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Libro I (A), 7, 980 a-980 b LIBRO PRIMO A 980a Tutti gli uomini sono protesi per natura alla conoscenza: ne è un segno evidente la gioia che essi provano per le sensazioni, giacché queste, anche se si metta da parte l'utilità che ne deriva, sono amate di per sé, e più di tutte le altre è amata quella che si esercita mediante gli occhi. Infatti noi preferiamo, per così dire, la vista a tutte le altre sensazioni, non solo quando miriamo ad uno scopo pratico, ma anche quando non intendiamo compiere 25 alcuna azione. E il motivo sta nel fatto che questa sensazione, più di ogni altra, ci fa acquistare conoscenza e ci presenta con immedia- tezza una molteplicità di differenze 1 . È un fatto naturale, d'al- tronde, che tutti gli animali siano dotati di sensibilità, ma da tale sensibilità in alcuni di essi non nasce la memoria, in altri sì 2 . E appunto perciò questi ultimi sono più intelligenti 3 ed hanno 980 b maggiore capacità di imparare rispetto a quelli che sono privi di facoltà mnemoniche; e sono intelligenti, ma non hanno capacità di imparare tutti quegli animali che non sono in grado di perce- pire i suoni (come l'ape e ogni altra classe di animali che si tro- 1 Cfr. De sensu 437 a 3. 2 Cfr. De anim. 428 a 10; De mem. 451 a 14; De part. anim. 648 a 5, 650 b 25. 3 Per la presenza di una certa intelligenza pratica o « sagacia » (Car- lini) negli animali cfr. E. N. 1040 b 5, 1041 a 26; De getter, anim. 753 a 11; Top. 134 a 34, 136 b 11, 138 b 2.

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Libro I (A), 7, 980 a-980 b

L I B R O P R I M O A

980a Tutti gli uomini sono protesi per natura alla conoscenza: ne è un segno evidente la gioia che essi provano per le sensazioni, giacché queste, anche se si metta da parte l'utilità che ne deriva, sono amate di per sé, e più di tutte le altre è amata quella che si esercita mediante gli occhi. Infatti noi preferiamo, per così dire, la vista a tutte le altre sensazioni, non solo quando miriamo ad uno scopo pratico, ma anche quando non intendiamo compiere 25 alcuna azione. E i l motivo sta nel fatto che questa sensazione, più di ogni altra, ci fa acquistare conoscenza e ci presenta con immedia­tezza una molteplicità di differenze1. È un fatto naturale, d'al­tronde, che tutti gli animali siano dotati di sensibilità, ma da tale sensibilità in alcuni di essi non nasce la memoria, in altri s ì 2 . E appunto perciò questi ultimi sono più intelligenti3 ed hanno

980 b maggiore capacità di imparare rispetto a quelli che sono privi di facoltà mnemoniche; e sono intelligenti, ma non hanno capacità di imparare tutti quegli animali che non sono in grado di perce­pire i suoni (come l'ape e ogni altra classe di animali che si tro-

1 Cfr. De sensu 437 a 3. 2 Cfr. De anim. 428 a 10; De mem. 451 a 14; De part. anim. 648 a 5,

650 b 25. 3 Per la presenza di una certa intelligenza pratica o « sagacia » (Car­

lini) negli animali cfr. E. N. 1040 b 5, 1041 a 26; De getter, anim. 753 a 11; Top. 134 a 34, 136 b 11, 138 b 2.

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4 Libro I (A), 1, 980b-981 a

vino in simili condizioni); hanno, invece, la capacità di imparare tutti quelli che sono forniti, oltre che della memoria, anche del­l 'udito 4 . 25

Nella vita degli altri animali, però, sono presenti soltanto im­magini e ricordi, mentre l'esperienza vi ha solo una limitatis­sima parte; nella vita del genere umano, invece, sono presenti attività artistiche e razionali. E negli uomini l'esperienza trae origine dalla memoria, giacché la molteplicità dei ricordi di un medesimo oggetto offre la possibilità di compiere un'unica espe-

981 a rienza. Anzi, pare quasi che l'esperienza sia qualcosa di simile alla scienza e all'arte, ma in realtà l'esperienza è per gli uomini sola.il punto di partenza da cui derivano scienza ed arte: che l'esperienza crea l'arte, come dice Polo 5 — e dice bene ! —, invece la mancanza di esperienza crea solo eventi fortuiti. L'arte nasce quando da una molteplicità di nozioni empiriche venga prodotto un unico giù- 5 dizio universale che abbracci tutte le cose simili fra loro. Infatti l'esperienza si limita a ritenere che una certa medicina si adatta a Callia colpito da una certa malattia, o anche a Socrate o a molti altri presi individualmente; ma giudicare, invece, che una de­terminata medicina è adatta a tutti costoro considerati come un'uni­ca specie [ossia come affetti, ad esempio, da catarro o da bile o 10 da febbre], è compito riservato all'arte.

Orbene, sotto il profilo strettamente pratico, sembra che l'espe­rienza non differisca affatto dall'arte, anzi noi vediamo che gli empirici conseguono anche un successo maggiore rispetto a quelli che si basano sulla sola ragione senza avere un'adeguata esperienza (e i l motivo di ciò sta nel fatto che l'esperienza è conoscenza del 15 particolare, mentre l'arte è conoscenza dell'universale, e tutte le at­tività pratiche e produttive si occupano del particolare, giacché il medico non ha sotto cura l'uomo se non in via accidentale, ma ha sotto cura Callia o Socrate o qualche altro individuo designato con tale appellativo e a cui è cosa accidentale essere uomo 6 ; se, 20 pertanto, un medico non tiene conto dell'esperienza e si basa sul

4 Cfr. Hist. anim. 608 a 17. 5 PLAT. Gorg. 448 c. 6 Callia è, per il medico, essenzialmente un ammalato, che per acci­

dente è anche uomo; cfr., del resto, M 1087 a 19.

