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MEZZOPIENO | BUONE PRATICHE AZIENDALI AI TEMPI DEL CORONAVIRUS L IMPRESA POSITIVA Buone pratiche aziendali di resilienza al tempo del Coronavirus Un manuale di storie, imprese e consigli per affrontare la vita aziendale ai tempi del Coronavirus con i commenti di economisti, imprenditori, sociologi, psicologi, antropologi e tecnici Dalla rete italiana della positività

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◼ MEZZOPIENO | BUONE PRATICHE AZIENDALI AI TEMPI DEL CORONAVIRUS

L’IMPRESA POSITIVA Buone pratiche aziendali di resilienza al tempo del Coronavirus

Un manuale di storie, imprese e consigli per affrontare la vita aziendale ai tempi del Coronavirus con i commenti di economisti, imprenditori, sociologi, psicologi, antropologi e tecnici

Dalla rete italiana della positività

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◼ MEZZOPIENO | BUONE PRATICHE AZIENDALI AI TEMPI DEL CORONAVIRUS

L’epidemia di Covid19 ha portato uno sconvolgimento profondo del mondo del lavoro e una sfida che in alcuni casi ha significato la messa in discussione di interi processi, settori di mercato e di modelli di impresa consolidati, spesso radicati nella cultura aziendale.

Le nuove dinamiche imposte dall’isolamento sopravvenuto in tutto il mondo hanno reso indispensabile la repentina modifica di pratiche non più compatibili con la contingenza. La capacità con cui le imprese reagiscono, si adattano e affrontano questa sfida determina non solo la forma della crisi, la sopravvivenza o la fine delle attività ma soprattutto l’aspetto che avrà il futuro. Imprenditori, manager ed economisti sono chiamati a mettere in campo tutte le loro energie, le competenze e la loro capacità di collaborazione per affrontare questo momento con resilienza, coraggio e lungimiranza. Questa operazione, che in molti casi potremmo paragonare a una missione, definirà i profili della nuova economia, delle nostre comunità e il volto del mondo che sarà.

Questo manuale è una raccolta di esperienze e pratiche nate dalla sfida portata dal Coronavirus nel mondo aziendale, contributi di imprenditori che si sono dovuti confrontare con un nuovo modo di sostenere la propria attività. Un manuale di condivisione e di sopravvivenza creato da imprenditori per altri imprenditori, per rinforzare la riflessione sulle buone pratiche, una mutua fecondazione e l’arricchimento reciproco. Ogni storia riporta una pratica e un approfondimento con i consigli di economisti, psicologi, sociologi, antropologi e tecnici che fanno parte della rete italiana della positività Mezzopieno e che si sono prestati per la redazione di questo manuale gratuitamente, come contributo di solidarietà di scambio per il bene comune. In collaborazione con la Rete nazionale degli assessori alla gentilezza, l’Associazione Italiana Imprenditori per l’Economia di Comunione AIPEC, l’Istituto Adriano Olivetti ISTAO e la Cattedra Raimon Panikkar presso l’Università di Torino

Cattedra Raimon Panikkar

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Durante una crisi, la capacità di comprensione, di adattamento e il tempo di reazione ai cambiamenti sono gli elementi discriminanti che possono fare la differenza. Il mercato, dopo uno shock psicologico, cade di solito in uno shock economico, la crisi diventa così sempre più complessa e difficile da gestire, coinvolge progressivamente altre sfere della vita e della società e si evolve di pari passo con la fluttuazione della variabile più significativa in economia, la fiducia. Con il calo della fiducia, il mercato modifica i suoi bisogni e le sue scelte, trova sempre più difficoltà a stabilire equilibri nei valori e nei consumi, diventa debole e irregolare e la propensione alla produzione e allo scambio sempre più imprevedibile. Al posto della tradizionale programmazione, la crisi cambia l’ordine delle cose ed obbliga a soddisfare bisogni impellenti e a volte irrazionali, stravolge la pianificazione. Chi fa impresa sa bene quanto pianificare sia uno degli elementi essenziali per poter organizzare e gestire; capire come gestire il cambiamento ed essere pronti a modificare vecchi paradigmi è pertanto fondamentale per poter affrontare una crisi, grande o piccola che sia. La creatività e la preparazione sono certamente elementi importanti ma si tratta soprattutto di un processo di revisione che non pensi soltanto a superare i problemi ma che generi delle soluzioni, organizzi delle risposte e che sciolga la complessità in favore della semplificazione. Un approccio valoriale oltreché tecnico può pertanto rappresentare uno dei modi più generativi per affrontare una crisi e per superarla con successo portando un miglioramento evolutivo permanente per l’impresa e per il

bene comune. Dal punto di vista psicologico, la volontà di cambiare e la fiducia nel cambiamento sono dinamiche individuali ma che assumono una dimensione collettiva e sociale e che si legano strettamente con la lealtà e il coraggio, elementi che parrebbero normalmente relegati all’ambito dell’etica. Accompagnare un cambiamento significa, pertanto, non solo addentrarsi nei nuovi bisogni e nelle criticità che una crisi porta con sé ma anche affiancarsi ad essi con il desiderio di comprenderli per capirne l’origine e per trovare nuovi strumenti di risposta, diversi dai precedenti. Cercare un modo per migliorare ciò che non ha funzionato. Nelle grandi crisi i consumatori subiscono delle trasformazioni, le loro necessità cambiano, i gusti si modificano e nuove scelte prendono il posto di quelle vecchie con una rapidità che si verifica solo in questi particolari momenti. Mai come in questi frangenti l’elemento della novità trova spazio e senso: è una grande opportunità evolutiva. Anche in difficoltà economiche o sopraffatti dalla paura o dall’ansia, i mercati operano comunque sempre delle scelte e l’imprenditore interpretandole può accompagnarle con la sua capacità di rispondervi o addirittura anticiparle con la sua cultura, il suo stile e i suoi valori che daranno forma alla nuova società che sarà. La crisi può costituire un vero punto di volta nella relazione tra economia e società e la scintilla che rende inevitabili i cambiamenti che il mondo stava preparando da tanto tempo nella stoffa della sua coscienza.

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◼ Rivalutare la cultura dello scarto ……………………………………………………… 4

◼ Superare il concetto di concorrenza ………………………………………………… 6

◼ Portare i figli al lavoro: la Kids room …………………………………………………. 8

◼ Curare le relazioni imprenditoriali: a fiducia come asset aziendale ………………. 10

◼ L’accoglienza come pratica fecondante ……………………………………………. 12

◼ La comunicazione positiva come strumento di lavoro ……………………………… 14

◼ Crescere con il pianeta ………………………………………………………………… 16

◼ Nuovi strumenti di fiducia e responsabilità ………………………………………….. 18

◼ Condividere le difficoltà: il valore dell’esperienza ………………………………….. 20

◼ Puntare sulle persone …………………………………………………………………. 22

◼ Il potere trasformativo del dono ………………………………………………………. 24

◼ Reti digitali per allargare mercato e solidarietà ……………………………………… 26

◼ Le capacità come strumento di crescita ……………………………………………… 28

◼ Condividere le rinunce …………………………………………………………………. 30

◼ Analizzare nuove strategie …………………………………………………………….. 32

◼ Una economia sempre più circolare ………………………………………………….. 34

◼ La serenità aziendale e personale ……………………………………………………. 36

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Essere in grado di ammettere l’imperfezione, considerarla parte integrante di un oggetto può essere una scelta eti-ca, diventare una peculiarità intrinseca e trasformarsi in una pratica aziendale e filosofia di vita. In un momento di emergenza è un’opzione da considerare: un gesto di umiltà e di generatività. Ci vuole elasticità mentale per avere la capacità di leggere questo aspetto del cambia-mento. È quello che pensa Livio Bertola, proprietario di un’azienda cuneese di cromatura, leader del settore in Italia e con molte commesse dall’estero. Davanti ad un reso di pezzi considerati “imperfetti”, per dettagli invisibili ad occhio nudo e che non compromettevano in nessun modo la qualità, si è posto una domanda. Perché spreca-re tutto questo lavoro e l’impiego di tempo e materiali? «Si trattava di difetti così impercettibili da poter essere visti solo con una lente d’ingrandimento. Ho scritto all’a-zienda committente che avrei rispedito i pezzi così com’e-rano. Non li avrei rifatti un’altra volta. La cromatura di alto livello è un processo impegnativo, oneroso e soprattutto, con un elevato impatto ambientale. L’ossessione per la perfezione è un nonsense della nostra epoca. In un mo-mento delicato come questo, chiedere all'impresa e ai suoi lavoratori di rifare dei pezzi, quando dovrebbero la-vorare il meno possibile e solo per le cose fondamentali, è assurdo. Tutto perché non siamo disposti ad ammettere l’imperfezione. Siamo ossessionati da tutto ciò che non

ha difetti. Ma cosa nascondono, spesso, le cose senza difetti?». Il più delle volte processi molto lunghi, agenti inquinanti, alti costi, non solo economici. Se non sono le marmitte delle moto, sono le mele, senza una macchia ma piene di pesticidi o gli abiti di alta moda, indossati da modelle insalubremente magre e standardizzate. «Con calma, ma anche con estrema chiarezza, sto cercando di far capire ai miei committenti, imprenditori come me, che la perfezione è una ossessione estetica errata e che biso-gna educare anche il cliente ad un modo nuovo di vedere le cose. Anzi, è proprio un piccolo segno della mano dell’uomo o del suo lavoro, che può rendere unico un og-getto. Sono disposto a perdere le commesse, ma a non cedere su questo valore . Dobbiamo capire che questo sarà un momento di cambiamento, sotto molteplici aspet-ti, compreso quello di rielaborare alcuni dogmi del passa-to». Bertola è anche il presidente di Aipec, una rete nazionale di imprenditori che si ispirano ai valori dell’economia di comunione. Dopo questa riflessione ha deciso di provare a lanciare una campagna per sensibilizzare gli industriali ad un nuovo rapporto con gli oggetti e con il loro concetto di perfezione. L’obiettivo è impegnarsi per proporre una nuova cultura dello scarto, nonché dare valore al lavoro come pratica umana di fatica e a cui va dato tutto il rispet-to possibile.

◼ RIVALUTARE LA CULTURA DELLO SCARTO LIVIO BERTOLA | BERTOLA SRL

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Lo scarto genera spreco e lo spreco è un concetto che sempre meno si confà con le esigenze della nostra socie-tà e del mondo moderno, sovrappopolato, inquinato e di fronte alla crescente penuria di risorse. Non possiamo più permetterci il lusso e la leggerezza di sprecare perché da un lato non sappiamo cosa ci riserva il futuro, mentre dall’altro, siamo chiamati a non far lavorare nessuno inu-tilmente. Così dubitare che la perfezione stessa possa davvero avere luogo diventa una scelta etica. Sprecare è un verbo ammantato di inutilità e, se rapportato alla storia dell’umanità, ha un presagio funesto. Molte società che hanno sprecato in passato, hanno pagato cara questa leggerezza. Basta pensare alla civiltà dell’isola di Pasqua, la cui estinzione sarebbe stata provocata dallo sfrutta-mento scellerato delle risorse naturali dell’isola, in buona parte “sprecate” per trasportare le enormi statue di roccia - i moai, richiamo agli dei - che ne testimoniano, oggi, l’e-sistenza passata. Tornando ai giorni nostri, la prima iniziativa europea con-tro lo spreco si è realizzata nel 2010 grazie alla Commis-sione agricoltura dell’Unione europea. Allora si parlava di come ridurre lo spreco alimentare, che in Italia corrispon-deva a 12 miliardi di euro l’anno finiti nella spazzatura, sufficiente a sfamare l’equivalente di circa 636.000 perso-ne. Oggi si pensa invece alla vita degli oggetti. Nel novembre del 2019 è stata approvata dalla Commis-sione europea una legge che va in questa direzione, re-

golamentando la progettazione ecocompatibile, l’efficien-za energetica e la riparabilità degli elettrodomestici. Al fine di allungare la durata degli apparecchi, vengono pro-poste misure di progettazione che li rendano riparabili, garantendo allo stesso tempo la disponibilità di pezzi di ricambio per un periodo di 10 anni dopo l’acquisto e con un tempo di consegna di 15 giorni. Si calcola che in que-sto modo verranno risparmiati 46 milioni di tonnellate di CO2 all’anno e che i consumatori risparmieranno una me-dia di 150 euro ogni 12 mesi e le imprese non diminuiran-no il lavoro ma lo aumenteranno in virtù di nuovi utilizzi dei materiali e dei processi nel contesto dell’economia circolare. Un esempio per capire meglio di cosa parliamo è quello offerto dalla ditta altoatesina Salewa, che produ-ce abbigliamento sportivo. In piena emergenza Coronavi-rus ha deciso di riconvertire parte della produzione per assemblare mascherine e camici protettivi idrorepellenti per il personale medico, utilizzando gli scarti di tessuto delle sue lavorazioni. Un gesto importante, utile e che per l’azienda ha significato dare un nuovo uso a materiale che invece poteva essere sprecato. Inoltre, la capacità di dialogare con i propri partners com-merciali - soprattutto in questa fase delicatissima dell’eco-nomia nazionale e mondiale - su cosa sia da considerare o meno “scarto” in questo momento, è una strategia che sul lungo periodo potrà dare i suoi frutti. Essere resilienti significa anche avere la lungimiranza e rivedere il proprio concetto di scarto e allo stesso tempo fare le cose al pro-prio meglio, sapendo che una seconda chance può costa-re a tutti molto cara.

