linguaggio_e_pensiero l'ipotesi di sapir-whorf

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Università degli studi di Genova Facoltà di Lettere e Filosofia Laurea in filosofia Prova finale Relatore Prof. Carlo Penco Candidata Germana Sartori Anno Accademico 2005-2006

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Page 1: Linguaggio_e_pensiero L'Ipotesi Di Sapir-Whorf

Università degli studi di Genova

Facoltà di Lettere e Filosofia

Laurea in filosofia

Prova finale

Relatore

Prof. Carlo Penco

Candidata Germana Sartori

Anno Accademico 2005-2006

Page 2: Linguaggio_e_pensiero L'Ipotesi Di Sapir-Whorf

2

Ai miei genitori Lidia e Enzo

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3

Premessa

In questo volume affronteremo il tema del linguaggio nel suo rapporto con il pensiero dal punto di vista dell’ipotesi di Sapir-Whorf. Analizzando il pensiero whorfiano attraverso un raffronto con altri autori a partire dalla filosofia del linguaggio e della mente, per arrivare alle teorie della psicologia cognitiva.

Nell’introduzione tratteremo seppur brevemente, attraverso le teorie filosofiche, lo sviluppo del tema linguaggio e pensiero dalle origini alle teorie contemporanee.

Nel primo capitolo illustreremo l’ipotesi di Sapir-Whorf, cercando di acquisirne una conoscenza dettagliata attraverso i documenti scritti da Whorf e raccolti nel volume di J.B.Carrol

Nel secondo capitolo esamineremo alcune teorie della psicologia cognitiva che ci porteranno ad analizzare il pensiero di Whorf attraverso una prospettiva cognitiva, in particolare attraverso lo studio delle immagini mentali.

Nel terzo capitolo torneremo ad affrontare l’ipotesi di Sapir-Whorf, oggetto di studio in questa sede, analizzando il rapporto linguaggio e cultura, ampliandone gli aspetti anche dal punto di vista di teorie in contrasto con l’ipotesi stessa.

Nella conclusione, discuteremo le idee delle principali dottrine prese in questione nei capitoli precedenti, a confronto con l’ipotesi di Sapir-Whorf.

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1

Introduzione

Il linguaggio dal pensiero filosofico al pensiero scientifico

Nella storia della filosofia il rapporto tra pensiero e linguaggio è

stato spesso oggetto di analisi. Queste si connettono spesso alla

classica contrapposizione tra innatisti ed empiristi: I primi

ritengono che il pensiero e le idee siano innate: I secondi

pensano che esse derivino dall’esperienza. Il Principio del

Determinismo Linguistico, nasce come reazione alla concezione

innatista. Presentiamo quindi una rapida carellata dei principali

punti di svolta nella filosofia e nella linguistica che hanno

permesso il sorgere di questa discussione.

Esempio di filosofi innatisti sono Platone e Cartesio,

mentre sul versante empirista si collocano Aristotele e buona

parte della filosofia inglese. Secondo l’innatismo l’uomo

possiede dalla nascita conoscenze e verità, proprietà che, per gli

empiristi invece vengono acquisite mediante l’esperienza.

Per Aristotele la parola è uno strumento per combattere lo

scetticismo. Ne il trattato aristotelico “De Intepretatione 1, egli

1 Dell'Espressione, 16 a, 3-8

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2

s'interessa solo a quelle frasi che esprimono verità o falsità.

Attraverso la parola che è univoca, cioè riflette un’unica realtà,

è possibile contrastare l’affermazione scettica dell’impossibilità

di conoscere il vero, in quanto le cose sono tutte egualmente

incerte.

Forse il primo a porre in dubbio il rapporto classico tra

pensiero e linguaggio è stato Locke (1632-1704) affermando che

il possesso di certi vocaboli condiziona il pensiero umano, le

idee generali non possono quindi ritenersi innate in quanto se

confrontate tra lingue diverse presentano profonde divergenze.

Assistiamo così ad un lento delinearsi dell’ipotesi di

relativismo di cui abbiamo brevemente accennato all’inizio di

questo paragrafo.

Ogni lingua, quindi non è solo un rivestimento fonico,

come sosterrà Leibniz (1646-1716) sviluppando le affermazioni

di Locke, non contiene concetti universali espressi in diverse

forme sintattiche ma riflette la storia di un popolo, non solo

non rispecchiando passivamente il mondo ma influenzandone

addirittura la realtà.

Page 6: Linguaggio_e_pensiero L'Ipotesi Di Sapir-Whorf

3

La tendenza verso il relativismo linguistico si accentua con

la concezione romantica, secondo la quale i concetti attraverso i

quali fondiamo la nostra conoscenza non sono più visti come

una realtà unica ed immutabile alla quale attingere attraverso la

ragione o l’intelletto, ma vengono filtrati attraverso un nuovo

strumento capace di rendere plasmabile la realtà e di fornirne

nuove sfaccettature, questo strumento è il linguaggio, che è

relativo per ogni uomo.

Wilhelm Von Humboldt (1767-1835) pioniere del

determinismo linguistico affermò la priorità del linguaggio sul

pensiero, sottolineando addirittura l’inesistenza del secondo in

assenza del primo. Egli fondò la concezione di weltanschauung

(Visione del mondo) Egli osservò: “il linguaggio in qualche

modo ci fornisce dei mezzi finiti per usi infiniti.”2

Ferdinand de Saussure (1857-1913) precursore in Francia

dello Strutturalismo, nel XX secolo, ripropone la concezione

arbritaristrica del linguaggio di Humboldt. Egli divide il

linguaggio in due parti La Lingua che è il sistema di nessi tra i

termini astratti e La Parola che è invece l’espressione

individuale, l’uso concreto, della lingua.

2 Humboldt - 1835

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4

Il linguaggio, a partire da Saussure non è più visto solo in

termini di rappresentazioni, ma come come sistema di relazioni

in cui il valore dei suoni e delle parole ha valore solo all’interno

di tali relazioni.