Libro I (A), ly 981 a-981 b 5 -

solo ragionamento, e conosce l'universale, ma ignora i l partico­lare che è in esso, molte volte sbaglia la cura, perché è proprio i l particolare quello che bisogna curare); ciò nonostante, però, noi siamo del parere che i l conoscere e l'intendere siano proprietà piuttosto dell'arte che dell'esperienza, e consideriamo quelli che 25 sono tecnicamente preparati più sapienti di quelli che seguono la sola esperienza, giacché reputiamo che, in ogni caso, la sapienza si accompagna alla conoscenza: e ciò è dovuto al fatto che gli uni conoscono la causa, gli altri no. Gl i empirici, infatti, sanno il che, ma non il perché \ quegli altri, invece, sanno discernere il perché e la causa. E anche per questa ragione noi riteniamo che, in ogni 30 attività professionale, i dirigenti siano più degni di rispetto e ab­biano maggiore conoscenza e siano anche più sapienti dei sem-

981 b plici manovali, giacché conoscono le cause dei loro stessi prodotti [mentre i manovali, comportandosi in un modo simile a quello di certi esseri inanimati, agiscono pure, ma agiscono senza sapere quello che stanno facendo, proprio come fa il fuoco quando arde — quantunque gli esseri inanimati esplicano ogni loro funzione mediante una certa naturale tendenza, mentre i manovali la espli­cano per abitudine 7 ] , poiché essi sono più sapienti non in virtù 5 della loro attività pratica, ma perché posseggono la teoria e distin-

, • guono le cause. In generale, ciò che contraddistingue chi sa da chi non sa è la

capacità di insegnare 8 , ed è questo i l motivo per cui noi riteniamo che l'arte, più che l'esperienza, possa accostarsi alla scienza, giac­ché quelli che conoscono l'arte possono insegnare, mentre gli altri no. Riteniamo, inoltre, che nessuna sensazione possa identi- 10 ficarsi con la sapienza; le sensazioni, da parte loro, sono indubbia-biamente fondamentali per l'acquisizione di conoscenze partico­lari, ma non ci spiegano le cause di nulla; ad esempio, non ci di­cono perché i l fuoco sia caldo, ma soltanto che esso è caldo. A buon diritto, pertanto, l'inventore di una qualsivoglia arte, la quale si

7 Le linee 981 b 2-5 non si ritrovano nel codice A b né sono commentate da Alessandro ; perciò « postea ab Arist. addita videntur » (Jaeger) ; esse, però, sembrano sufficientemente garantite da altri manoscritti e da Ascle­pio (Ross).

8 Arist. rispetta qui la concezione platonica di / Ale. 118 d.

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Libro I (A), 2, 982 a-982 b

quelle che si attengono massimamente ai primi princìpi, giacché quelle che si basano su un minor numero di princìpi sono più esatte di quelle che si fondano su un aggregato di princìpi, come, ad esempio, l'aritmetica è più esatta della geometria1 4; ma, oltre a ciò, la scienza che studia le cause è anche più istruttiva di quella che non le studia, giacché solo coloro che ci sanno dire le cause di ciascuna cosa sono in grado di insegnare, e i l puro sapere e il 30 puro conoscere sono le massime prerogative di quella scienza che ha per oggetto i l conoscibile nel suo grado più alto. Chi, infatti, preferisce il puro conoscere, sceglierà massimamente quella che è scienza al massimo grado, e tale è, appunto, la scienza di ciò che è conoscibile nel grado più alto; e sono conoscibili nel grado più alto i primi princìpi e le cause, giacché mediante questi e in base a questi sono conosciute le altre cose, e non questi sono conosciuti mediante le cose che da essi dipendono, ed è suprema e più im­portante rispetto alla scienza subordinata ad essa quella scienza che conosce i l fine per cui si deve compiere ogni azione partico- 5 lare; e questo fine è i l bene di ogni cosa particolare e, in linea ge­nerale, è il sommo bene nell'intera natura. Pertanto, in base a tutte le nostre precedenti considerazioni, risulta che i l nome su cui noi stiamo conducendo l'indagine rientra nell'ambito della mede­sima scienza, poiché questa non può fare a meno di contemplare i primi princìpi e le prime cause ; e i l bene, ossia il fine, è una delle cause15. 10

Che essa non sia una scienza produttiva risulta con chiarezza anche da qualche considerazione su quelli che diedero inizio alla riflessione filosofica; infatti gli uomini, sia nel nostro tempo sia dapprincipio, hanno preso dalla meraviglia lo spunto per filoso­fare 1 6, poiché dapprincipio essi si stupivano dei fenomeni che

1 4 Tale concezione della scienza risale sostanzialmente a Platone (Phil. 56 c) e si riscontra, tra l'altro, in An. post. 87 a 31-34 e De caelo 299 a 16.

1 5 Cfr. E. N. 1094 a 1. La Weltanschauung di questo brano rispecchia la vitale esperienza platonica, come sembra provato dal irepi Tàya&ou dei due filosofi che, pur tra le altre divergenze, sono d'accordo sulla superiorità del &etop7)Tixò<; pfo .̂

1 6 Cfr. PLAT. Theaet. 155 d.

Libro I (A), 2, 982 b-983 a 9

erano a portata di mano e di cui essi non sapevano rendersi conto, e in un secondo momento, a poco a poco, procedendo in questo stesso modo, si trovarono di fronte a maggiori difficoltà, quali le 15 affezioni1 7 della luna e del sole e delle stelle e l'origine dell'uni­verso. Chi è nell'incertezza e nella meraviglia crede di essere nell'ignoranza (perciò anche chi ha propensione per le leggende è, in un certo qual modo, filosofo, giacché i l mito è un insieme di cose meravigliose18) ; e quindi, se è vero che gli uomini si diedero a filosofare con lo scopo di sfuggire all'ignoranza, è evidente che 20 essi perseguivano la scienza col puro scopo di sapere e non per qualche bisogno pratico. E ne è testimonianza anche il corso degli eventi, giacché solo quando furono a loro disposizione tutti i mezzi indispensabili alla vita e < quelli) che procurano benessere e agiatezza, gli uomini incominciarono a darsi ad una tale sorta di indagine scientifica19. È chiaro, allora, che noi ci dedichiamo a tale indagine senza mirare ad alcun bisogno che ad essa sia estra- 25 neo, ma, come noi chiamiamo libero un uomo che vive per sé e non per un altro, così anche consideriamo tale scienza come là sola che sia libera, giacché essa soltanto esiste di per s é 2 0 . Per­ciò giustamente si può anche ritenere che il possesso di essa è cosa sovrumana, giacché per molti aspetti la natura dell'uomo è schiava, epperò, secondo Simonide, 30

Soltanto un dio può aver tal privilegio 2 1 ,

mentre l'uomo è in grado di ricercare soltanto quella scienza che gli è adeguata. Ma se c'è qualche verità nelle affermazioni dei poeti e se la divinità è, per sua natura, invidiosa, giustamente la sua in-

983 a vidia si dovrebbe esercitare soprattutto in questo caso, e tutti gli uomini eccellenti dovrebbero essere sventurati. Ma è inconcepi-

1 7 Ossia le eclissi, il sorgere e il tramonto (Alessandro). 1 8 Osserva Tommaso (Comm. 55): « Unde primi, qui per modum

quemdam fabularem de principiis rerum tractaverunt, dicti sunt poetae theologizantes »).

1 9 Cfr. 981 b 17. 2 0 Cfr. PLAT. Resp. 499 a, 536 e. 2 1 Fr. 3 Hiller, ricordato anche in PLAT. Protag. 341 e, 344 c.