FARNE UNA BUONA PRATICA

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Nel post-emergenza le micro attività di acconciatura ed estetica potrebbero dover affrontare una contrazione del lavoro causata da minore propensione alla spesa e dalla difficoltà di gestione degli spazi chiusi. La CNA - confede-razione nazionale dell’artigianato - sta riprendendo una proposta a cui lavora da alcuni anni; l’affitto e la condivi-sione della poltrona o della cabina per parrucchieri ed estetisti. Soluzione nata nel mondo anglosassone, negli Stati Uniti prende il nome di “booth rental station” e permette di oc-cupare e condividere una postazione in un qualsiasi salo-ne da parrucchiere, a patto di arrivare con un proprio pac-chetto clienti consolidato. Il fenomeno delle “station” si è esteso poi anche al mondo dell'estetica. In Europa sono sorte in Francia, Inghilterra, Germania e Belgio mostran-do, anche nel nostro mercato comunitario, notevoli van-taggi. Questa condivisione di saloni permette infatti, oltre all’abbattimento dei costi di affitto e delle utenze, anche l’emersione da una situazione di irregolarità. Nel caso dell’Italia questo risvolto si rende particolarmente coeren-te con la situazione esistente. Nel nostro Paese infatti una situazione molto diffusa e che crea concorrenza slea-le nel settore è proprio la prestazione a domicilio non re-golamentata: un fenomeno che si è radicato in seguito alla crisi economica del 2008, soprattutto nei settori ac-conciatura ed estetica. Spiega Giuseppe Sciarrino, re-

sponsabile regionale area benessere CNA «Stiamo cer-cando di promuovere l’affitto della poltrona o della cabina da alcuni anni. Ora con la crisi economica a cui dovremo far fronte nel post emergenza siamo ancora più convinti che sia un’ottima pratica da mettere in campo per per-mettere a tutti di lavorare onestamente. Con la condivisio-ne dei saloni, inoltre, ci sarà un abbattimento dei costi per i professionisti, che si tradurrà in prezzi più concorrenzia-li». Come funziona nella pratica? L’affitto della poltrona o della cabina è un contratto attraverso il quale l’acconcia-tore o l’estetista locatore concede in uso una parte dei locali nei quali svolge l’attività, a favore di altri soggetti, acconciatori o estetisti. Questi, per poter esercitare rego-lare attività, devono essere in possesso della qualifica professionale, oltre ad aver esercitato un apprendistato. Il contratto poi regolamenta diversi aspetti, dall’ammontare del canone totale a cosa è compreso nell'affitto. Si può decidere di mettere a disposizione delle attrezzature, di condividere alcune spese e addirittura il personale, di acquistare prodotti in comune, condividere il sistema di prenotazione o campagne di marketing. Le spese comuni come la quota dei consumi energetici, la pulizia dei locali o le spese condominiali sono condivise. «In pratica chi decide di condividere un salone può svolgere la propria attività disponendo solo dell’abilitazione professionale».

◼ SUPERARE IL CONCETTO DI CONCORRENZA GIUSEPPE SCIARRINO | CNA BENESSERE

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Collaborare e condividere è sempre un’arma vincente, ma lo è ancora di più quando si attraversa una crisi. La condi-visione è un metodo che permette di abbattere costi e sprechi allo stesso tempo, massimizzare l’utilizzo di un bene ma anche le spese ad esso legate, nonché la possi-bilità di avvalersi di economie di scala e di fare uso di beni e servizi comuni che singolarmente potrebbero essere troppo onerosi. Nella Cuba degli anni ‘90, per fare un esempio, quelli che vengono definiti in lingua locale manitas (aggiustatutto, ndr.), non avevano la possibilità di lavorare da casa - spesso sovraffollata di familiari - ma nemme-no le capacità per far fronte alle, seppur modeste, spese di un locale in cui svolgere l’attività lavorativa. Il governo decise così di creare dei centri di aggregazione suddivi-si per professionalità, dove manitas, ma an-che barbieri, parruc-chieri o estetisti, po-tessero esercitare la

professione, abbattendo i costi di gestione, luce e anche trasporti. Dopo la fine del Periodo especial, queste moda-lità di condivisione hanno continuato a esistere e alcuni centri si sono trasformati nel tempo in veri e propri saloni di bellezza o poli di riparazione. Per farne una buona pratica vanno comprese le cause che hanno impedito finora in Italia la diffusione di questa modalità di condivisione. Da un’analisi del CNA e di Con-fartigianato, emerge che nel settore della micro imprendi-toria legato al benessere, esiste una elevata competizio-ne e una difficoltà al lavoro collaborativo causata da una tendenza a vedere con diffidenza gli altri professionisti concorrenti. La paura di perdere clienti è stata finora alla base di questi atteggiamenti di chiusura che tuttavia è più caratteristica della cultura italiana mentre trova un diverso

approccio in molti altri Paesi del mondo in cui le attività commerciali sono spesso collocate per categoria tutte in-sieme in zone delle città dedicate a loro. Questa modalità inve-ce di aumentare la rivalità e la concorren-za, riesce a creare poli con maggiore specia-lizzazione e pratiche di collaborazione e di mutua proliferazione.

FARNE UNA BUONA PRATICA

Collaborazione è condividere risorse semplici per risolvere

obiettivi complessi

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Dare la possibilità alle mamme o ai papà di portare i pro-pri figli a lavoro, sia che l'emergenza sia il Covid 19 o un evento contingente. Può capitare di non poter lasciare i bimbi a scuola ma nemmeno a casa, ed è per questo che l'imprenditore umbro Gianni Cicogna, 58 anni, fondatore nel 2016 dell'azienda di software Smartpeg, ha cambiato destinazione d'uso alla sala conferenze. «Da quando so-no state chiuse le scuole a fine febbraio si è presentato il problema delle lavoratrici e lavoratori con bimbi a casa. Avrebbero voluto continuare a lavorare ma non avevano nessuno che li potesse guardare. Così la nostra sala riu-nioni è stata trasformata in una Kids room per i bambini. Le nostre mamme o papà hanno a disposizione delle po-stazioni di lavoro e al tempo stesso stanno con i loro pic-coli, che giocano, leggono, dormono. Vedere dei bambini nella sala riunione, tra l’altro, mette allegria». Allegria, ma non solo. Le mamme e i papà sono psicologicamente sereni se sanno che i piccoli possono stare al loro fianco, anche mentre lavorano. La Kids room non è altro - per ora - che una sala da 60 metri quadrati con postazioni di lavoro adeguatamente distanziate e uno spazio sufficien-te per ospitare fino a quattro bimbi, con i loro giochi. A fianco alla Kids room, un’area più riservata dove possono mangiare e dormire. L’azienda si trasforma quindi in un luogo di accoglienza, in cui i lavoratori e le lavoratrici si sentono parte di una

realtà che non li vede solo come meri esecutori di man-sioni, ma veri e propri protagonisti: con le loro vite, le loro famiglie, i loro bambini. «La Kids room - continua il presi-dente Cicogna - continuerà anche dopo l’emergenza del Coronavirus, perché ha creato un valore positivo per la nostra impresa».

◼ PORTARE I FIGLI AL LAVORO - LA KIDS ROOM GIANNI CICOGNA | SMARTPEG

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Una kids room non è propriamente un asilo aziendale, è un servizio di emergenza, che permette di stare con il proprio bambino se è impossibile portarlo a scuola per una qualche ragione. In tempi di emergenza Covid-19 - in cui gli istituti educativi, con buone probabilità, saranno l’ultimo servizio a riaprire - avere uno spazio di questo tipo a disposizione dei propri dipendenti è una soluzione che può portare benessere e ripercussioni positive sia in termini di permessi non richiesti, che di rendimento. Un modo, in questi tempi difficili, per dimostrare che l’azienda è vicina alle famiglie e che può essa stessa essere una spazio da considerare familiare. Già nel 1934 Adriano Olivetti aveva progettato, dentro la fabbrica delle Officine H, a Ivrea, una zona adibita per i bambini dei dipendenti. Nel 1942 inaugurò il primo asilo nido d’Italia che fino al 2017, ha accolto i figli di numerose aziende del territorio. L’obiettivo, di allora e di adesso, è quello di favorire il più possibile l’integrazione fra vita la-vorativa e vita familiare, specialmente per le coppie di giovani genitori che affrontano i primi anni di vita dei loro pargoli. In Italia, tuttavia, gli asili aziendali non sono una pratica molto diffusa, anzi: sono pressoché appannaggio di alcuni grandi gruppi come Banca San Paolo, Pirelli, Unicredit e Ferrero. Una kids room, invece, è un servizio perfetto per le aziende medio-piccole, che non prevede investimenti importanti. Basta infatti attrezzare uno spazio adatto ad accogliere dei bambini: senza spigoli, rivesti-

menti morbidi, tappeti, qualche giocattolo e un po’ di libri. Le scrivanie dei genitori possono essere collocate nell’al-tro lato della stanza rispetto all’area giochi, di modo che ci sia separazione ma anche la possibilità di controllare da lontano. In uno spazio separato ma adiacente si può ap-prontare la zona notte e cibo. Secondo la Great place to work - società internazionale di consulenza in ambito risorse umane - nella classifica mondiale delle multinazionali in cui si lavora meglio, an-che dal punto di vista dei servizi interni forniti ai dipenden-ti, l’azienda Google è al primo posto per il quarto anno consecutivo. Questa speciale agenzia di rating investiga da anni, attraverso ricerche e analisi specifiche, i parame-tri con cui i dipendenti valutano il proprio benessere lavo-rativo. Oltre al rapporto fra questi ultimi e i loro capi, i compensi, il riconoscimento dell’impegno e i meriti, un aspetto centrale delle survey è risultato essere stretta-mente collegato allo spazio aziendale: più questo è adatto ad accogliere la vita dei lavoratori al suo interno, più que-sti hanno una percezione del tempo che trascorrono a lavoro come “proprio” e piacevole. L’azienda Google, ad esempio, dà la possibilità ai suoi dipendenti di portare il cane in ufficio, fornisce molti e diversi spazi per praticare sport, serve tre pasti al giorno gratuitamente cucinati da chef gourmet e garantisce il trasporto da e per casa con una serie di navette speciali.

FARNE UNA BUONA PRATICA

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La fiducia è un fortissimo collante: tiene insieme le perso-ne anche nei momenti più difficili. Non solo: la fiducia e la lealtà possono diventare dei veri propri asset aziendali che danno sicurezza e una base solida per creare un am-biente sociale armonioso, in cui è possibile agire e muo-versi con serenità e senza preoccupazioni. Questo è par-ticolarmente vero in ambito lavorativo e a darne prova è l’atteggiamento di Marco Piccolo, amministratore delega-to della Reynaldi Srl, azienda torinese di cosmesi per conto terzi che produce detergenti e profumeria alcolica. L’azienda, guidata costantemente da un atteggiamento generativo, si è allargata nel tempo, diventando una so-cietà benefit, molto attenta al suo impatto ambientale e al rapporto con i fornitori, i dipendenti e con tutto il mondo che gira attorno all’impresa. «La cura delle buone relazio-ni con le aziende con cui collaboro, i fornitori e i clienti - spiega Piccolo, ha creato negli anni una rete di partner che si basa soprattutto sulla fiducia. Ogni realtà con cui collaboriamo è frutto di un’attenta valutazione e di una conoscenza. Ogni realtà da cui acquistiamo o a cui ven-diamo l’ho incontrata personalmente e ne ho condiviso esperienze e idee. Devo capire le persone con cui ho a che fare: come vivono, cosa gli piace, cosa le preoccu-

pa». In un momento particolare come quello dell’emer-genza Coronavirus, cosa è successo? «Noi produciamo anche gel igienizzante e chiaramente in questo periodo ce ne stanno chiedendo molto. Me lo hanno chiesto aziende che non conoscevo, anche disposte a pagarlo un prezzo più alto. Ho rifiutato: voglio prima di tutto soddisfa-re i miei clienti e fornitori di sempre, perché a loro mi lega un legame profondo, che va al di là dei soldi e dei fattura-ti». La fiducia si crea nel tempo e soprattutto condividen-do, confrontandosi, conoscendosi e scambiandosi gesti pieni di significato. «Nella mia idea di economia, un’a-zienda non deve “aggredire” il mercato, ma deve aiutarlo a svilupparsi ed essere al servizio della comunità in cui opera, oltre che contribuire al benessere dei lavoratori e dei dirigenti».

