chiesero i soldi per i “poveri amici carcerati”, i “picciotti chiusi all’Ucciardone”. Quello fu il

  • 16

    primissimo contatto. Dissi subito di no. Mi rifiutai di pagare. Così iniziarono le telefonate

    minatorie: “Attento al magazzino”, “Guardati tuo figlio”, “Attento a te”. Il mio interlocutore si

    presentava come il geometra Anzalone, voleva parlare con me. Gli risposi di non disturbarsi a

    telefonare. Minacciava di incendiare il laboratorio.

    Non avendo intenzione di pagare una tangente alla mafia, decisi di denunciarli. Sono stato

    anche invitato da Santoro a “Samarcanda”, un vecchio programma su rai 3, per dichiarare con

    forza a Santoro che non sono pazzo. non mi piace pagare. Perché la rinunzia è una rinunzia

    alla mia dignità di imprenditore, io non divido le mie scelte con i mafiosi. Inizialmente quando

    cominciai a denunciare la mafia nessuno mi appoggiò, nemmeno la mia associazione

    Assindustria.

    GRENGHI - Ma io ora sono libero davvero, e mio figlio Davide ha mostrato a tutti il segno della

    vittoria mentre portava a spalla il mio feretro. Hanno ucciso l’uomo non la sua idea, che

    continuerà a vivere nell’opera di ogni cittadino onesto

    (musica – il personaggio rientra dietro le quinte – entra un altro personaggio)

    6.Giovanni Falcone

    vengono proiettate immagini relative al partigiano mentre alcuni ragazzi in scena espogono

    vita ed eventi relativi al personaggio

    LOGU – Mi chiamo Giovanni e sono libero. Sono nato nella primavera antecedente la Seconda

    Guerra Mondiale a Palermo. Sono nato con i pugni chiusi e senza urlare mentre dalla finestra aperta entrò una colomba,

    simbolo di pace. Quella colomba l’ho tenuta a casa. Mi hanno chiamato come mio zio Giovanni, coraggioso e valoroso tenente che morì per la

    Patria durante la Prima Guerra Mondiale sul Carso. Ho frequentato le scuole elementari al Convitto Nazionale di Palermo e le medie alla scuola

    “Giovanni Verga”. In questi anni trascorro i miei pomeriggi all'oratorio giocando con i miei

    compagni a calcio.

    Qui sono diventato molto amico di Paolo, Paolo Borsellino, e poi ho conosciuto anche Tommaso

    Spadaro con cui mi sono scontrato in qualche partita a ping pong, e Tommaso Buscetta, ma

    con loro non ho mai instaurato una vera e propria amicizia.

    Oltre agli sport mi piace leggere: il mio libro preferito è sempre stato “I tre moschettieri”,

    perché ha un significato vicino i miei ideali: insieme, il bene può sempre battere il male!

    Ho frequentato il liceo classico “Umberto I” e qui ho trovato un insegnante che mi fece da

    guida per tutto il mio percorso di studi, si chiamava Franco Salvo, insegnava storia e filosofia e

    amava l'Illuminismo perché sosteneva che su tutti i fronti la ragione dovesse prevalere sul

    sentimento. Nel 1958 mi sono iscritto alla Facoltà di Giurisprudenza dell'Università degli Studi di Palermo.

    Mi sono laureato, dopo tre anni, con 110 e lode e a 25 anni sono riuscito, attraverso un

    concorso, ad entrare nella magistratura italiana. Sono fiero di me e felice, anche perché tra un

    paio di settimane sposo Rita, la donna che amo.

    BRISELDA - Da due anni a questa parte è un periodo travagliato per me, perché è morto mio

    padre, che era un grande punto di riferimento, e come se non bastasse, mia moglie, dopo 14

    anni di matrimonio mi vuole lasciare per rimanere qui a Trapani con un altro uomo.

    Sono andato a Palermo. Ho accettato l’offerta di Rocco Chinnici, mi piace perché sta

    rinnovando l’organizzazione giudiziaria. Lavoro con il mio amico di sempre, Paolo Borsellino.