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10 Libro I (A), 2, 983 a

bile che la divinità sia invidiosa 2 2, anzi si deve prestar fede al proverbio secondo cui

Molte menzogne dicono i cantori 2 3 ,

né bisogna credere che esista un'altra scienza più rispettabile di essa, giacché essa è la più divina e veneranda24; ed essa sola può 5 avere tali prerogative per due aspetti: infatti una scienza è di­vina sia perché un dio la possiede al massimo grado, sia perché essa stessa si occupa delle cose divine. Ma essa sola possiede en­trambe queste prerogative, giacché da una parte tutti credono che dio è una delle cause ed è un principio, dall'altra dio solamente, o almeno in sommo grado, può possedere una siffatta scienza 2 5. Tutte le altre, pertanto, sono materialmente più necessarie di 10 essa, ma nessuna è migliore.

È indispensabile, comunque, che l'acquisizione della Sapienza sollevi, in un certo modo, ad un punto di vista che è contrario a quello in cui noi ci trovavamo all'inizio delle nostre ricerche. Tutti, infatti, come dicevamo, cominciano col provar meraviglia che le cose siano in un determinato modo, come sono soliti com­portarsi di fronte alle marionette26 o ai solstizi o all'incommensu- 15 rabilità della diagonale27 (difatti a tutti (quelli che non ne ab-

2 2 Cfr. PLAT. Phaedr. 247 a; Tim. 29 e. 2 3 II proverbio è attribuito a Solone (fr. 26 Hiller). Cfr. LEUTSCH-

SCHNEIDEWIN, Paroemiographi, I 371; II 128, 615. 2 4 Cfr. A 7-9, e in particolare E.N. 1177 b 30 sg. 2 5 II Ross, notando che questo passo è in contrasto con A (ove si so­

stiene che dio pensa solo se stesso), considera qui la divinità « as commonly conceived » (I, p. 123). Ma si può ricordare, a tal proposito, Tommaso (Comm. 64): « Item talem scientiam, quae est de Deo et de primis causis, aut solus Deus habet aut, si non solus, ipse tamen maxime habet. Solus quidem habet secundum perfectam comprehensionem. Maxime vero habet, inquantum suo modo etiam ab hominibus habetur, licet ab eis non ut possessio habeatur, sed sicut aliquid ab eo mutuatum ».

2 6 II Colle (p. 31) e il Tricot (I, p. 20) opportunamente ricordano il mito platonico della caverna (Resp. 514 b).

2 7 Cfr., tra l'altro, Top. 106 a 38, 163 a 12; Phys. 221 b 24; De gener. anim. 742 b 27, oltre che T 1012 a 33; A 1017 a 35, 1019 b 24; 0 1047 b 6; I 1053 a 17.

Libro I (A), 2-3, 983 a 11

biano ancora indagato il motivo) sembra un prodigio il fatto che una certa lunghezza non possa essere misurata neppure dall'unità minima) ; ma come avviene nei suddetti casi allorché gli uomini li abbiano compresi, così anche noi dobbiamo approdate, alla fine, al punto di vista contrario, che è anche, secondo il proverbio 2 8, quello migliore: difatti per un uomo esperto di geometria la maggiore stranezza del mondo sarebbe la commensurabilità della 20 diagonale rispetto al lato.

Abbiamo detto, pertanto, quale sia la natura della scienza che stiamo ricercando29, e quale sia lo scopo cui devono mirare la nostra indagine e l'intero nostro lavoro.

3.

[Si apre Vindagine sulla dottrina delle cause nella filosofia preplatonica]

È ovviamente indispensabile l'acquisizione scientifica delle cause originarie (giacché noi affermiamo di conoscere un oggetto particolare solo quando reputiamo di conoscerne la prima causa); 25 e si parla di cause in quattro sensi, giacché una di esse affermiamo che è la sostanza o essenza30 (difatti la ragion d'essere di un og­getto si riconduce, in ultima istanza, alla definizione31, e la pri­maria ragion d'essere è causa e principio), un'altra causa è la ma­teria, ossia il sostrato, una terza causa è ciò che dà inizio al movi­mento, e una quarta causa è quella che è opposta ad essa, ossia il 30 fine e il bene (infatti è questo il termine di ogni generazione e di

2 8 « La seconda volta è quella migliore » (LEUTSCH-SCHNEIDEWIN, Paroemiographi, I 62, 234; II 237).

2 9 Ossia la metafisica (Alessandro), che è « scire per causas », onde Tommaso {Comm. 67) nota: « Erit ergo finis huius scientiae in quem proficere debemus, ut, causas cognoscentes, non admiremur de earum effectibus ».

3 0 L'identificazione di sostanza ed essepza si riscontra in Z 1041 b 7-9. 3 1 Ossia al Xóyo<;, che, come è noto, ha, specialmente in Platone e

in Arist., una vasta gamma di accezioni (cfr., tra l'altro, B. PARAIN, Essai sur le logos Platonicien, Paris 1924).

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12 Libro I (A), 3, 983 a-983 b

ogni movimento). Nei Trattati di Fisica*2 noi abbiamo condotto un sufficiente esame su questo argomento; adesso, invece, rifac-

983 b ciamoci anche a quelli che prima di noi si sono rivolti alla ricerca della realtà ed hanno filosofato intorno alla verità. Risulta con chiarezza, infatti, che anche essi parlano di certi princìpi e di certe cause. Se, pertanto, ci rifacciamo a loro, ne trarremo qualche aiuto per la nostra attuale indagine, giacché o verremo a scoprire qualche altro genere di cause oppure confermeremo la nostra fidu- 5 eia in quelle di cui ora abbiamo parlato 3 3 .

La maggior parte dei filosofi più antichi ritenne che fossero princìpi di tutte le cose soltanto quelli che rientrano in una specie materiale. Infatti essi affermano che è elemento e principio delle cose esistenti appunto ciò di cui tutte quante le cose esistenti sono costituite e dà cui primamente provengono e in cui alla fine vanno a corrompersi, anche perché la sostanza permane pur cangiando 10 nelle sue affezioni, e per questo motivo essi sono del parere che nulla nasca e nulla perisca, giacché, secondo loro, un tale prin­cipio naturale si conserva sempre, proprio come noi non parliamo, a proposito di Socrate, di una generazione assoluta quando egli diviene bello o musico 3 4 , né di una assoluta distruzione quando egli perde questi modi di essere35, e ciò è dovuto al fatto che il 15 soggetto, ossia la persona di Socrate, permane, e allo stesso modo né nasce né si distrugge in maniera assoluta alcun'altra cosa, giacché non può non esistere una certa sostanza naturale — tanto se si tratta di una sola quanto di più di una — da cui le altre cose si generano, mentre essa stessa riesce a conservarsi.