◼ CURARE LE RELAZIONI IMPRENDITORIALI LA FIDUCIA COME ASSET AZIENDALE

MARCO PICCOLO | REYNALDI SOC. BENEFIT

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Preservare e proteggere i rapporti sociali, sottraendoli alle logiche mercantili, produce quello che gli antropologi chia-mano il valore di legame: un valore che assicura la ripro-duzione delle relazioni sociali - in questo caso delle reti imprenditoriali - ascrivendole alla sfera della reciprocità positiva. In antropologia economica si parla di tre modalità di inte-grazione dell’economia: reciprocità, redistribuzione e scambio di mercato (o commercio calcolato). Tutte e tre possono coesistere all’interno di una stessa società e an-cor più nello specifico due su tre trovano spazio nella vita aziendale, anche se spesso non ce ne rendiamo conto. Sebbene la redistribuzione sia una modalità che spetta principalmente allo Stato e al suo governo - anche se non mancano esempi importanti di strategie redistributive d’impresa, basti pensare a imprenditori del passato come Adriano Olivetti o alle aziende cooperative - abbiamo la tendenza a credere che un imprenditore agisca seguendo solo il valore del profitto e con i tempi dell’immediatezza, ovvero i dogmi dello scambio di mercato. A volte si sotto-stima l’importanza centrale che ha la sfera della reciproci-tà nella vita e nelle reti aziendali. Ma cosa si intende con questo termine? Reciprocità implica una situazione di egualitarismo ed è la forma di scambio più comunemente ricondotta a quelle società dove non esistono, o non esistevano, regole di mercato. Lo scambio avviene seguendo la regola della

simmetria e spesso è la parentela - o altre strette trame sociali - a fornire una sorta di “struttura di riferimento” per le transazioni. Nel famoso libro “L’economia dell’età della pietra”, l’antropologo Marshal Sahlins, distingue tre tipi di reciprocità. La prima è la reciprocità generalizzata, secon-do la quale i soggetti non tengono una contabilità precisa del valore del bene o del servizio scambiato e non si aspettano una contropartita nell'immediatezza. Questo tipo di reciprocità si avvicina molto alla categoria del “dono” e può caratterizzare, per fare un esempio, il rap-porto fra genitori e figli: i primi non tengono il computo esatto di ciò che danno ai secondi, né esigono un rimbor-so immediato (anche se si augurano che avvenga duran-te la loro vecchiaia). La seconda tipologia è la reciprocità equilibrata in cui le parti si scambiano beni o servizi di uguale valore (es. il baratto). La reciprocità negativa, infi-ne, è quella categoria per cui una delle due parti vuole ottenere qualcosa dall’altra, senza dare nulla in cambio o dando meno di quanto richiesto (es. la truffa). Tornando al mondo dell’imprenditoria, si può affermare che la cura delle relazioni imprenditoriali attraverso la co-struzione di un legame di fiducia, rientra nella sfera della reciprocità più che dell’utilitarismo. La ricchezza delle re-lazioni umane e la tenuta del rapporto sociale - special-mente in momenti emergenziali o di profonda crisi econo-mica come quello attuale - è un obiettivo più alto ed è pre-feribile al mero scambio di mercato e il valore del legame e del rapporto umano può in molti casi superare il valore della merce.

FARNE UNA BUONA PRATICA

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Un sorriso può cambiare la giornata. Accogliere con il cuore aperto i clienti, soprattutto quando si ha un ufficio in cui la gente entra a tutte le ore, può essere un modo per creare relazione e andare al di là del semplice gesto della compra-vendita. Ornella Seca, proprietaria di una agenzia di assicurazione a Lanciano, in Abruzzo, da quando è iniziata la diffusione del Coronavirus - e con l’inasprirsi dei decreti che disincentivavano sempre di più il contatto fisico e l’uscire in strada - ha visto le facce dei clienti diventare sempre più tese, preoccupate, pensierose. «Mi spiaceva davvero vedere tutti in quel modo - spiega Seca - e ho pensato che l’unica cosa che avevo per aiutarli nel mio piccolo era fargli un sorriso, incrociare il loro sguardo, dire una parola gentile. Dopo qualche giorno ho notato che le persone iniziavano a fermarsi davanti alla porta, che lascio sempre aperta. Hanno voglia di aprirsi, di scambiare qualche battuta. Prudenti, a volte un po’ diffidenti, ma capiscono la sincerità del mio gesto». Seca lo fa perché per lei è importante dare valore alle persone, a prescindere dal business o che siano entrate nell’agenzia per stipulare un’assicurazione. «Accogli - continua - come vorresti essere accolto. Le persone si tranquillizzano, le loro angosce diminuiscono,

la paura per quello che ha detto la tv si affievolisce poco a poco e si torna a dare valore all’essere umano prima ancora che al cliente. Questo virus ci sta dando una grande possibilità, dobbiamo “accoglierla”: eravamo come un treno in corsa che ha frenato improvvisamente. E ora vediamo di nuovo gli altri e il valore dei piccoli gesti quotidiani».

◼ L’ACCOGLIENZA COME PRATICA FECONDANTE ORNELLA SECA | AGENZIA DI ASSICURAZIONI

Non aver paura di essere gentile anche tu ne hai bisogno

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È facile comprendere come il sorriso sia associato allo star bene. Quando siamo di buon umore, infatti, tendiamo a sorridere più a lungo e in maniera più frequente. Pos-siamo quindi dire che il buonumore porta ad un incremen-to dei nostri sorrisi. Numerosi studi hanno provato però che è vero anche il contrario: esercitarsi a sorridere migliora il nostro umore e riduce il nostro stress, oltre ad avere lo stesso effetto an-che sugli altri. Il legame fra le espressioni del nostro viso e il benessere quindi è una strada a doppio senso di mar-cia. Paul Ekman, uno psicologo esperto di emozioni ed espressioni facciali, nel 1990 ha scoperto che il sorriso di Duchenne (un sorriso “completo”, che coinvolge anche i muscoli involontari della bocca e degli occhi), permette di trovare maggiore piacevolezza in quel che si sta facendo, rilascia ormoni che riducono lo stress e produce un cam-biamento nell’attività cerebrale che corrisponde ad un umore più positivo. Questi risultati sono stati confermati negli anni da altri studi che hanno analizzato le conse-guenze legate all’incremento dei sorrisi, ma anche alla loro riduzione. È stato provato, ad esempio, che l’iniezio-ne di botulino (la sostanza utilizzata in chirurgia estetica per ridurre le rughe di espressione) limita l’espressività del viso e, di conseguenza, la capacità di provare piccole gioie quotidiane, con effetti diretti sul benessere psicologi-co.

Sorridere e accogliere gli altri fa bene al nostro umore e anche la scienza ci dice che dovremmo farlo più spesso. Ma un’altra cosa che dovremmo sapere è che sorridere è contagioso: la sua “capacità di propagarsi” (usando una terminologia infettivologica) è molto alta. Uno studio ha dimostrato che maggiore è il numero di sorrisi che “incrociamo” durante una passeggiata, maggiore è il nu-mero di sorrisi che noi stessi tendiamo a produrre. Inoltre, il fatto di intercettare il sorriso di qualcuno ci fa sentire gratificati e attiva la produzione di ormoni generalmente associati alle esperienze di ricompensa.

FARNE UNA BUONA PRATICA

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La gestione delle comunicazioni e il dialogo in azienda sono sempre stati elementi fondamentali e discriminanti per il benessere lavorativo. Mai come in questa fase emergenziale tuttavia, sono elementi che mostrano tutte le loro potenzialità e il valore che rappresentano: la base di ogni forma di approccio collaborativo e creativo. Lavorare con l’ascolto attivo quotidiano, ad esempio, si-gnifica chiamare, confrontarsi, parlare con empatia a ogni collaboratore e - in un momento di crisi come quella crea-ta dall’epidemia di Covid-19 - far capire che il superiore, il titolare, è lì per aiutare. Maurizio Mastrangelo e Marco Giannantonio, proprietari dell’azienda italo-irlandese Fla-vour of Italy, nel 2008, hanno affrontato, con le loro attività, la prima grande reces-sione economica dell’Irlanda. Un periodo nero, durante il quale l'Unione europea aveva commissa-riato il Governo. I due imprenditori avevano, all’epoca, appena aperto un’impresa di catering con l'obiettivo di promuovere l'eno-gastronomia italiana nella capitale Du-blino. «Anni duri – spiega Mastrangelo – ma che ci hanno insegnato molto. Ci hanno insegnato, ad esempio, a ge-stire bene la comunicazione verso i dipendenti. Un valore che abbiamo coltivato da allora, facendola diventare una prassi della nostra comunicazione aziendale. Oggi, con l’emergenza sanitaria che stiamo affrontando, raccoglia-

mo i frutti di questa buona pratica e siamo consapevoli che un approccio comunicativo positivo è fondamentale in un’impresa». «Ascoltare l'altro: il suo disagio, la sua paura, le emozioni in un momento così critico come quel-lo attuale. Ci è successo all’epoca della Troika ma anche adesso, con l’emergenza Coronavirus». Flavour of Italy, in 15 anni si è ampliata, aprendo due ristoranti e una “academy” che fa percorsi di “Team cooking aziendale”, altro modo questo che contribuisce a creare un buon cli-ma di lavoro attraverso il cucinare insieme. «Parliamo con i nostri collaboratori quotidianamente - continua Giannantonio - ci confrontiamo tutti insieme.

Mettiamo sul piatto le nostre paure, i disagi e diamo la libertà a tutti di decidere cosa fare. Perché tanti di loro non se la sono sentita di

continuare a lavorare o, al contrario, lo preferiscono. Fon-damentale è lasciarli esprimere, metterli nelle condizioni di parlare apertamente». In un momento difficile, ogni parola fuori posto può essere dannosa e una comunica-zione positiva ed empatica, se perseguita come pilastro aziendale, porta a una condivisione d’intenti profonda e trasparente: la chiave vincente per riuscire a superare qualunque emergenza. La tenuta psicologica del personale è infatti il risultato di un lungo lavoro di dialogo e reciproca comprensione.

◼ LA COMUNICAZIONE POSITIVA COME STRUMENTO DI LAVORO MAURIZIO MASTRANGELO e MARCO GIANNANTONIO | FLAVOUR OF ITALY

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Comunicare in modo positivo significa, da un lato, instau-rare uno scambio reciproco e gentile, e dall’altro veicolare messaggi con valenza positiva, anche quando stiamo affrontando delle criticità. Facile a dirsi, ma meno a farsi. Soprattutto quando comu-nichiamo in ambito lavorativo: siamo così concentrati sul-la performance e sul risultato che spesso dimentichiamo le regole base della comunicazione. Non a caso trovare esempi di comunicazione positiva in azienda non è così semplice: un po’ perché, anche laddove esistono, non se ne offre grande visibilità, un po’ perché è un aspetto molto sottovalutato in ambito aziendale. E’ possibile tuttavia applicare questi principi di base per renderla sempre più diffusa, anche sui luoghi di lavoro. Nella comunicazione esistono modi e contenuti. Partiamo dai primi. Ogni volta che abbiamo a mente la possibile reazione del nostro interlocutore, e facciamo il possibile perché essa sia positiva, allora stiamo usando un modo di esprimerci affine a quello della comunicazione positiva. Dobbiamo abbandonare modi forti, battute irrispettose, parole che usano il potere legato alla nostra posizione per ottenere un risultato. Insomma: i modi cortesi e rispettosi sono un must. Come fare? Essere interessati a quel che l’altro pensa, ed esserlo in maniera autentica, ci aiuta au-tomaticamente a predisporci in modalità gentile. Faccia-mo in modo che ogni comunicazione sia un dialogo, un

messaggio che non viaggia a senso unico, ma che si apra anche a raccogliere quello che può “tornare indietro”. E per farlo dobbiamo pensare che il pensiero dell’altro sia meritevole di attenzione, in quanto diverso dal nostro e quindi potenzialmente generatore di uno sguardo nuovo e più ricco. E poi viene il “cosa” comunichiamo. Soprattutto laddove ci troviamo a veicolare dei messaggi critici (come un calo delle vendite o la necessità di impegnarsi maggiormente) è fondamentale identificare anche i risvolti positivi: guar-dare il bicchiere mezzo pieno. Ma se trovare il lato positi-vo non è sempre facile, allora possiamo partire dall’evita-re di usare termini negativi, che rimandano all’impossibili-tà e all’insuccesso: “se riusciamo a fare x, allora potremo ottenere y” è ben diverso da “finché non fate x allora ci possiamo scordare y”. E se questo non bastasse, cer-chiamo di trovare delle alternative alla situazione com-plessa che stiamo affrontando, raccogliendo le idee di tutti. Ultimo, ma non per importanza, forniamo sempre la nostra disponibilità a contribuire, aiutando: spendersi in prima persona per la risoluzione delle difficoltà ci farà per-cepire come maggiormente coinvolti, sinceri e collaboran-ti, e questo a sua volta predisporrà gli altri a fare altrettan-to. Il modello della Comunicazione nonviolenta, ideato dallo psicologo statunitense Marshall Rosenberg può essere un buono strumento da adottare anche in azienda, per mitigare le dinamiche routinarie nelle relazioni e le loro fragilità ma soprattutto per rafforzare la nostra capacità di rimanere umani anche in condizioni difficili.