Con Saussure cominciamo a parlare di Strutturalismo che

divide mentalisti e comportamentisti.

Per Saussure la lingua e il pensiero sono in stretta

relazione, come il fronte e il retro di un foglio di carta, non è

possibile tagliare l’uno senza tagliare l’altro.

E’ con Wittgenstein (1889-1951) che assistiamo al tramonto

dell’ “artistotelismo linguistico”3. La critica di Wittgenstein si

rivolge soprattutto al suo stesso pensiero definito nel classico

Tractatus Logico-Philosophicus (1922) “I limiti del mio linguaggio

sono i limiti del mio mondo” egli riteneva che il modo migliore

di esaminare il pensiero umano fosse di prendere il linguaggio -

l'espressione del pensiero - e di analizzarlo scomponendolo nei

suoi elementi più semplici. L'analogia è con l'atomismo della

fisica antica, vale a dire con l'idea che, se si vuole comprendere

la struttura delle diverse sostanze, le si deve analizzare

riconducendole alla loro struttura atomica.

3 T.De Mauro – Introduzione alla semantica – Editori Laterza 1993

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5

Le parole che io uso significano esattamente ciò che decido, né più né meno (Humpty Dumpty Alice attraverso lo specchio – Lewis Caroll

L’ idea di Wittgenstein era, che dietro al linguaggio di tutti

i giorni ci fosse un altro linguaggio molto più accurato e

perfettamente strutturato, nel quale il linguaggio ordinario

poteva essere tradotto.

In seguito, però, Wittgenstein abbandonò questa

concezione e iniziò a considerare gli aspetti pragmatici del

linguaggio, definendo il significato come l’uso delle parole in

un contesto. In tal modo diede un forte impulso alla riflessione

diretta sugli usi linguistici.

Non occorre però arrivare a Wittgenstein per avere segni

della diffusione di un modo di vedere “relativista”.

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Due ricercatori brittannici Odgen e Richards, in un loro

saggio Significato del significato4, ripubblicato dal 1923, hanno

sistematizzato il linguaggio attraverso un’approccio semiotico e

una prospettiva psicologica. Odgen e Richards analizzano in

una prospettiva dialettica le relazioni che intercorrono tra i

processi mentali: simbolo (segno, parole, significante) e il

referente (l’oggetto, il dato di realtà, l’elemento esterno).

Questa tesi è esposta nel loro celebre triangolo della

significazione (fig. 1)

PENSIERO O REFERENZA

CORRETTO ADEGUATO

Simbolizza Si riferisce ad altra relazione (relazione causale) causale

SIMBOLO REFERENTE

(sta per relazione imposta)

VERO

Fig.1 - Triangolo della significazione - Odgen e Richards

4 OGDEN C. K. e RICHARDS I. A. The Meaning of Meaning. A Study of the Influence of Language upon Thought and of the Science of Symbolism. London, Routledge & Kegan Paul, 1960 [prima edizione 1923]. Traduzione italiana di Luca Pavolini: Il significato del significato.

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Odgen e Richard sviluppano una visione per cui la cultura e

quindi il linguaggio corrispondente possano influenzare il

pensiero di un popolo. Ciò porta all’affermazione che diversi

tipi di linguaggio formino diversi tipi di pensieri.

Dopo questa rapida carellata linguistico-filosofica è

opportuno richiamare l’ambito di studi specifico in cui si

inquadra il tema del nostro lavoro.

Allo studio della linguistica e della filosofia è necessario,

dunque, l’affiancarsi di uno studio antropologico delle lingue o

meglio dei popoli che parlano una determinata lingua.

Franz Boas (1858-1942) antropologo e linguista tedesco,

attraverso la teoria del relativismo culturale, diede inizio al

rapporto fra ricerca antropologica e studio dei fenomeni

linguistici, egli studiò le lingue americane in via di estinzione,

analizzando i problemi tra lingua e razza, tra lingua e cultura,

classificazione delle lingue, e i rapporti tra linguaggio e

pensiero.

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8

Ne I limiti del metodo comparativo dell’antropologia5, affermò

l’importanza fondamentale di verifica dei dati archeologici o

etnografici, per poter ritenere valida scientificamente qualsiasi

ipotesi di ricerca. Esigenza primaria era lo studio diversificato

di ogni cultura, studio sviluppato con l’analisi della loro

singolarità negli aspetti linguistici e sociali.

Grazie a Boas si arriva a concepire la natura non manifesta

dei fenomeni culturali, che attraverso il linguaggio plasmano il

pensiero del soggetto, formando degli schemi concettuali

analizzabili solo attraverso uno studio interno della cultura

stessa.

5 Franz Boas – I limiti del metodo comparativo dell’antropologia - 1896

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"l'uomo ha esperienze nella larga misura in cui le ha, perché le abitudini linguistiche della

sua comunità lo predispongono a certe scelte interpretative".

Edward Sapir

Capitolo 1 Linguaggio e pensiero - L’ipotesi di Sapir- Whorf

La tesi di Boas influenzò il linguista e antropologo americano,

Edward Sapir (1884-1939) Sapir sviluppò il suo interesse per le

diverse culture approfondendone la conoscenza attraverso lo

studio del linguaggio, questo lo condusse ad affermare quanto

quest’ultimo abbia un influenza determinante nella percezione

del mondo.

Questi studi vennero condotti in modo approfondito anche

da Benjamin Lee Whorf (1897-1941) allievo di Sapir, entrambi

fondarono quella che viene comunemente chiamata (dalla

definizione di J.B. Caroll) ipotesi di Sapir-Whorf.

Whorf nacque a Winthrop, nel Massachusetts, il 24 Aprile

1897, dove frequentò la scuola secondaria fino al liceo. Nel 1914

s’iscrisse al Massachusetts Institute of Technology,

specializzandosi in ingegneria chimica. Dopo la laurea nel 1919,

fu scelto per un tirocinio in ingegneria della prevenzione contro

gli incendi, dalla stessa società dove rimase per ventidue anni.