Non tutti, però, sono d'accordo sul numero e sulla natura spe­cifica di tale principio, ma Talete, iniziatore di tale tipo di inda- 20 gine filosofica 39, sostiene che esso è l'acqua (perciò egli asseriva

32 Phys. II 3, 7. 3 3 Questo proposito è riconfermato in 986 a 13, b 4, 12; 988 a 20,

t b 16; 993 a 11. 3 4 Giacché si tratta solo di alterazione (cfr. De getter, et corr. I 4). 3 5 Ossia « queste qualità » (PS.-ALEX. 642, 23-26). 3 6 « i. e. the philosophy of those who according to Arist.'s ideas

acknowledged only the material cause and who were in his view the first to deserve the name of philosophers » (GUTHRIE, History of Greek Philosophy cit., I, p. 45).

Libro I (A), 3, 983 b-984 a 13

che anche la terra galleggia sull'acqua37), e forse questa sua opi­nione gli fu suggerita dall'osservazione che è umido ciò di cui ogni cosa si alimenta e che anche il caldo nasce dall 'umidità e sopravvive per mezzo di essa (del restò è principio di tutte le cose ciò da cui queste traggono l'origine), né soltanto in base a ciò egli 25 ha concepito una tale teoria, ma anche in base al fatto che hanno natura umida i semi di tutte le cose, e l'acqua è appunto il prin­cipio naturale delle cose umide 3 8 . Anzi ci sono alcuni 3 9 i quali credono che anche gli antichissimi, che vissero molto prima del­l'attuale generazione e che per primi teologizzarono40, ebbero questa concezione della natura; essi, infatti, rappresentarono Oceano e Teti come genitori del divenire 4 1 e il giuramento degli 30 dèi come eseguito su un'acqua, alla quale essi stessi [poeti] die­dero i l nome di Stige 4 2, giacché ciò che è più vetusto è più r i­spettabile, e un giuramento è la cosa più degna di rispetto. Se,

984 a però, una siffatta opinione sulla natura sia davvero primitiva ed antica, non si può dire con certezza; di Talete, invece, si dice che in tal senso egli ha parlato della prima causa (né si potrebbe pre­tendere di collocare tra questi pensatori anche Ippone 4 3 per lo scarso valore del suo pensiero) ; Anassimene e Diogene 4 4, invece, 5 pongono l'aria come anteriore all'acqua e come principio fonda­mentale dei corpi semplici, mentre Ippaso di Metaponto 4 5 ed Eraclito di Efeso pongono i l fuoco, ed Empedocle i quattro ele-

3 7 Cfr. De caelo 294 a 28, nonché DIELS, DOX. Gr. 225. 3 8 Opportunamente il Ross (I, p. 129) nota la cautela con cui Arist.

tratta delle dottrine di Talete sia qui sia altrove (tra l'altro, in De caelo 294 a 29; De anim. 405 a 19, 411 a 8; Poi. 1259 a 6, 18).

3 9 Probabile allusione a Platone (Crat. 402 e; Theaet. 152e, 160 d, 180c). 4 0 Per la distinzione tra cosmologia teologizzante e cosmologia natura­

listica cfr. B 1000 a 9; A 1071 b 27; N 1091 a 34; Meteor. 353 a 35. 4 1 H O M . //. X I V 201, 246. 4 2 H O M . //. II 755, X I V 271, X V 37. 4 3 Ippone di Samo, contemporaneo di Pericle, pensatore ateo (ALEX.

27, 2; ASCLEP. 25, 16), è citato con disprezzo anche in]De anim. 405 b 2. 4 4 Per Diogene di Apollonia (V sec.) cfr. 64 B 5 Diels-Kranz. Circa

l'influenza di questo filosofo su Platone ed Arist. vedasi GUTHRIE, History of Greek Philosophy cit., II, pp. 362 sgg.

4 5 Pitagorico e, insieme, eracliteo ; per le sue misteriose teorie geo­metriche cfr. DIOG. LAERT. V i l i 6, 84.

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14 Libro I (A), 3, 984 a

menti, aggiungendo ai suddetti come quarto la terra (giacché questi sempre permangono e non sono generati, ma si accrescono o diminuiscono solo quantitativamente, secondo che essi si fondono 10 per comporre un'unità ovvero si separano da questa4 6); Anas­sagora di Clazomene, invece, che è più anziano di Empedocle, ma che ha prodotto la sua opera dopo di lui, afferma che i princìpi sono infiniti ; infatti egli dice che quasi tutte le cose formate da parti simili, come sono appunto 4 7 l'acqua o i l fuoco, nascono e peri­scono in questo modo, cioè soltanto per aggregazione e separa- 15 zione, mentre sotto altri aspetti esse né nascono né periscono, ma permangono eterne4 8.

Risulterebbe, pertanto, dall'esame di queste teorie che sia causa soltanto quella che si chiama di specie materiale4 9; ma, mentre quei filosofi andavano avanti in questo modo, la realtà stessa fece loro da guida e l i costrinse ad approfondire l'indagine: difatti, se è vero che ogni generazione e ogni distruzione deri­vano da un solo principio o anche da molti, perché mai accade 20 questo, e quale ne è la causa ? E senza dubbio impossibile che i l sostrato, da solo, provochi il suo stesso cangiamento; voglio dire, ad esempio, che né i l legno né il bronzo sono causa del loro stesso mutamento, né i l legno si mette a costruire un lettp o i l bronzo una statua, ma c'è qualche altra cosa che causa i l cangiamento. 25 E ricercare quest'altra còsa significa appunto portare l'indagine

4 6 Cfr. 31 B 17 Dié l s -Kranz . 4 7 È preferibile sottintendere, col Colle (p. 51), «secondo Empedocle».

Per la difficoltà del passo cfr. TRICOT, I, pp. 31-2. Nella traduzione mi sono attenuto all'interpretazione del CORNFORD, Anaxagoras' Theory of Matter, in « Class. Quart. », 1930, pp. 14-30, 83-95 e agli ulteriori schia­rimenti di R. MATHEWSON, Arist. and Anaxagoras : an Examination of F. M. Cornford*s Interpretation, in « Class. Quart. », 1958, pp. 67-81. U n esame esauriente di questo e di altri passi aristotelici che affrontano il medesimo problema (Phys. 203 a 19; De gener. et corr. 314 a 16; De caelo 302 a 28 etc.) trovasi in GUTHRIE, History of Greek Philosophy cit., II, pp. 327-38. Circa la paternità non anassagorea, ma quasi certamente aristotelica del termine óu-otou-ep^c; vedasi ancora GUTHRIE, op. cit.t

pp. 325-6. 4 8 Cfr. 31 B 17 Diels-Kranz. 4 9 Cfr. 983 b 7.

Libro I (A), 3, 984 a^-984 b 15

sull'altra causa, cioè su quella da cui, per così dire, prende inizio il movimento.