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Era il 2015 quando Nicoló Penati - giovane imprenditore milanese, fondatore della Zeroduepc, azienda di ripara-zione computer e informatica - ebbe un’epifania. Dopo una tempesta di vento, nel Parco della Versiliana, un’inte-ra foresta di alberi era caduta al suolo, spezzata dalle raffiche. «Mi sono sentito quasi tradito dalla natura - spie-ga Penati - ma poi ho capito che forse era un segno». Un segno come, a distanza di qualche anno, lo è anche l’epi-demia di Coronavirus. «La nostra società è un treno che corre velocissimo e che non sappiamo nemmeno bene dove stia andando. Ecco questa emergenza ha tirato il freno a mano di questo treno. Lo ha obbligato a fermarsi. Noi siamo i passeggeri e ora dobbiamo decidere cosa fare. Vogliamo rimanere a bordo, ci sentiamo sicuri? Pre-feriamo scendere un attimo per ragionare? O vogliamo scendere e abbandonare la corsa, perché forse quel tre-no non riesce più a convincerci?». Così, mentre i milanesi si guardano attorno basiti perché non avevano mai visto la città in quel modo, a Penati viene un’idea, che non è né nuova né vecchia, ma piuttosto un atto simbolico che può dare un significato alla rinascita. «Mi sono sentito perso per un attimo. Un esempio fra tutti? Le chiese chiu-se, non le avevo mai viste. E mi è tornato in mente quell’anno in Versilia, quando dopo il disastro, mi era ve-nuta in mente un’idea, che non ero riuscito a portare

avanti. Piantare un albero per ogni cliente per cui effettuo una riparazione. A spese mie, ma chiedendo una cosa al cliente per cui lo faccio: vorrei che a quell’albero venisse riconosciuto un simbolo. Un nome, un segno, una perso-na, un animale, un defunto, un ex partner, un pensiero, un oggetto. Qualcosa che dia identità all’albero e che li rappresenti». Penati ha cercato il modo di farlo da solo ma dopo esser-si scontrato con la burocrazia ha deciso di cercare qual-cuno con cui collaborare a questa idea, si è documentato e ha individuato un terreno e un partner per realizzare la piantagione e per farla diventare un bosco di rinascita e di consapevolezza del legame tra uomo e natura. «Non voglio più aspettare, non dopo quello che sta accadendo. Sto affinando i dettagli insieme a una Ong che da tempo si occupa di aiutare i contadini nelle regioni rurali dell’In-dia del sud. Lì ci sono delle piantagioni di eucaliptus e teak, piantate dalle tribù e curate dai loro bambini ciechi e sordi. Le piante sono utilizzate dalla comunità per produr-re medicinali e creare benefici anche per l’economia loca-le. Vorrei lavorare con loro per trovare il modo di docu-mentare in tempo reale con un video o delle telecamere la crescita di questa nuova foresta. Fare in modo che le persone possano seguire la crescita della foresta e cre-scere insieme ad essa».

◼ CRESCERE CON IL PIANETA NICOLO’ PENATI | ZERODUEPC

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La compensazione delle emissioni dell’attività umana at-traverso la piantagione di alberi è una pratica che da tem-po viene realizza in tutto il mondo per restituire all’am-biente qualcosa di cui ci sentiamo di averlo privato. La maggior parte delle operazioni industriali aumenta le emissioni di agenti inquinanti nell’atmosfera ma anche il tasso di anidride carbonica, tra i maggiori responsabili dell'effetto serra, che contribuisce al surriscaldamento

globale per il 70%. La CO2 è un elemento prodotto da pro-cessi come la combustione o l’attività dei motori a scop-pio, ma anche da cause naturali come vulcani, geyser, dalla decomposizione degli elementi organici e, infine, dalla respirazione degli esseri viventi. Seb-bene esistano gas serra potenzial-mente più pericolosi, essi sono pre-senti nell'atmosfera in concentrazioni molto minori rispetto all'anidride carbonica. Lo strumento di calcolo più utilizzato per misurare le emissioni di una attività è il GHG Protocol Corporate Standard, lo standard utilizzato a livello internazionale per la valutazione delle emissioni delle lavorazioni professio-nali. Gli alberi e tutti i vegetali in genere fanno parte di un ciclo che aiuta a combattere il cambiamento climatico gra-

zie alla rimozione della CO2 dall’atmosfera, attraverso la fotosintesi clorofilliana e lo stoccaggio del carbonio nella loro struttura. C’è però un limite al carbonio che le piante

possono trattenere e l’anidride continua ad essere con-servata anche nel legno e nei prodotti cartari. Con il riciclo della carta, per esempio, si può contribuire a trattenere il carbonio fuori dall’atmosfera più a lungo. Una ricerca su un browser di internet produce un consumo di 3,5 gr di

CO2 , mentre la produzione di un foglio A4 produce 3,4 gr

di CO2 (fonte Assocarta). Esiste un motore di ricerca internet che trasforma l’attività online degli utenti in piante e utilizza i proventi ricavati dalla pubblicità per riforestare. Si chiama Ecosia ed è una Benefit Corporation che destina l’80% dei suoi ricavi per piantare alberi; dal 2009, anno della sua fondazione, in-

sieme al WWF, ha fatto crescere oltre 87 milioni di piante in diverse nazioni del mondo. Per la piantagione diretta di alberi, oggi esistono diverse società che permettono di farlo in grande o piccola scala. L‘organizzazione che pianta alberi insie-

me ai contadini indiani è la SEMI Onlus, un membro della rete italiana della positività Mezzopieno che ha realizzato questa pubblicazione e che utilizza questo programma per la compensazione ambientale delle sue emissioni. Una delle iniziative on-line più attive è Treedom, un sito internet che permette a chiunque di piantare un albero a distanza in differenti parti del pianeta. Con una spesa tra i 15 e i 70 euro si possono scegliere il tipo di albero e il Paese in cui piantarlo. Gli alberi possono essere piantati in nove nazioni (tra cui l’Italia) e per la piantumazione vengono coinvolte le comunità locali.

FARNE UNA BUONA PRATICA

Gli alberi sono le colonne del cielo

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Si fa presto a dire “lavoriamo da casa”. Non tutte le im-prese sono pronte a farlo, non per tutte vale lo stesso metodo e nemmeno i lavoratori e le lavoratrici, spesso, sanno come organizzarsi. Gianni Cicogna è fondatore di un’impresa informatica - la Smartpeg - che fin dagli albori della sua nascita, nel 2016, ha fatto dello smart work uno dei pilastri por-tanti. «Non ho mai messo l’obbligo di timbratura - spiega Cicogna - perché ho sempre pensato che bisogna pun-tare sulle persone. Noi produciamo software, quindi siamo un’azienda che può permettersi di fare molto lavoro da casa, per venire incontro alle esigenze dei lavoratori e delle lavoratrici. Certo non per tutti i settori è realizzabile, ma credo che gli imprenditori, quando pos-sono, dovrebbero incentivare questa pratica. Il perché è presto detto: dare la responsabilità a chi lavora, della gestione del proprio tempo, significa va-lorizzare la persona». Lavoro a distanza o lavoro agile significa anche cambiare i classici rapporti aziendali lineari e verticali, comprendere nuove procedure e gestire diversi modelli relazionali. Cer-to, i settori IT e ICT sono agevolati in questo, ma non

sempre sfruttano questa metodologia e ancora meno a volte fanno altri settori che dallo smart work potrebbero trarre forti benefici. Il risultato? Ai tempi del Covid-19, hanno sofferto il cambiamento, si sono trovate spiazzate, hanno perso tempo per la riorganizzazione e spesso han-

no dovuto ricorrere a consulenze af-frettate per adeguarsi. Meglio iniziare fin da subito: dare la libertà, quando si può, ai propri dipendenti di lavorare da casa, senza l’obbligo di timbrare il car-tellino, è un atto di fiducia che può aprire la strada a conseguenze positi-ve inaspettate. Naturalmente il lavoro agile non è sempre applicabile ed è importante valutare pro e contro di una scelta in questa direzione, non tutti i settori si prestano allo stesso modo e non tutte

le attività ne ricavano i medesimi benefici. È compito della organizzazione lavorativa quello di trovare i campi in cui una separazione con il luogo di lavoro tradizionale possa portare vantaggi e favorire il lavoratore e l’impresa allo stesso tempo, magari migliorando l’impiego delle risorse e qualche loro potenzialità nascosta.

◼ NUOVI STRUMENTI DI FIDUCIA E RESPONSABILITA’ GIANNI CICOGNA | SMARTPEG

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Termini come complessità, gestione della fiducia e gover-nance vengono utilizzati sempre più frequentemente nella vita aziendale. Il concetto "creazione di valore" sta inizian-do a prendere sempre più spesso il posto di obiettivi co-me "produttività" e "profitto". Quando le nostre organizza-zioni non creano benessere per le persone, per la società o per l’ambiente, significa che non stanno interpretando un ruolo etico nel mondo e che non sono calibrate in mo-do tale da favorire uno sviluppo di valore sostenibile. Questo significa che in alcuni casi, e soprattutto in un mo-mento di crisi come quello attuale, può essere necessario cambiare l’approccio ai metodi di lavoro e revisionare le strutture comunicative e organizzative, budget e sistemi di ricompensa, per alleviare gli effetti di sofferenza sociale, ambientale, relazionale e psicologica che l’economia rigi-damente capitalista in alcuni casi può creare. Le piattaforme tecnologiche stanno innovando il concetto di lavoro e permettono un’integrazione prima impensabile tra realtà diverse: rendono costruttive potenziali relazioni inesplorate e ottimizzano alcune risorse e la collaborazio-ne. Tra queste innovazioni, lo smart working o lavoro a distanza si è reso uno strumento indispensabile per effet-to del Coronavirus e per alcune attività rappresenta un vero e proprio cambio di prospettiva. Riuscire a lavorare da casa può portare a una ottimizza-zione significativa dei costi e dei tempi di trasporto ed ha un immediato impatto ambientale positivo, permettendo in

alcuni casi una conciliazione con le esigenze familiari e un miglioramento del rapporto tra lavoro e vita. Per rima-nere felici, sani e produttivi anche in pigiama, tuttavia, non basta una tecnologia che lo permetta ma è fondamentale l’apprendimento di un nuovo metodo di lavoro in cui la componente comunicativa è il punto più sensibile. In man-canza di contatti personali, il modo di comunicare si modi-fica ed è indispensabile un lavoro di approfondimento e di organizzazione finalizzati a non perdere i benefici e l’im-portanza del contatto interpersonale. L’impossibilità di comprendere e gestire in modo umano le emozioni è un elemento che va gestito con una organizzazione degli strumenti e dei metodi comunicativi molto attenta e finaliz-zata alla persona, prima ancora che al processo. In questa nuova dinamica aziendale la fiducia diventa sempre di più un elemento chiave e anche la gestione delle relazioni, dei processi decisionali e di delega sono chiamati a modellarsi su un ruolo crescente e valorizzante della responsabilità. Anche i modelli di leadership sono coinvolti e richiedono di modificarsi di conseguenza, in modo che il ruolo umano non venga sminuito ma valoriz-zato da un uso incrementato della tecnologia. Alcune aziende, dopo aver sperimentato il telelavoro in tempo di Coronavirus, stanno pensando a tempi dedicati per questa pratica, ad esempio un giorno alla settimana fisso, per permettere ai propri dipendenti di organizzarsi e di costruire una consapevolezza dei nuovi strumenti, im-parando a stabilire i giusti confini tra lavoro e vita dome-stica e per favorire nuovi modelli di benessere dei lavora-tori, mantenendo la qualità e la soddisfazione del lavoro.