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10

Gli interessi di Whorf per la linguistica, iniziarono nel

1924, studiando l’ebraico, in seguito approfondì i suoi studi di

linguistica analizzando l’azteco. Nel 1939 scrisse l’articolo La

relazione del pensiero abituale e del comportamento col linguaggio.

Nel quale in seguito alle sue ricerche sulla lingua hopi,

comunità indiana che vive sugli altopiani desertici dell’Arizona,

sviluppò le sue idee sulla relatività linguistica, che approfondì

soltanto attraverso gli studi con Sapir.

Questa ipotesi è divisa in due parti determinismo

linguistico e relatività linguistica, mentre la prima sostiene che

il linguaggio determina il pensiero, il relativismo linguistico

sottolinea come diversi linguaggi formino differenti pensieri.

Cermichael, Hogan & Walzer (1932) hanno condotto un

famoso esperimento a sostegno della tesi della Relatività

Linguistica. L’esperimento consisteva nel mostrare ad alcuni

soggetti questa immagine:

Tale immagine veniva mostrata con scritto: “Luna crescente” o

con scritto “Lettera C” . Più avanti veniva chiesto agli stessi

soggetti di disegnare l’immagine vista in precedenza,

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l’immagine veniva raffigurata in modi piuttosto differenti, a

seconda che il ricordo che emergeva riguardasse la prima

definizione o la seconda. Questa è una prova a favore della tesi

che il linguaggio influenza il pensiero.

Whorf afferma che “la linguistica è essenzialmente la ricerca

del significato”6 non sono importanti, per lui i processi mentali

con i quali si formula un pensiero ma ciò che è oggetto di

pensiero. Su questo argomento Whorf afferma:

[…] la “vecchia scuola” della psicologia sperimentale ha assunto abbastanza definitivamente il carattere di un ramo della fisiologia […] è senza dubbio importante per lo studioso dei fenomeni mentali conoscere i meccanismi del corpo, ma si tratta più di informazioni accessorie che di altro […] La psicanalisi è l’unica scuola che si occupa effettivamente di materiali mentali […] ma lavora soltanto nella sfera dell’anormale […] tutte le scuole sono state passate in rassegna e se ne sono trovate le manchevolezze […] lo studioso della mente umana è costretto a ricadere sulla massa di osservazioni empiriche […] Un fatto che risulta evidente ad un punto di vista disinteressato, ma che non è messo in rilievo da nessuna scuola, è la grande importanza del concetto che denotiamo con la parola “significato”. Si troverà che il significato è intimamente connesso con la linguistica: alla sua base è il simbolismo, ma il linguaggio è il grande simbolismo da cui tutti gli altri simbolismi derivano.

6 B.Lee Whorf – Linguaggio pensiero e realtà – trad. it. Boringhieri, Torino (p. 2)

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L’ analisi del problema linguistico, secondo il punto di vista di

Whorf, dunque, non trovava sostegno in nessuna delle teorie

psicologiche dell’epoca. L’egemonia del linguaggio sul pensiero

trova una valida spiegazione, secondo Whorf, soltanto nel

carattere simbolico che il linguaggio ha per sua natura, senza

che questo venga analizzato attraverso le connessioni mentali

che avvengono da individuo a individuo. In questo modo le

abitudini, le tradizioni, la storia di un popolo, si riflette in modo

speculare sulla lingua, ed è soltanto attraverso di essa che è

possibile carpirne i veri significati.

Studiando a fondo una lingua è possibile afferrare il

significato globale di abitudini differenti, l’antropologo deve

quindi analizzare il significato di ogni parola usata in una

determinata cultura per comprenderla pienamente.

Come abbiamo già accennato, Whorf studiò attentamente

le abitudini del popolo Hopi, ed osservò che l’unica forma

simbolica con la quale, questo popolo, esprime i propri concetti

è quella che fa parte della cultura e la lingua della società in cui

vive, sarà quindi improbabile che possa condividere con noi, i

concetti di spazio e tempo, che noi riteniamo universali.

Whorf, giunse a dimostrare la sua tesi, affermando che la lingua

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Hopi non contiene parole, forme grammaticali, espressioni che

si riferiscano a ciò che noi chiamiamo tempo, nel senso appunto

di esteso nel tempo come continuità.

Riguardo a questo Whorf scrive:

“[…]Per quanto riguarda lo spazio, il soggettivo è una sfera spirituale, una sfera non spaziale in senso oggettivo […] per gli Hopi non c’è un futuro in senso temporale; non c’è nulla dello stato soggettivo che corrisponda alle sequenze e alle successioni connesse con le distanze e con le mutevoli configurazioni fisiche che troviamo nello stato oggettivo […]”gli Hopi concepiscono il tempo e il movimento nella sfera oggettiva in senso puramente operativo […] sicchè l’elemento temporale non è separato dagli elementi spaziali che intervengono nelle operazioni[…]

Whorf osservò che il popolo Hopi non possiede il concetto

di temporalità, in questo modo gli eventi accaduti in un luogo

lontano dal loro presente, sono conoscibili soltanto se già

accaduti, in quanto soltanto ciò che è oggettivo è dal loro punto

di vista reale e conoscibile.

Secondo Whorf il principio della relatività linguistica

significa che coloro che si servono di sistemi grammaticali

molto diversi fra loro devono essere considerati come individui

dotati di una diversa prospettiva sul mondo.

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14

Adesso analizziamo in dettaglio la “differenza” tra il

determinismo linguistico e relatività linguistica.

Il determinismo linguistico, abbiamo detto, afferma la

facoltà del linguaggio nel determinare il pensiero.

Nell’introduzione abbiamo esposto, seppur brevemente, la

nozione di determinismo, che ricordiamo è in opposizione alla

concezione innatista, in quanto afferma il principio di causalità,

in altri termini, si riferisce al fatto che ogni evento è causa di un

evento successivo. Nel caso del linguaggio, dunque, è

quest’ultimo a causare i pensieri. Le parole che usiamo per

esprimerci determinano la conoscenza che possediamo delle

cose. Il determinismo linguistico afferma che nel comprendere

un esperienza, veniamo limitati non solo da ciò che conosciamo

di quella determinata esperienza, ma anche dalle parole che

usiamo per esprimere ciò di cui veniamo a conoscenza.