Orbene, quelli che furono del tutto i primi a incamminarsi su questa via e a sostenere che il sostrato è uno solo 5 0 , non si sen­tivano imbarazzati di fronte a queste difficoltà; ma, tuttavia, al­cuni tra i sostenitori di tale unità 5 1 , quasi sconfitti da questo stesso 30 loro modo di indagare, sostengono l'immobilità dell'Uno e del­l'intera natura non solo relativamente alla generazione e alla cor­ruzione (questa, infatti, era un'opinione ormai inveterata sulla quale tutti erano d'accordo) ma anche relativamente ad ogni altro cangiamento: anzi è appunto quest'ultima cosa i l contras-

984 b segno particolare del loro pensiero. A nessuno, intanto, di quelli che sostengono che tutte le cose si identificano con l'Uno 5 2 è accaduto di avere una siffatta concezione della causa tranne che, forse, a Parmenide, e anche a lui solo in quanto egli pone non un'unica causa, ma, in un certo senso, ne pone due 5 3 ; quelli, invece, che póngono più cause — quali, ad esempio, i l caldo e i l freddo oppure i l fuoco e la terra 5 4 —, hanno maggiori possi- 5 bilità di proseguire un discorso filosofico, giacché si servono del fuoco in quanto lo considerano possessore di una natura motrice, e si servono dell'acqua o della terra o di altre simili cose in quanto le considerano come fornite di una natura contraria a quella del fuoco. . K /

Ma dopo questi pensatori e dopo che furono addotti siffatti princìpi, poiché proprio questi ultimi si rivelarono insufficienti a spiegare la generazione naturale delle cose esistenti, ancora una volta i filosofi, costretti, come abbiamo già rilevato 5 5 , dalla stessa 10 verità, si diedero alla ricerca di un altro principio. Difatti è senza dubbio inverosimile che i l fuoco e la terra o qualche altro ele-

5 0 Ossia i monisti, tra cui Talete, Anassimene ed Eraclito sopra men­zionati.

5 1 Gli Eleati (ALEX. 29, 20). 5 2 Non solo i Milesi ed Eraclito, ma anche gli stessi Eleati. 5 3 Cfr. 28 B 8, 50-52 Diels-Kranz, ove si parla di dualità tra verità

e opinione. Per la dualità della causa materiale cfr. Phys. 188 a 20; De gener. et corr. 318 b 6, 330 b 14.

6 4 Senz'altro Empedocle, ma forse anche i Pitagorici e Parmenide. 5 5 984 a 18.

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16 Libro I (A), 3-4, 984 b

mento di tal genere sia causa del fatto che in parte le cose esistenti siano, in parte si generino in conformità col bene e col bello, ed è, altresì, impossibile che quei filosofi ci credano; né, d'altronde, sarebbe stato ragionevole affidare un compito così importante al caso e alla fortuna 5 6 . Ecco perché, quando qualcuno 5 7 disse ehe, 15 proprio come negli animali, così anche nella natura la causa del mondo e di tutto quanto i l suo ordinamento è un Intelletto, egli apparve come una persona sobria rispetto ai più antichi che par­lavano a casaccio 5 8 . E , noi sappiamo con certezza che Anassagora seguì questi ragionamenti, quantunque si dica che Ermotimo di Clazomene 5 9 abbia parlato di una tale causa già prima di lui. Ma, comunque le cose siano andate, i sostenitori di questa dottrina 20 riuscirono non solo a porre come principio delle cose ciò che è la causa della loro bellezza, ma anche un principio che è in grado di assicurare alle cose il loro movimento.

4.

[Continua Vindagine sulla dottrina delle cause nella filosofia preplatonica]

E si potrebbe, d'altra parte, supporre che verso una tale so­luzione propendesse per primo Esiodo o anche qualche altro che considerò come principio tra le cose esistenti l'Amore o il Desi­derio, come, del resto, ha fatto anche Parmenide; anche quest'ul­timo, infatti, rappresentando la generazione dell'universo dice 2 5

che (Afrodite) in primo luogo • Amor concepiva tra tutti gli dè i 8 0 ,

5 6 Per la concezione aristotelica di Tó/v) e AÙTÓJKXTOV cfr., oltre che Z 7, 9 e K 1065 a 27 - b 4, i capitoli 4-6 di Phys. II. -

5 7 Anassagora (cfr., in particolare, 59 B 12 Diels-Kranz). 5 8 Cfr. PLAT. Phaed. 97 b. 5 9 Personaggio leggendario, la cui anima andava soggetta a frequenti

trasmigrazioni (cfr. 59 A 58 Diels-Kranz). «P 28 B.13 Diels-Kranz.

Libro I (A), 4, 984 b-985 a 17

mentre Esiodo afferma:

Nacque tra tutti gli dei il Caos primiero e sol dopo Gaia dall'ampio petto Quindi l'Amor che su tutti i numi immortali risplende 6 1 ,

volendo significare che negli esseri è indispensabile la presenza 30 di una certa causa capace di mettere in moto e di raccogliere le cose. Si potrà decidere in appresso 6 2 in che senso e a chi di co­storo si debba assegnare la priorità di tali scoperte; ma, siccome nella natura si riscontra la presenza anche dei contrari delle cose buone — ossia la presenza non solo dell'ordine e della bellezza,

985 a ma anche del disordine e della bruttezza ; anzi le cose cattive sono più numerose di quelle buone e le cose di scarso pregio sono più numerose di quelle belle —, un altro filosofo introdusse l 'Amici­zia e la Contesa, considerando rispettivamente ciascuna di queste come causa di ciascuna di quelle cose 6 3 . E se, invero, si vuol se­guire e apprezzare Empedocle tenendo conto del suo ragionamento e non del suo linguaggio di balbettante 6 4 , si troverà che l'Amicizia 5 è causa dei beni e la Contesa dei mali ; epperò, se si dicesse che, in un certo senso, Empedocle ha sostenuto, ed ha sostenuto per pri­mo, che il male e il bene sono princìpi, forse non si sbaglierebbe, dal momento che appunto il bene è causa di tutte le cose buone [e il male di quelle cattive]. 10

Risulta pertanto, a nostro avviso, che questi filosofi finora si sono limitati a considerare solamente due delle cause che noi ab­biamo distinte nei nostri trattati Sulla natura 6 5 — ossia la materia e il principio del movimento —, quantunque ne abbiano parlato in maniera vaga e per nulla chiara, come nelle battaglie si com-

61 Theog. 116-20. fi2 Tanto il Ross (I, p. 137) quanto il Tricot (I, p. 37) affermano che

la promessa non è stata mantenuta da Arist.; il Bonitz, invece, rinvia a N 1091 b 4. In realtà, forse, Arist. qui non fa alcuna promessa, ma lascia ad altri la non importante soluzione.

6 3 Cfr. Empedocle, 31 B ,15, 13; 122, 2 Diels-Kranz. fi4 Per un simile giudizio sull' immaturità linguistica dei primi filosofi

cfr. 993 a 15. 65 Phys. II 3, 7.