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Condividere le difficoltà, le conoscenze sulle dinamiche delle crisi e collaborare. In questo momento è importante mettere a disposizione degli altri le proprie esperienze e tutte le capacità che abbiamo. Per questo un gruppo di ex imprenditori in pensione ha deciso di creare un’assisten-za telefonica per imprenditori e lavoratori autonomi in dif-ficoltà che li aiuti a sentirsi meno soli e che li accompagni, passo passo, nel valutare delle soluzioni per la propria azienda o attività. Non è un’idea nuova ma oggi ritorna utile più che mai. Nata nel 2016 per opera dell’associa-zione San Giuseppe Imprenditore (ASGI) con il nome di Telefono Arancione. Una linea telefonica, attiva dalle 7 del mattino a mezzanotte, dal lunedì al sabato. Come funziona? Gli operatori, una volta registrati i dati della chiamata, passano il caso a uno dei tre soci ex-manager anziani di ASGI, fra cui Lorenzo Orsenigo, fondatore dell’associazione, a sua volta imprenditore di lunga data, anche lui con un fallimento aziendale alle spalle. «Fra il 2008 e il 2012 - spiega Daniele Garavaglia, re-sponsabile della comunicazione di ASGI - l'Italia ha regi-strato un alto tasso di suicidi di imprenditori. La crisi ave-va portato parecchie realtà ad avere bilanci in rosso, de-biti, istanze di fallimento, pignoramenti e problemi di in-solvenza». La spirale negativa in cui si rischia di cadere, in questi casi, abbraccia diversi ambiti e ha ripercussioni nelle relazioni, nella vita familiare e sull’equilibrio psicolo-

gico. «I nostri operatori si sono trovati davanti casi dram-matici - continua Garavaglia - di persone che avevano perso tutto e che sono finite a dormire in macchina. Casi difficili ma che abbiamo sostenuto, anche psicologica-mente, e che abbiamo aiutato nel trovare una ri-collocazione lavorativa». Non tutti i “pazienti” del Telefono Arancione si trovano a un punto di non ritorno. «Alcuni hanno bisogno di supporto umano e di una consulenza. Specialisti, tra cui avvocati e commercialisti, accompa-gnano l’imprenditore nelle decisioni difficili, come la pro-cedura di fallimento, oppure gli presentano possibilità alternative a cui magari non aveva pensato. Per fare tutto questo non ci facciamo pagare: il nostro è un servizio gratuito e volontario». Sandro Feole, commercialista, ha uno studio di consulenza aziendale e in questo momento lavora 17 ore al giorno cercando di dare buoni consigli per orientare i suoi clienti. Feole è particolarmente preoc-cupato per il settore della ristorazione e così, assieme ad alcuni colleghi, ha aperto il sito helpristoratore.it per forni-re consigli che aiutino questo settore ad affrontare questo momento di chiusura forzata. «Cerchiamo di far sì - spie-ga Feole - che gli imprenditori del food and beverage non gettino la spugna. Forniamo consigli e consulenze gratui-te perché è arrivato il momento in cui ci dobbiamo mette-re una mano sul cuore e regalare un po’ del nostro tempo affinché l’economia del paese possa riprendersi».

◼ CONDIVIDERE LE DIFFICOLTA’: IL VALORE DELL’ESPERIENZA DANIELE GARAVAGLIA | ASS. SAN GIUSEPPE IMPRENDITORE

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Scongiurare il punto di non ritorno, per un’impresa che sta vivendo un periodo di crisi economica, è il primo e più importante obiettivo da perseguire. La posta in gioco è alta perché ne va del proprio stato economico, familiare e psicologico, e gli imprenditori devono fare attenzione a non compiere scelte avventate, ma piuttosto imparare ad avere piena e perfetta consapevolezza dei numeri dell’a-zienda: per cosa si spende, quanto si spende, come arri-vano i soldi e quando. L’emergenza Covid-19 ha significa-to, per molti settori e trasversalmente alla tipologia di im-presa, la riduzione improvvisa e significativa degli ordini, con conseguente calo degli incassi, della liquidità, l’im-possibilità di rispettare gli impegni bancari, la paura dei dipendenti che porta ad assenze sul lavoro e i timori dei clienti e dei fornitori. A tutto ciò si aggiunge la difficoltà, per molte aziende, nella consegna e nell’approvvigiona-mento di beni e servizi. Le azioni da intraprendere per mantenere il controllo della situazione sono diverse e su molteplici fronti, oltre che diverse da caso a caso: dalla ricerca di fornitori alternativi fuori zona, alle ferie per i di-pendenti, alla cassa integrazione nei casi più estremi, alla riduzione della produzione e delle vendite o a strategie di riconversione. Bisogna, poi, controllare la filiera in cui si è inseriti e capire chi e quanto sta subendo, o subirà, rallen-tamenti o blocchi di produzione: una telefonata per capire la situazione e chiedere come stanno vivendo questo pe-

riodo, oltre che un gesto di attenzione, può aiutare ad avere le idee più chiare e a pianificare meglio. E’ necessario fare i conti e dare una dimensione a ogni cosa, stime, proiezioni. Quanto non incasserò? Quali fat-ture non riuscirò ad emettere? Controlliamo le banche: cosa e per quanto non riuscirò a coprire? Il governo po-trebbe mettere in campo diverse misure per alleviare il debito nel privato, ma giocare in anticipo permette di non farsi trovare impreparati e avere sorprese. Costi fissi e variabili: dei primi, cosa si può rinviare? Dei secondi inve-ce, quali possono essere cancellati? E così via, percor-rendo tutta la fitta rete di comparti interdipendenti che ten-gono assieme il sistema aziendale. Una regola d’oro, come sempre, è la comunicazione posi-tiva e costruttiva, la chiarezza: il personale, i fornitori, i clienti, sono confusi e spaventati dagli scenari futuri, an-cora tutti da disegnare. Essere tempestivi e circostanziati permetterà di avere una situazione più chiara e di deli-neare le azioni da intraprendere in maniera precisa e cali-brata. Così facendo la ripartenza aziendale, per tutti, può essere un processo governabile. Comunicare con traspa-renza e positività, infine, contribuirà a creare un clima di-steso e in cui la solidarietà e la disponibilità a collaborare verranno messi al primo posto. Perché l’azienda è come una barca: va avanti solo se si rema tutti insieme.

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Appena scoppiato l’allarme Coronavirus molti hanno inco-minciato ad avere paura di contagiarsi e di andare al la-voro, soprattutto quando a contatto con il pubblico. Ro-berto Arimondo, titolare di una società che gestisce diver-si supermercati nella riviera ligure di ponente, ha pensato a come avrebbe potuto garantire la sicurezza ai suoi di-pendenti e allo stesso tempo la continuazione delle attivi-tà. «Ho scritto una lettera ai dipendenti e gli ho promesso che saremmo stati uniti in questa sfida. Oltre ad acquista-re immediatamente mascherine e protezioni in abbondan-za e per tutti, abbiamo montato cabine in plexiglass in tutti i reparti e alle casse. Subito abbiamo analizzato le situazioni più vulnerabili e per loro abbiamo creato delle soluzioni personalizzate, come spostare il personale più anziano a mansioni meno a contatto con il pubblico e poi i più fragili o i portatori di sindromi, a lavori all’aperto o in orari notturni, in modo da non sottoporli alla possibilità di contagio. Nessuno deve rischiare». L’azienda ha poi seguito il bisogno di effettuare le conse-gne a domicilio ed ha stretto una collaborazione con una cooperativa per occuparsi di questo. «Non penso che sia tuttavia una pratica buona a tutti i costi - dice Arimondo - gli spostamenti e i costi sono molto alti, soprattutto am-bientali. Dal punto di vista aziendale non è una prassi che mi sento di favorire al di fuori del servizio che può rappre-

sentare per categorie in difficoltà. Per ogni cambiamento aziendale dovremmo analizzare sempre anche l’impatto che ha». In un’altra zona d’Italia, in piena pandemia, i supermercati Alì di Padova, in controtendenza rispetto ai concorrenti e al mercato, hanno intrapreso la strada di assumere 160 nuovi lavoratori. Il gruppo ha deciso di puntare sulla logi-stica per affrontare la fase attuale di mercato e per inve-stire sul futuro. Non più appalti da ditte esterne ma d’ora in avanti, la gestione diretta del magazzino centrale. Le assunzioni sono state concordate con i lavoratori e i sin-dacati e puntano ad un miglioramento della condizione lavorativa con un'innovazione della catena dei rifornimen-ti, ad efficientare la filiera e ridurre la precarietà con as-sunzioni a tempo indeterminato. «Siamo convinti – spiega Gianni Canella, vice-presidente del Gruppo – che la sta-bilità occupazionale e il benessere dei nostri collaboratori siano gli strumenti privilegiati per migliorare ancora di più il servizio ai nostri clienti». L'internalizzazione dei servizi è una scelta coraggiosa che guarda al futuro prima ancora che al presente ed ha il vantaggio, in un momento delicato come quello che si prospetterà nei prossimi mesi, di una più diretta e flessibi-le gestione delle scorte e delle risorse.

◼ PUNTARE SULLE PERSONE ARIMONDO S.r.l | ALI’ SUPERMERCATI

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◼ MEZZOPIENO | BUONE PRATICHE AZIENDALI AI TEMPI DEL CORONAVIRUS 23

Il (super)mercato non è solo lo spazio dove rifornirsi di beni di prima necessità ma anche luogo di incontro e di relazioni. Pur vivendo in grandi città il nostro quotidiano si snoda tra piccoli spazi delimitati e il (super)mercato, quanto più innervato e vivificato da queste relazioni, tanto più si identifica con il cuore della comunità. Anche se re-golamentati con entrate programmate, i mercati sono e resteranno luoghi di incontro per chi ricerca, in fila, lo sguardo dell’altro, al di sopra di mascherine di protezione. Le regole imposte per la sicurezza di chi vi lavora e di chi vi entra devono comunque fare i conti con quella disponi-bilità e ricerca di familiarità che erano entrate nel mondo della piccola e grande distribuzione in nome di una cultu-ra customer-centered. L’orientamento più consapevole da parte delle persone verso un’economia circolare, la trac-ciabilità dei prodotti, la sostenibilità, hanno contribuito a ripopolare quartieri e città di “mercati” alla riscoperta di relazioni forti e identitarie e soprattutto fiduciarie. Le immagini che arrivano in questi giorni dai supermercati del mondo rimandano messaggi opposti di clima e benes-sere organizzativo. File ordinate e scaffali pieni, ma an-che code scomposte e scaffali vuoti che innescano psico-logicamente sentimenti di paura, egoismo e competitività. L’attenzione alle persone dei supermercati Arimondo par-te proprio da questa considerazione: dai collaboratori de-

rivano la fiducia e il benessere di chi vi entra. I gesti e i comportamenti delle persone che lavorano in un luogo trasmettono la tranquillità e il senso di sicurezza che si trasferiscono dal cliente all’intera comunità. Dal benesse-re dei lavoratori deriva il clima percepito e la positività che orienteranno il cliente nei suoi comportamenti di acquisto. La sollecita predisposizione di dispositivi di sicurezza di Arimondo S.r.l. per i suoi collaboratori si riversa immedia-tamente sul cliente, persona che riceve attenzione nel suo diritto alla salute e alla sicurezza. Correlato significativamente a questo è il caso di Alì Su-permercati: l’attenzione alla persona è riconoscimento e rispetto della dignità di ogni uomo e donna che lavora. Adriano Olivetti eredita questo insegnamento dal padre Camillo e quando la sua azienda sperimenta una crisi di sovrapproduzione e magazzini pieni per una temporanea difficoltà di mercato, non solo non manda a casa i lavora-tori in esubero (500) ma assume ancora più commerciali e apre nuove filiali in Italia e all’estero, salvando l’impre-sa. La scelta di Alì Supermercati va in questa direzione: quando il benessere della persona è al centro delle scelte economico-produttive e l’impresa è considerata una cellu-la vitale e integrata della comunità, allora la finalità di con-servare il lavoro alle persone è una scelta naturalmente perseguita con determinazione. Il coinvolgimento del sin-dacato è un altro elemento importante perché segno di consapevolezza e maturità di una cultura imprenditoriale partecipativa e inclusiva del territorio.

FARNE UNA BUONA PRATICA

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Quando si vive un’emergenza, la prima cosa che si può fare, se si è mossi dal desiderio di aiutare, è mettere a disposizione degli altri quello che si ha o che si sa fare. La Leroy Merlin Italia S.r.l., da quanto è iniziata l’emer-genza per la pandemia, ha prestato ascolto a tutte le ri-chieste di aiuto che le sono arrivate. L’azienda da una decina di anni a questa parte ha creato un programma di “responsabilità sociale d’impresa” attraverso numerose azioni proprie dell’economia civile, che comprendono la valorizzazione del capitale economico, ambientale, socia-le e umano. Le azioni sono progetti in collaborazione con associazioni, enti pubblici, cooperative e comunità che sono andate integrando i punti vendita nei territori in cui sono dislocati. Ciò si è rivelato particolarmente utile in questo momento di crisi, perché l’azienda è stata ricono-sciuta da questi attori territoriali come un’interlocutrice a cui chiedere aiuto. «Sono iniziate ad arrivare alcune ri-chieste - racconta Luca Pereno coordinatore dei progetti di responsabilità sociale dell’azienda - soprattutto da or-ganizzazioni come la Croce rossa, oppure da nostri colla-boratori, a loro volta in contatto con comuni e associazio-ni di volontariato. Chiedevano mascherine, tute monouso, guanti. Noi, dopo aver ragionato un attimo, abbiamo deci-so di istituire un fondo per finanziare queste donazioni. I singoli punti vendita che devolvono materiali alle organiz-zazioni possono scaricare sul conto dell’azienda il costo

del materiale». Poco alla volta le richieste si diversificano. Ed ecco che Leroy Merlin si trova a donare scaffalature per l’ospedale da campo costruito dagli alpini a Bergamo, docce per il nuovo ospedale costruito in Fiera a Milano, materiale elettrico e buste della spesa per l’hub di distri-buzione alimentare di Torino, addirittura delle abat jour per un ospedale da campo della Croce rossa in Lazio. «Normalmente non doniamo materiali - continua Pereno - ma in questo momento era l’unica cosa che potevamo fare: l'emergenza è una condizione che richiede un inter-vento tempestivo, con quel che si dispone, per fare in fretta ma al meglio possibile. Avevamo a disposizione materiali e li abbiamo dati: per noi, in questo momento, la responsabilità sociale si concretizza nel donare, senza aspettarsi nulla in cambio. Mettendo a disposizione quel che avevamo “in casa” abbiamo scoperto l’utilità “nascosta” di alcuni prodotti: è il caso delle abat jour o delle docce, che mai avremmo pensato di vedere in un ospedale da campo». Ai collaboratori dei punti vendita coinvolti nelle donazioni è stato chiesto di condividere una foto e un commento, di raccontare la loro personale esperienza e come hanno vissuto quel momento. Le testimonianze sono state pub-blicate sul sito dell’azienda e sono diventate un patrimo-nio esperienziale per tutti i lavoratori e una sorta di album della resilienza.