L’ipotesi di Sapir-Whorf, dunque, vuol sostenere che

l’esperienza che l’uomo possiede del mondo in cui vive è basata

sulle parole che egli possiede per esprimersi.

Dal determinismo linguistico alla relatività linguistica il

passo è breve, in effetti se affermiamo che il linguaggio ha il

potere di influenzare il pensiero è naturale arrivare a sostenere

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quanto diversi linguaggi possano formare diversi modi di

pensare.

L’ipotesi di Sapir Whorf è stata influente anche nel

pensiero filosofico e probabilmente ha anche influenzato

l’olismo di Willard Van Orman Quine, filosofo e logico

statunitense, il quale nel saggio l’Indeterminatezza della

traduzione afferma che i singoli enunciati hanno un significato

determinato non isolatamente ma in quanto parte di un più

vasto sistema linguistico (olismo). Quine usa il termine relatività

ontologica per affermare che la realtà dipende dai significati-

stimolo propri di ciascun individuo e del gruppo al quale

appartiene. Le differenze tra i linguaggi sono causate dalle

differenze in cui i parlanti osservano il mondo. Nel volume

Parola e oggetto7 sostiene che il linguaggio è una forma di

comportamento umano. Anche il concetto di

incommensurabilità, proposto dal filosofo della scienza

austriaco, Paul K. Feyerabend (Vienna 1924) ha strette analogie

con le idee del relativismo linguistico di Sapir e Whorf.

L’incommensurabilità delle teorie scientifiche nega l’esistenza

di un metodo scientifico universalmente valido, in quanto come 7 W.V.O.Quine - Parola e Oggetto tr. It. Il Saggiatore Milano 1970

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per la scienza esistono teorie tra loro incommensurabili cioè

non compatibili, analogamente diversi linguaggi danno vita a

pensieri dissimili. Il punto di riferimento “classico” in storia e

filosofia della scienza è però il filosofo e storico Thomas Kuhn

(1884-1974) che per primo ha parlato di “paradigmi scientifici”

come sistemi concettuali autonomi, solo all’interno dei quali ha

senso porre certi problemi scientifici. La causa della

incommensurabilità delle teorie sta dunque nel sistema di

riferimento concettuale differente, che fà si che i termini di una

teoria non siano “traducibili” esattamente nei termini di

un’altra. Condividendo le idee di Quine, sostiene l’importanza

della comunità scientifica nel suo insieme, dove i rapporti

sociali e il contesto culturale ne condizionano l’attività.

Whorf prima che linguista, come abbiamo visto, era

ispettore in un agenzia assicurativa dove si occupava della

ricerca delle cause degli incendi, nel corso del suo lavoro di

ispettore egli notò che spesso la causa si trovava nel modo in cui

gli individui percepivano una situazione, in altre parole, il modo

in cui tale situazione veniva descritta ne determinava la

percezione. Accadeva che alcuni recipienti vuoti, che in origine

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contenevano liquido altamente infiammabile, venivano

percepiti come innocui, se veniva scritto “vuoto” su tali

recipienti, anche se in realtà la loro pericolosità rimaneva

immutata, in quanto ancora impregnati di sostanza

infiammabile.

Questo esempio mette in evidenza la relazione che c’è tra le

parole e la percezione. Percepire una determinata parola porta

a formare un determinato pensiero, a formare un immagine

mentale che rispecchi ciò che le parole vogliono significare.

Secondo Whorf, dunque non accade quanto la tradizione

“innatista” ha sempre sostenuto, dando priorità al pensiero

rispetto al linguaggio: al contrario, non si formano i pensieri e

poi li si esprime in un linguaggio ma è proprio quest’ultimo che

ci porterà a percepire un evento che formerà un pensiero

conseguente. Ma tutto ciò può portare a pensieri erronei a

cadere in tranelli linguistici, come nell’esempio whorfiano

riportato più sopra.

Whorf afferma a questo proposito:

[…]La spiegazione di certi comportamenti è data dalle analogie cui dà origine la formula linguistica in cui la situazione è espressa e attraverso cui è in qualche misura analizzata, classificata e messa al

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18

suo posto in un mondo che è in gran parte inconsciamente costruito sulle abitudini linguistiche del gruppo […]8

Nel capitolo seguente tratteremo il punto di vista di Whorf, attraverso un analisi psicologica, valutando alcune teorie della percezione.

8 B.Lee Whorf – Linguaggio pensiero e realtà – trad. it. Boringhieri, Torino (p. 102)

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19

«[...] la corrente che porta le frasi a [..]

fermarsi per un attimo prima d'essere assorbite dai circuiti della sua mente [...]» 9

Capitolo - 2

Percezione, Rappresentazione e Immagini mentali

Uno dei punti chiave della teoria di Sapir.Whorf è l’influenza

del linguaggio sulla percezione. Dobbiamo domandarci dunque

se i teorici della percezione hanno qualcosa da dire a proposito

della tesi in discussione. Dopo aver brevemente presentato le

teorie classiche secondo cui la percezione non svolge alcun

ruolo nella formazione del linguaggio, vedremo alcuni aspetti

del dibattito attuale in teoria della percezione che porterà ad

assumere un atteggiamento più critico sulla teoria whorfiana.

Il modello più famoso oggi sul linguaggio è quello di

Chomsky, modello che si può chiamare “modello autonomista”

9 I. Calvino -. Se una notte d'inverno un viaggiatore, Torino, Einaudi, 1979.

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20

Secondo il modello autonomista, il linguaggio ha funzione

innata e come tale non ha alcun collegamento con la

percezione, in quanto, come per Chomsky è un sistema

autonomo “un organo che non si sviluppa ma cresce […] che

matura in modo indipendente dall’ambiente10 “.