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18 Libro I (A), 4, 985 a-985 b

portano i soldati non esercitati; anche questi ultimi, infatti, vanno scorrazzando di qua e di là e vibrano sovente bei colpi ma senza 15 rendersene conto, allo stesso modo che quei filosofi non sembrano aver consapevolezza di quello che dicono, giacché risulta che essi non ne sanno trarre profitto se non in piccola parte. Anassagora, infatti, usa l'Intelletto come un meccanismo per la produzione dell'ordine universale, e, quando non sa spiegarsi per qual mo­tivo un tale ordine è necessario, allora tira in ballo l'Intelletto, mentre nei rimanenti casi egli considera come causa degli acca- 20 dimenti qualsiasi altra cosa tranne che l'Intelletto 6 6; ed Empe­docle più di Anassagora fa uso delle cause, ma neanche lui in modo sufficiente, né riesce a mettersi d'accordo con se stesso. Non poche volte, pertanto, secondo lui l'Amicizia disgrega e la Contesa è causa di aggregazione. Difatti, quando l'universo vien ridotto ai suoi elementi differenziali per opera della Contesa, allora si ri- 25 scontra una riduzione all'unità del fuoco e di ciascuno degli altri elementi; quando, poi, questi vanno a ricomporsi in un'unità per opera dell'Amicizia, allora inevitabilmente le particelle di ciascun elemento vengono di nuovo separate tra loro 6 7 .

Empedocle, comunque, introducendo questa causa, seppe ope­rare, a differenza dei suoi predecessori, una distinzione col porre 30 non un unico principio del movimento, bensì due che fossero an­che contrari tra loro 6 8 e, oltre a ciò, egli fu il primo ad affermare che sono quattro i cosiddetti elementi di specie materiale (quan­tunque egli non si serva di tutti e quattro, ma li riduca in realtà

985 b solo a due, ossia da una parte si serve solamente del fuoco e, dal­l'altra, degli opposti di questo — terra, aria e acqua —, come se costituissero un'unica natura; e ciò si può evincere dall'esame dei suoi versi 6 9) .

6 6 Cfr. PLAT. Phaed. 98 b; Leg. 967 b. Il carattere meccanicistico dei cangiamenti fisici è indicato nei frr. 9, 13, 15, 16, 19 Diels-Kranz.

6 7 Questa osservazione è ribadita in B 1000a 26, b 9: la sua fondatezza risulta dai frr. empedoclei 17, 6; 26, 1-12 Diels-Kranz.

6 8 Per l'importanza annessa da Arist. ai contrari come princìpi natu­rali cfr. Phys. I 7.

6 9 In particolare dal fr. 62 Diels-Kranz. Cfr., del resto, De gener. et corr. 330 b 20.

Libro I (A), 4, 985 b 1 9

A nostro avviso, Empedocle ha avuto questa concezione circa i princìpi e il loro numero; Leucippo, invece, e i l suo compagno Democrito affermano che sono elementi i l pieno e il vuoto, [con- 5 siderando l'uno come essere, l'altro come non-essere,] identi­ficando il pieno e i l solido con l'essere, il vuoto col non-essere 7 0

(perciò essi sostengono anche che l'essere non esiste affatto più del non-essere, giacché i l vuoto è reale come il corpo), e secondo loro queste sono le cause della realtà, e cause in senso materiale. E come i sostenitori dell'unità della sostanza fondamentale fanno 10 derivare le altre cose dalle affezioni di questa7 1, ponendo come princìpi di tali affezioni il raro e il denso, allo stesso modo anche costoro sostengono che le differenze <degli atomi) 7 2 sono cause delle altre cose. Essi riducono, tuttavia, queste differenze a tre, ossia alla figura, all'ordine e alla posizione, giacché affermano che l'oggetto si distingue per proporzione, per contatto e per di- 15 rezione; ma, tra queste tre cose, la proporzione si identifica con la figura, i l contatto con l'ordine, la direzione con la posizione: difatti A differisce da N per figura, A N da N A per ordine, Z da N per posizione. Ma per quel che concerne i l movimento, ossia quale sia la sua origine e quale sia il modo in cui esso è presente nella realtà delle cose, anche questi filosofi, presso a poco come gli altri, hanno lasciato correre per negligenza 7 3 . 20

Sono questi i limiti cui, a parer nostro, sono pervenute le r i­cerche dei nostri predecessori in merito alle due cause 7 4 .

7 0 Circa la provenienza eleatica dell'atomismo su cui ha notoriamente insistito il BURNET (Early Greek Philosophy, London 19634, pp. 333-6) cfr. De gener. et corr. 324 b 35 - 325 a 32. Il cod. E , seguito peraltro dal Tricot (I, p. 39) reca alla linea 7 « i l vuoto e il raro col non essere» ; ma circa la differenza tra vuoto e raro cfr. JAEGER, in « Hermes » LII pp. 483-6.

7 1 Cfr. Phys. 187 a 12. 7 2 BONITZ, 75. 7 3 Cfr. De gener. anim. 789 b 2; De caelo 300 b 8; nonché A 1071 b 32. 7 4 Vale a dire « in merito alla causa materiale e a quella efficiente ».

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20 Libro I (A), 5, 985 b-986 a

[Si conclude l'indagine sulla dottrina delle cause nella filosofia preplatonica]

Nella stessa epoca di costoro, anzi ancora prima di loro, i co­siddetti 7 5 Pitagorici si dedicarono per primi alle scienze matema­tiche, facendole progredire; e poiché trovarono in esse il proprio nutrimento, furono del parere che i princìpi di queste si identifi- 25 cassero con i princìpi di tutte le cose 7 6 . I numeri occupano natu­ralmente i l primo posto tra tali princìpi, e i Pitagorici credevano di scorgere in quelli, più che nel fuoco o nella terra o nell'acqua, un gran numero di somiglianze 7 7 con le cose che esistono e sono generate, e asserivano che una determinata proprietà dei numeri si identifica con la giustizia, un'altra con l'anima e con l'intelletto, un'altra ancora col tempo critico 7 8 , e che lo stesso vale, presso a 30 poco, per ciascuna delle altre proprietà numeriche 7 9 , e individua­vano, inoltre, nei numeri le proprietà e i rapporti delle armonie musicali e, insomma, pareva loro evidente che tutte le altre cose modellassero sui numeri la loro intera natura e che i numeri fos-

986a sero l'essenza primordiale di tutto l'universo fisico; e per tutte

7 5 II termine « cosiddetti » riferito ai Pitagorici è. frequente in Arist. Esso si trova, tra l'altro, in 989 b 29; in De caelo 284 b 7, 293 a 20; in Meteor. 342 b 30, 345 a 14. Per la questione si vedano A . ROTHENBUCHER, Das System der Pythagoreer nach den Angaben des Arist., Berlin 1867; W . A . HEIDEL, in « Ardi . f. Gesch. d. Phil. », X I V , pp. 384-436; O . G I L ­BERT, ivi, X X I I , pp. 28-48, 145-65; F . M . CORNFORD, in « Class. Quart. », X V I , pp. 137-50; X V I I , pp. 1-12; ZELLER-MONDOLFO, La filosofia dei greci, Firenze 1967, pp. 415-22; A. ROSTAGNI, // Verbo di Pitagora, Torino 1924.