◼ IL POTERE TRASFORMATIVO DEL DONO LUCA PERENO | LEROY MERLIN

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Donare come strumento per prendersi cura degli altri è un atteggiamento sociale che è alla base della la nascita del-le nostre comunità umane e fondamento dei legami di qualsiasi tipo. Questo è vero per le persone, per gli ani-mali ma anche per le realtà collettive, come le aziende. Privarsi di qualcosa e rinunciare ad essa in favore di altri, è una scelta che coinvolge il concetto di possesso, di pro-prietà e anche quello della reciprocità, li stravolge e in alcuni casi li trascende. Un’azienda che cede beni al di fuori della logica del profit-to, attraverso il dono, entra in una sfera trasformativa non utilitarista della sua atti-vità, che modifica profondamente il proprio rapporto con le persone, con il territorio, con i clienti ma anche con i lavoratori e i fornitori. L’antropologia culturale - disciplina che per prima ha pre-so in considerazione il dono anche nella sua forma eco-nomica - individua nel dono ogni prestazione di beni o servizi, effettuata, senza garanzia di restituzione, al fine di creare, alimentare o ricreare il legame sociale fra le per-sone. I beni, in particolare, possono avere un “valore d’u-so” (il bisogno che riescono a soddisfare), un “valore di scambio” (la quantità di altri beni che si riesce ad acqui-stare cedendoli) e un “valore di legame”. Quest’ultimo tipo di valore è proprio quello che si riesce a creare con il do-no. In piena epoca di pandemia, donare dei materiali per

la costruzione di servizi di degenza è un gesto non solo utile, ma anche con una forte coerenza aziendale e un profondo significato etico. Un’impresa che intraprende un percorso di responsabilità sociale, ha di sicuro a cuore la sua integrazione nel territorio. Partecipando al dramma collettivo con la donazione di materiale, l’azienda si carica di un ruolo di responsabilità e rende possibile un consoli-damento del rapporto che la unisce alle comunità in cui opera. Queste azioni, oltre al loro forte significato intrinse-co, rinforzano anche l’affezione verso l’azienda, il marchio e il punto vendita locale e i suoi collaboratori, che per pri-

mi si sono mossi a imballare, trascrivere e con-segnare i materiali da donare. Foto e testimo-nianze poi, sono la celebrazione e la sacraliz-zazione del gesto e della sua utilità. A ogni dono infatti - e l’analisi antropologica ce lo insegna con molti esempi - corrisponde un controdono distanziato nel tempo, di cui non si

può conoscere l’entità. Infatti, a meno che non si tratti di carità generalizzata - per intenderci quelle donazioni de-stinate a terzi su cui non si può avere un reale controllo - nel momento in cui si dona, si crea una situazione debito-ria dove il “debito” è relazionale, non monetario né quanti-ficabile. Il controdono è il riequilibrio delle parti e, perlo-meno in questo caso può assumere diverse sfumature, la più elevata di queste è la gratitudine. Questa è la premes-sa principale per ogni tipo di collaborazione e oltre agli aspetti già citati può in questo caso aggiungersi quello più generale di sperare che grazie all’aiuto di tutti, la pande-mia finisca più in fretta e si possa tornare alla normalità.

FARNE UNA BUONA PRATICA

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Far parte di una rete di fiducia che condivide valori e fina-lità commerciali ed etiche, può essere il modo per condi-videre le difficoltà in una fase particolare di mercato e per realizzare strategie comuni che coinvolgono network soli-dali. Roberto Oppio e Monica Migliore - fondatori, nel 2013 di Bionatural Dimension, azienda con sede a Milano che commercia prodotti biologici - volevano fare del marchio una società benefit e aprire una piattaforma per la vendita online attraverso cui finanziare progetti del settore no-profit. «Il progetto di creare una piattaforma in cui riunire profit e no-profit è recente - spiega Oppio - mentre l’a-zienda è diventata società benefit nel 2018. Per realizza-re questo nuovo marketplace abbiamo stretto molte colla-borazioni con associazioni e ong, da un lato, e imprese che condividono la nostra idea progettuale e che deside-rano mettere in vendita i loro prodotti on-line sulla piatta-forma, dall’altro». Molte imprese che hanno a cuore “l’economia del dare” hanno trovato interessante questo approccio, con il risultato che i prodotti in vendita aumen-tano e si diversificano, rendendo il portale di e-commerce sempre più fornito, in grado di creare un’alter-nativa etica ai colossi del marketplace come Amazon. «Il 10% dei ricavi delle vendite dei prodotti online vengono destinati, dall’acquirente nel momento del pagamento, a

un progetto di sviluppo sociale o umanitario, in Italia o all’estero» Ma non solo «Da quando è iniziata l’emergen-za del Covid-19 - continua Oppio - abbiamo deciso di ri-nunciare alla nostra parte di guadagno sulla vendita per destinarla a finanziare alcune strutture sanitarie pubbli-che. C’è anche la possibilità, per chi fa acquisti, di regala-re la propria spesa o parte di essa alla comunità di Sant’Egidio, che riceve le merci presso la sua sede e le redistribuisce a chi ne ha bisogno». Lo shopping online non è solo una comodità: può diventare anche il modo per entrare in una rete di fiducia, per la quale una parte del denaro investito (dal consumatore) o guadagnato (dall’azienda) entra a far parte di un circuito di solidarietà per il bene comune. Le aziende che vogliono entrare nel-la piattaforma benefit non devono sostenere costi fissi, mentre sul venduto riconoscono il 10% al beneficiario selezionato dall'acquirente e una percentuale inferiore a BDMartketplace. Le aziende della piattaforma rispondono tutte a una serie di parametri sull’impegno etico e sociale come rispetto dell’ambiente, agricoltura biologica, chilo-metro zero, valorizzazione territoriale, progetti di integra-zione sociale, educazione al consumo responsabile, com-mercio equo, economia circolare e, in generale, un mo-dello economico dove al centro ci siano persone e comu-nità e non il capitale.

◼ RETI DIGITALI PER ALLARGARE MERCATO E SOLIDARIETA’ ROBERTO OPPIO | BIONATURAL DIMENSION

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Le società benefit - o benefit corporation, dal termine in-glese coniato negli Stati Uniti dove sono state ideate per la prima volta - sono aziende che hanno inserito nel pro-prio oggetto sociale e nel proprio sta-tuto la massimizzazione dell’impatto positivo che vogliono dare alla socie-tà e all’ambiente. Sono aziende a scopo di lucro, ma caratterizzate da un più alto livello di trasparenza e responsabilità e che valutano i propri impatti verso tutti gli stakeholders, non solo gli azionisti. Questo modello imprenditoriale pre-vede che nell’esercizio dell’attività economica, oltre allo scopo di gene-rare profitto, l'azienda persegua una o più finalità di beneficio operando per il bene di persone, comunità, am-biente, beni e attività culturali, nonché di enti e organizzazioni solidali terzi. Un impegno di lungo periodo e un cambio di prospettiva che diventa visibile anche nella ragione sociale. Dal movimento globale delle B-Corp ha preso vita la for-ma giuridica (introdotta nel nostro Paese con una legge del 2016) della società benefit. Le B-corp sono oggi un movimento internazionale di imprese che ha come obietti-

vo quello di diffondere un paradigma “più evoluto” di busi-ness, come forza positiva per la trasformazione sociale e globale. Queste imprese vogliono innescare una competi-zione positiva in modo tale che tutte le aziende siano mi-surate e valutate nel loro operato secondo uno stesso metro: l’impatto positivo che hanno sulla società e sul pia-neta. La certificazione per essere B-Corp si ottiene da un

ente specifico deputato all’analisi di diversi parametri: questo ente è il B-Lab. Per diventare una B-Corp devo-no essere rispettati dei parametri che quantificano il valore che l’azienda sta creando per la società. Lo si fa con il B Impact assessment, uno stru-mento che definisce gli standard - scelto anche dall’ ONU per promuo-vere, tra le aziende, i Sustainable development goals per il 2030. Que-sto modello gratuito attraverso cui si valutano e si migliorano le perfor-mance aziendali, analizza 5 macro-aree: ambiente, lavoratori, comunità, governance, clienti. In Italia - secon-

do Paese al mondo ad aver adottato questa forma giuridi-ca d’impresa - ci sono più di 300 società benefit e 85 B-Corp. In entrambe i casi si parla di aziende molto diverse fra loro per storia, settore e dimensione: creare valore per la società e il pianeta è infatti possibile, oltre che a qua-lunque latitudine, in qualunque settore di mercato.

FARNE UNA BUONA PRATICA

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Crescere come persone e come azienda, un binomio tutt'altro che scontato. Integrare il tempo del lavoro da casa con una formazione che contribuisca ad accrescere le capacità e il bagaglio culturale, linguistico, psicologico, dei propri dipendenti, dandogli la possibilità di usare le ore lavorative come meglio preferiscono a patto che sia per crescere. Rosanna Ventrella, titolare della Sys-Tek, azienda torinese di informatica con un’equipe di collabo-ratori molto giovani - la maggior parte fra i 30 e i 35 anni - e per più della metà donne, ha compreso l’importanza di non ridurre i lavoratori a macchine produttive. «Ho pensa-to che dovessimo approfittare della solidarietà digitale messa in campo dalle imprese - spiega Ventrella - per valorizzare questo momento di puro smartworking». Sys-Tek ha subito chiuso gli uffici e tutti i collaboratori lavora-no da remoto. I dipendenti hanno degli obiettivi lavorativi

da raggiungere e seguono delle programmazioni giorna-liere o settimanali. Il lavoro può essere gestito in autono-mia e le ore che avanzano possono essere investite nella formazione preferita. Che sia inglese, mindfulness o un aggiornamento utile per imparare qualcosa di più specifi-co sulle problematiche digitali, ai ragazzi e alle ragazze viene data la possibilità di decidere come crescere. «Consegnano un report giornaliero sulla formazione che hanno fatto - continua Ventrella - e poi segnalano, nell’at-tività lavorativa, come e perché quella formazione gli è risultata utile. Ho dei collaboratori fermi in questo momen-to, ma che vengono retribuiti regolarmente. Gli ho sugge-rito di investire tutto il tempo che avrebbero dedicato al lavoro in nuovi corsi formativi».

◼ LE CAPACITA’ COME STRUMENTO DI CRESCITA ROSANNA VENTRELLA | SYS-TEK

Per la vita non esistono manuali di istruzioni ma solo corsi di aggiornamento: le crisi

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La capacità è un concetto strettamente legato

all'economia del benessere che si riferisce all'abilità delle

persone di fare o di essere ciò che le realizza e che è

coerente con i loro desideri. L'insieme delle capacità indi-

viduali è composto dalle opportunità, dalle abilità e dalla

loro possibilità di avere accesso alle risorse. Adattare un

processo, produttivo, formativo,

educativo o di qualsiasi altro tipo,

ai bisogni del singolo, diventa

quindi uno strumento di accresci-

mento delle capacità individuali

che trova il suo compimento nel

migliorare il suo stato di benes-

sere. Far combaciare questo

aspetto con quello della sostenibilità economica è il ruolo

dell’imprenditore illuminato.

L'innovazione di questo tipo di approccio sta nel conside-

rare le risorse materiali, come i beni e il reddito, come

mezzi strumentali per accrescere i funzionamenti per il

raggiungimento del benessere, uscendo da una visione

orientata esclusivamente alla produzione di profitto, ma

per promuovere lo sviluppo del progresso umano e delle

condizioni di vita delle persone. Questi principi elaborati

dal premio Nobel, Amartya Sen, prendono il nome di

"Approccio delle capacità" e rappresentano una imposta-

zione dello sviluppo come processo di ampliamento delle

possibilità dei soggetti in rapporto con se stessi, con la

società e con l’ambiente.

In termini di nuove abilità, opportunità e potenzialità, i cin-

que aspetti importanti da tener presente e su cui lavorare

in questo modello sono: le abilità, l'insieme dei talenti in-

nati e delle capacità individuali; le opportunità, le occasio-

ni attuali, accessibili e disponibili; le potenzialità, cioè le

occasioni ipotetiche, prospettiche e

concepibili (legate strettamente alla

fiducia e alla speranza); la capacità

esterna, che esprime il valore della re-

lazione di prossimità e dei rapporti

umani; la titolarità, cioè il potere di ac-

ceso, di controllo e la possibilità di ge-

stione delle risorse e della capacità, per

raggiungere benessere (legata ai concetti di libertà e di

fruibilità).