Il linguaggio, secondo questa prospettiva non si apprende

attraverso l’interazione con il mondo; o meglio l’interazione con

il mondo ha solo funzione di “attivare” il sistema linguistico

innato.

Ma il linguaggio è anche uno strumento utile ai fini della

socializzazione. La teoria più influente a favore di questa tesi è

quella dello psicologo sovietico Lëw Vygotskij (1896-1934) il

quale nella sua opera più importante Pensiero e linguaggio11

distingue tra linguaggio come strumento di comunicazione e

linguaggio come regolazione del comportamento, egli sostiene,

al contrario dello psicologo svizzero Jean Piaget (1896-1980)

l’importanza nella relazione individuo-ambiente

nell’apprendimento del linguaggio. Il linguaggio che Piaget

chiamava egocentrico secondo Vygotskij non è altro che il

linguaggio non ancora socializzato, e nella sua forma permane

10 Chomsky 1979, trad. it. Pag. 224 11 Vygotskij – Pensiero e Linguaggio - 1934

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21

fino all’età adulta trasformandosi in linguaggio interno,

indispensabile nella regolazione del pensiero e nella

pianificazione delle operazioni cognitive.

Se da un lato Chomsky presenta una teoria che è di per sé

neutrale rispetto al relativismo linguistico, anche se

apparentemente se ne distanzia, la linea di pensiero di

Vygostskij ha una maggiore vicinanza alle idee whorfiane. Ma

queste discussioni sono ancora troppo lontane dal problema

specifico del rapporto tra percezione e linguaggio. Occorre per

questo rivolgersi al dibattito contemporaneo in teoria della

percezione, per vedere che contributo può dare a una

valutazione delle tesi sul relativismo linguistico.

Prendiamo le mosse da un dibattito svoltosi tra un allievo

di Chomsky, Jerry Fodor, e alcuni teorici della percezione che

hanno dedicato uno studio particolare al problema delle

immagini mentali. Siamo qui nell’ambito della psicologia

cognitiva.

La psicologia cognitiva studia il linguaggio, essendo esso

stesso un abilità cognitiva che ha strette connessioni con altre

abilità cognitive dell’uomo, tra le quali: la percezione, la

memoria, il pensiero.

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22

La percezione collega il linguaggio con il mondo, gli studi

sulla percezione perciò, analizzano il legame tra linguaggio e gli

oggetti reali o immaginari, che percepiamo.

Secondo lo psicologo statunitense Jerry A. Fodor (New

York 1935):

“Le capacità cognitive devono essere sistematiche almeno quanto le capacità linguistiche, dato che il linguaggio ha la facoltà di esprimere il pensiero[…]”12

Secondo Fodor (1975), nell’atto stesso del pensare, noi

organizziamo l’esperienza descrivendola in linguaggio,

concettualizzandola secondo una struttura proposizionale, in

quanto i nostri stessi pensieri sono linguaggio.

All’inizio degli anni ’70 la psicologia cognitiva sviluppa la

propria ricerca sulle facoltà percettive, con un interesse sulle

immagini mentali le quali forniscono un valido aiuto nello

studio dei processi di pensiero, che avvengono nel rapporto con

il mondo extralinguistico.

Si scopre che le immagini mentali hanno la facoltà di

rappresentare anticipatamente le nostre azioni sugli oggetti.

Sorge in questo modo una dicotomia tra rappresentazione per

immagini e descrizione verbale, in sostanza, si accende una

12 Fodor 1987, trad. it. P. 229

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23

controversia tra gli autori che sostengono che i linguaggi iconici

abbiano autonomia cognitiva e altri autori che conferiscono

invece ai linguaggi verbali dominio su quelli visivi, i primi - il cui

maggior esponente è Stephen M. Kosslyn - vengono definiti

Pittorialisti13, e i secondi - tra cui Zenon W. Pylyshyn -

Proposizionalisti. Sarebbe opportuno adesso, analizzare un po’

più in dettaglio la differenza tra queste due scuole di pensiero.

I Proposizionalisti, abbiamo visto, non attribuiscono alle

immagini mentali uno status proprio, sostenendo che il

pensiero ricalca il modo in cui viene usato il linguaggio, al cui

interno vi sono segni convenzionali, ciò che questi segni

denotano è di tipo arbitrario, e non in base ad analogie o

somiglianze, in questo modo è quindi necessario, a livello

cognitivo la decodifica di ciò che viene percepito. La

percezione, in questo modo non è autonoma ma sussiste solo se

decodificata e la decodifica è possible solo se guidata dal

linguaggio.

Per i Pittorialisti, al contrario, le immagini mentali

contengono proprietà delle cose in esse rappresentate, in

questo modo ciò che le persone riportano non sono le

13 Per la disputa tra Proposizionalisti e Pittorialisti si rimanda a – Pensiero e Linguaggio – a cura di

Daniele Gambara – La Nuova Italia Scientifica, Roma 1996 – Pag. 110-114

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24

proprietà delle loro immagini ma degli oggetti che stanno

immaginando. Per i pittorialisti la percezione è invece

organizzata da operazioni mentali direttamente rivolte a

immagini; la manipolazione di immagini cioé non è mediata dal

linguaggio ma da rappresentazioni figurative o pittoriche.

A sostegno di questa tesi Kosslyn, R.N. Shepard e J. Melzler

hanno dimostrato tramite ormai noti esperimenti, come la

nostra mente sia in grado non soltanto di immaginare un

oggetto, ma anche di formare un immagine mentale dinamica,

che sia in grado di manipolare l’oggetto stesso.

D’importanza significativa a questo riguardo è il noto

esperimento sulla rotazione delle immagini mentali, (fig.2) di

Shepard e Melzler (1971) Secondo questi autori noi siamo in

grado di immaginare un oggetto nel suo stato reale, cioè lo

immaginiamo nello stesso modo in cui lo percepiamo.

L’esperimento consisteva nel presentare ad alcuni soggetti

delle immagini raffiguranti lo stesso oggetto ma in diverse

posizioni, i soggetti dovevano stabilire se si trattava di oggetti

diversi oppure dello stesso oggetto. Ed anche in questo caso i

tempi di reazione erano correlati con quelli di rotazione.