7 6 Cfr. 986 a 17. 7 7 Cfr. N 6, nonché SEXT. E M P . Adv. math. V I I 94-109. 7 8 II xaipó? era legato al numero sette (parto settimino, cambio dei

denti a sette anni, pubertà a quattordici, maturità a ventuno). Cfr. N 1093 a 14.

7 9 Cfr., tra l'altro, PROCL. in Tim. 340 a, 223 e; SEXT. EMP. Adv. math. IV , 4, 5. Per un più ampio quadro di notizie sulla mistica del numero vedasi Ross, I, p. 144.

Libro I (A), 5, 986 a 21

queste ragioni essi concepirono gli elementi dei numeri come ele­menti di tutta la realtà, e l'intero cielo come armonia e numero; e quante concordanze con le proprietà e le parti del cielo e con l'intero ordine universale essi riscontravano nei numeri e nelle armonie, le raccoglievano e le adattavano al loro sistema. E anche 5 se, in qualche parte, ne veniva fuori qualche difetto, essi con fa­cilità si mettevano a fare addizioni allo scopo di rendere piena­mente concreta la loro dottrina; così, ad esempio, poiché la dècade sembra perfetta e capace di abbracciare tutta quanta la natura dei numeri, essi asseriscono che sono dieci anche gli astri che si spo­stano sotto la volta celeste; ma, poiché quelli visibili sono soltanto 10 nove, per questa ragione essi ne creano un decimo, FAntiterra 8 0 .

Su tali questioni noi abbiamo condotto un esame più detta­gliato in altra sede8 1. Tuttavia ne stiamo parlando anche qui per il solo scopo di apprendere anche da questi filosofi quali cause essi pongano e in che modo queste coincidano con quelle da noi elencate82. Orbene, è evidente anche che costoro concepiscono i l 15 numero come principio, considerandolo sia come materia delle cose esistenti sia come costitutivo delle affezioni e degli stati di queste, ed elementi del numero sono, secondo loro, il pari e il di­spari, e di questi i l primo è infinito, il secondo è finito, e l 'Uno risulta da tutti e due questi elementi (giacché esso è pari e, insieme, dispari), e i l nùmero deriva dall'Uno e l'intero cielo, come già 20 dicevamo, si identifica con i numeri.

A l t r i 8 3 , che fanno parte della stessa scuola, dicono che i princìpi sono dieci e li elencano per coppie di elementi, ossia

, limite e illimitato dispari e pari unità e pluralità destro e sinistro

8 0 Cfr. De caelo 293 a 23, b 21. La teoria dell'Antiterra è attribuita a Filolao (AMT. II 7, 7; III 11, 3).

8 1 In De caelo II 13 oppure, secondo Alessandro, in un'opera perduta sui Pitagorici. Per l'esame dei passi aristotelici circa il rapporto istituito dai Pitagorici tra i numeri e le cose cfr. GUTHRIE, History of Greek Phi­losophy cit., I, pp. 229-51.

8 2 In 983 a 24-32. 8 3 Probabilmente Filolao (Zeller).

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22 Libro I (A), 5, 986 a-986 b

maschio e femmina quieto e mosso retto e curvo 25 luce e oscurità buono e cattivo quadro e oblungo;

proprio questa pare che sia stata la dottrina anche di Alcmeone di Crotone 8 4 , e o questi ha desunto dai Pitagorici tale modo di ra­gionare oppure i Pitagorici l'hanno desunto da lui, giacché Alc­meone [era nell'età giovanile quando Pitagora era ormai vecchio e] professò le stesse teorie dei Pitagorici: egli dice, infatti, che la 30 maggior parte delle cose umane procede per coppie, ma non parla delle coppie di contrari quali furono determinate accuratamente dai Pitagorici, bensì di coppie assunte a caso, ad esempio, di bianco e nero, di dolce e amaro, di buono e cattivo, di grande e piccolo. Così, dunque, Alcmeone buttò fuori, senza alcun discernimento,

986 b le sue teorie circa le altre coppie dei contrari, mentre i Pitagorici rivelarono i l numero e la natura delle coppie dei contrari. E per­tanto possiamo desumere tanto da lui quanto dai Pitagorici al­meno una cosa, ossia che i contrari sono princìpi delle cose esi­stenti; ma possiamo desumere i l numero e la natura di tali prin­cìpi soltanto dai Pitagorici. Il modo, però, mediante cui questi loro princìpi possono essere ricondotti alle cause indicate da noi, 5 non è stato articolato da loro con chiarezza, ma pare che essi di­spongano tali elementi come se questi fossero di specie materiale, giacché, secondo le loro affermazioni, la sostanza risulta composta e plasmata proprio in base a questi elementi, nel senso che essi le sono immanenti.

Da questa nostra rassegna si può sufficientemente capire i l pensiero di quegli antichi che sostenevano la pluralità degli eie- 10

8 4 Mentre Arist. considera Alcmeone come pensatore piuttosto ori­ginale, altri (DIOG. LAERT. V i l i 83; IAMBL. Vita Pyth. 104, 263) lo inse­riscono senz'altro tra i Pitagorici. L'accenno cronologico della linea 30 messo in dubbio da Brandis, Zeller e Ross ed espunto da Jaeger, è invece accettato da J . WACHTLER, De Alcmaeone Crotoniata, Leipzig 1896 e da J. B. SKEMP, The Theory of Motion in Plato1 s later Dialogues, Cam­bridge 1942, p. 36; per la questione cfr. GUTHRIE, History of Greek Philosophy cit., I, pp. 341-3.