Potenziare la propria capacità e la consapevolezza è per-

tanto un modo per arricchire una persona e la società,

ancora prima che con il denaro, lo stipendio o altre forme

di gratificazione. Rivalutare obiettivi e valori di una attività

o di una impresa, diventa in questo modo, la strada per

creare opportunità reali per le persone e per la società di

vivere la vita a cui attribuiscono valore.

FARNE UNA BUONA PRATICA

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Per condividere lo sforzo che tutti i lavoratori della loro società saranno chiamati a fare nei prossimi due mesi, i manager della Gtt, la società che gestisce i trasporti pub-blici nella città di Torino, hanno deciso di tagliarsi volonta-riamente i compensi. Dirigenti e funzionari direttivi condivideranno i loro stipen-di con tranvieri e autisti ridotti a mezzo servizio, con con-trollori, impiegati delle biglietterie e degli uffici che sono stati chiusi, operai dei depositi e controllori dei parcheggi, rimasti senza strisce blu da sorvegliare, che sono stati colpiti dalla cassa integrazione a cui l’azienda dei traspor-ti è stata costretta a fare ricorso per l’epidemia di Covid-19. I dirigenti ridurranno i loro compensi in proporzione alla riduzione del lavoro che hanno subito i 4.242 dipen-denti dell’azienda e li metteranno in un fondo comune che aiuterà ad attutire gli effetti del taglio dei salari sulle buste paga dei lavoratori. Questo gesto di solidarietà interna alle aziende è una pratica che si sta diffondendo in tante altre realtà e in tut-to il mondo un numero crescente di amministratori dele-gati di aziende grandi e piccole stanno rinunciando ai loro stipendi per compensare la perdita di salari dei propri di-pendenti per l'epidemia di coronavirus, tra questi i mana-ger di grandi imprese come Boeing, Ford, Walt Disney, American Airlines e Marriott Hotels, per citarne alcuni.

◼ CONDIVIDERE LE RINUNCE GTT TORINO

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Nel 1984 veniva pubblicato “The Share Economy”, un libro innovativo per quei tempi in cui l’autore M. Weitzman teorizzava gli impatti positivi di una flessibilizzazione retri-butiva sia in termini di produttività e clima organizzativo (livello micro), sia come rimedio più efficace di interventi keynesiani a fronte di trappole di stagflazione. La riduzio-ne del costo medio del lavoro conseguente avrebbe in-centivato assunzioni e ritardato effetti inflazionistici per-mettendo di assorbire con gradualità shocks a livello di-soccupazionale e assicurando tempi più brevi per una ripresa economica. Il dibattito sull’introduzione di forme di gain-sharing e profit-sharing in Italia non ebbe seguito arenandosi su un punto chiave: la variabilizzazione del salario in discesa, a fronte di risultati economici negativi. L’idea di condividere le rinunce non era ancora politically correct ne socialmente accettata e incontrò forti diffidenze e resistenze da parte di chi ne vedeva riduzioni di garan-zia per i lavoratori “insider”. L’esempio di GTT dimostra un deciso cambio di cultura: guadagnare/lavorare meno per guadagnare/lavorare tutti come scelta strategica di resilienza per superare crisi temporanee o prolungate. La condivisione e lo spirito di collaborazione sono anche i requisiti organizzativi del pa-radigma tecnologico in atto: le tecnologie collaborative (4.0) non sono disgiunte da “collaborative workers” e “collaborative leadership”. Condividere una situazione di

difficoltà economica come squadra, entra a far parte di un nuovo modo di vivere il lavoro e la propria organizzazio-ne. Le crisi livellano differenze, egoismi e individualismi per-ché il senso di impotenza e di ineluttabilità unisce e acco-muna i destini dei singoli e dunque rappresentano il mo-mento più opportuno per aprire sipari su forme nuove di compensation e benefit. Una impresa in cui le differenze di ruolo e seniority sono superate da una visione dell’o-biettivo comune è la italo-giapponese Geiko Taikisha do-ve il suo presidente, Alì Reza Arabnia, trasferisce effica-cemente una visione di sintesi tra cultura orientale e occi-dentale: armonia ed efficienza supportano le scelte e le strategie innovative dell’azienda ponendo al centro il valo-re del lavoro e l’intelligenza della persona. Forte sosteni-tore dell’idea che “i sacrifici devono partire dall’alto“ Arab-nia ha sempre praticato una leadership fortemente parte-cipata con i collaboratori che ha gestito nella sua vita di manager e poi di imprenditore arrivando a condividere tagli e rinunce economiche pur di mantenere il lavoro ai suoi collaboratori. La leadership partecipativa si nutre di un pensiero aperto e fiducioso nel lato umano dell’orga-nizzazione che diventa un potente collante di aggregazio-ne a tutti i livelli. In Geiko, senior e junior collaborano e gareggiano in una competizione propositiva per migliorare l’impresa. “Pensiamo che correre qualche rischio non sempre a spese degli altri sia il solo modo sano di fare impresa, quella che poi il mercato premia.”

FARNE UNA BUONA PRATICA

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◼ MEZZOPIENO | BUONE PRATICHE AZIENDALI AI TEMPI DEL CORONAVIRUS 32

L’innovazione, la trasformazione di un business o l’adat-tamento a una crisi sono passaggi inevitabili nella vita di un’impresa. Lanciare un nuovo prodotto, entrare in un nuovo mercato o affrontare una riconversione aziendale, sono operazioni complesse che richiedono un analisi ac-curata. La società di ricerca IPSOS ha creato un test di screening che sfrutta le scienze comportamentali e la psicologia cognitiva per comprendere e analizzare le rea-zioni dei consumatori e la loro predisposizione ad un pro-dotto. Confrontando i comportamenti delle persone da-vanti alle scelte di acquisto, il metodo DUEL consente di misurare le preferenze dei consumatori, non soltanto dal-le loro risposte ma anche dal tempo di reazione implicita alle sollecitazioni. Durante un periodo di crisi, gli atteggiamenti dei mercati e dei consumatori attraversano un grande cambiamento ed esiste la possibilità che alcuni nuovi comportamenti di-ventino permanenti. Nei casi in cui esista una domanda del mercato, analizzare i bisogni diventa il presupposto su cui basare le proprie risposte. Nel caso si stia lavoran-do per anticipare una dinamica in divenire, e quindi senza esperienze di riferimento, è necessario fare ricorso a si-mulazioni e proiezioni. Nel caso di questa crisi, non sappiamo quando la pandemia finirà e come si muoverà il mercato nei prossimi mesi. La ricerca però può aiutare a valutare il lancio di un nuovo prodotto o di servizio, l’in-

gresso in un nuovo mercato e a prevedere le reazioni dei suoi destinatari. «In questi tempi, il modo in cui i consumatori effettuano le loro scelte è più che mai legato al rapporto emotivo che hanno con esse. La ricerca può analizzare e capire la possibile risposta collettiva ad un prodotto o a una cam-pagna. Questo ci permette di capire se e come entrare in un mercato» osserva Carlo Oldrini, vice presidente mar-keting di IPSOS Italia. «Osservare i comportamenti delle persone e analizzare le loro reazioni anche inconsapevo-li, comunica molto e permette di comprendere come ri-spondere ai loro bisogni. Questo ci permette di raccoglie-re giudizi e di mettere in atto risposte e misure attraverso le ricerche comportamentali». Nei prossimi mesi nasceranno nuovi bisogni e richieste da parte del mercato ed è necessario valutare come un prodotto nuovo o esistente verrà lanciato o riavviato. Il mercato online e l'ambiente e-commerce, per esempio, presentano diverse sfide e opportunità. Un prodotto che si distingue sullo scaffale potrebbe anche non risaltare in un ambiente eCommerce. Nel commercio elettronico possono esserci più informazioni rispetto ai negozi, e questi possono essere dei vantaggi competitivi per alcuni prodotti rispetto ad altri.

◼ ANALIZZARE NUOVE STRATEGIE CARLO OLDRINI | IPSOS

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◼ MEZZOPIENO | BUONE PRATICHE AZIENDALI AI TEMPI DEL CORONAVIRUS 33

Durante l'ultima recessione del 2008/2009, le persone sono passate dai brand più pubblicizzati a quelli a basso costo. Molti consumatori hanno scoperto di essere soddisfatti di questi marchi e deciso di continuare ad acquistarli anche dopo la recessione. Le imprese che hanno compreso questo cambiamento e si sono adattate, creando linee più economiche dei loro prodotti, sono riuscite a sopravvivere meglio. Una crisi può aiutare a comprendere molto e a imparare qualcosa che può aiutare a prepararsi meglio per il futuro. Trasformare le sfide in opportunità è una massima molto conosciuta ma per renderla possibile occorre lavorare in modo creativo e riuscire a sfruttare sapientemente alcuni elementi che le crisi portano spesso con sé. Lo slancio innovativo delle crisi è un potente strumento che può fare da volano alle buone idee e rendere più fe-condo il terreno su cui vanno ad inserirsi. Questo significa soprattutto capire dove si creano nuovi bisogni o dove questi non sono ancora soddisfatti, cosa che richiede vo-lontà e molto spirito di osservazione. Analizzare il merca-to, il sentimento popolare, i media e le nuove tendenze è un impegno che si può solo parzialmente fare da soli. La consulenza esperta è fondamentale. “Se ti chiedi dove sta andando il mondo, chiedilo a un bambino, se vuoi capirlo fatti come lui” diceva il grande mistico Raimon Panikkar. L’occhio puro e disarmato, aperto al nuovo è certamente il punto di partenza ma le competenze sono una guida

necessaria. Gli strumenti della ricerca e dell’analisi fanno poi il resto. L’importanza di misurare il legame emotivo che i consu-matori hanno con certi stili di vita, determinati tipi di con-sumo, con le marche e addirittura con metodi di fruizione e di acquisto, sono le chiavi. La fase di ricerca e genera-zione di nuove idee è senz’altro una operazione molto importante per il successo di un’azienda. Le tre principali metodologie possono essere:

• I gruppi di creatività: si basano essenzialmente su fattori emozionali come l’intuito e la fantasia e si organizzano in sessioni di brainstorming o di sinet-tica (una tecnica di creatività che sviluppa l’unione di elementi diversi e apparentemente irrilevanti).

• I metodi di analisi funzionale: si analizzano dei pro-dotti per individuare potenziali miglioramenti

• I metodi che si rivolgono ai clienti: servono per indi-viduare eventuali bisogni insoddisfatti o non ade-guatamente soddisfatti dal mercato e le tendenze.

I metodi di ricerca analitici e statistici, sono di grande utili-tà per rilevare questi cambiamenti e possono fornire sup-porti o addirittura anticipare i mercati, soprattutto in un periodo come quello di crisi. Ricerche e studi possono inoltre aiutare a validare, valutare e priorizzare le idee. Infine rimane il consiglio di avere il coraggio anche di met-tere in dubbio ciò che è stato finora, senza paura di per-dere qualcosa a cui si è affezionati, magari per un senti-mento nostalgico, per il principio che: “E’ sempre meglio scegliere di cambiare che essere obbligati a farlo”.

FARNE UNA BUONA PRATICA

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◼ MEZZOPIENO | BUONE PRATICHE AZIENDALI AI TEMPI DEL CORONAVIRUS 34

In momenti di crisi si riscopre l’importanza della parsimo-

nia e del valore delle cose, oltre che delle persone. Tro-

vare nuovi modi per valorizzare ciò che viene a scarseg-

giare e che in periodi di esuberanza si era lasciato indie-

tro, può significare una opportunità non solo per l’azienda

ma anche per l’ambiente e per la collettività. Si tratta di

porsi in modo nuovo nei confronti del concetto di utilità

dei beni e in alcuni casi del rapporto con il superfluo e

con l’obsolescenza.

L’azienda bolognese Dismeco ha

deciso, per questo, di sviluppare un

progetto sperimentale volto al recu-

pero per il riutilizzo, di ricambi da ap-

parecchiature elettromedicali inutiliz-

zate o dismesse, per fornire le strut-

ture mediche e sopperire ai bisogni e

alle carenze sanitarie, in costante crescita non solo in

questo periodo di emergenza ma anche a causa dei tagli

strutturali alla spesa sanitaria. L’iniziativa nata in risposta

ad un bisogno in un periodo di crisi, si presenta tuttavia

come una pratica replicabile non solo durante le emer-

genze sanitarie come quella attuale, ma anche in tempo

di gestione ordinaria. L’azienda, che gestisce un impianto

industriale di recupero Raee (rifiuti elettrici ed elettronici),

insieme all’ente no profit Zero Waste Italy ha pensato di

cercare tra ciò che sembrava essere diventato inutile, per

intercettare apparecchiature non più funzionanti o in disu-

so, smontarle e recuperarne le parti in modo da farle rien-

trare nel circuito dei ricambi utili alle istituzioni sanitarie,

pubbliche o private.