Page 28: Linguaggio_e_pensiero L'Ipotesi Di Sapir-Whorf

25

Mediante l’esperimento della mappa dell’isola di

Kosslyn14,(Fig. 3) i soggetti dovevano memorizzare la mappa di

un isola sulla quale vi erano disegnati dei simboli che

rappresentavano un punto o un altro dell’isola stessa, quindi

dovevano visualizzare la distanza che intercorreva tra un punto

o l’altro rappresentata dai diversi simboli. Il tempo che veniva

loro impiegato mentalmente, per raggiungere un determinato

punto equivaleva esattamente alla distanza effettiva segnata

sulla mappa, in altre parole se la distanza da un luogo ad un

altro era breve il tempo impiegato era minimo, viceversa se la

distanza era più significativa, richiedeva più tempo per

raggiungere il luogo. Questo dimostra il collegamento tra la

percezione e le immagini.

Questi esperimenti dimostrano l’autonomia delle immagini

nella nostra mente, di come siamo in grado di percepire un

immagine e rielaborarla in diversi punti di vista, l’attività

immaginativa e la percezione vera e propria funzionano allo

stesso modo.

14 Kosslyn, Ball e Reiser 1978

Page 29: Linguaggio_e_pensiero L'Ipotesi Di Sapir-Whorf

26

Fig -.2 - Esperimento delle rotazioni mentali -– Fonte Shepard, Metzeler, 1971

Fig. 3 – Mappa dell’isola

Kosslyn, Ball e Reiser 1978

Page 30: Linguaggio_e_pensiero L'Ipotesi Di Sapir-Whorf

27

A. Paivio (1971) ha tentato di risolvere la controversia tra

pittorialisti e proposizionalisti proponendo la Teoria della

doppia codifica15, in cui viene esposto l’assunto secondo il quale

esisterebbero due distinti sistemi per la rappresentazione e

l'elaborazione delle informazioni. Un sistema è verbale, che

tratta le informazioni linguistiche e le cui unità

rappresentazionali di base sono i logogens, e un sistema

deputato all'elaborazione delle informazioni non verbali, le cui

unità rappresentazionali sono gli imagens. Ogni sistema è

ulteriormente suddiviso in sottosistemi e i due sistemi simbolici

comunicano tra loro attraverso relazioni tra imagens e logogens.

Secondo questa teoria le rappresentazioni analogiche e

proposizionali sono separate e differenti, anche se

interdipendenti. Tramite le Connessioni referenziali è possibile

che l’immagine di un oggetto produca la descrizione verbale di

tale oggetto o viceversa la descrizione verbale ne susciti

l’mmagine stessa.

Le conclusioni di Whorf in merito al rapporto tra

percezione e linguaggio, assumono un nuovo aspetto

15 A. Paivio - Dual coding theory: Retrospect and current status, in “Journal of Psychology. 45 pp.255-287

Page 31: Linguaggio_e_pensiero L'Ipotesi Di Sapir-Whorf

28

suscettibile di critica, se analizzate posteriormente, attraverso

un raffronto con le nuove teorie della psicologia cognitiva, che

abbiamo appena trattato.

Queste teorie dimostrano come il ruolo delle immagini mentali

sia fondamentale per la formazione del pensiero, ciò è in netto

contrasto con quanto ha affermato Whorf nella sua ipotesi,

dove la coscienza non ha alcun ruolo. Un primo risultato delle

ricerche sulle immagini mentali dunque può essere quello di

mettere in dubbio la tesi di Whorf che per molto tempo è stata

considerata solida e coerente con diverse tesi filosofiche (da

Khun a Quine) e linguistiche (la linguistica strutturalista)

La teoria che può in parte aderire a quella whorfiana, è

quella di J.J. Gibson (1969) secondo cui la percezione è un

attività che ha a che fare direttamente con il mondo, senza

essere filtrata da rappresentazioni mentali. La teoria della

percezione diretta16 afferma che ciò che viene percepito è

soltanto ciò che è disponibile nell’ambiente, in assenza di un

collegamento diretto con il mondo non è possibile la

formazione di immagini mentali. In questo modo, però. rimane

16 Gibson J.J. Outline of a theory of direct visual perception - 1969

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29

insoluta la questione di come avvenga l’apprendimento del

linguaggio e dell’esistenza di parole, che non hanno rapporto

con il mondo.

Page 33: Linguaggio_e_pensiero L'Ipotesi Di Sapir-Whorf

30

«Ascoltare poi uno che sta traducendo da un'altra lingua implica un fluttuare d'esitazione intorno alle parole, un margine d'indeterminatezza e di provvisorietà [...] »17

Capitolo 3

Linguaggio e cultura

E’ il momento di mettere in discussione in modo più dettagliato

l’ipotesi Sapir-Whorf secondo la quale, come abbiamo visto, il

linguaggio determina il pensiero, in altri termini, il linguaggio

influenza la percezione. Segue da questa tesi che diversi popoli

pensino in modo differente data la diversità delle loro lingue.

Abbiamo anche visto che la tesi whorfiana è costituita da due

tesi distinte:

- Il determinismo linguistico, per cui il linguaggio

determina il pensiero; ma questa idea è compatibile con

il fatto che il pensiero sia uguale per tutti, se si assume

che il linguaggio sia innato

- Il relativismo linguistico per cui a diversi linguaggi

corrispondono diversi pensieri. Questo è compatibile con

il fatto che il linguaggio non preceda il pensiero, perché

17 I.Calvino - Se una notte d'inverno un viaggiatore, Torino, Einaudi, 1979.

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31

è possibile che linguaggio e pensiero assieme

contribuiscano a formare questa diversità.

Nella sua forma più forte, che comprende entrambe le tesi

l’ipotesi Sapir-Whorf, afferma che la percezione di un popolo

viene influenzata dalla lingua con la quale si esprime.