    Ora, e siamo nel 1980, Chinnici mi ha affidato un'inchiesta contro Rosario Spatola, un noto

    imprenditore visto dal popolo siciliano come un eroe perché offre lavoro a molte persone. Ma

    questo lo fa per riuscire a riciclare il denaro sporco prodotto dai traffici illeciti di eroina. Come

    ho fatto a scoprirlo? Facile per me, ho seguito il percorso che faceva il suo denaro da una

  • 17

    banca all’altra, e sono riuscito a scoprire i collegamenti con i clan italo-americani. Certo che a

    New York sono organizzatissimi, hanno degli strumenti che qui in Italia ci sogniamo! Hanno

    anche il computer! Hanno collaborato alla mia ricerca, anche l’FBI, e abbiamo scoperto il Pizza

    Connection, che è, detto semplicemente, il traffico di eroina nelle pizzerie.

    E intanto Spatola, “l'eroe del popolo” (in modo sprezzante), è stato condannato a 10 anni di

    reclusione insieme ai suoi 75 uomini. E ora questo modo di lavorare ha il mio nome.

    CIVITELLI. Il 29 luglio 1983 un’autobomba ha massacrato Chinnici insieme alla scorta e al portinaio della sua casa in via Pipitone. Sono sconvolto, sono stati uccisi tanti altri come il

    colonnello Russo, Boris Giuliano, il capitano Basile, Mario Francese, Pio La Torre, il presidente

    della Regione Pier Santi Mattarella, il procuratore Costa, Cesare Terranova, l’agente Calogero

    Zucchetto, il Professore Paolo Giaccone, e, come estrema sfida, la mafia aveva massacrato

    Carlo Alberto Dalla Chiesa, la moglie Emanuela Setti Carraro e l’agente Domenico Russo.

    Palermo si sente violata e ha affidato a me il compito di riscattarla. Così nasce il pool

    antimafia. Questo progetto è nato nel marzo 1984 dall'idea di Rocco Chinnici e costituito da

    quattro magistrati, tra cui il mio amico d'infanzia Paolo Borsellino. Lo scopo è quello, tramite il

    coordinamento delle indagini, di restituire la città ai palermitani e la Sicilia ai siciliani onesti.

    Il metodo attuato ha portato ad una svolta epocale: l'arresto del boss mafioso Tommaso

    Buscetta che, dopo una lunga sequenza di interrogatori, ha deciso di collaborare con la

    giustizia italiana rivelando la struttura e le chiavi di lettura di Cosa Nostra.

    RESULI - Ho cominciato realmente ad avere paura per la mia vita e per quella dei miei

    collaboratori, infatti per motivi di sicurezza abbiamo soggiornato, con le nostre famiglie, al

    carcere dell'Asinara. Durante il soggiorno abbiamo continuato le inchieste avviate da Chinnici per costituire il primo

    grande processo contro la mafia in Italia: il maxi processo di Palermo, che è durato poco meno

    di due anni, ha inflitto 360 condanne, 2665 anni complessivi di carcere e 11 miliardi e mezzo di

    lire di multe da pagare.

    Nel frattempo però Borsellino è stato nominato Procuratore della Repubblica e ha lasciato il

    pool e Caponnetto lascia l’incarico per ragioni di salute.

    In sua sostituzione sono stato candidato insieme ad Antonino Meli, che ha vinto per scelta del

    Consiglio Superiore della Magistratura.

    L'elezione di Meli, motivata dall'anzianità di servizio, mi ha reso un bersaglio più facile per la

    mafia perché sembra che non sia stimato come si credeva.

    Meli ha smantellato tutto il mio metodo di lavoro, abbiamo avuto tanti ostacoli nella nostra

    attività, tanto che il pool antimafia si è sciolto.