Questo progetto punta a creare una rete di collaborazio-

ne e di condivisione tra diversi soggetti con potenziali

sinergie ancora non valorizzate, dal

Ministero della sanità agli Assessorati

regionali alla salute, Croce Rossa,

case costruttrici, Asl, ospedali e terzo

settore e lavora per realizzare tra di

essi dei percorsi industriali circolari.

«Mettendo in rete tutti i soggetti che

fanno parte della filiera possiamo

creare nuove catene di approvvigionamento e mettere a

disposizione delle strutture sanitarie i ricambi, condividere

le necessità a livello nazionale e ottimizzare i bisogni in

modo circolare. Questo processo può favorire inoltre l’ab-

battimento dei costi di dismissione dei macchinari e dei

loro componenti ed avere di conseguenza anche un im-

patto positivo sulla catena dei rifiuti e quindi sull’ambien-

te», dice Claudio Tedeschi A.D. della Dismeco.

◼ UNA ECONOMIA SEMPRE PIU’ CIRCOLARE CLAUDIO TEDESCHI | DISMECO S.r.l

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◼ MEZZOPIENO | BUONE PRATICHE AZIENDALI AI TEMPI DEL CORONAVIRUS 35

Il modello economico tradizionale si basa su una disponi-

bilità di grandi quantità di risorse ed energia e manifesta

sempre più, non solo nei contesti di crisi, la sua evidente

inadeguatezza con una crescita armoniosa delle società e

dell’ambiente. La transizione dal modello lineare ad un

modello circolare è il processo che può permettere di limi-

tare l’apporto di nuova materia ed energia e minimizzare

scarti e perdite, ponendo attenzione alla

prevenzione delle esternalità ambientali

negative e alla realizzazione di nuovo valo-

re sociale e territoriale. Questo si può fare

in tutte le fasi del ciclo di prodotto: dalla pro-

gettazione, alla produzione, al consumo,

fino alla destinazione a fine vita, invertendo

il tipico schema “estrarre, produrre, utilizzare e gettare”

per sostituirlo con nuovi prodotti e processi virtuosi, poco

impattanti, equi e ad alto valore sociale e territoriale. Un

sistema economico pensato per auto-rigenerarsi in cui i

materiali ma anche tutte le altre risorse sono ri-

valorizzate.

Si tratta di un ripensamento complessivo e radicale rispet-

to al modello produttivo classico, un approccio circolare

significa rivedere tutte le fasi del ciclo di produzione e di

vita di un prodotto e coinvolgere l’intera filiera. Questa

attenzione passa per il rispetto di alcuni principi di base,

che la Fondazione Ellen Mc Arthur indica in 5 criteri fon-

damentali: progettazione ecologica, modularità e versatili-

tà del prodotto, energie rinnovabili, approccio ecosistemi-

co e recupero dei materiali.

L’economia circolare è un modello di produzione e consu-

mo che implica condivisione, prestito, riutilizzo, riparazio-

ne, ricondizionamento e riciclo dei materiali e prodotti con

vita più lunga possibile. La funzione di un prodotto non

termina con la sua vita ma continua la sua

utilità nel ciclo economico generando ulterio-

re valore anche in forma diversa. Un approc-

cio di questo tipo, oltre a ridurre la pressione

sull’ambiente, può portare numerosi vantag-

gi, tra cui più sicurezza nella disponibilità di

materie prime e semilavorati, aumento della

competitività, maggiore efficienza, razionalizzazione

nell’uso delle risorse e risparmi considerevoli.

La commissione europea ha approvato nel mese di mar-

zo 2020 il Circular economy action plan per programmare

e regolamentare le iniziative rivolte a contenere lo spreco,

favorire il riuso per superare la logica del monouso e su-

perare l’obsolescenza programmata, anche con incentivi

fiscali e normativi e misure a sostegno della eco-

progettazione e del riciclo in tutti i settori.

FARNE UNA BUONA PRATICA

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◼ MEZZOPIENO | BUONE PRATICHE AZIENDALI AI TEMPI DEL CORONAVIRUS 36

Le crisi influiscono significativamente sul benessere psi-

cologico dei lavoratori, impattano sulla gestione dello

stress e dell’ansia, oltre che sull’emergere di sindromi

depressive. In un ambiente aziendale, avere un suppor-

to psicologico, gruppi di incontro tematici e ascolto indivi-

duale, può risolvere o addirittura evitare molti problemi

che potrebbero avere ripercussioni negative sulla vita

lavorativa delle persone, con conseguenze anche sul fun-

zionamento dell’organizzazione. Il gruppo assicurativo

Assimoco - società benefit e B-Corp - già dal 2016 ha

elaborato una soluzione che si rivela più utile che mai nei

momenti di crisi, l’applicazione di uno dei suoi paradigmi

fondamentali: “La persona al centro”. L’azienda che conta

più di 400 dipendenti, ha creato uno sportello per il sup-

porto psicologico, gestito da una psicoterapeuta, che da

anni ormai insegna ai dipendenti la tecnica del training

autogeno, oltre a fornire supporto individuale per chi ne

ha bisogno. «Un servizio che si è rivelato fondamentale -

commentano Tiziano Merlini e Nicoletta Fiore del diparti-

mento sviluppo personale e organizzazione - soprattutto

nell’ultimo periodo. Siamo in smart working da quasi due

mesi e le difficoltà del momento hanno reso necessario e

utile allargare i servizi dello sportello a tutti i dipendenti,

anche ai fuori sede, e agli agenti. La psicoterapeuta orga-

nizza su Skype, settimanalmente, incontri tematici attorno

ai quali si sono formati dei gruppi di una decina di perso-

ne ciascuno: ne abbiamo uno per i genitori con figli picco-

li, uno per genitori con figli adolescenti e uno per persone

che devono affrontare la solitudine dell’isolamento. Spe-

cialmente nei gruppi per i genitori, emergono problemati-

che comuni nella gestione del lavoro smart e dei figli, op-

pure questioni legate alla necessità di spiegare ai bimbi

piccoli perché non si può uscire, piuttosto che trovare

modi di svagare un adolescente dentro casa. Il gruppo

training autogeno conta una ventina di partecipanti e poi

ci sono le sedute individuali. Tutti possono partecipare

alle attività nel rispetto della privacy ed è tutto gratuito:

per quanto riguarda il supporto individuale, l’azienda si fa

carico di tre sedute.». A questo sportello è stato aggiunto

un ulteriore servizio ad hoc di assistenza medica e psico-

logica che durerà per 6 mesi. Per tutti i lavoratori è stato

stipulato un pacchetto che garantisce consulti medici spe-

cialistici e generici gratuiti e un ulteriore supporto psicolo-

gico per i familiari dei dipendenti.

◼ LA SERENITA’ AZIENDALE E PERSONALE TIZIANO MERLINI, NICOLETTA FIORE | GRUPO ASSIMOCO

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Cosa fa uno psicologo in azienda? Siamo abituati a pen-sarlo occupato nella selezione del personale, coinvolto in attività di team-building, o ancora impegnato a promuove-re la motivazione dei dipendenti e le capacità di leader-ship dei dirigenti. Di fatto, tutti aspetti che puntano al po-tenziamento delle risorse umane e della prestazione lavo-rativa. Ma, nelle organizzazioni, lo psicologo può fare molto altro, come occuparsi della salute dei dipendenti. È ormai noto che la salute non riguarda solo il piano fisi-co, ma anche quello mentale, i quali sono strettamente connessi. Se consideriamo che il tempo trascorso al lavo-ro costituisce la maggior parte del nostro tempo di veglia, allora è evidente che il posto di lavoro è un luogo in cui è fondamentale investire nella promozione della salute, an-che mentale. È qui che possiamo sentirci maggiormente sotto stress, qui che il nostro malessere può incidere sul nostro rendimento ed è qui che abbiamo diritto di sentirci bene. Trovare uno spazio aziendale in cui sentirsi accolti, in cui dare ascolto alle proprie fragilità è davvero un grande va-lore aggiunto. Ma attenzione, è facile cadere in trappola: non stiamo parlando del trasloco dello strizzacervelli den-tro alle mura dell’organizzazione. Gli sportelli di ascolto psicologico non sono e non devono essere spazi terapeu-tici, in cui andare a lavorare nel profondo sul proprio disa-gio. Devono piuttosto configurarsi come spazi di “raccolta” dei primi campanelli di allarme, spazi riservati (la garanzia

della privacy è fondamentale!) in cui dare ascolto e parola alle proprie fatiche, iniziando ad attribuirvi senso. Ad esempio capendo quali sono gli aspetti che ci stressano, o divenendo più consapevoli dei meccanismi che attivia-mo in condizioni di criticità. E, se risulta opportuno, conti-nuare ad approfondire questi aspetti altrove. Ma allora viene da chiedersi se è necessario che questo spazio di ascolto sia all’interno dell’azienda. In fondo sono tanti, là fuori, i servizi che offrono sostegno psicologico. Beh, ci sono buone ragioni per pensare che trovare ascolto diret-tamente in azienda sia un gran valore aggiunto. Innanzi-tutto fa percepire al dipendente un’attenzione diversa nei suoi confronti: non solo un dipendente che rischia di ridur-re la propria produttività, ma un essere umano che può trovarsi in difficoltà e che merita sostegno. E se lo stress e le difficoltà dipendono dal funzionamento dell’organizza-zione, allora ci sarà l’opportunità di venire a conoscenza di questi aspetti per poi migliorarli. Ma si può fare di più. Un obiettivo imprenditoriale elevato potrebbe essere quello di aumentare il livello di soddisfa-zione e di benessere sul luogo di lavoro. Questo compito può avere una figura dedicata in azienda, il Chief Happi-ness Officier, il Manager della Felicità. Una figura nata negli Stati Uniti che sta lentamente prendendo piede an-che nel nostro paese. Il Manager della Felicità si occupa di rendere il luogo di lavoro un posto felice, in cui sentirsi compresi e valorizzati e promuove dinamiche di collabo-razione gentile fra i colleghi. Dipendenti più felici sono anche persone più motivate, interessate e che spendono meglio i loro talenti.

FARNE UNA BUONA PRATICA

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Alcuni cambiamenti provocati dalle crisi spingono la nascita di pratiche che da tempo aspettavano solo di essere realizzate

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IL MOVIMENTO MEZZOPIENO

Il movimento Mezzopieno è una rete internazionale no-profit di persone, enti e associazioni impegnata nella diffusione della cultura della positività e della pratica costruttiva. Nata in India nel 2005, la rete conta oggi oltre 900 membri e promuove, coordina e incuba iniziative e programmi in diverse aree del mondo per la promozione della collaborazione, dello sviluppo consapevole e l’alleviamento della polemica e della conflittualità nella società. I membri del movimento si riconoscono nel Manifesto per la pratica positiva Mezzopieno.

Mezzopieno si occupa in Italia di numerosi progetti e attività a livello di comunità, mettendo in rete imprenditori, associazioni, amministratori pubblici, insegnanti, ricercatori, giornalisti, professionisti e studenti. Fra gli obiettivi del movimento, nel settore dell’economia e dell’impresa, la diffusione di strumenti e pratiche aziendali per una cultura economica più positiva e fecondante e per favorire il bene comune e l’armonia collettiva attraverso la fiducia e la gratitudine.

Mezzopieno realizza percorsi a supporto dell’attività aziendale e formazione accademica per l’organizzazione positiva in azienda e del lavoro, in collaborazione con le università, la società civile e mettendo in comunione risorse e capacità condivise all’interno della sua rete.

LA RETE ITALIANA DELLA POSITIVITÀ

MEZZOPIENO.ORG

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Chiuso in redazione il 20 aprile 2020

Redazione

VANESSA VIDANO, Redazione Mezzopieno | LUCA STRERI, Presidente Movimento Mezzopieno | MARTA CASONATO, Ufficio Studi

Mezzopieno

Hanno collaborato alla redazione dei contenuti

Antonio Vetrò, Politecnico di Torino | Sabrina Dubbini, Istituto Adriano Olivetti, ISTAO | Barbara Ganz, Il Sole 24 Ore | Massimo Folador,

Università Carlo Cattaneo| Nando Pagnoncelli, Istituto IPSOS | Filippo Provenzano, CNA Piemonte | Pietro Isolan, Aipec | Lorenzo Orsenigo,

Associazione San Giuseppe Imprenditore

Non commerciabile - materiale gratuito

Allegato alla rivista Mezzopieno News di maggio/giugno 2020 - Reg. Trib. Torino n. 19 del 24/7/2015

Per ristampe o copie arretrate scrivere a [email protected]

L’impresa positiva - Buone pratiche aziendali ai tempi del coronavirus è pubblicato da SEMI onlus | Movimento Mezzopieno Licenza Pubblica Creative Commons

Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 4.0 Internazionale (CC BY-NC-ND 4.0)

Stampato su carta realizzata da fonti responsabili. Stampa Carbon Balanced Printing con processi eco sostenibili certificati.

Mezzopieno compensa interamente il CO2 che produce.

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