Il significato di ogni parola si può trovare soltanto

all’interno della cultura di riferimento attraverso la quale una

lingua si esprime. La struttura della lingua madre ha, secondo

Whorf, un’ influenza notevole sul modo di concepire il mondo.

Gli eschimesi nella loro lingua inuit, possiedono diversi modi

per descrivere la neve. Secondo il suo stato di aggregazione,

consistenza, freschezza e così via, hanno insomma una

percezione differenziata della neve. Come accade nel romanzo

dello scrittore danese Peter Høeg Il senso di Smilla per la neve18,

dove la protagonista, Smilla, grazie alla capacità di riconoscere

la neve in tutti i suoi aspetti, riesce a scoprire un delitto. Høeg

appassionato di scienza e di linguistica, attraverso questo

18 Peter Hoeg - Froken Smillas fornemmelse for sne- Il senso di Smilla per la neve Traduzione: Bruno Berni Editore: Mondadori, 1994

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32

romanzo, ci aiuta a riflettere sul rapporto tra cultura e

linguaggio.

Alcune ricerche hanno condotto ad un analisi critica

sull’ipotesi della relatività linguistica. La relazione tra la

percezione e i nomi dei colori, ad esempio, ha contribuito in

modo determinante nel trattare il tema tra linguaggio e cultura.

Nella lingua italiana e in altre lingue europee i colori puri

come il blu, verde, rosso e giallo vengono denominati con

un'unica parola, se questi colori vengono mescolati ad altri

formano altre gradazioni di colore, vengono quindi denominati

come accade nella lingua inglese ad esempio, come bluish green

(verde bluastro) oppure greenish-yellow (verde-giallastro) Ciò che

si analizza è la questione se noi percepiamo i colori così come

sono oppure ciò è dovuto al nome con il quale siamo abituati a

denominarli.

Eleanor Rosch psicologa cognitiva dell’Università della

California a Berkeley, ha effettuato studi sugli aspetti della

categorizzazione dei colori della tribù dei Dani in Nuova

Guinea, i quali dispongono soltanto di due nomi per i colori.

Attraverso tali studi è emerso che, nonostante i Dani non

posseggano più di due parole per denominare i colori, sono

Page 36: Linguaggio_e_pensiero L'Ipotesi Di Sapir-Whorf

33

comunque in grado di riconoscerne altri, questo dimostra che il

nesso tra cultura e percezione non svolge alcun ruolo.

Gli antropologi cognitivi B.Berlin e P.Kay19(1969),

dell’Università della California a Berkeley, hanno condotto

diversi interessanti studi a proposito, e sono giunti alla

conclusione, in opposizione alla teoria del relativismo

linguistico, che le categorie cromatiche percettive dipendono da

caratteristiche biologiche del sistema visivo, (Fig 4) in altre

parole, anche in lingue che possiedono solo due termini per

designare i colori, non verrà mai usato il termine rosso per

designare il verde o viceversa.

Queste ricerche dimostrano che la percezione del colore

ha origine biologica e non culturale.

Le differenze tra le varie culture possono esistere

attraverso le diverse associazioni tra un colore ed un altro, come

è emerso da un analisi per designer, di Russo e Boor (1993), i

colori hanno un effetto psicologico differente per ogni cultura,

il rosso ad esempio può rappresentare pericolo nella lingua

19 Berlin - Kay 1969 = B. Berlin - P. Kay, Basic colour terms. Their Universality and Evolution, Berkeley - Los Angeles 1969.

Page 37: Linguaggio_e_pensiero L'Ipotesi Di Sapir-Whorf

34

inglese ed invece felicità in lingua cinese (Fig.5) Ma queste

differenze culturali e linguistiche, che nessuno nega, non si

spingono a creare una effettiva diversità nella percezione, come

sosteneva Whorf.

Fig. 4 - Come l’occhio vede i colori

Fig. 5 – Esempio di associazioni culturali nei colori (Russo & Boor, 1993)

luce bianca

luce rossa

oggettoo rosso

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35

Il rapporto cultura e linguaggio, secondo l’idea del

relativismo linguistico non trova conferma neppure nelle teorie

sulla percezione del colore che attraverso gli esperimenti

effettuati dai ricercatori che abbiamo appena citato fornisce la

conferma che il linguaggio non guida la percezione nel modo

definito da Whorf.

Nonostante l’apparente sconfitta della tesi di Sapir Whorf

da parte degli psicologi cognitivi, la tesi sul relativismo

linguistico continua tutt’oggi ad interessare molti ricercatori.

Tra questi Peter Gordon20, psicologo della Columbia

University di New York, il quale ha effettuato una recente

ricerca (Gordon, 2004) sulle abitudini linguistiche della tribù

dei Pirahã in Brasile, dalla quale è emerso che i componenti di

questa tribù hanno nomi per definire soltanto il numero uno e

il numero due, i numeri superiori vengono sommariamente

definiti con un'unica parola “molti”. Gordon ha rilevato dai suoi

studi, come alcune limitazioni nel linguaggio possano portare

ad una concezione diversa del mondo. Egli sottopose alcuni

Pirahã ad una varietà di tests, il più semplice consisteva nel

presentare loro, una serie di oggetti di uso comune che essi

20 Vedi Science Express (19 August 2004/ Page 1/ 10.1126/science.1094492)

Page 39: Linguaggio_e_pensiero L'Ipotesi Di Sapir-Whorf

36

dovevano raggruppare per categoria, ebbene il risultato fu che

riuscivano a riunire fino a due oggetti ma se il numero arrivava

a quattro, sei, o oltre dieci, essi non erano più in grado di

catalogare correttamente gli oggetti.

Da queste ricerche, Gordon arriva alla conclusione che

l’assenza, in una determinata lingua, di alcune parole per

descrivere un concetto, può causare difficoltà ai parlanti di tale

lingua nel comprendere quel determinato concetto.