    Sono davvero amareggiato, ho chiesto di essere destinato ad un altro ufficio. Preferisco

    lavorare ad un’operazione antidroga con Rudolph Giuliani, procuratore distrettuale di New York. Ci sono contro di me delle menti raffinatissime, che mi vogliono morto per bloccare la mia

    inchiesta sul riciclaggio. Hanno già tentato di farmi saltare in aria nella villa al mare. Ora anche

    le lettere anonime cercano di screditare il mio lavoro e quello dei miei colleghi Ayala, Parisi e

    altri.

    BEVACQUA E’ iniziata una stagione brutta la stagione dei veleni, il sindaco di Palermo, Leoluca

    Orlando, si sta scagliando contro di me, pensa che sia stato io a organizzare l’attentato contro

    di me per farmi pubblicità e poi dice che tengo segreti dei documenti riguardo dei delitti

    eccellenti della mafia.

    Il 10 agosto 1991, al funerale di Antonino Scopelliti in Calabria, mi sono sentito di essere in

    pericolo e ho detto al fratello di un mio collega “Se hanno deciso così non si fermeranno più...

    ora il prossimo sarò io!”.

    RESULI - SLIDE CON DISCORSO PER SCOPELLITI

    BEVACQUA - Sto tornando da Roma, come al solito nei fine settimana. Ho un weekend

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    rilassante, da passare con la mia famiglia... ma succede qualcosa... Gioacchino La Barbera (mafioso di Altofronte) sta seguendo me e la mia scorta fino allo

    svincolo di Capaci, tenendosi in contatto telefonico con Antonino Gioè (capo della famiglia

    Altofronte), che aspettano il mio arrivo a quel maledetto svincolo da una collinetta sopra

    Capaci.

    Al mio passaggio Brusca, che si trova sulla collina con Gioè, aziona un detonatore.

    (Rumore forte di uno scoppio)

    Un'ora e sette minuti dopo la strage rimango senza vita dopo numerosi tentativi di

    rianimazione. Mia moglie muore qualche ora dopo di me.

    Ma io non sono morto, o meglio, il mio corpo è morto... fatemi spiegare meglio “E a questa

    città vorrei dire: gli uomini passano, le idee restano. Restano le loro tensioni morali e

    continueranno a camminare sulle gambe di altri uomini”.

    FINALE

    Alla fine i ragazzi, dopo aver sentito le testimonianze, aver intervistato alcuni di loro,

    capiscono che la libertà è un valore molto più grande di quello che pensavano loro.

    Ci sono stati uomini che hanno lottato per la libertà e per la legalità perché i due

    valori sono una cosa sola, perché non sei libero se non sei onesto e attento alla

    libertà dell’altro.

    D’ALFONSO- Caspita raga, avete sentito? C’è da rabbrividire, non mi aspettavo che delle

    persone ai nostri tempi combattessero una vera e propria guerra, come hanno fatto i partigiani BRIS- Sì, una guerra all’ultimo sangue contro un nemico nascosto, pericoloso perché è capace

    di indossare tante facce, anche quella del benefattore che ti vuole aiutare e invece ti sta

    attirando dentro una ragnatela che soffocherà te, la tua famiglia, il tuo lavoro, la tua dignità. CIVITELLI- Quindi, sia i partigiani che i magistrati hanno combattuto contro un sistema

    corrotto fatto di illegalità, di ingiustizie, di disprezzo della dignità della persona D’ALFONSO- Questi uomini hanno davvero combattuto per la nostra libertà…. SLEVOACA- Si forse ragazzi finora pensavamo che lottare per la libertà volesse dire essere

    arroganti, disprezzare regole e leggi, invece è tutto l’opposto! LOGU- Certo, ora abbiamo capito che non siamo liberi se non siamo onesti e attenti prima di

    tutto alla libertà degli altri… BEVACQUA - E per questo bisogna sempre lottare, senza avere paura, contro chi ci propone le

    scorciatoie verso felicità artificiali, verso falsi poteri fondati sul disprezzo dell’altro e delle leggi Bisogna scegliere da che parte stare, anche se è quella più difficile. La nostra rivoluzione sarà

    questa! La libertà è la legalità!

    Canzone finale

    La Libertà (RIT. 2 VOLTE)