Libro I (A), 5, 986 b 23

menti della natura 8 5; ma ci sono anche alcuni 8 6 , i quali hanno concepito l'intero universo come una sola naturale entità, quan­tunque non tutti abbiano saputo fare, allo stesso modo, una buona esposizione o abbiano conservato il rispetto della natura 8 7. Alla nostra attuale indagine sulle cause non si addice, comunque, una discussione intorno a costoro (essi, infatti, pur presupponendo, come alcuni naturalisti, un principio unico, non ammettono allo stesso modo la generazione dell'essere da tale unità material- 15 mente intesa, ma si esprimono in un modo affatto diverso, giacché quei naturalisti, almeno quando trattano della generazione del­l'universo, fanno parola anche di un movimento, mentre costoro sostengono che l'universo è immobile); ciò nonostante, però, non manca qualche punto che sia pertinente alla nostra attuale indagine. Pare, infatti, che Parmenide intenda riferirsi all 'unità formale8 8, mentre Melisso a quella materiale89 (e anche per questo motivo l'uno afferma che essa è finita90, l'altro che è 20 infinita 9 1); Senofane, invece, che fu il primo sostenitore dell'unità (si dice, infatti, che Parmenide sia stato suo discepolo), non fece alcuna precisazione, né sembra che egli abbia avuto a che fare con la natura di nessuna di queste due cause, ma, mirando al­l'universo nella sua interezza, sostiene che l'uno si identifica con la divinità 9 2 .

Come abbiamo già detto, questi pensatori non devono essere 25 presi in esame nella nostra attuale indagine, anzi due, Senofane e Melisso, devono essere del tutto scartati, perché sono un po' troppo rozzi 9 3 ; Parmenide, invece, sembra che, in qualche luogo,

8 5 Empedocle, Anassagora, Atomisti e Pitagorici. 8 6 Gli Eleati. 8 7 Per il carattere afisico degli Eleati cfr. Phys. I 184 b 25-185 a 4;

De gener. et corr. 325 a 13-23; nonché SEXT. E M P . Adv. math. I 46. 8 8 Cfr. 28 B 6, 1; 8, 33-34 Diels-Kranz. 8 9 Cfr. 30 B 3 Diels-Kranz. 9 0 Cfr. 28 B 8, 22-43 Diels-Kranz. 9 1 Cfr. 30 B 3 Diels-Kranz. 9 2 Cfr. 21 B 23 Diels-Kranz. 9 3 Senofane, perché non seppe definire la natura dell'uno; Melisso,

perché ricadde nella causa materiale (BONITZ, 84). L'avversione di Arist. per Melisso è consueta (cfr. Phys. 185 a 8, 186 a 8, 9; Soph. el. 167 b 12-20).

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24 Libro I (A), 5, 986b-987 a

parli con maggiore perspicacia94, giacché egli, reputando che, al di fuori dell'essere, i l non-essere non esiste affatto, è portato necessariamente a credere che l'essere è uno e che non c'è niente altro al di fuori di esso (su tale argomento abbiamo discusso più 30 dettagliatamente nei nostri trattati Sulla natura)95, ma poi, costretto a rispettare la realtà fenomenica, e ammettendo che l'essere è uno secondo la definizione ma molteplice secondo la sensazione, viene a porre anche lui, a sua volta, due cause, due princìpi, cioè i l caldo e i l freddo, o, in altre parole, i l fuoco e la terra; e fra questi egli inquadra il caldo nell'essere e i l freddo nel non-essere 9 6 .

Ecco dunque, in conclusione, quello che abbiamo desunto dalle nostre precedenti considerazioni e dalle nostre riflessioni sui filosofi di cui già abbiamo sommariamente trattato: secondo i più antichi il principio è corporeo (giacché l'acqua e il fuoco e le altre cose di tal genere sono corpi), e secondo alcuni 9 7 c'è un 5 solo principio,secondo altr i 9 8 ce ne sono di più, ma in ogni caso si tratta di princìpi corporei, giacché tanto gli uni che gli altri li pongono in una specie materiale; d'altra parte alcuni filosofi, oltre a porre questa causa, pongono anche quella che dà inizio al movimento, e quest'ultima è una sola secondo alcuni 9 9 , duplice secondo a l tr i 1 0 0 . Fino agli Ita l ic i 1 0 1 esclusi, gli altri filosofi si 10 sono espressi in modo alquanto sbrigativo su questi princìpi; essi, tuttavia, come abbiamo notato 1 0 2, son riusciti a servirsi di

9 4 Già Platone aveva rilevato la superiorità di Parmenide (Theaet. 183 e) rispetto agli altri Eleati.

95 Phys. I 3. 9 6 Cfr. 984 b 3-4. Il GUTHRIE (History of Greek Philosophy cit., II,

p. 56) traduce: « Of these he ranks the hot with what is and the cold with what is not ». Sull'espressione aristotelica T à r r c i v x a x à TI vedasi J . MANSFELD, Die Offenbarung des Parmenides und die menschliche Weìt, Assen 1964, p. 138.

9 7 Cioè secondo Talete, Ippone, Anassimene, Diogene, Ippaso, Eraclito e Melisso.

9 8 Cioè secondo Leucippo e Democrito. 9 9 Cioè secondo Anassagora. 1 0 0 Cioè secondo Empedocle. 1 0 1 I Pitagorici. 1 0 2 985 b 20-22.

Libro I (A), 5-6, 987 a 25

due cause, e una di queste, ossia quella che dà origine al movi­mento, da alcuni è stata concepita come unica 1 0 3 , da altri come duplice 1 0 4 ; i Pitagorici, invece, se da una parte hanno parlato, allo stesso modo, di due princìpi, hanno fatto anche una precisa­zione, che del resto è una loro peculiarità: secondo loro, infatti, 15

(il finito e l'infinito [e l'uno] non sono entità separate, come i l fuoco e la terra o qualche altra cosa siffatta, ma lo stesso infinito e lo stesso uno sono sostanza di quelle cose di cui essi fanno da predicati, ed è questo anche i l motivo per cui la sostanza di tutte le cose sarebbe numero. Su questi argomenti essi si sono espressi in tal modo, e, inoltre, hanno intrapreso anche a parlare dell'es- 20 senza e a darne una definizione, ma in questo loro tentativo hanno proceduto in modo troppo semplicistico. Essi, infatti, definivano in maniera superficiale, e credevano che la sostanza di un oggetto non fosse altro che il primo numero al quale si applicasse la defi­nizione da loro suggerita, e ciò equivarrebbe a credere che il doppio e il due si identifichino per il semplice fatto che il doppio è la prima proprietà che si attribuisce al due. Ma non v'è dubbio 25 che l'essenza del doppio e quella del due sono diverse, altrimenti anche l'uno si identificherebbe col molteplice; conseguenza, questa, che anch'essi solevano trarre.

Questo è, dunque, tutto quello che possiamo desumere dai filosofi più antichi [e da quelli posteriori].

[La dottrina platonica delle cause]

Dopo le teorie filosofiche di cui abbiamo parlato, è venuta ad affermarsi la dottrina di Platone, la quale per molti aspetti si ri- 30 collega alle dottrine pitagoriche, ma possiede anche una propria originalità che la separa dalla filosofia degli Italici. Platone, in­fatti, da giovane divenne ben presto seguace di Crat i lo 1 0 5 e delle

1 0 3 Anassagora. 1 0 4 Empedocle. 1 0 5 Per le dottrine di Cratilo cfr. T 1010 a 12. Circa l'eraclitismo di