Page 40: Linguaggio_e_pensiero L'Ipotesi Di Sapir-Whorf

37

Conclusioni

Le ultime teorie trattate nel capitolo precedente, come abbiamo

visto, condividono l’ipotesi di Sapir-Whorf. Gli usi e le

tradizioni proprie di una determinata cultura assumono

carattere relativo rispetto ad un'altra a causa del linguaggio che

i parlanti usano per esprimersi. Secondo Whorf dunque è

sufficiente parlare una determinata lingua, per pensarla in un

certo modo. Possiamo pronunciare una parola per far scattare

un idea corrispondente. Gli agenti pubblicitari questo lo sanno

bene.

Il merito degli studi svolti da Whorf è indubbiamente

quello di aver affrontato il tema sul linguaggio riconoscendo a

quest’ultimo proprietà non soltanto comunicative ma

soprattutto persuasive. Il linguaggio possiede la facoltà di

condizionare le intenzioni. Un po’ come accade nel celebre

romanzo di George Orwell 1984 dove si ipotizza una società a

regime totalitario, in cui viene coniata una nuova lingua, la

neolingua il cui fine è quello di fornire una nuova forma di

pensiero. In questo modo, sembra che ognuno di noi,

inconsapevolmente, possa essere vittima di un disegno

Page 41: Linguaggio_e_pensiero L'Ipotesi Di Sapir-Whorf

38

precostituito, dettato da altri in grado di decidere quale sia la

linea di pensiero da adottare, fornendo una sorta di “parola

magica” che ci trascini verso determinate credenze e abitudini.

Fortunatamente non è proprio ciò che accade. Whorf nel

corso dei suoi studi riguardo gli effetti che il linguaggio ha sul

pensiero, non ha tenuto conto del processo contrario vale a dire

degli effetti che il pensiero ha sul linguaggio.

L’ipotesi del determinismo linguistico viene ridimensionata

se si dà un maggior rilievo al reciproco scambio tra il linguaggio

e il pensiero; non può esistere il primo in assenza del secondo, e

molti degli studi evolutivi e cognitivi più recenti tendono a dare

priorità al pensiero come effetto causale del linguaggio e non

viceversa.

La teoria del determinismo linguistico, come sappiamo, si

espande nel concetto di relatività linguistica ed anche questa

parte della teoria di Sapir e Whorf, come è già stato osservato

più volte, ha il merito di offrire validi spunti di riflessione in

varie discipline dall’antropologia, alla filosofia e alla psicologia

cognitiva.

Dal punto di vista antropologico, il punto di forza

dell’ipotesi di Sapir-Whorf, è senz’altro quello di aver dato alla

Page 42: Linguaggio_e_pensiero L'Ipotesi Di Sapir-Whorf

39

cultura, che risiede nella storia di un popolo, un valore

determinante nello studio della stessa. Le tradizioni portano ad

assumere un particolare comportamento che conduce a

particolari abitudini che caratterizzano una società, ed

attraverso di esse è dunque possibile l’integrazione, ma tali

abitudini hanno bisogno di un linguaggio che le trasmetta o le

renda visibili. Secondo l’ipotesi di Sapir-Whorf, (qui sta la

contraddizione) è il linguaggio stesso che crea siffatte abitudini

che altrimenti non esisterebbero. La visione “rivoluzionaria” di

Whorf è stata in effetti ridimensionata di fronte agli studi che

hanno dato evidenze empiriche per la visione più tradizionale

per cui è il linguaggio, lo strumento attraverso il quale abbiamo

la facoltà di trasmettere i nostri pensieri.

Gli svariati modi che il popolo esquimese adotta per

descrivere la neve, sono l’effetto di una cultura che ha la facoltà

e l’esigenza di conoscere in dettaglio ciò che è presente ed

influisce in modo determinante nella loro vita di sempre. Gli

esquimesi come il popolo Hopi o la tribù dei Pirahã osservati da

Gordon, usano “astutamente” un linguaggio conforme al loro

stile di vita, ma potrebbero modificare il loro modo di parlare se

altre circostanze culturali lo richiedessero, come è risultato dagli

Page 43: Linguaggio_e_pensiero L'Ipotesi Di Sapir-Whorf

40

esperimenti sul popolo Dani, effettuati da Eleanor Rosch. Sulla

percezione dei colori, i Dani, come abbiamo visto, pur usando

solitamente solo due nomi per definire i colori, erano

perfettamente consapevoli dell’esistenza di altri colori anche se

non possedevano un nome per descriverli. L’assenza di parole,

dunque, non preclude la facoltà di percepire ciò che avviene

nella realtà.

Sembra che l’ipotesi di Sapir-Whorf abbia tralasciato un

particolare e, in altre parole, si ha l’impressione che alla teoria

del relativismo linguistico, seppur ricca di stimoli, manchi un

anello di congiunzione che colleghi il linguaggio con il mondo.

Dal punto di vista cognitivo i teorici che abbiamo trattato

precedentemente, hanno dedicato particolare attenzione, negli

ultimi anni, allo studio di ciò che avviene nella nostra mente nel

momento in cui acquisiamo nuove conoscenze. Le immagini

mentali esprimono la facoltà di creare ed elaborare nuove

informazioni, che vengono catturate dall’ambiente in forma

attiva, attraverso le quali l’organismo interagisce in modo

dialettico con l’ambiente stesso. Whorf, invece, sostiene il

potere del linguaggio nel guidare la percezione. Il procedimento

che ci porta ad esprimere determinati pensieri, avviene in modo

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41

passivo mediato “soltanto” dal linguaggio e in conseguenza dalla

sua cultura di riferimento. Attraverso il punto di vista di Whorf,

dunque, il linguaggio fornisce alla mente informazioni sul

mondo che esso stesso crea, ma se così fosse, se la cultura di

riferimento e quindi il linguaggio che usiamo per esprimerla,

fosse l’unica variabile ad influire suoi nostri pensieri, il tutto

avverrebbe con una circolarità da cui non si comprenderebbe la

fine e tanto meno l’inizio.

Page 45: Linguaggio_e_pensiero L'Ipotesi Di Sapir-Whorf

42

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